04-Di Pasquale (18-22) - Giornale Italiano di Cardiologia

RASSEGNA
I fattori di rischio per lo scompenso cardiaco
nella donna: la fibrillazione atriale
Giuseppe Di Pasquale, Letizia Riva
U.O. di Cardiologia, Ospedale Maggiore, AUSL di Bologna, Bologna
In patients with heart failure (HF) the prevalence of atrial fibrillation (AF) is higher than in the general population, and the risk of developing AF is greater in women than in men. The occurrence of AF in HF patients
correlates with increased mortality and greater incidence of thromboembolic events, which seem to occur
more frequently in women. The increased risk of bleeding during oral anticoagulant therapy associated with
HF determines an underuse of anticoagulants in these patients, in particular in female subjects.
Since mortality related to the use of antiarrhythmic drugs is increased in patients with AF and HF and the efficacy of both pharmacological and electrical cardioversion is lower than in patients without HF, rate control
is the more frequently used therapeutic strategy. A higher incidence of cardiovascular events has been demonstrated particularly in women with HF and AF using a rhythm control approach.
AF can induce HF and persistence over time of high rate AF may result in tachycardiomyopathy, a form of dilated cardiomyopathy characterized by severe left ventricular dysfunction.
Key words. Atrial fibrillation; Female gender; Heart failure.
G Ital Cardiol 2012;13(5 Suppl 1):18S-22S
EPIDEMIOLOGIA
La fibrillazione atriale (FA) e lo scompenso cardiaco (SC) sono
due patologie molto diffuse, entrambe in aumento in considerazione dell’allungamento della vita media della popolazione.
La prevalenza della FA negli Stati Uniti è di circa 2.2 milioni di
individui, per il 56-59% di sesso femminile con un’età mediana di 75 anni1. In Europa la prevalenza dell’aritmia è di circa
2.8 milioni di casi. Poiché la popolazione di età >80 anni è destinata a quadruplicare nei prossimi anni, il numero dei soggetti
affetti da FA aumenterà esponenzialmente, dando luogo ad
una vera e propria pandemia2.
Dopo i 75 anni, è stimato che il 60% circa dei soggetti con
FA sia costituito da donne, mentre nella popolazione generale
esiste una lieve prevalenza degli uomini. Nelle donne comorbilità quali distiroidismi, in particolare l’ipertiroidismo3, l’osteoporosi in trattamento con bifosfonati4, l’iperuricemia5 e la disfunzione renale con filtrato glomerulare <60 ml/min/1.73 m2 6
rappresentano condizioni favorenti l’insorgenza di FA.
Inoltre nel Framingham Heart Study è stato documentato
come il rischio di sviluppare FA sia maggiore nelle donne rispetto agli uomini affetti da SC, diabete mellito e valvulopatie7.
Infine, è stato recentemente documentato in uno studio multicentrico con un follow-up di 15 anni come l’insorgenza di FA
in donne sane, di età media 53 anni, senza fattori di rischio e
malattia cardiovascolare, correli con la mortalità per tutte le
cause e con quella cardiovascolare e non cardiovascolare8.
© 2012 Il Pensiero Scientifico Editore
Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi.
Per la corrispondenza:
Dr. Giuseppe Di Pasquale U.O. di Cardiologia, Ospedale Maggiore,
Largo Bartolo Nigrisoli 2, 40133 Bologna
e-mail: [email protected]
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G ITAL CARDIOL | VOL 13 | SUPPL 1 AL N 5 2012
L’associazione tra FA e SC non è casuale, ma espressione
di un rapporto causa-effetto molto stretto. Le due malattie
condividono numerosi fattori di rischio: l’età, l’ipertensione, il
diabete mellito, la coronaropatia, le valvulopatie. Tuttavia il
legame tra le due patologie non si limita alla sola condivisione dei fattori di rischio, ma si caratterizza per una stretta reciprocità: lo SC costituisce una condizione favorente lo sviluppo di FA, ma anche la FA può comportare SC, in particolare se associata ad un’elevata frequenza di risposta ventricolare9.
