MARKETING E COMUNICAZIONE D’IMPRESA CAPITOLO PRIMO CONCETTI INTRODUTTIVI Tutte le scienze economiche prendono le mosse dal concetto di BISOGNO. Come disse Adam Smith il bisogno è la molla per l’agire umano. Il bisogno si manifesta quando una necessità di base per la vita umana non è stata soddisfatta; è uno stato di tensione tra stato attuale e stato ideale. I bisogni hanno due caratteristiche principali, sono illimitati, perché man mano che andiamo a soddisfarli se ne creano di nuovi, ed hanno un intensità decrescente (es. bicchiere d’acqua). I bisogni possono essere classificati in: Individuali/collettivi (che provengono dall’uomo in quanto tale o in quanto parte di un gruppo) Primari/secondari (i primi sono essenziali, e sono comuni a tutti gli individui, come ad es. la fame, la sete ecc; per definire i secondi si va per esclusione) Presenti/futuri (si distinguono tra di loro a seconda del momento in cui si manifestano) Possiamo analizzare anche un’altra classificazione dei bisogni, quella di Maslow, che è rappresentata da una piramide, partendo dalla base vediamo: Bisogni fisiologici, connessi all’esistenza dell’uomo (fame, sete), essi sono avvertiti da tutti gli individui Bisogni di sicurezza, esigenza di protezione Bisogni sociali, esigenza di relazionarsi Bisogni di stima, esigenza di essere apprezzati dalle altre persone Bisogni di autorealizzazione, soddisfacimento del proprio essere I DESIDERI sono costituiti dall’individuazione di qualche cosa di specifico, ritenuta in grado di soddisfare i bisogni più profondi. (es. ho fame, desidero la torta). Il bisogno è a monte, il desiderio è quel qualcosa che noi riteniamo possa soddisfare il bisogno. È importante sottolineare che le imprese non creano bisogni, i quali preesistono, ma influenzano i desideri. La DOMANDA è costituita dai desideri per specifici prodotti, fondati sulla capacità e sulla volontà di acquistarli. Possiamo dire che l’insieme dei desideri rappresenta la domanda; tuttavia non sempre il desiderio si traduce in domanda; infatti perché il desiderio si traduca in domanda è necessario che vi sia oltre alla volontà di acquistare quel determinato prodotto ritenuto in grado di soddisfare il bisogno anche la capacità di acquistarlo. I PRODOTTI sono tutto ciò che può essere offerto a qualcuno per soddisfare un bisogno o un desiderio. Il prodotto può essere sia un bene che un servizio, può essere un’idea, un pensiero, un’ideologia; sono prodotti anche le persone, le città e ancora le esperienze. Generalmente, un bisogno può essere soddisfatto da prodotti diversi. Per questo motivo il consumatore procede nella scelta del prodotto prendendo in considerazione: il costo e il valore. Il COSTO è il sacrificio che occorre sopportare per procurarsi il prodotto. Il VALORE è la stima che il consumatore effettua relativamente alla capacità di un prodotto di soddisfare una serie di obiettivi. Ogni prodotto ha una differente capacità (quali-quantitativa) di soddisfare il bisogno. Nel momento in cui il consumatore individua il prodotto che riesce meglio a soddisfare il suo bisogno deve procurarselo. Le modalità di procacciamento dei prodotti sono: Autoproduzione, quando il prodotto è realizzato da chi lo consuma Coercizione, quando si ottiene il prodotto, oggetto del desiderio, con la forza Mendicità, quando si cerca qualcuno che possa regalare il prodotto Scambio, rappresenta la modalità più diffusa nelle nostre economie. Le condizioni affinché lo scambio si realizzi: o Che vi siano almeno due parti o Che ciascuna parte abbia qualcosa che possa essere di valore per l’altra o Che ciascuna parte sia in grado di comunicare e di trasferire valore all’altra o Che ciascuna parte ritenga possibile o desiderabile trattare con l’altra o IL MARKETING: DA FUNZIONE AZIENDALE A FILOSOFIA DI GESTIONE Il termine “marketing” deriva dal verbo “to market” che significa commercializzare, introdurre sul mercato. L’attuale concetto di marketing è frutto di un lungo processo evolutivo. Tuttavia è difficile dare una risposta al quesito riguardo la data di nascita del marketing. Secondo alcuni studiosi la nascita del marketing risale alla rivoluzione industriale, secondo altri essa risale al secondo decennio del ‘900. La difficoltà di individuare una data certa deriva dal diverso significato che si attribuisce al termine “marketing”. Il termine “marketing” viene generalmente utilizzato per indicare una particolare funzione aziendale. La funzione aziendale rappresenta l’insieme di una serie di attività che hanno la medesima natura, riunite tra loro perché riguardanti il medesimo oggetto operativo e finalizzate alla realizzazione degli obbiettivi d’impresa. È utile richiamare ad alcuni concetti dell’economia aziendale che riguardano l’articolazione delle combinazioni economiche: Operazione, costituita da un insieme di accadimenti (o azioni elementari) non utilmente distinguibili tra di loro Processo, costituito un insieme di operazioni della stessa specie Coordinazione parziale, costituita da aggregati di processi per affinità di specie delle operazioni che li compongono Combinazione parziale, costituita da aggregati di processi composti da operazioni di specie diversa, relative ad un medesimo oggetto Combinazione generale, costituita dall’insieme di tutte le operazioni Il marketing sotto il profilo dell’articolazione delle combinazioni economiche, è quindi una coordinazione parziale (o funzione aziendale). Il marketing è la funzione di raccordo e interscambio tra l’azienda ed il mercato. L’attività che un’impresa svolge di raccordo ed interscambio fra essa e il mercato tende a modificarsi a seconda delle situazioni ambientali; questo perché il modo di operare dell’ impresa è fortemente condizionato dall’ambiente che la circonda. Per cogliere l’essenza del marketing dobbiamo analizzare il contesto ambientale nel quale le imprese operano, perché cambiano il contesto ambientale cambiano gli orientamenti dell’impresa nei confronti del mercato e di conseguenza cambiano le attività di marketing. Per cogliere quindi il contenuto del marketing dobbiamo fare riferimento a questi orientamenti. L’ORIENTAMENTO ALLA PRODUZIONE si verifica ad esempio nei casi di mercato del venditore, cioè quando vi è un sostanziale squilibrio tra domanda e offerta. Domanda > offerta. Per meglio dire il mercato del venditore si ha quando vi è un divario tra domanda potenziale ed offerta. La domanda potenziale è rappresentata da tutti quei soggetti che desiderano un prodotto ma non hanno le potenzialità economiche per acquistarlo. Quando in un mercato la domanda potenziale non si traduce in offerta, le imprese che hanno interesse nei confronti di quel determinato mercato devono cercare di concentrarsi sulla riduzione dei prezzi. In questa situazione ambientale il fattore critico è il prezzo. Occorre migliorare l’efficienza aziendale. In questo contesto ambientale le imprese focalizzano la loro attenzione sulla attività produttiva (orientamento alla produzione). In altri termini si vuole innescare quello che viene chiamato paradigma tecnologico riduzione costi > riduzione prezzi (migliorando l’efficienza, operando senza sprechi) > aumento vendite > aumento produzione > riduzione costi > … CASO FORD. Nell’orientamento alla produzione il marketing assume un ruolo marginale rispetto alle altre funzioni aziendali. Orientamento alla produzione: produzione > marketing > consumatore Nell’orientamento alla produzione il consumatore viene completamente ignorato. “Produciamo auto di qualunque colore voglia il consumatore purché siano nere!” (Henry Ford) L’orientamento alla produzione è quello tipico delle fasi di primo sviluppo. Questo meccanismo viene però ad incepparsi nel momento in cui il prezzo non è più unico fattore critico di successo; e allora le imprese cominciano ad assumere un orientamento al prodotto o alle vendite. Con L’ORIENTAMENTO AL PRODOTTO le imprese si concentrano più su prodotti che offrono maggiore qualità,prestazioni più elevate o funzionalità innovative. In questo tipo di contesto la “funzione guida” è quella di Ricerca & Sviluppo, attraverso cui si cerca di presentare dei prodotti sempre più innovativi. Orientamento al prodotto: r & s > produzione > marketing > consumatore. Anche qui la funzione di marketing è marginale, poiché si limita a collocare il prodotto, poiché il prodotto ottimale si pubblicizza da solo. In questa situazione si corre il rischio della c.d. trappola per topi, cioè si rischia di innamorarsi troppo del proprio prodotto, e così perdere di vista i reali desideri dei consumatori. L’ORIENTAMENTO ALLE VENDITE rappresenta una c.d. forzature del mercato. «Vendere ciò che possiamo produrre»; a differenza dell’orientamento alla produzione, il prodotto a causa della concorrenza e di altri fattori, non viene automaticamente acquistato, ma bisogna forzare il mercato con un’attività di marketing molto più intensa: si forza il mercato per fare acquistare quel determinato prodotto. Nell’orientamento alle vendite il marketing assume maggiore rilevanza ma è sempre subordinato alle altre funzioni aziendali. Orientamento alle vendite: produzione > marketing > consumatore Tuttavia, il modello di forzatura del mercato si dimostra inadeguato, e si sviluppa L’ORIENTAMENTO AL MERCATO, secondo il quale le imprese studiano il consumatore al fine di individuare i suoi desideri. “Produrre e vendere ciò che il cliente desidera”. Nell’orientamento al mercato le attività di marketing si pongono a monte ed a valle del processo produttivo. Orientamento al mercato: marketing > ricerca & sviluppo > produzione > marketing > consumatore. Spesso i consumatori non sono in grado di esprimere i propri bisogni e desideri in maniera adeguata. L’apporto del consumatore può risultare limitato poiché: le percezioni che i consumatori hanno dei propri bisogni sono ristrette al già conosciuto e ai prodotti a cui essi possono riferirsi; i consumatori hanno una limitata capacità di esprimere i bisogni e desideri; i bisogni espressi dai consumatori possono modificarsi già nei tempi intercorrenti fra la progettazione del prodotto e la sua commercializzazione. Tuttavia anche questo tipo di orientamento entra in crisi a causa della c.d. Marketing Myopia, a causa della quale le imprese guardano solo al breve periodo senza preoccuparsi del lungo periodo. Le imprese che soffrono di questa miopia guardano il desiderio del consumatore, non vanno a guardare a monte e capire e capire quali sono i reali bisogni dei consumatori; infatti se le imprese si concentrano sui bisogni del consumatore riescono ad essere più efficaci e a battere la concorrenza. In questo senso l’idea che si fa strada è quella di un ulteriore orientamento: L’ORIENTAMENTO AL CLIENTE, «Produrre ciò di cui ha bisogno il cliente». L’orientamento al cliente consiste nel scoprire quali sono i bisogni del consumatore e nel fornire i prodotti in grado di soddisfarli. Questo tipo di orientamento è quello che attualmente si sta diffondendo, esso comporta una diversa interpretazione del cliente, non più visto come soggetto esterno all’organizzazione. Il marketing in questo tipo di organizzazione non è posto né a monte, né a valle, è un anello di collegamento, un cuscinetto che si pone tra il cliente e tutte le altre funzioni aziendali, il marketing quindi non si deve occupare semplicemente si vendere il prodotto ma si deve raccordare al mercato, ai clienti in modo da creare un legame tra questi e l’impresa. Ormai l’idea forte che si è sviluppata è che il consumatore è il c.d. Re Mida; è il consumatore che valorizza la produzione. L’idea alla base del marketing: solo se l’organizzazione soddisfa i clienti riesce a sopravvivere, quindi si potrebbe dire che la soddisfazione è alla base della sopravvivenza. L’adozione dell’orientamento al cliente determina un cambiamento nella natura del marketing: da semplice funzione aziendale a filosofia di gestione. Il marketing come filosofia di gestione trova nel soddisfacimento dei bisogni del consumatore la ragione economica e sociale che giustifica l’esistenza di un’azienda. Fino a questo momento parlando di mercato abbiamo sempre fatto riferimento a quello di collocamento, tuttavia esistono molti mercati diversi; l’dea che inizia a svilupparsi è che la filosofia di marketing venga applicata anche in tutti gli altri mercati in cui opera la nostra organizzazione (es. mercato del lavoro, del capitale ecc.). Ed ecco che si affaccia un nuovo orientamento > ORIENTAMENTO AGLI STAKEHOLDERS, idea secondo la quale solo se vengono soddisfatte le attese di tutti gli interlocutori dell’organizzazione, essa sopravvive e si sviluppa. Ogni impresa opera contemporaneamente su più mercati! Perché non applicare questa filosofia anche nei riguardi degli altri interlocutori sociali (stakeholders)? Il marketing come filosofia di gestione complessiva conduce a considerare tutti gli interlocutori come “clienti” e, quindi, a ritenere che il soddisfacimento dei loro interessi sia il presupposto del mantenimento in vita dell’impresa. Dobbiamo tuttavia limitare il nostro campo di studio al mercato di collocamento dell’offerta aziendale, ed è cosi che si fa strada l’idea di MARKETING MANAGEMENT, intesa come gestione della domanda; si deve, infatti, rimuovere l’dea sbagliata che l’operatore di marketing abbia il solo compito di aumentare la vendita dei prodotti. Gestione della domanda significa influenzare il livello, il tempo di manifestazione e la composizione della domanda in modo da facilitare all’impresa il raggiungimento dei propri obiettivi. La domanda infatti si può: creare sviluppare sincronizzare > domanda irregolare rivitalizzare > domanda declinante mantenere ridurre distruggere Il marketing management può essere interpretato come un meta-processo, cioè costituito da una serie di diversi processi: marketing analitico (analisi della domanda, del settore, della concorrenza ecc.) marketing strategico (segmentazione, targeting, attività di posizionamento e differenziazione) marketing gestionale (si tratta di tradurre le decisioni strategiche in operative, le famose 4P: prodotto, prezzo, promozione e distribuzione) controllo e pianificazione (controllare per programmare, pianificare ecc.) Nel corso del tempo si è verificata una vera e propria rivoluzione nel modo di interpretare il marketing, per questo si usa l’espressione rivoluzione copernicana, poiché il Sole al quale ci riferiamo è il cliente. Il concetto che si fonda sull’idea che il cliente è al centro di tutto prende il nome di CUSTOMER BASED VIEW, cioè la previsione in ottica del cliente, che ha apportato delle modifiche profonde nel marketing. (ad es. cambiamento da 4p a 4c) CUSTOMER SATISFACTION E VALORE PER IL CLIENTE Il marketing come filosofia di gestione si fonda sul presupposto che solo se si crea la soddisfazione del cliente la nostra impresa può sopravvivere e svilupparsi. Sono varie le ragioni che possono indurre un’impresa a ricercare la soddisfazione del cliente, considerata strumentale per la sopravvivenza; infatti, un cliente soddisfatto: Acquista di nuovo Esprime un giudizio favorevole nei confronti dell’organizzazione Presta meno attenzione ai prodotti della concorrenza Acquista gli altri prodotti dell’organizzazione A questo punto occorre domandarsi, cosa si intende per soddisfazione del cliente? L’idea che immediatamente si collega al concetto di soddisfazione è quella di qualità. Per meglio cogliere quest’ultimo concetto dobbiamo partire da un impostazione di carattere filosofica. Infatti Aristotele e Parmenide si sono soffermati ad analizzare la qualità: Aristotele: “La qualità è propria dell’oggetto Parmenide: “La qualità è propria del soggetto Volendo semplificare Aristotele parla di una bellezza oggettiva, mentre Parmenide di una bellezza soggettiva. In realtà entrambe le tesi hanno un fondamento di realtà. Possiamo anche ricorrere ad un altro filosofo: “Il bello non è una proprietà delle cose, ma nasce dal rapporto fra le cose e noi, e precisamente dal rapporto fra la loro immagine e il nostro sentimento” (Kant, Critica del giudizio). Per cui un prodotto può avere delle qualità che oggettivamente gli vengono riconosciute ma è necessario che queste caratteristiche siano oggetto di apprezzamento. Un prodotto può avere delle caratteristiche ottime ma può succedere che tali caratteristiche non vengano apprezzate da un soggetto. Quindi possiamo dire che la QUALITA’ di un prodotto non viene data in assoluto, ma è la capacità di alcuni prodotti di soddisfare i nostri bisogni. La qualità dipende dal valore d’uso cioè dall’utilità che quel prodotto può fornire, dalla capacità di soddisfare alcuni nostri bisogni. Norma UNI ISO 8402: "La qualità è l'insieme delle proprietà e caratteristiche di un prodotto o servizio che gli conferiscono l’attitudine a soddisfare bisogni espressi o impliciti". Quando si parla di buona o cattiva qualità si usano dei termini inadeguati. Sarebbe molto più corretto parlare di qualità giusta e di qualità sbagliata. Quando parliamo di qualità possiamo dire che è un anello di collegamento fra il soggetto e l’oggetto, tra l’oggetto con una serie di attributi, di caratteristiche e il soggetto con una serie di bisogni. Si può parlare di collegamento fra qualità e quantità; infatti la quantità è un aspetto della qualità. La quantità non è un aspetto irrilevante, ma semplicemente interviene dopo la qualità, perché un prodotto prima deve avere determinate caratteristiche che siano in grado di soddisfare il bisogno e solo dopo si prende in considerazione la quantità, cioè l’intensità con cui esso viene soddisfatto. Nell’ottica del marketing si distinguono cinque dimensioni della qualità: La qualità desiderata è l’insieme delle caratteristiche del prodotto ricercate dal cliente poiché ritenute in grado di soddisfare alcune sue attese; rappresenta l’insieme degli attributi che il consumatore desidera in relazione a quel determinato prodotto, cioè quali caratteristiche ideali dovrebbe possedere il prodotto. La qualità pianificata è l’insieme delle attese che l’impresa ritiene opportuno e conveniente soddisfare; le imprese di fronte alle richieste dei consumatori devono fare delle scelte a livello di convenienza. Si dice che questa qualità è quella che viene progettata da chi gestisce al vertice dell’impresa. Le attese che si intendono soddisfare vengono convertite in un elenco di caratteristiche strutturali che vengono definite “specifiche” o “standards”. Una volta definiti gli standards ha inizio il processo produttivo al termine del quale si ottiene il prodotto finito. La qualità recepita è l’insieme delle caratteristiche strutturali espresse sottoforma di standards. Una volta definiti gli standards ha inizio il processo produttivo al termine del quale si ottiene il prodotto finito. Questa qualità è quella che deve essere recepita dal personale, da coloro che devono concretamente realizzare il prodotto, e si ottiene applicando gli standards qualitativi, cioè traducendo le caratteristiche della qualità pianificata in standars qualitativi. La qualità offerta è l’insieme di attributi che possiede il prodotto. È quell’insieme di caratteristiche che concretamente il prodotto possiede; è possibile che alla fine si creino delle divergenze tra quello che l’impresa aveva pianificato e quello che poi concretamente viene realizzato. La qualità percepita è l’insieme di caratteristiche che sono apprezzate dal cliente. Rappresenta quell’insieme di caratteristiche che il consumatore riesce a percepire e ad apprezzare. La soddisfazione del cliente è lo stato psicologico (valutazione) post-acquisto, che scaturisce da un raffronto tra le aspettative (qualità desiderata/attesa) sul prodotto ed i benefici (qualità percepita) sperimentati con il suo utilizzo. QUALITA’ PIANFICATA QUALITA’ DESIDERATA QUALITA’ OFFERTA QUALITA’ RECEPITA QUALITA’ PERCEPITA Le dimensioni della qualità poste sul lato destro attengono al consumatore, mentre sul lato opposto vi sono le due dimensioni che sono intrinseche all’impresa. Vi è quindi da un lato il soggetto con i suoi bisogni a dall’altro l’oggetto con le sue caratteristiche. Possiamo dire che la soddisfazione nasce da un confronto tra la qualità percepita e quella desiderata. Soddisfazione del cliente = Livello di prestazione percepito - Livello di prestazione atteso Più è ampio questo divario maggiore è la soddisfazione. Il GAP DI VALORE è il differenziale che si viene a creare tra queste due dimensioni, questo è uno soltanto dei gap che si vengono a creare tra le varie dimensioni della qualità, e questi sono la causa dell’insoddisfazione degli individui, perché in una situazione ideale ci dovrebbe essere coincidenza tra tutte queste dimensioni, sarebbe una situazione ottimale in cui non ci sarebbe spreco delle risorse, perché il prodotto in questione presenta delle caratteristiche che soddisfano perfettamente i bisogni del