Menabò di Etica ed Economia Il menabò - Associazione Etica ed Economia http://www.eticaeconomia.it Appunti di lavoro per una ricerca sulla crisi* Categories : Economia Date : 19 giugno 2009 * "Etica ed Economia" ha affidato ad un gruppo ristretto coordinato dal presidente il compito di redigere una bozza per riflettere insieme sulla crisi parallelamente alle lezioni che si svolgeranno. Lo pubblichiamo per coinvolgere soci ed amici nella ricerca. Premessa In questa premessa si avanzano, dando per noti i fatti, alcune ipotesi convergenti e/o divergenti per impostare e sviluppare una analisi della crisi, del suo sorgere, dei suoi sviluppi e delle sue cause, immediate e di fondo. Secondo l’ipotesi, che gli autori di questi appunti condividono, andrebbe posto a base dell’analisi il processo di separazione che il capitalismo ha operato ed opera tra proprietà e controllo (risparmiatori vs. capitalisti, managers/ padroni), fra valore d’uso e valore di scambio (consumatori vs. capitalisti, managers/padroni), fra lavoro vivo e lavoro morto (lavoratori senza capitale vs. capitale anche immateriale) e la forte oscillazione del pendolo delle istituzioni del capitalismo che a partire dagli anni ottanta ha rafforzato il potere del secondo fattore e spinto il processo di separazione fino alla frattura. Non solo non si è reagito tempestivamente a tale oscillazione, ma essa è stata giustificata ed esaltata a partire dagli Stati Uniti in nome del “danno” che l’eccesso di tutele avrebbe provocato intaccando, le “certezze” dei capitalisti/managers/innovatori (le certezze di impadronirsi dei ritorni dei loro sforzi). Le stesse tutele tradizionali, in paesi democratici, a favore dei lavoratori e dei loro salari (livello e certezza del salario) si sono gravemente abbassate sia per fronteggiare le conseguenze dell’ascesa in primo piano di paesi precedentemente a livello medio, sia per favorire l’occupazione sia per la crisi di cultura politica che stiamo vivendo e che è anche crisi della cultura civile e della capacità di denuncia e di contrasto sindacale e politico. La separazione tra lavoro vivo e lavoro morto, l’attacco ai redditi dei lavoratori hanno portato ad una compressione degli stipendi e dei salari e, quindi, ad un aggravamento continuo delle diseguaglianze. D’altra parte la separazione-frattura tra finanza ed economia reale ha portato ad una nuova fase di degenerazione il processo in cui la moneta genera moneta: una moneta dietro cui ci sono soltanto debiti, fondi spazzatura. I subprime non sono la causa della crisi, ma l’occasione cha ha reso manifesta a tutti la crisi venuta alla luce nell’agosto del 2007, ma preparata nel corso di vent’anni da più lontane scelte e da comportamenti “errati” delle istituzioni. Dietro il processo che ha portato alla “finanziarizzazione” ci sono il tentativo del capitalismo occidentale di arroccarsi nella finanza a fronte dell’accresciuta competizione nel campo della produzione industriale per il mutare dei rapporti internazionali e l’ascesa di paesi prima a “livello medio,, la caduta della domanda e la gigantesca massa di moneta immessa nel circuito dei paesi sviluppati con la creazione dei derivati e dei “derivati dai derivati” nonché con la moltiplicazione di un credito allo scoperto che ha raggiunto negli Usa livelli giganteschi: secondo i dati dell’OCSE la massa monetaria dei paesi sviluppati è cresciuta dal 2000 al 2008 (luglio) del 77% (del 108,4 per cento in Europa) contro un tasso di crescita dell’economia del 3,00 – 3,5 % annuo e ancor più basso in Europa. C’è tutto un mondo di banchieri, di managers finanziari, intermediari, brokers, traders, rainmakers, nel quale l’idea dominante è la stessa che troviamo all’origine degli squilibri distributivi: “chi può si arricchisca non importa come, nel più breve tempo possibile”. E ciò ha ulteriormente esasperato l’aggravamento delle disuguaglianze con l’ulteriore concentrazione della ricchezza in un gruppo ristretto e l’impoverimento della classe media e della classe operaia qualificata e non qualificata (abbiamo raggruppato tutti, precedentemente, nel termine risparmiatori, ma più esattamente andrebbero definiti risparmiatori non percettori di rendite). 