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La valorizzazione
del management professionale
nell’impresa minore in crescita
Il dirigente come leader: ruolo e competenze
per l’innovazione e l’internazionalizzazione
FONDIRIGENTI AVVISO 2006 - PIANI FORMATIVI CONDIVISI - FDIR 149
QUADERNO DI RICERCA
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La valorizzazione del management professionale
nell’impresa minore in crescita
Il dirigente com e leader: ruolo e com petenze per l'innovazione e
l'internazionalizzazione
FONDIR IGENT I AV V ISO 2006 - PIA NI FOR M AT IV I CONDIV ISI - FDIR 149
Progetto promosso da:
- A ssociazione Lombarda Dirigenti A ziende Industriali (A LDA I)
- A ssolombarda
- Confindustria Monza e Brianza
- Federmanager - A ssociazione Dirigenti A ziende Industriali della Provincia di Pavia
- Unione degli Industriali della Provincia di Pavia
Ricerca realizzata da Ulderico Capucci e Luigi Serio, con la collaborazione di Marella
Caramazza, Cristina Godio, Laura Gilieri, Chiara Slanzi
Si ringraziano:
Daniele Boldizzoni, Luca Quaratino e Maurizio Quarta per i contributi e le revisioni al
report di ricerca
La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Indice
PREFAZIONE
pag.
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INTRODUZIONE
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LA VALORIZZAZIONE DEL MANAGEMENT PROFESSIONALE
NELL’IMPRESA MINORE IN CRESCITA
Premessa
Ma la crescita è proprio un “must”?
La discontinuità nello sviluppo delle PMI collegata alla famiglia imprenditoriale
Il problema della managerializzazione nelle imprese familiari in crescita
Obiettivi della ricerca
La scelta dei manager
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LE EVIDENZE
I motivi alla base della richiesta di un intervento professionale di Temporary Management
La decisione della chiamata
Il ruolo in cui si è inseriti
Le azioni intraprese dal Temporary
Il contenuto degli interventi
L’enfasi sulle persone
Il ruolo dell’Imprenditore
Il ruolo della conoscenza
A lcune considerazioni conclusive
Imprenditorialità e management: una distinzione fatale
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BIBLIOGRAFIA
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ALLEGATO A - Il Progetto
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ALLEGATO B - Temporary Management: le modalità di utilizzo per le PMI
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ALLEGATO C - Check list ricerca
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Fondazione ISTUD
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Prefazione
PREFAZIONE
Il gioco della crescita delle PMI
Daniele Boldizzoni1
La ricerca delle cause delle difficoltà di crescita delle PMI è sicuramente fra i temi che,
da una parte, più hanno appassionato ed appassionano studiosi dell’organizzazione,
esperti di management, consulenti, policy maker ma anche che, dall’altra, è fonte di frustrazione e di chiacchiere spesso inconcludenti.
Luoghi comuni, slogan, stereotipi ricorrenti tendono a prevalere ed a oscurare i dati di
ricerca che evidenziano una realtà ed un mondo, quello delle PMI, estremamente variegato e complesso che sfugge a banalizzazioni ed è difficilmente inquadrabile in schemi
e ricette semplicistiche.
E’ questo il caso del tema affrontato nella ricerca sulla valorizzazione del management
professionale nelle PMI in crescita.
Esiste una forte convergenza da parte di economisti, teorici dell’organizzazione e pratictioner nel riconoscere, semplificando dati di buon senso ed evidenze empiriche, che per sopravvivere in una economia sempre più globale, la PMI deve crescere e che per crescere deve
dotarsi di una robusta tecnostruttura e sistemi di gestione sperimentati nelle imprese di maggiori dimensioni, che deve sostituire con prudenza ma con fermezza all’imprenditore che “si
è fatto da sè” un management professionale dotato di competenze gestionali a 360 gradi, che
deve abbandonare un orientamento reattivo ed un “muddling through approach” ai problemi
a favore di una pianificazione strategica dello sviluppo, ecc.
Resta tuttavia da chiedersi come mai, se i dati della equazione sono così chiari e condivisibili, quello della crescita e dell’innesto di una tecnostruttura professionale restano
problemi ancora in larga parte aperti e di difficile soluzione, ove i fallimenti sono largamente superiori ai casi di successo. Se il management professionale è portatore di conoscenze ed esperienze indiscutibilmente utili per la crescita dell’impresa minore, come
mai il ricorso a tali figure è così limitato? Perché è visto ancora con grande sospetto dalla
maggior parte degli imprenditori?
Una ragione di ciò è sicuramente collegabile all’esistenza di pre-giudizi che condizionano il pensiero e l’azione dei principali attori coinvolti nei processi di gestione e sviluppo
delle PMI, in primis nell’imprenditore ma non solo, predeterminando gli esiti negativi del
processo.
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Professore di Organizzazione Aziendale presso l’Università IULM di Milano.
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Prefazione
Fra i principali pregiudizi da rimuovere vi è quello che riguarda “il gioco della crescita”.
Tale “serious game” è tendenzialmente visto dagli imprenditori come:
1. a somma negativa (i più possono solo perdere),
2. ogni giocatore è solo, in balia di eventi fuori dal suo controllo,
3. la posta in palio per i vincitori, diventare una grande impresa oltre a essere difficile,
non è in fondo così appetibile, in quanto portatrice anche di non pochi problemi (quali
ad esempio la perdita di controllo dell’impresa, una minore flessibilità e burocratizzazione delle strutture, ecc.).
Con queste premesse è facile immaginare come, mentre a parole si conviene che la crescita sia un “must”, nella realtà non sia così desiderata e, soprattutto, seriamente intrapresa dalla maggioranza degli imprenditori attivando strategie ed azioni efficaci e
coerenti.
Per invertire tale circolo vizioso (il gioco è così difficile che non vale la pena di impegnarsi seriamente ma, non impegnandosi seriamente diminuiscono ancor di più le possibilità di successo) sarebbe importante ed utile attivare percorsi di ricerca e interventi di
formazione e comunicazione utili a riformulare natura e regole del gioco della crescita,
rimuovendo i pregiudizi che lo condizionano e trasformandolo in un gioco:
1. “win-win” a somma positiva (i più vincono),
2. di natura collettiva (l’interazione dei giocatori consente di rimuovere difficoltà e vincoli insuperabili per il singolo giocatore),
3. in cui la posta finale non è diventare una grande azienda, acquisendo tutti i difetti ascrivibili a quest’ultima, ma crescere per linee esterne, mantenendo i vantaggi dell’essere
piccola e flessibile.
Così riformulato il gioco della crescita diventa non solo desiderabile ma possibile per i
più.
Oltre a configurare un gioco avente una natura diversa è altresì importante che i principali attori giochino i loro ruoli riscrivendo i “copioni” tradizionali, abbandonando vecchi
stereotipi e pregiudizi ed attivando nuovi orientamenti e comportamenti.
In particolare studiosi delle PMI, imprenditori, manager, policy maker dovrebbero ripensare e riscrivere i loro ruoli sulla base di “statement” coerenti con l’evoluzione della
conoscenza acquisita sulle PMI, nonché su evidenze empiriche e dati di ricerca ormai
consolidati, quali ad esempio:
Per gli studiosi delle PMI:
- che la PMI è un oggetto complesso che può essere studiato e compreso solo utilizzando approcci pluridisciplinari che tengano conto degli intrecci e delle relazioni fra tratti
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Prefazione
caratterizzanti la persona dell’imprenditore (valori, motivazioni, capacità, ecc.) e le
caratteristiche del sistema impresa (strutture, ruoli, sistemi operativi, ecc.);
– che la PMI non è una grande impresa allo stato infantile, obbligata a crescere dimensionalmente pena la sopravvivenza, bensì un genus stabile e particolare di organizzazione e che la sua crescita e cambiamento è collegata più a dimensioni qualitative (capacità
di adattamento, flessibilità) che quantitative (aumento del fatturato e del numero degli
addetti), a fatti contingenti e pressioni dell’ambiente più che a meditate strategie gestionali.
Per gli imprenditori:
– che ciclo di vita dell’impresa e ciclo di vita dell’imprenditore (e/o della famiglia) sono
due cose diverse e che l’impresa può sopravvivere anche oltre la vita dell’imprenditore.
Se nelle prime fasi i due cicli possono sovrapporsi, è naturale che l’imprenditore sia
destinato ad un inevitabile declino mentre l’impresa può e deve rinnovarsi, attivando
nuovi cicli vitali;
– che l’imprenditore (e/o la famiglia) non può essere il solo ed esclusivo depositario delle
conoscenze “core” e del know-how dell’impresa, e che lo stock di conoscenze e competenze necessario per rispondere alle sfide degli ambienti sempre più competitivi e globali può essere acquisito solo con il ricorso sistematico ed il contributo di risorse professionali “esterne” all’impresa ed alla famiglia.
Per i manager:
– che l’imprenditore è legato all’impresa da un legame profondo, non solo utilitaristico
(l’impresa è una estensione della sua personalità), quindi i problemi dell’impresa non
possono essere risolti semplicemente ricorrendo alla razionalità economica;
– che l’imprenditore non è solo colui che ha dato una identità ed un imprinting all’impresa, ma è anche il depositario delle “core skill” dell’impresa, di una sapienza istintiva
e profonda su quello che caratterizza l’impresa e la contraddistingue sul mercato, e che
per questo, va salvaguardata e valorizzata.
Per gli imprenditori ed i manager:
– che quelli dell’imprenditore e del manager sono due “mestieri” diversi e complementari, entrambi utili e necessari per la crescita dell’impresa e che vanno tenuti distinti.
Mentre non si può chiedere all’imprenditore di diventare manager (le ibridazioni in molti
casi producono identità più deboli e scolorite), non si può neanche pensare che un manager possa trasformarsi facilmente in imprenditore.
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Fondazione ISTUD
La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Prefazione
Per i policy maker:
– che non esiste un modello ideale di PMI né un tipo ideale di imprenditore, ma diverse
tipologie e combinazioni di imprese e imprenditori;
– che la ricerca di tali tipologie e una segmentazione delle popolazioni di imprenditori/imprese appartenenti a diversi territori e realtà costituisce l’indispensabile punto di partenza per impostare realistiche e puntuali strategie di crescita delle PMI.
È solo attraverso l’interazione fra attori interessati a giocare nuovi e diversi ruoli che il
gioco della crescita delle PMI potrà trasformasi in un gioco a somma positiva e si riuscirà a combattere la malattia del “nanismo” che affligge la piccola impresa nel nostro
Paese.
Fondazione ISTUD
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Introduzione
1. Ragioni, obiettivi e metodologia della ricerca
INTRODUZIONE
Il tema della managerializzazione nelle imprese di minori dimensioni è ampiamente presente in letteratura e nelle pratiche manageriali. Nelle pagine che seguono vengono presentati i risultati di una ricerca sull’esperienza di management fatta in imprese di minori
dimensioni da manager professionali esterni al nucleo familiare, realizzata nell’ambito
del progetto “IL DIRIGENTE COME LEADER: RUOLO E COMPETENZE PER L'INNOVAZIONE E L'INTERNAZIONALIZZAZIONE” (FDIR 149) finanziato da FONDIRIGENTI - AVVISO 2006.
È indubbio che in questi ultimi anni la relazione fra impresa minore in Italia e manager
professionale sia andata convergendo, seppur con difficoltà, su alcune aree di integrazione.
Da una parte, infatti, le imprese di minori dimensioni hanno visto rendersi più complesso il loro ambiente di riferimento e quindi hanno “toccato con mano” la difficoltà di
governare processi di crescita in ambienti turbolenti senza avere set di competenze e di
conoscenze adeguate al contesto mutante. Questo ha imposto, in maniera forzosa, la
necessità di aprirsi a mondi professionali non consueti e tradizionali in cui viene premiata
più la competenza che la provenienza, più il merito che l’appartenenza, più la specializzazione che la disponibilità a “fare quello che serve”.
Di contro, nel mercato del lavoro, soprattutto a livello di management, si sono liberate
tante risorse professionali, provenienti da esperienza di grandi imprese in forte processo
di ristrutturazione, che hanno guardato al mondo dell’impresa minore, non soltanto come
fenomeno socio-economico, ma anche come luogo dove poter valorizzare le proprie
esperienze pregresse, in contesti, forse meno strutturati, ma dove il senso dell’utilità e del
poter fare è sicuramente più visibile e immediatamente gratificato.
E’ chiaro che la piccola impresa non è una impresa di grandi dimensioni a uno stadio iniziale, ma questa consapevolezza non è così diffusa e spesso la convergenza fra piccola
impresa e management professionale si è scontrata su una sottovalutazione diffusa del
fatto che la “piccola impresa” è un genus stabile con logiche e meccanismi di funzionamento propri e diversi dai modelli tradizionali di management, costruiti sulle esperienze
delle grandi imprese.