In corso di SC l’aumento dell’attività nervosa simpatica e
l’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone alterano le proprietà elettrofisiologiche delle cellule atriali, con conseguente stimolazione di foci ectopici, e danno luogo a fibrosi
degli atri, substrato per l’insorgenza di FA10. Inoltre l’aumento
dei volumi e delle pressioni atriali, secondari all’alterata funzione ventricolare, generano sovraccarico con stretch atriale favorente l’insorgenza dell’aritmia11. Nel Framingham Heart Study
la presenza di SC ha incrementato il rischio di FA di 4.5 volte
nell’uomo e di 5.9 volte nella donna e anche la disfunzione ventricolare sinistra asintomatica è risultata predittiva di sviluppo
dell’aritmia12. Numerosi studi epidemiologici e clinici sullo SC
hanno inoltre dimostrato che la comparsa di FA correla con un
aumento della mortalità. Sempre nel Framingham Heart Study
è documentato come la FA si associ ad un aumento del rischio
di morte di 2.9 volte negli uomini e di 1.6 volte nelle donne12,
mentre nello studio SOLVD in presenza di FA il rischio di mortalità per tutte le cause è risultato di 1.3 volte maggiore13. Uno
studio recente, condotto su un’ampia casistica di pazienti ricoverati per SC, conferma che l’insorgenza di FA rispetto al ritmo
sinusale è indipendentemente associata ad una prognosi peggiore con un aumento della mortalità intraospedaliera e dei
giorni di degenza14.
SCOMPENSO CARDIACO E FIBRILLAZIONE ATRIALE
CHIAVE DI LETTURA
SCOMPENSO CARDIACO, FIBRILLAZIONE ATRIALE
E RISCHIO TROMBOEMBOLICO
Ragionevoli certezze. Il rischio di sviluppare
fibrillazione atriale (FA) è maggiore nelle
donne rispetto agli uomini affetti da
scompenso cardiaco (SC), diabete mellito e
valvulopatie. Le donne rappresentano circa il
60% dei pazienti con più di 75 anni affetti da
FA. In presenza di SC il rischio
tromboembolico legato alla FA aumenta,
risultando più elevato nelle donne rispetto agli
uomini: negli uomini raddoppia, mentre nelle
donne triplica.
Lo SC predispone al rischio di embolie sistemiche, che si verificano in circa il 30% dei pazienti, e che talora ne rappresentano la causa di morte. Negli studi SOLVD13 e V-HeFT19 è stato
documentato come anche la disfunzione ventricolare sinistra
di grado moderato o lieve sia associata ad un rischio di ictus
superiore a quello della popolazione generale (1.5% per anno), rischio che aumenta considerevolmente (4% per anno) in
presenza di grave SC. Nello studio SAVE20 è stata riportata una
relazione inversa tra rischio di ictus e funzione di pompa, con
un aumento del 18% di tale rischio per ogni riduzione del 5%
della frazione di eiezione ventricolare sinistra. Inoltre nei trial
sullo SC l’incidenza di eventi tromboembolici spesso viene sottovalutata; è possibile infatti che la causa di morte improvvisa
nell’insufficienza cardiaca cronica non sia legata sempre ad
eventi aritmici, ma talora a fenomeni tromboembolici21.
Il tromboembolismo nello SC rappresenta pertanto un problema molto più significativo di quanto attualmente riconosciuto e dal punto di vista fisiopatologico si spiega con la triade di Virchow: stasi del circolo secondaria alla ridotta portata
cardiaca e alla dilatazione ventricolare, disfunzione endoteliale,
alterazioni dell’assetto emocoagulativo. In presenza di aneurismi del ventricolo sinistro, in conseguenza della marcata stasi
ematica, è riportata in letteratura un’incidenza di trombosi endoventricolare variabile dal 14% al 68%, che può dar luogo ad
embolie sistemiche in un terzo dei casi.