1/6 Menabò di Etica ed Economia Il menabò - Associazione Etica ed Economia Sulla caduta della domanda concordano http://www.eticaeconomia.it tutti gli analisti della crisi: è tuttavia sui fattori che portano ad essa che vengono avanzate ipotesi discordanti fra loro e che è importante verificare soprattutto per la definizione delle strategie di lungo periodo. E ci sono grandi nodi di cui pochi si occupano anche se su alcuni di essi ha richiamato l’attenzione il presidente Obama: la devastazione dell’ambiente in cui viviamo, la diminuzione del tasso di natalità, lo sperpero delle risorse naturali, lo stravolgimento dell’agricoltura ecc. Impressionante è il dato sull’aumento del debito delle famiglie negli Stati Uniti: tra il 1987 e il 2007 esso è cresciuto del 778 per cento: si è intervenuti negli Stati Uniti anche avvalendosi di fattori esterni (tra i quali molti sottolineano il ruolo della Cina con l’effetto “esercito di riserva” di centinaia di milioni di braccianti) affinché ciò non si traducesse in inflazione, ma il risultato è stato quello di una gigantesca bolla che ora è esplosa. Debiti più disuguaglianze più basse retribuzioni hanno di fatto portato gli Stati Uniti ad un reddito medio fermo o in caduta ed hanno portato in tutto il mondo sviluppato ad una caduta del tasso di fecondità e di natalità (su questo punto si veda ricerca del 2008). La crisi è partita sul piano ravvicinato dal settore finanziario ma non vanno dimenticate le interrelazioni tra economia finanziaria ed economia reale (industria, agricoltura, servizi) e il ruolo che hanno avuto gli errori delle istituzioni. Errori a fronte dei mutamenti geopolitici in atto, errori nella politica monetaria (oggi riconosciuti dallo stesso Bernanke), in scelte protezioniste, nel limitato uso della politica fiscale, nel cedimento al laissez faire, nell’ assunzione della “crescita del Pil” come unico e supremo obiettivo della persona umana,e, infine. nel calcolo dei costi effettivi a carico della comunità (inquinamento dell’aria, dell’acqua, della terra, offese al paesaggio) per ogni punto di PIL. Per ritrovare una strada che conduca realmente fuori della crisi la quale ha profondamente investito la economia reale non si può, per tranquillizzare i risparmiatori, dire che “ non ostante quanto avvenuto” il sistema “bancario e finanziario va garantito dallo stato”. E’ naturalmente giusto e necessario garantire fino ad un certo livello i piccoli risparmiatori, i loro depositi, i loro risparmi. Ma questo non basta assolutamente, soprattutto se inquadrato in un complesso di misure che tende a salvare, a spese dei contribuenti, il vecchio sistema finanziario e a riproporlo intatto nel suo potere in attesa di nuovi sussulti. E’ stata avanzata la tesi (e su di essa è stata creata una ideologia) a giustificazione dei banchieri e finanzieri: che la moltiplicazione del credito e, attraverso esso, della massa monetaria in circolazione operata dalla finanziarizzazione potesse giovare al sistema anticipando ad oggi, attraverso il credito, una domanda che altrimenti si sarebbe formata solo in un futuro lontano: la finanziarizzazione sarebbe stata cioè il mezzo per sostenere artificialmente la domanda che altrimenti si sarebbe formata solo in tempi molto lunghi. Ciò avrebbe potuto essere parzialmente vero se regole ferree avessero impedito che la moltiplicazione del credito avvenisse senza alcuna garanzia di un esito positivo e se essa non si fosse tramutata in un gioco d’azzardo – definito dall’ideologia “finanza creativa - ad altissimo rischio e senza regole nel quale vincevano soltanto coloro che gestivano i nuovi giganteschi “casinò”, e cioè i pochi che possedevano le informazioni riservate e che controllavano i mezzi di comunicazione. Quando ci si interroga sulla gravità degli squilibri nella distribuzione del reddito in Italia, in Europa e nel mondo, squilibri che hanno portato in Italia a concentrare il 50% della ricchezza nelle mani del 10 per cento della popolazione, occorre considerare certamente fattori tra i quali la deregulation nel mercato del lavoro (anche qualificato), l’estendersi della precarizzazione, l’attacco agli istituti pubblici del Welfare (sanità, scuola e università pubbliche in primo luogo), la concorrenza che viene dai paesi emergenti a basso salario, ma oggi, accanto o subito dopo di essi – a parere di alcuni analisti - va collocato il modo di funzionare del mercato finanziario con i folli stipendi e bonus dei managers, le rendite di tutti i vari intermediari. La finanza ha scommesso sul futuro e contemporaneamente ha distrutto quel futuro perché gli squilibri che hanno