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Fondazione ISTUD
La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Introduzione
La ricerca “La valorizzazione del management professionale nell'impresa minore in crescita” e le riflessioni in essa contenute, si inseriscono nel dibattito sui fabbisogni di professionalità dell’impresa minore in Italia. Le prime evidenze emergenti, senza avere alcuna pretesa di esaustività, vista la natura sperimentale dell’iniziativa e la non rappresentatività del campione, aiutano a mettere in discussione pregiudizi diffusi e dettati prevalentemente da scarsa conoscenza e adozione di categorie di analisi acritiche, molto
spesso decontestualizzati e sviluppate in ambiti molto diversi, quali quelli della
grande impresa.
Dalla ricerca emergono alcune traiettorie da approfondire in analisi più sistematiche, ma
fondate in ogni caso sulla consapevolezza che soltanto una maggiore conoscenza del
fenomeno sia la base più efficace per avviare politiche di integrazione che portino benefici comuni, alle imprese, da una parte, nell’obiettivo di elevare il set di competenze disponibili per fronteggiare al meglio l’arena competitiva, e per i dirigenti, perché possano
trovare, nei modi e nelle forme diverse (anche temporanee) luoghi e spazi in cui la loro
competenza sia valorizzata e non dispersa.
E’ una strada ancora lunga, ma di cui si intravedono anche grandi potenzialità.
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Premessa
LA VALORIZZAZIONE DEL MANAGEMENT PROFESSIONALE
NELL’IMPRESA MINORE IN CRESCITA
Premessa
Gli apporti conoscitivi e teorici hanno, fino agli anni più recenti, configurato lo sviluppo
delle imprese come un processo interno di espansione di tipo incrementale che si realizza tramite investimenti diretti e successivi riaggiustamenti organizzativi.
Resta implicito in questi contributi – che possono essere ricondotti alle scienze del management, con particolare riferimento all’area delle scelte strategiche, “strategic choice”
(O’Gorman, 2001) –, l’ipotesi di una trasformazione inevitabile e necessaria, pena la
sopravvivenza, della piccola impresa in impresa di grande dimensione e la possibilità di
riconoscere, nel processo di sviluppo, una serie di fasi ben definibili, caratterizzate da
problemi tipici e specifiche attività gestionali. Preoccupazione principale di questi studi
è quella di aiutare i proprietari/manager delle piccole imprese e i consulenti a formulare
diagnosi dei problemi dell’organizzazione e a indicare soluzioni, utili ad accompagnare
il passaggio da una fase della crescita a un altro (Greiner, 1972).
Gli assunti impliciti di questi apporti sono che la piccola impresa è una configurazione
tendenzialmente instabile e precaria e che, con il problema della crescita, le imprese,
prima o poi dovranno interagire, pena la sopravvivenza.
Il percorso di sviluppo suggerito è quello della crescita dimensionale per linee interne.
Tale modalità non solo costituisce quella più diretta per raggiungere una superiore efficienza, ma è secondo alcuni economisti preferita dai manager.
La critica rispetto ai modelli di crescita così deterministici è stata molto forte, soprattutto proveniente da studiosi europei, anglosassoni e italiani, che avevano meno palese il
mito delle grandi corporation e osservavano fenomeni di aggregazione/disaggregazione
di sistemi di piccole imprese.
Su questo fronte è molto evidente il contributo, spesso mitizzato rispetto alla realtà, dei
distretti industriali e aree/sistemi in Italia, che ha avuto una fortuna in termini di speculazione scientifica sicuramente superiore rispetto ai reali benefici e contributi dati alla
comprensione del “fenomeno piccola impresa” in Italia.
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Fondazione ISTUD
La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Premessa
In questi studi emerge la definizione del modello di piccola impresa come “genus” stabile di organizzazione composto da almeno due sistemi:
• quella dell’impresa, più riconducibile alla logica economica e alla razionalità organizzativa;
• quella dell’imprenditore rispondente a logiche e motivazioni personali e familiari, più
sfuggenti ma non per questo meno importanti (Boldizzoni, 1985).
In altre parole, non solo l’imprenditore può evitare di trasformarsi in un manager o passare la mano, ma può decidere di mantenere piccola l’impresa attivando percorsi alternativi alla crescita dimensionale.
Mentre nel primo macrofilone esiste una corrispondenza diretta fra sviluppo e crescita
dimensionale, per gli studiosi che si riconoscono nel secondo approccio, lo sviluppo è
inteso come un processo di tipo qualitativo riguardante l’evoluzione dei rapporti fra
imprese e ambiente a cui talvolta, e non necessariamente, si accompagna una crescita
intesa come un ampliamento delle dimensioni strutturali. Per costoro, mentre la crescita dimensionale comporta inevitabilmente lo sviluppo, non sempre è vero il contrario in quanto le piccole imprese possono essere motivate a uno sviluppo che tocca gli
aspetti tecnologici, organizzativi, di mercato volto a un più efficace adattamento
all’ambiente, senza per questo aumentare le proprie dimensioni. Per i critici della grande impresa, l’aumento delle dimensioni porta sovente a sclerosi delle strutture, burocratizzazione, difficoltà di coordinamento e, quindi, a una maggiore fragilità competitiva.
In ogni caso, un tratto distintivo comune a questi macrofiloni che emerge chiaramente
dalla letteratura è la forte influenza dell’azione manageriale nel sostegno alla fase di crescita e la prevalenza a leggere lo sviluppo di una impresa come risultato di scelte manageriali di successo.
In questo senso la letteratura è densa di esempi che indicano come le strategie di crescita di successo di una impresa siano spesso collegate a fattori competitivi qualitativi,
come la capacità di personalizzazione del servizio, piuttosto che a fattori dettati dal
prezzo e dal costo (Cambridge Small Business Reasearch Centre, 1992). Altri collegano il buon esito della crescita a fattori legati alla tecnologia e alla innovazione, sia di
prodotto che di processo (Buzzell e Gale, 1987, Cavanagh and Clifford 1983,
Cambridge Small Business Reasearch Centre, 1992).
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Ma la crescita è proprio un “must”?
Altri ancora indicano come fattori manageriali alla base di strategie di crescita di successo la propensione all’investimento in marketing, alla costruzione di canali distributivi, alla ricerca e sviluppo di prodotto e in generale all’investimento in nuove attività produttive, spesso accompagnate da politiche di delocalizzazione (Hambrick e altri, 1982).
Quale che sia comunque l’orientamento di fondo rispetto alle scelte strategiche elencate,
in ogni caso le imprese affrontano più o meno “deterministici” percorsi di crescita, il cui
successo è collegato alla capacità di adattamento ed apprendimento del management ed
all’equilibrio/coerenza fra scelte strategiche e organizzative.
Ma la crescita è proprio “must”?
Nonostante vi sia una tendenza critica verso le fasi di sviluppo, considerate “una camicia di
forza” da non indossare (Watson, 1996), sia gli studiosi riconoscibili nel primo macrofilone sia
quelli appartenenti al secondo non hanno potuto fare a meno di descrivere i percorsi di sviluppo delle imprese minori distinguendo diverse fasi. Mentre per i primi, tuttavia, i percorsi
descritti hanno valenza normativa e universalistica e sono densi di descrizioni sul cosa fare, per
i secondi i percorsi hanno natura più descrittiva, non hanno valore universalistico e sono volti
a evidenziare ostacoli e a registrare risposte a comportamenti non necessariamente virtuosi.
I più noti tra questi modelli sono richiamati sinteticamente nella Tabella 1 di pag. 14. In
generale, gli autori si focalizzano sui momenti di passaggio vissuti dall’azienda nel presupposto di un processo di crescita/sviluppo più o meno inevitabile, più o meno lineare.
In tutti questi modelli prevale una visione del processo evolutivo dell’impresa come
sequenza temporale di periodi di evoluzione e rivoluzione con necessità diverse in termini di imprenditorialità o di management professionale in ciascuna fase3.
La discontinuità nello sviluppo delle PMI collegata alla famiglia imprenditoriale
Il tema della discontinuità, sia essa di mercato che di crisi, è invece maggiormente reperibile nell’ampia letteratura sul tema della famiglia nella crescita delle imprese. La famiglia gioca un ruolo, talvolta non manifesto, molto più spesso palese nella prima fase di
impianto e di crescita dell’azienda. In qualche maniera la famiglia diventa il confine
organizzativo in cui l’azienda si sviluppa e risulta il fattore prevalente di chiusura organizzativa, nel momento in cui emerge la necessità di aprire a management professionale.
La letteratura prevalente sul tema del management professionale è stato fortemente sviluppato nelle letteratura che si occupa di Family Business.
3
Per una rassegna sui modelli di crescita in generale cfr. Boldizzoni D., Serio L., Il problema della crescita: alla ricerca di un
modello di analisi in Boldizzoni D., Serio L., Innovazione e crescita nella piccola impresa, Il Sole 24 Ore, 2003.
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
La discontinuità nello sviluppo delle PMI collegata alla famiglia imprenditoriale
Scorrendo i più recenti saggi sul Family Business (Boldizzoni D., Havunen J., Sten J.,
2006), si può affermare che negli ultimi anni si assiste ad un decisivo passaggio da una
concezione che vede la famiglia come un disturbo alla gestione dell’impresa ad un
approccio che tende a valorizzare il contributo familiare. Mentre fino a qualche anno fa
dominava l'assunto del primato dell'impresa sulla famiglia, essendo quest'ultima considerata un elemento frenante per la gestione ed un vincolo per la crescita del business,
attualmente prevale il riconoscimento della famiglia come elemento fondante e potenziale di sviluppo dell'impresa. Tale rinnovata concezione del ruolo della famiglia si collega alla visione dell'impresa familiare quale unicum indivisibile al cui interno si relazionano, integrandosi e/o scontrandosi, logiche familiari ed imprenditoriali.
L'impresa “familiare” assume, infatti, peculiare identità ogni qual volta vi sia un'attività
imprenditoriale che possa identificarsi in una famiglia (od anche in più di una famiglia),
per una o più generazioni, essendo l'influenza della famiglia sull'impresa legittimata dalla
titolarità di tutto o parte del capitale di rischio ed esercitata anche attraverso la partecipazione di suoi membri al management (Boldizzoni, Cifalinò, Serio, 2000).
Ciò che consente di considerare l'impresa familiare come classe specifica di analisi è,
dunque, la compresenza del sistema famiglia e del sistema impresa, ciascuno dei quali si
caratterizza per proprie norme, regole di comportamento, valori di riferimento. Tali differenze si traducono in differenti modalità operative nell'affrontare e risolvere i problemi
aziendali; la “sovrapposizione istituzionale” tra norme familiari e norme d'impresa è
spesso fonte di conflitti e contraddizioni nel momento in cui uno stesso soggetto deve
adempiere alle regole imposte da entrambi i sistemi (Lansberg, 1983).
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Crescita = alternanza di
Crescita = inevitabile sucperiodi di crisi e di
cessione di fasi preordinate
evoluzione
Crescita = alternanza
di periodi di crisi e di
evoluzione
Tre fasi critiche situate nel
passaggio da uno stadio
all’altro
Discontinuità
nate
Caratteristiche successione di fasi preordi-
Crescita = inevitabile
Numero variabile di fasi critiche legate ai dilemmi di scelta
Quattro fasi critiche legate che l’imprenditore deve affronalla capacità dell’imprendi- tare con riferimento allo stile
di leadership, all’organizzaziotore di modificare il prone, all’estensione dei sistemi
prio ruolo
formali, agli obiettivi strategici, al coinvolgimento
Crisi di Comando
Crisi di Autonomia
Crisi di Controllo
Crisi di Burocrazia
Crisi di ?
Fasi
Esistenza
Sopravvivenza
Successo
Decollo
Maturità di risorsa
Età dell’azienda
Dimensione Diversa
Complessità
Churchill e Lewis
1983
Avvio
Sviluppo
Espansione
Maturità
Declino
Età dell’azienda
Ruoli imprenditoriali
Dimensione dell’azienCiclo di vita dell’impresa
da
Kroeger
1974
Creatività
Autorità
Delega
Coordinamento
Collaborazione
Numero dipendenti e fatturato
Dimensione dell’azienda
Greiner
1972
Supervisione diretta
Supervisione controllata
Controllo indiretto
Organizzazione divisionale
Variabili
Steinmetz
1969
Tabella 1 - I modelli delle fasi di svilupo
Quattro fasi critiche
situate nel passaggio
da uno stadio all’altro
Avvio
Sopravvivenza
Crescita
Espansione
Maturità
Età dell’azienda
Dimensione
dell’azienda
Bruce e Scott
1988
Crescita come percorsi di svilup- Crescita = alternanza
po personale e organizzativo
di periodi di crisi e di
interdipendenti
evoluzione
– capacità dell’imprenditore di
modificare il proprio rulo
Fasi critiche riconducibili a due
fattori:
– tipologia imprenditoriale che
influenza il sentiero di sviluppo
dell’azienda
Avvio
Sviluppo
Espansione
Maturità
Declino
Ruoli imprenditoriali
Ciclo di vita dell’impresa
Boldizzoni
1985
La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
La discontinuità nello sviluppo delle PMI collegata alla famiglia imprenditoriale
La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Il ruolo della famiglia nella crescita delle imprese
Il ruolo della famiglia nella crescita delle imprese
In letteratura e nella pratica, è possibile ricostruire almeno tre livelli di analisi:
a) l’impresa non distinta dalla famiglia;
b) la prevalenza della famiglia sull'impresa;
c) l’autonomia dell'impresa e della famiglia.