Nei pazienti con SC il principale fattore correlato al rischio
di eventi tromboembolici, insieme alla trombosi ventricolare sinistra, è la presenza di FA, la cui incidenza negli studi SOLVD13
e V-HeFT19 è risultata rispettivamente del 15% e 10%. Nel
CONSENSUS22 tale incidenza ha raggiunto il 50% ed in seguito ne è stata dimostrata una stretta correlazione con i volumi del
ventricolo sinistro e dell’atrio sinistro. A conferma dei dati riportati, nello studio SAVE20 è stata osservata una riduzione complessiva dell’81% del rischio di ictus nei pazienti con SC trattati con warfarin. Inoltre nel più recente studio SCD-HeFT23, in
una coorte di pazienti affetti da disfunzione ventricolare sinistra di grado moderato, la terapia antiaritmica con amiodarone
ha ridotto in maniera statisticamente significativa l’incidenza di
ictus, verosimilmente attraverso la prevenzione della FA.
Nei pazienti con SC il rischio tromboembolico sembra infine essere più elevato nel sesso femminile. Nello studio
SOLVD13, in presenza di ritmo sinusale il sesso femminile è risultato associato ad una frequenza annua doppia di embolie sistemiche rispetto a quella dei maschi, mentre nei pazienti con
SC e in FA il rischio di ictus triplica nelle femmine e raddoppia
nei maschi.
Per quanto riguarda la profilassi tromboembolica, in accordo con le più recenti linee guida sullo SC, è raccomandata la terapia anticoagulante orale (TAO) nei pazienti con FA parossistica, persistente o permanente e nei soggetti con documentazione di trombosi endoventricolare o embolia sistemica24, mentre non esistono indicazioni certe alla TAO nei pazienti con SC
in ritmo sinusale.
È importante tuttavia sottolineare che lo SC rappresenta
una condizione associata ad un aumentato rischio emorragico
in corso di TAO, anche se l’incremento di tale rischio risulta inferiore rispetto all’aumento del rischio tromboembolico, come
si evince dagli score attualmente raccomandati per la stratificazione di tali rischi. Nell’HAS-BLED infatti lo SC e la disfun-
Questioni aperte. Come confermato nello
studio ATA-AF le donne affette da FA, pur
avendo un rischio tromboembolico
significativamente maggiore rispetto a quello
degli uomini, meno frequentemente vengono
trattate con la terapia anticoagulante orale.
Le ipotesi. Il sottoutilizzo della terapia
anticoagulante orale nelle donne affette da FA
rispetto agli uomini viene ascritto ad un
presunto aumento del rischio emorragico, ma
questa asserzione non è validata.
CORRELAZIONI FISIOPATOLOGICHE
La FA può determinare disfunzione ventricolare sinistra attraverso tre meccanismi fondamentali: la perdita della sistole atriale, l’irregolarità del ciclo cardiaco e l’elevata frequenza ventricolare. La perdita del contributo atriale nella
fase telediastolica del riempimento ventricolare comporta
una riduzione del 15-20% della portata cardiaca15 ; inoltre
il riempimento diastolico può essere ulteriormente compromesso dalla brevità della fase diastolica, in caso di elevata
frequenza cardiaca. Anche l’irregolarità del ritmo cardiaco
causa una diminuzione della portata, poiché l’incremento
della portata che si osserva dopo gli intervalli lunghi non
compensa la riduzione che si osserva durante gli R-R corti,
con un effetto depressivo diretto sulla contrattilità miocardica per gli improvvisi cambiamenti della durata del ciclo
cardiaco16.