consumatore. La soddisfazione del cliente si può misurare attraverso le indagini, le interviste, i questionari; strumenti diretti o indiretti che accertano il grado di soddisfazione del cliente. Vengono svolte queste indagini affinchè le imprese migliorino sempre di più il livello di soddisfazione dei clienti. La soddisfazione presenta una serie di legami con i concetti di fedeltà e fiducia. La FEDELTA’ del cliente è un elemento estremamente importante per l’impresa, perché è scientificamente provato che Acquisire nuovi clienti costa mediamente 5 volte di più che mantenere i vecchi clienti. Essa è una fondamentale risorsa immateriale per l’impresa, e si articola in due componenti: Fedeltà comportamentale, fa riferimento al riacquisto, cioè al comportamento del consumatore Fedeltà cognitiva/mentale attiene alla dimensione celebrale La FEDELTÀ COMPORTAMENTALE viene accertata attraverso l’osservazione dei comportamenti del consumatore in relazione agli acquisti che si effettuano nel corso del tempo. Esistono diversi livelli di fedeltà: Tipologie di clienti Sequenze acquisti I fedelissimi A – A – A - A – A – A I fedeli tiepidi A – A – B – B - A – A I fedeli mutevoli A – A – A – B – B – B Gli incostanti A – C – E –B – D – A I clienti fedelissimi sono quelli che presentano il massimo livello di fedeltà perché acquistano sempre la stessa marca di prodotto. Quando il livello di fedeltà è pari a zero, è il caso degli incostanti che hanno un comportamento che manifesta un elevatissima irregolarità nei propri acquisti. I tiepidi hanno una preferenza di fondo verso una certa marca, ma magari per certi periodi brevi hanno avuto una preferenza verso altri prodotti. I fedeli mutevoli hanno una fedeltà limitata temporalmente, perché quando si stancano iniziano ad acquistare un altro prodotto. I livelli di fedeltà diversi vengono accertati attraverso il comportamento di acquisto. La fedeltà del cliente non deve essere valutata con riferimento alla singola transazione, ma valutando il Customer lifetime value (valore del ciclo di vita del cliente). La FEDLTA’ COGNITIVA è un concetto molto vicino alla soddisfazione; può succedere che ad un comportamento di un dato individuo che si manifesta esteriormente con un elevato livello di fedeltà comportamentale, può non corrispondere dal punto di vista mentale un elevato livello di fedeltà cognitiva. Infatti un cliente fedele da un punto di vista comportamentale non necessariamente è fedele da un punto di vista cognitivo; ciò si verifica a causa delle c.d. barriere di passaggio (swicthing cost): ostacoli di carattere economico, tecnologico e giuridico che impediscono o rendono non conveniente il cambio del fornitore. Tuttavia, si può verificare anche la situazione inversa, cioè che un cliente soddisfatto non sia fedele; questo è possibile perché molte volte nella nostra natura umana vi è una componente che ricerca sempre la novità. Accertato che fedeltà cognitiva e fedeltà comportamentale possono non coesistere, è stata realizzata una matrice dalla Xerox nella quale vengono classificati i propri clienti in relazione a queste due dimensioni. Livello di customer loyalty (fedeltà comportamentale) Alto Basso Ostaggi Terroristi Apostoli Mercenari Insoddisfatti Soddisfatti Livello di customer satisfaction (fedeltà cognitiva) Dall’incrocio di queste variabili si possono individuare quattro differenti situazioni: Mercenari o clienti potenzialmente fedeli, sono clienti soddisfatti che presentano alto grado di fedeltà cognitiva, ma un basso grado di fedeltà comportamentale. Sono clienti che vanno dove più gli conviene. L’impresa potrebbe stabilizzare questi clienti, cioè renderli fedeli, conquistarli da un punto di vista della regolarità degli acquisti Terroristi, presentano un basso livello di soddisfazione a livello di fedeltà cognitiva, ed un altrettanto basso livello di fedeltà dal punto di vista comportamentale. La dizione più corretta è: clienti della concorrenza. Sono dei soggetti che bisogna in qualche modo conquistare. Vengono chiamati terroristi perché parlano male dei nostri prodotti dal momento che sono rimasti insoddisfatti e quindi possono condizionare i nostri clienti Ostaggi, sono costretti a ripetere gli acquisti, quindi ad essere fedeli da un punto di vista comportamentale, pur essendo insoddisfatti. Vengono chiamati anche clienti pigri, perché rimangono clienti dell’impresa a causa delle barriere di passaggio Apostoli, sono clienti fedeli, e tale tipo di fedeltà viene intesa in senso pieno, sia da un punto di vista comportamentale che cognitivo. Vengono chiamati apostoli perché devono fare opera di proselitismo, cercare di parlare bene del prodotto e attirare altri clienti La matrice Xerox è uno strumento di analisi per le aziende attraverso la quale possono capire sia la tipologia di clientela che compone il portafoglio clienti, sia per decidere gli interventi da effettuare. VEDI APPUNTI Fino ad ora abbiamo parlato di fedeltà, ma è anche importante dare la definizione di FIDUCIA: la capacità dell’impresa di mantenere le promesse e di far fronte agli impegni. Il percorso ideale del comportamento di acquisto in un consumatore è: SODDISFAZIONE > FIDUCIA > FEDELTA’ COMPORTAMENTALE > FEDELTA’ COGNITIVA > LEALTA’ Se prendiamo in considerazione la singola transazione essa scaturisce la soddisfazione, che a sua volta può determinare una fedeltà comportamentale. Se facciamo riferimento ad una relazione, cioè non più una singola transazione ma un rapporto duraturo, scaturisce la fiducia che alimenta la fedeltà comportamentale e la fedeltà cognitiva e alla fine viene generata la LEALTA’, che rappresenta un rispetto di regole da parte dell’organizzazione. IL MERCATO: CONCETTI INTRODUTTIVI Il MARKETING MANAGEMENT è un meta processo (cioè un insieme di processi ordinati) che si articola in quattro diversi processi: PROCESSI ANALITICI, presuppongono l’analisi di differenti dimensioni ambientali: analisi del macro-ambiente, della concorrenza, della domanda finale e della domanda intermedia PROCESSI STRATEGICI, prevedono le fondamentali decisioni di segmentazione della domanda e posizionamento dell’offerta. In questa fase si identificano essenzialmente i segmenti a cui rivolgere l’offerta aziendale (i c.d. target di domanda) e il posizionamento dell’offerta da ottenere presso i clienti target PROCESSI OPERATIVI, vengono sintetizzati nel concetto di marketing mix (4ps). Quest’ultimo si compone delle politiche di prodotto (product), di prezzo (price), di comunicazione (promotion) e di distribuzione (place). Il momento operativo si occupa pertanto di definire gli elementi fondamentali del prodotto, il suo prezzo, le modalità con cui viene comunicato all’esterno e le più idonee politiche di distribuzione per raggiungere i clienti finali PROCESSI DI CONTROLLO, volti a valutare i risultati e verificare l’effettivo raggiungimento degli obbiettivi quantitativi (es. quantità vendute, quota di mercato ecc.) e qualitativi (es. profilo di immagine del prodotto, livello di fiducia, custode loyalty ecc.) Adesso dobbiamo analizzare questi singoli processi, partendo da quelli analitici, che presuppongono a loro volta un’analisi che attiene a quattro differenti dimensioni ambientali: Macro-ambiente Concorrenza Mercato o domanda finale Domanda intermedia Il MACRO-AMBIENTE è tutto l’ambiente che circonda l’impresa, quando parliamo di macro-ambiente ci riferiamo all’ambiente nel suo complesso, composto da: ambiente economico, ambiente demografico, ambiente tecnologico, ambiente socio-culturale, ambiente fisico, ambiente politico-istituzionale. Questo macro-ambiente viene condizionato ad es. dalla politica normativa, dalla composizione demografica; ogni cambiamento di questi aspetti non hanno degli effetti riconducibili al breve termine ma al medio e al lungo termine. Le imprese in base alla grandezza della loro organizzazione e alla loro forza contrattuale possono incidere con un intensità diversa sul macro-ambiente. Il macro-ambiente origina forze e tendenze (mode, trend e mega-trend) che offrono alle imprese nuove opportunità ma che, al contempo, pongono costanti minacce. Esso si caratterizza per una scarsa controllabilità, che dipende soprattutto come già abbiamo detto dalle dimensioni e dal peso dell’organizzazione, un’impresa di grandi dimensioni ha una maggiore possibilità di incedere rispetto ad una piccola o media impresa. Con riferimento a questo ambiente generale, è possibile analizzare al suo interno un ambiente più ristretto: il MICRO-AMBIENTE. L’impresa, infatti si trova ad intessere relazioni con soggetti più vicini. Il microambiente è quindi quell’ambiente più circoscritto nel quale l’impresa viene ad operare con stakeholders finanziari, concorrenti, clienti ecc. Per effettuare l’analisi del micro-ambiente competitivo è fondamentale svolgere innanzitutto un approfondito studio del settore in cui opera l’impresa e della concorrenza. L’analisi della concorrenza generalmente si realizza attraverso lo studio del modello STRUTTURA-CONDOTTA-PERFORMANCE, modello anglosassone, che rappresenta uno fra i primi tentativi di collegare i comportamenti delle imprese e , di conseguenza, le loro performance economiche e competitive, alla struttura settoriale in cui queste agiscono. Comprendere gli elementi essenziali della struttura settoriale costituisce uno degli aspetti essenziali per dedurre i comportamenti delle imprese e, dunque, le loro performance. Vengono considerati elementi essenziali della struttura settoriale, grazie ai quali deduciamo i comportamenti e le performance delle imprese: Il livello di concentrazione settoriale, per la cui misurazione si fa riferimento alla sommatoria delle quote delle prime n imprese del mercato, considerando generalmente la fetta del mercato detenuta dalle prime quattro imprese del settore Le barriere all’entrata, la cui presenza possono eventualmente rendere difficoltoso l’ingresso nel settore La differenziazione del prodotto, opportunità di differenziazione dell’offerta rispetto a quella dei concorrenti Analizzare i fondamentali elementi della struttura settoriale che incidono sui comportamenti delle imprese e sulle loro politiche commerciali, assume un rilievo non trascurabile ai fini dell’analisi della concorrenza. La struttura settoriale, infatti, incide sui risultati aziendali in termini economici (es. redditività) e competitivi (quota di mercato). STRUTTURA -concentrazione -integrazione -accessibilità -differenziazione CONDOTTA strategie delle singole imprese PERFORMANCE -volumi di vendita -redditività -livello dei prezzi Tuttavia il concetto di settore (imprese che producono prodotti simili) tende a modificarsi perché si stanno presentando una serie di fenomeni, come ad es. la convergenza. Il fenomeno della CONVERGENZA, è quello a causa del quale settori che prima erano considerati molto distanti fra loro, ora tendono a sovrapporsi. Lo sviluppo di questi nuovi fenomeni e la conseguente modifica del concetto di settore introduce il MODELLO DELLA CONCORRENZA ALLARGATA: modello che amplia l’ambito della sua analisi inserendo anche altri soggetti che potenzialmente possono influire sulle performance dell’impresa. La concorrenza all’interno di un settore non dipende, quindi, solo dai comportamenti dei concorrenti diretti, che producono gli stessi beni o beni simili, ma, anche da altri quattro vettori (le c.d. forze competitive) potenziali concorrenti, imprese che oggi non producono quel prodotto ma che hanno le competenze e le conoscenze un domani di realizzare un prodotto simile al nostro produttori di beni sostitutivi, imprese che non appartengono tradizionalmente al nostro settore, ma producono beni simili in relazione alla capacità di soddisfacimento i clienti, possono diventare concorrenti, perché prima acquistavano i nostri prodotti e poi possono mettersi anche loro a realizzarli i fornitori, anziché vendere a noi essere loro stessi a vendere al consumatore finale Al giorno d’oggi non esistono, però, dei confini settoriali ben definiti, come la tradizione degli studi di settore facevano intendere, ed in questo modo il concetto di settore tradizionale perde la sua forza interpretativa. Per questo motivo diviene fondamentale analizzare la concorrenza in una prospettiva customer-based, che è quella certamente più rilevante per un marketing manager. L’ANALISI DELLA CONCORRENZA in una prospettiva CUSTOMER-BASED (nell’ottica del cliente) si fonda sull’idea di PERCEZIONE, cioè come i consumatori percepiscono i nostri prodotti; questo perché alle volte può verificarsi che due prodotti sono molto simili o perfettamente identici, ma in realtà secondo l’ottica del consumatore sono molto distanti l’uno dall’altro ( bacio perugina- moncheri ferrero- fiori), e, viceversa, prodotti molto distanti tra di loro secondo l’analisi tradizionale di mercato in ottica dell’impresa possono essere vicinissimi dal punto di vista del consumatore. L’analisi della concorrenza dal punto di vista del consumatore si basa sulla PERCEZIONE, come il consumatore percepisce i vari tipi di prodotto. Due prodotti sono considerati in concorrenza tra di loro in relazione a come il consumatore percepisce le relazioni esistenti tra questi due prodotti. L’analisi della concorrenza in ottica Customer Based View si fonda sulla percezione, cioè come i clienti percepiscono le diverse alternative d’offerta presenti sul mercato; per calcolare tale percezione è possibile adottare diversi modelli: modello à la Fishbein analisi fattoriale modello lessicografico analisi discriminante Il MODELLO À LA FISHBEIN è quello che generalmente viene chiamato anche modello basato sugli attributi; esso si articola in tre momenti fondamentali: scomporre il prodotto o più in generale l’offerta, in un insieme di attributi elementari (ad es. per un telefono cellulare, la durata della batteria, l’ampiezza dello schermo ecc.) comprendere, mediante opportune ricerche di marcato, quali sono gli attributi più importanti per i clienti valutare come i vari concorrenti presenti sul mercato sono percepiti dalla domanda rispetto a questi attributi Successivamente si procede al calcolo delle utilità parziali, moltiplicando la valutazione del singolo attributo (voto) per l’importanza che il cliente associa ad esso (peso). Sommando le utilità parziali di ciascun attributo si può stabilire un utilità totale del singolo prodotto nella prospettiva del cliente. Rapportando tra di loro le utilità totali di ciascun prodotto è possibile calcolare un indice di competitività del prodotto, dato cioè dal rapporto fra l’utilità generata dal prodotto oggetto di analisi e quello del diretto concorrente. Se tale indice è superiore ad uno vi è una situazione di vantaggio competitivo, che risulta tanto maggiore quanto più elevato è il valore dell’indice. Nel caso di indici inferiori ad uno la situazione si configura come negativa sul piano competitivo. Un valore uguale ad uno segnala una situazione di completo allineamento competitivo. ANALISI DEI FATTORI (factor analysis) è una tecnica che viene utilizzata nel campo statistico per semplificare la realtà,attraverso cui si cerca di ridurre quelle che sono le variabili m da un certo numero ad un numero più basso di variabili n, dove m è maggiore di n (m>n). Tende a semplificare la realtà andando a ridurre le variabili che incidono sulla percezione, sulla scelta del prodotto e quindi sulla concorrenza. Alle volte se noi prendiamo un prodotto potremmo trovare decine, centinaia di attributi, e quindi nasce l’esigenza di sintetizzare questi attributi; possiamo prendere come esempio la frutta, che presenta una numerosissima quantità di attributi: freschezza, piacevolezza, contenuto di vitamine, dolcezza ecc. Attraverso l’analisi dei fattori riconduciamo tutti questi attributi ad un numero più basso, e in questo caso possiamo ricondurli alla piacevolezza e alla salubrità. La piacevolezza si riconduce al gusto alla facilità nello sbucciarla ecc. mentre la salubrità si riconduce al contenuto di vitamine, alla digeribilità alla leggerezza ecc.; così si individuano due fattori latenti. Questo tipo di analisi conduce alla costruzione delle MAPPE PERCETTIVE, poiché con essa riconduco un elevato numero di attributi a due sole variabili latenti che si rappresentano facilmente nel sistema di assi cartesiani. Nella costruzione delle mappe percettive più i prodotti si trovano vicini nella stessa area più sono in concorrenza fra di loro. MODELLO LESSICOGRAFICO, è quello in cui il consumatore va a preferire il prodotto in base alla percezione dell’attributo principale. Alle volte noi andiamo a scegliere il prodotto non andando a considerare l’indice di Fishbein, ma andando a scegliere l’attributo più importante che ad es. potrebbe essere il prezzo. Il consumatore in base all’attributo che ritiene più importante sceglie il prodotto che presenta la migliore performance, in altre parole va a scegliere fra i vari prodotti quello che presenta la migliore performance nell’attributo ritenuto più importante. ANALISI DISCRIMINANTE, attraverso cui si analizza la concorrenza non più sui valori assoluti ma sul differenziale, sulla discriminazione del singolo attributo, e tali differenze vengono analizzate attributo per attributo. Con il modello discriminante il consumatore sceglie il prodotto che presenta il differenziale più elevato fra tutti gli attributi considerati. Anche in questo modello vengono utilizzate le mappe percettive, perché in fondo calcoliamo la distanza che c’è tra un punto ed un altro, poi la scelta secondo l’analisi discriminante viene effettuata sul prodotto che presenta il maggior differenziale in termini di prestazioni. Il consumatore secondo questo modello non va considerare la media o l’attributo più elevato, ma va a considerare il differenziale. Da ciò si evince che modelli diversi portano a risultati diversi. Nell’ambito dell’analisi del micro-ambiente diventa importante analizzare, oltre la concorrenza, anche un’altra dimensione ambientale: IL MERCATO. Diviene importante perché il marketing è la funzione di raccordo e di interscambio tra l’azienda ed il mercato. Il concetto di mercato ha subito una profonda evoluzione: in passato veniva considerato come il luogo fisico dove acquirenti e venditori si incontravano per dar vita allo scambio (idea di mercato superata) in economia politica lo abbiamo studiato come l’incontro della domanda e dell’offerta In economia aziendale abbiamo detto che il mercato è un complesso dinamico di negoziazioni, atti di scambio, che si manifestano con continuità, omogeneità ed elevata interazione reciproca. Per configurare un mercato devono presentare questi tre caratteri: continuità, nel senso che lo scambio perché si configuri un mercato deve essere continuo; omogeneità, nel senso che devono essere operazioni di scambio abbastanza simili (se io penso ad un operazione che attiene allo scambio del pane e di un autovettura, non possono fare parte di uno stesso mercato, perché non sono simili), le negoziazioni devono avere un’elevata interazione reciproca, devono influenzarsi a vicenda. In marketing si ha un concetto di mercato che è diverso da quello dell’economia politica e aziendale, perché in relazione al concetto di mercato si va a considerare il lato della domanda, per il marketing il mercato è visto dal lato della domanda; e quindi per analisi di mercato si tratta di analizzare la domanda all’interno del mercato che proviene da parte dei consumatori. I consumatori per poter far parte di uno stesso mercato devono avere certe caratteristiche: Devono avvertire uno stesso bisogno e ritenere che un certo prodotto possa essere in grado di soddisfarlo Devono avere del denaro da spendere Devono avere la propensione all’acquisto, cioè la disponibilità a spenderlo Per cui si configura il mercato quando ricorrono queste tre condizioni. Abbiamo detto che quando parliamo di mercato in ottica di cliente analizziamo la domanda, la natura di questo cliente è diversa; infatti vi possono essere i consumatori finali, come altre organizzazioni. Ecco quindi che distinguiamo due tipi di DOMANDA: Domanda finale, consumatori finali Domanda intermedia, distributori, si dice che la domanda intermedia è una domanda derivata La domanda, inoltre, può essere analizzata sotto due differenti profili: quantitativo e qualitativo. Analisi quantitativa della domanda: si misura il grado di diffusione del prodotto in relazione alla domanda complessiva potenziale. Analisi qualitativa della domanda: mira a descrivere ed interpretare il comportamento del consumatore (pre e post acquisto). CAPITOLO SECONDO L’ANALISI QUANTITATIVA DELLA DOMANDA L’analisi della domanda rappresenta il principale elemento conoscitivo su cui devono fondarsi le decisioni strategiche e operative del marketing. L’analisi quantitativa della domanda si fonda sulla misurazione e sull’approfondimento di tre concetti fondamentali: Mercato potenziale Domanda primaria Domanda secondaria Il MERCATO POTENZIALE rappresenta la massima quantità vendibile di un determinato prodotto, in un certo ambito geografico e in un definito arco temporale; esso rappresenta un dato ipotetico. La DOMANDA PRIMARIA (o domanda di mercato) esprime la quantità effettivamente venduta di una certa categoria di prodotto, in una determinata area geografica e in un definito arco temporale. La DOMANDA SECONDARIA (o domanda dell’impresa) si riferisce alle vendite della singola impresa, sempre in relazione ad una determinata categoria di prodotto, posti determinati confini spazio-temporali. Il divario fra il mercato potenziale, di solito raffigurato come un asintoto, e la domanda primaria esprime il c.d. GAP DI POTENZIALE. La differenza fra la domanda primaria e quella secondaria delinea il c.d. GAP CONCORRENZIALE, il quale esprime la capacità di tale impresa di controllare il proprio mercato di riferimento. IL MERCATO POTENZIALE Il mercato potenziale di una definita categoria di prodotto è una quantità limite ipotetica; poiché si realizza solo ed esclusivamente allorché ricorrono queste condizioni: Ogni soggetto che ragionevolmente potrebbe utilizzare un determinato prodotto lo impiega effettivamente Ciascun utilizzatore si avvale del prodotto in ogni occasione d’uso Ogni volta che il prodotto viene utilizzato, lo è nella quantità ottimale (ossia, al dosaggio ottimale) Di conseguenza, la domanda effettivamente espressa dal mercato per tale categoria (domanda primaria) tende generalmente in modo asintotico al potenziale, senza mai raggiungerlo. Per il calcolo della quota di mercato dobbiamo distinguere a seconda che si tratti di un prodotto (bene o servizio) indirizzato ad un mercato di consumo o ad un mercato industriale. Nel primo caso la domanda proviene dai singoli individui o dalle famiglie; nel secondo caso, invece, la domanda trae origine da operatori economici (imprese, enti, organizzazioni ecc.). Per quanto riguarda i prodotti di consumo è necessario distinguere fra la domanda di beni destinati ad un consumo immediato ( a fecondità semplice) e la domanda di beni durevoli (a fecondità ripetuta). Nel caso dei beni e servizi non durevoli, la stima del mercato potenziale può avvenire utilizzando la seguente formula: MktPot t = (N t * P t * O t * DP t) N t = l’entità della popolazione che vive nell’area geografica di cui si vuole stimare il potenziale P t = la percentuale della popolazione che non presenta impedimenti oggettivi all’acquisto del prodotto O t = numero massimo di utilizzazioni del prodotto nell’unità di tempo DP t = “dose piena”, ossia la quantità ottimale di prodotto utilizzabile per ogni occasione d’uso Nel caso di beni e servizi durevoli, l’intervallo temporale fra l’atto di acquisto e il consumo può essere notevole; si tratta, infatti, di prodotti la cui utilizzazione può protrarsi per lunghi periodi di tempo, talvolta addirittura misurabili in anni (es. automobili, computer ecc.). In questo caso il potenziale di mercato è dato dalla somma della domanda potenziale di primo acquisto (composta da soggetti che acquistano per la prima volta quel determinato bene) e dalla domanda potenziale di sostituzione (composta da soggetti che già hanno quel prodotto e che intendono sostituirlo). Potenziale di mercato = Potenziale di sostituzione + Potenziale di primo acquisto Il potenziale di sostituzione è dato dal rapporto tra unità già in uso nel mercato (quanti telefonini sono presenti in ogni casa) e la vita media del prodotto (es. 2 anni). Attraverso il potenziale di sostituzione viene stimato il numero dei prodotti che ogni anno vengono sostituiti. Potenziale di sostituzione = Unità già in uso nel mercato / Vita media del prodotto (anni) Il potenziale di primo acquisto, composto da soggetti che acquistano per la prima volta quel prodotto, è dato da due tipologie di potenziali acquirenti, da coloro che sono più restii ad acquistare, cioè i non utilizzatori storici (es. persone anziane che non utilizzavano il cellulare) e accanto a queste vi sono le unità che possiamo vendere a nuovi potenziali utilizzatori, cioè soggetti che prima non venivano considerati parte del mercato (es. bambini di 3 anni e cellulare). Potenziale di primo acquisto = Unità vendibili a nuovi potenziali acquirenti + Unità vendibili ai non utilizzatori storici In entrambi i casi (potenziale di sostituzione e potenziale di primo acquisto), è necessario stimare un tasso di conversione, ossia la percentuale di tali due gruppi di soggetti che potranno acquistare il bene in questione. Nel caso dei mercati industriali, è necessario distinguere fra: Prodotti industriali di consumo Prodotti intermedi Prodotti strumentali I prodotti industriali di consumo sono quelli che il cliente-azienda utilizza nella sua attività produttiva e che non si ritrovano in un prodotto finito. La stima del mercato potenziale si avvicina alla logica seguita per i prodotti di consumo. Il mercato potenziale di tali beni si ottiene dalla moltiplicazione del numero delle imprese per la percentuale di imprese che non hanno impedimenti oggettivi all’acquisto per il livello di attività per impresa utilizzatrice effettiva per il tasso d’impiego unitario per unità di attività (coefficiente tecnico): Mercato potenziale = numero delle imprese * percentuale di imprese che non hanno impedimenti oggettivi all’acquisto * livello di attività per impresa utilizzatrice effettiva * tasso d’impiego unitario per unità di attività (coefficiente tecnico) Nel caso dei prodotti intermedi, ossia quelli utilizzati o incorporati nel prodotto fabbricato dal cliente industriale, la domanda dipende in via diretta dalla quantità prodotta dall’impresa-cliente. La formula per calcolare il mercato potenziale è la seguente: Mercato potenziale = numero delle imprese * percentuale delle imprese interessate al prodotto * quantità prodotta per impresa incorporatrice effettiva * tasso d’impiego unitario per unità di attività (coefficiente tecnico) Nel caso dei prodotti strumentali necessari all’attività produttiva, la stima del mercato potenziale deve considerare che si tratta di beni durevoli; quindi so ottengono dalla somma della domanda di primo acquisto, dalla domanda di sostituzione e dalla domanda aggiuntiva: Mercato potenziale = domanda di primo acquisto + domanda di sostituzione + domanda aggiuntiva IL GAP DI POTENZIALE Il divario fra il livello del mercato potenziale e quello raggiunto dalla domanda primaria in un determinato periodo rappresenta la parte del mercato potenziale non soddisfatta da alcuna impresa. Tale divario viene indicato con il termine gap di potenziale, e viene espresso con la seguente formula: GapPot t = MercatoPot t – Domanda primaria t Le cause del gap di potenziale sono: Gap di non utilizzatori (non user gap), dovuto all’esistenza di un certo numero di soggetti, che, pur potendo utilizzare il prodotto, di fatto non lo impiegano Gap di occasioni (light user gap), connesso al fatto che quanti adottano il prodotto non lo utilizzano in tutte le possibili occasioni d’impiego Gap di uso leggero (light usage gap), derivante dalla circostanza che la quantità effettivamente utilizzata di prodotto è inferiore a quella individuata come ottimale IL GAP CONCORRENZIALE E LA QUOTA DI MERCATO Nella prospettiva della singola impresa, assume rilevanza non solo il gap di potenziale, ma anche il gap concorrenziale, inteso quale divario fra l’ammontare delle vendite da essa effettuate (domanda secondaria) e quello complessivamente realizzato da tutte le imprese operanti nel suo stesso mercato di riferimento (domanda primaria): GapConc t = Domanda primaria t – Domanda secondaria Le cause del gap concorrenziale per l’impresa sono: • Gap di prodotto, quando l’offerta delle imprese non risulta idonea a soddisfare al meglio le esigenze della domanda • Gap di comunicazione, conseguente alla mancata consapevolezza del prodotto da parte degli utilizzatori potenziali. Ciò deve intendersi non solo in riferimento all’esistenza del prodotto, ma anche sul piano dell’incompleta comprensione dei benefici da esso ottenibili in funzione degli attributi che lo compongono • Gap distributivo, in questo caso l’esistenza del prodotto è nota alla domanda, che è interessata allo stesso, ma il prodotto non è presente nell’area geografica in cui si è formata tale domanda • Gap di prezzo, quando, pur apprezzando i benefici offerti dal prodotto, questo risulta troppo costoso per una parte degli acquirenti potenziali, e quindi l’interesse da essi manifestato non può tradursi in domanda effettiva Nella prassi aziendale al concetto di gap concorrenziale si riconduce quello di quota di mercato (market share)*, definita come l’ammontare delle vendite realizzato dall’impresa (Q i) espresse in * Si crea questo collegamento perché, il gap concorrenziale è la differenza tra domanda secondaria e domanda primaria; mentre la quota di mercato è il rapporto di questi due valori. percentuale sulle vendite complessive rilevate nel suo mercato di riferimento (Q): QM i = Q i / Q La quota di mercato assoluta può essere espressa sia in volume (unit market share) che in valore (revenue market share); dal confronto di queste due quote di mercato si traggono utili indicazioni in merito alla politica dei prezzi praticata dal’impresa. Se la QMvalore> QMvolume si è in presenza di un’impresa che applica prezzi superiori rispetto alla media del mercato di riferimento. Se la QMvalore< QMvolume si è in presenza di un’impresa che applica prezzi inferiori rispetto alla media del mercato di riferimento. Se la QMvalore = Qmvolume l’impresa prezzi aziendali in linea con quelli medi vigenti sul mercato. Fin qui abbiamo parlato della quota di mercato, poiché l’abbiamo sempre calcolata in riferimento a tutti i rivali presenti nel mercato di riferimento dell’impresa. Oltre alla quota assoluta, è possibile fare riferimento anche alla QUOTA DI MERCATO RELATIVA, calcolata quale rapporto fra la quota controllata dall’impresa in esame e quella dei principali concorrenti. In funzione degli scopi conoscitivi, il denominatore del rapporto può essere costituito da: La quota della maggiore impresa operante sul mercato (leader dominante) La somma delle quote dei primi due o tre rivali (i leader di mercato) La quota del concorrente che detiene la posizione più prossima a quella occupata dall’impresa La quota così calcolata offre utili indicazioni in merito alla distanza competitiva esistente rispetto ai rivali individuati. La quota di mercato però non ci fornisce solo informazioni in riferimento alla distanza competitiva della nostra impresa rispetto alle altre, ma anche al grado di fedeltà della clientela. Infatti è possibile determinare per ciascuna impresa: Il tasso di fedeltà, inteso quale percentuale di acquirenti che, avendo in precedenza (t-1) acquistato l’offerta dell’impresa, continuano ad acquistarla anche al tempo t Il tasso di attrazione, definito come la percentuale di acquirenti che, avendo in precedenza (t-1) acquistato da un’altra impresa, al tempo t diventano clienti dell’impresa che abbiamo preso in considerazione Se indichiamo con α il tasso di fedeltà e con β quello di attrazione, la quota di mercato dell’impresa in analisi nel corso del periodo futuro t+1 sarà: QM i t+1 = α(Qm i t) + β (1- Qm i t) Dalla formula emerge quindi che, in ogni periodo futuro (t+1), la quota di mercato è data dalla somma fra la percentuale dei riacquisti α e quella dei nuovi acquisti β, che necessariamente provengono dai concorrenti. La rilevazione della quota di mercato può essere realizzata a due diversi livelli: il livello retail (che riguarda la distribuzione, ossia gli intermediari) il livello del consumatore La quota di mercato a livello retail può essere calcolata a livello di sell-in o sell-out. Le aziende producono e non vendono direttamente al consumatore finale, ma agli intermediari (sogg. che si interpongono fra il produttore e il consumatore). Vi sono quindi tre livelli: quello del produttore, dell’intermediario e del consumatore. Si pone il problema di dove andare a calcolare la quota di mercato, si può calcolare a livello di retail oppure posso rilevarla a livello di consumatore. Modi diversi di calcolare la quota di mercato portano a risultati che non coincidono. Le aziende producono beni o servizi, dopo di che li vendono agli intermediari; produzione e vendita non coincidono, poiché non è detto che tutto ciò che viene prodotto poi viene venduto, quindi si possono generare all’interno delle aziende delle rimanenze. Quello che viene venduto coincide con il sell-in, ossia la quantità di prodotti che viene venduta dal produttore e immessa nella distribuzione, gli acquisti del distributore, coincidono perché quello che il produttore vende coincide con quello che acquista il distributore. Il distributore vende e quindi abbiamo il sell-out, ossia le vendite del distributore, in questo caso sell-in e sell-out non coincidono perché vi sono le merci in stock, rimanenze. L’intermediario vende e i prodotti vengono acquistati dal consumatore, quindi sell-out e acquisti coincidono. Il consumatore acquista per poi consumare, acquisti e consumi non coincidono perché vi saranno i prodotti in scorta. La quota di mercato si può calcolare a livello di sell-in, le vendite della mia azienda in confronto alle vendite delle altre, a livello si sell-out quanto vende il distributore dei prodotti dell’azienda in questione rispetto a quanto vende dei concorrenti; potrei calcolarla anche a livello di consumi, viene calcolata la quantità dei consumi dei prodotti dell’azienda in questione rispetto ai consumi dei prodotti di un’altra marca. Quindi non c’è coincidenza tra sell-in, sell-out e consumi perché vi sono le rimanenze, gli stock e le scorte. Quindi modi diversi di calcolare la quota di mercato porta a risultati completamente differenti. PRODUZIONE ≠ VENDITE = SELL-IN ≠ SELL-OUT = ACQUISTI ≠ CONSUMI RIMANENZE STOCK SCORTA LA SCOMPOSIZIONE DELLA QUOTA DI MERCATO La quota di mercato (QM i) può essere definita anche come il prodotto di due indici: il grado di penetrazione, denominato anche quota trattanti il grado di copertura ponderata Tali indici permettono di comprendere la struttura della distribuzione (punti di vendita), di cui l’azienda si avvale per far pervenire la propria offerta ai consumatori finali, e la struttura dei consumi. Per ottenere gli indici è sufficiente scomporre la quota di mercato mediante l’introduzione di un ulteriore fattore denominato ACS i, corrispondente agli acquisti totali della categoria di prodotto effettuati dalla clientela servita dall’impresa i-esima. Quindi, si procede con la moltiplicazione della quota di mercato (Q i/Q) per il rapporto ACS i/ ACS i (che essendo una quantità pari ad 1 non modifica il valore della quota di mercato): QM i = (Q i/Q) * (ACS i/ACS i) Si invertono poi i denominatori dei due prodotti e si avrà: (Q i/ACS i) * (ACS i/Q) Il primo fattore del prodotto (Q i/ ACS i), esprime il grado di penetrazione, mentre l’altro (ACS i/Q) individua il grado di copertura ponderata. Il grado di penetrazione misura l’incidenza delle vendite aziendali sugli acquisti complessivi della categoria di prodotto effettuati dai clienti serviti dall’impresa (distributori o clienti finali). Il grado di copertura ponderata esprime invece il peso dei clienti (intermedi o finali) serviti dall’impresa rispetto al mercato totale della categoria di prodotto considerata. Questo rapporto può essere quindi considerato un indicatore della rilevanza dei clienti serviti. È possibile approfondire l’analisi scomponendo il grado di copertura ponderata, grazie all’introduzione di due nuovi fattori: n i, che rappresenta il numero dei clienti serviti dall’impresa i-esima N, che indica invece il numero totale di soggetti che acquistano la categoria di prodotto in esame Grado di copertura ponderata: (ACS i/Q) -----> (ACS i/n i) * (n i/N) * (N/Q) I tre indici rappresentano in ordine: L’acquisto medio dei clienti serviti (ACS i/n i), in riferimento alla categoria di prodotto considerata può essere reputato indicativo della loro dimensione media Il grado di copertura numerica (n i/N), rapporto fra il numero dei clienti serviti rispetto a quello dei clienti potenziali Il grado di dispersione (N/Q), rappresenta il reciproco della dimensione media della clientela ed esprime l’inverso della concentrazione dei clienti Ponendo a confronto la dimensione media dei clienti serviti (ACS i/n i) con quella dei clienti presenti sul mercato (VT/N) << VT = vendite totali>> si ottiene il c.d. indice di selezione, ossia un indicatore della qualità del portafoglio-clienti. Un altro indice ottenibile dalla scomposizione della quota di mercato, che può risultare utile al fine di valutare le performance commerciali dell’impresa è l’indice di assortimento dell’impresa. Esso viene calcolato come rapporto fra la sommatoria degli indici di copertura ponderata relativi alle diverse varianti (modelli,colori,formati ecc) proposti dalla medesima marca e il suo grado di copertura ponderata complessiva. CAPITOLO TERZO L’ANALISI QUALITATIVA DELLA DOMANDA Nell’ambito dei processi analitici è importante non solo analizzare la “quantità” della domanda, ma anche la sua “qualità”. L’analisi qualitativa della domanda è di fondamentale importanza per capire che caratteristiche dovrà avere il prodotto (bene o servizio) per soddisfare al meglio le esigenze dei consumatori potenziali ed indurli ad acquistarlo a scapito dei prodotti concorrenti. L’analisi qualitativa si occupa, quindi, di analizzare il comportamento (la soddisfazione, la fedeltà dal punto di vista comportamentale e cognitiva) che il consumatore assume nella fase pre acquisto, sia nella fase di acquisto che in quella post acquisto. Per l’analisi del comportamento del consumatore in queste tre fasi ci si avvale di un approccio comportamentistico; in quanto cambia il comportamento da consumatore a consumatore in relazione ad uno o più tipologie di prodotto. Per l’analisi di tale comportamento l’analisi qualitativa si avvale del processo decisionale di acquisto che abbiamo detto cambia da soggetto a soggetto, e in relazione ad uno stesso soggetto cambia da prodotto a prodotto. IL PROCESSO DECISIONALE DI ACQUISTO Il processo decisionale di acquisto è quello che induce il consumatore a decidere come, dove, quando e se comprare un determinato prodotto. Tale processo si articola in una serie di fasi che comportano sia attività di natura comportamentale che mentale o cognitiva. Le fasi che caratterizzano il processo decisionale sono: Percezione del bisogno, in questa fase si innesca l’intero processo; poiché rappresenta il momento in cui viene percepita l’esistenza di un bisogno e l’esigenza di ricercare dei prodotti (beni o servizi) che siano in grado di soddisfarlo. Il bisogno, quindi, viene percepito nel momento in cui si verifica un gap (ovvero un differenziale) tra lo stato attuale e lo stato desiderato (o ideale); a causa di questo scostamento si verifica la percezione del bisogno Ricerca di informazioni, una volta percepita l’esistenza di un bisogno si attiva immediatamente l’esigenza di ricercare opportune modalità per soddisfarlo. Per questo motivo si attiva immediatamente un processo di ricerca delle informazioni con l’obbiettivo di individuare le migliori soluzioni al soddisfacimento del bisogno. In questa fase vengono consultate varie fonti informative: istituzionali, personali, commerciali ecc. Valutazione delle alternative pre-acquisto, una volta ricercate le informazioni il cliente procede ad una loro valutazione Acquisto del prodotto, il cliente acquisterà quel prodotto che ha identificato come il più idoneo a soddisfare il suo bisogno nella fase precedente di valutazione delle alternative Utilizzo del prodotto, successivamente all’acquisto il consumatore attiva il processo di consumo del bene Valutazione post-acquisto, questa fase dagli studiosi del marketing è stata denominata come “momento della verità”. Dopo il consumo del prodotto il cliente opera una comparazione tra le sue aspettative pre-acquisto e la valutazione che consegue al momento del consumo. Qualora quest’ultima sia uguale o superiore alle aspettative si realizzerà un livello di soddisfazione della clientela; qualora sia inferiore alle aspettative si realizzerà una situazione di insoddisfazione della clientela e un gap di valore, che può determinare conseguenze non positive per l’impresa Fedeltà, dalla soddisfazione della clientela scaturisce nel tempo la fiducia nei confronti della marca, che si traduce in un comportamento d’acquisto ripetuto. La presenza di fiducia e riacquisto produce un elevato livello di customer loyalty, obbiettivo ultimo di tutte le imprese, in quanto consente di stabilizzare la base clienti e di rendere più certi e costanti nel tempo i flussi di ricavi derivanti dalla