Il primo – impresa non distinta dalla famiglia – è diffuso tra aziende di piccole dimensioni, di più giovane età, a carattere domestico e prive di significative tensioni alla crescita.
Il secondo modello – prevalenza della famiglia sull'impresa – corrisponde alle realtà in
cui si privilegiano gli interessi della famiglia, la quale mantiene stabilmente il controllo
dell'azienda quale possibile fonte di occupazione.
Il terzo modello – autonomia delle due istituzioni –, in genere corrispondente a imprese
più strutturate e di non più giovane età, si fonda sul sentimento d'importanza della famiglia pur nel rispetto delle logiche d'impresa. Si tratta, secondo Ward (1990), di riuscire ad
equilibrare gli interessi dei vari attori, facendo in modo che ogni decisione presa soddisfi sia l'una sia l'altra istituzione. Le ricerche confermano che questo terzo modello nella
pratica incontra notevoli difficoltà di attuazione, in relazione alle differenze valoriali proprie dei due sistemi.
Famiglia e impresa hanno ragioni di essere nella società fondamentalmente diverse: la
famiglia ha la funzione di sostenere e curare i propri membri, l'impresa invece deve generare prodotti e servizi attraverso un comportamento orientato al risultato (figura 1).
Figura 1 - Logiche di impresa e logiche familiari
FAMIGLIA
Sentimenti
Risparmio
Appartenenza
Controllo
Valori
Clima
Tradizione
IMPRESA
Razionalità
Finanziamento
Merito
Delega
Obiettivi/risultati
Competitività
Cambiamento
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Il ruolo della famiglia nella crescita delle imprese
Quindi, mentre le relazioni sociali nella famiglia sono strutturate in modo da soddisfare
i bisogni individuali dei propri membri, in azienda sono guidate da norme e principi funzionali al processo produttivo.
Secondo Lansberg (1983), nel periodo iniziale di formazione, l'impresa familiare trae
benefici dalla sovrapposizione tra i principi della famiglia e quelli dell'impresa; in questa fase infatti i rapporti sono ancora molto organici (i dipendenti, ad esempio, riportano
direttamente al fondatore e si identificano con i suoi valori e obiettivi). Con il consolidarsi del business, tuttavia, la sovrapposizione istituzionale tra famiglia e azienda genera all'interno dell'organizzazione conflitti, in quanto ciò che ci si aspetta dagli individui
in termini di principi familiari spesso viola ciò che ci si aspetta dagli stessi individui
secondo i principi del business.
Con riferimento al secondo livello di analisi, la sovrapposizione istituzionale tra la sfera
familiare e quella d'impresa può dare origine a soluzioni strutturali e gestionali che tipicamente possono costituire aree di eccellenza o, all'opposto, fattori di debolezza.
Al riguardo, Kets de Vries (1993) individua una serie di vantaggi e svantaggi propri di
tali imprese (vedi figura 2) evidenziando in particolare che la maggiore autonomia e il
forte senso di appartenenza peculiari dei soggetti coinvolti nelle imprese familiari consentono di:
a) avere un maggiore orientamento al lungo periodo, spesso finalizzato al consolidamento della propria posizione competitiva sul mercato, associato ad una elevata capacità di
affrontare le difficoltà contingenti;
b) avvalersi della cultura familiare a fini aziendali, per quanto riguarda lo stile di leadership da esercitare e l'universo valoriale di riferimento, con positive ripercussioni
gestionali a livello di rapidità decisionale e di flessibilità;
c) disporre una approfondita conoscenza del business.
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Fondazione ISTUD
La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Il ruolo della famiglia nella crescita delle imprese
Figura 2 - Vantaggi e svantaggi delle imprese familiari
Fonte: Kets De Vries, (1993)
Aree di eccellenza
Orientamento al lungo periodo
Maggiore indipendenza ed autonomia
- basse o nulle pressioni dal mercato azionario
- basso o nullo rischio di takeover Cultura familiare
- stabilità
- forte identificazione/impegno/motivazione
- continuità nell’esercizio della leadership
Maggiore capacità di reazione ai tempi duri
- tensione al reinvestimento degli utili
Minore livello di burocrazia e impersonalità
- maggiore flessibilità
- maggiore rapidità del proccesso decisionale
Benefici finanziari
- possibilità di maggiore successo
Conoscenza del business
- precoce formazione a favore dei membri della famiglia
Fattori di debolezza
Il minore accesso al mercato dei capitali può ridurre la
crescita
Organizzazione confusa
- struttura organizzativa non ben definita
- non chiara divisione dei compiti
Nepotismo
- tolleranza nei confronti di membri della famiglia non in
grado di ricoprire posizioni dirigenziali
- non equo sistema di ricompensa
- maggiori difficoltà nell’attrarre
professional management
Sindrome del “bambino viziato”
- lotte intestine
- conflitti familiari possono trasmettersi nell’impresa
Regole paternalistiche ed autocratiche
- resistenze al cambiamento
- segretezza
- attrazione di personalità dipendenti
Tensione finanziarie
- i membri della famiglia sfruttano l’impresa
- disequilibrio tra contributi e ricompense
Drammi nelle successioni generazionali
Fondazione ISTUD
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Il ruolo della famiglia nella crescita delle imprese
Al contrario, le maggiori difficoltà gestionali riscontrate nelle imprese familiari riguardano:
a) problematiche finanziarie - in primis la difficoltà di accesso al mercato dei capitali - e
organizzative - non chiara definizione di responsabilità ed autorità, sovrapposizione delle
mansioni, basso livello di specializzazione funzionale;
b) il nepotismo, che porta ad una prevaricazione delle logiche familiari sulle ragioni dell'impresa nella misura in cui i sistemi di gestione delle risorse umane sono subordinati
alle prime anziché alle seconde;
c) numerose tematiche di natura psico-sociale quali la sindrome del "bambino viziato",
la tendenza a "dominare" i figli, sviluppando nei loro confronti elevate aspettative di
risultato e ad esercitare nell'impresa uno stile manageriale estremamente paternalistico ed
autocratico.
In merito al filone riguardante i processi evolutivi delle imprese familiari, sono in genere proposti modelli riferibili alle teorie delle fasi di sviluppo dell'impresa (Churchill,
Lewis, 1983; Bruce, Scott, 1988) che collegano i più tipici e critici momenti attraversati
nella vita dell'organizzazione ai problemi da affrontare ed alle sfide e competenze dell'imprenditore e dei familiari (Boldizzoni, 1996) (vedi figura 3).
In tale ottica si osserva non solo che il processo di sviluppo dell'impresa familiare è caratterizzato da discontinuità e dall'alternanza di fasi di evoluzione e di rivoluzione, ma
anche e soprattutto è dimensionato sulle considerazioni dei limiti interni (organizzativi e
di presenza di risorse umane potenziali) più che sulle opportunità del mercato.
18
Fondazione ISTUD
La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Il ruolo della famiglia nella crescita delle imprese
Figura 3 - Gli stadi di sviluppo del Family Business
Allargamento
della base
familiare
(ibridazioni)
Sviluppo
Formazione di
nuovi potenziali
Nuova
leadership e
consolidamento
della base
familiare
Nuova leadership,
nuovi equilibri nel
gruppo familiare
Cooptazioni di
familiari
dipendenti
Sviluppo grazie
alla creatività e
leadership
Mancanza di
potenziali
familiari da
inserire
Necessità di
nuovi potenziali
familiari
2° successione
Conflitti:
ridefinizione
ruoli e rapporti
1° successione
Conflitti:
ridefinizione
ruoli e rapporti
Mancanza di
collaboratori di
fiducia
Rallentamento nello sviluppo
Lo sviluppo è dimensionato al potenziale familiare disponibile al momento e alla previsioni di potenzialità future
Discontinuità nello sviluppo
La crisi è legata alla mancanza improvvisa o prevista di soluzioni accettabili con le logiche familiari
(salvaguardia dell’integrità del patrimonio e mantenimento del controllo familiare)
Fondazione ISTUD
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Il problema della managerializzazione nelle imprese familiari in crescita
In questa prospettiva il tema dello sviluppo dell’impresa familiare si focalizza, quindi,
sulle crisi generate dalle relazioni fra i sottosistemi di cui si compone l’impresa familiare, con particolare attenzione alle caratteristiche della generazione al comando ed all'età
dei soggetti coinvolti. In particolare, si evidenzia che nel passaggio dal primo al secondo stadio generazionale, la soluzione dei problemi connessi con la rivitalizzazione della
strategia competitiva, la professionalizzazione e il mutamento di esigenze nell'ambito
familiare del fondatore presenti maggiore criticità rispetto al mutamento delle relazioni
fra i sottosistemi. Quest'ultimo, di contro, diviene il problema critico nel passaggio dal
secondo al terzo stadio generazionale, nel quale pure si richiede una rivitalizzazione della
strategia, che tuttavia presenta minor peso rispetto al tema della cresciuta complessità
dell'impresa familiare nel suo insieme. Nel terzo stadio generazionale, infine, le crisi
strutturali, i profondi adeguamenti della struttura alla strategia ed al grado di complessità dell'impresa divengono il tema dominante. In conclusione, ad ogni stadio si ripropongono, in veste diversa, i problemi dei precedenti; tuttavia le crisi sono meno profonde e
la loro soluzione presenta minori problemi grazie sia all'esperienza acquisita, sia alla
maggiore professionalità delle risorse (Boldizzoni, 1988).
Il problema della managerializzazione nelle imprese familiari in crescita
Sulla base di numerose evidenze sviluppate in contesti e secondo presupposti metodologici diversi (Corbetta, 2005), emerge una certa convergenza del ruolo della famiglia nei
processi di crescita delle imprese:
- le aziende a elevata crescita, sia quelle appartenenti al segmento dimensionale delle piccole sia le medie e le grandi, sono animate da un imprenditore forte che ha messo a punto
una formula innovativa di successo;
- le aziende a elevata crescita del segmento medio-piccolo sono caratterizzate dalla presenza di collaboratori formatisi totalmente all’interno e considerati degli effettivi alter
ego dell’imprenditore;
- le aziende a elevata crescita del segmento medio-grande sono connotate dalla presenza
di manager e/o consiglieri provenienti dall’esterno e formatisi in imprese di maggiori
dimensioni e dall’attenzione alla preparazione delle seconde linee responsabili.
In questo contesto, dunque, sembra emergere un modello di separazione fra proprietà e
gestione, più in particolare fra famiglia e impresa, nelle strategie di crescita. La famiglia,
comunque, non svolge solo il ruolo di titolare del capitale piuttosto quello di punto di
20
Fondazione ISTUD
La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Obiettivi della ricerca
riferimento imprenditoriale, di deposito dei valori essenziali, di centro di decisione ultimo nelle grandi scelte. Nei casi in cui il legame con la famiglia di riferimento si è rotto
ed il capitale si è concentrato in mani ristrette non facenti parte della famiglia fondatrice
(normalmente si tratterà di manager che hanno realizzato un “buy in” all’italiana) è molto
probabile che l’impresa sia destinata, prima o poi, a confluire in qualche grande gruppo
multinazionale e comunque si perde il tratto caratterizzante del Family Business.
Nei fatti si tratta, all’interno dello stesso contesto di quello che Schein (1999) definisce
un modello di cambiamento culturale per “ibridazioni successive”, l’unico, secondo l’autore, in grado di poter funzionare in un’impresa familiare, poiché non si propone di cancellare o sostituire bruscamente la cultura di origine profondamente radicata nell’organizzazione.
Obiettivi della ricerca
La ricerca si è posta l’obiettivo, attraverso la ricostruzione di sette esperienze professionali, di verificare l’integrazione fra il Family Business e il management professionale4
nelle aziende di minore dimensione in percorsi di discontinuità di crescita. La ricostruzione è avvenuta tramite la realizzazione di interviste in profondità5, cercando di analizzare i seguenti punti:
- La situazione che ha generato l’intervento di Temporary, con particolare attenzione alle
seguenti aree di indagine6:
- i motivi che hanno consigliato l’intervento;
- chi ha promosso l’iniziativa all’interno dell’impresa;
- in che ruolo è stato inserito il manager a tempo.
