242 Editoriale Recenti Prog Med 2012; 103: 242-247 Aritmie cardiache in età geriatrica Giorgio De Benedetto, Roberta De Angelis, Chiara Fossati, Alessia Bellomo, Maria Alfarano, Benedetta Marigliano, Cristina Lo Iacono, Vincenzo Marigliano Riassunto. La decisione di instaurare una terapia antiaritmica in un paziente geriatrico dipende dalle caratteristiche dei sintomi e dalla morbilità e dalla mortalità potenziali. Alcune aritmie possono provocare sintomi fastidiosi ma non influenzare la prognosi a lungo termine, mentre altre, con sintomatologia lieve o assente, possono avere prognosi negativa. Cardiac arrythmias in the elderly. Parole chiave. Aritmie cardiache, età geriatrica, ritmo cardiaco. Key words. Cardiac arrhythmias, cardiac rhythm, elderly. Effetti dell’invecchiamento sull’elettrofisiologia cardiaca e sulla valutazione delle aritmie cardiache che per lo sviluppo di disturbi del ritmo atriale e ventricolare. Per quanto concerne le alterazioni della frequenza, il ritmo basale in posizione supina non subisce variazioni di rilievo in età geriatrica rispetto all’età giovane adulta, mentre diminuisce la capacità di risposta del cuore quando si passa in posizione ortostatica1. La prevalenza dei battiti ectopici atriali aumenta con l’età. Brevi salve di tachiaritmie sopraventricolari si rinvengono in più del 50% dei soggetti ultrasessantacinquenni, mentre la fibrillazione atriale (AF) e le bradiaritmie si identificano come condizioni patologiche proprie dell’età geriatrica. Anche le aritmie ventricolari aumentano, infine, con l’età1. Il significato prognostico di tutti questi disturbi del ritmo è, tuttavia, strettamente correlato alla presenza o meno di una sottostante patologia cardiovascolare. Questo articolo fornirà una rapida visione delle caratteristiche delle principali aritmie dell’età geriatrica e alcuni consigli utili per un adeguato approccio terapeutico. Nei pazienti anziani senza evidente patologia cardiovascolare il numero dei miociti cardiaci diminuisce progressivamente, mentre i miociti residui vanno incontro a fenomeni di ipertrofia. Contemporaneamente, si può riscontrare un aumento delle fibre elastiche e collagene in tutte le parti della matrice interstiziale e del tessuto di conduzione1. Attorno al nodo seno atriale, con l’avanzare dell’età, si associa un progressivo accumulo di tessuto adiposo, che determina una graduale separazione fra le cellule che compongono il nodo di Keith e Flack e la muscolatura circostante. Il numero delle cellule pace-maker, inoltre, diminuisce progressivamente, ed è stato evidenziato come, a partire dai 75 anni di età, meno del 10% dell’originario patrimonio cellulare resti funzionante. Ancora, nei soggetti anziani si evidenziano calcificazioni dello scheletro cardiaco, che includono l’anulus aortico e mitralico, il corpo fibroso centrale e la sommità del setto atrioventricolare (AV)1. A causa della loro prossimità con queste strutture, il nodo AV, il fascio di His, le branche destra e sinistra sono frequentemente colpite dai fenomeni di invecchiamento. L’aumento della durata del potenziale d’azione e una diminuita risposta autonomica sono allo stesso modo parte integrante del processo di senescenza. Nel loro complesso, queste modificazioni forniscono il substrato per l’aumentata propensione età correlata nei confronti di alterazioni cronotrope e dromotrope, oltre Summary. The prescription of antiarrhythmic therapy in the elderly depends on the characteristics of clinical symptoms and on the potential morbidity and mortality. Some cardiac arrhythmias may cause bothersome symptoms but do not affect the long-term prognosis. However, other dysrhythmias with mild or no symptoms may be associated with a poor prognosis. Bradaritmie e pacemaker in età geriatrica Il processo di invecchiamento è associato ad una progressiva fibrosi del nodo seno atriale e del sistema di conduzione AV; tale fenomeno degenerativo esita in bradicardia, che può essere ulteriormente esacerbata dall’insorgere di ulteriori condizioni patologiche o iatrogene. Tutto ciò, spesso, pone indicazione all’impianto di un pacemaker (PM). Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Respiratorie, Nefrologiche e Geriatriche, Policlinico Umberto I, Sapienza Università di Roma. Pervenuto il 9 febbraio 2012. G. De Benedetto et al.: Aritmie cardiache in età geriatrica Le attuali linee-guida per l’impianto di PM sono quelle aggiornate dall’American College of Cardiology (ACC) e dall’American Heart Association (AHA). Nelle righe che seguono forniamo una visione sinottica delle attuali indicazioni all’impianto del PM, oltre che i risultati dei più importanti e recenti clinical trial sull’utilizzo del PM in età geriatrica. Indicazione di Classe I all’impianto di PM permanente sono il blocco AV di III grado e il blocco AV di II grado avanzato in pazienti sintomatici. La terapia di pacing è altresì raccomandata nei pazienti con malattie neuromuscolari e blocco AV di III grado, anche se asintomatici, perché l’evoluzione delle alterazioni della conduzione AV è scarsamente prevedibile in questi soggetti. I pazienti affetti da patologia del sistema di conduzione (blocco bi- o tri- fascicolare all’ECG) manifestatasi con un episodio sincopale o pre-sincopale sono candidati, in assenza di spiegazioni alternative per i loro sintomi, all’impianto di PM. Per quanto riguarda la malattia del nodo del seno (Sick Sinus Syndrome, SSS), il PM è indicato in pazienti con bradicardia sintomatica (sincope, pre-sincope, dispnea ed intolleranza allo sforzo) associata ad una disfunzione del nodo del seno atriale (pause, bradicardia persistente o incompetenza cronotropa). Nei pazienti anziani, SSS è spesso associata all’insorgenza di tachiaritmie atriali (sindrome bradi-tachi), inclusa AF2. A causa della frequente associazione fra SSS e AF, i pacemaker di tipo VVI e VVIR sono stati inizialmente considerati la terapia di pacing più adatta per questa condizione. Studi recenti, tuttavia, indicano che la presenza di uno stimolo a livello atriale può costituire, nei pazienti con SSS, un elemento in grado di ridurre l’incidenza di progressione verso AF. Gli attuali miglioramenti della tecnologia, anche nel campo dei PM, consente di impiantare dispositivi che possono passare dalla modalità di funzionamento DDD a VVI o DDI in caso di AF parossistica2,3. Queste considerazioni hanno portato ad un progressivo aumento dell’utilizzo del PM bicamerale nei pazienti anziani. Alcuni esperti, tuttavia, ritengono che il pacing in modalità AAI o AAIR sia la modalità di pacing migliore, perché consente un’attivazione ventricolare più fisiologica ed è tecnicamente meno complesso2,3 (tabella 1). Ciononostante, questo approccio non è stato ampiamente adottato nella pratica clinica, perché un follow-up a lungo termine nei pazienti in età geriatrica ha mostrato la progressione del blocco AV nel 10% dei casi. Nonostante la capacità di mantenere la durata del blocco AV costante nel tempo e la possibilità di modificare la propria modalità di funzionamento supportino il razionale per l’utilizzo del PM bicamerale, dati recenti indicano che, nei pazienti con SSS, la stimolazione a partire dall’apice del ventricolo sinistro possa determinare un aumento dell’incidenza di insufficienza cardiaca, e, quindi, di successiva ri-ospedalizzazione3. Fibrillazione atriale La fibrillazione atriale colpisce circa 2,3 milioni di persone negli USA ed è attualmente il più comune disturbo del ritmo tra i pazienti ospedalizzati con una diagnosi di disritmia primitiva. L’età media dei pazienti è 75 anni: l’84% di essi ha un’età superiore ai 65 anni. Dati provenienti