vendita del prodotto Sono attività di tipo cognitivo: la percezione del bisogno, la valutazione pre-acquisto, la valutazione post-acquisto ; sono, invece, attività di tipo comportamentali: la ricerca delle informazioni, l’acquisto e l’uso. IL COINVOLGIMENTO PSICOLOGICO Il processo decisionale di acquisto varia a seconda del diverso coinvolgimento psicologico. Al variare del livello di coinvolgimento psicologico che il cliente sperimenta si verifica un cambiamento significativo dell’intensità delle attività cognitive. Nei casi in cui il coinvolgimento è ridotto, i processi cognitivi del cliente si configurano in modo molto semplificato, in quanto so ricorre alla sperimentazione diretta del bene, per cui vengono saltate tutte le attività di ricerca dell’ informazioni e di valutazione pre-acquisto. Per le situazioni ad elevato coinvolgimento psicologico, invece, lo sforzo che il consumatore è disposto a sostenere per l’acquisto si accresce, soprattutto con riferimento alla ricerca delle informazioni e alla valutazione pre-acquisto. L’alto e il basso coinvolgimento dipendono da: La rilevanza che l’individuo attribuisce alla categoria, che dipende soprattutto da elementi soggettivi La visibilità sociale dei processi di acquisto e di consumo(es. a me interessano poco i computer ma è importante la visibilità del consumo del prodotto stesso, il fatto che io devo mostrare socialmente ad altri individui il tipo di prodotto che utilizzo mi determina un coinvolgimento) Il contesto di utilizzo del prodotto, cioè l’ambito nel quale viene utilizzato il prodotto Il grado di rischio percepito è direttamente connesso all’incertezza sull’esito della decisione di acquisto e alla rilevanza di eventuali conseguenze negative sul piano dell’integrità fisica, economica, psicologica e sociale del consumatore . Esistono, infatti, diverse tipologie di rischio: o Rischio funzionale, connesso al timore di una performance inadeguata del prodotto, connesso quindi alla funzionalità del prodotto o Rischio fisico, relativo all’eventualità che l’uso del prodotto possa determinare eventuali minacce per l’incolumità o la salute del consumatore o Rischio economico-finanziario, correlato alle conseguenze che un’errata scelta può comportare sul piano patrimoniale e/o reddituale o Rischio psicosociale, quando un prodotto non risponde a quell’immagine per il quale è stato acquistato LE MOTIVAZIONI D’ACQUISTO Lo studio da parte delle imprese della qualità della domanda, del consumatore, del processo decisionale di acquisto ha il fine di identificare le modalità attraverso le quali l’impresa può concretamente influenzare le scelte dei consumatori. Per conseguire tale obbiettivo innanzitutto è necessario comprendere le motivazioni all’acquisto, da cui dipende l’avvio dell’iter decisionale che si tradurrà nella scelta e nell’utilizzo di una data alternativa di offerta. Lo studio della motivazione d’acquisto si è concentrato nel: Definire il contenuto e la natura delle motivazioni che determinano la decisione d’acquisto Segmentare la domanda: ovvero classificare gli acquirenti, che sono generalmente caratterizzati da esigenze differenti, in base alle varie motivazioni d’acquisto La motivazione da cui dipende l’avvio dell’iter decisionale di acquisto è strettamente collegata al bisogno; il bisogno abbiamo già detto nasce da un gap, da un differenziale tra stato attuale e stato desiderato. La motivazione è la spinta in base alla quale il consumatore riconosciuto un bisogno non adeguatamente soddisfatto si comporta in modo da soddisfarlo. Si pone un legame tra bisogno e motivazione, e quest’ultima rappresenta la spinta che spinge il consumatore a muoversi, a comportarsi in maniera diversa, in modo, quindi, da soddisfare il suo bisogno. La scelta del prodotto è differente a seconda della motivazione d’acquisto. Questa molla determina risultati differenti, comportamenti differenti a seconda della forza, dell’intensità che la motivazione ha ed a seconda della direzione che si intende perseguire. Le principali motivazioni di acquisto sono: bisogno di identificazione, essere riconosciuti a livello individuale, assumere un determinato status o ruolo sociale bisogno di affiliazione, es. combattere la solitudine, condividere i propri interessi con altri o appartenere ad una comunità bisogno di affermazione, acquisire uno stato di superiorità rispetto agli altri bisogno di rinvenire nuovi stimoli, uscire dalla monotonia e dalla routine di ogni giorno Alle volte con riferimento ad uno stesso bisogno abbiamo più motivazioni, queste motivazioni talvolta generano dei conflitti motivazionali che possono essere: positivo-positivo positivo-negativo negativo-negativo Quindi, con riferimento allo stesso bisogno siamo spinti da motivazioni diverse che possono essere convergenti, divergenti o compensative. Es. posso avvertire il bisogno della fame, spinto dalla golosità cerco di soddisfarlo con la cioccolata ma questa spinta, questa motivazione è in conflitto con un’altra divergente, poiché la cioccolata fa ingrassare, da qui nascono i conflitti motivazionali che si vengono a creare nella sfera dell’individuo perché uno stesso bisogno può essere soddisfatto in maniera diversa e allora le motivazioni che mi indirizzano nella decisione da prendere possono essere conflittuali. Lo studio delle motivazioni ci può condurre a segmentare la domanda dei consumatori, classificando le motivazioni: motivazioni esplicite, quelle che spingono il consumatore a comportarsi in una certa maniera, sono quelle di cui il consumatore è consapevole, sono quelle che il consumatore tende ad esternare motivazioni implicite, quelle delle quali il consumatore non ha la consapevolezza quelle inconsce motivazioni di tipo funzionali, attengono alla performance, alle caratteristiche del prodotto motivazioni socio psicologici Combinando queste dimensioni si potrebbe fare una prima segmentazione, una divisione dei consumatori che appartengono ad un certo mercato effettuata proprio sulla base di queste motivazioni. LA RICERCA DELLE INFORMAZIONI: IL SISTEMA PERCETTIVO In situazioni di elevato coinvolgimento, l’attivazione delle motivazioni all’acquisto innesca la ricerca delle informazioni utili a orientare le attività di comparazione e di scelta. Tale ricerca è regolata da alcuni fondamentali filtri selettivi: esposizione selettiva, il consumatore viene raggiunto solo da alcuni degli stimoli inviati dall’impresa, in quanto generalmente non è esposto a tutti i media utilizzati dall’impresa per comunicare con il mercato sensazione, la risposta immediata dei sensi attenzione selettiva, il consumatore non presta attenzione a tutti gli stimoli che lo raggiungono, ma seleziona soltanto quelli di suo interesse percezione selettiva, processo mentale che porta ad elaborare, ad interpretare il messaggio che riceviamo dall’esterno; anche se il consumatore presta la propria attenzione ad uno stimolo informativo non è detto che questo venga percepito correttamente ritenzione selettiva, riguarda la fase della memorizzazione degli stimoli; la nostra memoria di breve termine non ci consente di ricordare e trattenere tutti i contenuti informativi degli stimoli a cui siamo esposti richiamo selettivo, gli stimoli memorizzati dal cliente vengono richiamati dalla memoria di lungo periodo quando sono utili LA PERCEZIONE Abbiamo definito la percezione come il processo con cui un individuo raccoglie, elaborare interpreta le informazioni che provengono dall’ambiente. La dimensione percettiva è quella fase durante la quale il consumatore ricerca le varie alternative disponibili, capta le caratteristiche distintive di ciascuna di esse per sottoporle successivamente ad un processo di comparazione, che si concluderà con la scelta dell’alternativa giudicata ottimale dal cliente. La ricerca delle informazioni può essere condotta secondo due tipologie di modelli: modello economico-razionale modello orientato alla comprensione dei meccanismi percettivi del cliente I modelli economici-razionali muovono dall’assunto che l’informazione produce, da un lato, dei benefici per il cliente, ma dall’altro determina dei costi, connessi prevalentemente all’attività di reperimento dell’informazione. Secondo questo modello il consumatore consulterà le varie fonti informative, e poi sospenderà la ricerca nel momento in cui constata che i costi marginali per ottenere nuove informazioni sono superiori ai possibili vantaggi da esse derivanti. Secondo gli studiosi del marketing, però, la ricerca avviene non del tutto conforme a quanto prospettato dai modelli razionali. Infatti il tipico consumatore, secondo questa diversa corrente, non va di negozio in negozio per ottenere informazioni e confrontare prodotti e prezzi; anche perché ormai la maggior parte dei punti di vendita sono multi - prodotto, per cui determinano una riduzione dello sforzo. Secondo il modello orientato alla comprensione dei meccanismi percettivi del cliente, il consumatore durante una spedizione completa il processo di acquisto per un certo numero di prodotti, e ottiene informazioni su altri beni per eventuali futuri acquisti. Il modello economicorazionale da un punto di vista teorico è quello più logico, ed è quello che viene più spesso applicato per l’acquisto di prodotti di elevato valore; il secondo modello è quello utilizzato prevalentemente per l’acquisto di prodotti di uso frequente. LA TIPOLOGIA DI BENE La scelta del modello dipende molto dalla tipologia di bene che si intende acquistare; infatti nel caso di prodotti connotati da scarso coinvolgimento la fase di ricerca esterna è quasi completamente assente. È stata, quindi, compiuta una classificazione dei prodotti: shopping goods, prodotti nei confronti dei quali il consumatore non ha ancora sviluppato un proprio schema di preferenza, e che pertanto necessitano di ulteriori informazioni per giungere ad una scelta definitiva non shopping goods, sono quei beni nei confronti dei quali il consumatore ha già sviluppato una propria mappa delle preferenze e perciò non richiedono ulteriori ricerche informative. Essi a loro volta si possono distinguere in: o speciality goods, beni ad elevato coinvolgimento verso i quali i clienti hanno già sviluppato una forte convinzione ed una chiara preferenza o convenience goods, beni a scarso coinvolgimento che vengono preferiti sulla base di una facilità di reperimento e di accesso più che in base alle caratteristiche specifiche del prodotto; il termine convenience sta ad indicare una facilità e comodità di reperimento del prodotto LE FONTI INFORMATIVE Per il reperimento di informazioni, il consumatore deve rivolgersi ad una serie di fonti informative, ossia fonti alle quali il soggetto attinge per poi effettuare una scelta. Le diverse fonti cui il consumatore può rivolgersi per ricercare le informazioni sulle alternative di offerta esistenti, sono riconducibili a quattro fondamentali tipologie: fonti commerciali, promosse e controllate direttamente dall’impresa, es. pubblicità fonti istituzionali, informazioni che vengono da enti terzi, caratterizzate da connotati quali l’imparzialità e la competenza fonti interpersonali, riconducibili a soggetti che hanno già avuto il prodotto di cui il consumatore sta ricercando le informazioni, o più in generale le persone con cui il consumatore intrattiene rapporti sociali fonti empiriche, rappresentate dalla “prova”, ovvero la sperimentazione diretta dei prodotti fra i quali si deve effettuare la scelta Il consumatore dopo essersi consultato con queste fonti, procede alla definizione di una sorta di “gerarchia informativa”, ordinandole in base alla loro attendibilità. Infatti è chiaro che la fonte commerciale è sicuramente una fonte che presenta un grado di attendibilità piuttosto contenuto perché è una fonte di parte; è una fonte che ha un certo interesse ad inviare quella determinata informazione. La fonte istituzionale non dovrebbe avere questo tipo di interesse; tipicamente sono delle fonti più neutrali. Le fonti interpersonali sono quelli che rispetto alle precedenti dovrebbero essere considerate più attendibili perché le persone non dovrebbero avere degli interessi. Le fonti empiriche sono quelle che hanno il maggiore grado di attendibilità. LA VALUTAZIONE PRE-ACQUISTO Procedendo con l’analisi qualitativa della domanda, è necessario soffermarci sulla valutazione delle regole decisionali utilizzate dal consumatore per scegliere l’offerta che lui considera possa meglio soddisfare il suo bisogno. Il processo valutativo comprende tutte quella attività intraprese dal consumatore per raffrontare le sue aspettative e le caratteristiche dei prodotti candidati all’acquisto; esso può essere compiuto attraverso due tipologie di modelli: i modelli multi - attributo i modelli choice-set I MODELLI MULTI-ATTRIBUTO Il presupposto teorico per i modelli multi – attributo consiste nell’ipotesi che il consumatore, attraverso la scelta di un prodotto, non ricerca un solo beneficio ma una serie. L’attenzione di tale modello si concentra su vari attributi che devono essere valutati contemporaneamente. Proprio per questo i modelli multi - attributo pongono due tipi di problemi: l’individuazione degli attributi sui quali il consumatore effettua la scelta le strategie di scelta Per quanto riguarda l’individuazione degli attributi, ci si avvale di ricerche di tipo qualitativo (es. compilazione di questionari, sondaggi ecc.). In merito al secondo punto, le possibili strategie attuabili dal consumatore per giudicare le varie alternative possono essere classificate in: strategie valutative, sono frutto di un processo algoritmico probabilistico strategie non valutative, sono frutto di un approccio euristico, si riferiscono all’uso di una semplice regola decisionale per evitare un analitico processo valutativo tra più alternative. Sono strategie che prevedono semplici regole “scorciatoie” mentali che permettono di ridurre lo sforzo cognitivo. Ad es. nella scelta del supermercato si sceglie quello più vicino o quello che viene di strada; o ancora nella scelta della marca di un prodotto si sceglie quella preferita da un soggetto che conta per la persona che deve effettuarla La strategia valutativa attraverso l’organizzazione e la valutazione delle informazioni dovrebbero portarci alla scelta più razionale. Le strategie valutative possono poi dividersi in: procedure sintetiche, che si riferiscono alla valutazione del prodotto nella sua totalità procedure analitiche, che prevedono il confronto tra le varie alternative sulla base dei singoli attributi Con riferimento alle procedure analitiche il consumatore può optare per due diversi modelli: modelli compensativi, che prevedono una valutazione simultanea di tutti gli attributi da parte del consumatore. Nel caso in cui vi sia una valutazione negativa su un attributo, essa viene bilanciata dalla valutazione positiva su un altro, in altri termini le debolezze vengono compensate dalle forze di ciascuna alternativa d’offerta. Ne fanno parte: o il modello di atteggiamento multi - attributo o del valore atteso, è il modello secondo il quale l’atteggiamento del consumatore nei confronti del prodotto in questione è dato dalla sommatoria della valutazione degli attributi del prodotto, ognuno moltiplicato per il peso (importanza) assegnato dal consumatore per ciascun attributo o il modello del prodotto ideale, è il modello secondo il quale il consumatore definisce il profilo del prodotto ideale rispetto al quale confronta le alternative reali: quanto più una marca si avvicina all’ideale tanto maggiore è la probabilità di essere scelto modelli non compensativi, il soggetto individua uno specifico attributo e confronta ciascuna alternativa sulla base di tale attributo. Non è prevista alcuna compensazione e pertanto una valutazione sfavorevole su una variabile influenzerà negativamente la valutazione globale, indipendentemente dai giudizi espressi sui restanti attributi. Ne fanno parte: o il modello congiuntivo, è il modello secondo il quale il consumatore stabilisce dei livelli “soglia” minimi che il prodotto deve possedere, scegliendo solo quei prodotti che presentano contemporaneamente i diversi attributi a livelli superiori rispetto a quella soglia o il modello disgiuntivo, è simile a quello precedente, con la differenza che si analizzano un numero più ridotto di attributi. Si prendono in considerazione solo quelle alternative che presentano una o più caratteristiche (quelle ritenute dal consumatore) con punteggi superiori ai livelli soglia,senza curarsi degli altri attributi o il modello lessicografico, consiste nell’andare a scegliere la marca che presenta il valore più elevato sull’attributo ritenuto più importante. Se ci troviamo di fronte due prodotti che presentano lo stesso livello di apprezzamento sull’attributo più importante si scenderà al secondo attributo più importante e cosi via fino a quando si troverà una differenza tra i prodotti sottoposti a confronto I MODELLI CHOICE-SET Nei modelli choice-set il processo di valutazione e di scelta da parte dell’acquirente è rappresentabile attraverso una serie di “insiemi”, progressivamente di dimensioni più ridotte. La scelta finale è il risultato di un procedimento “a tappe” durante il quale l’acquirente seleziona l’intera offerta ripartendo poi le varie alternative disponibili in diversi “insiemi”, sulla base del superamento o meno di alcune “soglie”, ad es. la conoscenza del brand. Si parte dall’intera offerta (total set), da qui il modello comincia a distinguere tra l’insieme di marche di cui il consumatore è consapevole (awareness set), da quello sconosciuto (unawareness set). L’awareness set a sua volta si scinde in tre gruppi, in base al tipo di valutazione (positiva, negativa o neutrale) che il consumatore effettua in riferimento alle alternative di cui aveva consapevolezza. L’insieme evocato (evoked set) include i prodotti che vengono valutati positivamente, quelli che il consumatore ritiene possano soddisfare il suo bisogno; l’insieme inerte (inert set) e quello inetto (inept set) sono, invece, costituiti dai prodotti che seppure conosciuti dall’acquirente, vengono valutati rispettivamente in maniera neutrale e negativa. Il passaggio agli stadi successivi costituisce un momento fondamentale in quanto si supera la fase cognitiva, per entrare in quella comportamentale. Nel passo successivo il consumatore sceglie al’interno dell’insieme evocato quei brand nei confronti dei quali è disposto a sostenere uno sforzo per approfondirne la conoscenza (action set), rispetto a quelli che malgrado la loro valutazione positiva non vengono valutati in profondità (inaction set). Nell’ambito dell’action set si distinguono quei brand nei confronti dei quali il consumatore evita di approfondire con il personale di vendita per non essere costretto all’acquisto (quiet set), da quelli in cui il cliente accetta di contattare e interagire con il personale di vendita (interaction set). Quest’ultimo gruppo ha maggiori possibilità di essere scelto (product chosen), poiché il contatto diretto tra le parti facilita l’opera di persuasione all’acquisto da parte degli addetti alle vendite. Tale modello fornisce utili suggerimenti anche alle imprese, in merito alle azioni che possono intraprendere per un impiego più efficiente delle risorse. Se, ad esempio, parte del mercato non è a conoscenza della marca, l’impresa è indotta ad investire le proprie risorse in comunicazione. L’ACQUISTO Dopo aver valutato le alternative in concorrenza e aver sezionato il prodotto, il consumatore procede al reperimento di tale prodotto. In questa fase avviene la scelta del punto vendita presso il quale acquistare il prodotto, anche se, in alcune circostanze tale scelta può precedere quella del prodotto. Nella fase di acquisto è necessario analizzare: i ruoli di acquisto le interazioni fra il processo di scelta dei prodotti e dei servizi commerciali I RUOLI D’ACQUISTO La decisione di acquisto spesso scaturisce dall’interazione fra numerosi soggetti, che assumono rilevanza nel processo di scelta e di utilizzo del prodotto. Tali soggetti compongono il c.d. gruppo decisionale di acquisto, al cui interno è possibile identificare alcuni ruoli fondamentali: l’iniziatore, colui che rende manifesta la necessità di soddisfare una determinata esigenza, cioè porta in evidenza il bisogno, avviando cosi il processo d’acquisto l’influenzatore, colui che interviene nel processo decisionale di acquisto influenzando la decisione il decisore, colui al quale spetta la decisione, la scelta finale l’acquirente, colui che effettua l’acquisto il consumatore, colui che consuma il prodotto acquistato In merito a questi ruoli d’acquisto è importante sottolineare che uno stesso individuo può agire in più ruoli, e il medesimo ruolo può essere svolto da più soggetti. LE INTERAZIONI FRA I PROCESSI DI SCELTA DEL PRODOTTO E DEI SERVIZI COMMERCIALI