- Le azioni intraprese dal Temporary, in particolare nei seguenti campi:
- la strategia;
- l’organizzazione, con riferimento particolare a strutture/ruoli e processi;
- gli strumenti e i meccanismi operativi (pianificazione e controllo, budget di vendita...);
- persone in termini di nuovi ingressi/formazione/competenze/motivazione;
- comportamenti, nel senso più ampio di stile di management;
- sistema premiante.
4
Per una ricostruzione del fenomeno del Temporary Management in Italia si veda l’Allegato B.
Le interviste sono state realizzate in presenza nell’arco di una sola giornata. Soltanto una intervista è stata fatta telefonicamente, in quanto il Temporary era impegnato in un progetto all’estero.
6
Cfr. Allegato C.
5
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
La scelta dei manager
- I risultati raggiunti, dal punto di vista dell’impresa e del manager, focalizzando:
- i punti di forza e punti di debolezza;
- gli apprendimenti;
- le percezioni personali;
- i punti di attenzione.
La scelta dei manager
L’individuazione di manager che intervengono in forme diverse nelle aziende in crescita
non è operazione facile. Essi si configurano spesso come apporti di consulenza specifica
e transitano nella grande area dei servizi alle imprese, pur essendo una azione e un intervento dai contenuti e dalle forme diverse. Ne è testimonianza il fatto che soltanto recentemente stanno emergendo una serie di iniziative (vedi ad esempio l’attivazione da parte
di Fondirigenti di un’Agenzia del Lavoro per i Dirigenti) che cercano di istituzionalizzare il fenomeno e di porsi come agenzia di intermediazione su questa attività.
Per ovviare a questi vincoli e per cercare di identificare un campione, non rappresentativo in termini statistici, ma significativo in termine di rilevanza sul tema, in linea con le
pratiche maggiormente diffuse in questo campo, il team di ricerca ha coinvolto una società di Temporary Management7, attiva nel campo della fornitura di servizi per l’affidamento di management Temporary in imprese di minori dimensioni.
I manager intervistati sono quindi stati scelti, con la collaborazione di TMC Temporary
management & Capital (che è fra i principali attori autorevoli ed accreditati sul tema del
Temporary Management in Italia)8, in base alla specificità delle loro esperienze pregresse ed attuali ed in base alla loro disponibilità a partecipare alla ricerca.
Pur avendo espressione e provenienze diverse, i manager prescelti presentano un profilo
ricorrente in quanto tutti hanno:
- un’esperienza originaria in funzioni di linea nelle grandi imprese spesso multinazionali;
- una significativa esperienza all’estero;
7
Da anni la Fondazione ISTUD, in collaborazione con Temporary Management and Capital Advisors ha avviato una politica di
informazione e formazione al tema, intravvedendo nello strumento di Temporary una via efficace per favorire il processo di consolidamento e di managerializzazione delle imprese di minori dimensioni in Italia. I risultati di questa azione sono riconducibili a
cicli di conferenze e seminari sul tema nonché sull’attivazione e alimentazione di un sito che diffonde cultura del Temporary
Management (http://www.temporary-management.com/index.htm).
8
Maurizio Quarta è Managing Partner di Temporary Management & Capital Advisors e National Coordinator del Chapter italiano di IIM – Institute of Interim Management, principale associazione europea sul Temporary Management.
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
La scelta dei manager
- un background prevalentemente tecnico, con attenzione al profilo gestionale;
- un legame sviluppato con il sistema della finanza di impresa;
- esperienza professionale in piccole e medie imprese in crescita;
- spesso lavorato in imprese con sede in Lombardia9.
L’unità di analisi non è quindi stata la singola azienda, bensì proprio le diverse esperienze di Temporary avviate da questi soggetti in imprese della stessa tipologia. Le evidenze
emerse, in questo senso, si riferiscono in generale all’esperienza complessiva del
Manager e riportano esperienze diffuse non riconducibili solo ad un singolo caso aziendale. La fotografia che emerge, pur provenendo da una fonte unica e numericamente
limitata, riporta tuttavia esperienze ripetute negli anni e rappresenta una casistica numerosa ed esaustiva relativamente all’oggetto di indagine del presente lavoro.
La scelta di privilegiare più l’individuo che l’unità aziendale è sembrata infine più
coerente rispetto alle finalità generali del Progetto e al target di Fondirigenti10.
Nel campione sono stati inclusi anche Temporary che avessero le caratteristiche sopra individuate e che nella contingenza della
loro attività si trovassero a operare “temporaneamente” in contesti non lombardi. In questo caso, in generale, la localizzazione non
è un fatto decisivo. È importante però specificare che in tutti i casi la loro esperienza professionale si è costruita ed è radicata
all’interno del contesto produttivo e professionale lombardo.
10
Cfr. anche l’iniziativa di Fondirigenti Manager at Work, www.manageratwork.it
9
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Le evidenze
LE EVIDENZE
I motivi alla base della richiesta di un intervento professionale di Temporary
Management11
La casistica relativa al bisogno alla base dell’attivazione di un manager professionale
presente nel Progetto è varia. In generale essa è riconducibile a tre grandi fattispecie:
1. Lancio di un nuovo business o di una nuova azienda in aree diverse
In questo caso esiste un bisogno esplicito; bisogna avviare un processo di diversificazione, di business o territoriale e non esistono competenze attivabili all’interno dell’impresa. In qualche maniera, almeno nella fase di decisione, l’apertura all’esterno non insiste
sul core business principale, questo è il motivo per cui viene presa in modo abbastanza
“semplice”. Il legame con la struttura originaria è abbastanza debole, la contaminazione
in termini di role model imprenditoriali e apprendimenti è tutta da verificare. Nei casi in
esame non è stato possibile verificare il livello di apprendimento e contaminazione, di
fatto resta un episodio slegato e di cui bisogna valutare nel tempo la consistenza e il
potenziale di cambiamento organizzativo sul business originario.
2. Crisi e vendita
Si tratta di una fattispecie abbastanza frequente, che si pone in ogni caso in forte discontinuità, e in termini di pratiche e in termini di modelli, rispetto al business originario. Il
Temporary entra su mandato del finanziatore, sia esso banca che private equity, per valorizzare la partecipazione, rendere trasparenti i conti, creare valore per i nuovi azionisti e
trovare una nuova collocazione. Essendo obiettivi molto diversi rispetto alla proprietà
originaria i modelli di riferimento sono altrettanto differenti.
3. Limite del modello originario familiare
Questa è nei casi analizzati la fattispecie più interessante. Si tratta di una richiesta di
intervento esterno che avviene generalmente per due motivi:
- Il potenziale di crescita dell’azienda è significativo, l’imprenditore percepisce che l’attuale modalità di governo è debole e cerca “razionalità” esterna, attribuendo al mana11
24
Cfr. ancheAllegato B.
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Le evidenze
ger professionista il ruolo di portatore di sistemi di valore e di relazione diversi, teoricamente più consoni alla sfida che si vuole intraprendere;
- Il gruppo proprietario familiare è fortemente impegnato anche nella gestione e il modello non esprime più le competenze necessarie per separare le logiche patrimoniali da
quelle gestionali. Il manager interviene per facilitare il processo di separazione fra proprietà e gestione, attivando ogni processo manageriale in grado di rendere più continuativa la vita dell’azienda, a prescindere dalle priorità familiari.
La decisione della chiamata
Generalmente viene attivata da due attori distinti:
- i nuovi azionisti, in caso di “vendita o crisi” dell’azienda;
- l’imprenditore, nel caso in cui si immagini che il modello gestionale in vigore non regge
più la competizione.
Nel caso in cui interviene l’imprenditore, è fondamentale chiarire che si tratta generalmente di un intervento più istintivo che razionale. Non è un caso che, generalmente, non
appena la situazione che ha generato la chiamata si risolve o viene ritenuta per qualsiasi
ragione, non più valida, l’imprenditore tende a riproporre il modello originario e a separare la strada sua e della sua azienda da quella del manager.
Il ruolo in cui si è inseriti
Tutte le persone intervistate occupano, nelle aziende che li hanno attivati, un ruolo di
primo piano, siano essi amministratori delegati o direttori generali, a seconda del livello
di strutturazione dell’azienda in cui intervengono. Tutti hanno insistito per una formalizzazione delle deleghe, a cui vengono attribuiti significati diversi.
Per alcuni però la delega formalizzata è di importanza relativa, in quanto il ruolo in cui
sono chiamati è fortemente fiduciario, quindi facilmente risolvibile qualora si interrompa questa dimensione.
Il valore delle deleghe formalizzate, invece, è spesso posto alla base come pre-condizione in quanto facilita l’esplicitazione di una serie di consapevolezze, fra cui:
- l’accettazione della presenza di un manager professionista da parte dell’organizzazione
oltre che dei decisori dell’ingaggio,
- la necessità di esplicitare il proprio ruolo,
- l’esigenza di chiarire e condividere i motivi oggetto della chiamata.
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Le evidenze
L’esplicitazione delle regole, in ambiente di Family Business, presuppone quindi anche
una condivisione da parte degli altri familiari della necessità dell’intervento, superando
la dimensione individuale della scelta e cercando di coinvolgere, naturalmente o forzosamente, tutti gli stakeholder dell’azienda.
Nella logica dell’imprenditore la temporaneità, che caratterizza il ruolo del Temporary
Manager, è spesso sinonimo di cautela. L’imprenditore utilizza la formula del Temporary,
non per valorizzare fino a fondo il mandato a tempo del task che viene richiesto, piuttosto per poter tornare indietro, qualora qualche cosa rischi di non funzionare. Esiste ancora una logica di permanenza e di continuità nell’attività lavorativa, la flessibilità facilita
soltanto la libertà di poter tornare indietro facilmente. Questo fattore, da un punto di vista
metodologico, assimila il campione dei Temporary a un campione di manager continuativi.
Un dato, infine, ancora abbastanza poco valorizzato è il ruolo di una eventuale società di
Temporary che gestisce l’inserimento e l’intervento del manager. Anche in questo caso si
tende soprattutto a valorizzare la competenza di search executive da parte della società,
meno la dimensione processuale di governo del progetto. Le fattispecie presenti nel
nostro campione presentavano sia situazioni di ricerca e selezione “dirette” (per conoscenze pregresse o canali diversi) sia l’utilizzo di una società di Temporary.
Le azioni intraprese dal Temporary
Nelle diverse storie esiste anche una forte omogeneità circa gli interventi fatti. Questi
sono sempre qualificabili come:
- pochi
- semplici
- visibili e facilmente individuabili.
Gli interventi fatti non riguardano mai la “introduzione” di nuovi strumenti di management, più o meno sofisticati, in altri termini, non si possono definire “aggiuntivi”, ma
semplicemente “riordinativi”.
Gli interventi non sono tanto di “tecniche di management”, ma riguardano i basic, i fondamentali del management, la sua base di “razionalità”.
Nei racconti dei manager professionali ricorrono frequentemente alcune tipologie di
intervento:
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Le evidenze
- chiarire i ruoli, chi fa che cosa sul piano organizzativo;
- portare un metodo sul piano decisionale (es. qual è l’obiettivo?);
- introdurre alcune regole sul piano dei comportamenti.
Complessivamente gli interventi sono rivolti a mettere ORDINE e a semplificare.
Tra gli interventi fatti non compare mai nulla della “strumentazione” classica, più o meno
avanzata, del management: non compare né l’introduzione di pianificazione e budget, di
marketing, di finanza, di controllo di gestione, di M.b.O. e relativa incentivazione; non
compare la leva licenziamento e sostituzione di “incapaci e/o incompetenti”.
Gli interventi, e le dichiarazioni nelle interviste, si rifanno ai principi sostanziali del
management: “ordinare” gli accadimenti.
Alcuni esempi:
- Eliminare attività non prioritarie, eliminare la diversificazione non sostenuta dalla com
petenza. Quindi un principio di focalizzazione.
- Chiedere di esplicitare gli obiettivi e le relative priorità. Quindi un principio di “finalizzazione”.
- Chiarire i ruoli, utilizzare la delega, le responsabilità e il controllo. Quindi un principio
di “organizzazione”.
L’obiettivo generale degli interventi è quindi rivolto a risolvere le incoerenze del modello imprenditoriale e a contenerne l’irrazionalità.
Il contenuto degli interventi
Nelle storie raccolte c’è anche omogeneità nel contenuto degli interventi fatti, che sono:
- sempre di natura “organizzativa”, non tecnico/specialistici
- sempre relativi a processi elementari, non alle funzioni.
Non si registrano interventi sulla struttura, ma piuttosto sul suo funzionamento e si conferma che:
- l’organizzazione è la priorità
- anche la piccola impresa, come la grande, è “processiva”.
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Le evidenze
Gli interventi organizzativi citati sui processi sono pochi e ben individuati in tre processi fondamentali:
1. il lead-time relativo al processo di programmazione operativa, che regola il flusso dei
materiali. Si conferma tra l’altro che i fornitori, anche nella piccola impresa, sono fondamentali, perché possono contribuire positivamente o negativamente ai tempi, ai costi,
alla qualità, al know-how. Anche la piccola impresa è, a monte, una “rete”;
2. la qualità relativa al processo di produzione che si dimostra portatrice di una cultura
positiva fondamentale, nei suoi tre diversi aspetti di “orientamento al cliente”, di “integrazione”, di “metodo”;
3. la distribuzione, che regola i rapporti sia con distributori che con clienti piccoli.
