Manuale didattico – Terza parte

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Corso di
primo soccorso per la
“gente di mare”
Manuale didattico – Terza parte
(ad uso esclusivo dell’Istituto Nautico S. Giorgio di Genova)
1
INDICE - Terza parte
Lo stato di shock
pag.
3
Sindrome da insufficienza respiratoria acuta
pag.
6
Sindromi cerebrali acute
pag.
7
• Epilessia e altri disturbi convulsivanti
• Lipotimia e sincope
• Iperglicemia e ipoglicemia
pag. 9
pag. 10
pag. 11
Cenni di traumatologia
• Contusione, distorsione, lussazione
• Fratture
• Trauma cranico
Ferite e emorragie
• Vaccinazione e immunoglobuline antitetaniche
• Punti di compressione a distanza
• Uso del laccio emostatico
• Trauma agli occhi
Ustioni
pag. 12
pag. 13
pag. 14
pag. 16
pag.
pag.
pag.
pag.
17
17
19
20
pag. 21
Lesioni da calore
• Colpo di sole
• Colpo di calore
pag. 23
pag. 24
Lesioni da freddo
• Congelamento
• Assideramento o ipotermia
pag. 25
pag. 26
Incidenti in acqua
pag. 27
Intossicazione o avvelenamento
pag. 29
Lesioni da corrente elettrica
pag. 33
2
LO STATO DI SHOCK
Seppure nel linguaggio comune il termine shock viene attribuito a situazioni molto diverse, come la
grave compromissione della coscienza e di altre facoltà mentali a seguito di una stimolazione
psicologica rilevante o condizioni di stress improvviso e molto intenso ( shock termico, shock
elettrico), secondo la terminologia medica lo stato di shock è una grave sindrome clinica
caratterizzata dall’incapacità del sistema circolatorio dell’intero organismo di mantenere
un’adeguata ossigenazione e nutrizione tessutale tramite la perfusione capillare.
E’ evidente quindi che il crollo circolatorio può essere dovuto a disfunzione di uno o più
che compongono il sistema cardiovascolare, il cuore, il sangue e i vasi sanguigni:
elementi
Lo shock si sviluppa se:
•
La capacità di pompa del cuore diminuisce o cessa del tutto ( shock cardiogeno)
•
Vi è una perdita significativa si sangue o di plasma o di altri liquidi corporei da rendere
insufficiente il riempimento del comparto vascolare ( shock ipovolemico)
•
Aumenta la capienza del comparto vascolare per eccessiva dilatazione dei vasi sanguigni
per cui rende insufficiente la quantità di sangue disponibile per una adeguata perfusione
(shock distributivo).
Lo shock può accompagnare molte situazioni di urgenza sia traumatiche ( emorragie imponenti,
ustioni estese) che legate a gravi problemi medici ( infarto del miocardio, embolia polmonare,
disidratazione, infezioni gravi ).
Lo shock si manifesta nella maggior parte dei casi con la caduta della pressione arteriosa del
sangue.
Poiché questa è funzione sia del volume del sangue circolante, sia della spinta derivante dalla
contrazione del cuore, sia del diametro dei vasi sanguigni, anche uno solo di questi fattori può
provocarne l’inizio, ed in molti casi innescare una situazione di peggioramento progressivo ed
inarrestabile che può provocare la morte.
Il riconoscerne precocemente i primi segni è fondamentale per dare l’allarme e condurre
l’infortunato nel più vicino pronto soccorso.
Bisogna sempre tenere a mente che nello shock, qualunque sia la causa che lo ha scatenato, il
nostro organismo mette in atto tutte le risorse disponibili per mantenere in qualche modo la
perfusione tessutale, cioè l’ossigenazione e la nutrizione dei tessuti che è vitale per tutte le funzioni
metaboliche, ma, ad un certo punto, tali risorse finiscono e si giunge al cosiddetto shock
irreversibile che conduce rapidamente a morte.
Qualunque sia la causa lo shock presenta sempre gli stessi sintomi che differiscono per gravità a
seconda della fase in cui si trova l’infortunato. Per questo è fondamentale riconoscerli e poterli
prevedere fin dai primi momenti.
1. Fase iniziale ( pre–shock): formazione di una lieve depressione delle attività
cardiocircolatorie.
Possono comparire polso irregolare, sensazione di freddo, pallore.
2. Fase compensatoria: la depressione cardiocircolatoria si aggrava e vengono messi in atto
meccanismi di compenso.
La pressione si abbassa molto, la pelle presenta striature bluastre, cianotiche. Compaiono
sensazione di irrequietezza.
3
3. fase di progressione: il compenso diviene inefficace e il deficit di apporto ematico agli
organi vitali provoca gravi squilibri fisiopatologici .
Compaiono battiti cardiaci irregolari e deboli, respirazione alterata, confusione mentale,
sonnolenza o perdita di coscienza.
4. fase di irreversibilità: lo shock porta alla morte.
Fin dalla fase iniziale l’organismo tenta di correggere
indispensabile per le funzioni vitali:
l’inadeguata perfusione dei tessuti
•
L’aumento della frequenza del polso indica infatti che l’organismo cerca di accelerare in
qualche modo la circolazione diventata inefficiente o per perdite di sangue o di altri liquidi
corporei o per difetto dell’attività di pompa del cuore o per eccessiva dilatazione dei vasi di
alcuni o di tutti i distretti corporei. Diversamente dalla frequenza rapida del polso associata
a stress e paura, la tachicardia da shock non tenderà a rallentare. Questa aumentata
frequenza del polso può subire un incremento significativo quando il paziente assume la
posizione eretta o seduta.
•
L’aumento della frequenza respiratoria si verifica subito dopo, ma non in tutti i casi. Nello
shock infatti la circolazione è inefficiente e ciò significa che arriva una quantità insufficiente
di ossigeno ai tessuti dove si accumula anidride carbonica. L’organismo cerca di
compensare questa situazione aumentando la frequenza respiratoria (tachipnea). Tale
frequenza non tende a ridursi col tempo, come avviene invece nei casi in cui è dovuta a
stress.
•
Anche la sensazione di freddo, l’irrequietezza o l’aggressività sono espressione del
tentativo dell’organismo di compensare e prevenire l’insorgere dello shock. Spesso il
paziente non riesce a definire questi sintomi: sente che qualcosa non va e ne è impaurito.
•
Le variazioni del colore della pelle, come il pallore, possono rendersi evidenti nella fase
precoce, ma a volte compaiono più tardivamente. Al pallore cutaneo si associa un colorito
bluastro (cianotico) delle labbra, del letto ungueale e della mucosa della bocca. Il paziente
è solitamente sudato.
•
Il polso rapido e debole e la respirazione affannosa e indebolita sta ad indicare che
l’organismo non riesce a compensare l’insufficienza del sistema circolatorio e si sta
avviando verso la fase tardiva dello shock.
•
Le alterazioni dello stato di coscienza, come lo stato confusionale, sono la conseguenza di
un afflusso inadeguato di sangue al cervello.
•
A questo punto può essere rilevata una notevole riduzione della pressione arteriosa.
Occorre ricordarsi che l’ipotensione arteriosa può essere un fenomeno piuttosto tardivo
soprattutto nei bambini e nei giovani e pertanto tale parametro non è correlabile con la
prognosi dello stato di shock.
Come intervenire ?
Lo stato di shock è un evento grave, spesso rapidamente evolutivo e potenzialmente fatale.
4
La sopravvivenza del paziente dipende dalla messa in atto di tutta una serie di interventi
(somministrazione di ossigeno, fluidi, sangue, farmaci per sostenere il circolo e così via) che
possono essere somministrati solo da personale sanitario e preferibilmente in ambiente
ospedaliero.
Anche quando la natura della malattia o della lesione traumatica, oppure la dinamica dell’incidente,
indicano la possibilità di insorgenza di shock, occorre provvedere alla valutazione medica ,
indipendentemente dall’esistenza o meno di segni o sintomi di shock.
Quindi, prima cosa a cui deve pensare un soccorritore occasionale, è quella di provvedere a
ricoverare l’infortunato.
•
RICORDATE: I PAZIENTI IN STATO DI SHOCK DEVONO ESSERE TRASPORTATI
IMMEDIATAMENTE IN OSPEDALE
LO SHOCK ANAFILATTICO
Lo shock anafilattico è una condizione potenzialmente fatale dovuta a grave reazione allergica
a numerosissime sostanze.
Può essere dovuto a punture di api, calabroni e vespe, ma anche l’ingestione di cibi ( come noci,
spezie, bacche, pesci, molluschi) e farmaci vari , l’inalazione di allergeni ( polvere, pollini ) e l’
assorbimento di sostanze chimiche quando vengono a contatto con la pelle
Non esiste alcun sistema per prevedere l’evoluzione di uno shock anafilattico.
L’insorgenza di gravi reazioni può verificarsi immediatamente o dopo 30 minuti o più.
I sintomi di uno shock anafilattico possono comprendere:
• Prurito o bruciore cutaneo, soprattutto al viso, torace, schiena.
• Senso di costrizione toracica con difficoltà respiratoria.
• Vertigini.
• Sensazione di irrequietezza e ansia.
• Nausea, dolore addominale e defecazione spontanea.
• Mal di testa.
• Temporanea perdita di coscienza ( svenimento).
Lo shock anafilattico richiede la somministrazione di farmaci specifici per contrastare la reazione
allergica per cui tutti gli sforzi iniziali dovranno essere diretti verso le misure di rianimazione di
base cioè:
•
Mantenete pervie le vie respiratorie, e, a seconda dei casi attuate la ventilazione o la
rianimazione cardiopolmonare
•
Avvertite la struttura medica, se potete, e trasportate immediatamente il paziente in
ospedale, continuando il trattamento d’urgenza.
5
SINDROMI DA INSUFFICIENZA RESPIRATORIA ACUTA
LA DISPNEA
Si definisce come la difficoltà soggettiva a respirare regolarmente.
La dispnea include la percezione da parte del paziente di una respirazione laboriosa e la
relazione del paziente stesso a tale sensazione.
Può trattarsi di una esperienza soggettiva che non sempre è coerente con i riscontri obiettivi.
Tipi di dispnea:
•
INSPIRATORIA: ostruzione alta delle vie respiratorie: rara, ma spesso fatale
•
ESPIRATORIA: restringimento delle basse vie respiratorie
L’ASMA
L'asma è una malattia infiammatoria cronica del polmone che provoca episodi ricorrenti di
respiro sibilante, difficoltà respiratoria, senso di costrizione toracica e tosse.
Questi sintomi sono di solito associati con diffusa ma variabile ostruzione dei bronchi,
reversibile dopo terapia con broncodilatatori o spontaneamente.
L'infiammazione provoca anche un aumento della risposta delle vie aeree a numerosi stimoli
più o meno specifici.
Nel linguaggio comune la parola "asma" viene spesso utilizzata come sinonimo di "dispnea" o
"mancanza di respiro", anche se di origine completamente diversa dal vero asma bronchiale.
Ad esempio nella vecchia definizione dello scompenso cardiaco acuto si parlava appunto di
"asma cardiaco" che nulla ha a che fare con l'infiammazione dei polmoni.
Si stima che più di 100 milioni di persone nel mondo siano affette da Asma Bronchiale e
numerosi studi suggeriscono che tale malattia sia in aumento. In Italia gli asmatici
rappresentano fra il 5 e l'8% della popolazione. Notevole è il rilievo che circa il 30% degli atleti
che vinse medaglie nelle Olimpiadi del 1996 era asmatico. Non solo l’asmatico può fare sport,
anzi è consigliato.
