Introduzione a Hegel - Università degli Studi di Verona

Università degli Studi di Verona – Facoltà di Scienze della formazione
BREVISSIMA INTRODUZIONE A HEGEL1
1. Due principi guida per il presente: libertà e razionalità.
Da giovane, Hegel non vede nella filosofia un modo efficace per comprendere il proprio
tempo. Fino all’età di 30 anni la considera un modo del tutto astratto di considerare le
cose: considera per lo più la filosofia come un modo formale e aprioristico, cioè che
non si alimenta dell’esperienza, e che non è interessato a interrogarsi sui bisogni e le
trasformazioni del proprio tempo.
Inizialmente Hegel concepisce il proprio impegno intellettuale semmai contro la filosofia,
proprio perché la vede come una forma di sapere del tutto unilaterale, cioè incapace di
cogliere i processi e i cambiamenti nella loro complessità e nel loro insieme. Per Hegel è
invece proprio questo il bisogno più pressante del proprio tempo: maturare un sapere
volto a interrogarsi sul senso di un intera civiltà, sulle condizioni e la direzione di
sviluppo di un intero mondo storico.
A questo atteggiamento unilaterale e astratto Hegel dà il nome di considerazione
“intellettuale” o “intellettualistica”. Che significa questa parola? Hegel vi vede (e questo
è un tratto che caratterizza anche i suoi scritti della maturità) un modo tipico di fare
esperienza del mondo. Sta ad indicare un atteggiamento di questo tipo: a me non interessa
calarmi nell’esperienza, capire in che mondo vivo, comprenderne i conflitti latenti, le
direzioni di sviluppo verso il futuro. Per la considerazione intellettualistica ciò che conta
è dare ordine alla realtà nella propria mente; rapportare e distinguere cose, persone,
situazioni, problemi secondo operazioni anche del tutto estrinseche; generare schemi (a
priori) che ci aiutino a classificare le esperienze. In questo modo si genera una visione del
mondo che è creata a nostro uso e consumo, che non ci dice nulla dei bisogni, dei conflitti
(più o meno latenti), dello stato concreto del mondo in cui viviamo. Anzi: questo mondo
intellettualizzato presenta un ordine privo di ombre, di tensioni, di movimento: un mondo
cristallizzato che non è il mondo di cui facciamo esperienza.
Secondo Hegel, il mondo di cui fa concreta esperienza l’uomo moderno è altra cosa da
questo mondo intellettuale. Il mondo moderno manifesta una vita lacerata, in ogni ambito
di esperienza: nel rapporto con la natura, nella scissione interiore tra sensibilità e freddo
intelletto, nella frustrazione dei suoi diritti alla libertà sia in campo culturale sia in campo
politico, nella distanza tra legalità e moralità, ossia tra l’osservanza del tutto esteriore
(non sentita) di norme e pratiche di vita che ci lasciano indifferenti e ciò che invece
sentiamo importante e giusto.
Come dare risposta a queste fratture che caratterizzano la vita e il pensiero dell’uomo
moderno? Come cercare di capirne l’origine, il senso, la direzione di sviluppo?
1 A cura di Paolo Giuspoli. Per un approfondimento dei temi trattati si rimanda a: L. Illetterati, P. Giuspoli, G.
Mendola, Hegel, Carocci, Roma 2010.
1
Nella sua formazione Hegel cerca anzitutto - cosa tipica questa dell’atteggiamento
giovanile - dei modelli. Dico tipica dell’atteggiamento giovanile perché è caratteristico
della vita giovanile l’atteggiamento di rifiuto delle risposte che si trovano nell’ambiente
in cui si vive e la ricerca di altre risposte, più forti e chiare, in modelli di vita e di
pensiero lontani dalla realtà presente.
Tali modelli risultano spesso “idealizzati” e “irrealizzabili”: ma la funzione principale di
un modello (idealizzato) non è poi quella di fornire risposte; piuttosto serve ad
evidenziare in modo netto quelli che avvertiamo come i limiti del mondo che vogliamo
cambiare.
A. In questo modo la generazione di Hegel pensava al mondo antico come ad un “ideale”.
In particolare, per Hegel e per la sua generazione (es. Schiller) l’ideale di vita e pensiero
è incarnato prima di tutto nel mondo greco.
Quali sono gli aspetti che Hegel enfatizza del mondo greco? E quali sono, per contrasto,
quelli che a suo avviso sono aspetti di vita mancanti nel mondo a lui contemporaneo?
1) Nel mondo greco Hegel vede anzitutto un forte senso della comunità. Il singolo
non si percepisce anzitutto come un individuo isolato: come se fosse
originariamente solo e a lui spettasse di scegliere se appartenere o meno ad una
cerchia affettiva, culturale, socio-politica più ampia. L’uomo greco si sente
anzitutto come parte di un mondo più ampio: figlio di una cultura, membro di un
tessuto sociale e politico che costituisce il suo stesso modo di essere.
2) Nel mondo greco Hegel vede anche un modello di armonia tra razionalità e
bellezza: l’arte e la letteratura greca sono l’emblema di una razionalità che è
solidale con la bellezza. Ma questa armonia tra ragione e bellezza non era il
prodotto di un progetto intellettuale: era la manifestazione spontanea di una
concezione armoniosa della vita. E questo si manifestava fin negli stili di vita e nel
modo di concepire il proprio abitare. Questo ideale di armonia non era dunque
solo un’astrazione. Ci sono dei rilievi di carattere “architettonico” e “urbanistico”
molto interessanti negli scritti giovanili di Hegel:
«Già nel modo di costruire si mostra il genio diverso dei greci e dei tedeschi: quelli abitavano liberi,
in strade ampie: nelle loro case c’erano cortili aperti, scoperti; nelle loro città erano frequenti le grandi
piazze; i loro templi erano costruiti in uno stile bello e nobile, semplice come lo spirito dei greci, sublime
come il dio cui erano dedicati. Le immagini degli dei erano il supremo ideale della bellezza. [...] tutto era
presentato nella più alta forza del suo esserci e della sua vita; nessuna immagine della putrefazione;
l’orrenda larva della morte era per i greci un genio mite, il fratello del sonno»2.
Persino la morte era dunque pensata come solidale con la vita. L’armonia non era
invocata o attesa per la fede in una redenzione futura: l’armonia era ricercata nella vita
concreta, in ogni ambito dell’esistenza quotidiana.