riportato la società attuale alle ineguaglianze degli anni venti (Paul Krugman) continuano a comprimere la domanda effettiva. In mancanza di interventi rischia di perpetuarsi la fatale scelta di non sostenere in modo adeguato la domanda proprio nel momento in cui si ha uno spostamento straordinario della distribuzione del reddito negli USA e in Europa a causa del blocco degli stipendi dei ceti 2/6 Menabò di Etica ed Economia Il menabò - Associazione Etica ed Economia medi e bassi. Non è un caso che in Italia http://www.eticaeconomia.it siamo giunti ad avere 15 milioni di poveri e quasi poveri. Cifra destinata ad aumentare per effetto della crisi. L’economia, e in particolare il settore manifatturiero, ha già gravemente risentito del fatto che a partire dagli anni ottanta la finanza non è più un suo strumento per gli investimenti (a ciò non sfugge la piccola industria così come non è sfuggita l’agricoltura), ma la crisi finanziaria investirà inevitabilmente tutti i settori sia dal lato degli investimenti sia dal lato della domanda. Sul nodo della domanda e della necessità, oggi, di sostenerla concordano tutti gli analisti. Contro un generico sostegno sta tuttavia, a parere di una parte di essi, la necessità di qualificare tale domanda. La qualificazione della domanda appare assai importante al fine di superare deficienze strutturali del paese e favorire una ripresa economica in direzioni e condizioni diverse e più avanzate delle attuali ed anche per ristabilire, elevando la quantità e la qualità dei servizi pubblici, una maggiore coesione del paese. Una domanda qualificata che tenda a correggere la separazione tra valore d’uso e valore di scambio non può tuttavia formarsi sul mercato senza che i cittadini si coordinino e dunque senza la loro partecipazione alla formazione della domanda stessa, nella pienezza delle forme democratiche previste dalla Costituzione, e dunque, senza un nuovo impulso alla socializzazione della politica. Questo è un altro passaggio cruciale: la politica. Spesso, implicitamente, si assume che la politica sia debole e lo sia per sciatteria, distrazione, incompetenza, ecc. Si potrebbe controsostenere che la politica in realtà è molto forte, ha deciso una linea strategica (per dirla in breve, specie in Italia, di dumping sociale) ben precisa, solo che lo ha fatto in altre sedi, non in quelle deputate (democratiche) che anzi ha cercato di svilire (per poterle comprare), così che è anche vero che la politica (nelle sedi tradizionali) è sciatta, distratta, incompetente, corrotta, incurante degli effetti delle sue scelte sull’ambiente in cui la comunità vive, ecc. Spetta, tra l’altro, oggi alla politica garantire un efficace coordinamento europeo e internazionale che è finora mancato e aprire nuove prospettive, “senza tuttavia precostituire il futuro in modo rigido” (Franzini, novembre 2008). Va ricordato infine che da parte di studiosi o politici è stata avanzata la tesi che all’origine della crisi sia da porre in primo luogo la teoria affermatasi alla fine del XX secolo della raggiunta capacità del mercato di autoregolarsi e della necessità quindi di liberarlo delle inutili “ bardature” costituite dalle regole dettate dallo Stato. Tale “teoria dell’autoregolamentazione” non è che l’ideologia con la quale “la finanza creativa” ha spazzato via ogni controllo e ha moltiplicato i “derivati”. Non va dimenticato tuttavia che la sregolatezza finanziaria è funzionale a paesi che vivono di debiti: si concedono prestiti perché c’è domanda di prestiti . (Gli estensori hanno cercato di dare all’analisi, pur nella brevità di uno schema, una sua compiutezza – anche se temi importanti sono appena accennati - ma è evidente che, a seconda di dove viene posto l’accento, si possono avere giudizi in parte o del tutto diversi e che ciò ha rilevanza per le scelte strategiche da fare. Appare evidente, per esempio, che la caduta della domanda è stato un fattore indubbio della crisi: se tuttavia lo si isola dal resto, come spesso avviene, ci si ferma a Keynes, il che è utile ma non certamente esaustivo). Che fare ? a) Per il breve periodo Occorre lavorare in più direzione: difendere i lavoratori e i ceti più colpiti dalla crisi, modificare le regole in funzione di un migliore e più trasparente funzionamento del mercato, sostenere la domanda. A tali fini occorrono: i.misure di garanzia per risparmiatori al fine di tutelare non le banche ma i