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Presentazione introduttiva (I)
«Conoscere il proprio errore significa conoscere un’altra verità.» [Hyppolite]
1805. Mentre Napoleone trionfa ad Austerlitz, a Jena Georg Wilhelm Friedrich Hegel prende contatto con l’editore
Goebhardt per la pubblicazione di un nuovo testo a cui sta lavorando: è la Fenomenologia dello spirito, l’opera che
segnerà l’inizio di un nuovo modo di fare filosofia in Europa.
1806. In Germania la situazione politico-militare precipita: il 13 ottobre l’esercito francese entra a Jena e Hegel è
costretto a cedere il suo alloggio alle truppe di occupazione. Nel frattempo la stesura della Fenomenologia è giunta alle
fasi conclusive. L’anno successivo il giovane filosofo scriverà la Prefazione e consegnerà il manoscritto completo alle
stampe. La Germania, intanto, è, per metà dei suoi territori, sotto il comando diretto dell’Imperatore francese.
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Napoleone a Berlino - Charles Meynier ©
In rari casi politica e filosofia si sono così strettamente intrecciate come negli eventi che accompagnarono la nascita
della prima opera matura di Hegel. La storia non si fa con i “se”, ma non è certamente azzardato ritenere che senza le
conquiste napoleoniche non ci sarebbe stato forse neppure un sistema hegeliano così come oggi lo conosciamo.
Perché la Fenomenologia ha innanzitutto un intento pedagogico: mettere il popolo tedesco di fronte alla realtà; la
sconfitta ha sempre una ragione storica e la storia è la realtà con cui dobbiamo fare i conti. Napoleone non è quel
mostro, generato dalla follia collettiva della Rivoluzione, che i tedeschi vogliono credere, ma l’esito razionale di un
cammino storico universale di cui anche la Germania fa parte; egli è la realizzazione universale dell’Individuo umano
nella sua forma più alta e più forte: tutto il cammino razionale dell’umanità non è stato altro che la realizzazione di un
tale avvento.
Hegel non era un traditore, né tanto meno un intellettuale utile “per tutte le stagioni”. Il suo riconoscimento di
Napoleone non è da considerarsi un atto di omaggio, ma una presa di coscienza. Le domande originarie della filosofia –
chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo – vengono per la prima volta calate nella storia, nel mondo della vita, dopo
essere state per millenni confinate nel “mondo delle idee”. Quello che Hegel vide in Napoleone fu certo deformato anche
dalla pesantezza dell’umiliazione subita, che porta a fare più grande di quanto non lo sia l’avversario vincitore; ma non
era certo inutile per la Germania e l’Europa intera questo richiamo alla forza delle cose in un momento in cui il Nuovo
erompeva con una violenza ancora indecifrabile (non dimentichiamo che gli eserciti napoleonici erano quelli nati dalla
grande Rivoluzione). E il richiamo viene, per la prima volta dopo le esercitazioni giornalistiche dei philosophes illuministi,
dalla parte della filosofia, dalla mente di un pensatore uscito da una tradizione di indiscutibile autorità morale.
Chi siamo, dunque, da dove veniamo, dove andiamo. Ci sono queste domande, e le loro risposte, nella
Fenomenologia; le sconvolgenti tensioni intellettuali vissute dal giovane Hegel in compagnia di Schelling e Hölderlin
negli anni di studio – il dibattito sulla Rivoluzione, su Kant e Fichte, sul destino della cultura tedesca risorgente sulle ali
di Goethe e Schiller – si condensano fulmineamente in una serie di eventi che manifestano un futuro pieno di
stravolgimenti. Il presente non è più il semplicemente presente (quel “Dasein” con cui si indica una forma di essere
localizzata ed esteriore, la cui esteriorità è, in senso letterale, superficiale, priva di Coscienza) di ciò che non ha un
futuro, un divenire spirituale: l’assolutismo ha finalmente ceduto il passo all’Assoluto. Ma non a quello mistico dei giovani
idealisti alla Schelling: è l’Assoluto di una Storia che si è finalmente manifestata nel suo disegno razionale complessivo,
fatto di un presente che è la realizzazione proiettata nel futuro di tutto il passato. L’idealismo hegeliano prende
definitivamente le distanze dalle tensioni puramente ideali di una filosofia dell’Io puro, del puro Soggetto, per calarsi
nella effettualità di ciò che è e non può che essere, di una realtà – come scriverà lo stesso Hegel alla fine della sua vita
– che è razionale proprio in quanto reale.
Dasein - Termine usato nella filosofia tedesca per indicare l’esistenza (così in Kant, per es. nella tavola delle
categorie). In Hegel assume un diverso significato indicando «l’essere determinato», l’alcunché finito, una delle prime
categorie della logica, successiva e in opposizione a quella del divenire, sintesi d’essere e nulla; come tale il D.,
appartenente alla sfera dell’essere e cioè dell’immediato, è la base di tutte le ulteriori determinazioni. Per Heidegger il
D., l’«esserci», è l’ente privilegiato, poiché è l’unico che si mette in questione, ponendosi il problema dell’essere: è
l’uomo, in quanto è gettato nel mondo, sottoposto alle relative limitazioni, ma anche in grado di trascenderlo con un atto
di libertà, facendone il progetto di atteggiamenti e azioni possibili.
Quadro di Charles Meynier - Palazzo di Versailles, Parigi
Nota di copyright: immagine di pubblico dominio
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In questa unità
Testo: Per una lettura di Fenomenologia dello spirito
Autore: Maurizio Châtel
Curatore: Maurizio Châtel
Metaredazione: Alessandro Vigiani
Redazione: Lilia Greco
Editore: BBN
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