2 G.W.F. Hegel, Gesammelte Werke, Bd.1: Frühe Schriften, hrsg. von F. Nicolin und G. Schuler, Meiner, Hamburg 1989, 81
(Scritti giovanili, vol. I, a cura di E. Mirri, Guida, Napoli 1993, 167). In seguito citato con l’abbrev. SG I.
2
B. Accanto all’ideale greco, Hegel vede una guida importante anche tra i contemporanei
per comprendere il mondo del suo tempo. Questi è un filosofo, Kant, e il suo tentativo di
costruire la filosofia ponendo come chiave di volta la libertà della ragione umana.
Il primo scritto organico di Hegel, “Vita di Gesù” (1795) risponde ad un progetto del
tutto peculiare: interpretare i vangeli come un testo laico, senza riferimento a elementi
trascendenti (è significativo che la vita di Gesù si concluda con la morte)
Il punto focale diviene invece la morale. Gesù viene osservato attraverso la sua vita
concreta e le sue parole, in modo da presentarlo come l’incarnazione di un ideale di
moralità pura e universale, che ha al suo centro il valore assoluto di ogni uomo e donna.
Ora, il valore di ogni singolo non dipende dalla sua appartenenza ad una istituzione o
dalla sua adesione ad una religione particolare. Ogni uomo vale per quello che è, in
quanto è per se stesso immagine del divino. Ogni uomo ha da scoprire e rispettare quel
divino che è in ogni uomo: e questo elemento divino non è una presenza estranea che gli
comanda di essere e agire in un certo modo. L’elemento divino in noi è qui per Hegel
(come lo era per Kant) la ragione.
E’ la ragione che consente all’uomo di essere autonomo e di agire liberamente, senza
alcun condizionamento esterno e interno. E l’imperativo della ragione è quello di non
obbedire a nient’altro che alla ragione stessa.
E’ importante evidenziare che questo tentativo di rileggere la filosofia morale di Kant
come il punto di inizio di un nuovo modo di intendere l’uomo, è un tratto che Hegel
condivide con altri della sua generazione. In primo luogo coloro che in questi anni egli
sente come a lui affini: i suoi ex-compagni di camera e di studio negli studi di teologia e
filosofia, Hölderlin e il più giovane Schelling.
Sembra che siano stati proprio loro a pensare un importante progetto culturale, scritto in
questi anni, che ci dà la direzione verso cui questi giovani stanno muovendo. Si tratta de:
Il piu antico programma di sistema dell’idealismo tedesco.
Qual è il principio fondamentale di questo progetto culturale?
«la prima idea è naturalmente la rappresentazione di me stesso come un essere assolutamente libero»3.
Ma va notato che questa esigenza di libertà, di mettere al primo posto l’esigenza che l’io
ha di valutare in prima persona ciò che deve fare, in modo critico e razionale, va a
scontrarsi contro ogni tipo di asservimento. Non solo quello nei confronti di dogmi e
codici di comportamento di carattere religioso, ma anche con forme di oppressione di
carattere politico.
Si legge in questo Programma:
«Dobbiamo dunque oltrepassare anche lo Stato!
Ogni Stato, infatti, non può non trattare uomini liberi come rotelle di un meccanismo»4.
La Rivoluzione francese aveva introdotto violentemente nella storia europea un’istanza
fondamentale: promuoveva l’esigenza di difendere i diritti alla libertà di ogni uomo e di
3
4
Il piu antico programma sistematico dellidealismo tedesco, a cura di L. Amoroso, ETS, Pisa 2007, pag. 21.
Ibid.
3
concepire le istituzioni politiche come incarnazione di una più ampia e libera
partecipazione popolare.
La Riv. fra. era stata letta inizialmente dai giovani intellettuali, anche da Hegel e gli
amici Schelling e Hölderlin, come l’annuncio di una nuova era. In particolare Hegel
sembrava interpretare la filosofia di Kant, e specialmente la sua legittimazione del
principio di autodeterminazione pratica come una rivoluzione culturale che dava seguito
alla rivoluzione socio-politica dilagata oltre i confini della Francia.
Hegel scrive a Schelling:
«Dal sistema kantiano e dal suo sommo compimento attendo in Germania una rivoluzione che partirà da
principi già esistenti, i quali, dopo una generale rielaborazione, richiedono soltanto di essere applicati a
tutto l’attuale sapere. [...] Alcuni signori rimarranno certamente sbalorditi di fronte alle conseguenze che
risulteranno da tutto ciò. Si proveranno le vertigini dinanzi a questa somma altezza di ogni filosofia,
mediante la quale l’uomo si è elevato tanto in alto; ma perché mai si è giunti così tardi a elevare
maggiormente la dignità dell’uomo e a riconoscere questa sua facoltà della libertà che lo pone nello stesso
ordine di tutti gli spiriti? Credo che non ci sia miglior segno del tempo di questo, che l’umanità è
rappresentata come degna di stima in sé stessa; una dimostrazione questa che l’aureola che circondava il
capo degli oppressori e degli dei della terra dilegua»5.
Hegel inizia qui a vedere la filosofia, dunque, come una possibile via per la
rivendicazione concreta della libertà dell’uomo. Hegel vede nella filosofia, in particolare,
la via per accedere ad una libertà integrale: una libertà che non solo si esprima nei diritti
sociali e politici fondamentali, ma anche una libertà di carattere culturale, che riguarda
l’esigenza di ridare dignità all’umano come tale. Ogni uomo come tale (e non per la sua
posizione oppure per la sua adesione ad un determinato credo o gruppo di potere) deve
essere “rappresentato come degno di stima in se stesso”. Questo il progetto culturale di
cui solo la filosofia (in quanto sapere laico, critico e razionale) può essere la promotrice.
Con gli anni la fiducia che la filosofia possa contribuire a questa riforma culturale
generale si rafforza anche per il venir meno della fiducia nelle riforme politiche. Hegel è
infatti sempre più cauto nella valutazione degli esiti della Rivoluzione francese:
l’esportazione politica degli ideali della rivoluzione prende infatti sempre più
palesemente la forma di una politica di annessione (alla Francia).
A Hegel rimane solo questa via per la realizzazione di questo ideale di una libertà
integrale: quello di una riforma più paziente, interiore, di carattere formativo e culturale.
E’ con questo atteggiamento di nuova fiducia nelle possibilità della filosofia di
rispondere alle esigenze più profonde dell’umanità che Hegel, nell’anno 1800, scrive a
Schelling per potersi avvicinare al mondo della ricerca e dell’insegnamento universitario.