Un ultimo processo oggetto di intervento può essere definito di “tracciabilità” dei fenomeni, un misto di sistema informativo, di contabilità industriale, di gestione della conoscenza.
Questi interventi, di ordine e di organizzazione, si sono dimostrati capaci di produrre
risultati positivi in tempi relativamente brevi.
In generale, infine, grande attenzione viene posta dai manager intervenuti a non “managerializzare” troppo la piccola impresa, in qualche maniera cercando di non replicare le
patologie che i manager hanno visto nelle loro esperienze precedenti nella grande impresa. Nell’idea di lavorare e ragionare più sui processi che sull’archetipo organizzativo, vi
è in nuce l’obiettivo di mantenere rapido e gestibile il processo decisionale all’interno
dell’impresa. Poco management, processo decisionale rapido, span of control limitato.
La ricerca principale è quella di rendere pulito e trasparente il sistema delle competenze
da mettere in gioco, non di strutturare presidi e strutture manageriali pesanti che il business non remunera e di cui se ne conoscono le derive “burocratiche”.
L’enfasi sulle persone
In tutte le storie, le risorse umane sono state considerate determinanti, nel miglioramento dei risultati.
Tutti hanno dichiarato che il contributo delle persone, soprattutto della loro motivazione
è stata fondamentale.
Però in nessun caso le persone sono state rimosse, allontanate, sostituite (in qualche caso
c’è stato l’ingresso di una sola persona qualificata: es. un giovane ingegnere).
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Le evidenze
Quindi le persone erano le stesse PRIMA e DOPO l’intervento.
Se ne ricavano due apprendimenti:
- Non sono le persone che fanno la differenza, ma è la loro prestazione, competenza e
motivazione che cambia in contesti diversi.
- Le persone vanno “guidate”, in tutti i sensi.
Quindi la differenza non sta nelle persone, ma nell’ “uso” della loro potenzialità.
Il ruolo dell’Imprenditore
La letteratura sulla figura complessa dell’imprenditore è dominante negli inquadramenti teorici sul Fenomeno della Piccola Impresa. La letteratura è copiosa, multidisciplinare soprattutto basata sul concetto che fra imprenditore e impresa esistano un
“overlap istituzionale”. Le ipotesi alla base del modello indicano che soltanto l’approfondita analisi delle caratteristiche imprenditoriali agevolano la comprensione
del fenomeno dell’impresa.
Tutti i più consolidati modelli di analisi insistono infatti sull’asse di coerenza fra
tipi di imprenditore, tipo di impresa e strategia di crescita.
Negli ultimi anni si è assistito a un progressivo rallentamento dell’utilizzo di questa categoria di analisi nella comprensione del Fenomeno della Piccola Impresa.
Sono apparsi predominanti gli studi delle reti di imprese da un punto di vista strategico e le logiche di azione manageriale all’interno dell’azienda che hanno spostato il focus da una visione mono centrica della gestione (imperniata sulla figura dell’imprenditore) a una più collegiale, che ruota intorno al team di supporto alla
gestione, a quella comunemente descritta come tecnostruttura di supporto all’imprenditore.
Sullo sfondo di questa prospettiva risultano fortemente condizionanti le opzioni
quasi indiscutibili che lo sviluppo dell’impresa non possa prescindere da una netta
separazione fra proprietà (quindi imprenditore e famiglia) e gestione (quindi
imprenditore e manager). Basandosi su questa prospettiva, inoltre, è cambiato anche
il filo rosso dei programmi di transizione manageriale che nel caso dell’imprenditore mono centrico evocavano il concetto del passaggio del testimone (ad esempio di Padre
in Figlio, Ward, 1990) mentre nel caso della separazione ragionano sul concetto del
gruppo di comando (da un uomo solo al comando al gruppo dirigente, Preti, 2004).
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Le evidenze
Le evidenze della ricerca sembrano confermare che la dimensione mono centrica
dell’Imprenditore è ancora molto presente e rilevante.
L’impresa nasce da un’idea che, a livello cognitivo, è frutto di una intuizione positiva e
di una innovazione.
L’imprenditore poi la realizza e la sostiene con un proprio “business model”, che appartiene soggettivamente alla sua “mappa mentale”, elaborata sempre in via intuitiva.
L’impresa però è anche, a livello emotivo, una proiezione viscerale dell’imprenditore,
una proiezione di sé. Nei casi in cui l’imprenditore dice di voler creare un’azienda per il
figlio, in realtà la vuole per sé.
L’imprenditore tende a ignorare i valori e le potenzialità del management e dei suoi fondamenti; spesso tende ad avere pregiudizi rispetto a modelli diversi da quelli che crede
di dominare.
L’imprenditore tende a insistere sulle leve che l’hanno nel tempo portato al successo,
generando una sorta di “skill enrichment” progressivo nel set di competenze presenti
nella sua azienda.
Il suo business model, la sua proiezione viscerale, ecc… funziona finché le condizioni di
partenza consentono all’impresa di funzionare. Quando il contesto cambia il modello
entra in crisi.
Quando per qualche ragione l’impresa entra in crisi, l’imprenditore chiede un generico
aiuto, di cui peraltro non conosce né il bisogno, né i contenuti: semplicemente si affida.
Ma la razionalità lo limita, l’organizzazione lo vincola e lo rallenta.
Anche la scelta di affidarsi a un esterno, di allargare il “gruppo di comando” è assolutamente temporanea e tattica, questo perchè l’ingresso di un “esterno” mette in discussione il suo business model ma soprattutto, in quanto strettamente collegato, l’immagine di
sé.
Questo è il motivo per cui generalmente l’imprenditore lo accetta finché ne ha bisogno.
Non appena l’impresa sviluppa i primi miglioramenti, riequilibra lo stato di crisi, l’aiuto
viene rifiutato. Il rapporto personale imprenditore/manager però rimane buono, il rapporto professionale si incrina, proprio per le ragioni anzidette. Non scatta un meccanismo
di “apprendimento” dell’imprenditore, che difficilmente cambia il suo business model;
semplicemente ha dimostrato “tolleranza” dovuta allo stato di bisogno, sinché è durato.
Purtroppo nei casi esaminati in realtà non c’è stata vera e propria integrazione tra imprenditività e management.
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Le evidenze
1. Ragioni, obiettivi e metodologia della ricerca
Il ruolo della conoscenza
Il secondo apprendimento riguarda il ruolo della conoscenza, nel processo evolutivo
della piccola impresa e del suo imprenditore.
Si conferma un principio: ciascuno fa solo ciò che sa!
Questa evidenza non è né semplice né banale.
Le evidenze della ricerca vanno infatti nella direzione di sottolineare che, soprattutto,
l’imprenditore spesso non sa, non ha la conoscenza.
Più in particolare la riflessione indicata non riguarda il fatto che l’imprenditore abbia o
meno competenze di management ma perché quasi sicuramente non ne conosce contenuti, cause, effetti.
La conoscenza è il presupposto per riconoscere, accettare, ricercare la competenza.
La conoscenza esiste, infatti, quando è noto il rapporto tra una causa e i suoi effetti. Per
un imprenditore la conoscenza utile è quella che gli consente di riconoscere il rapporto
tra i suoi risultati e le cause che lo determinano. Se questa osservazione ha un fondamento di verità, se ne ricava l’importanza essenziale di investire sulla conoscenza (prima
ancora che sulla competenza), sia per farla comprendere sul piano cognitivo, sia per renderla “socialmente accettabile”, non si sa, non si può o non si vuole cercarla. Allora nella
crisi, nella difficoltà, c’è una generica richiesta di aiuto, ma non c’è la conoscenza del
cosa e del come, del reale contributo che il management può portare.
La conoscenza esiste, infatti, quando è noto il rapporto tra una causa e i suoi effetti. Per
un imprenditore la conoscenza utile è quella che gli consente di riconoscere il rapporto
tra i suoi risultati e le cause che lo determinano. Se questa osservazione ha un fondamento di verità, se ne ricava l’importanza essenziale di investire sulla conoscenza (prima
ancora che sulla competenza), sia per farla comprendere sul piano cognitivo, sia per renderla “socialmente accettabile”.
Questa riflessione apre un fronte molto esteso riguardo al tema dell’impresa “aperta”,
della necessità di attivare meccanismi di confronto permanente fra gli imprenditori, partendo dalla valorizzazione del loro sistema di competenze e provando con cautela e
estendere i confini dei suoi domini e pratiche disciplinari prevalenti.
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Le evidenze
Anche in questo caso il problema non è nuovo, la tendenza a privilegiare pratiche di skill
enrichment è ricorrente in letteratura e nelle enfasi funzionali; quello che si vuole evidenziare
è il fatto che non si risolve la questione spostando il focus su una logica “competence based”,
quale quella prevalentemente usata dai formatori e dalle strutture di supporto alle imprese. Il
tema è in qualche maniera più semplice e per questo molto più difficile da realizzare, e cioè:
sviluppare la conoscenza per poi attivare suoi meccanismi di utilizzo e quindi il set di attività
e di knowledge tecnico e sociale che ne permette il suo perfetto utilizzo: la competenza.
Alcune considerazioni conclusive
La ricerca, almeno le storie che in essa sono state raccolte, tendono a sfatare una serie di
pregiudizi, in parte falsi miti che riguardano la storia dell’impresa minore in Italia nei
suoi ultimi anni.
Nessuna delle aziende studiate tramite i nostri “manager” è “finita” per crisi di mercato.
Nessuna delle aziende è stata spazzata via dalla incapacità di gestire gli effetti della globalizzazione dei mercati e l’aumento della concorrenza. Forse in alcuni casi la complessità derivante dai fenomeni dell’ambiente esterno hanno accelerato un processo di crisi,
ma sicuramente non sembrerebbe essere questo il motivo scatenante.
Le aziende oggetto del nostro campione avevano alcuni tratti ricorrenti che ne hanno
determinato il periodo di crisi: all’interno coprivano business molto diversi, promossi
dall’Imprenditore per suddividere il rischio di impresa. Il risultato è stato quello di una
esposizione molto forte in mercati diversi e non coerenti, assecondando una politica reattiva di risposta al mercato piuttosto che una azione deliberata di crescita.
Le indicazioni delle azioni di intervento di management mostrano che sono tutti rivolti a
privilegiare strategie di focus, opzioni di valorizzazione della competenza distintiva, in
cui il governo della variabile mercato (global) e della variabile tecnologia sono, normalmente, assolutamente alla portata della struttura di supporto. Altra operazione, coerente
con la strategia di focus, è stata quella di separare il più possibile le ragioni della proprietà da quella della gestione, valorizzando il potenziale della famiglia senza considerarla in ogni caso potenziale fonte di risorse e competenze; emerge in maniera diretta una
selezione dei collaboratori basati sulla fedeltà e sul presidio fisico dei processi. Gli interventi
esterni hanno favorito l’inserimento di management professionale che ha portato competenza,
apertura e non influenza nel dilemma impresa/famiglia.
In questo senso per le imprese di minori dimensioni, solitamente non attraenti per manager
esterni, si apre un fronte di grande interesse e di grande potenzialità e oggi esistono sul mer-
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Le evidenze
cato abbondanti risorse con competenza di management, anche di elevato livello qualitativo.
Le continue ristrutturazioni, sia di multinazionali che di grandi aziende hanno liberato dirigenti, indipendentemente dai loro meriti e/o demeriti. Dirigenti senior, per età e per anzianità di servizio, trovano difficoltà a ricollocarsi nel loro mercato di adozione, e sono disponibili a portare il loro contributo di esperienza nella piccola impresa.
Le storie raccolte dimostrano che molti di questi dirigenti:
- sono ben motivati alla “sfida” di portare la loro esperienza e di trovare spazi per realizzarla;
- sono personalmente disponibili a farlo, indipendentemente dal ruolo formale, accettano
ruoli di piena responsabilità o anche più defilati, purché esistano spazi reali per contribuire
ed essere ascoltati;
- hanno un bagaglio di esperienze manageriali, sia di multinazionali che di grande impresa
è adattabile al diverso contesto organizzativo della “piccola dimensione”, ridotto, come
vedremo, ai suoi “fondamentali”.
Per concludere, oggi il contributo manageriale alla piccola impresa esiste potenzialmente, sia
sul versante oggettivo, soggettivo, tecnico, professionale.
Collegata al concetto di focus, le aziende raccontate nell’indagine avevano un modello originario di management, basato su una gestione stellare e poco pianificata delle attività.
