UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PAVIA FACOLTA’ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE, NATURALI CORSO DI LAUREA IN FISICA PRINCIPI DI BASE DELLA MICRODOSIMETRIA ED APPLICAZIONI IN BNCT Relazione per la laurea di Elisa Bonasegla Relatore Prof. Saverio Altieri Dipartimento di Fisica Nucleare e Teorica Anno accademico 2007/2008 3 INDICE INDICE pag. 4 INTRODUZIONE 6 CAPITOLO 1. MICRODOSIMETRIA 9 1.1 CARATTERISTICHE ED APPLICAZIONI 9 1.2 GRANDEZZE FISICHE DI RIFERIMENTO CONVENZIONALI 10 − Fluenza − Libero cammino medio e range − Linear Energy Transfer (LET) − Dose assorbita 1.3 GRANDEZZE STOCASTICHE E LORO DISTRIBUZIONE 15 − Energia specifica − Energia lineale CAPITOLO 2. IL PROCESSO COMPOSTO DI POISSON 20 2.1 CASUALITA’ DEGLI EVENTI 20 2.2 EQUAZIONI POISSONIANE 22 − Equazione base − Relazioni per i momenti 2.3 IMPLICAZIONI BIOFISICHE DELLA MICRODOSIMETRIA 26 − Modello a più urti e modello a bersagli multipli − Modello a soglia CAPITOLO 3. APPLICAZIONE AI SISTEMI BIOLOGICI 3.1 MICRODOSIMETRIA NEI SISTEMI BIOLOGICI 30 3.2 LINEAR ENRGY TRANSFER (LET) 32 − Definizione e distribuzione 4 30 − Efficacia Biologica Relativa (RBE) 3.3 CONTATORI PROPORZIONALI 36 3.4 PROFILI DI TRACCIA ED ENTITA’ DI TRACCIA 38 3.5 SIMULAZIONE DELLA STRUTTURA DELLE TRACCE 39 − Metodo Monte Carlo − Distribuzione in frequenza del deposito di energia CAPITOLO 4. MICRODOSIMETRIA E BNCT 4.1 MICRODOSIMETRIA DELLA REAZIONE 44 10 B 44 4.2 MICRODOSIMETRIA SPERIMENTALE 47 4.3 STRUMENTAZIONI 48 − TEPC sferico − TEPC piano − TEPC cilindrico − Mini TEPC − Telescopio a pixel al silicio CONCLUSIONI 56 BIBLIOGRAFIA 57 5 INTRODUZIONE La microdosimetria studia le proprietà microscopiche del deposito di energia nell’interazione delle radiazioni ionizzanti con la materia, ponendo l’accento sulla disomogeneità e sulla natura stocastica delle interazioni; al contrario la dosimetria convenzionale fa riferimento alla dose assorbita che è una quantità definita attraverso il deposito di energia su volumi macroscopici. In molte situazioni la dose assorbita risulta totalmente inadeguata a descrivere l’effetto della radiazione nei materiali biologici perché i meccanismi e gli effetti sono dominati da depositi disomogenei in siti di dimensioni cellulari o sub-cellulari. Nonostante la microdosimetria sia nata sulla spinta degli studi radiobiologici essa risulta utile in vari altri campi della fisica. Le tecniche ed i metodi adoperati, forniscono descrizioni fisiche dei campi di radiazione e la loro interazione con la materia e questo è indipendente da ogni particolare applicazione pratica o teorica a sistemi biologici o di qualsiasi altra natura. Difatti, la microdosimetria offre un utile supporto a discipline quali la microelettronica e la fisica dello stato solido, oltre a fornire contributi significativi nei campi ormai classici della radiobiologia, della radioterapia e della radioprotezione. Alcune delle applicazioni fondamentali della microdosimetria si hanno in radioprotezione. In radioprotezione si differenzia di solito tra effetti stocastici, ad esempio danni ereditari, ed effetti non-stocastici, ad esempio danni alla pelle, perdita delle fertilità, malformazioni prenatali. L’obiettivo della radioprotezione è quello di evitare interamente gli effetti non-stocastici, dipendenti dai danni provocati nella moltiplicazione cellulare in un tessuto con una risultante dipendenza, curvilinea o a soglia, dalla dose. Si va quindi a minimizzare l’esposizione alla radiazioni, riducendo il rischio di effetti stocastici ad un livello simile od inferiore ad altri rischi associati ad attività umane. Gli effetti stocastici invece non possono essere interamente eliminati. Essi risultano dal danno a cellule individuali ed hanno una dipendenza lineare dalla dose quando questa è bassa. Nell’ambito della radioterapia la microdosimetria trova importanti applicazioni nel campo della terapia per cattura neutronica sul boro (BNCT). Questa tecnica, basata sulla reazione 10 B (n,α) 7 Li , tratta i tessuti cancerosi con fasci di neutroni termici (En < 0.5 eV) od epitermici (0.5 eV < En < 10 keV); l’irraggiamento neutronico viene effettuato dopo aver 6 prodotto nella massa tumorale (usando opportuni composti borotrasportatori arricchiti dell’isotopo 10 B ) una concentrazione di boro più alta che nei tessuti sani. La reazione di cattura produce due ioni carichi che a causa del loro forte potere ionizzante e del loro breve range nel tessuto (dell’ordine del diametro cellulare) cedono la maggior parte della loro energia entro il volume della singola cellula in cui sono generate. Nel trattamento BNCT, quindi, intervengono contemporaneamente diversi tipi di radiazioni (particelle alfa, ioni litio, protoni, raggi gamma …) i cui depositi di energia hanno caratteristiche diverse. In questo campo, perciò, la microdosimetria può fornire un utile supporto nella caratterizzazione dei vari fasci usati per la terapia e per lo studio dell’efficacia biologica dei vari composti usati per trasportare il boro. 7 8 1. MICRODOSIMETRIA 1.1 CARATTERISTICHE ED APPLICAZIONI Lo studio degli effetti delle radiazioni sulla materia vivente è complicato dal fatto che qualsiasi tentativo che cerca di spiegarli deve fare i conti con i fenomeni che insorgono in un mezzo biologico in seguito ad un’irradiazione e deve tener presente la complessità insita nei meccanismi biologici. Da una parte è necessaria una precisa descrizione del campo delle radiazioni, e dall’altra servono informazioni sulle distribuzioni di energia in strutture biologiche microscopiche, o sulle concentrazioni locali delle specie chimiche prodotte dalla radiazione. Per il primo punto si possono utilizzare quantità radiometriche, come la fluenza delle particelle con la corrispondenti distribuzioni spaziali, temporali ed energetiche; la distribuzione spaziale dovrebbe essere nota a livello cellulare o addirittura subcellulare. D’altro canto è richiesta la conoscenza delle caratteristiche legate ai materiali irraggiati quali ad esempio le sezioni d’urto e lo stopping power. In questo caso anche se oggi, grazie a metodi di simulazione Monte Carlo, è possibile effettuare calcoli per ottenere una descrizione dettagliata delle varie distribuzioni, la mole di dati da registrare è talmente grande che risulta quasi impossibile estrarre delle informazioni utili alla comprensione dei fenomeni biologici. Infatti a livello microscopico, i depositi energetici cambiano notevolmente in base ai diversi tipi di radiazione e ai diversi livelli di risoluzione spaziale in modo tale che anche la descrizione o simulazione più dettagliata contribuisce poco al riconoscimento di quei parametri critici per gli effetti biologici. Il ruolo della microdosimetria è quindi quello di individuare dei parametri essenziali che possano aiutare ad interpretare gli effetti biologici partendo da diversi punti di vista. Una semplificazione iniziale consiste, per esempio, nel trattare esclusivamente il campo di radiazione delle particelle cariche direttamente ionizzanti. Si considerano solo le tracce di queste particelle che hanno energia sufficiente per produrre la maggioranza delle eccitazioni e ionizzazioni elettroniche responsabili degli effetti biologici. Nello studio delle caratteristiche delle deposizioni di energia lungo le tracce delle particelle cariche e la risultante efficacia biologica delle radiazioni, in microdosimetria 9 possono essere utilizzati due approcci differenti. Il primo fissa determinate strutture nelle cellule, detti siti, e postula che l’effetto biologico venga determinato dalla quantità di energia depositata in queste strutture. In prima approssimazione si può trascurare la distribuzione spaziale del deposito di energia all’interno del sito, nonostante questa, in generale possa, avere un’influenza nella determinazione dell’efficacia biologica. Le distribuzioni di probabilità dell’energia depositata dipendono infatti da forma e dimensione della struttura e dal tipo di radiazione. Il secondo approccio, reso possibile dall’avanzamento di metodi computazionali e di simulazione di tracce di particelle cariche, si occupa invece di determinare la struttura microgeometrica dei depositi di energia. In questo secondo caso le caratteristiche dei depositi di energia non sono più relazionati ad un sito, ovvero ad una geometria di riferimento, bensì alla sola struttura spaziale delle tracce stesse. 1.2 GRANDEZZE FISICHE DI RIFERIMENTO CONVENZIONALI Alcune caratteristiche basilari della microdistribuzione dei depositi di energia, da parte delle radiazioni ionizzanti, possono essere descritte in termini di parametri convenzionali; questo facilita l’introduzione dei concetti microdosimetrici e la loro interpretazione. Fluenza La quantità radiometrica più importante è la fluenza Φ di un tipo specifico di radiazione. Essa è definita come numero medio o valore di aspettazione delle particelle entranti in una sfera con cerchio massimo di area unitaria ovvero con diametro pari a d = 2 / π . Questa definizione è equivalente a dire che, in media, Φ/2 particelle attraversano una superficie piana di area unitaria con orientazione qualunque, o, in un campo unidirezionale, Φ particelle attraversano un elemento con superficie unitaria ortogonale alla direzione del campo. Una definizione alternativa è che la fluenza è uguale alla lunghezza totale media delle traiettorie delle particelle per unità di volume. In Fig. 1 è mostrata la fluenza per unità di dose assorbita nell’acqua per fotoni monoenergetici, neutroni e particelle cariche. Si nota come la fluenza delle particelle neutre sia molto maggiore rispetto a quella delle particelle cariche. A livello cellulare o subcellulare, nei tessuti pur in presenza di molti attraversamenti di particelle neutre si possono verificare poche interazioni da parte di particelle cariche che sono quelle che danno contributo alla dose. 10 Fig. 1. Fluenza per unità di dose assorbita nell’acqua di particelle cariche e non cariche con date energie iniziali [1]. Libero cammino medio e range I grafici in Fig. 2 mostrano il range delle particelle cariche ed il libero cammino medio delle particelle neutre nell’acqua. Il libero cammino medio di fotoni e neutroni è grande (alcuni cm) rispetto alle dimensione delle cellule (alcuni micrometri) o dei siti cellulari come quelli di cui si interessa la microdosimetria, pertanto, le correlazioni spaziali tra particelle cariche messe in moto dalla stessa particella primaria non carica possono essere trascurate nella maggior parte delle considerazioni microdosimetriche. Per quanto riguarda le particelle cariche, l’interazione di queste con la materia differisce molto da quella delle particelle prive di carica. Infatti tutte le particelle ad una data energia vengono bloccate da un fissato spessore di un dato materiale e questo spessore viene appunto detto range. 