`O Re de li Stromiente, il Colascione nelle fonti letterarie, musicali e

'O Re de li Stromiente, il Colascione nelle fonti letterarie, musicali e iconografiche
Il colascione, liuto a manico lungo proveniente dall’Oriente ottomano, fu indubbiamente tra gli
strumenti più diffusi nel Regno di Napoli tra la fine del ’500 e la seconda metà del ’700.
Numerose sono le testimonianze letterarie e iconografiche secentesche che dimostrano la
particolare pertinenza dello strumento per l’accompagnamento di serenate, mattinate o più
genericamente di canti inscrivibili nella tradizione improvvisativa di tipo orale. Ed è sulla storia
di questo strumento che si concentra il saggio di Fedele Depalma dal titolo O re de li
stromiente. Il colascione nelle fonti musicali, letterarie e iconografiche
(con Cd audio, pp. 264, euro 16) pubblicato dalle Edizioni Del Grifo di Cavallino (LE). La diffusione di canti sul colascione potrebbe aver condizionato lo sviluppo delle villanelle
cinquecentesche nelle sue peculiarità più caratterizzanti le quali si giustificherebbero in virtù di
aspetti fondanti della prassi esecutiva del colascione stesso. L’esame delle fonti ha messo in
luce la complessità delle dinamiche sottese all’uso e alla fruizione del colascione almeno fino al
secolo XVIII. Varie problematiche lo investono, a partire dalle origini; l’analisi delle fonti
iconografiche e organologiche ottomane ha evidenziato una straordinaria affinità tra alcuni liuti
turchi e il colascione italiano, avvalorando la tesi di chi già nel Seicento (Mersenne, Kircher,
Meninski, Bonanni) lo considerava indiscutibilmente turco.
Anche se non mancano esempi di letteratura colta ad esso riservato (ad esempio le sonate del
compositore settecentesco Domenico Colla), il colascione sembra frequentemente associato ai
cantastorie popolari e alle mascherate carnascialesche. Emblematica testimonianza della
diffusione dello strumento in contesti carnevaleschi è il ciclo di incisioni del pittore francese
Jacques Callot sulla ‘sfessania’, particolarissima danza barocca le cui caratteristiche formali
rimanderebbero ad un clima di inversione rituale e che presentano analogie non sottovalutabili
con il più generico fenomeno del tarantismo al punto che si potrebbe individuare in essa una
delle radici della popolarissima tarantella napoletana. Ciò giustifica anche la ricorsività con cui
lo strumento fu usato tra i “comici all’improvviso”, con particolare rimando alla maschera di
Pulcinella che della sfessania era pur uno dei protagonisti. Il legame con il mondo della
“commedia all’improvviso” divenne intensissimo, al punto da seguirne ascesi e declino, in un
continuo processo di interazione simbolica.
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In quanto strumento “popolare”, il colascione divenne presto autentico emblema di un’ampia
area letteraria in polemica con la cultura accademica e toscaneggiante: Giulio Cesare Cortese,
Gian Battista Basile, Filippo Sgruttendio, Domenico Bartolo, Giuseppe Berneri, Bartolomeo
Nappini, Antonio Villani, pur con sostanziali divergenze, utilizzarono il colascione come simbolo
della propria poetica, in senso eminentemente anti-accademico, arrivando persino a nobilitarlo
con l’invidiato titolo (ma pur sempre da leggersi in un’ottica d’inversione parodica) di “re de li
stromiente
“.
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