risparmi almeno fino al limite di 200 mila euro. ii.misure di garanzia per i lavoratori, necessarie nel momento in cui la crisi è già passata dalla finanza alla produzione di beni reali ( posto e salari/stipendi, ammortizzatori sociali). Utilizzare al meglio il Welfare 3/6 Menabò di Etica ed Economia Il menabò - Associazione Etica ed Economia come strumento assicurativo. Finanziare http://www.eticaeconomia.it tutti gli ammortizzatori sociali ed estenderne le applicazioni ai precari. iii.Misure di vigilanza sulle banche e sulla Borsa e di ripristino di controlli desueti al fine di garantire trasparenza e conoscenza, prevenire illeciti arricchimenti di pochi a fronte di perdite dei lavoratori e dei ceti medi e prevenire ondate di paura. iv.Misure di moralizzazione delle banche cominciando dai bonus dei manager per finire a regole nuove e severe per un sistema che non si può autogestire a suo piacimento con la complicità degli organi di vigilanza. Riportare i bonus dal riferimento trimestrale al riferimento annuale e considerare tutti i bonus come parte integrante dello stipendio anche ai fini fiscali. v.Ridurre l’imposizione fiscale per tutti i redditi inferiori ai 50.000 annui e istituire una nuova aliquota su tutti i redditi superiori ai 300.000 annui. Ciò, in attesa di provvedimenti più di fondo, può concorrere a sostenere la domanda insieme ad una contrattazione di salari e stipendi più favorevole ad operai e impiegati. Si tratta di una misura richiesta dall’economia e dall’etica. vi.Misure per ridurre i prezzi di servizi essenziali e per tutelare i consumatori dai monopoli palesi e da quelli nascosti, realizzati attraverso accordi sui prezzi. vii.Ingresso dello Stato nell’azionariato di società in crisi. La questione va discussa perché non si può accettare un ingresso che non sia accompagnato da condizioni e che avvenga sulla base di una selettività soggettiva. Tanto più nei casi in cui non si tratta di crisi di liquidità di una banca ma di crisi di solvibilità (la crisi di solvibilità denuncia una cattiva gestione) Questa deve divenire l’occasione non solo per mandare via i cattivi amministratori (Brown) ma per passare a tutele che senza frustrare l’innovatività ristabiliscano al più presto vigilanza e controlli effettivi nell’interesse dei risparmiatori. viii.Investimenti pubblici nella scuola, nella ricerca, nella sanità, nel pacchetto ambiente dell’UE al fine di garantire un contesto futuro migliore per i cittadini e per l’economia reale e avere sul piano immediato una ricaduta positiva per le aziende produttrici di merci e servizi. b) Per il medio e lungo periodo La ricerca di misure di medio periodo e, tanto più, del lungo è legata molto all’analisi che verrà fatta e alle ipotesi che verranno assunte a base della ricerca. Essa va condotta assumendo la verità che è impossibile definire strategie di uscita dalla crisi assumendo l’ipotesi che si tratta di ripristinare la situazione antecedente con tutte le sue contraddizioni: dalla crisi si esce solo innovando e riformando. Sembra utile ad alcuni ripensare con Menichella all’esperienza dell’IRI non per tornare al vecchio istituto di un capitalismo di Stato impestato di legami dannosi e non trasparente, ma per riavere uno strumento di gestione temporanea di situazioni gravi, anche manifatturiere, controllato dallo Stato e che abbia tuttavia una sua autonomia per acquisizioni sul mercato alle cui regole deve essere soggetto. Il controllo di tale strumento potrebbe essere affidato alla Banca d’Italia. Si deve assolutamente realizzare un fondo europeo per la ricapitalizzazione delle banche essendo assurdo che banche transfrontaliere si trovino nei vari paesi in situazioni diverse. Ciò aiuterebbe a valutare l’intervento per ogni Stato tenendo conto dell’indebitamento medio dell’Unione Europea e non del debito di ogni singolo Stato membro. Ciò vale anche per la creazione di un sistema europeo omogeneo di assicurazione dei depositi. Si deve anche provvedere ad una nuova legislazione sul rapporto tra banche e industrie e sulle stesse banche così come vanno facendo gli Stati Uniti con i poteri dati alla FED. L’esperienza delle Fondazioni non ha portato in Italia a soluzioni positive. La stessa legislazione sui bilanci di tutte le imprese (bancarie e manifatturiere) va rivista per tenere conto dei costi nascosti addossati ai contribuenti così come avviene in tutte le economie “miste” (e