11 Fig. 2. (a) Range di elettroni e protoni e (b) cammino libero medio di fotoni e neutroni di data energia nell’acqua [1]. LET Il trasferimento lineare di energia ( in inglese Linear Energy Transfer da cui LET), o 12 stopping power di collisione, è definito come L = dE , dove dE è l’energia media persa da dx una particella carica in collisioni elettroniche lungo un elemento dx della sua traiettoria. Il valore di L dipende dall’energia della particella, come mostrato in Fig. 3 per protoni ed elettroni. Fig. 3. Linear energy transfer (LET) per elettroni e protoni in acqua in funzione della loro energia [1]. Per caratterizzare la radiazione con un unico parametro, è utile utilizzare un valore medio del LET. A questo proposito esistono due modi per definire la distribuzione di LET e quindi esistono due diversi valori medi di LET associati. La prima è la distribuzione in frequenza di LET, definita in termini della lunghezza totale di traccia delle particelle cariche o, in modo equivalente, in termini della fluenza di particelle. La funzione di distribuzione F(L) è la frazione di fluenza associata all’energia lineare trasferita con un valore non superiore ad L: F ( L) = φL φ dove Φ è la fluenza totale e φL è la fluenza di particelle con LET non superiore L. La densità di LET in lunghezza di traccia o fluenza è indicata da f ( L) = dF ( L) . La traccia dL media, o frequenza media, è quindi il valore medio corrispondente alla distribuzione: L F = ∫ Lf ( L)dL = ∫ [1 − F ( L)]dL La seconda è la distribuzione in dose di LET o distribuzione pesata, definita in termini 13 della dose assorbita prodotta da particelle cariche con un LET specifico. Analogamente a quanto detto sopra, la funzione di distribuzione D(L) è la frazione di dose assorbita dovuta a particelle con energia lineare trasferita non superiore a L: D ( L) = DL D dove D è la dose assorbita totale, mentre DL è la dose assorbita associata a particelle con LET non superiore a L. Per cui la corrispondente densità di LET in dose è indicata con d ( L) = dD( L) e la dose dL media è L D = ∫ Ld ( L)dL = ∫ [1 − D( L)]dL Dose assorbita La dose assorbita può essere definita attraverso la correlata quantità stocastica energia impartita. L’energia impartita dalla radiazione ionizzante ad un mezzo di massa m in un volume finito V è definita come: ε = ( Rin ) n − ( Rout ) n + ( Rin ) c − ( Rout ) c + ∑ Q dove (Rin)n e (Rout)n rappresentano l’energia radiante associata rispettivamente alle particelle neutre entranti e a quelle uscenti dal volume V; (Rin)c e (Rout)c l’energia radiante associata alle particelle cariche entranti e a quelle uscenti dallo stesso volume, e ∑Q è la somma delle trasformazioni di energia in massa e di massa in energia che avvengono in V. Si definisce 14 dose assorbita in ogni punto P appartenente a V la grandezza: dε D= dm dove ε è il valore di aspettazione dell’energia impartita nel volume finito V, in un determinato intervallo di tempo, e dε è la stessa quantità riferita ad un volume infinitesimo dV, di massa dm, centrato intorno al punto P di interesse. Quindi la dose assorbita D è il valore di aspettazione dell’energia impartita alla materia per unità di massa in un dato punto. Le dimensioni e le unità di misura della dose sono uguali a quelle del kerma, e cioè, rispettivamente, energia per unità di massa e gray (1Gy=1J/Kg). E’ possibile scrivere una relazione che collega la dose alle grandezze radiometriche solo in casi particolari, a differenza di quanto avviene per il kerma in cui abbiamo visto che esiste una relazione fra il coefficiente di trasferimento e la fluenza di energia o di particelle. Questo dipende dal fatto che, generalmente, non tutta l’energia ricevuta dalle particelle cariche in V viene ceduta alla materia contenuta in V; una parte di essa può essere ceduta anche fuori da V; inoltre in V può essere assorbita anche una certa quantità di energia che è stata ceduta alla particelle cariche all’esterno di V. 1.3 GRANDEZZE STOCASTICHE E LORO DISTRIBUZIONE Definiamo ora due grandezze normalmente utilizzate in microdosimetria: l’energia specifica e l’energia lineale attraverso le quali si possono descrivere i depositi di energia in un sito biologico con dimensioni e geometria prefissate. Energia specifica Una volta fissato un sito biologico, attraverso l’energia impartita viene definita una nuova grandezza: l’energia specifica. Le particelle ionizzanti, quando viaggiano attraverso un sito S, subiscono delle interazioni e di conseguenza perdono energia. Se indichiamo con ε i l’energia impartita nell’i-esimo urto, l’energia totale impartita ε è la sommatoria delle ε i : ε = ∑ εi ( ε i in S) L’energia impartita assume un valore unicamente definito all’interno di una regione una volta 15 che l’esposizione alla radiazione ha avuto luogo. Ripetendo l’esposizione più volte alle stesse condizioni, a causa della natura stocastica dei rilasci di energia, ogni volta si ottiene un valore diverso. Le fluttuazioni dei valori assunti sono tanto più grandi quanto più piccolo è il sito, quanto più piccola è la dose e quanto più densamente ionizzante è la radiazione in questione. I valori variano secondo determinate distribuzioni di probabilità. Una quantità legata all’energia impartita è l’energia specifica. Questa è definita come l’energia impartita divisa per la massa m del sito in questione: z =ε /m Data una dose macroscopica D, fissato un sito biologico di massa m, si vede che in quel sito biologico, z è distribuita secondo la funzione integrale di probabilità : F ( z; D ) = P ( z ≤ z D ) che rappresenta la probabilità, per una data dose D, che l’energia specifica z non superi un fissato valore di z. Fig. 4. Distribuzioni somma F(z;D) di energia specifica in una sfera di tessuto di 6µm di diametro e densità unitaria, esposto a dosi differenti di raggi γ 60Co e di neutroni a 15 MeV [1]. La densità di probabilità si ottiene differenziando F ( z; D) : f ( z; D ) = 16 dF ( z; D) dz questa dà la probabilità di trovare z tra z e z+dz quando è stata assorbita una dose macroscopica D. Fig. 5. Densità delle energie specifiche corrispondenti alle distribuzioni somma di Fig. 4 [1]. Il valore medio o valore di aspettazione dell’energia specifica in un sito z = ∫ zf ( z; D)dz è uguale alla dose assorbita D quando il sito è uniforme ed è esposto ad un campo di radiazione uniforme. Altrimenti z uguaglia la dose assorbita media nel sito: z = D . Attraverso l’energia specifica si può quindi arrivare a definire la dose assorbita: D = lim zF m→0 Energia lineale Un evento in un sito (traccia) è rappresentato dalla deposizione di energia dovuta a particelle che sono statisticamente correlate fra loro. In genere i rilasci di energia possono avvenire attraverso eventi singoli o eventi multipli (ossia in corrispondenza di ν =1 o ν >1, 17 traccia singola o tracce multiple). La distribuzione di evento singolo, cioè quando una sola traccia è stata registra nel sito, viene denotata con: F1 ( z ) = P ( z < z ν = 1) f1 ( z ) = e dF1 ( z ) dz Attraverso l’energia impartita nel caso di eventi singoli viene definita una nuova grandezza microdosimetrica: l’energia lineale y. Questa viene definita come il rapporto fra l’energia impartita nel singolo evento e la corda media l del volume che occupa il sito: y = ε /l Anche per questa grandezza si possono definire le distribuzioni di probabilità. Data una dose macroscopica D e fissato un sito biologico, si vede che y è distribuita secondo una funzione integrale di probabilità: F ( y; D ) = P ( y ≤ y D ) da cui si ricava la funzione differenziale: f ( y; D ) = dF ( y; D) dy dove f ( y; D) dà la probabilità di trovare y fra y e y +dy quando è stata impartita una dose macroscopica D. Per quanto riguarda eventi singoli, si può dimostrare che le distribuzioni dell’energia lineale e dell’energia specifica, sono collegate tra loro: F ( y ) = F1 ( z ) e f ( y) = V f1 ( z ) l Analogamente alle distribuzioni in frequenza di z e y appena discusse, possono essere definite le distribuzioni pesate in dose integrali D(y) e D(z) e le relative differenziali d(y) e d(z). Se prima, fissata una dose macroscopica, guardavamo in un dato sito con quali valori di z e y era stata impartita la dose, ora fissato il sito e la dose macroscopica, guardiamo quanta di quella dose è stata impartita con un determinato valore di z o y. Ad esempio, fissata una dose macroscopica D, yd(y) rappresenta la frazione di dose D impartita in quel sito con un’energia lineale compresa tra y e y+dy; D(y) rappresenta invece la frazione di dose impartita con energia lineale minore o uguale a y. Considerazioni simili si possono fare per la variabile z. 18 Fig. 