6
SINDROMI CEREBRALI ACUTE
Definizioni
•
Ictus cerebrale: grave alterazione delle funzioni cerebrali di origine vascolare ad
insorgenza acuta e improvvisa che può essere causa di morte o di disfunzioni neurologiche
permanenti
•
Attacco ischemico transitorio ( TIA): temporanea e limitata disfunzione cerebrale di
origine vascolare caratterizzata da rapida insorgenza e rapida risoluzione (entro le 24 ore).
L’ischemia ( trombosi, embolia, ipoperfusione) è causa sia di ictus che di TIA per un 80-85 % dei
casi complessivamente.
L’ictus cerebri può essere anche causato da emorragia per rottura di un vaso o di un aneurisma.
I segni e sintomi principali si distinguono in:
•
•
Neurologici generali: mal di testa ( cefalea), svenimento e/o sincope, alterazione dello
stato i coscienza, convulsioni, alterazioni del respiro, perdita di controllo degli sfinteri.
Neurologici focali: deficit di forza a livello motorio ( arto superiore, arto inferiore, un lato
del corpo), alterazioni della sensibilità, disturbi visivi,disturbi del linguaggio, disturbi
dell’equilibrio, disturbi della deglutizione.
Quando ci si trova di fronte ad una situazione di questo genere, bisogna che il paziente venga
valutato al più presto da un medico.
ATTENZIONE
Se il paziente è diabetico, bisogna pensare che si possa trattare di una crisi ipoglicemica, che può
essere corretta con l’assunzione di zuccheri.
IL COMA
Si definisce coma lo stato di alterazione della coscienza. Il come può essere provocato da
intossicazioni (stupefacenti, alcool, tossine), alterazioni del metabolismo (ipoglicemia, iperglicemia,
chetoacidosi) o danni e malattie del sistema nervoso centrale (ictus, traumi cranici, ipossia).
Negli anni passati la valutazione continua dello stato neurologico di un paziente veniva effettuata
da personale medico o infermieristico che fornivano però interpretazioni tra loro diverse.
E’ stata sentita, quindi, la necessità di avere un sistema che desse risultati costanti, anche se
usato da osservatori diversi, che fosse di pratica attuazione e che consentisse un immediato
apprezzamento dello stato del paziente nel tempo.
La Scala del Coma di Glasgow, successivamente modificata in Glasgow Coma Score ( GCS :
punteggio del coma di Glasgow) è stata introdotta nel 1974 ed è oggi largamente usata in tutto il
mondo per i suoi innegabili vantaggi. Essa dà la possibilità di definire in termini descrittivi tipi di
coma diversi senza far riferimento a supposti danni anatomici.
La sua semplicità d’uso, permette l’impiego anche da parte di personale non specializzato e la
possibilità di consentire un linguaggio comune fra sanitari, aspetto particolarmente importante nel
periodo che intercorre fra il primo soccorso ed il definitivo ricovero del malato in un centro
specialistico, fase nella quale una sistematica valutazione dello score e delle sue variazioni
fornisce un attendibile monitoraggio dell’evoluzione delle condizioni cliniche.
7
Il GCS prevede la valutazione combinata delle risposte oculari, verbali e motorie. Ad ognuna di
esse corrisponde un punteggio, la cui somma rappresenta lo score, vale a dire il livello di
coscienza del paziente. Lo score risulta dalla somma delle migliori risposte oculari, verbali e
motorie ottenute.
GCS - Glasgow Coma Score
SCORE
APERTURA OCCHI
RISPOSTA
VERBALE
RISPOSTA
MOTORIA
Spontanea
Agli stimoli verbali
Al dolore
Nessuna
Punteggio apertura occhi
4
3
2
1
Orientata, appropriata
Confusa
Parole inappropriate
Suoni incomprensibili
Nessuna
Punteggio risposta verbale
5
4
3
2
1
Obbedisce al comando
Localizza il dolore
Retrae al dolore
Flette al dolore
Estende al dolore
Nessuna
Punteggio risposta
motoria
6
5
4
3
2
1
A
B
C
Punteggio del GCS: A + B + C
Il coma, cioè l’alterazione dello stato di coscienza, è una situazione patologica differente dallo
stato di shock caratterizzato da “crollo circolatorio”. Ovviamente nelle fasi avanzate dello stato di
shock possono anche essere presenti alterazioni dello stato di coscienza da danno cerebrale
secondario all’ipoafflusso di sangue al cervello.
Il coma è anche diverso dallo stato vegetativo che a volte può susseguire ad esso: un paziente in
stato vegetativo ha perso le funzioni neurologiche cognitive e la consapevolezza dell'ambiente
intorno a sé, ma mantiene quelle non-cognitive e il ciclo sonno/veglia; può avere movimenti
spontanei e apre gli occhi se stimolato, ma non parla e non obbedisce ai comandi. I pazienti in
stato vegetativo possono apparire in qualche modo normali: di tanto in tanto possono fare smorfie,
ridere o piangere.
Il coma non è nemmeno indice di morte cerebrale, cioè di cessazione irreversibile di tutte le
funzioni del cervello: può accadere che un paziente in coma sia in grado di respirare da solo,
mentre uno decerebrato non può farlo mai.
È inoltre diverso anche dal sonno, perché il sonno è sempre interrompibile, mentre non è possibile
"svegliare" a piacere una persona in stato di coma.
8
EPILESSIA ED ALTRI DISTURBI CONVULSIVI
Se le normali funzioni del cervello sono modificate da una lesione, da una infezione o da una
malattia, l’attività elettrica cerebrale può diventare irregolare causando alterazioni della sensibilità,
del comportamento oppure dei movimenti ovvero delle crisi. A volte si verificano movimenti
muscolari incontrollabili dette convulsioni.
Queste crisi non costituiscono una malattia in sé, bensì un segno di un difetto,di una lesione o di
patologie sottostanti. Le cause possono essere le più svariate: tumore cerebrale, difetti cerebrali
congeniti, febbre, infezioni, cause metaboliche, cause tossiche, cause traumatiche.
Le crisi convulsive possono verificarsi in caso di epilessia, ictus cerebrale, alcune malattie infettive
come il morbillo e la parotite ( orecchioni), ipoglicemia, eclampsia durante la gravidanza.
L’epilessia è forse la condizione più nota in grado di causare le crisi. Alcune persone nascono
affette da epilessia, altre sviluppano l’epilessia in seguito ad una lesione o ad un intervento
chirurgico al cervello. L’assunzione scrupolosa di farmaci consente alla maggior parte degli
epilettici di condurre una vita normale senza avere crisi.
Non tutte le crisi sono uguali. L’attività e la durata delle crisi sono determinate dalla causa che ne è
alla base. Il tipo di crisi che la maggior parte della gente associa all’epilessia e agli altri disturbi
convulsivi è una crisi generalizzata con contrazioni tonico-cloniche per cui la persona cade a terra
priva di coscienza e presenta forti scosse ai quattro arti. In realtà esistono altri tipi di convulsioni:
•
•
•
Crisi parziale ( denominata anche crisi motoria focale o crisi Jacksoniana): il paziente
avverte un formicolio, un irrigidimento, uno spasmo che interessa solo una parte del corpo.
Non si verifica perdita di coscienza.
Crisi generalizzata tonico-clonica ( grande male): Il paziente perde coscienza, cade a
terra e si agita selvaggiamente. Di solito la convulsione , che interessa l’intero corpo dura
solo qualche minuto ed è caratterizzata da tre fase distinte. 1) fase tonica in cui il corpo si
irrigidisce per non più di trenta secondi. La respirazione può interrompersi e il paziente può
mordersi la lingua e può perdere il controllo degli sfinteri. 2) Fase clonica in cui il corpo ha
spasmi violenti, di solito della durata di uno o due minuti. Il paziente può emettere schiuma
dalla bocca e perdere saliva. Faccia e labbra diventano spesso cianotiche. 3) Fase postcritica che ha inizio al termine delle convulsioni. Il paziente può riprendere subito
coscienza, entrando in uno stato di sonnolenza e confusione oppure può rimanere in uno
stato di incoscienza per parecchie ore. L’emicrania è frequente.
Assenza ( denominata anche piccolo male). La crisi è breve, di solito di durata da uno a
dieci secondi. L’attività motoria non è particolarmente evidente e di solito il soggetto non
crolla al suolo e non cade. Si assiste invece a una perdita temporanea di concentrazione e
di consapevolezza. Una crisi di assenza può passare inosservata per chiunque, tranne che
per il paziente e i membri della sua famiglia che sono a conoscenza del disturbo.
ATTENZIONE: le crisi parziali e quelle tonico-cloniche di solito non durano più di 1-3 minuti.
Quando il paziente ha due o più crisi convulsive senza riprendere pienamente coscienza tra l’una
e l’altra e le stesse durano 5-10 minuti o più, si parla di stato epilettico. Si tratta di una urgenza
vera che richiede un trasporto immediato e l’intervento di unità di soccorso con capacità di attuare
terapie avanzate di supporto vitale.
Non tentate di trattenere il paziente anche se le convulsioni sembrano terminate. Ricordate che
l’attività convulsiva prolungata può avere causato ipossia. Sarà necessario ripristinare o mantenere
la pervietà delle vie aeree e , se possibile somministrare ossigeno sul luogo o durante il trasporto.
Ovviamente il soccorritore non ha il compito di fare una diagnosi e quindi classificare la crisi, ma è
importante saperla descrivere in dettaglio al personale medico.
9
Se siete presenti quando la crisi si manifesta procedete nel modo seguente:
•
•
Crisi parziale: non trattenete il paziente, semplicemente rimuovete gli oggetti che gli
stanno intorno ed evitate che si faccia male.
Crisi generalizzata tonico-clonica: adagiate il paziente sul pavimento o sul terreno.
Allentate gli abiti stretti. Allontanate gli oggetti che potrebbero causare lesioni al paziente.
Non tentate di tenerlo fermo durante le convulsioni. Mantenete il paziente a riposo al
termine delle convulsioni, posizionandolo in modo da permettere un drenaggio di liquidi
dalla bocca. Alcuni pazienti durante l’attacco diventano ipossici, per cui se disponibile, date
ossigeno. Trattate qualsiasi lesione che il paziente può aver riportato durante la crisi.
Controllate i segni vitali e monitorate attentamente la respirazione.
LIPOTIMIA E SINCOPE ( SVENIMENTO )
La sincope è una perdita di coscienza di breve durata ad esordio improvviso che può colpire
soggetti sani in particolari condizioni, a seguito di riflessi che determinano o improvvisa
vasodilatazione con conseguente caduta della pressione arteriosa ( collasso) o improvvisa
bradicardia che causa comunque una mancanza di afflusso di sangue al cervello. Il riflesso può
avvenire a seguito di uno stress, di uno sforzo fisico, di una minzione e così via.
La sincope si può verificare anche in soggetti cardiopatici in alcune condizioni particolari di aritmie
cosiddette bradi cinetiche che possono richiedere l’inserimento di un pace-maker ( sincope
cardiogena).
La sincope può essere preceduta o meno da sintomi prodromici, quali sensazione di malessere,
giramento di testa.
In alcuni casi la sincope può determinare crisi convulsive, perdita di feci e urine per rilasciamento
degli sfinteri, ponendo difficoltà nella diagnosi differenziale con l’epilessia.
Quando non si arriva alla perdita di coscienza , ma il paziente lamenta malessere e si sente venir
meno allora si parla di pre-sincope o lipotimia.
In gergo comune la lipotimia corrisponde alla “ sensazione di svenimento” e la sincope allo
svenimento.
Quando un soggetto “sviene “ del tutto ha per lo meno un istante in cui non ricorda nulla. Se non
risponde ma ricorda di sentire voci e di vedere persone, allora verosimilmente non è arrivato alla
vera perdita di coscienza, ma solo allo stadio di pre-sincope.
Le lipotimie o sincopi che ricorrono nel soggetto sano in particolari condizioni ( ad esempio dopo
prolungato stress psico-fisico)sono disturbi che possono creare un certo imbarazzo e disagio, ma
non destano particolare preoccupazione clinica.