La FA è inoltre la causa più frequente di tachicardiomiopatia, forma di cardiomiopatia dilatativa, conseguente ad una
tachiaritmia sostenuta nel tempo e ad elevata frequenza di risposta ventricolare, caratterizzata da una severa disfunzione
ventricolare sinistra che spesso esordisce con SC17. La disfunzione ventricolare può regredire completamente o parzialmente con il ripristino del ritmo sinusale o con il controllo della frequenza ventricolare. Nei soggetti senza una sottostante cardiopatia, la FA può essere tollerata per un lungo
periodo di tempo con sintomi lievi; al contrario in taluni casi
sono sufficienti brevi fasi di tachicardia, della durata giornaliera di qualche ora, per indurre disfunzione ventricolare18.
L’impatto della FA sulla funzione ventricolare è comunque
tanto più importante quanto più sia preesistente in condizioni di base un deficit della funzione sistolica o diastolica
ventricolare sinistra.
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zione ventricolare sinistra non conferiscono punteggio per un
incrementato rischio emorragico25, a differenza del CHADS2
score, dove vengono considerati insieme all’età ≥75 anni, all’ipertensione, al diabete mellito e all’anamnesi di ictus, per la
stima del rischio tromboembolico. Recentemente è stato introdotto e raccomandato nella pratica clinica il CHA2DS2VASc26, score più preciso nella valutazione del rischio tromboembolico della FA, nel quale in aggiunta ai citati fattori del
CHADS2 score, viene attribuito un punteggio anche alla presenza di malattia vascolare, all’età compresa tra 65 e 74 anni
e al sesso femminile.
In letteratura è noto che il sesso condiziona il rischio tromboembolico dei pazienti affetti da FA. Un recente studio canadese condotto su un’ampia popolazione di ultrasessantacinquenni ha documentato che, indipendentemente dall’utilizzo e
dall’aderenza alla TAO, le femmine presentano un rischio tromboembolico maggiore rispetto a quello dei maschi (2.02 vs 1.61
per 100 persone-anno, p<0.001). Tale incremento di rischio
correla con l’età ≥75 anni27.
Il sesso sembra correlare contemporaneamente anche con
il rischio emorragico. Le donne affette da FA, pur avendo un rischio tromboembolico maggiore rispetto a quello degli uomini, meno frequentemente vengono trattate con la TAO28. L’incremento del rischio emorragico della TAO in pazienti affetti da
SC e nelle donne spiega parte del sottoutilizzo di questa terapia: complessivamente soltanto la metà dei pazienti con FA sono effettivamente trattati con la TAO e nei soggetti anziani il
sottoutilizzo è ancora maggiore29. Negli studi la percentuale dei
pazienti eleggibili al trattamento con warfarin che sono effettivamente trattati varia dal 50% al 70%30.
STRATEGIE ARITMOLOGICHE NELLA FIBRILLAZIONE
ATRIALE ASSOCIATA A SCOMPENSO CARDIACO
Due sono le strategie perseguibili per il trattamento della FA:
il controllo del ritmo, mediante il ripristino ed il mantenimento del ritmo sinusale, contrapposto al controllo della frequenza di risposta ventricolare. Nello studio PIAF31 il controllo del ritmo con amiodarone ha portato ad un miglioramento dei sintomi e della tolleranza allo sforzo superiore rispetto al controllo della risposta ventricolare mediante diltiazem, ma in assenza di un sostanziale miglioramento della qualità di vita dei
pazienti, per una maggiore incidenza di ospedalizzazioni e di
effetti avversi con amiodarone. Successivamente nello studio
AFFIRM32, finalizzato ad individuare l’approccio terapeutico ottimale alla FA relativamente agli endpoint mortalità e morbilità, è stata documentata una progressiva riduzione della prevalenza di ritmo sinusale (circa 40% nel gruppo di pazienti con
controllo della frequenza ventricolare e circa 60% nel gruppo
di pazienti con controllo del ritmo). Al termine del follow-up la
mortalità non è risultata differente tra i due gruppi, nonostante
un trend di maggiore incidenza dell’endpoint primario nel
gruppo con controllo del ritmo, mentre è stata osservata una
maggiore percentuale di effetti indesiderati (torsioni di punta,
gravi bradiaritmie, riospedalizzazioni) con l’impiego dei farmaci
antiaritmici. Lo studio quindi conclude che il controllo della frequenza ventricolare della FA è una strategia efficace e di prima scelta in pazienti con caratteristiche simili alla popolazione
arruolata.