6. Distribuzioni di energia lineale in regioni sferiche di tessuto di 1 µm di diametro esposte a varie radiazioni. Nel grafico inferiore sono rappresentate le distribuzioni come densità pesate in dose yd(y) rispetto ad una scala logaritmica dell’energia lineale y. Nel grafico superiore sono date le rispettive distribuzioni somma D(y) che specificano la frazione di eventi fino ad una energia lineale y [1]. Fra le distribuzioni in frequenza e quelle in dose esistono le seguenti relazioni: d ( y) = yf ( y ) yF e d1 ( y ) = zf1 ( z ) zF I valori medi delle distribuzioni pesate sono: y D = ∫ yd ( y )dy z D = ∫ zd ( z )dz 19 2. IL PROCESSO COMPOSTO DI POISSON 2.1 CASUALITA’ DEGLI EVENTI Quando un sito microscopico è esposto al campo di radiazione gli eventi di deposizione di energia avvengono in modo casuale e sono statisticamente indipendenti: ogni singolo evento può essere dovuto all’apparizione di una o più particelle cariche in un sito con conseguente deposizione di energia. Frequentemente si tratta il caso semplice in cui particelle cariche indipendenti attraversano il sito in cammini rettilinei. Durante l’intervallo di tempo che corrisponde al rilascio di una determinata dose assorbita D, gli eventi si susseguono in modo casuale e, se l’energia specifica media per evento è z F , il numero di eventi che ci si aspetta è ν = D . Il numero di eventi ν è zF soggetto a fluttuazioni statistiche e (essendo gli eventi indipendenti) segue la distribuzione di Poisson. Per cui, conosciuta la frequenza di eventi per unità di dose assorbita 1 , con un zF processo semplice di Poisson si calcola il numero di eventi. La valutazione dell’energia impartita è tuttavia più complessa poiché dipende da un processo composto di Poisson, cioè, un processo di eventi indipendenti ciascuno con intensità variabile. Formalmente, questo può essere espresso dalla relazione ν ε = ∑ε i i=1 Gli ε i sono le energie impartite in eventi individuali, ν è il numero di eventi che segue la distribuzione di Poisson. In Fig. 7 a sinistra sono indicati gli eventi, cioè i passaggi delle particelle cariche, come segmenti lineari. Nella parte destra uno di questi eventi è stato selezionato e rappresentato come una successione di collisioni, cioè di perdite di energia da parte di una particella carica. 20 Fig. 7. Grafico schematico che spiega il doppio ruolo del processo composto di Poisson per depositi di energia in un sito ad una data dose. Nel pannello di sinistra sono rappresentati ν eventi corrispondenti a traiettorie statisticamente indipendenti di particelle cariche. Nel pannello di destra è stato selezionato uno degli eventi e rappresentato come una sequenza di processi di µ collisioni statisticamente indipendenti lungo la traccia della particella [1]. Trattiamo ora il numero di collisioni µ lungo il segmento di traccia, anch’esso soggetto alla distribuzione di Poisson. Il suo valore di aspettazione µ è proporzionale alla lunghezza del segmento ed allo stopping power della particella (se il segmento della traccia nel sito è molto più piccolo del range della particella, la variazione del LET della particella nel sito può essere trascurata), mentre è inversamente proporzionale all’energia impartita media al sito in una collisione. Le fluttuazioni di Poisson del numero µ di collisioni sono sempre presenti, ma sono molto meno importanti rispetto alla variazione di energia persa dalla particella, o energia impartita al sito, in collisioni individuali. Infine, le variabili casuali ε i (energia impartita in singoli eventi) sono esse stesse risultato di un processo composto di Poisson µi ε i = ∑ε j j =1 per cui, l’energia impartita del sito sarà data dalla formula: µi ε = ∑ ∑ε j i =1 j =1 ν dove la sommatoria interna riguarda la il processo di Poisson sui segmenti delle tracce individuali (energy-loss straggling), mentre la sommatoria esterna rappresenta il processo di Poisson del numero di tracce cariche che attraversano il sito (sequenza casuale di eventi). 21 2.2 EQUAZIONI POISSONIANE Equazione base Ad una dose assorbita specifica, l’energia impartita al sito e la relativa variabile energia specifica sono il risultato di un processo composto di Poisson. Il termine processo di Poisson si riferisce all’indipendenza degli eventi; il termine composto si riferisce al fatto che il numero degli eventi individuali è variabile. Lo spettro del processo composto di Poisson è la distribuzione f1 ( z ) di singolo evento. Le soluzioni del processo composto di Poisson sono le distribuzioni in dose f ( z; D) . La seguente trattazione matematica si occupa delle distribuzioni f1 ( z ) e f ( z; D) , può essere però estesa, in modo identico, al problema di energy-straggling, cioè la perdita casuale di energia di una particella carica lungo un segmento di traccia. L’energia specifica media prodotta da un evento singolo è il valore medio di f1 ( z ) . Questo valore medio z F è un parametro fondamentale perché determina la frequenza degli eventi per unità di dose assorbita. Dato che gli eventi sono per definizione statisticamente indipendenti, il loro numero ν in un determinato sito ad una determinata dose segue la distribuzione di Poisson: p(ν ) = exp(−n)nν ν ! con n =ν = D zF Anche se il numero ν di eventi è fissato, l’energia specifica in un sito può variare enormemente. La sua distribuzione è quindi la convoluzione ν -esima della distribuzione di singolo evento. Questa convoluzione è indicata con fν (z ) , e può essere definita dalla formula ricorrente: z fν ( z ) = ∫ f 1 ( x) fν −1 ( z − x)dx o (ν = 2, 3, …) fν ( z )dz è la probabilità che l’energia specifica abbia un valore tra z e z +dz, se sono avvenuti esattamente ν eventi nel sito. Da qui si ricava la relazione per le distribuzioni in dose dell’energia specifica: exp(−n)nν f (z; D) = ∑ fν (z) ν! ν =0 ∞ con n= D zF f 0 ( z ) è uguale a δ (z ) cioè alla funzione delta in z =0. f ( z; D) contiene anche una 22 possibilità discreta e − n di evento non avvenuto per z =0. Fig. 8. Grafici della distribuzione di energia specifica per una data dose assorbita in un sito sferico di 6 µm di diametro, esposti a neutroni di 15 MeV. (a) scala lineare, (b) scala logaritmica, (c) radice quadrata dell’energia specifica in funzione della radice quadrata della dose assorbita [1]. 23 Fig. 9. Confronto fra le distribuzioni per siti piccoli (0.5 µm e siti con un diametro confrontabile con quello del nucleo cellulare (6 µm). I risultati sono dati per raggi γ del 60 Co e neutroni di 15 MeV [1]. Esempi dei risultati ottenuti con calcoli Monte Carlo sono riportati nelle Fig. 8 e 9. Per quanto riguarda la Fig. 8, il calcolo simula l’irraggiamento di un sito con un diametro di 6 µm; il sito viene irraggiato numerose volte con i valori di dose riportati in ascissa, ed il programma calcola l’energia specifica z che si ottiene in ogni irraggiamento nel sito. In Fig. 9 invece, è riportato un confronto delle distribuzioni di z tra siti piccoli (0.5 µm) e siti con un diametro simile a quello del nucleo cellulare (6 µm). Le figure mostrano i plot bidimensionali dell’energia specifica in funzione della dose. Dato che gli eventi zero non sono rappresentati, appaiono pochi punti nella parte sinistra dei grafici, dove la probabilità di evento è inferiore all’unità. Il punto essenziale è visibile chiaramente nel grafico con scala logaritmica: a dose assorbita sufficientemente bassa, diminuiscono le frequenze degli eventi ma non i valori dell’energia specifica. 24 Relazioni per i momenti Solitamente risultano molto importanti e ricchi di significato non tanto le distribuzioni esplicite in dose dell’energia specifica quanto alcuni parametri di queste distribuzioni che possono essere espressi per mezzo dei momenti della distribuzione di evento singolo. Il secondo momento e la varianza di z giocano il ruolo più importante in molte applicazioni e sono quindi qui derivate. Il valore di aspettazione dell’energia specifica risulta uguale alla dose assorbita: z = n z1 = D La varianza σ z2 ( D) , dell’energia specifica z per una dose assorbita D, si può facilmente calcolare utilizzando il fatto che la varianza della somma di sue variabili casuali indipendenti è uguale alla somma delle loro varianze. Segue che la varianza di z a dose D1 + D2 è uguale alla somma della varianze a dose D1 e D2 . La varianza deve essere proporzionale alla dose assorbita: σ z2 = cD La varianza di una variabile casuale è data da: 2 σ z2 = ( z − z ) 2 = z 2 − z = z 2 − D 2 Il secondo momento può essere espresso in termini della distribuzione in dose dipendente dell’energia specifica: ∞ z = ∑e 2 −n ν =0 dove zν 2 nν ν ∞ z !∫ 2 fν ( z )dz = e −n ∞ nν ∑ ν ν =1 0 ! zν 2 è il secondo momento della distribuzione fν (z ) di ν -eventi. In contrasto con z 2 , i valori di zν 2 non dipendono dalla dose. Lo sviluppo dell’equazione precedente è: ( ) 1 1 z 2 = 1 − n + n 2 − ... ⋅ n z12 + n 2 z 22 + ... = n z12 + z 22 − z12 n 2 + ... = 2 2 ( z2 z2 − z2 = 1 D + 2 2 1 z1 z 1 ) D 2 + ... Per cui si ha: ( ) z 22 − z12 c= = + D + ... 2 D z1 z 1 σ z2 z12 25 Dato che c è una costante, si può ottenere il suo valore dal limite D → 0 : c = lim c = D →0 z12 z1 Quindi si hanno le relazioni essenziali: z12 z 1 σ z2 = D e z2 z2 = 1 z 1 D + D 2 2.3 IMPLICAZIONI BIOFISICHE DELLA MICRODOSIMETRIA La rappresentazione grafica delle frazione di cellule sopravvissute in funzione della dose di radiazioni ricevuta è detta curva di sopravvivenza (Fig 10). Per spiegare il loro andamento, sono state formulate diverse teorie. Qui di seguito vengono presentati alcuni modelli matematici, che si basano su concetti di microdosimetria impiegati per l’analisi dei dati delle curve di sopravvivenza e per la descrizione di relazioni dose assorbita – effetti biologici: il modello a più urti, il modello a bersagli multipli e il modello a soglia. Fig. 10. Curve di sopravvivenza per cellule di mammifero irraggiate con radiazioni a basso e alto LET. D0 ad alto LET rappresenta il reciproco della pendenza della curva; a basso LET rappresenta il reciproco della pendenza nella parte finale della curva, D1 è il reciproco della pendenza della parte iniziale della curva [2]. 