da studi su AF cronica effettuati in Nord America, in Gran Bretagna e in Islanda indicano una prevalenza dallo 0,5% all’1% nella popolazione generale. In due studi separati, ristretti a pazienti con un età superiore ai 60 anni, l’incidenza variava dal 5% al 15% dopo un periodo di follow-up variabile da 5 a 15 anni. La genesi di questa “epidemica” AF è correlata all’espansione della popolazione geriatrica4,5. AF ha un impatto sostanziale sia sulla morbilità che sulla mortalità. È un fattore di rischio indipendente per ictus, responsabile di circa 75000 accidenti cerebrovascolari all’anno. AF è altresì associata con un aumento di più di due volte della mortalità per tutte le cause. Nonostante AF coesista spesso con altre condizioni morbose, specialmente malattie cardiovascolari e polmonari, il tasso di mortalità resta comunque più alto se si aggiustano i dati considerando le suddette condizioni4. I dati supportano l’idea che l’uso degli anticoagulanti per la prevenzione primaria e secondaria dell’ictus sia il provvedimento farmacologico più impellente nel trattamento di AF. L’incidenza annuale di icuts con AF non valvolare, cronica o parossistica è, in assenza di anticoagulazione, approssimativamente del 5%, in confronto ad un valore di circa l’1% per popolazioni confrontabili con il campione in esame e in ritmo sinusale. Tabella 1. Trial clinici randomizzati sulla selezione della modalità di selezione dei pace maker in età geriatrica. Trial, anno Pazienti arruolati Età media Follow-up (anni) Modalità Pacing PASE, 1998 407 76 2,5 CTOPP, 2000 2568 73 3 MOST, 2002 2010 74 2,7 VVIR vs DDDR UK-PACE, 2003 2021 80 4,6 VVI/VVIR vs DDD/DDDR VVIR vs DDDR VVIR vs DDDR (o AAIR) Legenda: CTOPP= Canadian Trial Of Physiologic Pacing; MOST= Mode Selection Trial; PASE= Pace Maker Selection in the Elderly; UK-PACE= UK Pacing and Cardiovascular Events 243 244 Recenti Progressi in Medicina, 103 (6), giugno 2012 I fattori di rischio per ictus in pazienti con AF rapia anticoagulante deve essere protratta per alincludono precedenti eventi cerebrovascolari, stomeno 4 settimane dopo la cardioversione, perché ria di ipertensione, diabete mellito, insufficienza lo stunning atriale aumenta il rischio di formacardiaca, età avanzata. I fattori di rischio incluzione di trombi (tabella 2). dono aumento volumetrico dell’atrio sinistro e riPer quanto concerne la terapia di AF, due sono dotta funzione sistolica del ventricolo sinistro. i possibili approcci: il controllo della frequenza e il Dati che derivano da studi di prevenzione primacontrollo del ritmo (tabella 3). Per quanto riguarda ria indicano che il rischio annuale di ictus in pail controllo della frequenza, nonostante nei pazienti con uno o più fattori di rischio clinici varia zienti con AF associata ad instabilità emodinamidal 4% al 12% e che la terapia con warfarin riduca, angina persistente o stenosi aortica critica sia ce il rischio del 60%-70%. Nei pazienti con età surichiesta una cardioversione urgente, molti dei sinperiore ai 75 anni, tuttavia, l’effetto benefico deltomi della fase acuta possono essere controllati da la terapia con warfarin viene in parte vanificato una pronta riduzione della frequenza ventricoladall’aumentato rischio di severe complicanze re7,8. La digitale diminuisce la frequenza ventricoemorragiche, specialmente nelle donne. L’aspirilare aumentando il tono vagale ed aumentando la na è sostanzialmente meno efficace del warfarin refrattarietà del nodo AV. Tuttavia, sia nelle forme per la prevenzione di eventi trombo-embolici, speacute che croniche, la digossina è generalmente cialmente in pazienti anziani con fattori di rischio meno efficace nel controllo della frequenza rispetper ictus. Tuttavia, è associata con un rischio mito sia ai β-bloccanti che ai Ca2+ antagonisti. Non ci nore di complicanze