Per comprendere l’entità dei condizionamenti reciproci esistenti tra la scelta della marca e del punto vendita, è opportuno analizzare le principali interazioni tra i processi di acquisto del prodotto e dei servizi commerciali. Gli studi sul comportamento del consumatore si sono sempre concentrati ad analizzare il processo decisionale di acquisto del prodotto; sono meno numerosi gli studi che considerano la scelta del prodotto congiuntamente alla decisione relativa al punto vendita in cui si assumono informazioni e si procede all’acquisto. In realtà il consumatore acquista un sistema di offerta costituito da merce e servizi, tra cui quelli erogati dall’impresa commerciale. Ai fini dell’analisi della domanda, non è, perciò, sufficiente limitarsi allo studio del consumatore, ma è opportuno anche considerare la figura dell’acquirente (shopper), intendendo il primo quale compratore dei prodotto, mentre il secondo come compratore dei servizi commerciali. È stato definito un modello che distingue il processo di scelta del prodotto da quello che riguarda la selezione del punto vendita, e che poi pone in risalto le numerose interrelazioni che si verificano tra i due processi, tra le quali: il bisogno relativo ai servizi commerciali rappresenta una conseguenza del bisogno riferito al prodotto. In seguito all’attività di browsing si verifica sempre più spesso la relazione contraria, la nascita all’interno dei punti vendita di nuovi bisogni la scelta del punto vendita, e in particolare del suo assortimento condiziona l’insieme evocato del consumatore, che, in base ai prodotti facenti parte dell’assortimento, definisce le alternative tra le quali viene scelta quella da acquistare il gradimento post-acquisto registrato con riferimento al prodotto, determina una soddisfazione del consumatore relativamente all’offerta dell’impresa commerciale la fedeltà acquisita dall’impresa industriale e commerciale condiziona le scelte dell’acquirente con riferimento sia ai prodotti che ai servizi commerciali. Nello specifico, una consistente fedeltà alla marca influenza oltre che la scelta relativa alla marca, anche quella riferita al punto vendita, inducendo il consumatore ad eliminare dal proprio set evocato tutti quei distributori che non offrono, nell’ambito del proprio assortimento, la marca preferita. La medesima tipologia di interdipendenza si verifica con riferimento alla store loyalty che oltre a determinare la scelta del punto vendita, condiziona la scelta della marca, limitando la scelta della marca a quelle incluse nell’assortimento offerto. Il comportamento del consumatore come già abbiamo visto muta in funzione del grado coinvolgimento psicologico nell’acquisto e variano, di conseguenza, la numerosità e la tipologia delle interrelazioni tra il processo di acquisto delle merci e quello relativo ai servizi commerciali. Nelle situazioni di ridotto coinvolgimento il processo di acquisto si presenta molto semplificato, in quanto il consumatore ricorre alla sperimentazione diretta del bene; e in questi casi la scelta del punto di vendita precede la scelta della marca. Per i prodotti ad alto coinvolgimento aumenta lo sforzo che il consumatore è disposto a sostenere per l’acquisto; in questi casi è ipotizzabile che il consumatore ricerchi nelle imprese commerciali prima di tutto un servizio di tipo informativo, che consenta di ridurre l’incertezza insita nel processo di scelta. IL COMPORTAMENTO DEL CONSUMATORE IN-SHOP Fino a questo momento gli studi di marketing hanno trascurato il comportamento d’acquisto del consumatore all’interno del punto vendita. Ormai è diventato importante ai fine dell’analisi della domanda analizzare anche l’in-store marketing, cioè l’insieme di attività che le imprese di distribuzione compiono e che possono incidere sulla scelta del prodotto da parte dei consumatori. Le imprese di distribuzione per influire sulla scelta del consumatore sfruttano le leve del retailing mix, che sono: Display, è lo studio inerente a come collocare i prodotti sugli scaffali e tramite questo studio si rileva come la localizzazione fisica dei prodotti incide in maniera rilevante sulle vendite. Infatti i display costituiscono uno dei più rilevanti strumenti di comunicazione a disposizione dell’impresa commerciale Spazio espositivo, è uno spazio in cui si concentrano tutti i prodotti di una stessa marca; è stato ipotizzato che all’aumentare dello spazio destinato ad una marca le vednite aumentano; in quanto il cliente è più stimolato a compiere l’acquisto di un prodotto esposto in maniera consistente Assortimento, riguarda la varietà della gamma di prodotti di una stessa marca, esso può essere più o meno esteso. Le conseguenze derivanti da uno scarso assortimento e quindi dalla mancanza dei prodotti possono comportare una riduzione dell’ammontare della spesa effettuata, in seguito ad un rinvio dell’acquisto o alla sostituzione del punto vendita Promozioni, sono le attività che riguardano gli sconti, gli omaggi le raccolte punti. È stato dimostrato un uso sempre più intenso di questa leva da parte delle imprese. I risultati delle ricerche hanno concluso che le promozioni producono un duplice effetto: o La sostituzione delle marche (brand switching) e la sostituzione dei punti vendita (store switching) o Incentivano l’acquisto dei prodotti complementari non in promozione Prezzo, le ricerche effettuate hanno concluso che la maggioranza degli acquirenti possiede soltanto un’idea approssimativa del prezzo effettivamente pagato L’UTILIZZO DEL PRODOTTO Mentre il processo di acquisto comprende le attività finalizzate alla raccolta delle informazioni, alla valutazione delle alternative, al reperimento del prodotto selezionato; il processo di consumo si riferisce a tutte le attività di utilizzo finalizzate alla produzione di valore. È possibile identificare alcune attività di utilizzo tipiche, la cui successione configura, nella prospettiva del consumatore, una catena del valore articolata in tre stadi fondamentali: 1. Attività di predisposizione (sensing), il consumatore genera le informazioni rilevanti per comprendere il funzionamento del prodotto, attraverso la raccolta dei dati necessari (scanning) e l’attribuzione di un senso ad essi (enacting) 2. Attività di interazione (sharing), il consumatore interagisce con il contesto di consumo per condividere esperienze e apprendere le fondamentali regole sociali di utilizzo. Le attività di sharing possono ricondursi a due tipologie fondamentali: la condivisione (communing o socializing) con altri individui delle informazioni e l’assimilazione (assimilating) di regole sociali 3. Attività di realizzazione (performing), il consumatore mette in pratica le attività che gli permettono di estrarre valore dal consumo; in particolare queste possono essere distinte in attività di produzione in senso stretto (producing), di personalizzazione (personalizing) e di apprezzamento (appreciating) La classificazione delle attività consente di evidenziare le molteplici opzioni che l’impresa può attivare per ampliare la value proposition offerta al consumatore, servendo in modo più efficace ed efficiente rispetto ai concorrenti una porzione sempre più estesa della catena del valore. CAPITOLO QUARTO LA DOMANDA INTERMEDIA: LE IMPRESE DI DISTRIBUZIONE E IL SETTORE COMMERCIALE Il settore commerciale è dato dall’insieme delle imprese distributrici, quelle aziende che svolgono la funzione di raccordo tra produzione e consumo, agevolando le relazioni di scambio tra produttori ed utilizzatori dei beni. In passato i distributori si limitavano a svolgere attività di tipo logistico, connesse al trasporto dei beni e alla capacità di renderli disponibili all’interno dei punti vendita. Oggi lo scenario è radicalmente mutato. Si è verificato, infatti, un forte sviluppo delle imprese distributrici che ha determinato un notevole aumento del loro potere di mercato nei confronti dei fornitori, rispetto al passato. Al contempo, si è verificato anche un accrescimento della capacità dei distributori di condizionare le preferenze dei consumatori finali, sviluppando delle strategie di marketing proprie; le imprese distributrici hanno, quindi, sviluppato una autonoma capacità progettuale nell’ambito del marketing management. L’analisi della struttura del settore commerciale e delle principali attività svolte dalle aziende che lo compongono, è fondamentale per le imprese industriali che vogliono approcciare la domanda intermedia e, conseguentemente, raggiungere la clientela finale. IL SETTORE COMMERCIALE: ARTICOLAZIONE E STRUTTURA Abbiamo già detto che la gestione della domanda intermedia da parte delle imprese industriali è fondamentale per il raggiungimento della clientela finale. Per analizzare la gestione della domanda intermedia è indispensabile attuare una classificazione dei punti vendita. Ad un livello macro è possibile distinguere tra: Punti vendita fissi Punti vendita ambulanti Forme speciali di vendita, es. vendita a domicilio e distributori automatici Nella nostra analisi ci soffermeremo sui punti vendita fissi che rappresentano la maggioranza all’interno del settore commerciale. Questi a loro volta possono essere distinti sulla base di alcune caratteristiche: La dimensione, la normativa prevede classi dimensionali differenti per le quali variano le modalità secondo cui sono assegnati i permessi per le nuove aperture La tipologia di prodotti venduti che possono riguardare il genere: o Alimentare, si riferisce a tutti i prodotti alimentari e di largo consumo (es. detersivi) o Non alimentare, comprende una pluralità di settori (es. abbigliamento, elettronica, arredamento ecc.) o Prodotti soggetti ad un regime speciale (es. tabacchi, benzina, prodotti farmaceutici ecc.) La clientela cui si rivolgono, facendo riferimento alla clientela è possibile separare: o I punti vendita al dettaglio, diretti alla clientela privata o I punti vendita all’ingrosso, indirizzati ad un pubblico professionale (grossisti: sono soggetti che acquisiscono la proprietà e rivendono piccole quantità al dettaglio) La modalità di vendita adottata, che contrappone: o I punti vendita self-service, in cui il cliente effettua in modo autonomo i propri acquisti prima di recarsi alla cassa o I negozi a vendita assistita, in cui la clientela è seguita e consigliata dal personale addetto alla vendita La modernità, in base a questa caratteristica possiamo ripartire i punti vendita: o Moderni, negozi che sono emersi in tempi recenti o Tradizionali, solitamente sono esercizi a vendita assistita, il cui personale è composto dal proprietario-imprenditore e dal suo nucleo familiare, generalmente di ridotte dimensioni. I punti vendita moderni si sono sviluppati seguendo delle “regole”che permettono di distinguerli in formati o format distributivi, che sono dati da un mix delle caratteristiche principali dei punti vendita (es. dimensione, genere, modalità di vendita ecc.). I principali format distributivi sono: I convenience store o negozio di prossimità, punto vendita di ridotte dimensioni (poche decine di mq), che offre un assortimento alimentare e non. Caratteristiche: posizionato in zone ad elevato passaggio come le aree residenziali, le stazioni di servizio; si ditingue agli occhi della clientela per la comodità dovuta alla vicinanza e agli orari estesi; i clienti sono per lo più di passaggio e gli acquisti sono d’emergenza Il punto vendita a libero servizio, esercizio di vendita al dettaglio operante nel campo alimentare, organizzato a self-service, che dispone di una superficie di vendita compresa tra 100 e 400 mq. All’interno di questo format si distinguono: o Superette, esercizio di vendita al dettaglio operante nell’alimentare, organizzato a self-service, che dispone di una superficie di vendita compresa tra 200 e 400 mq. o Minimarket, esercizio di vendita al dettaglio operante nell’alimentare, organizzato a libero servizio, con una dimensione compresa tra 120 e 200 mq. Caratteristiche: generalmente di proprietà di piccoli imprenditori, ubicati in quartieri residenziali dei centri abitati, all’interno di edifici preesistenti la loro apertura per cui la loro struttura deve adattarsi alle caratteristiche dell’edificio in cui si inseriscono. Assenza di un parcheggio; attraggono le persone che abitano nelle vicinanze e che considerano la comodità uno degli elementi prioritari per la scelta del punto vendita o che vi si recano per l’acquisto di prodotti di cui hanno un bisogno immediato. Il supermercato, punto di vendita al dettaglio operante nel campo alimentare, organizzato a self-service e con pagamento all’uscita, che dispone di una superficie di vendita compresa tra 400 e 2500 mq. Caratteristiche: vasto assortimento di prodotti alimentari di largo consumo, localizzato generalmente nelle aree urbane delle città o in vicinanza degli agglomerati di minori dimensioni Il superstore, punto di vendita al dettaglio, organizzato a self-service, che tratta merceologie alimentari e non, con una superficie superiore ai 2000 ma che non supera i 3000 mq; è più grande di un normale supermercato ma non cos’ grande da essere considerato un ipermercato. Caratteristiche: localizzato in zone periferiche, però non così extraurbane come quelle in cui si trovano gli ipermercati, dotati di propri parcheggi, ha orari di apertura simili a quelli dei supermercati ma con numerose estensioni nei giorni festivi; l’assortimento è simile a quello del supermercato, con l’ampliamento dell’offerta di alcune categorie merceologiche del non alimentare L’ipermercato, esercizio di vendita al dettaglio operante nel campo Alimentare e Non, organizzato prevalentemente a self-service e con pagamento all’uscita, che dispone di una superficie di vendita maggiore a 2500 mq. Caratteristiche: presenza, insieme ai prodotti alimentari, di un ampio assortimento di beni appartenenti al comparto Non Alimentare; dislocazione extraurbana, ampio parcheggio, numero elevato di casse, estesi orari di apertura, presenza di laboratori interni per la preparazione dei cibi, presenza dei banchi per i prodotti freschi a vendita assistita (macelleria, pescheria ecc.), grande quantità e varietà di prodotti di marca, prezzi competitivi ed elevato utilizzo delle promozioni di prezzo. Il discount, punto di vendita al dettaglio, a libero servizio (Sistema di acquisto del cliente che, da solo, sceglie e prende il prodotto senza assistenza del personale addetto alle vendite portando, poi, le merci all’uscita e pagandole alla barriera delle casse), operante nel comparto Alimentare caratterizzato da: assortimento composto da prodotti non di marca, allestimento spartano. Caratteristiche: può essere considerato come un supermercato orientato alla convenienza, grazie all’offerta di prodotti, alimentari e non, di media qualità e al prezzo più basso possibile: tale convenienza è il risultato dell’offerta dei soli servizi essenziali, dell’allestimento spartano e dell’inserimento di poche varianti di prodotto, tutte non di marca. Il cash and carry, “paga e porta via”, rappresenta l’applicazione del libero servizio ad un magazzino all’ingrosso. Caratteristiche: di grandi dimensioni, dotati di ampio parcheggio; il pagamento è di solito in contanti e i clienti provvedono autonomamente al trasporto della merce presso i propri esercizi. Il grande magazzino, esercizio per il commercio al dettaglio, operante nel campo Non Alimentare, che dispone di una superficie di vendita superiore ai 400 mq e di almeno 5 reparti, ciascuno dei quali destinato alla vendita di articoli appartenenti a settori merceologici diversi. Caratteristiche: offre prodotti di qualità medio-alta con vendita assistita; l’abbigliamento è il reparto portante, seguito da reparti con articoli pe la casa e il tempo libero; localizzati nelle aree di maggior pregio, all’interno di edifici importanti, e per lo più sprovvisti di parcheggio La grande superficie specializzata (Gss), esercizio commerciale operante nel comparto Non Alimentare che fa capo ad un impresa che gestisce almeno 10 punti vendita e che ha una superficie di vendita superiore a 250 mq. Caratteristiche: forte specializzazione in una determinata categoria, con un offerta molto dettagliata e a prezzi contenuti, la vendita è generalmente a libero servizio, possono essere localizzati sia nei centri cittadini che in periferia o anche nei centri commerciali. Es. Decathlon, Zara, Bricocenter ecc. Il centro commerciale, complesso concepito, realizzato e gestito con criteri unitari da una società che concede a terzi l’utilizzo di parte degli spazi per esercitare l’attività di vendita, al suo interno sono presenti almeno 10 negozi al dettaglio, dispone di un ampio parcheggio; l’offerta è integrata con attività paracommerciali (bar, ristoranti ecc.) e eventualmente extracommerciali (cinema, teatro ecc.). Caratteristiche: ogni centro è gestito da un organismo che ne coordina le attività generali e quelle di marketing tese a promuovere il centro stesso, la superficie varia da 1.000 a 100.000 mq; all’interno si trovano punti vendita appartenenti a formati differenti sia Alimentari che Non (piccoli punti vendita, Gss ecc.). I Factory Outlet Center (Foc), strutture simili a centri commerciali, al cui interno sono presenti punti vendita che fanno capo a imprese produttrici nel campo dell’abbigliamento e degli accessori. Caratteristiche: generalmente sono localizzati in aree extraurbane, coprono una superficie molto vasta superiore ai 10.000 mq; la clientela è attratta dalla presenza di griffe di alta moda ed elevata qualità a prezzi accessibili. I flagship store, negozi monomarca con funzione istituzionale, gestiti dalla casa madre, per comunicare il brand value L’OFFERTA DELL’IMPRESA COMMERCIALE: I SERVIZI COMMERCIALI La clientela all’interno dei punti vendita acquista un binomio: beni (prodotti dall’impresa industriale) e servizi commerciali (prodotti dell’impresa distributiva). L’impresa distributiva/commerciale è un impresa che produce servizi commerciali. Il servizio commerciale può essere definito come un mix di attributi o servizi elementari combinati in modo da appagare i bisogni; è possibile effettuare una distinzione tra: Servizi centrali, soddisfano direttamente il bisogno per cui viene richiesto il servizio Servizi periferici, fungono da supporto ai servizi centrali, permettendo l’accesso al servizio stesso (servizi periferici necessari) o rendendo più confortevole la fruizione (servizi periferici accessori). I servizi periferici accessori sono molto importanti perché permettono all’impresa distributrice di differenziare la propria offerta agli occhi della clientela. Secondo questa classificazione il servizio centrale è costituito da quello logistico; tuttavia è possibile effettuare un’altra classificazione dei servizi commerciale che li distingue in: Servizi commerciali in senso stretto, costituiti da una serie di attributi elementari: o Logistici, che si articolano nei seguenti elementi: Servizio di prossimità, portare il prodotto il più vicino possibile all’acquirente Servizio di stoccaggio, grazie alla loro vicinanza, si evita alla clientela lo stoccaggio (sistemazione e conservazione dei prodotti) Estensione dell’orario di apertura Ampiezza dell’assortimento, definita dal numero di categorie merceologiche presenti nel punto vendita o Informativi, che si compongono dei seguenti servizi: Preselezione, l’impresa selezione un set di prodotti limitato che va a comporre la propria offerta, per evitare la ricerca di informazioni Profondità dell’assortimento, definita dalla quantità di alternative, in termini di marche, offerte dall’impresa con riferimento ad una singola categoria merceologica. Consente al cliente di ottenere un maggior numero di informazioni utili nel proprio processo di scelta Informazione diretta, supporti informativi ottenuti dal personale o da altri strumenti presenti nel punto vendita (es. display) o Altri servizi, che comprendono: Assistenza postvendita Velocità di servizio Comfort, elementi che rendono più gradevole la visita all’interno del punto vendita (es. la climatizzazione, la musica ecc.) Servizi aggiuntivi Questo tipo di classificazione permette di cogliere l’importanza oltre che dei servizi logistici, anche di quelli informativi e aggiuntivi. L’EVOLUZIONE STRUTTURALE DEL SETTORE COMMERCIALE Il settore commerciale come già abbiamo evidenziato ha vissuto un periodo di intenso cambiamento, che è stato identificato con il termine di rivoluzione commerciale e che ha determinato una radicale modifica dell’organizzazione delle aziende e delle formule distributive prevalenti nel mercato. IL MARKETING DELLE IMPRESE COMMERCIALI Le imprese commerciali, quindi, in seguito alla rivoluzione commerciale hanno acquisito una crescente autonomia in termini di marketing; in questo senso le imprese distributrici hanno avviato la progettazione e la realizzazione di politiche di marketing