26 Modello a più urti e modello a bersagli multipli Il modello a più urti prevede che la cellula contenga un ipotetico bersaglio critico. Il campione può cioè tollerare (n -1) hits o collisioni e, se avvengono n o più collisioni la cellula si disattiva. Quando il numero di urti nel bersaglio è al di sotto di quelli necessari per ottenere l’effetto letale il danno prodotto viene detto subletale. La probabilità di sopravvivenza della cellula in funzione della dose può essere calcolata con la statistica di Poisson : (αD)ν ν =0 ν ! n −1 S ( D) = e −αD ∑ Per n > 1 questa equazione produce curve dose - effetto con una spalla nella zona iniziale dove S(D) decresce con la dose con un andamento poco meno che esponenziale. La pendenza della curva cresce all’aumentare del numero n di collisioni. Per adattare l’equazione con l’andamento sperimentale della parte iniziale della curva di sopravvivenza cellulare, bisogna moltiplicare la probabilità di sopravvivenza per un fattore addizionale e −γD , legato alla pendenza della curva di sopravvivenza, espressione grafica del tasso di spopolamento cellulare. E’ interpretata come una disattivazione indotta a collisione singola da parte della componente densamente ionizzante della radiazione: S ( D) = e − (α +γ ) D (αD)ν ∑ ν =0 ν ! n −1 Il modello a bersagli multipli postula la presenza di m ipotetici bersagli uguali, ciascuno dei quali può essere disattivato da una collisione singola. In questo caso, il danno subletale si ha quando non tutti i bersagli sono colpiti. Viene assunta uguale probabilità di collisione e l’indipendenza statistica delle collisioni su campioni individuali. L’equazione risultante per la sopravvivenza delle cellule è S ( D) = 1 − (1 − e −αD ) m Ancora viene introdotto un termine esponenziale per tener conto della pendenza iniziale (spalla) presente nella maggior parte delle curve di sopravvivenza: [ S ( D) = e −γD 1 − (1 − e −αD ) m ] Anche in questo caso, all’aumentare dell’esponente m si ha un allargamento della spalla, il che può significare due cose strettamente legate tra loro: o una maggiore difficoltà nell’accumulo del danno subletale o una maggiore efficienza nei processi di recupero. Purtroppo queste due teorie sono crude approssimazioni e quindi possono avere solo un 27 valore euristico. Un trattamento stocastico più generale non presenterebbe problemi nella trattazione matematica, ma ogni analisi realistica richiede un’adeguata considerazione dei modelli microscopici della deposizione di energia per le diverse radiazioni. Queste caratteristiche microscopiche determinano le forti differenze degli effetti biologici delle radiazioni ionizzanti ed è evidente che un’analisi biofisica senza dati microdosimetrici può avere poco valore. E’ quindi interessante analizzare l’idea di base della teoria del bersaglio (target theory) per mezzo della microdosimetria. Modello a soglia Una relazione dose-effetto è l’espressione di vari processi stocastici. La deposizione di energia nelle cellule varia in modo casuale, ma anche la risposta della cellula stessa può essere descritta in termini probabilistici. I modelli a più urti ed a bersagli multipli trascurano appunto la risposta stocastica della cellula e la relazione dose-effetto è intesa solo in termini della statistica dei depositi di energia. Questa è ovviamente un’interpretazione incompleta e poco realistica; anche se questa stessa obiezione può essere mossa anche al modello a soglia formulato in termini microdosimetrici, in quest’ultimo caso è possibile effettuare un trattamento molto più realistico. Si consideri un dosimetro microscopico in grado di registrare l’energia specifica in una regione sferica di tessuto di diametro d e che risponda solo quando viene raggiunto un valore critico z C . La probabilità di non avere risposta è: S ( D) = ∫ zC 0 f ( z; D)dz = F ( z C ; D) In Fig. 11 è rappresentata questa funzione nel caso di irraggiamento con raggi X per un sito sferico di diametro 1 µm e per diversi valori critici z C . Nonostante sia stata stato richiesto il superamento di una soglia ben precisa, la dipendenza dalla dose risultante non è una funzione a gradini. Se z C è simile o più piccolo del valore z C dell’evento medio associato alla radiazione usata, la dipendenza è quasi esponenziale e si è in presenza di una reazione a singola collisione. Per valori più grandi di z C , la relazione dose-risposta, ha una spalla come risultato di un accumulo di danni. 28 Fig. 11. Sono qui rappresentate le probabilità 1-F(z;D) di non superare un valore critico z dell’energia specifica in funzione della dose assorbita in un sito sferico di tessuto con diametro di 1 µm esposto ai raggi X [1]. In generale, per ogni relazione dose-effetto S(D) osservata si possono determinare i valori z C e d tali che facciano aderire il più possibile la funzione F(z;D) a S(D). Queste due funzioni possono essere viste come distribuzioni somma della dose richiesta per produrre l’effetto. Il diametro d qui trovato non è la vera dimensione dei bersagli critici né del volume sensibile nella cellula, ma un valore più basso. Infatti il volume sensibile può essere uno solo più grande, oppure una molteplicità di piccoli bersagli dispersi in un volume maggiore. Inoltre, solo una parte della deviazione osservata rispetto alla funzione a gradino è dovuta alla deposizione stocastica di energia nel sito, l’altra parte invece può riflettere la risposta stocastica della cellula, anche ad energia specifica fissata. Nel caso di studi di disattivazione cellulare, questo risultato è in accordo con la teoria che il DNA, disperso nell’intero nucleo, sia il bersaglio dell’azione delle radiazioni. 29 3. APPLICAZIONE AI SISTEMI BIOLOGICI 3.1 MICRODOSIMETRIA NEI SISTEMI BIOLOGICI Si sa che le radiazioni ionizzanti inducono una grande varietà di effetti biologici come morte cellulare, mutazioni, aberrazioni cromosomiche e carcinogenesi. La maggioranza degli effetti direttamente rilevanti nell’uomo sono dovuti a danni a singole cellule. E’ quindi chiaro come i caratteri microscopici dell’interazione e della deposizione di energia da parte delle radiazioni sia cruciale per comprendere interamente i meccanismi con cui vengono indotti questi effetti. Le descrizioni fisiche di queste caratteristiche costituiscono il campo della microdosimetria nel suo significato più ampio. Ci sono molte applicazioni biologiche in cui le tecniche di dosimetria (macroscopica) convenzionale sono in grado di dare un’adeguata descrizione fisica dell’interazione tra il campo di radiazioni ed il materiale biologico, come ad esempio nella radioterapia con fotoni. Tuttavia, anche nel campo della radioterapia, fluttuazioni a livello cellulare o sub-cellulare possono essere di cruciale importanza, specialmente quando la deposizione di energia localizzata è concentrata come nel caso di particelle densamente ionizzanti (ad alto LET). Quando per il trattamento vengono usati fasci di radiazioni miste che includono fotoni, neutroni e particelle pesanti la dosimetria convenzionale risulta inadeguata per calcolare la probabilità di danno. Ogni tentativo di confrontare diversi tipi di radiazione, inevitabilmente porta all’utilizzo di descrizioni microdosimetriche dell’interazione radiazioni-materia per poter predire gli effetti biologici. Campi di radiazione che possono sembrare uniformi a livello di tessuto o di cellula (qualche decina di micrometri), risultano invece essere completamente disomogenei scendendo a livello subcellulare (manometri). 30 Fig. 12. Rappresentazione schematica delle caratteristiche microscopiche delle tracce di radiazioni corrispondenti a 1 cGy di dose assorbita di tre diverse radiazioni [3]. Conseguentemente il concetto di dose perde significato, in quanto, passando da un volume elementare all’altro, ad esempio in siti con dimensioni lineari di 2 nm, si vede che la dose varia di ben sei ordini di grandezza. Una risposta a questi problemi può essere data dalla microdosimetria. In Fig. 13 sono illustrate graficamente alcune delle descrizioni in termini microdosimetrici applicate ai sistemi biologici e che verranno brevemente descritte nei paragrafi successivi. 31 Fig. 13. Descrizioni microscopiche alternative della qualità della radiazione. Il grafico rappresenta le interazioni atomiche individuali lungo un segmento di 120 nm del cammino di una particella α di 8 MeV e le varie descrizioni microdosimetriche che vi si possono utilizzaree. Per confronto è presente un’elica di DNA (2 nm) nella stessa scala [3]. 