Fino a quel momento è vissuto di lezioni private, elargite a figli di signori benestanti. La
sventura della morte del Padre diventa per lui un’occasione di riscatto. Egli eredita infatti
un po’ di soldi da investire per provare ad introdursi nell’ambiente universitario. E la
fortuna vuole che l’amico Schelling, più giovane di lui di 5 anni, sia già professore
universitario a Jena (a soli 25 anni).
5 Briefe von und an Hegel, Bde. I-IV, hrsg. von J. Hoffmeister, Meiner, Hamburg 1952-1981 (trad. parziale in
G.W.F. Hegel, Epistolario, voll. I-II, a cura di P. Manganaro, Napoli 1983-1988), (d’ora in Ep.), qui I, pp. 23-24 (pp.
117-118).
4
«Nella mia formazione scientifica che è partita dai bisogni più subordinati degli uomini, dovevo essere
sospinto verso la scienza6, e nello stesso tempo l’ideale degli anni giovanili doveva mutarsi in forma
riflessiva in un sistema; mi chiedo ora, mentre sono ancora occupato con questo sistema, quale punto di
riferimento è da trovare per incidere sulla vita degli uomini»7.
D’ora in poi, il problema di come elaborare un sistema filosofico in grado di offrire
una comprensione razionale della realtà concreta nel suo insieme diventa l’obiettivo
prioritario per Hegel. In questi anni egli trova anche l’ambiente universitario adatto per
questo lavoro. Infatti, con l’appoggio di Schelling8, Hegel si trasferisce a Jena e ottiene
l’abilitazione a tenere lezioni all’Università, seppur da docente non di ruolo.
[Di qui si può passare direttamente alla sezione 2]
Schelling e Hegel si presentano come due giovani che lavorano in strettissima
collaborazione: organizzano seminari insieme, insieme curano una rivista (il Kritisches
Journal der Philosophie - Giornale critico della filosofia), in cui, tra il 1802 e il 1803,
escono alcuni saggi importanti di Hegel, come Fede e sapere. In questo saggio egli si
confronta con le “nuove” filosofie che stanno dominando il dibattito filosofico a lui
contemporaneo. Hegel considera le nuove filosofie dominanti come forme di
soggettivismo: in esse la filosofia sembra aver smarrito la sua identità e sembra aver
rinunciato a dire qualcosa sulla realtà delle cose, chiudendosi in una riflessione
sull’inevitabile forma soggettiva di ogni esperienza culturale e sociale dell’uomo.
In questo senso, ora Kant viene visto in modo diverso da prima. Ora è visto come il
promotore di una prospettiva che intende il soggetto conoscente come un centro del tutto
unilaterale di esperienza. In tale prospettiva, infatti
«un soggetto pensante è una ragione affetta da finitezza, e l’intera filosofia consiste nel determinare
l’universo per questa ragione finita»9.
Proprio perché il soggetto viene inteso come uno spazio chiuso di esperienza, entro cui
egli elabora il senso della realtà, proprio per questo il soggetto non può rappresentarsi
come un uomo libero e autonomo nel suo sapere: egli si sa come centro chiuso in se
stesso, limitato. Il suo conoscere riesce a dare ordine ai fenomeni, ad apparenze, non alla
realtà delle cose. Questo appare l’inevitabile esito del criticismo kantiano.
Proprio perché il soggetto percepisce sé e la sua ragione come un centro mentale limitato
e unilaterale, proprio per questo l’”uomo kantiano” cerca disperatamente nella fede o in
qualcosa fuori da sé un punto di appoggio per cogliere il senso dell’esperienza.
«Secondo Kant il soprasensibile non può essere conosciuto dalla ragione, l’idea suprema non ha
insieme anche realtà; secondo Jacobi [...] all’uomo è dato solo il sentimento e la coscienza della sua
6 Quando Hegel dice “scienza” qui si intende “procedimento scientifico”, di cui in questo momento la filosofia
sembra dover esprimere la massima consapevolezza ed espressione.
7 Ep. I, pp. 59-60 (p. 156).
8 Lettera a Schelling del 2 novembre 1800, in Ep. I, pp. 59-60 (I, pp. 155-156).
9 G.W.F. Hegel, Glauben und Wissen oder Reflexionsphilosophie der Subjektivität, in der Vollständigkeit ihrer
Formen, als Kantische, Jacobische, Fichtesche Philosophie, in Gesammelte Werke, Bd. 4: Jenaer Kritische Schriften,
hrsg. von H. Buchner und O. Pöggeler, Meiner, Hamburg 1968, pp. 315-415 (Fede e sapere, in Primi scritti critici, a
cura di R. Bodei, Mursia, Milano 1971, pp. 121-261), qui p. 322 (p. 132).
5
ignoranza del vero, solo il presentimento del vero nella ragione, che è soltanto qualcosa di
universalmente soggettivo, un istinto.
Secondo Fichte [...] il sapere nulla sa se non che nulla sa, e deve trovar rifugio nella fede»10.
E’ come se la precedente spinta illuministica verso l’autonomia della ragione, una
ragione in lotta contro ogni forma di pregiudizio e ogni forma di autorità, si fosse non
solo arrestata, ma addirittura rovesciata nel suo contrario. La ragione critica, che con
Kant sembrava essersi imposta definitivamente contro ogni forma di dogmatismo, ora
sembra non sapere godere della sua vittoria, sembra non riuscire a manifestare la sua
libertà.
Hegel vede che la liberazione illuministica del soggetto dal dogma è una vittoria parziale.
Infatti l’io che si è liberato da qualsiasi forma di autorità esterna sembra essere diventato
prigioniero di se stesso. Ora la ragione è ciò che il soggetto coltiva nel chiuso del suo io:
il suo sapere non riesce a delineare il senso del reale. In Kant, le idee della ragione sono
solo degli ideali regolativi, hanno funzione nel modo in cui noi organizziamo il sapere,
ma non portano alcun contributo alla conoscenza effettiva della realtà delle cose.
All’uomo sfugge la verità, l’assoluto; tutto ciò che il soggetto arriva a possedere come
suo sapere gli si rivela solo come un suo prodotto limitato. In questo senso, Hegel valuta
anche la filosofia di Fichte come un essere certi di non sapere nulla di ciò che è la realtà
in se stessa.
E’ da queste indagini che emerge l’idea, straordinariamente innovativa, di una
Fenomenologia dello spirito.
