DAL CONCEPIMENTO ALLA NASCITA: DA

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DAL CONCEPIMENTO
ALLA NASCITA: DA -9 A 0
COUNSELLING PER FARMACISTI
Progetto educazionale
di Formazione a distanza
con il contributo non condizionato
di Laboratori Alter
Responsabile Scientifico
Prof. Gianluigi Pilu
Crediti assegnati n. 15
Esami infettivologici. Ricerca per epatite B ed epatite C.
Tampone vagino-rettale per streptococco beta agalactiae. Il tampone vagino-rettale si esegue
fra la 34ª e la 36ª settimana di gravidanza e serve per individuare la presenza dello Streptococco beta-emolitico di gruppo
B o Streptococcus agalactiae, un batterio innocuo per la mamma e per il feto ma potenzialmente pericoloso per il neonato,
che potrebbe infettarsi durante il passaggio lungo il canale vaginale con rare ma gravi complicanze (setticemia, meningite,
morte neonatale). Se il test è positivo, è sufficiente una terapia antibiotica (ampicillina) da eseguire durante il parto. Perché
la copertura antibiotica sia efficace, è importante che la terapia sia instaurata all’inizio del travaglio secondo uno schema che
prevede una prima somministrazione in bolo seguita da dosi di richiamo ogni quattro ore fino al parto.
ESAMI ECOGRAFICI
Ecografia della crescita. L’ecografia dell’accrescimento si esegue intorno alla 30-32ª settimana di gravidanza.
Questa indagine ecografica indaga l’adeguatezza della crescita fetale valutando parametri specifici e standardizzati all’età
gestazionale, in particolare il diametro biparietale e la circonferenza cranica, la circonferenza addominale e la lunghezza del
femore (figura 6). Oltre alla stima del peso, si valuta la posizione fetale, la quantità di liquido amniotico, la posizione placentare
e la sua funzione con l’ausilio della velocimetria doppler dell’arteria ombelicale.
FILMATO 3
A quest’epoca è ancora possibile studiare la morfologia fetale, il video mostra alcuni particolari del volto, di
cui si possono apprezzare i movimenti di suzione, e dell’anatomia cardiaca.
Monitoraggio del benessere fetale a termine. Le opzioni per la sorveglianza del benessere fetale nella
gravidanza a termine (a partire dalla 40ª settimana compiuta di gravidanza) sono numerose ma nella
pratica clinica comune prevedono il non-stress test mediante l’ausilio della cardiotocografia associato alla
stima della quantità di liquido amniotico (figura 7).
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Figura 6. Stima del peso fetale nel terzo
trimestre.
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Figura 7. Liquido amniotico e placenta nel
terzo trimestre.
PICCOLI E GRANDI DISTURBI DA TRATTARE
Edemi declivi e disordini ipertensivi. La comparsa di edemi importanti agli arti inferiori nel corso del terzo
trimestre rappresenta un segno da non sottovalutare, in particolare se associato a un eccessivo aumento di peso, a un improvviso
rialzo della pressione arteriosa e alla presenza di albumina nelle urine. In questo caso, è consigliabile un tempestivo controllo
medico per monitorare il benessere materno-fetale.
I disturbi ipertensivi complicano circa il 10-20% delle gravidanze e comprendono uno spettro di quadri clinici diversi, con
impatto variabile sulla salute della madre e del feto. Tra questi la preeclampsia rappresenta la forma più grave, essendo da sola
responsabile del 15-20% dei casi di mortalità materna, nonché una delle cause principali di mortalità e morbilità perinatale.
La rilevanza clinica dei disturbi ipertensivi in gravidanza è legata anche alla possibilità di gravi complicanze materne rappresentate
da HELLP Syndrome (caratterizzata da emolisi, aumento degli indici di funzionalità epatica e piastrinopenia), eclampsia e
coagulazione intravasale disseminata (CID).