3.2 LINEAR ENERGY TRANSFER (LET) Definizione e distribuzione Il LET è stata la prima grandezza introdotta per spiegare la diversa efficacia biologica delle radiazioni; tuttavia essa è una grandezza media che non tiene conto che il rilascio di energia è discreto ed è variabile lungo la singola traccia divenendo più intenso verso la fine della traccia. Ciononostante ci sono varie situazioni in cui si è rivelato utile per descrivere le proprietà medie delle varie radiazioni. A fianco al LET viene introdotto il LET ristretto o restricted linear collision stopping power ( L∆ ); esso rappresenta in un mezzo il rapporto tra dE e dl, dove dl è la distanza attraversata dalla particella e dE è la sua energia media persa in seguito a collisioni con trasferimenti di energia inferiori ad un dato valore ∆: dE L∆ = dl ∆ Il LET infinito ( L∞ ) è quello che si ottiene quando vengono considerati tutti i possibili trasferimenti di energia senza porre nessun valore di soglia; esso corrisponde allo stopping 32 power di collisione. Quando una radiazione rilascia in un tessuto una dose macroscopica, si può vedere che questa viene rilasciata con diversi valori di LET a causa della variazione di energia subita dalle particelle cariche man mano che rallentano nel tessuto. Si può definire una distribuzione della dose in LET e cercare di sfruttare l’andamento che assume questa distribuzione per interpretare gli effetti biologici; una distribuzione normalizzata della dose in funzione del LET è data da: d ( L) = L ⋅ t ( L) ∫ ∞ 0 t ( L)dL essa rappresenta la frazione di dose assorbita con determinati valori di LET; t(L) rappresenta la frequenza con cui la dose viene rilasciata da una particella carica con LET tra L e L +dL (o la frazione di lunghezza di traccia con LET tra L e L +dL). In Fig. 14 sono riportati degli esempi di distribuzioni cumulative. 33 Fig. 14. Distribuzioni cumulative di dose assorbita in funzione del LET in acqua per diverse radiazioni. (a)Distribuzioni di LET non ristretto per lo spettro di particelle cariche da raggi γ del 60Co, neutroni monoenergetici di 14.6 e 1.8 MeV e per brevi tratti di tracce di ioni pesanti monoenergetici. (b) Distribuzioni di LET ristretto, con un’energia di soglia per i raggi δ di ∆=100 eV, per lo spettro di rallentamento di particelle cariche da raggi γ del 60Co, per tracce di particelle α da 5.3 MeV, e per brevi tratti di tracce di alcuni ioni pesanti con energia 10 o 100 MeV/amu [3]. Si vede che la maggioranza delle radiazioni rilascia la dose attraverso particelle cariche con diversi valori di LET molto diverso e la cui dispersione è tanto più grande quanto più le tracce sono descritte a livello microscopico. Il limite principale di cui soffre il LET è legato al fatto che esso viene calcolato con l’ipotesi del rallentamento continuo, ossia senza tener conto che i rilasci lungo la traccia della 34 particella sono discreti. Il LET, quindi, finisce per essere una grandezza media che spesso non è in grado di descrivere adeguatamente l’effetto biologico. L’adeguatezza o meno del LET per la descrizione microscopica in una data applicazione dipende dalle dimensioni lineari in gioco, per esempio la lunghezza della traccia rispetto alle dimensioni lineari della struttura biologica esaminata. Efficacia biologica relativa (RBE) Un’altra grandezza introdotta per tener conto della diversa capacità di produrre effetti biologici, a parità di dose, dai vari tipi di radiazione è la Relative Biological Effectiveness (Efficacia Biologica Relativa RBE). L’RBE di una radiazione, per un dato tipo e severità di effetto biologico, è il rapporto della dose assorbita di una radiazione di riferimento, che produce quell’effetto, e la dose assorbita della radiazione test che produce un effetto identico. Come radiazione di riferimento di solito si usano fotoni a basso LET (raggi X da 250 kV oppure i raggi γ del 60Co). In genere la RBE varia sia in base al tipo e alla severità dell’effetto biologico, sia in base al tipo della radiazione. Il LET è stato spesso usato come parametro di qualità della radiazione per spiegare i diversi valori di RBE; ma purtroppo si è visto che l’RBE non è una funzione univoca del LET, anche per un dato tipo e severità di effetto biologico. Tuttavia, pur con i suoi limiti, il LET viene usato ancora soprattutto in quei casi in cui non sono stati individuati altri parametri in grado di descrivere adeguatamente i vari fenomeni. Ci sono numerosi studi che riportano l’RBE in funzione del LET, ma solo un numero limitato di questi contengono dati sistematici per particelle monoenergetiche di LET ben definito. Queste ultime devono necessariamente essere ristrette a sistemi in vitro di cellule di mammifero o altri organismi. Le irradiazioni esterne di sistemi in vivo sono invece irradiazioni costituite sia da fotoni che da neutroni o ioni pesanti energia ma la dose in questi casi, come detto prima, viene rilasciata con diversi valori di LET. Un esempio di grafico RBE-LET è mostrato nella figura sottostante per cellule di mammifero. 35 Fig. 15. Esempio di dipendenza dell’RBE dal LET non ristretto, in questo caso, per la sopravvivenza del 50% di una popolazione di cellule di criceto V79 irradiate. Altre caratteristiche sono: (i) aumento dell’RBE con la diminuzione della dose (frecce tratteggiate) e (ii) aumento (ad alto LET) o abbassamento (a LET intermedio) dell’RBE con la velocità degli ioni ad un dato LET [3]. E’ utile ricordare che l’RBE per un dato L∞ o L∆ assume diversi valori con variazioni dipendenti da fattori come la velocità della particella carica, tipo e magnitudine dell’effetto biologico, tipo di cellula e stato di crescita. 3.3 CONTATORI PROPORZIONALI La scoperta di larghe fluttuazioni statistiche sui depositi di energia di radiazione su distanze di micrometri ha portato ad un bisogno di migliorare le descrizioni fisiche a livello microscopico. Le deposizioni di energia possono essere misurate direttamente in rivelatori che simulano le dimensioni cellulari o sub cellulari fino a circa 1 µm. Questi studi culminarono con la microdosimetria dei contatori proporzionali Rossi, sviluppata da Rossi e Kellerer. Nella forma base, il contatore di Rossi consiste in una camera (tipicamente una sfera di 2 cm di diametro circa) tessuto equivalente (TE) contente due elettrodi, riempita con un gas a pressione sufficientemente bassa tale che la lunghezza di traccia di una particella che lo attraversa, sia la stessa che la particella avrebbe in una piccola sfera di tessuto. Quando la radiazione interagisce con il gas per ionizzare le sue molecole o atomi, le cariche primarie 36 vengono accelerate dal campo elettrico presente tra gli elettrodi, causando ionizzazioni secondarie delle molecole del gas, che risultano proporzionali alla quantità di ionizzazioni primarie. Questo fenomeno è detto valanga elettronica o moltiplicazione del gas. Quindi, si possono attuare misurazioni dirette dell’energia depositata all’interno del piccolo volume di tessuto simulato. Per ottenere una simulazione quantitativa di deposizione di energia in piccoli volumi di tessuto, la perdita di energia di una particella carica passante attraverso il gas deve essere identica a quella corrispondente ad una traiettoria nel volume di tessuto: S g ρ g p g = S t ρ t pt dove S è lo stopping power di massa, ρ la densità e p la lunghezza di percorso con gli indici che denotano gas (g) o tessuto (t). Quindi ρ g St = ρ t S g pt 1 ⋅ = p K g Se gli stopping power di massa sono identici allora la densità del gas richiesta per la simulazione è più bassa di quella del tessuto secondo lo stesso fattore con cui scalano le distanze. In queste condizioni si trova che la massa del gas nel contatore è molto K2 volte quella del volume di tessuto simulato; quindi, per una data dose assorbita, il numero di interazioni nel rivelatore sarà K2 volte più grande di quelle che si verificano nel sito; ma allo stesso tempo la deposizione di energia delle singole interazioni sarà simulata correttamente perché la perdita di energia lungo traiettorie corrispondenti è la stessa. I contatori proporzionali a bassa pressione possono essere usati, come scritto sopra, per misurare eventi di deposizioni di energia, in piccoli volumi di tessuto simulato, sull’assunto che l’energia totale depositata da un evento nel contatore sia direttamente proporzionale al numero di ionizzazioni prodotte nel gas del contatore, e che questo, a sua volta, sia proporzionale al all’altezza dell’impulso misurato dopo la moltiplicazione del gas. In questo modo, gli eventi di deposizione in energia nei contatori proporzionali, danno una descrizione microscopica diretta di quello che avviene nel tessuto. La maggior limitazione di questa descrizione è dovuta ad un limite inferiore di circa 0.3 µm sulle dimensioni che possono essere accuratamente simulate. Un'altra limitazione è il cosiddetto “effetto pareti” creato dalle pareti solide del contatore proporzionale, anche quando le pareti ed il gas hanno la stessa composizione elementare. La densità più alta delle pareti può causare un aumento del deposito di energia nel gas. Per esempio, un raggio δ , prodotto nella parete appena prima che una particella primaria entri nel 37 gas, può anch’esso entrare nel gas, nonostante questo non possa accadere nel volume corrispondente del mezzo a densità uniforme lungo il percorso della particella primaria. Per evitare questi inconvenienti, sono stati creati dei contatori wall-less, in cui per definire i contorni del volume di gas si usano o una griglia fine o un campo elettrico creato da piccoli elettrodi. Accurate simulazioni di microscopici volumi di tessuto biologico, richiedono che il gas del contatore proporzionale e le pareti siano sufficientemente tessuto-equivalenti. L’approccio convenzionale è quello di scegliere materiali con una composizione elementare simile a quella del tessuto rappresentativo quale grasso, osso o muscolo. Una soluzione approssimativa tipica è per esempio quella di costruire le componenti solide con plastica A-150 (considerata equivalente al tessuto muscolare) ed una miscela di gas come propano (o metano), ossigeno e azoto. Quando un contatore proporzionale di Rossi è esposto ad un campo di radiazione di intensità bassa, ogni interazione della radiazione con il gas produce un impulso di altezza proporzionale all’energia depositata nel contatore. Per descrivere le corrispondenti deposizioni di energia in volumi di tessuti simulati a densità unitaria, sono state introdotte appropriate quantità, ovvero l’energia lineale e l’energia specifica, già viste nel primo capitolo. 