10
Ivi, p. 316 (p. 124).
6
2. La Fenomenologia dello spirito
a. L’idea di una Fenomenologia
Dopo il 1803, Hegel attraversa una forte crisi personale e professionale:
Schelling se ne va da Jena; lui se ne rimane lì a Jena come precario e non vede
possibilità di essere assunto come professore di ruolo. Neanche l’attività didattica
va molto bene: si sparge voce che non sia un gran docente, ha scarsa
comunicativa e soprattutto risulta troppo difficile per la maggior parte degli
studenti.
Hegel esce da questa crisi con la sua opera forse più geniale, la
Fenomenologia dello spirito. Egli termina la stesura di quest’opera nell’autunno
1806, nella notte che precede la battaglia di Jena11.
Qual è l’obiettivo fondamentale dell’opera? La Fenomenologia svolge una
funzione liberatrice per l’uomo. Viene da chiedersi anzitutto: in che senso
un’opera filosofica può produrre libertà?
Ebbene, per Hegel non sono tanto i giornali, il denaro o i cannoni a cambiare
il mondo: certo, questi hanno un gran potere nello spostare l’equilibrio dei poteri
dominanti. Ma ciò che produce mutamenti veri, profondi nella storia
dell’umanità è qualcosa di altro. Ciò che veramente conta, per Hegel, sono
anzitutto i modi di pensare, rappresentare, immaginare la realtà. Tutto il resto
viene dopo. Essenziale è il nostro modo di pensare noi stessi e il mondo in cui
viviamo.
"La filosofia governa le rappresentazioni e queste governano il mondo "12
Per Hegel ciò di cui si aveva più bisogno nel proprio tempo non era tanto di
forgiare nuovi ideali, nella forma di nuove utopie o ideologie: in una situazione
internazionale tanto confusa e martoriata da rivoluzioni e controrivoluzioni, ciò
di ci si ha più bisogno è di maturare una comprensione razionale della realtà. Per
far questo, per maturare una comprensione razionale del reale occorre anzitutto
esaminare i nostri modi di pensare all’io, all’intelligenza umana, alla natura, agli
assetti sociali, al mondo; un mondo che in questo periodo per la prima volta
l’uomo può provare ad abbracciare tutto insieme, con tutta la sua storia, in un
solo sguardo.
Ma in che consiste l’energia liberante della comprensione razionale?
Principalmente consiste in due attività .
[1] Solo un’attenta comprensione razionale ci permette di liberarci da
credenze soggettive e da presupposti indiscussi che imbrigliano il sapere negli
autoritarismi, nei dogmatismi, che bloccano l’autentica ricerca filosofica e
scientifica in generale. Ora, a bloccare la ricerca non è tanto la presenza di
credenze e presupposti: questi sono inevitabili. A bloccare la ricerca è semmai il
pigro adagiarsi su credenze e presupposti, senza metterli in discussione.
11 Tre giorni dopo, le truppe napoleoniche, che non incontrano molta resistenza, entrano in Jena, dove Hegel ancora si
trova. Anche la sua casa viene saccheggiata. Cfr. Briefe I, p. 121 (I, p. 234).
12 G.W.F. Hegel, Wastebook, 80.
7
«Nel processo della conoscenza, il modo più comune di ingannare sé e gli altri è di
presupporre qualcosa come noto e di accettarlo come tale».
Ebbene: la Fenomenologia è anzitutto questo: una critica radicale e
sistematica delle credenze e dei presupposti principali, i quali tendono a fissarsi
in pre-giudizi, e come tali dominano la nostra esperienza del mondo e di noi
stessi.
[2] La ragione ci permette quindi di liberarci dalle forme più sottili e più
diffuse di schiavitù. Sono quelle date da una naturale esigenza di ordine nel
nostro modo di rappresentarci l’esperienza. Un ordine che per natura noi
tendiamo a concepire secondo rapporti del tutto estrinseci tra le cose, entro delle
classificazioni a tinte forti di cose e situazioni utili o dannose, familiari o estranee,
di forze potenti o deboli, benefiche o malvagie, di credenze vere o false e così via.
La verità non è affatto una moneta coniata che, così com’è, sia pronta per essere spesa e
incassata. C’è un falso tanto poco quanto c’è un male. Il male e il falso non hanno affatto la
malvagità del diavolo, e a prenderli per entità diaboliche si finisce col farne dei soggetti
particolari13.
Ora questo modo del tutto estrinseco e dualizzante di mettere ordine
all’esperienza è sì del tutto immediato e intuitivo, di facile applicazione nel
quotidiano, ma produce una rappresentazione del tutto primitiva, unilaterale e
settoriale della realtà.
Per Hegel la comprensione razionale è anzitutto questo: [1] liberarsi da
credenze soggettive e presupposti indiscussi, [2] liberarsi da modi immediati,
unilaterali e settoriali di rappresentarsi la realtà. Questa attività liberatrice del
sapere viene denominata da Hegel in modo peculiare, con un termine che darà
luogo a molti fraintendimenti; egli parla di sapere “assoluto”. Ma assoluto non
ha qui il senso di divino-trascendente. Semmai indica l’energia liberante del
sapere, che ci permette di essere svincolati, letteralmente slegati da (ab-soluti)
condizionamenti di qualsiasi tipo nella nostra attività di pura e semplice
comprensione del reale.
In questo senso la Fenomenologia dello spirito14 intende essere l’autentica
introduzione alla scienza, ossia al sapere razionale e libero (assoluto).
[Di qui si può passare direttamente alla sezione 3]
b. La struttura della coscienza
La Fenomenologia dello spirito ha come protagonista la coscienza. Che cosa
intende invece Hegel per “coscienza”?
13
G.W.F. Hegel, Gesammelte Werke, Bd. 9: Die Phänomenologie des Geistes, hrsg. von W. Bonsiepen und R. Heede,
Meiner, Hamburg 1980, 30.
14 Il titolo Scienza della fenomenologia dello spirito viene ad indicare l’indagine scientifica sui modi in cui si
manifesta (dal greco ψαίνομαι, che significa apparire, mostrarsi, manifestarsi) ciò che è propriamente è lo spirito
dell’uomo e dell’umanità. La “scienza” (o “sapere assoluto”) è per Hegel il modo in cui lo spirito si libera
massimamente dai condizionamenti ambientali e manifesta la sua intelligenza razionale.