Il soggetto che ha questi problemi deve imparare a riconoscere i sintomi prodromici (a volte
peraltro scarsi e rapidamente ingravescenti), evitare di trovarsi in situazioni pericolose ( ad
esempio camminare sull’orlo di un precipizio) e sdraiarsi immediatamente sollevando se possibile
gli arti inferiori in modo da mantenere la perfusione cerebrale. A volte, per ragioni sconosciute, ma
verosimilmente di ordine psicologico o emozionale, il solo sottoporsi ad indagini cliniche specifiche
che apportano rassicurazione rallenta o addirittura fa scomparire gli episodi ricorrenti.
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Ricordatevi che quando il soggetto è nelle condizioni di “star per svenire” perde la lucidità e
continuerà a voler rimanere in piedi a tutti i costi. Costringetelo a sdraiarsi e la sintomatologia
passerà rapidamente senza alcuna conseguenza, altrimenti, anche se messo a sedere, la
pressione scenderà sempre più bassa fino alla vera e propria perdita di coscienza ( sincope). La
posizione supina possibilmente in Trendelenburg (gambe sollevate) dovrà essere mantenuta per
un certo periodo di tempo( variabile da caso a caso, ma quantificabile almeno in termini di 5 -10
minuti) e comunque il soggetto dovrà evitare di alzarsi di scatto ma dovrà provare, prima di
rimettersi a camminare, a rimanere seduto senza problemi.
L’IPERGLICEMIA E L’IPOGLICEMIA
L’iperglicemia raramente rappresenta un problema per un soccorritore occasionale. Infatti
l’aumento dei valori glicemici anche piuttosto elevato di per sé, sia nel diabetico noto sia nella
persona che non sa di essere affetta da questa malattia non porta a conseguenze di rilievo dal
punto di vista clinico. Anche la sintomatologia , caratterizzata da bocca secca e sete intensa,
insorge gradualmente nell’arco di un periodo che dura giorni ed è generalmente ben tollerata.
Ben diversa è la situazione se l’aumento della glicemia nel sangue, talvolta anche a valori
moderati, è associata ad una situazione di acidosi, per una alterazione del metabolismo dei glucidi
in assenza di insulina che porta alla generazione dei cosiddetti corpi chetonici . Si delinea allora il
quadro clinico denominato cheto acidosi diabetica, complicanza grave che caratterizza l’esordio
clinico di parecchi casi di diabete nel’infanzia e nella giovane età che può portare rapidamente al
coma e richiede una correzione immediata del disequilibrio che si è venuto a creare.
Questa urgenza richiede un monitoraggio intensivo che può essere effettuato solo in ambiente
ospedaliero.
L’ipoglicemia invece è una situazione clinica che insorge rapidamente nel giro di pochi minuti. Il
paziente può avvertire vertigine e mal di testa, può presentare un comportamento anomalo,
talvolta ostile o aggressivo, saltuariamente si possono avere anche convulsioni e, nei casi più
gravi, può insorgere uno stato comatoso.
La terapia d’urgenza consiste nella somministrazione di zuccheri. Se il paziente è cosciente ed i
sintomi sono iniziali è preferibile proporre succhi di frutta o frutta ( mela o pera), se la situazione è
più avanzata, ma il paziente è cosciente si può somministrare zucchero granulare, miele o
caramelle sotto la lingua.
Se il paziente è privo di coscienza, è meglio non somministrare liquidi, ponete un pizzico di
zucchero in grani sotto la lingua, voltate la testa di lato o mettete il paziente in posizione laterale di
sicurezza.
Note particolari
In entrambe queste situazioni, conoscere se il paziente è diabetico o no è importante, per cui
devono essere cercate tutte le informazioni possibili come la presenza di tessera sanitaria o di
medagliette attestanti che il paziente è diabetico, farmaci quali insulina e così via.
Se il paziente è un diabetico noto o sospetto e non è possibile escludere che si tratti di ipoglicemia,
è sempre meglio somministrare zucchero. L’ipoglicemia può essere corretta rapidamente dalla
somministrazione di zucchero evitando in tal modo le complicanze più gravi. Nel caso fosse
peraltro in iperglicemia, la somministrazione di modeste dosi di zucchero non modificherà di certo
la situazione.
Pertanto nel dubbio, non abbiate incertezza, SOMMINISTRATE ZUCCHERO.
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CENNI DI TRAUMATOLOGIA
Tra i traumatismi che colpiscono l’apparato muscolo-scheletrico i più comuni e meno gravi sono la
contusione e la distorsione.
La contusione è la lesione delle parti cutanee e muscolari, dovuta alla pressione o all’urto di un
corpo estraneo, a cui consegue uno stravaso di sangue che può portare alla formazione di
ematomi senza che avvenga però la rottura della parete cutanea.
La parte contusa si presenta gonfia, di colorito rossastro che si modifica con il passare del tempo
per la trasformazione del sangue contenente emoglobina fuoriuscita dai vasi sanguigni.
Se lo stravaso di sangue è cospicuo si forma il cosiddetto ematoma, sacca contenente liquido
ematico che poi coagula ed a volta occorre incidere chirurgicamente per poterlo evacuare.
Se lo stravaso di sangue è di più modeste dimensioni e infiltra i tessuti senza raccogliersi in un
determinato punto, si forma invece l’ecchimosi che fa assumere alla cute un colorito rossastro, poi
bluastro e verdastro per le variazioni di colore dell’emoglobina, mano a mano che passa il tempo,
fino a ritornare normale a riassorbimento completato.
La distorsione è lo scostamento articolare temporaneo delle estremità delle ossa di una
determinata articolazione. A seconda dell’entità dello scostamento dei capi articolari, le distorsioni
si differenziano in tre gradi di gravità. L’articolazione più frequentemente colpita è la caviglia.
Le distorsioni, così come le contusioni, procurano dolore fisso, esacerbato dalla pressione, della
parte colpita.
Per essere sicuri di non nuocere, nel sospetto di una distorsione o di una contusione è sufficiente
fare queste due semplici cose:
• Immobilizzare e mettere a riposo l’arto colpito
• Applicare ghiaccio sulla parte lesa. Il ghiaccio blocca la reazione infiammatoria
conseguente al trauma ed evita così un eccessivo gonfiore e/o la formazione di grossi
ematomi, limitando lo stravaso di sangue. Il ghiaccio pertanto non ha alcun effetto curativo
di per sé, ma , se applicato in fase precoce, può limitare la reazione infiammatoria che
consegue al trauma contusivo e/o discorsivo riducendo il gonfiore e di conseguenza anche
il dolore.
• Non è utile , in fase acuta, massaggiare la parte lesa o applicare fonti di calore.
La lussazione è lo spostamento permanente delle estremità ossee di una articolazione per rottura
o lassità dei legamenti.
Le lussazioni più comuni sono quelle che interessano l’articolazione scapolo-omerale della spalla
(costituiscono circa la metà di tutte le lussazioni).
La seconda lussazione per frequenza è quella del gomito.
Solitamente il meccanismo più comune è quello di una caduta sul palmo della mano a gomito
flesso con lacerazione della capsula e spostamento in avanti dell’epifisi dell’omero.
Il gomito si presenta diffusamente tumefatto ed è atteggiato in semiflessione.
Le lussazioni post-traumatiche sono spesso associate a fratture dei capi ossei articolari.
La terapia delle lussazioni e la riduzione, che significa, il riportare nella naturale posizione i capi
articolari, ma questo atto deve essere compiuto da specialisti ortopedici , spesso sotto anestesia.
Nel sospetto di queste lesioni bisogna semplicemente fasciare e immobilizzare l’arto
rispettando l’atteggiamento assunto dopo il trauma. Occorre ovviamente togliere gli abiti dalla zona
interessata e, se necessario, tagliarli.
Nel caso della lussazione di spalla, è consigliabile sospendere il braccio al collo.
MAI tentare manovre di riduzione e cioè tentare di rimettere la parte interessata nella corretta
posizione.
Si possono fare dei danni seri se le manovre NON sono corrette.
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FRATTURE
Una frattura è un'interruzione della continuità di un osso che si verifica solitamente in seguito a un
evento traumatico.
Può essere diretta se si verifica nel punto del trauma o indiretta se avviene in una zona lontana:
per esempio una frattura di una vertebra in seguito a una caduta sui calcagni.
Ci sono poi anche delle fratture spontanee che non sono causate da un trauma, ma da un
cedimento delle ossa, soprattutto nelle persone molto anziane, per carenze di calcio o per malattie
come il rachitismo.
Una frattura può essere chiusa, se non c'è lacerazione del tessuto muscolare o cutaneo, o
esposta, quando un moncone lacera il tessuto esterno ed esce. In questi casi il trauma è molto
grave, c'è un grande pericolo di infezione: i tessuti ossei, infatti, normalmente non vengono mai a
contatto con i germi esterni che possono perciò costituire un grave pericolo e dare origine a serie
complicazioni.
A seconda di come un osso si spezza, una frattura può essere:
•
Incompleta : se soltanto una parte dell'osso si spezza;
•
Con spostamento: se i due monconi si spostano e non si trovano più allineati sullo
stesso asse;
•
Senza spostamento: se rimangono sullo stesso asse;
•
Comminuta: se l'osso si spezza in piccolissimi pezzi;
A legno verde : caratteristica dei bambini , quando per un'incompleta ossificazione l'osso si
piega e non si spezza completamente.
Frattura di tibia e perone
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Sintomi
In seguito a un trauma non sempre è facile riconoscere senza una lastra se si è in presenza di una
frattura o se più semplicemente si ha una distorsione o una lussazione.
In generale, tuttavia, la frattura provoca dolore violento, deformazione dell'arto, gonfiore, incapacità
funzionale e dei movimenti, tumefazioni ed ecchimosi.
Queste manifestazioni possono anche comparire alcune ore dopo il trauma e non
immediatamente.
ATTENZIONE
Le fratture, in particolare nei casi di politraumatizzati (presenza di molte fratture), possono
provocare stato di shock.
Intervento: proprio per la difficoltà di riconoscere una frattura senza una lastra radiografica, è
sempre consigliabile intervenire con prudenza e considerare l'infortunato un potenziale fratturato.
In generale, davanti a una frattura, è bene sdraiare ed immobilizzare l'infortunato evitando che si
muova e attendere il soccorso qualificato di personale dotato delle attrezzature di immobilizzazione
(steccobende, materassini a depressione, barelle a "cucchiaio").
Nel caso si dovesse procedere con mezzi di fortuna a immobilizzare l’osso o le ossa fratturate
bisogna ricordarsi che occorre immobilizzare l’articolazione sopra e sotto la lesione.
Fare attenzione, soprattutto nei casi di politraumattizzati, che l'infortunato non entri in uno stato di
shock e confortarlo.
Fratture della colonna vertebrale
In questo caso l'immobilizzazione è fondamentale per evitare che ci sia una
lesione del midollo spinale che può portare a morte, paralisi o danni
irreversibili.
Il soccorso richiede particolari tecniche di spostamento e particolari barelle
come la "cucchiaio" o il materassino a depressione, che immobilizzano
totalmente l'infortunato prima del trasporto.
Nello spostamento bisogna fare in modo che l'asse testa-collo-tronco non subisca spostamenti e
rimanga sempre rigido e in trazione. Se ciò non avviene si corre il rischio che una vertebra possa
provocare una lesione del midollo spinale.
Lesioni del midollo spinale
persone colpite da lesione midollare, con
Si stima che in Italia siano circa 75mila le
circa duemila nuovi casi all'anno.
La maggior parte delle lesioni ha origine traumatica (65% circa): gli incidenti stradali ne
rappresentano la causa più frequente, seguiti da cadute accidentali, infortuni sul lavoro, traumi
sportivi, ferite da arma da fuoco.