dalla crisi usciranno inevitabilmente economie ancor più “miste”) 4/6 Menabò di Etica ed Economia Il menabò - Associazione Etica ed Economia A livello dell’ UE andrà ripreso e concluso http://www.eticaeconomia.it il discorso che fu aperto su un cogente “Statuto per le società per azioni”. Di tale statuto deve far parte la norma che rende corresponsabile la società controllante dei comportamenti e degli obblighi assunti dalla società controllate (qui si riapre il discorso aperto negli anni settanta da Francesco Galgano sulle società multinazionali e sugli aggiornamenti necessari a livello europeo dei codici civili nonché il discorso sulla assoluta necessità di una Vigilanza europea). Per un duraturo sostegno alla domanda verso scelte che non siano solo quelle degli wanton (A. Sen) è necessario che vi sia larga partecipazione alle scelte da fare. Il federalismo è importante a tal fine, ma a patto che il decentramento verso regioni ed enti locali divenga occasione per una maggiore partecipazione politica dei cittadini dalla quale non potrà non venire, così come sta avvenendo per la scuola, una spinta agli investimenti pubblici nell’istruzione, nella ricerca, nella sanità, nei trasporti e nell’ambiente. Scelte strategiche, da proporre all’economia reale in veste di domanda sul mercato, per non ricadere nella falsa religione della crescita o del profitto costi quel che costi agli “altri”. Va avviata (in sede ONU ?) una riflessione-concertazione sugli organismi internazionali e sugli strumenti di controllo adeguati ad una situazione in cui la globalizzazione imperiale e unilaterale è finita con una drammatica crisi ed è in atto il passaggio ad una globalizzazione plurilaterale del mercato. Il G20 non ha portato ad alcuna concreta decisione ma ha indicato quali saranno i protagonisti del futuro e sottolineato l’importanza di un coordinamento tra essi. Occorre prepararsi come UE a tale impegno nel quale va affrontato anche il problema della moneta di riferimento che, con la crisi venuta dagli USA non è più e non potrà più essere una moneta nazionale (come il dollaro) ma una moneta solo internazionale o, comunque, un paniere di monete nazionali. Vanno anche definite alcune scelte strategiche di lungo periodo (ambiente, redistribuzione delle risorse essenziali, fonti di energia, sviluppo agricolo etc. E’ ovvio che tornino a scontrarsi a tale proposito le varie ideologie, a partire da statalismo e liberismo, e le varie scuole. E’ necessario affrontare la situazione senza dogmi teologici di nessun tipo circa la società che uscirà o che si auspica esca dalla crisi: importante, tuttavia, è necessario che all’orizzonte vi siano punti certi di riferimento. Alcuni punti di partenza possono essere: a) la presa d’atto che capitalismo e mercato concorrenziale sono due cose diverse e che il capitalismo ha finito per stravolgere il mercato, sia per quanto riguarda la concorrenza sia per quanto riguarda la parità di conoscenza tra venditore e consumatore. Definire regole perché il mercato possa funzionare e aumentare conoscenze e trasparenza perché ogni protagonista del mercato possa fare le sue valutazioni e formulare, sia come singolo sia come membro di una comunità, le sue richieste è compito irrinunciabile dello Stato. b) occorre un nuovo sistema di controlli sul mercato e ciò significa fondamentalmente che occorre più democrazia affinché i controllori non siano di fatto i controllati. E più democrazia significa di nuovo socializzazione della politica: questa è la condizione perché ci sia più cultura politica,civile, non individualistica, più aperta ad accogliere il talento, più capace di selezionare, nella piena libertà del voto, i delegati a qualsiasi livello (governo locale,nazionale, europeo, organismi internazionali). Il necessario intervento dello Stato nell’economia rischia di essere inefficace e al limite dannoso se attuato da gestori legati al mondo della finanza o cresciuti all’ombra di monopoli e oligopoli. Ciò sottolinea la necessità di organizzare e sostenere le controparti dei gestori di finanza e produzione e dunque i lavoratori in quanto tali, i consumatori in quanto tali e i cittadini in quanto tali. Occorre esaminare ciò anche alla luce dei nuovi rapidi mezzi di comunicazione che oggi agiscono tutti in un senso, ma che possono diventare mezzi per socializzare le scelte. Socializzare la politica è sempre più importante che socializzare la