Il monitoraggio degli indici di laboratorio (emocromo, conta piastrinica, funzionalità epatica, funzionalità renale, uricemia,
LDH, proteinuria, ecc.), associato alla valutazione delle condizioni cliniche della paziente, rappresenta l’unico strumento a
disposizione del clinico per la diagnosi e il successivo management delle diverse condizioni, con particolare riferimento al timing
del parto, l’unica vera terapia della preeclampsia.
Anemia materna (quando trattarla e come). L’anemia materna è una complicanza molto frequente in
gravidanza ed è generalmente su base sideropenica. I valori di emoglobina che definiscono l’anemia in gravidanza sono ancora
controversi e variano in funzione dell’epoca gestazionale: si stima che tra 28 e 30 settimane sia normale un valore di circa
10,5 g/dl. Tuttavia, l’uso del solo valore dell’emoglobina è poco indicativo per stabilire la patogenesi dell’anemia (deficienza
di ferro, talassemia, anemia falciforme). Sono pertanto indicati approfondimenti diagnostici per offrire alla paziente una terapia
mirata, che nel caso dell’anemia sideropenica è rappresentata dalla supplementazione di ferro.
Pirosi gastrica. La pirosi gastrica è un disturbo comune in gravidanza, soprattutto nel terzo trimestre (fino al 72%).
Si presenta sotto forma di bruciore retrosternale, spesso associato a reflusso esofageo. A eziologia non chiara, è una probabile
conseguenza di alterazioni ormonali che interferiscono con la motilità gastrica. La pirosi gastrica non è associata a esiti avversi
di gravidanza, sebbene sia importante distinguerla dal dolore epigastrico sintomo di preeclampsia; l’esame delle urine per
proteinuria e la misura della pressione sanguigna possono aiutare nella distinzione.
Sono disponibili diversi interventi, farmacologici e non. Quelli non farmacologici includono modificazioni nell’alimentazione
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(riduzione di cibi ad alto contenuto di grassi e gastro irritanti come la caffeina, consumo di piccoli pasti frequenti, eliminazione
di cibi piccanti dalla dieta) e nella postura (posizione eretta specie dopo i pasti, leggermente sollevata durante il sonno).
Il trattamento farmacologico prevede l’assunzione di antiacidi (basi deboli che reagiscono con l’acido cloridrico dello stomaco,
formando sale e acqua), di inibitori della secrezione di acidi, come gli antistaminici anti-H2 ad azione competitiva con l’istamina
per i recettori H2 delle cellule parietali gastriche, e gli inibitori della pompa protonica.
Emorroidi. Le emorroidi sono ectasie del plesso emorroidario. Possono essere associate a prurito, dolore e sanguinamento
intermittente dell’ano. Uno studio osservazionale ha stimato che l’8% delle donne in gravidanza soffre di emorroidi nel corso
degli ultimi tre mesi di gestazione.
La necessità del trattamento è proporzionale alla severità dei sintomi, che possono essere di entità tale da rendere difficile, se
non impossibile, gestire le attività quotidiane (camminare, sedersi, prendersi cura del neonato e della famiglia). Cambiamenti
nella dieta, creme locali, terapie per via orale sono tra gli interventi disponibili. In circostanze estreme la terapia consiste nella
rimozione chirurgica in anestesia locale di emorroidi trombotiche o cangrenose con immediato sollievo dal dolore in assenza di
complicazioni fetali dovute all’intervento. L’intervento chirurgico, tuttavia, raramente è considerato appropriato, poiché nella
donna in gravidanza il disturbo può risolversi dopo la nascita del bambino.
Varici. Le vene varicose o varici sono delle vene superficiali dilatate sacculari o cilindriche che si formano in seguito a una
scarsa efficienza delle valvole preposte alla regolazione del flusso sanguigno. Si presentano prevalentemente negli arti inferiori
come cordoni bluastri, con associato gonfiore della gamba e del piede, crampi notturni, prurito, sensazione di pesantezza degli
arti. Si stima che circa il 40% delle gravide sia affetto da questo disturbo con un’incidenza più elevata nelle donne che hanno
già partorito.