3.4 PROFILI DI TRACCIA ED ENTITA’ DI TRACCIA Una limitazione aggiuntiva del concetto di LET è che esso ignora la larghezza finita delle tracce di radiazione, difatti il LET non ristretto L∞ la ignora totalmente mentre il LET ristretto L∆ considera la componente principale delle deposizioni di energia localizzate lungo il percorso delle particelle primarie, ma blocca i depositi di energia degli elettroni secondari con energia >∆. Esiste tuttavia una descrizione microscopica alternativa attraverso le distribuzioni radiali dei depositi di energia attorno alle tracce delle particelle. La larghezza massima radiale della traccia di una particella carica è determinata dai range degli elettroni δ secondari ad energia più alta che essa produce. Questa larghezza massima cresce all’aumentare della velocità della particella. Una semplice descrizione della traccia è quella di considerarla come due volumi cilindrici coassiali centrati sul percorso della particella. Il cilindro più interno, o core di traccia, è definito come la regione che include tutte 38 le energie trasferite dai raggi δ aventi energie al di sotto di una soglia arbitraria. Il cilindro più esterno, o penombra, ha raggio uguale al range dei raggi δ a massima energia. Nell’approssimazione più semplice le deposizioni di energia nella penombra sono considerate uniformi. Le entità di traccia forniscono una descrizione geometrica delle distribuzioni di energia. Gli spurs (impulsi), da lungo tempo usati in chimica delle radiazioni di soluzioni diluite, sono usati per descrivere piccole regioni sferiche in cui una singola perdita di energia da parte di una particella carica produce poche ionizzazioni e/o eccitazioni. In generale, sono state considerate le fluttuazioni nelle caratteristiche dei depositi di energia, da parte delle tracce delle particelle, andando a suddividere ciascuna traccia in un numero di entità discrete come segue: - una perdita di energia <100 eV produce uno spur; - una perdita di energia compresa tra 100 e 500 eV forma un blob (macchia). Questa è una regione locale ad alta densità di ionizzazione; - una perdita di energia, dovuta ad una collisione, tra i 500 eV ed i 5 keV forma una short track (traccia breve). Il range di questo elettrone è sufficientemente corto in modo che i suoi spurs costituenti si sovrappongano e creano una regione locale con alta densità di ionizzazione. Spesso i concetti di entità di traccia degli elettroni sono stati combinati con quelli di core e penombra per descrivere tracce di particelle pesanti. L’evoluzione temporale del core è diversa per particelle a LET basso, medio o alto, a causa dei diversi gradi di separazione o sovrapposizione degli spurs costituenti. 3.5 SIMULAZIONE DELLA STRUTTURA DELLE TRACCE Metodo Monte Carlo I codici Monte Carlo per la simulazione delle tracce di radiazione, oggi forniscono la descrizione più dettagliata per i caratteri microscopici delle interazioni di radiazione e della deposizione di energia, fino a distanze di circa 1 nm, tanto che è difficile prevedere tecniche future in grado di dare una descrizione ancora più particolareggiata. Nuovi sviluppi si potranno avere da studi teorici e sperimentali per migliorare l’accuratezza e la rilevanza biologica dei dati fisici da inserire nel codice Monte Carlo, e da studi biofisici per determinare quali proprietà delle tracce sono le più rilevanti per gli effetti biologici. 39 Fig. 16. Segmento di traccia simulato con Monte Carlo di una particella α confrontato con un cilindro di diametro 2 nm [3]. Fare una descrizione completa e precisa delle interazioni che avvengono durante una data irradiazione non è possibile a causa della natura probabilistica di ogni interazione. Ogni traccia, anche se di particelle identiche, è differente da tutte le altre. Metodi Monte Carlo sono stati usati per produrre storie di tracce in mezzi omogenei simulate a computer. I dati in input consistono nelle varie sezioni d’urto di interazione sia in forma tabulare che analitica; un generatore di numeri casuali poi, seleziona tra queste sezioni d’urto per determinare tipo, posizione ed effetti di ogni interazione in sequenza. In questo modo, le particelle primarie e secondarie sono seguite nelle successive interazioni fino a quando raggiungono un’energia trascurabilmente bassa. Piena informazione su ogni interazione può essere immagazzinata per essere successivamente visualizzata ed analizzata. La quantità di informazioni in gioco in questo tipo di calcolo risulta essere enorme, per cui, per ragioni pratiche di tempo e di memoria del computer, lo schema delle interazioni e le informazioni richieste in uscita sono spesso semplificati. Ad esempio, un segmento di traccia lungo 1 µm di una particella α da 4 MeV in acqua, è costituito da circa 104 punti di interazioni anelastiche per la particella primaria e per gli elettroni secondari quando sono seguiti fino ad un’energia residua di 10 eV. Ogni punto è comunemente descritto con un minimo di otto caratteristiche per poter specificare la sua posizione, identità della particella incidente, natura dell’interazione, energia trasferita e direzione delle particelle secondarie. Tracce simulate individualmente, di solito, non possono essere applicate direttamente a problemi pratici. Essi contengono un tale assortimento di dati che si possono associare ad una traccia reale solo statisticamente. Il numero di tracce simulate richieste come campione 40 statisticamente rappresentativo dipende dalla particolare applicazione. Ad esempio, per ottenere una stima accurata di una proprietà media generale quale può essere il L∞ , è richiesta una traccia con lunghezza di qualche micrometro anche per particelle con piccolo straggling come nel caso di particelle α da 4 MeV. Solo questo implica ~104-105 punti di interazione, ciascuno dei quali con otto parametri caratterizzanti. Altre proprietà, come la concentrazione media di energia ad una certa distanza dal cammino primario, possono richiedere un campione molto maggiore. Un problema di primaria importanza nell’applicazione (a sistemi biologici) di tracce simulate col Monte Carlo, è la scelta di una forma appropriata di riduzione dei dati; ogni scelta particolare, infatti, limita molto la generale applicabilità dei risultati. E’ importante perciò conoscere quali sono le proprietà di una traccia che più delle altre influiscono sugli effetti biologici e la loro determinazione; di questo si occupano molti studi di radiobiologia. Distribuzione in frequenza del deposito di energia Studiare i depositi di energia su distanze molto piccole di circa < 10 nm è apparentemente di grande importanza nel determinare gli effetti biologici delle radiazioni. Di conseguenza, tramite Monte Carlo, sono state studiate le distribuzioni in frequenza di questi depositi di energia per target con forma arbitraria. Inizialmente ci si è concentrati su campioni sferici, per poi passare a volumi cilindrici, toroidali e addirittura con strutture simili al DNA o alla cromatina. 41 Fig. 17. Distribuzioni di frequenza assoluta di eventi di deposizione di energia, da parte di diverse radiazioni in acqua, in volumi cilindrici posizionati in modo casuale corrispondenti alle dimensioni della struttura del DNA. L’asse a destra mostra le frequenze rispettive a questi eventi nel DNA di cellule tipiche di mammifero [3]. Sono stati quindi fatti confronti diretti tra gli effetti biologici osservati di vari tipi di radiazioni con le frequenze assolute di deposizione di energia calcolate. Si è potuto concludere che: - Modelli semplici dell’effetto della radiazione, basati sulla teoria di singola collisione, non sono in grado di spiegare gli effetti sulle cellule di mammifero; 42 - i primi tentativi di calcoli di deposizione di energia in campioni piccoli effettuati nel passato, basati su eventi di perdita di energia, sono troppo poco accurati per un’analisi quantitativa dei dati radiobiologici; - la frequenza di depositi di energia di circa 100 eV o superiore concentrati all’interno di una sfera di circa 3 nm di diametro, è ben correlata con quella dei relativi effetti biologici prodotti da fotoni; questo implica che ionizzazioni singole ed isolate abbiano una rilevanza piccola o nulla su cellule di mammifero; inoltre è stato visto che la suddetta correlazione viene persa se si cambiano questi parametri (100 eV, 3 nm); - le suddette proprietà, però, non sono in grado di spiegare l’RBE delle particelle α lente; sembra che siano necessari cambiamenti in entrambi i parametri. Questa mancanza di accordo è dimostrata in vari esperimenti in cui una larga porzione del danno immediato prodotto da radiazioni ad alto LET risulta qualitativamente differente da quello prodotto da irradiazione con fotoni o elettroni. Gli effetti prodotti da radiazioni ad alto LET sembrano essere correlati con rilasci di energia dell’ordine di 340 eV in siti di 5-10 nm (nucleo somi); - è stato stimato (usando particelle α o 125 I ) che la mancanza di integrità in una piccola parte di DNA (dell’ordine di ~1-4%) può risultare critica per la sopravvivenza di una cellula di mammifero; in questo caso la regione bersaglio risulta avere dimensioni dell’ordine di ~105 kb di DNA. 43 4. MICRODOSIMETRIA E BNCT 4.1 MICRODOSIMETRIA DELLA REAZIONE 10 B Un’ideale terapia antitumorale è tale da distruggere selettivamente tutte le cellule malate salvaguardando i tessuti sani. Le cure oncologiche tradizionali sostanzialmente sono tre: l’esportazione chirurgica, la chemioterapia e la radioterapia. Questi tipi di trattamenti di solito si integrano tra loro per perseguire l’obiettivo finale di guarire il paziente e migliorarne le condizioni di vita. Una continua ricerca sperimentale è tuttavia necessaria al fine di trovare nuove terapie ancora più efficienti, che permettano di curare i tumori che mostrano una spiccata