Le Unità Spinali sono delle unità operative complesse situate presso un ospedale sede di
Dipartimento di emergenza destinate all'assistenza delle persone con lesioni midollari di origine
traumatica e non, sin dal momento dell'evento lesivo con lo scopo di permettere alle persone con
lesione midollare di raggiungere il miglior stato di salute ed il più alto livello di capacità funzionali
compatibili con la lesione.
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Fratture delle coste
E' il risultato di un colpo violento sul torace, per caduta o per sfondamento, per esempio nel caso
di un incidente stradale.
Bisogna distinguere la frattura di una o qualche costa dallo sfondamento del torace, molto più
grave.
L'infortunato deve essere tenuto in posizione semiseduta per agevolare la respirazione, non
bisogna farlo parlare o tossire.
E' importante mantenerlo il più possibile immobile per evitare che i monconi delle coste possano
bucare i polmoni o ledere altri apparati vitali.
Frattura del bacino
L'infortunato lamenta forti dolori all'anca, all'inguine o al coccige.
Non bisogna mai metterlo in posizione seduta, per evitare lesioni interne, mantenendo il ferito
supino e immobile.
Poiché in questi casi c'è il rischio di una frattura della parte terminale della colonna vertebrale, è
opportuno chiamare soccorsi qualificati.
ATTENZIONE: questo tipo di frattura porta frequentemente allo stato di shock.
IL TRAUMA CRANICO
Il colpo alla testa, specialmente se violento, può causare la
frattura delle ossa del cranio, ma l’evento più pericoloso è senza dubbio la possibilità che venga
lesionato l’encefalo, in particolare che si verifichi una contusione endocranica o una lesione dei vasi
sanguigni con formazione di ematomi. Gli ematomi, espandendosi, possono comprimere l’encefalo
causando gravi alterazioni delle funzioni vitali.
Si sa peraltro che non esiste una relazione tra frattura cranica e decorso clinico : spesso traumi con
lunghe rime di fratture decorrono brillantemente senza alcuna complicanza, mentre traumi cranici
radiologicamente negativi hanno una prognosi infausta.
Sappiamo anche che traumi cranici al momento clinicamente asintomatici, possono presentare
evidenza clinica anche a distanza di mesi.
Per questi motivi, quando si verifica un trauma cranico è sempre necessario trasportare
l’infortunato al Pronto Soccorso dell’Ospedale perché le alterazioni più gravi si possono verificare
anche dopo molte ore dall’incidente.
In tutti i Pronto Soccorso esistono oggi delle linee guida, sia per l’adulto che per il bambino, che
prevedono un periodo di osservazione, ospedaliero o domiciliare a seconda della valutazione del
medico.
Nel caso l’infortunato sia inviato a domicilio, vengono fornite delle raccomandazioni da seguire e il
numero di telefono dell’ospedale da contattare al più presto nel caso insorgessero sintomi ( come il
vomito o alterazioni dello stato di coscienza, come assopirsi o addormentarsi).
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FERITE E EMORRAGIE
Una ferita è un'interruzione della continuità della cute o delle mucose con danneggiamento dei
tessuti sottostanti.
Viene definita ferita superficiale se interessa solo i primi strati della cute, profonda se interessa
muscoli, ossa o organi interni, penetrante se l'azione traumatica raggiunge cavità anatomiche
come l'addome o il torace.
Le ferite vengono anche distinte e classificate a seconda di come si presentano.
Si ha un'abrasione quando un corpo tagliente danneggia o asporta i primi strati della cute.
Un'escoriazione è dovuta invece a corpi contundenti irregolari, come le ferite da strisciamento,
che possono presentare schegge di legno, terriccio e altre piccole particelle che devono essere
rimosse.
Le ferite da punta, dovute a spilli, chiodi, schegge o altro, sono quelle che penetrano nella cute
perpendicolarmente.
Le ferite da taglio sono provocate da vetri, coltelli e lamine.
Le ferite lacere avvengono per strappamento della cute.
Le ferite lacero contuse sono infine provocate da botte o contusioni che includono una
lacerazione della pelle ma anche la presenza di ematomi e ecchimosi.
Cosa fare ?
Di fronte a una ferita bisogna operare in ambiente il più possibile sterile ed osservare tutte le
norme di igiene e disinfezione. Nello stesso tempo il soccorritore deve prestare attenzione anche
alla propria salute. Il sangue è un potenziale veicolo per la trasmissione di numerose malattie: è
necessario proteggersi dal contatto diretto col sangue mediante l'uso di appositi guanti in lattice.
ATTENZIONE: in caso di perforazioni non rimuovere mai gli oggetti estranei ma immobilizzarli.
L'estrazione deve infatti essere fatta sotto controllo medico perché può aggravare notevolmente
l'emorragia.
ATTENZIONE alle complicazioni delle ferite.
Attraverso le ferite spore, batteri e virus possono penetrare all'interno dell'organismo e moltiplicarsi
velocemente creando infezioni e altre complicazioni. Il nostro corpo produce appositi anticorpi per
difendersi da questi inconvenienti, ma talvolta non sono sufficienti.
Nel caso di piccole ferite:
lavare abbondantemente la ferita con acqua e sapone e rimuovere eventuali corpi estranei come
terra o schegge.
Disinfettare la ferita con acqua ossigenata. Evitare l'uso di alcol (utile invece per sterilizzare) o
della tintura di iodio, sostanze nocive se applicate direttamente sulle ferite.
Ricoprire la ferita con garze sterili.
IL TETANO
Il tetano è una grave malattia causata dall’azione di una tossina prodotta da batteri (clostridi del
tetano) che vivono nel suolo o nell'intestino degli animali.
La malattia può essere mortale nel 20- 30% circa dei casi.
Il tetano deriva spesso da una ferita occorsa ad una persona non adeguatamente vaccinata.
L'infezione tetanica produce violente contrazioni muscolari, chiamate spasmi. Altri sintomi possono
essere febbre, sudorazione, ipertensione arteriosa e tachicardia.
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La profilassi attiva ( vaccinazione)
Si effettua con il vaccino antitetanico, disponibile in Italia dai primi anni quaranta, costituito dalla
tossina tetanica resa innocua mediante procedimenti chimici che conserva però la sua capacità di
stimolare la produzione di anticorpi protettivi.
ll vaccino antitetanico è solitamente combinato con il vaccino antidifterico, al quale si accomuna
per modo e calendario di somministrazione, e con il vaccino antipertossico acellulare (DTaP).
Per l'immunizzazione dei nuovi nati, di solito oggi, viene utilizzato il vaccino esavalente che oltre a
proteggere contro il tetano previene anche la difterite, la poliomielite, l’epatite virale B, la pertosse
e le infezioni invasive da HIB ( Haemophylus Influenzae tipo B).
La vaccinazione antitetanica, a ciclo di base ultimato, conferisce una protezione pressoché totale:
efficacia del 100%.
La durata della protezione nel tempo è molto lunga, almeno 10 anni, ed è ulteriormente garantita
dall'esecuzione dei richiami.
La profilassi passiva ( immunoglobuline)
La profilassi passiva si effettua mediante le immunoglobuline antitetaniche se non siete vaccinati o
se avete dubbi sui richiami.
Anche in questo caso è una semplice iniezione intramuscolare, ma il farmaco è diverso: si tratta di
immunoglobuline antitetaniche, ovvero di anticorpi già pronti, che offrono una protezione
immediata e della durata di qualche settimana.
Le attuali immunoglobuline antitetaniche sono ottenute con sofisticate metodologie da un pool di
plasma raccolto da donatori selezionati e controllati accuratamente.
Il rischio di trasmissione di agenti infettivi viene definito quasi esclusivamente di tipo teorico
statistico, cioè bassissimo in quanto il farmaco appartiene alla famiglia degli emoderivati.
Il paziente esposto al trattamento con emoderivati deve, a norma di legge, essere correttamente
informato dal medico dei rischi connessi alla terapia o, viceversa, derivati dal non trattamento
LE EMORRAGIE
Per emorragia si intende la fuoriuscita di sangue dai vasi. Qualsiasi causa (sia essa traumatica,
infiammatoria, neoplastica) che sia in grado di ledere le pareti dei vasi o la parete del cuore
interrompendone la continuità provoca EMORRAGIE e cioè la fuoriuscita del contenuto ( sangue)
dal contenente ( cuore o vasi).
Le emorragie possono essere distinte in:
• Emorragie esterne: caratterizzate dal fatto che il sangue fuoriesce dal nostro corpo
attraverso una ferita ( in genere traumatica).
•
Emorragie interne: il sangue rimane all’interno del nostro corpo, non più nei vasi, ma fuori
di essi; tuttavia si versa in grandi quantità ( cavo pleurico, cavo peritoneale) attorno ai
focolai di .frattura, ma noi non siamo in grado di vederlo. Le emorragie interne possono
avvenire sia per fattori traumatici, che per altri fattori, infettivi, neoplastici, tossici).
•
Emorragie esteriorizzate: l’emorragia avviene all’interno di un organo che comunica
all’esterno attraverso un orifizio naturale, come naso, bocca, orecchie, ano, vagina. Anche
in questo caso i fattori causali possono essere di vario tipo.
Una emorragia può essere distinta in:
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•
Arteriosa: se è lesa una arteria, specie se di grosso calibro, il sangue esce con pressione
intermittente, isocrona con le pulsazioni cardiache, ed è di colore rosso vivo, in quanto
ossigenato.
•
Venosa: il sangue fuoriesce a bassa pressione con un getto debole e continuo, o cola
lungo la ferita o lungo il corpo e appare di colore rosso scuro.
Azioni di primo soccorso
Sovente il ferito emorragico grave è alla mercé del primo che passa. E’ quindi importante che
chiunque conosca almeno i primi rudimenti di pronto soccorso da applicare nei casi di emorragia
esterna.
Per prima cosa è necessario porre l'infortunato in posizione orizzontale in attesa dei soccorsi.
Quindi bisogna arginare come possibile l’emorragia esercitando una forte compressione sulla ferita
o al di sopra di essa, interponendo possibilmente tra la ferita e le dita della mano un fazzoletto
piegato o altro materiale di tela pulito. Se, dopo qualche minuto l’emorragia cessa o diminuisce
sensibilmente, sarà sufficiente proseguire con la compressione.
Se l’emorragia persiste, è facile che sia lesa una grossa arteria ed, in questo caso, la
compressione manuale nel sito della ferita può non essere sufficiente.
Occorre perciò comprimere il grosso vaso che si trova a monte della ferita.
Solo in questo modo si può tentare di interrompere almeno temporaneamente il flusso di sangue
che il cuore pompa verso la zona lesa .
Quest' intervento va fatto subito altrimenti la persona muore dissanguata in pochi minuti.
I punti di compressione a distanza (vedi grafico) hanno lo scopo di controllare le gravi emorragie
e non sono localizzati sul punto della ferita stessa ma tra questa ed il cuore.
Solo così è possibile tentare di interrompere e quindi di bloccare almeno temporaneamente il
flusso di sangue pompato dal cuore verso la zona lesa.
Nelle manovre di compressione per quanto riguarda collo ed arto superiore, la posizione
dell'infortunato deve essere seduta o semisdraiata perché il sangue arterioso arriva dal cuore ed è
diretto quindi verso l'alto.Negli altri casi è bene che il ferito stia supino.
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Uso del laccio emostatico
In tutti i casi di ferita agli arti è possibile adoperare il laccio emostatico ma occorre sempre tener
presente che il suo uso è molto rischioso perché viene a privare tutti i tessuti a valle di ogni
apporto di ossigeno.Normalmente si usa un tubo di gomma o di altro materiale elastico; si possono
usare anche ampie strisce di stoffa o cinture di cuoio; sono da bandire i materiali rigidi: spago,
nylon, fili di ferro ecc. e si applica a cappio, ad ansa.