Eppure nessuno degli interventi ha cercato di cambiare l’essenza alle aziende oggetto della
nostra indagine. L’ipotesi di base è che la capacità di riattivare meccanismi di crescita fosse
prevalentemente basata sull’introduzione di sistemi e pratiche manageriali tipiche del mondo
della grande impresa. In parte anche la scelta di questa tipologia di intervento evocava in sé
questo tipo di previsione. E’ interessante notare che nessuno dei manager ha cercato di trasformare l’azienda; gli interventi in management sono stati pochi e assolutamente mirati,
tutti i manager professionali hanno evitato sovrastrutture manageriali, sono stati attenti a
mantenere lo “span of control” organizzativo il più limitato possibile, hanno cercato di mantenere il valore della velocità di decisione e della flessibilità organizzativa.
Hanno cercato, invece, di lavorare sull’apertura per aumentare le fonti e la gestione della
conoscenza, hanno presidiato l’organizzazione, hanno cercato di portare ordine e trasparenza nei flussi di comunicazione e nell’organizzazione del lavoro.
I risultati della ricerca dimostrano ancora una volta che organizzazione e people management sono le due leve per lo sviluppo delle nostre imprese; questo non significa affer-
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Le evidenze
mare che globalizzazione e tecnologia sono due variabili risolte e non più minaccianti,
soltanto che “vengono dopo” nelle priorità aziendali.
Imprenditorialità e management: una distinzione fatale
L’ultima riflessione riguarda il modello gestionale di riferimento, i valori che contraddistinguono le scelte di gestione e in generale le pratiche manageriali di riferimento.
Gran parte del dibattito sulla crescita dell’impresa e sul management ha preso atto dell’esistenza di un processo evolutivo nello sviluppo delle imprese, con necessità diverse
in termini di imprenditorialità e management professionale in ciascuna fase. I riferimenti bibliografici presenti in questo lavoro, sono fortemente influenzati da questa prospettiva e in parte non riescono a sottrarsi alla “camicia di forza” evoluzionistica, ipotizzando
fasi diverse e ricette diverse a seconda della stadio di discontinuità, sia esso di crescita
che di crisi.
Le evidenze empiriche raccolte confermano la necessità di andare oltre questa categoria
di lettura. Nei casi oggetto di analisi convivono situazioni di imprenditorialità e situazioni di management, senza soluzione di continuità ed è molto difficile distinguerne fasi e
priorità.
I manager intervenuti per gestire la discontinuità presente hanno utilizzato pochi e basilari concetti di management, più come strumenti per condividere linguaggi e obiettivi
comuni che come fine di determinate azioni, hanno cercato di attenuare l’anima dell’imprenditore, ma hanno valorizzato la natura imprenditiva dell’azienda, e soprattutto hanno
cercato di evitare l’irrigidimento e la burocrazia tipica delle imprese di più grandi dimensioni.
Nel dilemma fra imprenditorialità e management, emerge un modello ibrido, che cercando di valorizzare i punti di forza di ciascuna prospettiva, si muove in una azione di
“aggiustamento continuo”, in cui emergono due driver principali: la focalizzazione e l'ordine. I principali strumenti di gestione presenti nelle pratiche e in letteratura intervengono in forme originali e non sempre complete in un secondo tempo, in ogni caso non sembrano le priorità principali. Di questo bisogna tenere conto nell’impostazione di politiche
di supporto alle imprese nei loro processi evolutivi.
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Riferimenti bibliografici
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Il progetto
ALLEGATO A
Il Progetto
Il Progetto “IL DIRIGENTE COME LEADER: ruolo e competenze per l’innovazione e
l’internazionalizzazione” (FDIR 149) rientra nel quadro di azioni coordinate e fra loro
integrate che costituiscono il Programma complessivo elaborato a supporto dell’innovazione e dello sviluppo del sistema economico proposto dalle Associazioni Imprenditoriali
e dalle rispettive organizzazioni di rappresentanza di Federmanager a livello locale, in
particolare:
- Associazione Lombarda Dirigenti Aziende Industriali (ALDAI),
- Assolombarda,
- Confindustria Monza e Brianza,
- Federmanager - Associazione Dirigenti Aziende Industriali della Provincia di Pavia,
- Unione degli Industriali della Provincia di Pavia.
Il Programma, di cui il Progetto è parte integrante, nasce con la finalità generale di promuovere processi d’innovazione e sviluppo delle imprese lombarde. Obiettivo generale
del Progetto è, quindi, quello di innovare, sviluppare, integrare le competenze dei manager delle imprese lombarde valutate come necessarie per partecipare attivamente ai mutamenti in atto nelle imprese e per prevenire fenomeni di emarginazione interni all’impresa o generati dal mercato del lavoro.
“IL DIRIGENTE COME LEADER” è un Piano Territoriale, avente per destinatari i dirigenti e gli imprenditori che operano nelle aziende di minori dimensioni del territorio lombardo.
La precedente esperienza di start-up di Fondirigenti aveva consentito ai soggetti proponenti di condividere la necessità di una formazione per i dirigenti, le imprese e il territorio di riferimento che fosse costruita su misura rispetto al “ruolo” e alla responsabilità dei
dirigenti. Una delle richieste emerse da parte dei dirigenti nella sperimentazione iniziale
era stata quella di saper essere sempre più leader all'interno della situazione di lavoro,
leader capaci di guidare le persone verso obiettivi sfidanti stimolando la loro motivazione e sviluppando le loro capacità. Tale richiesta, solo apparentemente ovvia, nasce dalla
crescente complessità del contesto, dalle sfide crescenti dei mercati e delle nuove tecnologie, dai cambiamenti sempre più frequenti e imprevedibili che richiedono ai dirigenti e
Fondazione ISTUD
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Il progetto
ai manager di mobilitare al massimo le energie dei collaboratori suscitando in essi la
motivazione verso maggiori responsabilità e il desiderio e la sfida di crescere e di sviluppare le proprie capacità.
Il progetto ha quindi inteso essere un’occasione per progettare e implementare un percorso che sviluppasse la consapevolezza dei dirigenti lombardi sui temi della leadership
con un'attenzione particolare alle modalità innovative di gestione e alla loro declinazione in contesti sempre più multiculturali.
L’approccio, proposto dalla Fondazione ISTUD, riconosce alla leadership un'ampiezza e
una complessità di significati e contenuti non riducibile a un modello rigido e normativo
dotato di una validità generale, ed è consapevole del fatto che il significato e la funzione
della leadership possa assumere forme e contenuti diversi a seconda dei contesti delle
culture e delle prassi di riferimento.
Emerge così un concetto di leadership come funzione di guida e di cambiamento dei
comportamenti che con la sua azione si mette al servizio dell’autonomia, della crescita,
della motivazione e della responsabilizzazione degli altri sviluppandone l’efficacia nella
realizzazione degli obiettivi.
Tale ruolo del manager emerge chiaramente anche dalle evidenze della ricerca “La valorizzazione del management professionale nell'impresa minore in crescita” qui presentata, che ha inteso focalizzare e ricostruire alcune soluzioni e azioni organizzative intraprese dalle aziende di minori dimensioni (e dai loro manager) nella fase di crescita facendo emergere come l'azione del manager possa incidere all'interno dell’organizzazione
aziendale e identificando azioni, o prima ancora modalità, manageriali, che possono
risultare efficaci in contesti in crescita, sempre più caratterizzati da una forte innovazione, competitività, complessità.
Il Temporary Manager in questa chiave è il prototipo di un modello di leadership che,
necessariamente, deve definire comportamenti e azioni manageriali più consapevoli,
intenzionali ed efficaci. La leadership è intesa come “azione” e il ruolo “manageriale” da
“status” diventa “contributo” allo sviluppo non necessariamente in ottica di crescita
dimensionale dell’impresa.
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Fondazione ISTUD
La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Il progetto
Gli interventi formativi proposti dal Progetto intendevano, non a caso, rispondere infatti
a due ordini di esigenze di sviluppo:
1) organizzativa delle aziende (cercando di rispondere al bisogno di sviluppare le capacità dei dirigenti di gestire in modo integrato, anche in contesti globali, e di essere in
grado di comprendere strategie e obiettivi, traducendoli in azioni e decisioni)
2) individuale dei manager (supportando i dirigenti e gli imprenditori a sviluppare la
piena consapevolezza delle proprie potenzialità e delle proprie competenze, attivando un
percorso che potesse consentire di rielaborare l’esperienza propria e altrui e di acquisire
metodi per lo sviluppo di sé e dei propri collaboratori).
I risultati raggiunti complessivamente, sia per quanto riguarda l’azione formativa che
l’attività di ricerca, mostrano che il bisogno di crescita sia delle imprese di minori dimensioni che dei manager, si manifesta più come esigenza di incrementare la conoscenza e
consapevolezza delle proprie potenzialità, piuttosto che, nel caso delle imprese, la propria “dimensione” o, nel caso dei manager, la propria “carriera”.
La crescita e lo sviluppo di imprese e manager si apre in questa prospettiva, a nuovi scenari formativi e di analisi, e richiede probabilmente, modalità innovative di risposta e
intervento.
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Temporary Management: le modalità di utilizzo per le PMI
ALLEGATO B
Temporary Management: le modalità di utilizzo per le PMI12
E’ opinione largamente diffusa e condivisa che l’aumento di competitività della piccola e
media impresa italiana possa realizzarsi solo attraverso un incremento significativo delle sue
capacità e competenze manageriali, che le consentano di compiere il salto qualitativo richiesto
nei tempi stretti spesso imposti dal mercato.
L’incertezza che caratterizza il contesto economico globale richiede però che questo avvenga
lasciando aperto il maggior numero di gradi di libertà possibile prima di definire una soluzione di lungo termine ed operando senza appesantire la struttura dei costi fissi di lungo periodo.
Una possibile soluzione consiste nell’iniettare in azienda nuova managerialità capace di facilitare e accelerare il processo di cambiamento e di introdurre stabilmente in azienda le nuove
capacità critiche richieste attraverso lo strumento del Temporary Management (vedi definizione in Tabella 1 - di seguito indicato come TM), che viene naturalmente a proporsi come un
ragionevole punto di equilibrio tra bisogno di managerialità e vincoli economici e organizzativi.
Tabella 1
Cosa è il Temporary Management
Il TM è l’affidamento della gestione di un’impresa o di una sua parte a
manager altamente qualificati e motivati,
al fine di garantire continuità all’organizzazione, accrescendone le competenze manageriali esistenti, e risolvendone al contempo alcuni momenti critici, sia negativi
(tagli, riassestamento economico e finanziario) che positivi (crescita, sviluppo di
nuovi business). Gestione significa inoltre che il manager viene dotato di tutte le
opportune leve (poteri, deleghe).
Il TM dovrebbe essere correttamente interpretato come una terza via, accanto alla consulenza e alla dirigenza tradizionale, attraverso la quale l’azienda può dotarsi di risorse finalizzate a migliorare performance e capacità di gestione.
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L’autore Maurizio Quarta è Managing Partner di Temporary Management & Capital Advisors e National Coordinator del
Chapter Italiano di IIM – Institute of Interim Management (www.tmcadvisors.com, www.Temporary-management.com)
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Fondazione ISTUD
La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Temporary Management: le modalità di utilizzo per le PMI
Quando utilizzarlo
La letteratura classifica normalmente gli interventi di TM nelle macrocategorie riportate
in Tabella 2; il fatto però che un problema si presti quasi naturalmente ad essere risolto
in ottica di TM, non significa necessariamente che questo rappresenti la soluzione ideale per qualsiasi contesto aziendale.
Qual è il livello di intervento più appropriato? La gestione globale dell’impresa oppure
quello di gestione e ottimizzazione di una singola area funzionale critica per la crescita?
L’interesse da parte delle PMI sembra concentrarsi soprattutto su interventi di “ottimizzazione funzionale”, termine con cui si identificano quegli interventi di TM in specifiche
aree dell’azienda le cui risorse umane “chiave” hanno in genere un’elevata anzianità
aziendale, e, spesso cresciute con l’azienda stessa, possono mostrarsi e sentirsi inadeguate a gestire situazioni sempre più complesse, finendo col creare situazioni di tensione personale e nell’organizzazione.
In queste aree particolarmente esposte alla tensione da crescita e da “raggiunto livello di
incompetenza” può rivelarsi necessario ricorrere al supporto di un manager che operi da
vero e proprio coach (letteralmente: allenatore) del manager presente in azienda.
In termini generali questo tipo di interventi si focalizza sui seguenti obiettivi minimi:
- razionalizzazione delle modalità di gestione di una data area funzionale
- verifica dell’approccio esistente e introduzione di nuovi approcci e nuovi metodi operativi
- trasferimento di nuove competenze alla struttura
- coach del manager già presente, al fine di metterlo in grado di subentrare nella piena
responsabilità di gestione entro ragionevole lasso di tempo.