emorragiche, inclusa l’emorsono dati che supportino l’utilizzo della digossina ragia cerebrale. Il ruolo di farmaci antiaggregannella cardioversione farmacologica o nel manteniti piastrinici più moderni, come il clopidogrel, o di mento del ritmo sinusale. agenti antitrombotici, come lo ximelagatran per la prevenzione di eventi trombo- Tabella 2. Terapia antitrombotica nei pazienti con fibrillazione atriale: approccio basato sul riembolici in pazienti anzia- schio. ni con AF è ancora da deCaratteristiche Terapia Grado di terminarsi6. Nei pazienti dei pazienti antirombotica raccomandazione geriatrici, la decisione se iniziare o meno una terapia Età >60, no patologia cardiaca Aspirina I anticoagulante con warfaAspirina I rin deve essere presa bilan- Età <60, patologia cardiaca ma non fattori di rischio* ciando l’aumento del riAspirina I schio di emorragia cerebra- Età 60-74, no fattori di rischio le e il rischio di sanguinaEtà 65-75 con DM o CAD Anticoagulante orale I mento in seguito ad eventi Anticoagulante orale I traumatici. Sono richiesti Età >75, donne un attento monitoraggio Età >65 o più, Insufficienza Cardiaca Anticoagulante orale I del dosaggio di warfarin Anticoagulante orale I somministrato e una fre- Frazione di Eiezione <35% quente valutazione dei liMalattia Reumatica Cardiaca (stenosi mitralica) Anticoagulante orale I velli di INR. Il rischio di tromboembolismo legato ad Protesi Valvolare, pregresso tromboembolismo Anticoagulante orale I una cardioversione improvTrombo Atriale persistente Anticoagulante orale IIa visa nei pazienti con AF che si è presentata meno di Legenda: DM= Diabete Mellito; CAD= Coronaropatia. 48 ore prima, è basso. Nei *I fattori di rischio per tromboembolismo includono insufficienza cardiaca, frazione di eiezione ventripazienti con AF da più di colare sinistra <35% e storia di ipertensione arteriosa. 48 ore o di durata sconosciuta, la terapia con warfarin è raccomandata per quattro settimane prima di Tabella 3. Trial clinici sulla fibrillazione atriale: controllo della frequenza vs controllo del ritmo. procedere alla cardioversioTrial, anno Numero pazienti Tipo di AF End point primario ne (sia elettrica che farmacologica). Dati recenti sug- PIAF, 2000 252 Persistente Sintomi geriscono che l’ecocardioAFFIRM, 2002 4060 Persistente/Parossistica Mortalità da tutte le cause grafia transesofagea sia efficace nell’escludere la pre- RACE, 2002 522 Persistente Composito senza di trombi a livello 200 Persistente Composito atriale e di consentire una STAF, 2003 Legenda: AF= Fibrillazione atriale; AFFIRM= Atrial Fibrillation Follow-Up Investigation of Rhythm Manacardioversione precoce nei pazienti con AF di durata gement; PIAF= Pharamcological Intervention in Atrial Fibrillation; RACE= Rate Control Versus Electrical sconosciuta. Tuttavia, la te- Cardioversion for Persistent Atrial Fibrillation Study; STAF= Strategies of Treatment of Atrial Fibrillation. G. De Benedetto et al.: Aritmie cardiache in età geriatrica La digossina può teoricamente facilitare la AF nell’abbreviare il periodo di refrattarietà atriale e nell’aumentare la automaticità atriale. I β-bloccanti e i Ca2+ antagonisti riducono la frequenza ventricolare in AF ritardando la conduzione a livello del nodo AV. La scelta tra queste due famiglie di farmaci dipende primariamente dal contesto clinico. Per esempio, i primi sono preferibili nei pazienti con AF parossistica precipitata da un’ischemia coronarica acuta, mentre i secondi vengono preferenzialmente scelti dopo il riscontro di un’anamnesi positiva per asma9. La clonidina, un’agonista dei recettori alpha 2 centrali, può essere moderatamente utile per ridurre la frequenza ventricolare attraverso la riduzione dell’attività del sistema simpatico a livello cerebrale7,8. Nei pazienti anziani, l’ottimizzazione del controllo