I risultati dello studio AFFIRM sono stati confermati nello
studio RACE33 con rilievo di non inferiorità della strategia di
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controllo della frequenza rispetto a quella di controllo del ritmo
nella FA persistente. In questo studio l’incidenza di eventi cardiovascolari, principalmente SC, embolie sistemiche e gravi bradiaritmie, era maggiore nelle donne affette da FA trattate con
strategia di controllo del ritmo34. La non inferiorità del controllo della frequenza cardiaca rispetto al controllo del ritmo è stata successivamente documentata anche nei pazienti con FA e
SC35, condizione in cui in precedenza era stato dimostrato un
marcato aumento di mortalità con l’impiego dei farmaci antiaritmici36. In tali pazienti inoltre l’efficacia della cardioversione,
sia farmacologica che elettrica, nel ripristino del ritmo sinusale
risulta ridotta37.
Pertanto la strategia terapeutica più frequentemente impiegata per la FA in pazienti con SC è il controllo della frequenza ventricolare con digitale e betabloccanti. Questi ultimi
farmaci presentano effetti particolarmente favorevoli in presenza di SC sul controllo della frequenza ventricolare della FA
sia a riposo che da sforzo, anche se sono necessari ulteriori studi per determinarne un eventuale impatto prognostico38.
Nello studio GISSI-AF l’uso del valsartan, basato sull’ipotesi
che gli antagonisti dei recettori dell’angiotensina II influenzassero il rimodellamento atriale, non ha ridotto l’incidenza
di FA ricorrente rispetto al placebo11. Tuttavia nel sottogruppo di pazienti con SC è emerso un trend verso una possibile
superiorità del valsartan nei confronti del placebo. Recentemente lo studio PALLAS39, che ha testato il dronedarone vs
placebo in pazienti affetti da FA permanente ed elevato profilo di rischio vascolare, ha evidenziato un eccesso di scompenso, ictus e morte cardiovascolare soprattutto aritmica nei
pazienti randomizzati al dronedarone. L’inclusione di pazienti con SC non stabilizzato ed un’interazione negativa con il
concomitante utilizzo della digitale potrebbero in parte spiegare i risultati sfavorevoli del dronedarone in questo contesto
clinico.
LO STUDIO ATA-AF
Lo studio multicentrico osservazionale ATA-AF (Agenti Antitrombotici nella Fibrillazione Atriale), condotto da ANMCO e
FADOI, ha analizzato nel periodo compreso tra maggio e luglio
2010 i pazienti con FA afferenti a 164 cardiologie e a 196 reparti di medicina interna, rappresentativi in termini di distribuzione geografica della realtà ospedaliera italiana.
Nello studio sono stati arruolati 7148 pazienti con diagnosi primaria o secondaria di FA sia in regime di ricovero che ambulatoriali. I pazienti arruolati avevano un’età mediana di 77
anni e nel 47% dei casi erano femmine. Nel 20% dei casi circa, in particolare nei reparti di medicina interna, la diagnosi
principale di ricovero è stata lo SC, spesso associato ad età anziana, sesso femminile e diabete mellito a conferma dei dati già
presenti in letteratura7. La maggioranza dei pazienti (67.8%)
aveva FA non valvolare, mentre la FA lone era presente solo in
una minoranza di casi (1.8%). Per quanto riguarda il tipo di FA,
nel 49.1% dei casi era permanente, nel 23.6% dei casi persistente e nel 24% dei casi parossistica.