L’eziologia del disturbo in gravidanza è riconducibile all’azione progestinica di rilassamento delle pareti dei vasi sanguigni e al
contemporaneo incremento pressorio del volume sanguigno e dell’utero sulle vene degli arti.
Non esiste una terapia disponibile per tale quadro in gravidanza; indossare calze elastiche non previene l’insorgenza delle vene
varicose, ma ne migliora i sintomi.
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Perdite vaginali. Durante il terzo trimestre e in particolare in prossimità del termine, particolare attenzione deve essere
posta alle perdite vaginali. Si definisce rottura prematura delle membrane (PROM) la rottura spontanea delle membrane prima
del travaglio. Circa il 10% di tutte le gravidanze è complicata da PROM e nell’80% dei casi si verifica a termine di gravidanza. La
fuoriuscita di liquido amniotico deve suggerire la necessità di un immediato controllo ginecologico o di un ricovero in ambiente idoneo.
6)ED INFINE IL PARTO
Verso il termine della gravidanza, la donna accusa, più frequentemente
di sera, dolori di lieve entità localizzati prevalentemente al basso addome
e in sede lombare, alcuni frequenti, altri radi, ma sempre della durata di
pochi secondi. Questo periodo può durare giorni senza che il travaglio
insorga. L’avvicinarsi del momento tanto aspettato sarà accompagnato
dalla comparsa di segni ben precisi, quali la fuoriuscita di perdite vaginali
muco-gelatinose (tappo mucoso) e/o l’aumento della frequenza e intensità
delle contrazioni uterine. Tali sintomi richiedono una tempestiva valutazione
ostetrica.
Il parto può avvenire secondo tre modalità: vaginale spontaneo, vaginale
operativo e cesareo.
Nel parto spontaneo la nascita avviene per via vaginale senza intervento
medico. Il monitoraggio viene assicurato attraverso il tracciato
cardiotocografico, che rileva il battito cardiaco fetale e la dinamica uterina,
e la visita ostetrica digitale. La progressione nel canale osteo-muscolare del parto è data dalle contrazioni uterine sincrone
alle spinte materne. Si avrà prima l’espulsione della testa, seguita dal disimpegno delle spalle a cui seguirà il resto del corpo
fetale. In condizioni fisiologiche il neonato viene quindi adagiato sul corpo materno dove riposerà mentre l’ostetrica provvede
al clampaggio del cordone ombelicale. A questo punto l’attenzione sarà rivolta all’espulsione della placenta e delle membrane
amniocoriali. Non è infrequente che al termine del parto sia necessario applicare alcuni punti di sutura a livello vagino-perineale,
soprattutto nella paziente nullipara. Si tratta di un momento delicato a cui è tradizionalmente dedicata molta cura, sia per
quanto concerne il comfort della paziente (anestesia loco-regionale) che la tecnica chirurgica.
Si definisce operativo il parto vaginale nel quale si utilizza uno strumento, nella nostra realtà clinica quasi esclusivamente la
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ventosa ostetrica, per agevolare l’uscita del feto. Lo scopo di tali manovre è di accelerare il parto con il minimo di morbosità
materna e neonatale. Quest’eventualità è spesso vissuta con forte stress dalla paziente, che può percepirla come traumatica e
fortemente invasiva, soprattutto se eseguita in condizioni di emergenza. Si tratta in realtà di una procedura piuttosto comune
nella pratica clinica, che, quando eseguita in maniera corretta, comporta solo un lieve incremento del rischio per mamma e
neonato.
Il taglio cesareo è un intervento chirurgico per mezzo del quale il ginecologo procede all’estrazione del feto. Può essere
programmato (ad esempio in una donna che sia già stata sottoposta a TC o con feto podalico), oppure urgente qualora le
condizioni della madre o del feto ne pongano l’indicazione. L’intervento, della durata di circa un’ora, viene eseguito in anestesia
locoregionale e consiste, nella maggior parte dei casi, in una piccola incisione addominale, nello specifico in una incisione
trasversale sovrapubica. Il taglio cesareo programmato è vissuto da molte donne come la modalità più sicura per la nascita del
piccolo. In realtà questa diffusa convinzione non corrisponde sempre a realtà e la crescente percentuale di nati da taglio cesareo
comporta una serie di complicanze, a breve e lungo termine, non trascurabili. Si tratta infatti sempre di un intervento chirurgico
e come tale gravato da possibili complicanze.