proprie finalizzate soprattutto alla valorizzazione dell’offerta. Essi hanno addirittura sviluppato linee di prodotti propri: le marche commerciali (o private label). Si definiscono marche commerciali o private label tutti quei prodotti che hanno il marchio del supermercato in cui vengono venduti. Esistono diverse tipologie di marca commerciale: Generic private label e copycat brand, che competono sul prezzo; i generic private label sono prodotti con un packaging poco curato e spesso con un brand name come primo prezzo, sono proposti al cliente come l’alternativa più conveniente; i copycat brand sono imitazioni di prodotti proposti con altri brand, di cui riproducono la qualità ma non il prezzo che risulta essere inferiore Premium store brand, che competono sulla qualità Value innovators own label, che competono sulla razionalità; l’obbiettivo è quello di offrire il miglior prodotto performance-prezzo La gestione più evoluta della marca commerciale ha portato le imprese distributive a progettare un articolato brand system in grado di coprire tutte le fasce dell’assortimento, dal premium price (con prodotti di nicchia) al primo prezzo. La diversificazione dei prodotti della marca commerciale è indice della capacità delle imprese distributrici di utilizzare tale elemento in modo strategico. La capacità di marketing della distribuzione, oggi, si estende, anche, alla possibilità di gestire in modo personalizzato la relazione con il cliente, grazie allo sviluppo delle carte fedeltà, che permettono alla distribuzione di ottenere informazioni sulle abitudini di acquisto della clientela. Le imprese hanno, quindi, la possibilità di gestire una autonoma relazione con i cliente. Alla luce di questi fatti, risulta opportuno approfondire le caratteristiche del marketing management delle imprese distributrici/commerciali, poiché si trovano ad affrontare problematiche diverse da quelle delle imprese industriali. Anche in questo caso è opportuno seguire un processo decisionale composto: Momento analitico, che prevede l’analisi della domanda e della concorrenza Momento strategico, che prevede la definizione delle scelte di segmentazione della domanda e di posizionamento dell’offerta. Questo momento comprende anche la scelta del format distributivo, cioè la scelta del servizio commerciale più coerente con le esigenze del segmento di mercato a cui l’impresa intende rivolgersi Momento operativo, si concretizza nella definizione del retailing mix, che si articola nelle scelte relative alle seguenti aree decisionali: assortimento, comunicazione e politica dei prezzi LE POLITICHE DI ASSORTIMENTO L’assortimento rappresenta l’insieme dei prodotti offerti da un’impresa commerciale al mercato ed è uno degli elementi fondamentali del retailing mix; esso è infatti l’aspetto che più incide sull’immagine e di conseguenza sul posizionamento dell’impresa di distribuzione. L’assortimento viene analizzato prendendo in considerazione due dimensioni: ampiezza e profondità. L’ampiezza misura la quantità di categorie merceologiche commercializzate; la profondità, invece, misura la quantità di alternative, in termini di marche, offerte dall’impresa con riferimento ad una singola categoria merceologica. Le decisioni relative all’assortimento sono strettamente interconnesse con le scelte operative e strategiche; è quindi rilevante comprendere le modalità attraverso cui si prendono tali decisioni, che hanno un impatto non indifferente sull’attività delle imprese industriali. La formazione degli assortimenti avviene secondo una successione gerarchica di scelte, che parte da quelle relative all’assortimento complessivo fino a giungere ad aspetti più operativi, riguardanti la scelta delle singole marche e referenze. Il processo di formazione è il seguente: 1. Scelta delle famiglie merceologiche e delle categorie da commercializzare, tali scelte configurano il tipo di offerta con cui l’impresa commerciale si presenta sul mercato 2. Scelta delle tipologie di prodotti per ciascuna categoria, in sostanza, v definita la struttura dell’assortimento in termini di marche leader, marche premium, primi prezzi, marche commerciali ecc. 3. Scelta delle e delle referenze per ciascuna tipologia di prodotto, 4. Allocazione dello spazio espositivo per ciascuna referenza, questa decisione è assunta in base alla valutazione di alcuni elementi: Quantità di spazio espositivo disponibile Redditività lorda (margine lordo/vendite) Tasso di rotazione (vendite/scorte medie) La frequenza con cui intende rifornire le strutture espositive Una volta definito l’assortimento, si deve provvedere alla sua manutenzione nel tempo, che consiste nell’eliminazione di referenze obsolete, nell’inserimento di nuovi prodotti ecc. Per le imprese industriali è fondamentale comprendere tale processo per proporre un offerta che non risponda solo alle esigenze dei consumatori finale, ma anche a quelle delle imprese commerciali. Sempre in riferimento alle imprese industriali, è importante valutare quali sono le caratteristiche che le imprese commerciali prendono in considerazione nel momento in cui valutano l’inserimento di un prodotto all’interno del loro assortimento: Condizioni economiche, prezzi d’acquisto dei prodotti, politiche di sconto, premi di fine anno, condizioni di pagamento ecc. Servizio logistico, la frequenza e la puntualità delle consegne ecc. Politiche promozionali connesse al lancio Potenziale di vendita, riguarda le ipotesi formulate relativamente al potenziale di vendita del prodotto, al suo tasso di rotazione, al margine lordo e alla redditività Valore del prodotto per il consumatore Caratteristiche del produttore, che riguarda anche il rapporto tra fornitore e distributore LA COMUNICAZIONE Le aree di comunicazione che assumono maggiore criticità per le imprese commerciali sono: La comunicazione esterna, destinata al consumatore, ad essa è destinata la maggior parte dell’investimento delle imprese La comunicazione interna, destinata per lo più al personale di vendita È importante analizzare maggiormente la comunicazione esterna proprio perché ad essa è destinata una parte considerevole degli investimenti dell’impresa distributrice. Le modalità a disposizione dell’impresa commerciale per comunicare al proprio mercato sono molteplici, e in particolare, i principali mezzi sono: La pubblicità La promozione delle vendite, molto rilevanti ai fini della comunicazione, tali promozioni possono dividersi in due principali categorie: o Promozioni di prezzo, sono riconducibili a quelle attività promozionali che offrono uno sconto pari almeno ad un 10% o Iniziative promozionali in-store, raccolte punti, coupon (buono sconto) ecc. Il punto vendita, la diffusione di informazioni sul punto vendita rappresenta un mezzo di comunicazione molto efficace, poiché si attua proprio nel momento in cui il consumatore sta raccogliendo le informazioni. Le modalità utilizzate per comunicare a questo livello sono: o L’atmosfera del punto vendita o Il layout delle attrezzature e delle merci, che riguarda la ricerca dei migliori criteri espositivi per stimolare l’acquisto dei prodotti o Il display o Il personale di vendita o Ecc. L’assortimento e la marca commerciale La distribuzione dei volantini porta a porta Il direct marketing, invio di newsletter ai consumatori, l’attivazione di un numero verde per creare un contato diretto con la clientela IL PRICING COMMERCIALE Con riferimento alle politiche di prezzo, le imprese devono prendere delle scelte in merito alla dimensione strategica e alla dimensione operativa del prezzo. Per ciò che attiene alla dimensione strategica l’impresa commerciale può creare un’immagine del proprio punto vendita che sia orientato alla convenienza o al prestigio. Qualora l’impresa scelga un immagine di convenienza adotterà tutte una serie di strategie che possano attrarre la clientela più sensibile al prezzo (es. decidere di abbassare il prezzo di un prodotto con un elevato potere segnaletico, per indurre la clientela a recarsi nel punto vendita e, quindi, acquistare altri prodotti). La dimensione operativa del prezzo, invece, riguarda le modalità con cui le imprese commerciali determinano i prezzi dei singoli prodotti. La maggior parte delle imprese ricorre al mark-up come metodo di determinazione dei prezzi. Il mark-up rappresenta quel quantum da aggiungere al costo del prodotto, che comprende la copertura dei costi di acquisto e il raggiungimento di un margine di profitto prefissato. Tale margine si può calcolare in funzione del costo d’acquisto, e in questo caso prende il nome di margine di ricarico: PREZZO DI VENDITA – COSTO DI ACQUISTO/ COSTO D’ACQUISTO = % O si può calcolare in funzione del prezzo di vendita, e prende il nome di margine commerciale: PREZZO DI VENDITA- COSTO D’ACQUISTO/ PREZZO DI VENDITA = % CAPITOLO QUINTO SEGMENTAZIONE, TARGETING E POSIZIONAMENTO I tre momenti chiave del marketing strategico sono: Segmentazione, processo che consiste nel ripartire una popolazione di potenziale acquirenti, in uno o più gruppi, definiti segmenti. La finalità è quella di ottenere gruppi omogenei per tipo di caratteristiche, bisogni o comportamenti Targeting, processo che consiste nell’analizzare l’informazione derivante dalla segmentazione, e nel compiere una scelta strategica, di selezione del segmento o dei segmenti valutati come più attrattivi. Verso questo o questi segmenti si indirizzerà l’azione di marketing, configurando una value proposition coerente rispetto ai bisogni di ciascun segmento Posizionamento, è il risultato dell’azione di marketing sul segmento target, e consiste nella collocazione che la value proposition ha nello spazio percettivo dell’acquirente del segmento, rispetto alle alternative offerte dalla concorrenza IL CONCETTO DI SEGMENTAZIONE La segmentazione del mercato consiste nel ripartire l’eterogeneo mercato in un insieme relativamente omogeneo di consumatori. Il concetto di segmentazione ha una dimensione tecnica ed una strategica. Da un punto di vista puramente tecnico è un processo disaggregante e aggregante, poiché è un’operazione che porta a dividere in sottogruppi un dato insieme di soggetti osservati sulla base di uno o più parametri di analisi, in modo da massimizzare l’omogeneità tra soggetti all’interno di ciascun gruppo. La segmentazione è, dunque, una tecnica che consente di ridurre la complessità del mercato. Il criterio chiave utilizzato nella segmentazione di un mercato è il sistema di preferenze degli individui, che porta a delineare tre situazioni fondamentali: Preferenze omogenee, che ricorrono nei mercati in cui i consumatori non presentano significative differenze tra loro Preferenze diffuse, che mostrano una dispersione elevata, senza significative concentrazioni di clienti in alcuno spazio di mercato Preferenze agglomerate, che configurano segmenti naturali di mercato Da un punto di vista strategico l’operazione di segmentare il mercato è estremamente importante per l’impresa, poiché essa fornisce il presupposto informativo per capire come il marketing manager possa costruire un offerta dedicata a soddisfare i bisogni specifici di un gruppo di acquirenti. Attraverso la segmentazione è possibile organizzare i dati di marketing ai fini di offrire sul mercato una value proposition coerente con le aspettative del cliente. IL PROCESSO DI SEGMENTAZIONE Il processo di segmentazione è composto da una sequenza di attività che consiste nell’organizzare e selezionare le informazioni disponibili su un dato mercato, al fine di ottenerne una ripartizione in cluster o segmenti, ciascuno composto da acquirenti con preferenze omogenee. Tale sequenza si sviluppa in 5 fasi: Selezione dei requisiti per una segmentazione efficace Definizione del mercato da segmentare Selezione della base (parametro, variabile) di segmentazione Analisi di attrattività Scelta di targeting STABILIRE I REQUISITI Delineare una segmentazione efficace è molto problematico, poiché le preferenze degli individui dipendono da un numero molto ampio di fattori. Tuttavia gli studi di marketing definiscono alcuni requisiti chiave che possono valutare la bontà di un processo di segmentazione; essi sono: Misurabilità, nel senso che una segmentazione deve condurre ad identificare dei gruppi di clienti misurabili, cioè delimitabili e quantificabili in modo preciso in termini di dimensioni Rilevanza, la segmentazione deve condurre a stabilire la rilevanza del segmento per l’impresa Differenziabilità, la segmentazione dovrebbe consentire la possibilità di differenziare l’offerta Stabilità, la segmentazione deve avere come output segmenti con preferenze durature Accessibilità, la segmentazione deve consentire la possibilità per l’impresa di raggiungere e servire il segmento in condizioni di economicità DEFINIRE IL MERCATO Ovviamente l’oggetto di analisi del processo di segmentazione è il mercato. È possibile segmentare il mercato a tre livelli diversi: A livello di bisogno (soft - drink) A livello di tipo di prodotto (Cole) A livello di variante di prodotto (Cole dietetiche) In seguito ad una definizione più ristretta del mercato è possibile effettuare una segmentazione più accurata. SELEZIONARE LA BASE La base della segmentazione è costituita dai criteri (o parametri o variabili) utilizzati per decidere l’attribuzione del soggetto osservato al segmento di riferimento. Esistono diverse tipologie di criteri usati nella prassi per segmentare, e la scelta di tali criteri dà luogo a tre tipi di basi: Base di segmentazione semplice, la base è costituita da un unico criterio Base di segmentazione gerarchica, la base è costituita da due o più criteri, applicati in modo sequenziale Base di segmentazione multipla, la base è costituita da due o più criteri che vengono, però, applicati in modo congiunto Esistono due approcci per selezionare la base per segmentare nei mercati di consumo (B2C): Segmentazione a priori, prevede l’impatto degli stimoli di marketing. Si sceglie appunto a priori, una base, e poi si analizza com’è segmentato il mercato secondo quella specifica base, e si decide a quale o a quali segmenti rivolgersi. I parametri utilizzati a tal fine sono molteplici e includono la variabile geografica, demografica, socio grafica e psicografica talvolta combinate tra loro Segmentazione a posteriori, studia direttamente le reazioni agli stimoli di marketing. Il mercato viene segmentato solo successivamente alla fase in cui sono analizzate le informazioni raccolte ad hoc sui consumatori. In questo caso si utilizzano i dati primari derivanti da ricerche di mercato condotte dall’azienda. I parametri utilizzati nella segmentazione a posteriori sono: o I benefici ricercati; con la segmentazione sui benefici ricercati, il marketing manager raccoglie esplicitamente i dati che esprimono le preferenze dei consumatori e può usare queste informazioni ai fini di configurare direttamente la value proposition che meglio approssima ciò che l’acquirente richiede all’offerta. Il vantaggio di questo approccio consiste nella precisione. o Il tipo di utilizzo; la scelta di questo parametro fa riferimento all’intensità. Questo criterio può avere una funzione strategica, perché spesso l’intensità di utilizzo è correlata con la redditività del cliente per l’impresa. Distingue il light user dal heavy user o Il comportamento post-acquisto; la categoria di segmentazione con variabili postacquisto include tutte le tecniche che prendono in considerazione gli atteggiamenti, le percezioni e le motivazioni degli individui a seguito dell’acquisto e dell’utilizzo del prodotto. Vengono usate variabili quali la soddisfazione, la fedeltà alla marca o al punto vendita. L’ipotesi sottostante questo tipo di criterio risiede nell’essere in grado di prevedere il comportamento di acquisto futuro aggregando i consumatori sulla base del comportamento d’acquisto e di consumo pregresso. La scelta della base per segmentare nei marcati business (B2B) è nella maggior parte dei casi operata secondo un approccio gerarchico, che include le fasi di macrosegmentazione e di micro segmentazione. I criteri della macrosegmentazione si basano su caratteristiche generali come le demografiche industriali, le demografiche tecnologiche e quelle operative. Le variabili demografiche industriali includono il settore di appartenenza, la classe dimensionale, la numerosità ecc. Le variabili tecnologiche fanno riferimento ai parametri quali le tecnologie di prodotto e di processo. Le variabili operative sono infine utilizzate per far emergere differenze di bisogni e preferenze legate alle capacità manageriali delle imprese, nell’ambito delle operazioni e delle attività di supporto (R&S, finanza ecc.). Per attuare la macrosegmentazione, quindi, si considerano tre dimensioni: Funzioni d’uso (il cosa) Gruppi di acquirenti (il chi) Tecnologie (il come) I criteri della microsegmentazione si basano su caratteristiche specifiche, osservabili dall’interno dell’acquirente. LE TECNICHE PER LA SEGMENTAZIONE La statistica fornisce strumenti efficaci per estrarre dai propri dati aziendali informazioni utili nell’analizzare il proprio contesto di mercato e prendere decisioni strategiche. Le due tecniche statistiche più utilizzate ai fini della segmentazione sono: La tecnica di segmentazione univariata e bivariata La tecnica di segmentazione multivariata Se nell’analisi statistica di segmentazione vengono considerate una o due variabili alla volta si parla di analisi statistiche di tipo univariato o bivariato. La tecnica più utilizzata per questo tipo di analisi è quella delle tabulazioni. Attraverso le tabulazioni semplici, l’identificazione dei segmenti viene definitiva con l’ausilio di una sola variabile, che viene assunta come principale descrittore di un determinato segmento. Solitamente si associa ad ogni classe di misura il numero di osservazioni che appartengono a quella classe, quest’ultima è chiamata frequenza assoluta o numerosità della classe. Complessivamente, l’insieme delle classi di misura e le relative frequenze viene chiamato distribuzione delle frequenze. Lo svantaggio di questa tecnica è l’ignorare effetti che più variabili potrebbero esercitare congiuntamente nel processo d’acquisto. Con le crosstabulation, invece, è possibile ottenere indicazioni specifiche sugli incroci di potenziali variabili. Questa metodologia presenta dei limiti che spingono a favore della segmentazione multivariata, poiché maggiore è il numero delle variabili considerate come potenziali descrittori maggiore sarà il numero di incroci che viene generato. La tecnica di segmentazione multivariata viene utilizzata principalmente per l’identificazione di relazione tra dati, e la riduzione di notevoli volumi di dati in un numero inferiore. La tecnica più utilizzata per la segmentazione multivariata è la cluster analysis. Attraverso questa tecnica statistica vengono identificati gruppi di acquirenti omogenei rispetto ad un set di variabili congiuntamente impiegate. I cluster ottenuti presenteranno elevata omogeneità degli appartenenti allo stesso cluster, che condividono specifiche caratteristiche ed una elevata eterogeneità rispetto ai componenti degli altri cluster. Vanno specificati i criteri che definiscono i segmenti, ed una volta identificati i gruppi attraverso la cluster analysis, vanno specificate le caratteristiche comuni che li contraddistinguono. LA SCELTA DEL TARGET Il risultato del processo di segmentazione consiste nell’organizzazione per gruppi dell’informazione disponibile relativamente al mercato. A questi gruppi (segmenti) è associata una descrizione degli individui o delle imprese appartenenti al segmento, e l’interpretazione delle risposte agli stimoli di marketing che si sono ottenute attraverso dai primari o che si sono stimate attraverso dati secondari. L’output del processo di segmentazione rappresenta l’input del targeting, ovvero del processo di valutazione dell’attrattività dei segmenti e di selezione dei segmenti obbiettivo, su cui si costruisce la value proposition. LA VALUTAZIONE DELL’ATTRATTIVITA’ DEI SEGMENTI I criteri per la valutazione dell’attrattività dei segmenti seguono una logica di tipo Swot analysis, che è uno strumento di pianificazione strategica usato per valutare i punti di forza, di debolezza, le opportunità e le minacce di un progetto in un impresa in cui un organizzazione o un individuo deve prendere una decisione per raggiungere un obbiettivo. La Swot analysis comprende: L’analisi esterna, consiste nell’esame della concorrenza e della domanda; essa ha una dimensione statica e dinamica, perché valuta a livello statico la pressione competitiva attuale e a livello dinamico la concorrenza potenziale L’analisi interna, si tratta di stimare in quale misura il segmento analizzato può essere efficacemente servito con la dotazione di risorse e competenze disponibili all’interno dell’impresa L’analisi reddituale, in