Perché questo tipo di operazioni abbiano successo è necessario avere la massima trasparenza nei confronti del manager oggetto del coaching (messaggio: l’azienda sta investendo su di te perché ha scelto te, il TMan è qui per aiutarti) e salvaguardare la sua
immagine e credibilità interna ed esterna. A tal fine il TMan potrebbe entrare come consigliere della Direzione Generale con responsabilità progettuale su certe aree.
Un caso a parte è quello del ricambio generazionale in cui il TM agisce come coach nei
confronti dei componenti della famiglia prescelti per gestire una data area aziendale, al
fine di garantire un passaggio di consegne alla generazione successiva non traumatico e
di creare e rafforzare le competenze di gestione necessarie allo sviluppo organico dell’azienda.
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Temporary Management: le modalità di utilizzo per le PMI
Tabella 2
Gli interventi di TM vengono normalmente classificati in cinque macro categorie:
1. management transitorio, in cui l’intervento è richiesto per la copertura di improvvisi e non previsti vuoti manageriali
2. gestione di progetti specifici
3. gestione di crisi aziendali vere e proprie
4. management delle competenze, ovvero necessità di introdurre in azienda, in tempi
brevi e con la massima efficacia, nuovi strumenti e nuove modalità di lavoro
5. gestione del cambiamento.
Più nello specifico, un intervento di TM può essere utile nelle seguenti situazioni:
- per gestire situazioni di turnaround legati a crisi tendenzialmente reversibili
- per rimettere in sesto un’azienda o una sua parte prima di procedere alla sua
vendita
- per pilotare e gestire un complesso processo di cambiamento, che interessi cultura,
strategia e struttura aziendale
- per avviare nuove attività, specie se all’estero (delocalizzazioni)
- per gestire l’integrazione di aziende/business di recente acquisizione
- per attuare il coaching di un manager permanente
- per gestire la transizione in attesa dell’ingresso di un manager permanente
- per gestire con successo il passaggio generazionale
- per gestire un progetto mirato, ad esempio la gestione di attività di outsourcing o
l’implementazione di un sistema ERP.
Dalla teoria alla pratica: alcuni casi reali
A zienda alimentare – 5 milioni di euro
Problema: l’azienda, in forte espansione, deve avviare un nuovo sito produttivo, ma l’imprenditore teme che il compito possa essere eccessivo per il manager presente in azienda da oltre 20 anni e cresciuto con l’azienda stessa.
Soluzione: ingresso, per nove mesi, di un manager senior con forte esperienza nell’avviamento di siti produttivi in contesti molto più grandi, con l’obiettivo di avviare con suc-
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Temporary Management: le modalità di utilizzo per le PMI
cesso il nuovo impianto, garantire una transizione molto soft e al contempo far crescere
il manager già presente.
Azienda meccanica – 12 milioni di euro
Problema: l’azienda è da qualche anno in fase di crescita continua e il timore dell’imprenditore è che l’intera struttura, specie nel comparto produttivo, possa non dimostrarsi adeguata a reggere determinati ritmi.
Soluzione: ingresso per due anni di un Direttore Generale con l’obiettivo di apportare tutti i
cambiamenti necessari, organizzativi e di processo, affinché l’azienda possa sostenere l’ulteriore crescita prevista. Il manager deve inoltre fare da coach all’Amministratore Delegato il
quale, entrato in azienda in età molto giovane, sente egli stesso il bisogno di essere supportato
attivamente nella gestione.
Azienda di arredamento – 8 milioni di euro
Problema: l’unico socio operativo, su quattro, decide di cambiar vita e si trasferisce all’estero.
L’azienda, marchio noto nel settore e che ha sempre dato risultati molto soddisfacenti, rischia
di rimanere senza una guida.
Soluzione: ingresso per due anni di un Direttore Generale finalizzato a gestire l’azienda e a far
crescere il giovane figlio di uno dei soci, unico disponibile ad occuparsi dell’azienda.
Azienda di distribuzione – 40 milioni di euro
Problema: l’imprenditore, in età avanzata e di salute cagionevole, non ha una successione
immediatamente disponibile.
Soluzione: ingresso di un Direttore Generale per due anni con l’obiettivo di identificare e selezionare tra i tre potenziali successori il futuro capo azienda e quindi di condurlo per mano
all’acquisizione della nuova responsabilità.
Chi è il Temporary Manager (TMan)
Il TM è una professione dai contenuti particolarmente elevati e richiede manager dotati
di particolari qualità professionali e personali. È una professione full-time, non un riempitivo alla ricerca di un lavoro e rappresenta la soluzione umana ad un problema di business e non viceversa.
Parliamo di personaggi che amano la sfida insita nell’affrontare un problema complesso
e risolverlo, come nel caso di Direttori Generali chiamati a confrontarsi con incarichi di
tipo specialistico/funzionale, senza alcun problema di demotivazione o di accettazione
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Temporary Management: le modalità di utilizzo per le PMI
dell’incarico come extrema ratio: si tratta di manager che vendono know-how, che sono
ben pagati per questo e a cui non interessa più una carriera di tipo tradizionale, che hanno
già svolto con successo e a cui hanno poco altro da chiedere.
Chi è il Temporary Manager (TMan)
Nei mercati più evoluti questo è il profilo tendenziale di un buon TMan:
- avere un’età compresa tra 45 e 55 anni;
- aver attraversato 5 cambiamenti di azienda con fino a 10 diversi ruoli ricoperti durante la
propria carriera;
- aver operato per oltre 20 anni come manager permanente;
- aver possibilmente già operato per oltre 3 anni come interim manager;
- essere consapevole di “vendere” know-how;
- non essere più interessato alla carriera intesa in senso tradizionale. È un manager che ha
già operato la transizione dal concetto di status (legato alla concezione del dirigente tradizionale) al concetto di valore/contributo che si è capaci di fornire all’azienda cliente e che,
svincolandosi definitivamente dal concetto di dirigenza, diviene capace di strutturarsi e pensare come un’azienda, attento e capace a gestire alcune leve basilari di successo, quali il marketing di se stesso, lo sviluppo attento di una propria rete di relazioni, l’autoformazione
costante.
Deve saper coniugare elevata competenza specifica sui problemi oggetto dell’intervento,
preferibilmente sovra-dimensionata rispetto all’incarico e caratteristiche personali peculiari,
quali:
- motivazione a ricercare in ogni incarico una nuova sfida
- rapidità di analisi e di valutazione, unite alla capacità di definire rapidamente piani operativi vincenti;
- attitudine a creare rapidamente un ambiente di lavoro motivante e a gestirlo attraverso l’esempio e il coinvolgimento operativo diretto;
- senso e valore del risultato, uniti ad una forte determinazione a raggiungere gli obiettivi
concordati;
- forte coinvolgimento personale unito ad una grande capacità di lavoro;
- capacità di trasmettere know-how ed esperienza, che racchiude la capacità di gestire gruppi di lavoro, leadership e capacità di coaching e capacità di comunicazione;
- capacità di project management e di problem solving;
- forte senso etico.
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Temporary Management: le modalità di utilizzo per le PMI
Aspettative e timori
Indagini svolte nei principali Paesi europei hanno evidenziato le principali motivazioni
per cui le aziende ricorrono ad una soluzione di TM:
- flessibilità, forse la motivazione maggiormente ricorrente, che è possibile leggere in due
modi: soprattutto come possibilità di disporre di competenze di alto livello, senza alcun
appesantimento dei costi fissi di lungo periodo, ma anche come necessità di lasciare aperto il maggior numero di gradi di libertà possibile prima di definire la soluzione di lungo
periodo;
- velocità nell’avviare il progetto: nella norma, in meno di due settimane è possibile far
entrare il manager in azienda;
- qualità del manager e della soluzione complessiva;
- efficacia nel raggiungimento della soluzione ottimale al problema posto;
- operatività immediata, derivante dal livello di seniority dei manager impiegati e dal loro
tendenziale sovradimensionamento di qualifica;
- motivazione dei manager, fortemente orientati allo specifico progetto;
- nessuna complicazione ed onere legato al termine dell’incarico;
- efficienza in termini di costi.
Tali ricerche hanno evidenziato anche le seguenti aspettative:
- spesso, l’azienda avverte l’esigenza di un servizio più che quella di un manager solo:
questa esigenza viene manifestata con maggior frequenza dalle PMI che esprimono il
bisogno di essere guidate e accompagnate, in forme più o meno intense, durante tutta la
vita di un progetto;
- un manager di grande esperienza che sappia anche essere un grande operativo e un realizzatore;
- un manager che sappia integrarsi operativamente con il gruppo alla guida dell’azienda,
senza mai scendere ad un eccessivo livello di familiarizzazione e omologazione con lo
stesso;
- direttamente legato al punto precedente: un manager intellettualmente indipendente,
poco propenso alla “politica” e a fare gruppo per difendere la propria posizione o i propri interessi, e dotato di forte senso dell’obiettività;
- un manager il cui senso etico sia assolutamente fuori discussione.
Aziende e imprenditori, nell’approcciarsi ad una soluzione di TM, esprimono però anche
alcune forme di paura e di diffidenza, legate principalmente al tema della confidenziali-
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Temporary Management: le modalità di utilizzo per le PMI
1. Ragioni, obiettivi e metodologia della ricerca
tà e della riservatezza. Poiché il TMan, per livello di seniority e criticità dei problemi su
cui operare, viene frequentemente a contatto con informazioni e dati molto delicati e
riservati, l’azienda, specie se piccola e di natura imprenditoriale, si pone il problema di
un possibile utilizzo improprio di tali informazioni. Nella norma, ciò viene risolto da
alcune clausole di garanzia (es. il manager si vincola a non operare per un dato periodo
di tempo, direttamente o indirettamente, per aziende direttamente concorrenti dell’azienda cliente).
Come costruire un progetto vincente
Società specializzata o manager freelance?
Forse la domanda che viene posta con maggior frequenza da parte di aziende e imprenditori.
Una soluzione non è a priori superiore all’altra, si tratta di due modalità differenti di operare, caratterizzate da un diverso livello di servizio che si traduce poi in un diverso livello di costo. In particolare:
- tempi e livello di servizio: lo specialista è in grado di fornire più alternative di qualità
in tempi brevissimi (giorni, non settimane);
- selezione: lavorando esclusivamente su TMan lo specialista è maggiormente in grado
di valutare le qualità del singolo, tenuto presente che nella media su 20 curricula spontanei solo 3 rivelano dei reali TM.
- garanzia di servizio: oltre al controllo del progetto è prevista la sostituzione del manager nel caso insorgano particolari problemi: il lavoro dello specialista prosegue ben oltre
l’ingresso del manager e copre tutto l’arco del progetto.
Dal punto di vista della gestione, è utile ricordare che in un progetto di TM tre sono le
tipologie di servizi erogati al cliente:
- un’attività di ricerca del manager (attività soggetta ad autorizzazione del Ministero
secondo la più recente normativa);
- un’attività di affiancamento e supporto al manager, con intensità variabile in funzione
della complessità del progetto;
- l’attività diretta di gestione del manager in azienda.
La distinzione tra aspetti operativi di un progetto e aspetti contrattuali di relazione tra le
parti può aiutare a comprendere come i vari elementi si incastrano tra di loro.
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La valorizzazione del management professionale nell’impresa minore in crescita
Temporary Management: le modalità di utilizzo per le PMI
Per quanto riguarda gli aspetti operativi, elemento discriminante è il grado di coinvolgimento sul progetto da parte della società di TM. Nelle situazioni più semplici, in cui il
problema da risolvere è strutturato e in cui l’azienda cliente dispone di adeguate risorse
a supporto del manager, la società di TM si occuperà della ricerca del manager e del
monitoraggio periodico del progetto, più o meno intenso in funzione dello specifico problema (soluzione “leggera”).
In situazioni più complesse – problema fortemente destrutturato, quantità e qualità di
sistemi di supporto manageriale insufficienti – tende ad intensificarsi la presenza della
società di TM, attraverso un accompagnamento più intenso, che arriva fino all’allocazione di un vero e proprio team a supporto del manager (soluzione “a progetto”). In questo caso, il costo complessivo sarà funzione del costo del manager prescelto e della quantificazione del lavoro di supporto della società di TM.
Ciò viene normalmente regolato in due modi alternativi: con un unico rapporto contrattuale tra cliente e società di TM, che a sua volta gestisce il rapporto contrattuale con il
manager, oppure attraverso due distinti rapporti contrattuali, uno con la società di TM per
i servizi da essa effettivamente resi (non importa se in modalità leggera o a progetto) ed
uno con il manager.
Pur senza addentrarsi in dettagli giuridici, per incarichi funzionali (es. un direttore commerciale o logistica) il doppio contratto sembrerebbe la soluzione formalmente più corretta. Peraltro, le aziende sembrano apprezzare in maniera crescente questo approccio, in
quanto completamente trasparente dal punto di vista di costi e servizi resi da ciascuna
parte, specie nel caso di soluzioni intermedie.
Come diretta conseguenza, si pone il problema relativo alla miglior forma di contratto tra
azienda e manager per l’esecuzione dell’incarico.