produzione. La socializzazione della politica (realizzata fino al 1980 dai grandi partiti di massa e dalle grandi organizzazioni sindacali, orizzontali e quindi non corporative) ha permesso all’Italia di diventare un paese moderno e democratico dato che è la politica che deve dettare e fare attuare le 5/6 Menabò di Etica ed Economia Il menabò - Associazione Etica ed Economia regole affinché il mercato funzioni. La http://www.eticaeconomia.it sua crisi in occidente è tra le cause della crisi attuale. In nome di che cosa la politica deve agire ? Come e che cosa sostituire all’ideologia del “capitalismo innovativo” e della crescita come “unico indicatore” di una economia sana”? Come costruire indici di sviluppo che tengano conto di tutti i costi che la comunità deve sopportare per la produzione di X? Occorre che vengano a concorso scienza e cultura e che si creino condizioni nuove di sviluppo per la ricerca. c)La riduzione delle diseguaglianze deve essere un punto fermo di una correzione strategica del modello che ci ha portato alla crisi. Il sistema fiscale deve essere costruito i modo tale da tener conto di questo obiettivo. Ma si riapre anche tutto il discorso sulla qualità dei servizi, sulle garanzie da dare a tutti i cittadini e residenti e quindi si riapre il discorso sul Welfare così come si riapre il discorso sulla non risolta questione meridionale. d) Occorre chiedersi come stanno reagendo e come reagiranno a breve e medio periodo operai, impiegati, contadini, consumatori, risparmiatori e come aprirsi ad un ascolto reale delle loro richieste. C’è o no in atto, anche a causa della crisi dei partiti, un rimbalzo populista (tipo inizio secolo xx°) che produce in Europa forme di fascismo e invece negli USA è alimento nuovo per la democrazia e le sue istituzioni (Obama)? I rimbalzi populisti contro i “profittatori” sono sempre rozzi e sgradevoli. Ma a volte emergono da essi nuovi leaders per guidarli e obiettivi da perseguire. e)Va affrontato il discorso sulla globalizzazione e sul suo passaggio da globalizzazione imperiale e unilaterale a globalizzazione multilaterale. All’origine della crisi c’è anche il tentativo disperato di impedire o rallentare tale passaggio. Qui si apre il problema dell’Europa, del suo ruolo e del rapporto, fermo ad alcuni paragrafi e vincoli del trattato di Maastricht, tra Italia ed Europa. Appare sempre più chiaro che si può uscire dalla crisi solo creando una Europa politica e un effettivo governo federale europeo, ma è importante lavorare perché tale governo sia all’altezza dei problemi che si pongono operando in un rapporto di collaborazione con gli Stati Uniti e gli altri Stati americani, la Cina, l’India, la Russia, il Giappone, il mondo arabo e l’Africa. Sul che fare, se fosse vero che la crisi parte da squilibri distributivi, intenzionali e strategici e che la politica nelle sedi deputate è stata messa fuori gioco perché essa è invece forte e si fa altrove, allora lo scenario sarebbe piuttosto oscuro. Il da farsi potrebbe apparire, certo come sopra detto, ma si dovrebbe considerare in quale modo un quadro di interessi e intenzioni che ci ha portato fino alla attuale profonda crisi possa essere indotto a mitigare (snaturare) quello che ha fatto (e che avrebbe voluto fare). E’ essenziale – lo abbiamo già detto - una riduzione delle disuguaglianze attraverso una più equilibrata distribuzione del reddito ma ciò non può avvenire sotto la direzione della minoranza che si è appropriata di gran parte di esso. Qui si ripropone il discorso sul ruolo e la natura delle istituzioni. Esse non possono non essere messe in discussione (anche in un paese come l’Italia che ha una delle Costituzioni più avanzate del mondo e in parte inattuata) di fronte alla consapevolezza della loro inadeguatezza e della loro incapacità a organizzare in forme democratiche la partecipazione dei cittadini. Creare le condizioni per superiori forme di convivenza sociale, rese tra l’altro possibili dalla diffusione di strumenti informatici e dal moltiplicarsi di centri virtuali di incontro e di dibattito, è una condizione per prevenire crisi manipolate da pochi e per sfuggire ai pericoli del populismo. (Il materiale può essere utilizzato e pubblicizzato citando la fonte. Osservazioni, critiche, proposte possono essere indirizzate via e mail a [email protected] o [email protected] o ad [email protected]) Powered by TCPDF (www.tcpdf.org) 6/6