8
La coscienza è il modo immediato e basilare di essere dello spirito umano.
Consiste propriamente nell’essere consapevoli di un mondo di oggetti che stanno
davanti a noi, come qualcosa di altro da noi stessi. La coscienza dunque [1] si
riferisce sempre ad un oggetto15; al tempo stesso [2] considera questo oggetto
come qualcosa di altro da sé, ossia gli attribuisce una consistenza propria,
indipendente dai propri modi (coscienziali) di conoscere e fare esperienza
dell’oggetto; [3] in questo senso la realtà le appare come qualcosa di dato.
Nel momento germinale e basilare della nostra esperienza, noi siamo quindi
questa attività proiettata all’esterno, verso oggetti che stanno fuori di noi e che
consideriamo come un mondo che ci è dato. Questo è il primo livello della nostra
esperienza conoscitiva: solo in un secondo tempo diventiamo autocoscienza,
coscienza di ciò che noi stessi siamo. Dapprima la nostra attività è rivolta dunque
all’esterno, verso la considerazione di ciò che si presenta anzitutto ai nostri sensi.
Questo fa sì che noi abbiamo l’impressione di essere inizialmente una sorta
di scatola vuota, che riceve passivamente dal mondo esterno dato le informazioni
di cui ha bisogno per poter conoscere. E’ in questo modo, secondo Hegel, che si
genera una delle principali credenze, che poi ritroviamo alla base di tanta parte
delle teorie filosofiche e scientifiche.
c. L’itinerario fenomenologico
L’itinerario fenomenologico è un itinerario tortuoso e complesso. La
coscienza naturale progredisce ad autocoscienza, poi a ragione autocosciente,
quindi ad autocoscienza spirituale, religiosa e infine ad autocoscienza scientifica
(come “spirito assoluto”).
A. Coscienza
I. La certezza sensibile o il questo e l’opinione
II. La percezione o la cosa e l’illusione
III. Forza e intelletto
B. Autocoscienza
C. (AA) Ragione
(BB) Lo spirito
(CC) La religione
(DD) Il sapere assoluto
Per ragioni di tempo, noi ci soffermiamo solo sul momento iniziale e quello
conclusivo. L’inizio dell’itinerario viene denominato da Hegel: “La certezza
15
Oggi si indica in genere questa funzione con il termine intenzionalità.
9
sensibile”. Che cosa ha in mente l’autore?
Hegel qui esamina quella che abbiamo indicato come una delle principali
credenze: la certezza di essere un centro interiore, vuoto di contenuti, che però
attraverso i sensi è in grado di crearsi un’immagine fedele di come è la realtà
esterna in se stessa.
E’ questo un caso tipico di una credenza che può fissarsi in un pregiudizio
ampiamente diffuso, anche nel campo scientifico. Che cosa presuppone la
“certezza sensibile”? Presuppone una certa immagine di sé, dell’oggetto e del suo
rapporto con l’oggetto. Infatti è certa
[1] che i sensi ci ridanno la conoscenza più ricca e concreta del mondo
esterno;
[2] che attraverso i sensi la mente ripete direttamente (per immagini) quegli
oggetti così come essi sono “in se stessi” (realmente, in verità);
[3] che la conoscenza sensibile è una modalità di conoscenza che non altera,
modifica, o condiziona in alcun modo il contenuto dell’esperienza (cosa che
fanno invece le parole e i concetti, i quali trasformano l’esperienza sensibile
concreta in astrazioni).
Hegel genera qui un esame del tutto peculiare di questa posizione. Lo fa nella
forma di un auto-esame. Mostra cioè, passo passo, come la coscienza non riesca a
dimostrare la verità di questi presupposti di cui è assolutamente certa.
Ciò che la coscienza riesce a mostrare è solo che c’è qualcosa che essa sente.
Ma tutto ciò che essa asserisce di ciò che sente, inevitabilmente, non è più la
puntualità del suo sentire. Di fatto i modi stessi con cui prestiamo attenzione al
nostro sentire, cercando di localizzarlo nello spazio e nel tempo, cercando di
dirlo, o anche solo di indicarlo sono comunque degli atti linguistici. Il pensare e
il comunicare linguisticamente si costituiscono come dei mediatori, ovvero come
una forma di esperienza che non ridà direttamente o immediatamente il reale in
se stesso. Tutte le parole che utilizzo (io, ora, questo, qui…) sono delle forme di
universalizzazione, che non ridanno direttamente l’irripetibilità e unicità di ciò
che sentiamo. Ma lo stesso accade per le localizzazioni non verbali (come
l’indicare).
Risultato è che la coscienza non è in grado di dimostrare che le sue certezze
sono vere, ossia:
[1] che i sensi ci ridanno la conoscenza più ricca e concreta.
Ciò che possiamo attestare è solo una incessante corrente di modificazioni continue dei
nostri sensi. Perché si sia in grado di pensare e comunicare dei significati stabili e comprensibili
occorre ricorrere al pensiero e al linguaggio, cioè a strutture stabilizzanti e universalizzanti.
[2] che i sensi ci ridanno immediatamente (senza mediazione) lo stato reale
delle cose.
E’ infatti impossibile dimostrare la corrispondenza tra le nostre sensazioni e le cose sentite. Di
fatto è sempre la coscienza a compiere una comparazione (tutta interna) tra le proprie sensazioni
e le cose sentite (ossia una propria raffigurazione delle cose).
[3] che la modalità sensoriale di conoscenza non incide sul contenuto.
Nel corso dell’intera opera risulterà che non si dà alcuna modalità di
10
conoscenza che ci permetta un accesso diretto alle cose “in sé”, alla realtà così
come essa si costituisce indipendentemente da noi, cioè a quello che in genere si
definisce come “verità delle cose”.
Hegel mostra allora che la coscienza è di fatto una sorta di re Mida: cerca
sempre (invano) di nutrirsi di verità, ha bisogno di mostrare a se stessa e agli altri
che vi è una verità delle cose che non dipende da lei. Ma ogni volta che la
coscienza stessa indica la verità, questa si trasforma immediatamente in suo
sapere. Sembra così che la coscienza non riesca mai ad attingere a qualcosa che
sia vero in se stesso, in senso assoluto, in modo indipendente dai modi con cui la
coscienza conosce. Ogni “in sé”, ogni presunto “assoluto” le si converte subito in
qualcosa che è così “per lei”, che è relativo al suo modo di conoscere16.