della frequenza mediante farmaci può essere reso difficoltoso dalla presenza di comorbilità e dalla suscettibilità agli effetti collaterali (bradiaritmie, peggioramento del grado di insufficienza cardiaca). Inoltre, il controllo della frequenza può essere insufficiente ad alleviare i sintomi in alcuni pazienti, come quelli con cardiomiopatia ipertrofica, nei quali il ripristino del ritmo sinusale può essere di beneficio. Per quanto concerne il controllo del ritmo, invece, si può dire che, nella fase acuta, esso può essere ottenuto mediante una cardioversione farmacologica o non farmacologica. L’efficacia dei farmaci antiaritmici per la cardioversione di AF, sia per via intravenosa che per via orale, è altamente variabile, con un range che va dal 30% al 75%. L’efficacia varia altresì con l’età del paziente, la durata dell’aritmia, la presenza di flutter atriale, una sottostante disfunzione del ventricolo sinistro e le dimensioni del ventricolo sinistro. L’ibutilide, un farmaco antiaritmico di classe III, è più efficace nel ripristinare il ritmo sinusale nel flutter atriale rispetto ad AF. La dofetilide, un altro farmaco di classe III, è efficace nella profilassi orale e nei pazienti con disfunzione del ventricolo sinistro. Una singola dose orale di propafenone è stata altresì valutata per la cardioversione di AF, ed ha mostrato un eccellente profilo di efficacia e di sicurezza8,10. In generale, i più alti tassi di cardioversione sono stati registrati per AF parossistiche piuttosto che persistenti. I pazienti anziani possono essere a rischio aumentato di azione pro-aritmica da parte di questi farmaci, per cui necessitano di un più attento monitoraggio. L’efficacia dell’amiodarone endovena per l’interruzione di AF di recente insorgenza è oggetto di discussione. Tuttavia, i dati più recenti sembrano non supportare l’utilizzo dell’amiodarone nella cardioversione acuta. La cardioversione esterna a corrente diretta può ripristinare il ritmo sinusale dal 75% al 90% dei pazienti con AF. La cardioversione con device o catetere interno ha un’efficacia riportata prossima al 100%, anche nei pazienti in cui la cardioversione esterna non ha ottenuto risultati soddisfacenti. La cardioversione interna trova indicazione in quei soggetti in cui la cardioversione esterna ha fallito ed in quei casi in cui il ripristino del ritmo sinusale è obbligatorio6,7. A proposito del mantenimento del ritmo sinusale in pazienti con AF ricorrente, sono opportune alcune considerazioni circa la terapia antiaritmica cronica. I farmaci antiaritmici di classe IA come la chinidina, la disopiramide e la procainamide; farmaci di classe IC come la flecainide e il propafenone; e farmaci di classe III come il sotalolo, amiodarone e la dofetilide sono stati utilizzati per prevenire la ricorrenza di AF, con un’efficacia che va dal 30% all’80% durante il primo anno di follow-up. L’amiodarone è più efficace e sicuro nei follow-up a breve e medio termine rispetto a farmaci di classe I, per i quali va sempre considerato il rischio potenziale di sviluppare un’aritmia ventricolare. Tuttavia, l’amiodarone risulta essere associato a molti effetti collaterali non cardiologici nell’utilizzo a lungo termine, che determinano un’interruzione della terapia pari al 20% dei casi ad 1 anno. In generale, i farmaci con sostanziali effetti inotropi negativi, come procainamide, disopiramide e flecainide sono controindicati nei pazienti con disfunzione sistolica. I farmaci di classe IC non dovrebbero essere utilizzati nei pazienti con una sottostante malattia coronarica. I farmaci di classe IA e di classe III prolungano il tempo di ripolarizzazione ventricolare e l’intervallo QT portando al blocco dei canali del potassio. Propafenone, sotalolo ed amiodarone hanno un effetto β-bloccante che potrebbe essere clinicamente