questa fase il marketing manager provvede a tradurre l’analisi competitiva e della domanda in dati economici, costruendo una stima dei ricavi, dei costi e del margine di contribuzione che il segmento può generare nell’orizzonte temporale di riferimento LA SELEZIONE DEL SEGMENTO OBBIETTIVO Una volta incrociati i dati sulle preferenze che emergono dalla segmentazione con i dati sull’attrattività che emergono dalla valutazione dei segmenti, il marketing manager è in condizioni di selezionare uno o più segmenti obbiettivo. La selezione del mercato obbiettivo e il conseguente posizionamento rappresentano le azioni con cui il marketing manager mira a costruire la proposta di valore meglio rispondente al sistema di preferenze espresse dall’acquirente. Vengono distinti 5 modelli di targeting: Il targeting concentrato, viene scelto da quelle imprese che intendono massimizzare la conoscenza sul segmento obbiettivo e ottimizzare le risorse disponibili Il targeting per specializzazione selettiva, è utilizzato dai marketing manager che intendono diversificare il rischio e cogliere le opportunità di crescita presenti nel mercato Il targeting per specializzazione di prodotto, consente la copertura di più di un segmento con la stessa linea di prodotto Il targeting per specializzazione di segmento, costituisce la strategia opposta rispetto alla precedente; poiché si predilige lo sfruttamento della conoscenza sul segmento, rispetto allo sfruttamento delle tecnologie di produzione La copertura completa, caratterizza quelle imprese che dispongono della scala necessaria per aggredire tutto il mercato, con offerte personalizzate in funzione delle preferenze dei singoli segmenti. In questo caso l’impresa sviluppa tante value proposition quanti sono i segmenti presenti sul mercato IL POSIZIONAMENTO Se la segmentazione si riferisce al come un impresa interpreta le differenze esistenti nel mercato, e il targeting si riferisce al dove un’impresa decide di indirizzare le proprie azioni di marketing, il posizionamento si riferisce al cosa l’impresa propone al mercato target. Il posizionamento consiste nel definire l’offerta e l’immagine di un impresa in modo tale da consentire di occupare una posizione distinta e apprezzata nel mercato obbiettivo. LE STRATEGIE PER POSIZIONARE LA VALUE PROPOSITION Le strategie di posizionamento, che mirano a costruire l’identità della value proposition, si articolano su due momenti: Scelta delle caratteristiche idiosincratiche, tali caratteristiche sono di 6 tipi: o Gli attributi; un impresa si posiziona sugli attributi quando stimola l’attenzione del mercato su specifici elementi tangibili o intangibili della propria offerta o I vantaggi o benefici: l’impresa indirizza l’attenzione all’incremento di benefici o alla riduzione di sacrificio che l’utilizzatore può derivare dalla fruizione del bene o servizio o Le applicazioni; l’impresa enfatizza la validità del prodotto per un’applicazione specifica o Le categorie di utilizzatori; strategia che mira a trasmettere la sintonia tra tipo di prodotto e tipo di utente o Le categorie di prodotti; o I livelli di qualita/prezzo; strategia che punta sulla convenienza dell’offerta Scelta dei punti di riferimento, concorre a determinare la distintività del posizionamento. Vi sono due alternative a questo livello: o La scelta per distinzione; consiste nel non considerare la concorrenza esistente posizionandosi per distinzione ad essa, l’obbiettivo è quello di aprire un nuovo spazio di mercato per definire la propria identità o La scelta in relazione; consiste nell’utilizzare la concorrenza esistente, per posizionarsi in relazione ad essa. Vi sono tre strategie per posizionarsi in relazione alla concorrenza: Il posizionamento contro, si utilizza il concorrente diretto come parametro, e si mettono in luce i tratti distintivi del proprio prodotto Il posizionamento per associazione, si utilizza il gruppo strategico di concorrenti di riferimento per posizionare la propria offerta al suo interno, secondo una logica me-too Il posizionamento per dissociazione, segue una logica opposta al precedente, si utilizza un gruppo strategico di concorrenti per posizionare la propria offerta al suo esterno L’ANALISI DI POSIZIONAMENTO L’analisi di posizionamento ha come finalità la valutazione dell’efficacia della strategia che l’impresa ha seguito per collocare la propria value proposition nello spazio percettivo dei clienti target. La logica con cui si analizza l’efficacia della strategia di posizionamento è semplice: il posizionamento è tanto più efficace quanto la value proposition viene percepita come in assoluto più vicina ai livelli di prestazioni ideali ricercai dal target. Esistono quattro criteri di analisi dell’efficacia: Chiarezza, quando il target associa con precisione alla value proposition le relative caratteristiche idiosincratiche chiave Rilevanza, quando le caratteristiche idiosincratiche identificano la risposta ad un bisogno che il target percepisce come prioritario Positività, quando il target ritiene che la value proposition si avvicina al livello ideale di prestazioni richieste dal prodotto Distintività, quando il target percepisce distanza, cioè dofferenza, rispetto alla value proposition della concorrenza Uno degli strumenti utili per misurare con precisione il posizionamento di una value proposition nelle percezioni del mercato obbiettivo, e quindi per valutare l’efficacia è il multidimensional scaling (Mds), che si sviluppa attraverso un processo in tre fasi: I fase, ha come obbiettivo la rilevazione delle percezioni del mercato rispetto ad un insieme di prodotti concorrenti II fase, consiste nella rilevazione delle preferenze del mercato III fase, consiste nella riconduzione delle preferenze e delle percezioni di sintesi a caratteristiche idiosincratiche unidimensionali Attraverso un algoritmo, è possibile ottenere tre output grafici dall’analisi Mds: Mappa delle percezioni, che rappresenta su un piano cartesiano il posto occupato da ciascun prodotto indagato Mappa delle preferenze, che rappresenta sul medesimo piano la distribuzione di preferenze del mercato, e rileva l’eventuale agglomerazione del mercato in segmenti, identificando lo spazio occupato dai rispettivi livelli ideali di prestazione Mappa di posizionamento, si costruisce con la sovrapposizione della mappa delle percezioni e della mappa delle preferenze, essa consente di rilevare la posizione di ciascuna value proposition rispetto alle preferenze della domanda e alla collocazione della concorrenza CAPITOLO SESTO LA DEFINIZIONE DELLA VALUE SELLING PROPOSITION: LE POLITICHE DI PRODOTTO La competizione non si manifesta sui prodotti fabbricati dalle imprese, ma tra ciò che le imprese aggiungono ai prodotti in termini di confezione, servizi, comunicazione, assistenza al cliente e altri elementi che hanno un valore per il cliente. Due prodotti anche se sono identici nelle loro componenti fisiche, possono essere apprezzati in maniera molto diversa dagli individui che li acquistano perché l’apprezzamento non considera soltanto gli attributi immediatamente tangibili di un prodotto, ma coinvolge una pluralità di fattori tangibili, e soprattutto intangibili. Per un concorrente è senza dubbio più facile imitare le caratteristiche fisiche di un qualsiasi prodotto, piuttosto che il suo valore complessivo, inteso come la risultante del combinarsi di elementi fisici e di elementi intangibili. La capacità dell’impresa è dunque, quella di pensare e di progettare il prodotto non come un bene fisico, ma come un insieme di opportunità di relazione con il cliente orientate alla creazione di valore. Le scelte che definiscono la politica di prodotto attengono a: I livelli di prodotto La composizione e l’articolazione della gamma Il nome e la marca La confezione L’architettura della marca LE SCELTE DI DIFFERENZIAZIONE DEL PRODOTTO: DAL VANTAGGIO ESSENZIALE AL PRODOTTO POTENZIALE La ricerca di differenziazione non deve, quindi, limitarsi agli attributi fisici di un prodotto, ma deve individuare tutti gli elementi a cui i clienti sono interessati e a cui attribuiscono valore. Qualsiasi prodotto o servizio può essere configurato a cinque livelli: Il vantaggio essenziale, è il punto di partenza, e costituisce il beneficio fondamentale che il cliente realmente riceve. Il prodotto generico, il vantaggio essenziale deve essere incorporato in un prodotto generico in grado veicolarlo Il prodotto atteso, quando un soggetto acquista un determinato prodotto, si aspetta che esso presenti determinate caratteristiche, che definiscono il prodotto atteso Il prodotto ampliato, comprende i vantaggi aggiuntivi che distinguono l’offerta di un’impresa da quella di un’altra Il prodotto potenziale, identifica tutti i possibili ampliamenti e le trasformazioni di cui il prodotto potrebbe essere oggetto per rispondere in modo unico, originale, e irripetibile alle esigenze dei clienti, arrivando persino a sorprenderli Partendo dal vantaggio essenziale, l’offerta dell’impresa amplia via via la sua portata, cercando di seguire l’evoluzione del bisogno del cliente per soddisfarlo nella sua totalità e addirittura per anticiparlo. COMPOSIZIONE E ARTICOLAZIONE DELLA GAMMA Tutte le imprese, industriali e commerciali, hanno individuato nell’espansione della varietà di prodotti una strategia competitiva efficace ed efficiente. Poiché da un lato ogni variante aggiuntiva genera un aumento delle vendite e dei profitti, dall’altro non necessariamente crea costi aggiuntivi, ma può, anzi, essere fonte di risparmi perché sfrutta risorse e competenze già acquisite e potenzia le sinergie e i sincronismi che si creano in una collezioni di varianti. Per qui le imprese hanno ricercato soluzioni adatte per governare in modo efficiente ed efficace il portafoglio prodotti. Quest’ultimo rappresenta l’insieme dei prodotti offerti sul mercato da un impresa. Il problema sta proprio nel mettere il cliente al centro della progettazione del portafoglio prodotti, in modo che quest’ultimo sia sempre in sintonia con il cliente e che questi vi trovi senza fatica una soluzione adatta a soddisfare le sue esigenze. La gamma è la combinazione di prodotti offerti da un’impresa, che può includere una sola o numerose marche, è strutturata gerarchicamente in almeno tre livelli: Al livello più elementare ci sono le varianti di prodotto Le varianti sono raggruppate in linee di prodotto, queste accumunano un insieme di varianti presenti in un portafoglio secondo i seguenti criteri: o Soddisfano una stessa classe di bisogni o Sono complementari per l’uso o Sono venduti allo stesso segmento di clienti o Sfruttano gli stessi canali di distribuzione o Appartengono alla stessa classe di prezzo L’insieme delle linee costituisce la gamma Per valutare la dimensione di una gamma di prodotti si utilizzano tre misure: L’ampiezza, si riferisce al numero delle linee offerte La profondità, si riferisce al numero di varianti di ciascuna linea La lunghezza, si riferisce al numero totale di varianti della gamma La coerenza, rappresenta una misura qualitativa che si riferisce a quanto strettamente sono correlate le diverse linee di prodotti LE POLITICHE DI LINE EXTENSION, DI FLANKERING, DI FACE LIFTING E DI RESTYLING Le caratteristiche di una gamma sono definite dalle coordinate scelte dall’azienda nel posizionarsi rispetto all’ampiezza, alla profondità, alla lunghezza e alla coerenza. Rispetto all’ampiezza possiamo adottare delle politiche di ampliamento della gamma, con l’aggiunta di nuove linee di prodotto. Rispetto alla profondità possiamo effettuare diverse azioni che distinguiamo in: Azioni di tipo quantitativo, che a loro volta si distinguono in: o Line extension, che indica un generico approfondimento della linea di prodotti in qualunque direzione o Flankering, che è un tipo di line extension motivata non tanto dalla volontà di appagare preferenze e gusti meramente soggettivi o di raggiungere clienti appartenenti a diversi segmenti, quanto dall’esigenza di soddisfare bisogni specifici eterogenei e di consentire molteplici modalità di utilizzazione dei beni. Il flankering, quindi, consiste nell’aggiunta ad una linea di prodotti di nuove varianti rivolte a specifiche occasioni d’uso Azioni di tipo qualitativo, che a loro volta si distinguono in: o Face lifting, che rappresenta una modifica di attributi estetici o Restyling, che implica una modifica sostanziale degli attributi fondamentali dei prodotti Azioni di tipo quali-quantitativo, che a loro volta si distinguono in: o Trading-up, consiste nell’aggiungere ai prodotti già in assortimento un articolo di prezzo più elevato e prestigioso o Trading-down, consiste nell’aggiungere ai prodotti già in assortimento un articolo di prezzo più basso e meno pregiato Rispetto alla lunghezza non è possibile effettuare particolari azioni, poiché questa dimensione risulta modificata dalle scelte rispetto all’ampiezza e alla profondità. Invece, a seconda del grado di coerenza fra nuovi prodotti introdotti nel portafoglio ed i precedenti, è possibile distinguere la diversificazione dall’integrazione (es. virgin e barilla). L’IMPATTO DELLA VARIETA’ SULLA GESTIONE DEL PORTAFOGLIO PRODOTTI: SINERGIE O CANNIBALIZZAZIONE? Una nuova variante di gamma può avere sia effetti positivi, e quindi far aumentare le vendite della linea di prodotti, sia effetti negativi, cioè sottrarre vendite ad un’altra variante. Quest’ultimo fenomeno, prende il nome di cannibalizzazione, secondo cui un prodotto lanciato sul mercato sottrae vendite ad un prodotto presente nel portafoglio della stessa azienda, perché i due prodotti sono molto simili fra di loro. Possono esserci diversi tipi di cannibalizzazione: Cannibalizzazione totale, il nuovo prodotto sottrae il 100% delle sue vendite al prodotto già esistente Cannibalizzazione parziale e aumento della domanda, il nuovo prodotto sottrae vendite al prodotto già esistente ma espande la domanda primaria Cannibalizzazione parziale, aumento della domanda e diminuzione della quota del concorrente, il nuovo prodotto sottrae vendite al prodotto già esistente e al prodotto concorrente, ma espande la domanda primaria Assenza di cannibalizzazione, situazione ideale, poiché il nuovo prodotto sottrae vendite al prodotto concorrente ed espande la domanda primaria Il marketing manager dovrebbe analizzare una serie di elementi prima del lancio, quali: Valutare il potenziale di cannibalizzazione (che si determina attraverso ricerche e test di mercato) studiando la sostitutività tra marche e varianti dal lato della domanda Stimare gli effetti economici-finanziari della cannibalizzazione Stimare l’incremento delle vendite necessario per neutralizzare l’effetto di cannibalizzazione La cannibalizzazione genera effetti economico finanziari rilevanti, di cui è opportuno tenere conto nella decisione di ampliare la gamma di prodotti. Considerare gli effetti economico-finaziari della cannibalizzazione significa predisporre un prospetto che contabilizza i ricavi, i costi, e gli investimenti incrementali. Per costruire il prospetto bisogna raccogliere informazioni sulle vendite generate dall’espansione della domanda primaria, vendite sottratte alla concorrenza ecc. con questi dati è possibile calcolare l’incremento delle vendite necessario per mantenere invariati i margini e quindi per neutralizzare l’effetto di cannibalizzazione: Volume incrementale per neutralizzare la cannibalizzazione = Volume cannibalizzato x (Margine vecchio prodotto/margine nuova variante) LA MARCA La marca rappresenta una promessa riguardante l’esperienza che i clienti possono attendersi dall’offerta di mercato dell’impresa e dalla loro relazione con il fornitore. Per marca si intende un nome, una parola, un simbolo, un disegno o una combinazione di questi aventi lo scopo di identificare un prodotto o un servizio di un venditore o di un gruppo di venditori e di renderli differenti da quelli concorrenti. Origini del termine “brand”: il moderno brand deriva dall’inglese “marchiare”. Il termine ricorreva, già nel XVI secolo, all’interno dell’espressione fire brand per indicare l’operazione di marchiatura. Alcune precisazioni terminologiche: Nome di marca (brand name) es. Chanel Effigie di marca (brand mark) es. le due C Marchio di fabbrica (trademark) es. ™ Ragione sociale (trade name) es. Ford Motor Company Marca integrale es. Alitalia Il marchio, inteso come trademark, viene protetto dall’art. 2569 del Codice Civile, secondo cui “Chi ha registrato nelle forme stabilite dalla legge un nuovo marchio idoneo a distinguere prodotti o servizi ha diritto di valersene in modo esclusivo per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato”. Bisogna cercare di tutelare la marca contro il rischio che essa diventi un termine generico, come ad esempio è successo per: Scotch, Biro e Aspirin. Le funzioni della marca, vantaggi per l’impresa: Funzione di protezione, l’inventore di un nuovo marchio può registrarlo per una o più categorie di prodotti in base ad una classificazione internazionale Funzione di posizionamento, la marca dà all’impresa la possibilità di posizionarsi rispetto alla concorrenza e di far conoscere al mercato le caratteristiche distintive della propria offerta Funzione d’investimento, sull’immagine della marca si ripercuote il “capitale” di soddisfazione che la marca ha prodotto Classificazione tipi di marca: Marca del produttore Marca commerciale (del rivenditore, del distributore o del punto vendita) Marca su licenza Co-branding Le funzioni della marca, vantaggi per gli acquirenti: Funzione di identificazione: capacità di sintetizzare una serie di attributi che il prodotto possiede e che permettono al consumatore di individuarli. Funzione di orientamento: capacità informativa che agevola il consumatore nelle proprie scelte. Funzione di garanzia: consiste nell’assicurare il consumatore circa il mantenimento di un livello specifico e costante di qualità. Funzione di praticità: capacità, negli acquisiti ripetuti, di far adottare dei comportamenti routinari che riducono il tempo ed i costi. Funzione ludica: capacità generare piacere attraverso un processo di scoperta e di selezione fra più marche. Funzione di personalizzazione: capacità di esprimere la propria personalità, soddisfacendo l’esigenza di diversità. La brand equity è la sintesi della forza di una marca sul mercato di riferimento. Essa rappresenta insieme delle risorse (o dei costi) legati al nome e al simbolo della marca che si aggiungono (o si sottraggono) al valore che un bene o servizio fornisce ad un’impresa e/o ai clienti di quell’impresa. La brand equità può essere definita anche come il valore monetario (attuale e/o potenziale) degli effetti differenziali che conoscenza (brand awareness), immagine (brand image) e fedeltà alla marca (brand loyalty) producono sulla risposta dei consumatori verso le politiche di marketing dell’impresa. Un indicatore di brand equity è la misura in cui i clienti sono disposti a spendere per la marca. Le principale decisioni relative alla creazione di marche forti sono: Posizionamento di marca, che dipende da: o Gli attributi del prodotto o I benefici o I valori e le credenze Scelta del nome di marca (naming), al fine di svolgere le sue funzioni la marca deve essere: o Appropriata o Breve e facile o Convincente o Distintiva o Si deve, inoltre, evitare il più possibile di fare errori di naming Sponsorizzazione della marca Sviluppo della marca Politiche di marca delle imprese multi-prodotto: uso di una sola marca; es. Cartier uso di marche differenti (marca individuale); es. Procter & Gamble uso di marche diverse per linee; es. Barilla uso di marche miste (marca individuale con richiamo); es. Ferrero Il re-branding è il fenomeno secondo il quale si sostituisce il nome di una marca con un altro, mantenendo invariato il portafoglio prodotti della marca; le situazioni più ricorrenti di re-branding sono due: La marca acquisita ha un posizionamento praticamente identico alla marca già in portafoglio. La ragione principale dell’acquisizione è la forza della marca acquisita nel suo mercato d’origine, forza che rende difficoltosa, lunga, dispendiosa e comunque incerta la conquista di una pari quota di mercato La marca acquisita ha un posizionamento distinto rispetto alla marca in portafoglio, ed è questa la ragione dell’acquisizione, tuttavia alcuni prodotti della gamma sono fortemente sovrapposti IL PACKAGING Per confezionamento (packaging) si intende l’insieme delle scelte relative a ciò che contiene e avvolge il prodotto. Quando un impresa progetta il packaging di un prodotto deve considerare sette funzioni fondamentali che esso svolge: Proteggere, la confezione ha, quindi, lo scopo di proteggere il prodotto nel corso dei suoi trasferimenti dai vari rischi: o Rischi statici, causati dalla permanenza nei luoghi di stoccaggio o Rischi dinamici, causati da urti e vibrazioni nella