resistenza a quelle tradizionali. Una di queste terapie potrebbe essere la Boron Neutron Capture Therapy (BNCT), una tecnica che sfrutta la combinazione di una sorgente di neutroni, di opportuna energia, e di un composto biocompatibile arricchito in 10 B , isotopo stabile del boro naturale. La BNCT fa parte delle terapie mirate in cui l’agente viene inoculato nei tessuti cancerosi attraverso un composto trasportatore e qui attivato ad esempio dalla luce o, come in questo caso, da neutroni. Sebbene ancora in fase di sperimentazione, la boroterapia è una delle tecniche oncologiche più promettenti per il trattamento di alcune forme di tumori radio resistenti.. Essa è attualmente orientata anche verso il trattamento di neoplasie collocate nel cervello, nel capo-collo, nei polmoni, nel fegato o nella pelle. La BNCT cerca di superare le limitazioni della radioterapia tradizionale riguardo alla selettività (ovvero la capacità della terapia di colpire solo o prevalentemente i tessuti tumorali e non quelli sani), somministrando al paziente un composto che concentra il 10 B soprattutto nei tessuti cancerosi. Se quest’ultimo viene bombardato con neutroni termici (En < 0.5 eV) ha luogo una reazione nucleare che produce una particella alfa e uno ione litio, i quali rilasciano la maggior parte della loro energia all’interno della cellula contente il 10 B . Di conseguenza se il rapporto della concentrazione di boro tra i tessuti malati e i tessuti sani è dell’ordine di qualche unità una dose maggiore sarà rilasciata, durante l’irradiazione neutronica, alle cellule tumorali rispetto al resto. 44 La Fig. 18 illustra il processo fisico alla base della boroterapia. Fig. 18. Reazione nucleare caratterizzante la BNCT, tratta da [4]. Quando un neutrone termico viene catturato dal 10 B si ha la formazione di un nucleo di 11 B che decade secondo due canali di reazione (Q=2.79 MeV): 10 B +1n→ 11 B **→ 7 Li +α + γ 10 B +1n→ 11 B **→ 7 Li +α 94% 6% Nel 94 % dei casi in cui la reazione ha luogo il litio si trova in uno stato eccitato e la sua successiva diseccitazione dà luogo ad un fotone da 0.48 MeV. Nel 6 % dei casi invece il litio viene formato nel suo stato fondamentale. Se il fascio di neutroni incidente sul bersaglio è epitermico (0.5 eV < En < 10 keV), i neutroni, man mano che penetrano in profondità nel bersaglio, rallentano e quando raggiungono l’energia propria dei neutroni termici danno luogo alle reazioni sopra descritte. Le particelle cariche emesse nella reazione hanno traiettorie sostanzialmente rettilinee e un range ( 9 µm per le α, 5 µm per il litio) confrontabile con il diametro medio cellulare (10 µm, circa): ne consegue che il rilascio energetico avviene quasi totalmente nella cellula contenente il boro. Queste particelle inoltre hanno un LET medio di circa 200 keV/µm, perciò la loro efficacia non è influenzata dalla presenza di ossigeno come invece accade per altri tipi di radiazioni ionizzanti come i fotoni; risultano dunque più efficaci contro i tessuti tumorali, 45 solitamente meno irrorati rispetto a quelli sani e dunque più resistenti al trattamento con fotoni o elettroni. Nell’ambito della BNCT la dosimetria dipende dal tipo di sorgente di neutroni usata ed è complessa per diversi motivi: si tratta di fasci misti che contengono cioè sia neutroni, che fotoni, che particelle alfa e ioni litio (particelle ad alto e basso LET. Inoltre bisogna considerare che penetrando nei tessuti biologici le diverse componenti del fascio interagiscono in modo differente (la parte termica del fascio neutronico è assorbita, quella veloce viene moderata…) e quindi il campo di radiazione e lo spettro energetico dei neutroni variano con la profondità. La qualità biologica delle particelle cariche secondarie conseguenti le interazioni neutroniche con i tessuti è diversa, così come è diversa la distribuzione spaziale dei depositi energetici. I principali contributi alla dose totale assorbita dai tessuti irraggiati sono dovuti ai raggi gamma (dose gamma), alle interazioni neutroniche con gli elementi costituenti i tessuti biologici (dose neutronica) e alle particelle cariche emesse nella reazione di cattura 10 B (n,α) 7 Li (dose BNCT). Riepilogando abbiamo: - Dose gamma: un campo neutronico è sempre accompagnato da raggi gamma a cui si aggiungono i fotoni emessi dalle reazioni di cattura neutronica da parte dei materiali costituenti la struttura d’irraggiamento (il reattore o l’acceleratore). - Dose neutronica: i neutroni, attraversando la materia biologica, non producono ionizzazione direttamente ma le loro interazioni hanno luogo attraverso meccanismi di diverso tipo. La dose depositata da neutroni epitermici e veloci (En > 10 keV) è principalmente dovuta ai nuclei di rinculo conseguenti le interazioni di scattering. I neutroni termici si propagano nella materia finchè non sono catturati da un nucleo che generalmente emette un fotone. - Dose BNCT: è la dose dovuta agli eventi di deposito energetico delle particelle conseguenti la reazione 10 B (n,α) 7 Li di cui si è parlato in precedenza. L’analisi del campo di radiazione caratteristico della BNCT può essere fatta attraverso codici di calcoli Monte Carlo, che simulano le storie individuali di centinaia di neutroni e delle loro tracce all’interno del bersaglio. Questi calcoli devono però sempre essere convalidati da misure di tipo dosimetrico fatte in aria e in fantocci tessuto-equivalenti, che hanno cioè una composizione elementale la più simile possibile a quella del bersaglio da irraggiare. La microdosimetria, che cerca di descrivere le fluttuazioni dei depositi energetici in volumi microscopici, può essere una soluzione adeguata alla caratterizzazione del campo di 46 radiazione della boroterapia. Per esempio, attraverso un contatore proporzionale a gas e tessuto equivalente è possibile misurare la dose assorbita e lo spettro microdosimetrico dei depositi energetici delle componenti del campo di radiazione. Pesando gli spettri con una opportuna funzione è possibile determinare direttamente l’RBE delle singole componenti. 4.2 MICRODOSIMETRIA SPERIMENTALE La possibilità di usare i concetti e il metodo sperimentale della microdosimetria nel monitoraggio del campo di radiazione caratteristico della BNCT comporta dei vantaggi. L’utilizzo di contatori proporzionali tessuto-equivalenti (TEPC) con due catodi di cui uno arricchito con boro e l’altro non, le informazioni che si ricavano da uno spettro microdosimetrico, assieme a misure di controllo sul fascio e alle informazioni riguardanti la distribuzione del boro nelle cellule permettono di raggiungere una conoscenza accurata del campo. La prima applicazione di questa disciplina per la boroterapia risale al 1992 quando Wuu et al. al BNL analizzarono gli spettri microdosimetrici ottenuti con un contatore proporzionale tessuto equivalente (Rossi-type) con il catodo, costituito dalla plastica SHONKA-A150, arricchito con 50 ppm di boro. Il gas di riempimento era propano-TE mescolato con trifloruro di boro in una quantità equivalente a 50 ppm di 10 B . Le misure furono fatte sfruttando il fascio epitermico del BMRR (Brookhaven Medical Research Reactor) a una potenza compresa tra 0.1 e 5 kW. In queste condizioni il rivelatore simulava una cellula contenente del boro. La differenza tra lo spettro microdosimetrico ottenuto con il rivelatore con il catodo arricchito in 10 B e quello ottenuto con un contatore identico in tutto ma senza boro è dovuta solamente all’effetto della cattura neutronica del boro. La Fig. 19, presa dall’esperimento di Wuu, mostra un grafico di energia lineale per volumi di tessuto equivalente di 2 e 6 µm. E’ anche presente la curva per il volume di 2 µm in assenza di boro. Dalla figura emerge chiaramente come la presenza del boro aumenti notevolmente la frazione della dose rilasciata con alti valori dell’energia lineale, ossia la componente a maggiore efficacia biologica; quest’effetto è ancora più evidente nei siti di minore dimensione. 47 Fig. 19. Grafico normalizzato per dose unitaria in un fascio epitermico, a 2.5 cm di profondità. Sono rappresentati gli spettri per cavità di 2 e 6 µm, con 50 ppm di 10 B aggiunto, e per una cavità di 2 µm senza boro [6]. 4.3 STRUMENTAZIONI Porto qui come esempio alcuni tipi di strumentazione utilizzata nel campo della microdosimetria sperimentale. Gli strumenti principali utilizzati in microdosimetria sono i contatori proporzionali a gas tessuto equivalenti, TEPC. Questo tipo di rivelatori si presta a simulare regioni microscopiche di materia solida con quantità opportune di gas. Le misure sperimentali sono praticamente ristrette a composti che simulano i tessuti organici di particolare interesse radiobiologico anche se la microdosimetria potrebbe essere utilizzata per analizzare il deposito energetico su qualsiasi tipo di materiale. Per tale motivo i TEPC hanno il gas e i materiali di costruzione tessuto equivalenti. La tessuto-equivalenza di un TEPC si realizza utilizzando miscugli di idrogeno, carbonio, azoto e ossigeno, costituenti fondamentali dei tessuti biologici, in proporzioni pari a quelle del tessuto biologico. Le due principali miscele di gas tessuto equivalente utilizzate sono: metano-TE e propano-TE. 48 TEPC Sferico Storicamente i primi TEPC ad essere costruiti furono quelli sferici. I primi di questi rivelatori avevano volumi sensibili che arrivavano anche a 8-10 cm di diametro. Di conseguenza, oltre ad avere una pessima risoluzione spaziale, erano limitati a misure di campi con intensità estremamente basse: poche particelle al secondo per cm2. I rivelatori sferici sono tuttora quelli più commercializzati e disponibili anche se hanno dimensioni più piccole (1-3cm) dei loro precursori (8-10cm). Il volume sensibile è una sfera di plastica A-150 di 1.3 cm di diametro, riempita con propano-TE (Fig. 20). Fig. 20. Schema del rivelatore sferico, modello LET1/2", della Far West Technology [7] TEPC Piano Un microdosimetro piano è stato sviluppato da Cosgrove. Il rivelatore ha una cavità cilindrica di 8 cm di diametro e 3 cm di profondità. Per evitare di non rilevare i protoni di più bassa energia, il rivelatore ha una finestra di ingresso in Mylar alluminato da 50 µm. Dal lato opposto all’entrata si ha una finestra di perspex in modo da poter misurare i protoni di più alta 49 energia che riescono a passare; in tal modo è possibile eseguire misure microdosimetriche in coincidenza. Per simulare 2 µm è stato riempito con 70 mbar di metano-TE. L’anodo è un filo centrale da 25 µm. Una schematizzazione di TEPC piano è data in Fig. 21: Fig. 21. Schema del microdosimetro piano sviluppato da Cosgrove [7]. TEPC Cilindrico Presso il GSI in Darmstadt (Germania) si trova una facility sperimentale per adroterapia con fasci di ioni carbonio. Proprio per caratterizzare la qualità di questi fasci sono stati sviluppati dei piccoli microdosimetri cilindrici. 