significativo nei pazienti anziani con disfunzione del nodo del seno o del nodo AV. Nei pazienti con malattia del fascio di His e delle fibre del Purkinje, inoltre, i farmaci di classe I dovrebbero essere impiegati con cautela, a causa della potenziale azione di rallentamento della conduzione infranodale. Dofetilide, sotalolo e i metaboliti attivi della procainamide, infine, sono principalmente escreti dal rene e dovrebbero essere utilizzati con cautela nei pazienti con concomitante disfunzione renale. Per quanto concerne le terapie non farmacologiche di AF, possiamo dire che, in assenza di una unica, efficace strategia farmacologica, molti sforzi sono stati condotti nel tentativo di sviluppare nuove metodiche di trattamento non farmacologico. Prima che l’applicazione di queste metodiche possa essere ampiamente applicata negli anziani, tuttavia, sarà necessario ottenere altri risultati definitivi riguardanti la sopravvivenza e gli effetti avversi di questi trattamenti. Anche in questo caso, riteniamo utile distinguere due possibili approcci: quello del ripristino della frequenza e quello del controllo del ritmo; nel primo caso, qualora la terapia farmacologica non dovesse sortire effetti, l’ablazione del nodo AV e il pacing permanente sono efficaci nel controllo della frequenza ventricolare. Nonostante l’ablazione del nodo AV non elimini né AF né la necessità della terapia anticoagulante, essa consente la regressione della sintomatologia clinica e migliora la qualità della vita, la tolleranza allo sforzo fisico e la performance ventricolare sinistra. Inoltre, dati recenti suggeriscono che il pacing biventricolare dopo l’ablazione del nodo AV è associato ad un miglioramento al test del cammino rispetto al pacing convenzionale. 245 246 Recenti Progressi in Medicina, 103 (6), giugno 2012 Nonostante l’efficacia dell’ablazione del nodo AV e dell’impianto del PM per il controllo dei sintomi in pazienti con AF, persiste tuttora il dubbio che la creazione di un blocco AV permanente e l’impianto del PM possano determinare gravi conseguenze a lungo termine. Tuttavia, attualmente, non ci sono dati definitivi a riguardo. Per quanto concerne il controllo del ritmo, invece, episodi ricorrenti di AF sintomatica sono piuttosto frequenti in pazienti di tutte le età. Le opzioni di trattamento non farmacologico di AF vengono sempre più utilizzate per mantenere il ritmo sinusale in questi pazienti. Tuttavia, i potenziali beneficî devono essere accuratamente valutati, soppesandoli con i rischi derivanti dall’esecuzione di tali procedure invasive, soprattutto nei pazienti anziani con comorbilità. La tecnica chirurgica è altamente efficace nel trattamento di AF refrattaria, ed è diventata un’importante procedura aggiuntiva per i pazienti con AF sottoposti ad interventi cardiochirurgici per altre ragioni. Il tasso di successo a lungo termine è attorno al 90% a 4-5 anni dall’intervento. L’esperienza chirurgica, inoltre, ha fornito nuovo impeto allo sviluppo delle tecniche di ablazione transcatetere di AF. Attualmente, esistono due approcci transcatetere per colpire il substrato aritmo-genico di AF. L’isolamento delle vene polmonari, la prima tipologia di approccio, si basa sul presupposto secondo il quale la maggior parte di AF viene scatenata o innescata da focolai situati allo sbocco delle vene polmonari e a livello della giunzione atriale sinistra. Questo approccio sembra essere il più efficace nei pazienti con AF parossistica senza una preesistente patologia cardiaca; di solito, questi soggetti sono più giovani ed hanno meccanismo di inizio di AF basato principalmente sulla presenza di un trigger. Il secondo approccio, invece, si basa sul principio secondo cui AF sarebbe sostanzialmente sostenuta, nei soggetti con AF permanente e preesistente patologia cardiaca, da