Sembra allora che il modo in cui la coscienza fa esperienza della scienza sia
solo negativo. Sembra cioè che il cammino non conduca alla scienza, ma alla
negazione di qualsiasi forma di credenza nella verità oggettiva. Sembra cioè che
l’esperienza operi come una sorta di relativizzazione del dato oggettivo a
contenuto dell’esperienza coscienziale. Ma il risultato non è solo questo.
Vi è una progressione, che consiste nella consapevolezza che il lettore via via
acquisisce dell’importanza dei mediatori logico-concettuali che stanno alla base
di ogni esperienza conoscitiva. Ci si rende conto che nell’esperienza conoscitiva
gli oggetti e i loro significati prendono forma anzitutto grazie al pensiero e alle
strutture linguistiche in cui il pensiero si veicola.
Si è raggiunto il livello del “sapere assoluto” o “scienza pura”, cioè
dell’autentica comprensione razionale, quando si è dimostrato [a] che non c’è
modo di rinvenire un mondo dato, ovvero una verità che sta “oltre” e “prima” del
pensiero e del linguaggio; [b] che il pensiero e il suo veicolo linguistico è la
dimensione mediativa fondamentale di ogni esperienza conoscitiva; [c] che la
consapevolezza di partecipare della dimensione mediativa del pensiero e del
linguaggio è il modo che la coscienza ha per liberarsi da credenze, presupposti
indimostrati, considerazioni unilaterali.
Con questo, secondo Hegel, siamo sicuramente pronti per affrontare il vero e
proprio sistema della scienza.
16 Per questo la Fenomenologia viene definita da Hegel anche come il cammino del dubbio e della disperazione: la coscienza, e
con lei le teorie che si affidano alle credenze coscienziali, non solo dubita ma giunge infine a disperare di poter trovare una verità in
sé, non relativa a lei e alle sue modalità di conoscenza.
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3. La filosofia come scienza
a. L’Enciclopedia delle scienze filosofiche
Hegel presenta la filosofia come un ampio sistema multidisciplinare, che egli
chiama Enciclopedia delle scienze filosofiche (ne pubblica tre edizioni, nel 1817,
nel 1827 e nel 1830).
L’Enciclopedia di Hegel è strutturata in 3 parti tra loro strettamente connesse.
1) Scienza della logica: è il momento della considerazione logico-linguistica
dei fondamenti del sapere.
Qui Hegel mette a punto la sua peculiare concezione del metodo
scientifico, in quanto procedimento puramente concettuale-razionale. [a] A
dispetto delle apparenze, Hegel propone una concezione non formalistica
della razionalità: la razionalità in senso stretto non consiste in una coerenza
astratta, formale, ma nella piena aderenza alla struttura peculiare dei
contenuti via via considerati. Tale aderenza è possibile solo se la scienza è
in grado di render conto dei contenuti insieme con i procedimenti logicoconcettuali che li hanno generati. In particolare, la scienza è tale solo se è
in grado di mostrare in modo sistematico come si generano i propri
contenuti nel loro insieme, nella loro concreta complessità. Razionalità non
è quindi per Hegel formalismo di tipo simbolico-matematico, ma semmai è
sinonimo di sapere concreto17 dell’intero.
E questo significa [b] che la razionalità non è espressione di un ordine
inerte e asettico di enti isolati, ma un ordine dialettico e dinamico: vale a
dire esprime la comprensione dell’intero ambito dei contenuti che considera,
con i loro processi generativi, le loro interne trame relazionali, fatte cioè di
scambi e di opposizioni, fino a delineare tutta la complessità di ciò che via
via considera.
2) Filosofia della natura: è il momento della considerazione filosofica dei
concetti e dei procedimenti fondamentali della matematica, della fisica e
della biologia.
3)
Filosofia dello spirito: è il momento della considerazione filosofica dei
concetti e dei procedimenti fondamentali delle scienze che si occupano
dell’intero spettro dello sviluppo dell’uomo e dell’umanità in ogni suo
aspetto. Si procede dalla formazione psichico-intellettuale del soggetto
(Antropologia, Fenomenologia, Psicologia); si passa poi a considerare la
sedimentazione oggettiva dell’intelligenza umana (diritto, morale,
economia politica, politica istituzionale, politica internazionale, storia
dell’umanità); infine si esaminano quelle attività che Hegel considera la
1717 Concreto nel significato etimologico (dal latino cum-cresco), in quanto il sapere deve tenere assieme sistematicamente le
varie componenti, funzioni, dinamiche, che compongono i contesti che consideriamo.
12
massima espressione spirituale dell’umanità: la creazione artistica,
l’esperienza religiosa, l’indagine scientifica (filosofica).
b) Diritto, morale ed etica: la razionalità dei sistemi di vita socio-politica
L’arte, la religione, la scienza esprimono per Hegel la libertà assoluta dello
spirito. È comunque nella teorizzazione della sedimentazione e generazione
oggettiva di interi mondi socio-culturali (quindi nel diritto, nella morale, nei
sistemi socio-economici, nelle istituzioni politiche) che si creano le condizioni
storiche concrete per lo sviluppo della massima libertà dell’intelligenza e dello
spirito umano.
In questo ambito Hegel propone una importante distinzione. Afferma che un
(I) sistema di “leggi” come tale esprime dei vincoli basilari per la costituzione di
un tessuto civile. Ma al tempo stesso esprime solo delle regole del tutto
estrinseche e generali: esprimono solo ciò che in determinate circostanze non
dobbiamo fare, non ci dicono nulla della nostra vita.
Alla base di ogni forma di convivenza sociale razionale, Hegel pone invece il
riconoscimento della assoluta libertà del volere del singolo soggetto. Ora, i
soggetti sono anzitutto interiormente certi di essere liberi ed esigono di venir
riconosciuti come tali, prima ancora di essere tutelati giuridicamente in ciò.
È soprattutto questa libertà soggettiva o morale ciò che si chiama ‘libertà’ nel senso europeo
del termine18.
Questo è propriamente il tema della (II) moralità, intesa come scienza
filosofica: non il giudizio (dottrinale) su ciò che va considerato morale o
immorale, ma la teorizzazione dell’agire del singolo come manifestazione del suo
libero volere.