Indicazione: i applica solo al braccio ed alla coscia ed in uno dei seguenti casi:
•
•
•
•
•
amputazione o semiamputazione di un arto;
emorragia inarrestabile in caso di insuccesso della compressione manuale dell'ascella o
del braccio, dell’ inguine o della coscia;
schiacciamento di un arto (in questo caso occorre mettere un laccio prima di togliere il peso
che gravando sull'arto aveva l'effetto di bloccare anche un’eventuale emorragia);
fratture esposte sulle quali è poco prudente esercitare manovre di compressione;
quando i feriti sono molti ed i primi soccorritori sono in pochi.
Regola generale: segnare sempre l'ora in cui il laccio viene applicato perché la sua permanenza
troppo prolungata può essere dannosissima. Alla sua rimozione deve essere sempre presente un
medico.
Ferite al torace
Possono essere molto gravi se interessano il polmone.
Se l'agente lesivo è in sede non rimuoverlo, altrimenti tamponare, tenere l'infortunato in posizione
semiseduta e chiamare i soccorsi.
Ferite all'addome
In questo caso si corre il pericolo di essere in presenza anche di emorragie interne. E' necessario
chiamare i soccorsi.
Non bisogna mai rimuovere i corpi estranei. Se questi non sono più in sede è utile fasciare la
parte. ATTENZIONE: non dare mai da bere all'infortunato anche se lo richiede insistentemente.
Se fuoriesce l'intestino non cercare di farlo rientrare, ma ricoprire le viscere con teli sterili e
mantenere l'infortunato in posizione semiseduta.
LE AMPUTAZIONI
Con questo termine si intende la perdita completa di un segmento anatomico per distacco dal resto
del corpo.
In questi casi bisogna essere molto tempestivi se vogliamo tentare di recuperare il segmento
perso.
L’azione di primo soccorso consiste nel:
• Fermare l’emorragia alla radice della parte amputata con un laccio emostatico.
•
Tamponare il moncone con garza imbevuta di disinfettante.
•
Custodire il moncone amputato in un sacchetto e chiuderlo ed inserirlo in ghiaccio per
l’eventuale recupero con intervento chirurgico.
•
Far trasportare il soggetto infortunato al luogo di assistenza più vicino.
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Traumi agli occhi
I traumi profondi o di notevole entità possono portare alla lacerazione delle strutture oculari e
anche alla frattura della parete ossea e vanno considerati come traumi cranici.
Tra i traumi più lievi che interessano le parti più esterne dell'occhio (palpebra e congiuntiva) o
quelle deputate alla funzione visiva (cornea e cristallino) ricordiamo la penetrazione di corpi
estranei e il contatto con sostanze tossiche.
I sintomi sono caratterizzati da:
•
Dolore acuto e improvviso all’occhio interessato
•
Arrossamento e lacrimazione
•
Fastidio alla luce
•
Contrazione delle palpebre
Nel caso della penetrazione da corpo estraneo si avrà anche:
•
Sensazione di corpo estraneo
•
Distorsione della vista nei casi più gravi
Cosa fare ?
Nel caso del contatto degli occhi con sostanze tossiche occorre:
•
Lavare con abbondante acqua a getto continuo per almeno 3-5 minuti tenendo divaricate le
palpebre.
•
Mettere un tampone sull’occhio.
Nel caso di penetrazione di un corpo estraneo:
•
Non strofinare l’occhio (per non causare una lesione più grave).
•
Attendere se le lacrime fanno uscire il corpo estraneo in modo spontaneo.
•
Lavare l'occhio con acqua agendo dall'angolo interno (dal naso) verso l'esterno.
•
Se il corpo estraneo non è stato rimosso dalla lacrimazione o dall’acqua ed è rimasto
conficcato nell’occhio è preferibile consultare un medico e non cercare di rimuoverlo. Se
possibile cercare di porre una medicazione sterile su entrambi gli occhi per ridurre così al
minimo i movimenti dei bulbi oculari, che possono aggravare la situazione.
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LE USTIONI
L'ustione è una lesione dei tessuti (specie pelle e strati profondi) provocata dal contatto diretto col
fuoco, con liquidi bollenti o con sostanze chimiche, quali gli acidi, le basi forti e i solventi, ma
anche da eccessiva esposizione al sole o da una folgorazione.
Le ustioni vengono divise in tre tipi, a seconda della loro gravità:
• primo grado (la più lieve) interessa solo lo strato superficiale della cute, l’epidermide . La
pelle appare semplicemente arrossata e da luogo a un dolore bruciante ma sopportabile;
guarisce senza cicatrice.
•
•
secondo grado l'ustione oltre all’epidermide colpisce anche lo stato sottostante chiamato
derma . Questo tipo di ustione rende la pelle gonfia, dolente, arrossata e cosparsa di
vescicole piene di liquido ( bolle contenenti siero).
terzo grado (la più grave) caratterizzata dalla distruzione di tutti i tessuti che costituiscono
il sottocute ( oltre il derma e l’epidermide, anche il grasso e i muscoli sottostanti). In questi
casi la pelle appare annerita e letteralmente carbonizzata.
Sintomi
La gravità di un ustione è proporzionale alla sua estensione, ma l’interessamento di zone delicate
quali viso, le mani o i piedi e l’area genitale fanno assumere all’ustione il carattere di gravità a
prescindere dalla sua estensione.
Se supera il 50% della superficie corporea, le possibilità di sopravvivenza sono deboli.
Per il 30-40% le condizioni sono gravissime mentre, intorno al 20%, anche se la situazione è
grave, non ci sono gravi rischi di vita.
Per valutare l’estensione dell’ustione si usa la cosiddetta regola del 9 i cui valori sono riportati, ma
relativi alle persone adulte:
Testa:
9%
Arto superiore
9%
Tronco:
36%
Arto inferiore:
18%
L'ustionato, soprattutto se l’estensione è notevole, presenta dei dolori e dei bruciori violentissimi,
spesso viene trovato urlante e incapace di esprimere quanto gli è successo.
Le parti ustionate si possono presentare fortemente arrossate, con evidente lacerazione dei
tessuti e della cute, talvolta possono anche essere carbonizzate .
Intervento
La vittima di una ustione, oltre i segni facilmente riconoscibili di lesioni cutanee, dal semplice
arrossamento, alle bolle, alla formazione di escare dure nelle ustioni profonde ( nel linguaggio
comune l’escara, cioè il tessuto morto, necrotico, è chiamata crosta), presenta sempre, in modo
più o meno grave, segni di shock.
Tenete presente che la possibilità di guarigione, la limitazione dei danni e la sopravvivenza di un
ustionato sono strettamente legati alla qualità del primo soccorso.
Le norme fondamentali da tenere a mente sono di per sé semplici e di facile applicazione e
permettono ai soccorritori di impedire aggravamenti e di trasportare l’infortunato nelle migliori
condizioni possibili:
1) Arrestare al più presto l’azione lesiva del calore utilizzando acqua fredda che deve
essere versata abbondantemente sulle regioni ustionate ed anche sulle zone limitrofe e
altre parti del corpo che apparentemente non appaiono lese. Non di rado infatti ci si
accorge in un secondo tempo della presenza di cute lesa in sedi distanti dalle regioni che
appaiono subito chiaramente compromesse. Meglio irrorare quindi con acqua fredda tutto il
corpo. All’azione del calore che , come detto provoca una dilatazione dei vasi sanguigni
con fuoriuscita di liquidi, deve essere contrapposta una azione vasocostrittrice per limitare i
danni. L’acqua rappresenta il mezzo più facilmente e rapidamente a portata di mano del
21
soccorritore. Inoltre un abbondante risciacquo con acqua fredda, consente di allontanare
dalla cute l’eventuale agente ustionante ( acqua della pasta, caffè ecc. ).
2) Eliminare gli abiti che ricoprono la zona lesa che andranno tagliati e comunque rimossi
con estrema delicatezza evitando di toccare con le mani le zone ustionate. Gli abiti non
devono essere sfilati in quanto, con tale manovra, si può strappare lo strato della cute
ustionata, il che provoca sanguinamento, facile infezione della parte. E quindi aggravare la
situazione. Quindi gli abiti a contatto con l’ustione è preferibile non toccarli.
3) Avvolgere l’infortunato in teli e lenzuoli puliti. Bisognerebbe sempre cercare di operare in
ambiente il più possibile sterile in quanto le ustioni sono molto soggette alle infezioni.
L’ideale sarebbe avvolgere le parti lese in lenzuolini sterili non adesivi.
4) Chiamate i soccorsi se l’ustione è grave e estesa, controllate respirazione e polso e
ponete l’infortunato in posizione antishock.
Esempi di trattamento
Per le ustioni di 2° grado è consigliabile lavare immediatamente la parte con acqua fredda:
agendo tempestivamente si possono evitare le successive formazioni di bolle.
Se queste si manifestano non vanno mai bucate, a contatto con l'aria la parte lesa rischia di
infettarsi.
Le ustioni di 3° grado caratterizzate dalla formazione di tessuto necrotico si detergono anch’esse
con soluzione fisiologica sterile e applicazione di garze grasse sterili. Normalmente l’escara viene
eliminata per evitare l’infezione sottostante e facilitare la ricrescita del tessuto sano che lascerà
una cicatrice permanente.
La perdita di liquidi associata all’ustione è proporzionale all’estensione dell’ustione stessa. I
liquidi persi devono essere reintegrati con soluzione fisiologica tramite fleboclisi.
Avvertenze particolari
• Nelle ustioni da sostanze chimiche bisogna cercare di capire di quale sostanza si tratta
per poter agire in modo corretto. Se si formano bolle contenenti liquido, queste possono
essere aspirate con una siringa sterile per evitare che l’agente ustionante presente in
alta concentrazione nel liquido della bolla continui ad agire sulla cute lesa.
• Nel caso siano colpiti gli occhi occorre sciacquare abbondantemente con acqua fredda
per almeno 10 minuti o fino a che il dolore non sia passato.
• Nelle ustioni da corrente elettrica, bisogna sospendere l’erogazione di energia elettrica
staccando l’interruttore o allontanando l’infortunato usando del materiale isolante.
COSA NON FARE
1) Non toccare con le mani le zone ustionate, per evitare le infezioni.
2) Non applicare olio, albume d’uovo, pomate di qualsiasi preparato a base di grasso che
creano uno strato isolante che permette al calore di continuare la sua azione distruttiva
sulla cute. L’applicazione di qualunque pomata fa correre il rischio di inquinare l’ustione.
Trasporto dell’infortunato
L’infortunato deve essere posto sulla barella in modo da consentirgli il maggior conforto possibile,
facendo estrema attenzione che le zone lese non vengano compresse. Il trasporto deve essere
sollecito, ma non precipitoso perché è fondamentale evitare al paziente tensione e paura che
aumentano la gravità dello shock.
Se vi è il sospetto che l’ustione abbia colpito le vie respiratorie, come nel caso di una fiammata sul
viso per cui l’infortunato può aver inalato aria infuocata, durante il tragitto è opportuno
somministrare ossigeno mediante occhialini nasali.
Meglio non adoperare la maschera facciale che può ledere o infettare il viso dell’ustionato.
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LESIONI DA CALORE
Cenni di fisiologia della termoregolazione
Il corpo genera calore in conseguenza dei processi chimici che si svolgono all’interno
dell’organismo.
Una certa quantità di questo calore è necessaria per mantenere a livelli normali la temperatura
corporea (termoregolazione).
Il calore generato dai processi metabolici non utilizzato deve essere disperso altrimenti si crea una
situazione di ipertermia, cioè una temperatura corporea troppo alta che, se non trattata, può
essere molto pericolosa e portare a morte.