Corsi di preparazione al parto
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I corsi di preparazione al parto prevedono una seria di incontri fra i futuri genitori e un gruppo di operatori sanitari qualificati
(ginecologo, pediatra, ostetrica, assistente sociale, assistente sanitaria, psicologo) al fine non solo di preparare la gestante ad
affrontare in maniera più consapevole e serena il travaglio e il parto, ma anche di informare le donne sulle modificazioni del
proprio corpo prodotte dalla gravidanza, di come si sviluppa e cresce il feto.
I corsi possono avvenire negli ospedali, nei consultori o negli ambulatori privati e si dividono in una parte teorica (anatomia
e fisiologia della donna, della gravidanza, del neonato, norme giuridiche riguardanti la gestazione, consigli pratici su come
accudire il neonato, i metodi contraccettivi da usare dopo il parto etc.) e una parte pratica.
La parte pratica consiste in un insieme di esercizi facili che servono a produrre rilassamento muscolare. Tra le tecniche
maggiormente utilizzate ci sono il Training Autogeno Respiratorio (RAT), che prevede l’apprendimento graduale di una serie
di esercizi di concentrazione psichica e il rebirthing, una metodica che insegna a respirare in un modo particolare, quello che
utilizzano tutti i bambini nati da parto non traumatico, ovvero togliendo le pause tra inspirazione ed espirazione e, quindi,
mantenendo un respiro continuo o circolare.
Analgesia epidurale
Quando si parla di parto-analgesia ci si riferisce comunemente alla cosiddetta analgesia epidurale (o peridurale). Tale tecnica
anestesiologica determina un blocco epidurale continuo, con effetto sedante sulle terminazioni nervose che si originano dal
midollo spinale.
La finalità dell’analgesia epidurale è di abolire i dolori del travaglio; la paziente avverte le contrazioni solo come sensazione di
indurimento della pancia ma non più come dolorose, mantenendo uno stato di coscienza vigile e una respirazione spontanea.
Tecnicamente consiste nella somministrazione di farmaci oppiacei nello spazio epidurale della colonna vertebrale mediante un
sottile sondino, posizionato grazie alla puntura di un ago in sede lombare.
L’analgesia deve essere eseguita quando il travaglio di parto è avviato: si effettua quindi con una dilatazione della cervice uterina
di circa 3-4 cm, con la parte fetale presentata in via di impegno o impegnata ed in presenza di valide e ritmiche contrazioni
uterine.
Attualmente, se la analgesia viene effettuata in centri idonei e con provata esperienza, presenta rischi molto bassi sia per la
madre che per il nascituro. Come tutte le procedure invasive, tuttavia, non è scevra da rischi, sia materni che fetali. Tra gli effetti
collaterali materni, ricordiamo l’ipotensione e la cefalea (che può durare da alcune ore ad alcuni giorni e necessita di riposo a
letto con eventuale terapia farmacologia). Tra gli effetti collaterali fetali, i più importanti da segnalare sono la bradicardia fetale
(rallentamento della frequenza cardiaca fetale) ed in particolare la riduzione della forza contrattile uterina (temporanea e non)
e il rallentamento della progressione della parte presentata (difficoltosa discesa del corpo fetale nel canale del parto).
Nella pratica ostetrica, questi fattori determinano come conseguenza un lieve aumento nel tasso di parto operativo (applicazione
di ventosa) in caso di analgesia epidurale.