un diffuso substrato aritmogenico a livello atriale; di solito, questi pazienti sono anziani. Quest’ultima tecnica prevede una più ampia area di ablazione, che comprenda lo sbocco delle vene polmonari, l’atrio sinistro e l’atrio destro. La percentuale di successo delle tecniche di ablazione transcatetere si è dimostrata essere alquanto variabile; alcuni hanno tentato di spiegare tale variabilità con le differenze esistenti nella selezione del campione oggetto di studio, l’esperienza dell’operatore, le tecniche di ablazione usate e così via. Le principali complicanze delle tecniche di ablazione includono morte, ictus, tamponamento cardiaco, perforazione esofagea e stenosi delle vene polmonari. Un approccio alternativo al trattamento di episodi di AF parossistica è l’impianto di un defibrillatore. Questo dispositivo è sicuro ed efficace nel porre fine a fibrillazione atriale. Tuttavia, la sua applicazione clinica è limitata a causa della sgradevole esperienza (avvertita dai pazienti senza alterazione dello stato di coscienza) nel caso di attivazione del defibrillatore, oltre che dall’assenza di dati sui potenziali effetti benefici a lungo termine. Tachiaritmie sopraventricolari I principî di terapia farmacologica e non farmacologica delle tachiaritmie sopraventricolari (TPSV) sono simili a quelle descritte per AF. Tuttavia, la maggior parte delle TPSV possiede un substrato aritmogenico isolato e ben definito. β-bloccanti e Ca 2+ antagonisti sono efficaci nel trattamento di TPSV che originano o utilizzano il nodo seno atriale e il nodo AV come componente della tachiaritmia; e per il trattamento di TPSV mediate da catecolamine. I farmaci antiaritmici di Classe I e di Classe III sono efficaci nel trattamento delle TPSV che si innescano attraverso una via accessoria. Anche la terapia di ablazione è altamente efficace; indicazioni di Classe I per questo tipo metodica sono: 1) tachicardia da rientro nel nodo AV sintomatica; 2) flutter atriale ricorrente; 3) TPSV associata a pre-eccitazione ventricolare se la tachiaritmia è resistente alla terapia; 4) tachiaritmia ventricolare a rapida risposta ventricolare come risultato di conduzione attraverso una via accessoria. L’incidenza di complicazioni maggiori associate a TPSV è del 3%; il rischio di complicanze minori è circa dell’8%. Il rischio complessivo di complicazioni tromboemboliche è circa dello 0,6%. Tachiaritmie ventricolari L’età avanzata è associata ad un progressivo aumento nell’incidenza di battiti ectopici ventricolari e di tachicardie ventricolari non sostenute in pazienti con o senza malattie cardiache manifeste. Questi trend sono stati attribuiti alla presenza di una patologia cardiaca non diagnosticata, ad un aumento della massa ventricolare sinistra, ad alti livelli di catecolamine sieriche e alle modificazioni età correlate nei miociti cardiaci e nella matrice extracellulare. La gestione delle aritmie ventricolari nei pazienti anziani è simile a quello della popolazione generale. Nei pazienti con tachiaritmia ventricolare non sostenuta si richiede un’attenta valutazione della presenza di patologie cardiache, comprendente anche la possibile presenza di patologia coronarica e disfunzione del ventricolo sinistro. Battiti prematuri ventricolari e tachiaritmie ventricolari non sostenute sono associate ad una prognosi benigna in assenza di patologie cardiache di rilievo. Il rischio morte cardiaca improvvisa è aumentato nei pazienti con bassa frazione di eiezione da causa ischemica e non. La prevenzione della morte cardiaca improvvisa richiede ottimizzazione della terapia nei confronti della sottostante malattia di base e l’uso del cardiodefibrillatore impiantabile (ICD). È doveroso notare che, nonostante nessuna delle indicazioni per l’impianto di ICD alluda in modo particolare ai pazienti anziani, una