Il calore corporeo eccessivo viene eliminato attraverso i polmoni e attraverso la pelle ( i due organi
della termoregolazione ) mediante i seguenti meccanismi:
1. Respirazione: l’aria che espiriamo ( cioè che buttiamo fuori) è calda. Se il corpo si
surriscalda la frequenza respiratoria aumenta nel tentativo di disperdere il calore in
eccesso. Questo meccanismo è il principale meccanismo di termoregolazione nel cane.
2. Irraggiamento: il calore viene ceduto all’atmosfera dalla pelle sotto forma di radiazioni
termiche.
3. Evaporazione: una parte del calore evapora dalla pelle
4. Perspirazione:
si realizza attraverso le ghiandole sudoripare situate nel derma.
L’evaporazione del sudore raffredda la pelle ed il calore diminuisce. Si deve considerare
che la perspirazione avviene anche quando non si avverte di essere sudati ( perspiratio
insensibilis).
5. Conduzione: Il calore viene ceduto direttamente al mezzo circostante in cui ci troviamo
(aria o acqua).
Quando l’esposizione al sole è eccessiva o attività che richiedono un notevole consumo di energia
si prolungano nel tempo, i meccanismi di termoregolazione possono essere insufficienti per
mantenere costante la temperatura corporea e c’è la possibilità che insorgano degli inconvenienti,
dai meno gravi , come ad esempio i crampi muscolari, ai più gravi come il colpo di calore.
Per comodità di esposizione, anche se in realtà si tratta dello stesso processo fisiopatologico, si è
soliti distinguere due urgenze causate dall’esposizione al calore eccessivo: colpo di sole (detto
anche collasso da calore) e il colpo di calore.
COLPO DI SOLE ( O COLLASSO DA CALORE)
Il tipico paziente colpito da collasso da calore è un individuo sano che si è esposto ad un calore
eccessivo durante il lavoro oppure ha compiuto uno sforzo eccessivo per cui ha perso quantità di
liquidi e sali attraverso la sudorazione.
Questa condizioni può evolvere fino a sfociare nella condizione più grave chiamata colpo di calore.
I principali segni e sintomi sono:
•
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Respirazione rapida e superficiale
Polso debole
Pelle fredda e appiccicosa
Perspirazione abbondante
Debolezza generalizzata
Vertigini
Talvolta perdita di coscienza
Cosa fare ?
• Spostare il paziente in luogo fresco vicino.
• Mantenere il paziente a riposo.
• Togliere una parte dell’abbigliamento in modo da rinfrescarlo senza raffreddarlo ( facendo
attenzione alla comparsa di brividi).
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•
•
•
Ventilare la cute del paziente.
Somministrare acqua e soluzioni di elettroliti se cosciente.
Se non si riprende velocemente o addirittura è incosciente trasportatelo il più velocemente
possibile verso una struttura medica.
COLPO DI CALORE
In questa condizione, più grave, l’organismo non riesce a disperdere il calore in eccesso per una
alterazione dei meccanismi di regolazione della temperatura corporea.
In conseguenza della perdita di liquidi e sali causata dal calore il soggetto può cessare di sudare.
Gli atleti, gli operai e tutti coloro che fanno sforzi in ambienti caldi sono facilmente soggetti a colpi
di calore.
Anche gli anziani che vivono in ambienti scarsamente ventilati e i bambini sono vittime frequenti
dei colpi di calore. Sia l’esposizione al caldo umido che a quello secco può provocare il colpo di
calore, così come l’esposizione a calore prodotto da altro fonti diverse dal sole.
I principali segni e sintomi sono:
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•
Respirazione profonda che successivamente diventa superficiale.
Polso prima rapido e pieno e successivamente rapido e debole.
Cute secca e molto calda.
Pupille dilatate.
Perdita i coscienza ( rischio di coma).
Crisi convulsive o spasmi muscolari.
Terapia d’urgenza
•
Raffreddare il paziente in qualsiasi modo, ma rapidamente allontanandolo dal sole o dalla
fonte di calore, togliere gli abiti e avvolgerlo in panni umidi e versare acqua fredda sui
panni. La temperatura corporea deve essere abbassata velocemente per evitare danni alle
cellule cerebrali.
•
Se si dispongono di borse del ghiaccio o confezioni di ghiaccio sintetico avvolgetele in un
panno e ponetelo sotto le ascelle, sotto le ginocchia, sull’inguine, sui polsi, sulle caviglie e
ai lati del collo del paziente.
•
Procedete al trasporto il più velocemente possibile verso una struttura sanitaria.
•
Curate lo shock e se avete la possibilità somministrate ossigeno.
•
Durante tutti i processi continuate a monitorare i parametri vitali.
24
LESIONI DA FREDDO
Le urgenze causate dal freddo possono essere la conseguenza di un raffreddamento localizzato e
interessare regioni particolari del corpo ( congelamento) oppure di un raffreddamento generale che
interessa il corpo intero ( ipotermia o assideramento).
Cenni di fisiopatologia
Il corpo può perdere calore per conduzione, cioè in seguito al trasferimento diretto di calore da un
corpo caldo a un ambiente circostante freddo oppure per convezione, cioè attraverso il contatto
tra aria atmosferica e superficie corporea.
Alcune variabili sia legate alle condizioni atmosferiche, quali temperatura, vento, acqua, altre
legate allo stato del paziente, quali zone del corpo esposte, indumenti, età, durata dell’esposizione,
possibile abuso di alcol o farmaci condizionano i meccanismi di difesa dell’organismo al freddo
aggravandone o meno il tipo di lesione tessutale.
Quando una zona del corpo è esposta all’aria o a liquidi particolarmente freddi, la circolazione
sanguigna in quella zona si riduce in seguito alla costrizione dei vasi sanguigni. In questo caso i
tessuti non ricevono abbastanza sangue e quindi calore per impedire il congelamento. E’ possibile
che all’interno della cute si formino dei cristalli di ghiaccio. Nei casi più gravi può subentrare la
morte delle cellule, con conseguente gangrena ( distruzione dei tessuti) che spesso provoca la
perdita della parte colpita.
CONGELAMENTO
E' il raffreddamento localizzato di alcune parti del corpo dovute all'esposizione a basse
temperature. In genere sono colpite le estremità, quali le dita (delle mani e dei piedi), la punta del
naso, le guance e le orecchie.
Si distinguono in genere tre gradi di congelamento:
• Iniziale o principio di congelamento: questa condizione non è grave, il danneggiamento
dei tessuti è lieve e la risposta dell’organismo all’intervento è buona. La cute appare
inizialmente arrossata, poi bianca, la superficie cutanea e i tessuti sotto la pelle sono
morbidi.
La terapia consiste nell’allontanare il paziente dall’ambiente freddo, scaldare la zona
cutanea colpita (sfruttando il calore delle mani, soffiando aria calda sulla parte colpita o,
nel caso siano coinvolte le dita, tenendole sotto le ascelle).
• Superficiale : vengono interessati sia la cute che gli strati sottocutanei. La superficie
cutanea appare bianca cerea e rigida, ma i tessuti sotto la pelle sono ancora morbidi e
mantengono la normale elasticità.
• Profondo: vengono anche le strutture profonde del corpo ( muscoli, ossa, vasi sanguigni
profondi). La pelle appare a chiazze, biancastra ma tendente al giallo-grigio e poi al grigioblu. La superficie cutanea e i tessuti sotto la pelle diventano rigidi. Il congelamento porta a
un progressivo arresto della circolazione del sangue nella parte colpita, assenza completa
di sensibilità, la pelle è cianotica, si formano delle bolle (prima sierose poi emorragiche) e si
avvertono dolori molto intensi. Infine, il blocco della circolazione nella parte interessata,
determina l’insorgenza di fenomeni necrotici (morte) nei tessuti, fino alla perdita della
parte.
Il trattamento del congelamento superficiale e profondo è analogo:
• Procedete immediatamente al trasporto in ospedale proteggendo la zona congelata e
coprendo la lesione con molta delicatezza.
• Nel caso il trasporto dovesse essere ritardato, portate il paziente al coperto, proteggetelo
da vento e umidità e mantenetelo al caldo. Togliete gli indumenti bagnati e asciugate la
parte con delicatezza. Se non è possibile l’intervento medico riscaldate la zona colpita,
essendo però consapevoli che il riscaldamento delle parti congelate è raccomandato solo
di rado essendo elevato il rischio di danneggiare i tessuti in maniera permanente. Occorre
avere un contenitore in cui riscaldare l’acqua e un secondo contenitore per immergere la
25
parte lesa senza che ‘arto tocchi i lati o il fondo di questo contenitore. Se non riuscite a
trovare un contenitore adatto si può utilizzare una borsa di plastica sostenuta da una
scatola di cartone o da una cassetta di legno.
•
Cosa non fare: non sfregate mai la zona congelata utilizzando la neve dal momento che
vi sono dei cristalli di ghiaccio a livello dei capillari che in seguito a uno sfregamento
potrebbero danneggiare gravemente i tessuti già lesi. Evitate il riscaldamento con fonti di
calore secco (fuoco, stufa, marmitta auto ecc. ). Evitate la perforazione delle bolle. Non
consentitegli di fumare in quanto il fumo causa un restringimento dei vasi sanguigni,
riducendo ulteriormente la circolazione nei tessuti danneggiati. Analogamente non
permettetegli di assumere bevande alcoliche.
ASSIDERAMENTO O IPOTERMIA
E' il raffreddamento di tutto il corpo (sotto i 35°C) dovuto all'esposizione prolungata a basse
temperature. Vi è diminuzione della temperatura corporea (3°C ogni ora), da cui deriva una
progressiva e marcata riduzione delle funzioni vitali.
Sintomi
Per semplicità descrittiva si è soliti distinguere la fase iniziale dell’assideramento, da una seconda
fase e dalle fasi avanzate che non sono altro che la testimonianza del progredire delle funzioni
vitali nel caso perduri lo stato di ipotermia.
La fase iniziale è caratterizzata da:
• accentuato pallore del viso e del corpo
• presenza di brividi e agitazione
• polso accelerato e respiro rapido
• dolori articolari e muscolari
Nella seconda fase compaiono:
• difficoltà o scarsa coordinazione nei movimenti
• stato di confusione o sonnolenza
• polso aritmico e respiro rallentato
• rigidità muscolare
Fasi avanzate
Se l'esposizione al freddo continua e la temperatura corporea scende al di sotto dei 30°C si
verifica uno stato di incoscienza e le funzioni vitali sono estremamente rallentate, e peggiorano
inesorabilmente fino alla completa assenza e all'arresto cardiaco.
Trattamento
Il comportamento da tenersi non differisce da quello descritto per il congelamento. Occorre
portare l'infortunato in un ambiente riscaldato, o riparato da vento e umidità e spostarlo sempre
con movimenti lenti mantenendolo in posizione orizzontale. E’ bene anche sostituire gli indumenti
bagnati con altri asciutti e caldi, somministrare bevande calde, se possibile ossigeno e provvedere
al ricovero in ospedale.
Da evitare l'innalzamento della temperatura troppo rapido, la somministrazione di bevande
alcoliche, i massaggi alle estremità.
26
INCIDENTI IN ACQUA
L’annegamento è la prima cosa a cui si pensa ( e deve costituire la preoccupazione principale)
quando si parla di incidenti in acqua. Tuttavia sull’acqua o nell’acqua possono verificarsi molti tipi
di lesioni. Gli incidenti in barca, lo sci nautico, l’uso del windsurf, le moto d’acqua, i tuffi e le
immersioni possono causare fratture ossee, emorragie lesioni ai tessuti molli nonché ostruzione
delle vie respiratorie.
Persino in caso di incidente automobilistico è possibile che il veicolo finisca in acqua, e che i
passeggeri riportino, oltre le lesioni tipicamente associate a questo tipo di incidente, anche quelle
legate alla presenza dell’acqua
Urgenze di natura medica, per esempio un attacco cardiaco, possono inoltre causare o essere
causati da incidenti correlati all’acqua o semplicemente verificarsi in acqua, sull’acqua o in
prossimità dell’acqua.