Il profilo argomentativo proposto da Hegel è il seguente: in un’azione
propriamente detta, il soggetto vuole realizzare nell’oggettività un contenuto
proprio, elaborato riflessivamente in lui stesso (come proponimento, intenzione o
come ideale). E tuttavia nella realizzazione dell’azione il singolo modifica
l’esistente, e questa modificazione viene definita un fatto. Ma il fatto non è solo
la trasposizione oggettiva del proponimento o dell’intenzione del singolo. Il fatto
risulta da un processo ben più complesso, che concerne non solo ciò che il
singolo sa e vuole ottenere con il suo agire, ma anche il tortuoso corso del
mondo, nel quale il singolo agisce. Da questa più ampia prospettiva, l’agire del
singolo viene a fondersi entro una rete magmatica di condizioni e azioni, che solo
inizialmente sono ben distinte, e che contribuiscono a generare delle linee di fuga
instabili, tanto che risulta ben arduo stabilire la direzione del corso del mondo,
non solo nel lungo periodo, ma anche nel futuro più prossimo.
18 G.W.F. Hegel, Gesammelte Werke, Bd. 20: Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse (1830), hrsg.
von W. Bonsiepen und H.-C. Lucas, Meiner, Hamburg 1992 (Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, con le Aggiunte,
3 voll., a cura di V. Verra e A. Bosi, Utet, Torino 1981-2002), parte III, § 503 ann.
13
Si capisce allora perché per Hegel la morale non possa essere una scienza
autonoma. Essa va invece considerata come l’esame di un lato particolare
dell’agire: quello che pertiene i propositi, le intenzioni, gli ideali perseguiti dal
soggetto, indipendentemente dalle conseguenze delle sue azioni.
Se miriamo ad una comprensione razionale dell’agire umano nella sua
concreta complessità, allora non possiamo limitare lo sguardo agli aspetti moralisoggettivi dell’agire.
Parlando in termini morali, pensare solo a sé è la stessa cosa che non pensarci affatto,
perché il fiore assoluto dell’individuo non è dentro di lui; è nell’umanità intera.
Pensare in termini individualistici la vita sociale è neint’altro che
un’”astrazione” (lat. Ab-trahere, letteralmente uno “strappar via da-” e
considerare “isolatamente”), cioè un de-contestualizzare. L’astratto
individualismo (una sorta di atomismo sociale) tende ad occultare sono quegli
aspetti che si stanno affermando in modo potente e irreversibile nel proprio
tempo: la razionalizzazione della vita in sistemi socio-politici complessi, i cui
membri non vivono isolati, ma sono essenzialmente interdipendenti.
Per presentare la necessità ad una comprensione razionale integrale di una
tale società complessa, Hegel conia il termine di (III) Eticità.
Hegel è generalmente considerato il primo filosofo ad avere integrato nell’ambito
della filosofia politica la considerazione sistematica, in prospettiva politicoeconomica, della società civile.
La società civile non è intesa da Hegel come risultato di una somma di
istituzioni o forme private di aggregazione, né, contrattualisticamente, come il
frutto di un accordo stretto tra individui che intendono fondare una rete comune
di protezione e di servizi, cedendo a questo scopo una parte delle loro risorse e
della loro libertà. La società civile è per Hegel anzitutto un sistema storico, in cui
la vita e il benessere del singolo è intessuta con la vita e il benessere degli altri.
La peculiarità di un sistema sociale razionale è che si costituisce
attraverso il bilanciamento di due principi:
1) La singola persona concreta. L’attività dei singoli è infatt il motore
di un sistema sociale; ma il singolo tende naturalmente ad avere se
stesso come fine.
Secondo questo primo principio, ciascuno si percepisce naturalmente
come una «totalità di bisogni» da soddisfare. Nella trama economica della società,
è essenziale garantire al singolo la possibilità di orientare il proprio sapere e fare
secondo una direzione che egli tende spontaneamente a tracciare, in vista della
propria libera realizzazione sulla base di esigenze e convinzioni personali.
Dal punto di vista dell'economia politica si è trovato che la proprietà in mano ai
proprietari privati viene coltivata meglio di quella che uno coltiva soltanto per una universalità e
per la quale non ha lo [stesso] interesse che ha per la sua propria libera proprietà19.
19 G.W.F. Hegel, Vorlesungen über Naturrecht und Staatswissenschaft. Heidelberg 1817-18 mit Nachträgen aus der Vorlesung
1818-19. Nachgeschrieben von P. Wannenmann, hrsg. von C. Becker, W. Bonsiepen, A. Gethmann-Siefert, F. Hogemann, W.
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L’attività della «persona privata» tende naturalmente a «darsi libero corso
da tutti i lati», sia dal lato dei bisogni, sia da quello dell’arbitrio, sia da quello
della libido soggettiva20. E questo naturalmente pone il problema di come possa
sopravvivere un sistema sociale se esso è ridotto ad un aggregato di atomi
automoventesi, volti alla soddisfazione di ogni bisogno e impulso soggettivo.
Per questo, la società civile si costituisce regolandosi anche su un secondo
principio:
2) Il principio della mediazione sociale. Ciascuna persona
«si appaga tramite l’altra», però non estrinsecamente, solo secondo un principio
di scambio, ma in modo tale per cui l’attività di ogni singola persona è «in pari
tempo semplicemente come mediata dalla forma dell’universalità»21.
Abbiamo quindi a che fare con il costituirsi di un sistema del tutto peculiare,
in quanto fondato su un duplice principio. Il problema principale che Hegel pone
nel proseguimento di questa teorizzazione è proprio quello di considerare gli
sviluppi del rapporto tra questi due principi: (1) l’agire del singolo, fondato e
orientato alla soddisfazione personale, e (2) l’attività di mediazione dell’intero
sistema sociale.
Il problema che si pone è quindi il seguente: in assenza di una
regolamentazione esterna, l’attività dei suoi membri è naturalmente volta al
perseguimento di interessi particolari. Compito essenziale per una scienza
filosofica della società, allora, è comprendere come un sistema di convivenza
mosso da forze centrifughe, ossia animato da singolarità che perseguono in modo
anche conflittuale i propri interessi, e che si sviluppano in condizioni locali e
internazionali contingenti, secondo eventi per lo più non prevedibili, si
costituisca di fatto come un sistema relativamente stabile, capace di
autoregolazione.
Questo dipende, secondo Hegel, fondamentalmente dalla peculiarità di quello
strumento di soddisfacimento dei bisogni che è il lavoro, dove il singolo, per
soddisfare i propri bisogni, va incontro anche ai bisogni degli altri:
lavorando per gli altri si lavora per se stessi; ognuno si procura [il soddisfacimento de]i suoi
bisogni per mezzo degli altri22.