Premesso che non esiste una forma contrattuale ideale e che la stessa è il risultato della
libera contrattazione tra le parti, un fattore rilevante è il modo in cui il manager ottimizza la propria posizione reddituale e fiscale.
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Temporary Management: le modalità di utilizzo per le PMI
Come valutare i costi di un intervento
Poiché il TM è una professione a sé stante che fornisce alle aziende un particolare tipo
di servizi, una corretta valutazione dei costi di un progetto deve rispettare questa peculiarità: bisogna pertanto confrontarsi con il costo della non soluzione del problema oggetto dell’intervento (specie se protratta nel tempo) e non con il costo aziendale equivalente di un manager a tempo indeterminato.
Se comunque, per avere un parametro di riferimento, ci si vuole riferire al manager permanente equivalente, è opportuno pensare in ottica di full cost, ovvero includendo i costi
di un’interruzione del rapporto di lavoro, di formazione e tutti gli eventuali costi accessori legati alla posizione. Una regola aurea, generalmente condivisa, è che il TMan
dovrebbe costare almeno il 25-30% in più del costo aziendale del manager a tempo indeterminato corrispondente, quale “premio” per il maggior rischio connesso alla professione e per la necessità di “finanziare” il proprio aggiornamento e la propria formazione.
Il TMan opera quasi sempre con una forte incentivazione economica al raggiungimento
degli obiettivi: è consigliabile strutturare una parte variabile di tipo “esponenziale”,
ovvero particolarmente significativa e fortemente crescente in funzione del raggiungimento di obiettivi decisamente rilevanti.
Creare le condizioni per il successo
Il successo di un intervento si basa sul rispetto di alcune semplici condizioni preliminari: esse sono valide tanto per la grande quanto per la piccola e media azienda, ma soprattutto per quest’ultima, specie oggi che l’imprenditore arriva spesso a delineare in maniera quasi autonoma una soluzione di TM per la propria azienda.
Diagnostico preliminare
Specie nelle situazioni più complesse, e laddove non esista uno studio di fattibilità realizzato da altri, l’intervento di TM vero e proprio viene preceduto da un diagnostico organizzativo-strategico mirato a definire con sufficiente precisione il quadro entro cui l’azienda si muove e da cui discendono gli obiettivi su cui è opportuno che l’intervento stesso si focalizzi e il piano operativo ipotizzato per raggiungere tali obiettivi.
Deleghe, poteri e leve operative
Inserire un manager senior per gestire e risolvere problematiche di gestione senza fornirlo delle adeguate deleghe operative significa dotarsi di un’arma spuntata e inefficace.
Capita spesso di sentire: “tanto poi il manager per qualsiasi cosa parla con me...”, quasi
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come se l’imprenditore dovesse privarsi di una parte del proprio corpo delegando al
manager una parte dei poteri che sente sua esclusiva prerogativa.
Prima dell’avvio di un progetto bisogna quindi verificare che deleghe e poteri esistano
effetivamente e siano funzionali agli obiettivi del progetto. Non solo: devono essere
comunicate con chiarezza a tutta l’organizzazione al fine di dare piena legittimità e adeguato peso all’intervento.
Contesto organizzativo e comportamenti
Se una data area funzionale è affidata ad un manager esterno, non devono esistere compromessi “organizzativi” per preservare aree di potere di membri della famiglia palesemente non idonei. Allo stesso modo, l’imprenditore non deve delegittimare il manager
con atteggiamenti e comportamenti: è al manager che deve indirizzare le persone che
prima si rivolgevano a lui, senza la scusa del “ci conosciamo da anni, ci resterebbe male
a non poter parlare con me”.
Comunicazione
Naturale conseguenza dei punti precedenti è che sia chiaro e noto a tutti cosa fa il manager, senza zone d’ombra. La tipica domanda dell’azienda a questo proposito: devo o
meno informare il resto dell’azienda sulla temporaneità dell’incarico? Salvo casi estremamente particolari e specifici, la raccomandazione generale è quella di dare piena trasparenza alla temporaneità del mandato, e ai poteri e alle deleghe di cui il manager dispone.
Durante tutto lo svolgimento del progetto, è poi molto importante che si presti adeguata
attenzione alla veicolazione, specie agli altri manager “chiave” della struttura, di alcuni
messaggi riguardanti i principi base di un intervento di Temporary, ovvero:
- l’aver optato per una scelta di tipo TM non implica alcuna sfiducia nei confronti del
management interno: si tratta di una scelta tattica, ampiamente giustificabile in termini di
rapporto costi/benefici
- i compensi del manager, in quanto sensibilmente più elevati dei suoi colleghi permanenti, non devono essere considerati una turbativa al sistema di equità interna, bensì il
giusto prezzo di un servizio particolare e la giusta remunerazione di un certo tipo di
rischio d’impresa personale che il TMan accetta di correre
- il TMan non rappresenta un pericolo per la carriera di nessuno: entra ed opera per poter
divenire inutile, non per costruire una propria carriera a detrimento di altri. Anzi, spesso
entra a servizio della carriera di altri manager, laddove venga chiamato per gestire situazioni di coaching.
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Pensare da subito al trasferimento delle competenze
A parte i casi di coaching, dove la cosa è di per sé ovvia sin dall’inizio, quasi sempre un
intervento di TM ha tra i suoi obiettivi collaterali quello di trasferire all’azienda cliente
know-how e competenze per migliorare la gestione di determinati processi o funzioni.
Perché la cosa abbia successo, è però necessario che venga identificato, meglio se da
subito, chi dovrà ricevere questo know-how e queste competenze per poter gestire a regime e nella normale operatività quanto implementato dal TMan.
Evitare la sindrome del “è bravo, facciamolo fare al TMan”
Può capitare che, specie su incarichi non brevi (dodici/diciotto mesi) l’azienda si assuefaccia al TMan, al punto di dimenticarne la temporaneità, considerandolo né più né meno
un membro permanente della struttura, e di cominciare ad affidargli incarichi collaterali,
magari su problematiche di lungo termine. È importante che questi comportamenti non
inducano una defocalizzazione rispetto ai piani e agli obiettivi definiti, che peraltro, se
richiesto da particolari condizioni, possono anche essere modificati in corso d’opera.
Il ruolo del legislatore
Recentemente il legislatore nazionale e quelli regionali hanno dedicato un particolare
sforzo per favorire l’utilizzo del TM nelle PMI, quale strumento per aumentarne la competitività.
Il primo esempio di legge italiana che riconosce il TM e le società che lo forniscono è la
legge n. 7193 del 12 novembre 1997 della Regione Umbria, cui va riconosciuto il merito di interpretarne nel giusto modo i principi (elevata seniority; interventi per innovazione e diversificazione, a livello di top management e funzionale; necessità di un progetto
con obiettivi ben definiti; intervento anche attraverso società specializzate).
Nella Legislatura appena conclusa, la Commissione Lavoro della Camera ha lavorato ad
un disegno di legge (il n. 5421 del 2004), che prevedeva agevolazioni fiscali per l’assunzione di TMan da parte di PMI.
Un’ottima articolazione viene dalla Regione Friuli Venezia Giulia (l. n. 4 del marzo 2005,
nota anche come legge Bertossi), che prevede incentivi per l’utilizzo di manager a tempo
che, a fronte di un business plan definito, aiutino le PMI a gestire progetti di:
- crescita dimensionale (aggregazioni, fusioni e accordi interorganizzativi);
- processi di internazionalizzazione (creazione di reti commerciali all’estero, sviluppo
strutturato di relazioni internazionali);
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- razionalizzazione degli assetti gestionali e organizzativi;
- situazioni di successione generazionale;
- processi di ricapitalizzazione o di riordino degli assetti di governo societario anche
attraverso l’apertura a terzi.
Molta attenzione si presta al profilo del manager, alla valutazione della sua coerenza con
il business plan, e alla sua capacità di trasferire competenze: la Regione, infatti, incentiva anche iniziative di tirocinio formativo collegate alla permanenza del TM in azienda.
Una prima considerazione: il quadro normativo, elemento facilitante dell’incontro tra
domanda e offerta, è importante, così come è importante lavorare sull’offerta, creando
disponibilità di adeguate capacità manageriali, ma anche sulla domanda, aiutando l’imprenditore a superare le sue barriere, soprattutto psicologiche.
Quali altre indicazioni estrapolare?
Innanzitutto, evitare di ricadere nella tentazione demagogica di rendere semplice, e apparentemente poco costoso, uno strumento in realtà molto complesso e che, mal usato,
può creare più di un problema. Bisogna anche evitare di ricadere nella trappola delle
mode manageriali: il TM oggi è un concetto di moda e occuparsene fa anche bello.
Esistono limiti dimensionali al di sotto dei quali un intervento avrebbe poco senso: sotto
i 5-6 milioni è abbastanza irrealistico pensare a progetti di TM.
La qualità è fondamentale: l’imprenditore ha un problema e fa già molta fatica a ricorrere ad un manager esterno. Lo vuole non buono, ma ottimo: risparmiare pochi euro non
è per lui fondamentale, così come è poco interessato ai problemi occupazionali del
manager.
Bisogna quindi che le caratteristiche di seniority dei manager siano adeguatamente recepite: in genere, si opera con manager over 45 e che hanno operato come dirigenti per
almeno una decina di anni.
Il TM è un professionista: attenzione quindi a limitare i benefici di legge a modalità di
ingresso che ne prevedono la sola assunzione.
Le PMI evidenziano generalmente il bisogno di essere seguite da un elemento terzo a
garanzia dell’intervento: come recepire questo fatto nella normativa?
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Alcune considerazioni finali
Sulla base delle numerose esperienze realizzate negli ultimi anni, è possibile delineare
alcuni modelli di comportamento del piccolo/medio imprenditore:
- in generale, l’imprenditore medio non fa molta fatica a compiere spontaneamente i
primi due passi relativi ad un progetto di TM, ovvero: identificazione del problema e
valutazione del TM come soluzione più appropriata. Segno questo che il livello di preparazione medio è negli ultimi anni fortemente cresciuto, se pensiamo che solo sei o sette
anni addietro molti imprenditori pensavamo al TM solamente come una forma prolungata di periodo di prova;
- il costo di un progetto non è quasi mai un elemento di difficoltà: nel momento in cui
l’imprenditore è convinto della soluzione proposta e del fatto che tale soluzione aumenti di fatto il valore della sua azienda (e quindi del suo patrimonio), raramente ne fa una
questione di natura economica. Paradossalmente sono talvolta i grandi gruppi a porre
simili problemi per esigenze di budget o di vincoli di spesa;
- il vero elemento di difficoltà è di natura essenzialmente psicologica e risiede nella reale
disponibilità a dare piena delega al manager (o nel creare le condizioni di successo sopra
citate), anche solo per la gestione di una parte dell’azienda. E’ su questo ostacolo che, in
almeno tre casi su dieci di imprenditori avvicinatisi spontaneamente al TM e che hanno
compiuto con successo i primi due passi, spesso ci si arena;
- il quadro normativo, quale elemento facilitante dell’incontro tra domanda e offerta, è
importante, ma non sufficiente per innescare una dinamica positiva nel mercato: bisogna,
in contemporanea, creare nelle PMI quella cultura di gestione che consenta loro di comprendere i nuovi strumenti, apprezzarne i vantaggi e utilizzarli correttamente, tema sul
quale diverse associazioni imprenditoriali sono già al lavoro.
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Check list ricerca
ALLEGATO C
Check list ricerca
La ricerca, attraverso la metodologia dell’intervista in profondità, intende indagare le
seguenti aree.
La situazione che ha generato l’intervento di Temporary?
Più in particolare, le aree di indagine potrebbero essere:
- i motivi che hanno consigliato l’intervento;
- chi ha promosso l’iniziativa all’interno dell’impresa;
- in che ruolo.
Le azioni intraprese dal Temporary nei seguenti campi:
- la strategia;
- l’organizzazione con riferimento particolare a strutture/ruoli e processi;
- gli strumenti e i meccanismi operativi (pianificazione e controllo, budget di vendita...);
- persone in termini di nuovi ingressi/formazione/competenze/motivazione;
- comportamenti nel senso più ampio di stile di management;
- sistema premiante.
I risultati:
- i punti di forza e punti di debolezza;
- gli apprendimenti;
- le percezioni personali;
- i punti di attenzione.
N.B. Pur essendo consapevoli che ognuno degli intervistati ha numerosi precedenti di intervento su questo tema, l’intervista, soprattutto in termini di azioni e risultati dovrebbe essere
dedicata prevalentemente a un caso specifico, a scelta del manager. Qualora fosse ritenuto utile,
il Temporary potrà coinvolgere in fase di analisi eventuali collaboratori interni o esterni all’azienda che riterrà utile per l’obiettivo conoscitivo della ricerca. Il Focus comunque riguarda il
management dell’azienda e l’azione del Temporary Manager.
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