50 Fig. 22. Microdosimetro cilindrico sviluppato da Gerlach per adroterapia con ioni carbonio [7] Il volume sensibile di questo rivelatore è un cilindro di diametro 3 mm, lunghezza 30 mm ed un filo centrale, anodo, da 20 µm. Le pareti del catodo sono realizzate con plastica A-150 tessuto equivalente. Dentro al rivelatore viene fatto fluire di continuo metano tessuto equivalente e la pressione è aggiustata in modo tale da simulare 1 µm. Le piccole dimensioni del rivelatore consentono di farlo alloggiare in un piano di perspex e di posizionarlo a varie profondità in un fantoccio sempre in perspex. Le misure microdosimetriche ottenute con tale rivelatore sono state utilizzate per calcolare l’RBE dei fasci di Carbonio. Mini TEPC In questi ultimi anni le applicazioni della microdosimetria si stanno rendendo sempre più necessarie al fine di caratterizzare la qualità dei fasci impiegati sia in BNCT che in adroterapia. Nel caso della terapia protonica si prevede l’utilizzo di flussi di circa 8 ⋅107 particelle . Con i TEPC a gas oggi disponibili tale monitoraggio non risulta cm 2 ⋅ sec possibile senza attenuare il fascio. Un altro limite riscontrato in letteratura e che si sta cercando di ovviare è la bassa 51 risoluzione spaziale. Accade infatti che a fronte di una precisione diagnostica del tumore del paziente dell’ordine del millimetro, non si riesce a monitorare con altrettanta precisione, a volte indispensabile, il campo di radiazione poichè i rivelatori hanno dimensioni superiori a tale limite. Un modo per evitare questi inconvenienti è quello di diminuire il volume sensibile del TEPC in modo che il numero di particelle intercettate rimanga basso; sempre riducendo il volume sensibile si risolve anche il secondo problema cioè si aumenta la precisione spaziale con cui si misura il campo di radiazione. Sfruttando le tecnologie usate alla Coulombia University furono costruiti nel 1998 presso i LNL-INFN due mini TEPC con lo scopo di monitorare i fasci terapeutici. I due rivelatori così costruiti sono stati denominati AMiCo1 e AMiCo2. I due rivelatori risultano quasi identici. Esternamente essi hanno dimensioni di quasi 4 cm in lunghezza e 1.6 cm in spessore. La differenza principale è: AMiCo1 possiede tubi di guardia (o di campo) mentre AMiCo2 è stato costruito con la possibilità di mettere e togliere i tubi di guardia. I tubi di guardia (o di campo) sono elettrodi che vengono mantenuti, relativamente all’anodo, ad un potenziale uguale a quello che sarebbe esistito in corrispondenza della loro superficie esterna se non fossero stati presenti e se il contatore fosse stato un cilindro infinito. Uno studio ha evidenziato che in assenza di tubi di campo, quando un TEPC è sottoposto ad un fascio di radiazione intenso, il segnale non si stabilizza. La necessità di miniaturizzare i TEPC ha portato a studiare la possibilità di costruire dei rivelatori senza tubi di guardia che funzionino in maniera stabile. AMiCo1 e AMiCo2 hanno permesso tale studio. 52 Fig. 23. Disegno tecnico di AMiCo1 / 2, con il particolare del volume sensibile [7]. I rivelatori costruiti sono caratterizzati da un volume sensibile di 0.8 mm3 costituito da un cilindro retto di 1 mm di diametro e 1 mm di altezza. L’anodo è un filo di tungsteno dorato da 10 µm. Nella Fig. 23 è rappresentato un disegno tecnico del rivelatore e in particolare i tubi di campo da 250 µm di diametro. Il catodo è costituito da una plastica denominata Shonka A-150. Il catodo è contenuto in un cilindro di Rexolite di 0.45 mm di spessore. Questo, oltre a dare solidità al sistema, permette di isolare il catodo dal cilindro di alluminio dello spessore di 0.2 mm, che contiene il tutto. Alla base del rivelatore si trovano le connessioni elettriche per anodo, catodo e tubi di campo, e i fori da 1 mm per il flussagio del gas. In entrambi i rivelatori è stata inserita una sorgente alfa, Cm244, che può essere usata per fare un’accurata calibrazione energetica. Le particelle alfa passano attraverso una finestra di mylar da 1.4 µm di spessore e di 300 µm di diametro. 53 Telescopio a pixel al silicio Fig. 24. (a) Schema del telescopio a pixel di silicio. (b) Schema del singolo elemento ∆E [12]. In Fig. 24 è rappresentato un telescopio in silicio composto da pixel per la microdosimetria allo stato solido usato in un fascio di neutroni veloci. Esso consiste di una matrice di elementi cilindrici ∆E di spessore pari a 2 µm impiantati in un supporto singolo E con spessore di circa 500 µm. Più di 7000 pixel sono stati connessi tra loro in parallelo per creare un’area sensibile efficace di circa 0.5 mm2. L’energia minima distinguibile è limitata a 20 keV dal rumore elettrico, per cui l’applicabilità di questo microdosimetro in silicio è utile per particelle ad alto LET. Il rivelatore ∆E- E è stato accoppiato con un convertitore in polietilene spesso 1 mm ed è stato irradiato con neutroni a 2.7 MeV. La risposta al campo monodirezionale di neutroni quasi monoenergetici è stato misurato all’acceleratore Van De Graaff dei Laboratori Nazionali di Legnano (LNL) dell’INFN. Per l’energia del neutrone lo spettro dell’energia impartita nel supporto ∆E dalle particelle secondarie generate nel convertitore, è stato confrontato con quello misurato con un TEPC cilindrico tessuto equivalente. A questo proposito la distribuzione di energia impartita negli elementi ∆E deve essere corretta per equivalenza con tessuto in modo da ottenere uno spettro confrontabile con quello del TEPC. Nella Fig. 25 è riportato il confronto tra le due distribuzioni in dose dell’energia impartita per evento. 54 Fig. 25. Distribuzione in dose dell’energia impartita per evento acquisita con un TEPC (linea grigia) e con un singolo ∆E del telescopio (linea nera). I rivelatori sono stati irradiati con neutroni mono energetici da 2.7 MeV [12]. Si possono notare delle discrepanze nella forma dello spettro del singolo supporto ∆E, specialmente nelle alte energie. Le differenze sono dovute ad effetti geometrici legati alla vasta area sensibile dei ∆E. 55 CONCLUSIONI In questa tesi sono state esaminate rapidamente le problematiche connesse all’interpretazione degli effetti biologici delle radiazioni. Abbiamo visto come spesso la dose assorbita definita su domini macroscopici non sia in grado di fornire adeguate risposte. Si è passati quindi ad esaminare i concetti di base della microdosimetria che affronta tali problematiche da un punto di vista completamente diverso. In microdosimetria si fissa un sito biologico con determinate dimensioni e si va a studiare direttamente la distribuzione dei rilasci di energia in esso. Dalle distribuzioni di grandezze quali l’energia specifica o l’energia lineale si possono trarre spunti utili a comprendere l’interazione radiazione – materia vivente. La microdosimetria continuerà a supportare modelli biofisici nati per la formulazione di spiegazioni del danno a DNA e cromosomi o per spiegare vari effetti biologici (ad esempio morte cellulare in campi misti). La microdosimetria sperimentale alle dimensioni dei micrometri continua a dimostrare il suo valore nei campi della dosimetria, della radioprotezione e della radioterapia ovunque nasca l’esigenza di separare le varie componenti di un campo di radiazioni rivelando le particelle cariche responsabili del deposito di energia. E’ portato avanti il continuo sviluppo dei metodi di misurazione microdosimetrici nei campi della dosimetria spaziale e delle terapie ad alto LET presso impianti di adroterapia o presso reattori nucleari usati in BNCT. Sono stati quindi descritte le principali tecniche e alcuni tipi di strumenti utilizzati in questo campo. I contatori proporzionali a bassa pressione continuano a rappresentare il metodo dominante utilizzato anche se stanno emergendo rivelatori più sofisticati di nuova generazione in grado di effettuare misure per siti a livello sub-micrometrico. In un prossimo futuro si prevede di effettuare delle misure con un microdosimetro miniaturizzato costruito presso il Laboratori Nazionali di Legnaro dell’INFN per caratterizzare il campo neutronico della colonna termica del reattore Triga Mark II utilizzato per la BNCT a Pavia. 56 BIBLIOGRAFIA [1].A. M. Kellerer: Fundamentals of Microdosimetry. In: K. R. Kase, B. E. Bjarngard, F. H. Attix: The dosimetry of ionizing radiation, volume I. Academic Press, INC. Orlando, Florida 1987. [2]. J. E. Coggle: Effetti biologici delle radiazioni. Edizioni Minerva Medica, Torino 1998. [3]. D. T. Goodhead: Relationship of microdosimetric techniques to applications in biological systems. In: K. R. Kase, B. E. Bjarngard, F. H. 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