Depressione post-partum
La depressione è una patologia dell’umore caratterizzata da un insieme di sintomi cognitivi, comportamentali, somatici e
affettivi che, nel loro insieme, sono in grado di diminuire in maniera da lieve a grave il tono dell’umore, compromettendo le
abilità di una persona ad adattarsi alla vita sociale. Considerando la donna in gravidanza, la stima della prevalenza puntuale di
depressione maggiore ha valori compresi tra 3,1% e 4,9%, mentre per la depressione maggiore e minore è sovrapponibile a
quella del resto della popolazione, con valori compresi tra 8,5 e 11%3.
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Nonostante la condizione sia diffusa nella popolazione generale e nonostante la disponibilità di terapie efficaci, un ampio numero
di soggetti depressi non viene identificato e adeguatamente trattato. Questo fenomeno può essere imputato alle resistenze del
soggetto depresso a ricercare un aiuto professionale (sensazione di farcela da solo, imbarazzo, timore di stigmatizzazione)
e alla grande variabilità nell’abilità dei medici non specialisti di riconoscere la condizione. Nel caso specifico della donna in
gravidanza, uno step importante da non mancare per qualsiasi operatore sanitario è l’individuazione di fattori di rischio passati o
presenti. Tra questi sono da non sottovalutare i disturbi ansiosi, la depressione e ansia durante la gravidanza, i precedenti eventi
di depressione puerperale, lo stress determinato da cambiamenti radicali nello stile di vita, anamnesi di assistenza psichiatrica,
scarso supporto sociale. Le linee guida concordano sulla difficoltà di utilizzare questi fattori di rischio come strumenti predittivi
affidabili di depressione postnatale, ma sottolineano l’importanza di raccogliere informazioni sullo stato di salute mentale della
donna in tutte le occasioni di incontro, prestando attenzione a una eventuale sintomatologia ansioso-depressiva e a eventi di
depressione postnatale relativi a precedenti gravidanze.
Allattamento
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La lattazione si stabilisce nel corso
di 6 settimane circa dopo il parto;
all’inizio viene prodotto il colostro ricco
e prezioso, presente in piccole quantità,
poi successivamente comparirà il latte
maturo gradualmente.
Nei primi giorni il bambino può chiedere
di poppare molte volte (ognuna con
piccole quantità di colostro): proprio
l’elevato numero di poppate assicura
che la quantità di cibo ingerita sia
quella necessaria. Man mano che il
latte matura il bambino distanzierà le
poppate.
Quando il colostro comincia a essere
sostituito dal latte a volte la mamma
sente un grosso cambiamento: arriva
la montata lattea, caratterizzata
da un aumento di volume delle
mammelle che diventano turgide,
gonfie, pesanti e dolenti. È
importante in questo momento
attaccare frequentemente al seno il
piccolo per evitare così un fastidioso
ingorgo mammario (dolore intenso,
arrossamento diffuso). A volte
invece il passaggio fra colostro e
latte definitivo è graduale.
L’alimentazione della donna
che allatta deve essere varia ed
equilibrata ricca di proteine, sali
minerali, vitamine, cereali; sarà il neonatologo a consigliare una dieta specifica se in famiglia c’è una storia di allergia alimentare.
Tra i disturbi legati all’allattamento, c’è sicuramente la mastite, un’infiammazione del tessuto connettivo interlobulare che si
manifesta con febbre alta, malessere generale, tensione intensa al seno, arrossamento, dolore, spesso c’è una scarsa fuoriuscita
di latte. In tal caso si raccomanda alla mamma di consultare al più presto il proprio ginecologo di fiducia o il medico di guardia
della sala parto, il quale programmerà una terapia specifica e adeguata.
Un altro disturbo molto frequente è la comparsa delle ragadi a livello del capezzolo. Per prevenirle, è importante tenere una
corretta posizione della mamma, sorreggere, sostenere il bambino e portarlo verso il seno, attaccare il bambino in modo
corretto, evitare l’uso di coppette assorbi-latte e reggiseni stretti, staccare correttamente il bambino dal seno, mantenere asciutti
i capezzoli ed infine, dopo la poppata, massaggiare il capezzolo e l’areola con alcune gocce di colostro o di latte (potere
batteriostatico).
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