Ricordate inoltre che alcuni incidenti correlati all’acqua si verificano ben lontani dalle piscine, dai
fiumi, dalle spiagge. Una persona può annegare anche nel vasca da bagno. Si può anche
annegare in pochi centimetri di acqua.
In presenza i una vittima di un incidente collegato all’acqua ricordate e verificate l’esistenza di:
•
Ostruzione delle vie aeree: può derivare dalla presenza di acqua nei polmoni, di materiale
estraneo nelle vie aeree o da un rigonfiamento dei tessuti delle vie aeree ( frequente nel
caso di lesioni al collo come conseguenza di un tuffo). Inoltre in situazioni con principio di
annegamento possono essere presenti spasmi delle vie aeree. L’arresto cardiaco, spesso
conseguente all’arresto respiratorio, si può verificare prima del principio di annegamento.
•
Attacco cardiaco: può verificarsi a seguito di una sforzo eccessivo. Il dolore toracico
insorto in acqua deve sempre essere considerato di natura cardiaca. Non fate l’errore di
attribuirlo ad esempio a crampi muscolari della parete toracica.
•
Lesioni alla testa e al collo: si possono verificare per incidenti avvenuti in barca, durante
lo sci acquatico o nel tuffarsi.
•
Lesioni interne: bisogna sempre pensare alla possibile esistenza di fratture ossee, lesioni
ai tessuti molli ed emorragie interne.
•
Ipotermia: non è necessario che l’acqua sia molto fredda e che la permanenza sia
prolungata perché si verifichi l’ipotermia. In alcuni casi di principio di annegamento il
paziente può avere maggiori possibilità di sopravvivenza in acqua fredda.
•
Abuso di alcol e droghe: è strettamente associato ad incidenti che provocano
l’annegamento in adolescenti e adulti. Livelli elevati di alcol nel sangue vengono riscontrati
in oltre il 30 % delle vittime di annegamento.
•
Annegamento e principio di annegamento ( semi-annegamento): la fase iniziale
dell’annegamento comincia quando una persona lotta per mantenersi a galla. Il soggetto
mentre si dibatte nell’acqua aspira grandi boccate d’aria. Quando non riesce più a
mantenersi a galla e comincia ad andare a fondo cerca di inspirare e tenere il fiato. In
questo momento è possibile che l’acqua entri nelle vie aeree. Il paziente tossirà e deglutirà
più volte e finirà involontariamente con inalare e inghiottire acqua. Quando l’acqua
attraversa
l’epiglottide,
genera
uno
spasmo
riflesso
della
laringe.
Questo laringospasmo occlude le vie aeree completamente, così che solo una quantità
minima di acqua raggiunge i polmoni. In breve tempo, in seguito all’ipossia, si verifica la
perdita di coscienza.
27
Circa il 10 % delle persone che annegano, muore in seguito ad asfissia, cioè soffoca per la
mancanza di aria. Negli altri casi, la vittima compie gli ultimi atti respiratori provocando l’entrata
dell’acqua nei polmoni mentre il laringospasmo diminuisce con contemporanea perdita di
coscienza.
Quello che accade di seguito dipende dal fatto che l’incidente si sia verificato in acqua salata o in
acqua dolce.
In caso di annegamento in acqua dolce, l’acqua, penetrata nel polmone, neutralizza quella
sostanza chimica presente sulla superficie interna degli alveoli ( surfactante), necessaria per
conservare l’elasticità dei polmoni. Quando il surfactante viene alterato, gli alveoli si collassano
rendendo impossibile lo scambio dell’aria. Successivamente insorge una aritmia cardiaca letale,
come la fibrillazione ventricolare. Questa aritmia che determina arresto cardiaco è la causa del
decesso in molti casi di annegamento in acqua dolce.
Negli annegamenti in acqua salata, la presenza di questa nei polmoni, provoca una diffusione di
liquidi dal sangue agli alveoli, causando edema polmonare massivo.
Perché si parla di principio di annegamento o semi-annegamento ? Ovviamente se il paziente
respira o vomita acqua, non è annegato, ma ha avuto un principio di annegamento. Questo è solo
parte di ciò che si intende con questo termine. Se la vittima è “annegata”, secondo la terminologia
del profano, non vuol dire che sia necessariamente morta dal punto di vista biologico.
Le tecniche di rianimazione possono riuscire a mantenere biologicamente in vita il paziente fino a
che non abbiano inizio le misure di sostegno vitale avanzato che consentano di salvargli la vita.
Solo quando è trascorso un lasso di tempo sufficiente da rendere inutile la rianimazione, si può
parlare di annegamento.
Si deve considerare che pazienti rimasti immersi in acqua fredda, possono essere rianimati anche
dopo 30 minuti o più di arresto cardiaco. Se la temperatura dell’acqua è inferiore ai 20° C. la morte
biologica può essere ritardata. Più l’acqua è fredda, maggiori sono le possibilità di sopravvivenza
del paziente a meno che l’ipotermia non produca complicanze letali.
Cosa fare
I fattori chiave che consentono di sopravvivere all'immersione sono: la durata dell'immersione, la
temperatura dell'acqua, l'età del soggetto (il riflesso da immersione è più attivo nei bambini) e la
celerità della rianimazione
Se si verifica semi-annegamento in acqua molto fredda, la vittima può andare incontro a ipotermia.
A causa del riflesso di immersione dei mammiferi e delle ridotte necessità metaboliche che si
associano all'ipotermia, si dovranno eseguire energici tentativi di rianimazione (specialmente nei
bambini), anche se sono stati in immersione per 1 h.
Se la vittima è in stato di apnea, si deve procedere immediatamente, perfino nell'acqua, alla
respirazione bocca a bocca. Se non si percepiscono il battito cardiaco e il polso carotideo, si dovrà
comunque iniziare il massaggio cardiaco esterno), che può essere effettuato solo a terra.
Se la vittima si è tuffata in acqua, si deve sempre sospettare una lesione traumatica della colonna
cervicale. Il collo della vittima deve essere mantenuto in posizione neutra, impedendo i movimenti
di flesso-estensione e si deve ripristinare la pervietà delle vie aeree esercitando una decisa
trazione sulla mandibola, senza iperestendere il collo o esercitare leve sul mento.
Il tentativo di far uscire l'acqua dolce dai polmoni è una perdita di tempo, perché questa, essendo
ipotonica, entra rapidamente in circolo, l'acqua di mare, al contrario è ipertonica e richiama plasma
nei polmoni, perciò se ne dovrebbe tentare il drenaggio: per questo scopo può essere utile la
posizione antideclive di Trendelenburg.
Le vittime di un semi-annegamento devono essere necessariamente ricoverate. La rianimazione
deve continuare durante il trasporto, a prescindere dalle condizioni del paziente, dal momento che
le lesioni polmonari e l'ipossia possono svilupparsi molte ore dopo l'immersione: lo stato di
coscienza non è quindi sinonimo di guarigione.
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INTOSSICAZIONE O AVVELENAMENTO
L’avvelenamento è l’insieme dei fenomeni dovuti ad assunzione di sostanze tossiche che
agiscono sull’individuo alterando o bloccando le funzioni dell’organismo.
La sintomatologia può essere varia, dipendendo dal tipo, dalla quantità e dalla concentrazione
della sostanza tossica e dalla modalità di assunzione.
L’avvelenamento può avere esito mortale e può manifestarsi con ritardi variabili da pochi secondi a
parecchie ore rispetto all’assunzione dei tossici.
Norme generali di primo soccorso
Il soccorritore deve prendere nota di quante più informazioni gli sia possibile:
• Intervista alle persone che hanno assistito all’infortunio, annotare, per quanto riguarda la
sostanza responsabile dell’intossicazione, la via di introduzione e il tempo trascorso
dall’avvelenamento
• Osservazione accurata dell’ambiente ( fuoriuscita di gas, presenza di sostanze chimiche,
insetticidi, confezioni di farmaci ecc. )
• Raccolta in un contenitore di plastica di eventuale materiale alimentare vomitato o di avanzi
di cibo presumibilmente responsabile dell’intossicazione.
AVVELENAMENTO PER VIA ALIMENTARE
Avviene tramite l'assunzione di cibi che si fanno facili vettori di tossine o sostanze velenose, ad
esempio a causa di errata conservazione o più semplicemente perché ricchi di principi nutritivi utili
alla crescita dei patogeni.
La natura chimica della sostanza tossica deve essere tale da:
• non venir degradata dal pH estremamente acido dello stomaco e dal pH basico del succo
pancreatico.
• resistere all'attacco enzimatico degli enzimi salivari, della pepsina gastrica, degli enzim
pancreatici , della bile.
• deve essere termostabile, resistere, ovvero, alla temperatura di cottura del cibo. Infatti,
molti funghi sono tossici se ingeriti crudi, ma innocui se ingeriti cotti, in quanto ricchi di
tossina termolabile.
L’intossicazione per ingestione causa due tipi di danni, locali per azione irritante e/o generali per
assorbimento sistemico.
Avvelenamento da barbiturici
Tipico di chi vuole tentare il suicidio, questo tipo di avvelenamento porta all'arresto respiratorio e di
conseguenza alla morte.
I sintomi sono: sonno che degenera in coma, depressione, alterazione della respirazione. In questi
casi bisogna chiamare i soccorsi e condurre l'infortunato in ospedale. Nel frattempo, è importante
non farlo addormentare, nonostante la sonnolenza, stimolandolo costantemente con domande e
stimoli fisici (scossoni, piccoli schiaffi, pizzicotti...). Bisogna inoltre indurre il vomito e somministrare
abbondante caffè, ottimo eccitante.
Avvelenamento da alcol
L'eccessiva assunzione di alcol porta euforia, loquacità, stati di alterazione della personalità e dei
comportamenti, sonnolenza, nausea o sonno profondo che può anche degenerare in coma.
In questi casi è necessario stimolare il vomito e somministrare abbondante caffè.
Nei casi più gravi è necessario ospedalizzare la persona e ricorrere a una lavanda gastrica.
ATTENZIONE: Gli etilisti sono maggiormente soggetti all'assIderamento.
29
Avvelenamento da funghi
Le tossine presenti nei funghi possono agire rapidamente, dopo 1- 6 ore, ma anche dopo 8 -48
ore.
Nel primo caso i sintomi sono generalmente nausea, vomito, diarrea, tremori muscolari,
eccitazione psichica, tachicardia. Con il vomito e la diarrea le tossine vengono eliminate.
Nel secondo caso le tossine portano a sintomi come vomito, diarrea, dolori addominali, shock.
E' inutile provocare il vomito, perché dopo 8 -48 ore le tossine sono state completamente
assorbite. E' necessario ospedalizzare d'urgenza, se possibile con i residui del cibo ingerito che
saranno analizzati.
AVVELENAMENTO PER VIA RESOPIRATORIA ( INALATORIA)
Può avvenire per la permanenza in ambienti chiusi e inquinati da gas e vapori tossici ( esempio :
ossido di carbonio) o per fughe di gas, vapori o polveri che investono l’infortunato. Possono
causarla gas domestici, gas di scappamento di motori a scoppio, gas che si sviluppano in incendi o
da combustione, gas utilizzati per azioni criminali e terrorismo ecc.
Le sostanze tossiche per via respiratoria possono agire localmente nelle alte vie respiratorie (naso,
faringe, laringe, trachea), e / o nelle basse vie respiratorie (bronchi, polmoni).
Oppure possono agire in tutto l'organismo come veleno sistemico.