In anamnesi le donne avevano più frequentemente degli
uomini una storia di pregresso ictus o attacco ischemico transitorio (p=0.02), valvulopatie, in particolare la stenosi mitralica
(p=0.0001), ipertiroidismo e deficit cognitivi. Nei maschi più
frequentemente che nelle donne coesisteva una storia di coronaropatia o di arteriopatia periferica e di SC e/o disfunzione
SCOMPENSO CARDIACO E FIBRILLAZIONE ATRIALE
ventricolare sinistra con frazione di eiezione del ventricolo sinistro <40% (p=0.0002).
Dal punto di vista terapeutico il 51.4% dei pazienti è stato
trattato con strategia per il controllo della frequenza cardiaca,
mentre soltanto nel 21% dei casi è stata impostata terapia per
il controllo del ritmo, più spesso adottata in pazienti giovani,
di sesso maschile e senza comorbilità. In particolare la cardioversione elettrica è stata effettuata o programmata nel 55.8%
degli uomini e nel 43.5% delle donne (p<0.0001) e l’ablazione transcatetere con radiofrequenza è stata effettuata o programmata nel 12% dei soggetti di sesso maschile e nel 5.9%
dei soggetti di sesso femminile (p<0.0001).
Per la prevenzione del rischio tromboembolico, la TAO è stata prescritta nel 58.8% dei pazienti e gli antiaggreganti antipiastrinici nel 34.1% dei casi. Nello studio la prescrizione della TAO
è risultata influenzata oltre che dall’età (66.2% nei pazienti di
età ≤75 anni vs 53.1% nei pazienti di età >75 anni, p<0.0001),
dal tipo di FA (64.3% nei casi di FA permanente, 69.6% nei casi di FA persistente e soltanto 37.4% nei pazienti con FA parossistica, p<0.0001) e dalla strategia terapeutica adottata (63.2%
in caso di strategia di controllo della frequenza vs 59.7% in caso di strategia di controllo del ritmo, p<0.0001), anche dal sesso (60.7% nei maschi vs 56.6% nelle femmine, p=0.0003). Non
è stata invece riscontrata una correlazione significativa tra il livello di rischio tromboembolico valutato attraverso gli score
CHADS2 e CHA2DS2-VASc e l’utilizzo della TAO.
Nello studio ATA-AF si conferma il paradosso noto in letteratura che le donne affette da FA, pur avendo un rischio tromboembolico significativamente maggiore degli uomini, vengo-
no meno trattate con la TAO28, per un presunto aumentato rischio emorragico, peraltro non validato40,41.
RIASSUNTO
Nei pazienti con scompenso cardiaco (SC) la prevalenza di fibrillazione atriale (FA) è più alta rispetto alla popolazione generale ed il
rischio di sviluppo di FA è maggiore nelle donne rispetto agli uomini. La comparsa di FA in pazienti affetti da SC correla con un aumento di mortalità e di incidenza di eventi tromboembolici, che
sembrano verificarsi più frequentemente nelle donne rispetto agli
uomini. Nello stesso tempo lo SC rappresenta una condizione associata ad un aumentato rischio emorragico in corso di terapia anticoagulante orale, motivo per cui nella pratica clinica vi è un sottoutilizzo della profilassi tromboembolica, in particolare nei soggetti di sesso femminile.
La strategia terapeutica più frequentemente impiegata nei pazienti con FA e SC è il controllo della frequenza di risposta ventricolare, in considerazione dell’aumento di mortalità correlato all’uso dei
farmaci antiaritmici e della ridotta efficacia della cardioversione sia
farmacologica che elettrica nel ripristino del ritmo sinusale. Inoltre
nelle donne affette da SC e FA trattate con strategia di controllo del
ritmo è stata dimostrata una maggiore incidenza di eventi cardiovascolari.
La FA a sua volta può essere causa di SC. Nei casi in cui persiste nel
tempo ad elevata frequenza di risposta ventricolare può indurre
una tachicardiomiopatia, forma di cardiomiopatia dilatativa caratterizzata da severa disfunzione ventricolare sinistra.
Parole chiave. Fibrillazione atriale; Scompenso cardiaco; Sesso
femminile.
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