Se il sistema sociale media l’attività particolaristica dei privati, questo
avviene proprio perché, in una società industriale moderna, il lavoro retribuito è
un’attività che può essere conseguita efficacemente soltanto se il singolo
«determina in modo universale il proprio sapere, volere e fare» e si rende così
«un anello della catena» di un contesto socio-economico complesso,
internamente connesso e interdipendente. Ciò che appare al singolo come un
Jaeschke, Ch. Jamme, H.-Ch. Lucas, K.R. Meist, H. Schneider, mit einer Einleitung von O. Pöggeler, Hamburg 1983 (Lezioni di
filosofia del diritto. Secondo il manoscritto di Wannenmann. Heidelberg 1817/1818, a cura di P. Becchi, Istituto Benincasa, Napoli
1993), abbrev. LD 1817-18, § 83 ann.
20 G.W.F. Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, in Gesammelte Werke, Bd. 14/1, hrsg. von E. Weisser-Lohmann und
K. Grotsch, Meiner, Hamburg 2009 (Lineamenti di filosofia del diritto, a cura di G. Marini, Laterza, Roma-Bari 19902), abbrev. FD,
§§ 185-186.
21 FD, § 182.
22 LD 1817-18, § 93 An.
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mezzo per il raggiungimento di un fine personale costituisce, al tempo stesso, un
processo attraverso cui il sistema arriva a dare respiro universale (principalmente
in termini di competenze intellettuali, autolimitazione e disciplina) all’agire dei
singoli.
In questa dipendenza e reciprocità del lavoro e dell’appagamento dei bisogni, l’egoismo
soggettivo si rovescia nel contributo all’appagamento dei bisogni di tutti gli altri, - nella
mediazione del particolare ad opera dell’universale come movimento dialettico, così che,
mentre ciascuno guadagna, produce e gode per sé, egli appunto con ciò produce e guadagna per
il godimento di altri23.
Ma l’attenzione di Hegel è soprattutto rivolta all’interna connessione tra
mutamenti sociali e trasformazioni economiche. Nel sistema sociale moderno,
secondo Hegel, ciò che permette ai singoli membri di partecipare attivamente ai
processi produttivi non è solo la combinazione tra attitudine personale e
possibilità di accesso al capitale, ma anche un’adeguata formazione. E nei tempi
recenti quest’ultima ha acquisito una sempre maggior importanza, per l’esigenza
di educarsi ad una nuova forma mentis, caratterizzata da rapidità e duttilità di
pensiero, abitudine all’utilizzo di linguaggi simbolici e segnici, spiccato senso
critico e autocritico, elevate capacità di generalizzazione e di comprensione di
sistemi complessi di relazioni24.
Lo stato deve tutelare la libertà sociale, come la libertà propria di un sistema
che si autoregola, curandosi quindi principalmente della preservazione della
libertà di iniziativa del singolo, ciò che tuttavia lo stato deve anche garantire è la
possibilità di accesso al capitale e ad una adeguata formazione25.
Lo stato deve però evitare di intervenire come un potere esterno, livellatore
delle ineguaglianze sociali, le quali sono inevitabilmente presenti in un tale
sistema sociale, mosso principalmente dalla libera competizione per
l’arricchimento per mezzo del lavoro. Se non può e non deve prevenire le
ineguaglianze, lo stato deve invece prevenire e tutelare, a fianco dell’iniziativa
privata (di singoli, istituti religiosi e fondazioni), gli effetti nocivi
dell’ineguaglianza sociale e dalle situazioni contingenti di impoverimento.
c) Ragione e storia
Compito della scienza è principalmente comprendere come dietro il caos
apparente degli eventi sociali si dia una logica, una trama che consente la
creazione di organizzazioni storiche stabili e un vero e proprio progresso. Hegel
conia l’espressione del tutto peculiare di “astuzia della ragione” per dire che nella
storia si dà ragione, vale a dire un senso e una direzione di sviluppo che però
generalmente non sono comprese, spesso anche dagli stessi protagonisti
(apparenti) di un sistema storico.
Questo risulta particolarmente evidente, secondo Hegel, nella considerazione
generale della storia dell’umanità. Hegel enfatizza la necessità di separare le
23
FD, § 199.
Cfr. FD, § 197.
25 Cfr. LD 1817-18, § 98 An.
24
16
aspettative di singoli o gruppi, da quello che appare essere il corso necessario
degli eventi mondiali. La storia non è la sfera della felicità, sostiene Hegel: e
questo vale per dominatori e dominati, vincitori e sconfitti.
i periodi di felicità, per la storia, sono infatti pagine vuote, dal momento che l’oggetto della
storia è, nella più blanda delle accezioni, la trasformazione. Nella storia universale la
soddisfazione non può essere chiamata anche felicità, giacché si tratta del soddisfacimento di
fini universali, che vanno al di là della sfera in cui si lasciano soddisfare le consuete preferenze
particolari. L’oggetto della storia universale sono i fini che hanno in essa significato, che
vengono portati a termine con energia e volere astratto e spesso si indirizzano contro la felicità
dei protagonisti stessi e di altri individui26
Egli sembra limitarsi a constatare che gli attori principali della storia
spingono verso trasformazioni che di fatto si realizzano attraverso processi
conflittuali e non necessariamente promuovono benessere. E se viene realizzato
qualcosa di decisivo per la storia dell’umanità, questo risulta da una
considerazione razionale successiva, che spesso viene compresa dai posteri,
molto tempo dopo, e questo solo sul piano complessivo dei processi storicomondiali, e non sul piano dell’orizzonte limitato di visione e comprensione dei
soggetti implicati in queste trasformazioni e dei fini contingenti da loro perseguiti.
26
G.W.F. Hegel, Vorlesungen. Ausgewählte Nachschriften und Manuskripte, Bd. 12, Vorlesungen über die Philosophie der
Weltgeschichte, hrsg. von K.H. Ilting, K. Brehmer e H.N. Seelmann, Meiner, Hamburg 1996, 64 (Filosofia della storia universale.
Secondo il corso tenuto nel semestre invernale 1822-23. Sulla base degli appunti di K.G.J. von Griesheim, H.G. Hotho e F.C.H.V.
von Kehler, a cura di K.H. Ilting, K. Brehmer e H.N. Seelmann, introd. di S. Della Valle, Einaudi, Torino 2001, 61).
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