Esempi di veleni ad azione locale sono:
•
il fosgene che uccide in quanto provoca una massiccia fuoriuscita di plasma che si riversa
nello spazio alveolare, rendendo impossibile l'assunzione dell'ossigeno atmosferico e lo
smaltimento dell' anidride carbonica disciolta nel plasma.
Esempi di veleni sistemici assunti per inalazione sono:
•
il gas nervino che agisce inattivando un enzima (acetilcolina esterasi) che si trova nelle
sinapsi del sistema nervoso e nelle placche neuromuscolari, determinando una contrazione
muscolare perenne. La morte sopraggiunge per arresto cardiaco o, più frequentemente,
per paralisi del diaframma con arresto respiratorio.
•
L'acido cianidrico ed i suoi sali derivati (cianuri ) agiscono impedendo sia il trasporto ai
tessuti dell'ossigeno, sia l'utilizzazione dell'ossigeno medesimo da parte delle cellule
(respirazione cellulare).
•
Il monossido di carbonio , noto al grande pubblico col semplice termine di ossido di
carbonio è un gas subdolo in quanto completamente inodore, insapore, incolore.
Il monossido di carbonio si forma da qualsiasi combustione se c’è scarsa quantità
d'ossigeno (se l'ossigeno è in quantità sufficiente si sintetizza l’ anidride carbonica, assai
meno tossica). L'ossido di carbonio inattiva il trasporto dell'ossigeno che avviene nel
globulo rosso per conto dell’emoglobina, avendo una affinità per l’emoglobina ben 300 volte
superiore di quella dell’ossigeno e pertanto sostituendosi ad esso. La morte sopraggiunge
per l'impossibilità dei tessuti di approvvigionarsi di ossigeno e di cedere i rifiuti del
metabolismo cellulare (protoni ed anidride carbonica) all'emoglobina stessa.
Il legame tra il ferro e l'ossido di carbonio è un legame reversibile, ma soltanto ad elevate
pressioni d'ossigeno, quale quelle che si hanno nella camera iperbarica: alla pressione
atmosferica, infatti, il quantitativo di ossigeno che si discioglie nell'acqua del plasma è
minima (3%), mentre il restante 97% viene trasportato dall'emoglobine.
A pressioni quali quelle tipiche della camera iperbarica (o delle profondità marine),
l'emoglobina diviene praticamente inutile, in quanto il plasma diviene capace di trasportare
30
da solo tutto il quantitativo d'ossigeno necessario ai tessuti.
Inoltre, la pressione dell'ossigeno, in queste condizioni estreme, riesce a spiazzare l'ossido
di carbonio dal ferro emoglobinico, riattivando così il trasporto fisiologico dell'ossigeno ai
tessuti.
I sintomi, legati alla concentrazione raggiunta nel sangue, vanno da una lieve cefalea ( mal
di testa) con difficoltà respiratorie, alla comparsa di nausea e vomito, irritabilità diminuzione
della vista, incoordinazione motoria, tachicardia, dolori e crampi agli arti e al torace fino al
coma.
Comportamento del soccorritore
Bisogna innanzitutto esporre l’infortunato all’aria libera, se non respira praticargli la respirazione
artificiale e , se possibile, fornirgli ossigeno puro a pressione normale. Praticare le manovre di
rianimazione se è in arresto cardio-circolatorio.
Altri esempi di avvelenamenti
•
Avvelenamento da caustici: può avvenire per inalazione o ingestione di sostanze come
benzina, candeggina e simili che provocano lesioni, ulcere e perforazioni. I sintomi sono:
dolori
violenti
alla
bocca,
esofago
e
stomaco.
In questi casi bisogna assolutamente evitare il vomito, perché le sostanze ingerite
danneggerebbero ulteriormente le pareti dell'esofago e della bocca. E' necessario chiamare
immediatamente i soccorsi e cercare di consultare un medico prima di fare ingerire delle
sostanze neutralizzanti per non peggiorare la situazione.
AVVELENAMENTO PER VIA CUTANEA E/O OCULARE
L'avvelenamento per via cutanea è una modalità meno comune di avvelenamento sistemico.
Le sostanze che riescono a produrre gli effetti tossici per questa via devono essere tutte di tipo
lipofilo (od idrofobico). Solo le sostanze solubili nei grassi riescono ad attraversare la cute integra.
Si possono distinguere due tipi di effetti tossici:
• Lesioni dirette per azioni caustiche o corrosive: acidi, alcali ( come soda e ammoniaca),
solventi per vernici, colle e adesivi, insetticidi usati in agricoltura.
• Assorbimento percutaneo o del sacco congiuntivale: cianuri, diossine, atropina contenuta
nei colliri ecc.
I casi più pericolosi di intossicazione da contatto cutaneo sono dovuti agli insetticidi usati in
agricoltura.
Questo gruppo di sostanze sintetiche di largo uso è eliminato dall’organismo molto lentamente e
causa pertanto intossicazioni croniche.
Chimicamente possono essere composti organo-dorati e organo- fosfati.
I primi esercitano la loro azione tossica sul sistema nervoso centrale e sul fegato, provocano
vomito, cefalea e, più tardivamente, segni neurologici ( tremori, convulsioni).
I secondi si accumulano nel tessuto adiposo, provocano sintomi generali diversi che si complicano
nei casi più gravi con alterazioni respiratorie e circolatorie anche mortali.
Il benzene (benzolo) ed i suoi composti sono tra i più comuni inquinanti in grado di attraversare la
cute integra. Questi composti, però, non provocano un'intossicazione acuta, bensì
un'intossicazione cronica e, più spesso, sono fattori che possono indurre la trasformazione della
cellula fisiologica in cellula tumorale. I derivati del petrolio sono le fonti più comuni di benzene.
A grandi linee, si può qui concludere che gli avvelenamenti per via cutanea sono appannaggio di
alcune categorie professionali (tintori, benzinai, metallurgici, imbianchini e simili).
Nel caso di intossicazione da insetticidi, ed in generale per tutti gli avvelenamenti da contatto le
norme per il soccorritore, oltre a quelle già esposte, sono le seguenti:
• Indossare guanti di gomma.
• Trasportare l’infortunato in ambiente non inquinato.
31
•
•
•
•
•
Togliergli i vestiti.
Lavarlo con acqua e sapone, risciacquando con acqua corrente abbondante. Le lesioni
oculari andrebbero preferibilmente lavate con soluzione fisiologica, naturalmente a
palpebre aperte.
Se sono presenti ustioni medicarle senza ricorrere a sostanze chimiche
Se sono presenti complicazioni respiratorie praticare la respirazione artificiale
Trasportare rapidamente l’infortunato all’ospedale fornendogli ossigeno, nel caso di
intossicazione da insetticidi.
ATTENZIONE: in tutti i casi di avvelenamento possono comparire le più gravi complicazioni
sistemiche spesso mortali: respiratorie, stato di shock per azione diretta del tossico o per
compromissione del sistema nervoso centrale, arresto cardiaco.
INTOSSICAZIONI PER INOCULAZIONE ( veleni di insetti e animali)
Punture di insetti ( vespe, api, cimici, calabroni, zanzare, tafani, ragni, scorpioni, zecche, pulci)
La puntura può diventare pericolosa quando:
• il soggetto è allergico alle sostanze contenute nel veleno iniettato
• la sede della puntura è il viso, gola, lingua o congiuntiva
• il numero delle punture è elevato
Le reazioni locali sono costituite da dolore e edema, cioè gonfiore della parte colpita ( per la
liberazione di una sostanza che aumenta la permeabilità dei vasi e lascia passare il liquido
nell’interstizio, l’istamina). In alcuni casi può comparire febbre, edema della glottide, edema
polmonare, agitazione e convulsioni, collasso, asfissia.
A seconda della sensibilità individuale, punture ripetute possono determinare uno shock
anafilattico.
Contatto con meduse o pesci velenosi
I sintomi conseguenti a contatto con meduse o pesci velenosi sono costituiti da ponfi o vescicole
tipo orticaria, bruciore e prurito.
Nei casi più gravi dopo 5 – 15 minuti, possono comparire astenia, crampi alle estremità e ai
muscoli dell’apparato respiratorio, affanno, mal di testa, vomito diarrea e collasso.
La terapia locale non differisce da quella consueta in particolare nel lavaggio della lesione cutanea
con abbondante acqua o soluzione fisiologica. E’ comunque sempre consigliabile consultare un
medico.
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LESIONI DA CORRENTE ELETTRICA
Fonte di possibile infortunio o danno per la salute in presenza di energia elettrica di un impianto
elettrico sono lo shock elettrico o folgorazione e l’arco elettrico.
La folgorazione o elettrocuzione, volgarmente detta anche scossa, è l'attraversamento del
corpo umano da parte di corrente elettrica.
L'effetto dell'elettricità sul corpo umano può essere molto variabile, dipendendo dall’intensità della
corrente e dalla durata del contatto.
Danno tessutale da passaggio di corrente: dipende dalla durata del contatto, dalla corrente
interessata, dalla resistenza ( la cute asciutta è un buon isolante, mentre umidità, grasso.
Abrasioni, ferite ne diminuiscono l’efficacia).
All’interno del corpo umano la corrente segue la via dove trova minore resistenza dando luogo a
lesioni interne non prevedibili. Le lesioni di ingresso e di uscita non sono indicative della reale
gravità del danno.
Ustioni da arco elettrico: avvengono quando tra una sorgente di energia e il corpo umano ( non
in diretto contatto tra di loro) si crea un arco elettrico. La temperatura può superare i 2000 ° C e
l’arco può raggiungere i 3 metri di lunghezza a seconda del voltaggio.
Ustioni da fiamme secondarie all’accensione di combustibili
Effetti della corrente elettrica sul corpo umano:
•
•
•
•
tetanizzazione
arresto della respirazione
fibrillazione ventricolare
ustioni
Soccorso di un soggetto folgorato
Nel prestare soccorso ad una vittima di folgorazione è fondamentale assicurarsi di avere interrotto
l'energia elettrica staccando la spina o l'interruttore generale per evitare di diventare una seconda
vittima.
Nel caso questo non sia attuabile, si deve isolare la vittima dal conduttore con un mezzo isolante.
Se per esempio il soggetto è in contatto elettrico con un asciugacapelli, cercare di allontanare
l'apparecchio per mezzo di manico di scopa in legno. Ricordiamo che acqua e metalli sono ottimi
conduttori di elettricità, mentre carta, gomma e legno hanno proprietà isolante.
Non toccare l'infortunato se non si è certi di avere eliminato la sorgente elettrica.
Nel toccare una prima volta il soggetto non afferrarlo subito con il palmo della mano, piuttosto
toccarlo con il dorso delle dita. Se una tensione pericolosa è presente, la chiusura involontaria
della mano provoca l'immediato allontanamento delle dita.
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Il comportamento da seguire è il seguente:
•
•
•
•
•
•
•
•
Per prima cosa chiamate il soccorso sanitario (118) segnalando il tipo di infortunio
accaduto, il luogo esatto dove è avvenuto e lo stato del paziente.
Verificate che non sussistano ulteriori pericoli oltre alla già citata disconnessione
dell'energia elettrica.
Determinate lo stato della vittima: se cosciente o meno, se respira, se battito cardiaco
regolare. Se necessario, effettuate la rianimazione cardiopolmonare.
Evitate di muovere l'infortunato ( massima attenzione alla colonna vertebrale)
Non somministrate bevande o medicamenti.
Soffocate la combustione di eventuali indumenti.
Raffreddate le aree ustionate ed eventualmente applicate una medicazione sterile sulle
ustioni tenendola umida con fisiologica.
Trasportate rapidamente il paziente al Pronto Soccorso più competente in questi casi.
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Manuale didattico del corso
“Primo soccorso per la gente di mare”
destinato agli studenti dell’Istituto Tecnico Nautico S.Giorgio di Genova
Parte terza - edizione 2010
a cura di Rosanna Vagge
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