valutazione individuale e la determinazione degli obiettivi terapeutici primari sono particolarmente pertinenti in questa popolazione a causa delle frequenti comorbilità e della inferiore aspettativa di vita nei soggetti molto anziani. G. De Benedetto et al.: Aritmie cardiache in età geriatrica Prevenzione secondaria della morte cardiaca improvvisa Le indicazioni per l’impianto di un cardiodefibrillatore impiantabile per la prevenzione secondaria della morte cardiaca improvvisa includono: 1) arresto cardiaco dovuto a tachicardia ventricolare o a fibrillazione ventricolare non legata a causa transitoria o reversibile (infarto acuto del miocardio); 2) tachicardia ventricolare sostenuta, spontanea in associazione a malattia cardiaca strutturale; 3) sincope di origine non determinata con tachicardia ventricolare sostenuta clinicamente ed emodinamicamente significativa o fibrillazione ventricolare indotta qualora la terapia farmacologica sia inefficace, non tollerata o non preferita. Trial clinici randomizzati che hanno comparato l’ICD con la terapia antiaritmica tradizionale hanno dimostrato l’utilità dell’ICD nel ridurre l’incidenza di morte cardiaca improvvisa; tuttavia nessun trial ha dimostrato tale efficacia nei pazienti molto anziani. Prevenzione primaria della morte cardiaca improvvisa I risultati di molti trial recentemente completati hanno importanti implicazioni nella prevenzione primaria della morte cardiaca improvvisa. In pazienti con malattia coronarica, precedente infarto del miocardio e frazione di eiezione uguale o inferiore al 30%, è stato dimostrato un miglioramento nella sopravvivenza dopo l’impianto profilattico di un ICD, rispetto alla sola terapia medica10,11. Terapia di risincronizzazione cardiaca e ICD La terapia di risincronizzazione cardiaca (CRT) migliora la capacità funzionale e la qualità di vita nei pazienti con insufficienza cardiaca congestizia persistente classe III-IV NYHA, nonostante un’ottimale terapia medica; esiste altresì l’evidenza che la CRT possa modificare il rimodellamento strutturale in pazienti selezionati. Nonostante i singoli trial sulla CRT non abbiano la forza statistica per definire la sopravvivenza, una meta-analisi dei risultati di quattro trial randomizzati coinvolgenti più di 800 pazienti ha trovato che la CRT riduce la mortalità nei pazienti con insufficienza cardiaca. Più recentemente, il Comparison of Medical Therapy, Pacing and Defibrillation in Chronic Heart Failure Trial ha dimostrato che la CRT riduce l’ospedalizzazione e che la CRT con l’ICD riduce la mortalità nello scompenso cardiaco. Tuttavia, va sottolineato che sono disponibili davvero pochi dati sull’utilizzo di questi dispositivi nelle persone molto anziane. Quindi, le raccomandazioni per l’impiego della CRT e dell’ICD in questo gruppo di età deve essere individualizzato, prendendo in considerazione l’aspettativa di vita del paziente, le patologie mediche concomitanti e gli obiettivi terapeutici12. Bibliografia 1. Lakatta EG. Age associated cardiovascular changes in health: impact on cardiovascular disease in older persons. Hearth Failure Rev 2002; 7: 29-49. 2. Abraham WT, Fisher WG, Smith Al, et al.; for the Multicenter InSync Randomized Clinical Evaluation (Miracle) Study Group. Cardiac resyncronization in chronic heart failure. N Engl J Med 2002; 346: 184553. 3. Ozcan C, Jahangir A, Friedman PA, et al. Long term survival after ablation of the atrioventricular node and implantation of a permanent pacemaker in patients with atrial fibrillation. N Engl J Med 2001; 344: 1043-51. 4. 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Giorgio De Benedetto Policlinico Umberto I Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Respiratorie, Nefrologiche e Geriatriche Viale del Policlinico, 55 00161 Roma E-mail: [email protected] 247