fase di trasporto o Rischi climatici, alterazioni che possono essere provocate da cambiamenti di natura e di umidità o Rischi biologici, modificazioni derivabili dal contatto con microrganismi dannosi Conservare, lo stato del prodotto nelle sue caratteristiche di integrità, funzionalità, fragranza, freschezza e igiene Identificare, un prodotto, cioè definire la categoria merceologica, alla quale esso appartiene e la funzione d’uso principale cui è destinato Differenziare, il prodotto dai concorrenti Esporre, il prodotto, funzione essenziale nelle forme di vendita a libero servizio Economizzare, sia i costi di logistica che quelli di produzione Comunicare, la capacità comunicativa del packaging si esprime a due livelli: o Verbale, le informazioni riportate sulla confezione (stampa o etichetta), allo scopo di illustrare il prodotto e di fornire istruzioni e suggerimenti per l’uso o Simbolico-visivo, entrano in gioco capacità meta comunicative riconducibili ad un più ampio universo culturale ed emotivo del consumatore-individuo Le funzioni del package si possono ulteriormente classificare in: Primaria, contenitore che salvaguarda le qualità intrinseche del prodotto Secondaria, contenitore che rende fruibile il prodotto nelle diverse occasioni d’uso, differenziandolo sotto il profilo funzionale Terziaria, contenitore che comunica al cliente in termini razionali ed emotivi CAPITOLO SETTIMO LA DEFINIZIONE E LA GESTIONE DEL PREZZO IL PREZZO TRA COSTI, CONCORRENZA E VALORE PER IL CLIENTE La determinazione del prezzo di vendita è un operazione non semplice, perché sulla determinazione del prezzo agiscono numerosissimi fattori. L’impresa, infatti, può fissare il prezzo di vendita al livello che ritiene più opportuno. Un modello manageriale utile per facilitare le decisioni di definizione e gestione del prezzo è quello che si fonda su tre orientamenti: Costi, rappresentano il limite minimo, una determinazione del prezzo al di sotto di tale valore non conviene per l’impresa dal momento che non è un’organizzazione di beneficienza Concorrenza, orientamento secondo il quale si deve scegliere un livello di prezzo che faccia riferimento all’esistenza di imprese che producono beni simili Clienti, rappresentano il limite massimo, dato dalla percezione del valore da parte della clientela, una determinazione del prezzo al di sopra di tale valore non conviene perché nessuno acquista Proprio in relazione a questi orientamenti la determinazione del prezzo può essere effettuata seguendo tre metodi: In base al costo In base ai concorrenti In base ai consumatori I METODI DI DETERMINAZIONE DEL PREZZO COST BASED I principali metodi per la determinazione del prezzo sulla base dei costi sono: Il mark up pricing. Il mark up pricing viene utilizzato quando l’impresa adotta un sistema contabile a costi diretti. I costi diretti sono i costi direttamente imputabili al prodotto, i costi indiretti, invece, sono i costi imputabili solo indirettamente al prodotto, tramite opportune basi di ripartizione. Nel mark up pricing, al costo diretto di prodotto viene aggiunto un ricarico percentuale idoneo a coprire una quota di costi indiretti e generare parte del reddito atteso. Secondo il Mark-up pricing, quindi, il prezzo viene determinato considerando i costi diretti, cioè imputati direttamente al nostro prodotto (es. materie prime) più una quantità che noi chiamiamo ricarico che deve avere il compito di coprire i costi indiretti o una parte dei costi indiretti e assicurare un margine di utile. In questa configurazione il mark-up (ricarico) è dato da i costi indiretti più il margine di utile. Il mark up (ricarico) non è, quindi, l’utile che l’impresa consegue, perché esso comprende non solo l’utile ma anche la quota di costi indiretti. Prezzo = Cd + Ricarico (costi indiretti + margine di utile) Il cost plus pricing. Il cost plus pricing viene utilizzato quando l’impresa adotta un sistema di contabilità analitica di full costing, ossia in grado di determinare sia i costi diretti di prodotto sia la quota dei costi indiretti. Secondo il metodo del cost plus pricing il prezzo sarà dato dai costi diretti che si sostengono per quel prodotto più i costi indiretti più il profitto. Il costo indiretto si viene a determinare mediante quei metodi di ripartizione su base unica o su base multipla; quindi, si sommano i costi diretti e i costi indiretti e si aggiunge il profitto. Il prezzo di vendita è dato dal costo pieno full-costing più il margine di utile, in questo caso il termine mark up assume un significato diverso rispetto al precedente (che includeva non solo il profitto sperato ma anche quella quota di costi che non erano direttamente imputati all’oggetto), perché coincide con il margine di utile. Prezzo = (cd + ci)/Q + π/Q Il prezzo-obiettivo. Questo metodo si fonda sulla logica della break even analysis. Per la sua applicazione, ci si basa, infatti, sull’analisi dell’equilibrio economico, con l’obbiettivo di determinare un livello di prezzo che sia prima di tutto in grado di coprire tutti i costi sostenuti dall’impresa, e successivamente, di consentire il raggiungimento di un obbiettivo di redditività. La determinazione del prezzo-obbiettivo avviene, quindi, adottando la formula della break even analysis. Si parte, pertanto dall’uguaglianza tra costi e ricavi: RT=CT (p x Q) = (cv x Q) + CF Il prezzo di break even risulta essere: Prezzo = (cv + CF)/Q il metodo del prezzo-obbiettivo, tuttavia, prevede che oltre alla copertura dei costi, il prezzo consenta anche la produzione di reddito. Pertanto, è necessario aggiungere il profitto: Prezzo = CF/Q + cv/Q + π/Q Nella rappresentazione grafica del Break even point il prezzo è il coefficiente angolare, cioè l’angolo che forma la curva dei ricavi totali. Se noi variamo il prezzo di vendita la curva dei ricavi totali si alza e si abbassa; se il prezzo è più elevato, il coefficiente angolare è più ampio e la curva sarà più vicina all’asse delle ordinate, questo significa che incrocerà la curva dei costi totali ad un livello più basso, perché se io vendo un prodotto ad un prezzo più alto mi basterà vendere un numero minore di quantità per raggiungere il punto di equilibrio e raggiungere tutti i costi. Quindi attraverso il prezzo-obbiettivo si cerca di determinare un prezzo di vendita che non solo copra i costi fissi e variabili ma consenta anche di realizzare l’obbiettivo di profitto prefissato. L’espressione CF + CV = RT deve essere modificata introducendo la variabile del profitto CF + CV + π = RT -------> CF + CV + π = (p x Q) -------> Prezzo = (CF + CV)/Q + π/Q Il costo differenziale o costo marginale. È un metodo di determinazione del prezzo a cui l’impresa può ricorrere in contesti “straordinari”. Si tratta di determinare il prezzo sulla base dei costi differenziali che la produzione genera. Questo metodo è tipico delle imprese con capacità produttiva insatura, e quindi, con costi fissi sostenuti e coperti da una produzione già venduta sul mercato. In tali casi, l’impresa può prendere in esame l’opportunità di vendere produzioni aggiuntive utilizzando come riferimento minimo il costo differenziale o marginale. Si tratta di una scelta rischiosa che necessita non solo di particolari condizioni tecnico-produttive, come la capacità produttiva insatura, ma anche di una netta separazione fra i mercati ai quali l’impresa si rivolge nella sua attività commerciale ordinaria e a quello a cui si rivolge con un prezzo basato sui costi differenziali. Il rischio di arbitraggi è, infatti, molto alto. In sintesi, il metodo di determinazione del prezzo basato sul costo differenziale non considera tutti i costi, ma solo quelli per la specifica produzione, ciò si verifica quando l’impresa ha già pienamente recuperato i costi relativi alla struttura produttiva. Questo metodo viene praticato in circostanze particolari che può dar vita agli arbitraggi, il rischio che sul mercato si vengono a trovare due prodotti uguali con prezzi differenti. I METODI DI DETERMINAZIONE DEL PREZZO COMPETITION BASED Nella prospettiva competion based è possibile adottare uno dei seguenti metodi di definizione del prezzo: Il metodo della parità della concorrenza. Esso mira a raggiungere un prezzo che sia pari al prezzo medio applicato dai concorrenti o al prezzo dei concorrenti considerati rilevanti dall’impresa. Una variante molto diffusa è il metodo price taker-price maker o metodo del differenziale costante, viene mantenuto uguale non il prezzo ma il differenziale di prezzo. Io mantengo sempre costante la differenza tra il price maker e il price taker, con questo procedimento mantengo costante la differenza tra me e i concorrenti, se lui l’aumenta di 10 io aumento di 10. Ad una o più imprese viene riconosciuto il ruolo di price maker e altre sono le imprese taker, esse quindi aggiustano il proprio prezzo rispetto a quello del maker. Il metodo del discount price e del premium price. Questi metodi prendono come riferimento il prezzo della concorrenza, ma mentre il discount price opta per un prezzo al di sotto di tale riferimento, il premium price opta per un prezzo al di sopra I METODI DI DETERMINAZIONE DEL PREZZO CUSTOMER BASED I metodi che abbiamo analizzato fino ad ora partono tutti dal prodotto, quantificano i costi per determinare il prezzo di vendita. Con i metodi basati sul valore percepito dal consumatore la situazione si ribalta. Attraverso questi metodi si cerca di capire quanto il cliente sarebbe disposto a pagare per il prodotto, dopo di che si fissa quello che potrebbe essere il prezzo di vendita, andandolo a confrontare con i costi che si sostengono. I modelli basati sul valore percepito dal cliente ( metodi basati sul consumatore) sono tre: Evc (economic value for the customer) La tecnica à la Fishbein Conjoint analysis È opportuno comprendere meglio cosa è il valore per il cliente; esso può essere espresso generalmente come il rapporto tra benefici ottenibili e costi. Più specificatamente è il rapporto tra benefici e performance del prodotto per i costi e tutti gli altri oneri che si devono sostenere in riferimento al prodotto (es. costi di gestione e smaltimento). Per misurare il valore per il cliente si possono utilizzare procedimenti differenti: alcuni privilegiano la prospettiva dell’impresa (es. Evc), altri quella del consumatore. EVC E TOTAL COST OF OWNERSHIP L’Evc, Economic value for the customer, misura il valore offerto ai clienti, a partire dal confronto fra i costi e i benefici offerti rispetto alle alternative di riferimento; è una misurazione che si fonda su caratteristiche tecniche osservabili dall’impresa. L’analisi dell’Evc viene condotta: Identificando i benefici e i costi che sembrano avere maggiore rilevanza per il cliente Individuando le caratteristiche che originano tali costi e benefici Misurando tali caratteristiche L’analisi del valore per il cliente si fonda uno o pochi attributi dell’offerta, per lo più attributi di facile misurazione. Nel caso dei prodotti durevoli si ricorre alla prospettiva dinamica Total cost of ownership, in questo caso il valore non è dato solo dal valore del prezzo iniziale, ma, anche da una serie di valori che sono rappresentati dal valore residuo (valore che io penso di poter recuperare nel momento in cui il prodotto esaudisce la sua utilità) i costi i manutenzione, di gestione, e di sostituzione. Evc = P – R + M + S + G TECNICA A’ LA FISHBEIN E CONJOINT ANALYSIS Il modello à la Fishbein si pone a metà tra la prospettiva management based e consumer based. Secondo questa tecnica il valore atteso è dato dalla performance, dalla prestazione, che un certo prodotto riesce a dare con riferimento ad un attributo per l’importanza di quell’attributo, si sommano tutti gli attributi del prodotto e si determina il valore atteso. Quindi, il valore atteso è il risultato della sommatoria dell’importanza relativa dei diversi attributi del prodotto (identificati nella fase di indagine qualitativa) ponderata con le rispettive percezioni di performance. Per determinare il prezzo si applica una semplice proporzione: il valore atteso del prodotto a sta al prezzo del prodotto a come il valore del prodotto b sta al prezzo del prodotto b. Poi si esplicita il prezzo del prodotto a che voglio calcolare e ottengo: P (a) = V(a) P(b)/ V(b) Questo valore non rappresenta il prezzo effettivamente praticabile, ma solo il c.d. prezzo di indifferenza. Il prezzo da praticare, pertanto, dovrebbe essere un valore inferiore rispetto a quello che emerge dalla misurazione alla Fishbein, in un intervallo compreso tra il prezzo del competitore e quello di indifferenza. La conjoint analysis è una tecnica di valutazione del valore percepito del cliente che viene calcolata seguendo un procedimento logico diverso da quelli analizzati precedentemente. Nel modello à la Fishbein si parte dalla valutazione delle singoli caratteristiche che il consumatore da dei singoli elementi per giungere attraverso il calcolo ponderato a determinare il valore del prodotto nel suo complesso, si va dal particolare al generare. Il procedimento della conjoint analysis è esattamente l’opposto perché in questo caso si parte dalla valutazione nel suo complesso del prodotto, per poi valutare la rilevanza dei singoli attributi. Tecnica à la Fishbein Importanza delle singole caratteristiche Valutazione del prodotto nel suo complesso COMPOSIZIONE Conjoint analysis Valutazione del prodotto nel suo complesso Importanza delle singole caratteristiche SCOMPOSIZIONE La conjoint analysis è una tecnica di analisi multivariata,si basa sulla costruzione di prodotti alternativi simulati, prodotti che vengono composti sulla base di ipotetiche caratteristiche che il prodotto può possedere, poi viene chiesto al consumatore di esprimere un giudizio sul prodotto nel suo complesso. Con la conjoint analysis, quindi, si ipotizzano prodotti alternativi, con caratteristiche diverse, e viene chiesto al consumatore quali preferisce tra queste alternative riguardo alle singole caratteristiche. Il consumatore inizialmente esprime giudizi sui prodotto alternativi simulati e non sui singoli attributi. Tuttavia, prima di analizzare le singole fasi, dobbiamo effettuare delle precisazioni terminologiche: Attributi, caratteristiche del prodotto, es. prezzo dimensione ecc. Livelli, valori che può assumere l’attributo, es. in riferimento alla dimensione i livelli sono grande piccolo o medio Concept, profilo costituito dalla combinazione dei differenti attributi Cartellino o card, scheda che presenta un concept L’analisi congiunta (secondo la tecnica full profile) prevede lo svolgimento delle seguenti fasi: 1. Identificazione dei benefici, degli attributi e dei livelli di prestazione. si deve cercare di capire quali sono i benefici che il consumatore ricerca in un certo prodotto e in relazione ai benefici quali possono essere gli attributi più importanti per il consumatore. Per identificare questo primo aspetto: i benefici, si utilizza quella che è la c.d. catena mezzi-fini che è una struttura concettuale, un ragionamento in cui si cerca di capire quali sono gli elementi che legano il prodotto costituito da una serie di attributi e il consumatore inteso come portatore di valori. Il prodotto possiede degli attributi che dovrebbero andare a soddisfare i benefici ricercati dal consumatore, benefici che a loro volta scaturiscono da valori che il consumatore possiede. ATTRIBUTI -> BENEFICI -> VALORI 2. Combinazione dei livelli e selezione dei prodotti simulati da sottoporre a valutazione. Configurazioni di prodotto ipotetiche (definite anche card) individuate dalla combinazione dei livelli degli attributi precedentemente selezionati. 3. Rilevazione delle preferenze o delle priorità di scelta relative alle alternative di offerta. In questa fase si raccolgono i giudizi di preferenza dei clienti in riferimento alle card di prodotto che gli sono state presentate. Il processo consigliato è quello del full profile conjoint, attraverso cui si chiede all’intervistato di suddividere le card in tre gruppi di preferenze, e poi si raccolgono le valutazioni attraverso una scala ad ancoraggio semantico, almeno pari ad 1-7. 4. Misurazione del contributo di ciascun livello di prestazione alla formazione del valore globalmente percepito nel prodotto. Si tratta di sviluppare un sistema di regressioni multiple; occorre, quindi, determinare per ogni attributo il peso di ciascun livello, attraverso la ricodificazione della classificazione precedente, per fa si che alle card maggiormente preferite corrispondano valori numerici maggiori, e poi si procede al calcolo dell’utilità parziali come differenza del valore medio. Le utilità parziali rappresentano il peso assegnato dal cliente a ciascun livello degli attributi nel processo di scelta. Più il ∆ , fra il livello più elevato e il livello meno elevato, è maggiore, più il livello è importante per il consumatore. 5. Misurazione dell’importanza relativa di ciascuna attributo. Questo coefficiente è dato rapportando lo scarto di utilità parziale dei livelli massimo e minimo relativi a tale attributo al totale degli scarti di utilità. 6. Misurazione del valore monetario dell’utilità. Il valore monetario dell’utilità unitaria si calcola come rapporto tra lo scarto dei livelli di prezzo massimo e minimo e le relative utilità. LA GESTIONE DEL PREZZO Le imprese nei contesti competitivi attuali giocano molto, possono competere sul mercato attraverso due strategie: Price competition, le imprese adottano strategie che competono sul prezzo, così si vengono a creare delle c.d. guerre di prezzo No price competition, manovre non di prezzo, che tendono ad evitare strategie di puro confronto di prezzo Le manovre di segnalazione fanno parte delle strategie di no price competition, esse sono: Le scelte di everyday low pricing, che si caratterizzano per una costante offerta di prodotti di uso quotidiano e a basso costo.La qualità ovviamente non è delle migliori, ma sono prodotti accessibile a tutti. L’utilizzo delle price matching guarantees offerte al cliente. Quando un’impresa esercita una politica di questo tipo garantisce ai propri clienti che, qualora questi ultimi fossero in grado di trovare un’altra impresa concorrente, offerente lo stesso prodotto ad un prezzo più basso, verrebbe rimborsata la differenza esistente tra il prezzo corrente ed il prezzo più basso riscontrato sul mercato. La segnalazione della struttura dei propri costi, fa riferimento ad alcuni attributi del prodotto che attribuiscono al prodotto un prezzo più elevato (es. parmigiano reggiano). Le manovre tipiche in una guerra di prezzo, le c.d. manovre di price competition, sono: Bundling/unbundiling Discriminazione e differenziazione del prezzo; si basano sul fatto che i consumatori non sono tutti uguali, nel senso che ciascuno ha una differente capacità reddituale, una differente disponibilità, una diversa propensione a pagare per un certo prodotto. La strategia connessa alla discriminazione fa leva sulla differente percezione dei clienti. Promozioni di prezzo e sconti quantità Fighting brands; brand che vengono creati dalle imprese per combattere la concorrenza di prezzo. Nell’ambito della gestione del prezzo assumono rilevanza prioritaria i temi della discriminazione del prezzo, dello sconto e del prezzo promozionale, del price bundling e unbundling, del prezzo di penetrazione e di scrematura. LA DISCRIMINAZIONE DEL PREZZO Si ha discriminazione del prezzo quando uno stesso prodotto o servizio viene venduto da una stessa impresa a differenti livelli di prezzo. la discriminazione del prezzo, però, richiede un corretto management della discriminazione; infatti, i mercati discriminati non devono possedere caratteristiche di sovrapposizione, se no vi è il rischio di arbitraggi. Se non ricorrono le condizioni per mantenere separata la domanda ci deve essere da parte dell’impresa una totale trasparenza nella comunicazione della discriminazione del prezzo (es. tariffe family e business). Esistono differenti tipologie di differenziali di prezzo: Differenziali verticali. Si manifestano quando vengono praticati prezzi discriminati nelle differenti fasi della filiera di commercializzazione di un prodotto (es. il prezzo di acquisto sul sito dell’impresa è diverso da quello presso il distributore). Differenziali geografici. Si manifestano quando vengono praticati prezzi discriminati in funzione della localizzazione geografica, generalmente in relazione ai costi di trasporto. Differenziali temporali. Si manifestano quando vengono praticati prezzi discriminati in relazione a differenti condizioni di pagamento connesse con il tempo o a differenti periodi temporali (es. prezzi di alta e bassa stagione). Per quanto riguarda la politica degli sconti, esistono differenti tipologie di sconti: Sconti funzionali. Es. quando si ritirano le merci direttamente al magazzino Sconti per quantità Sconti stagionali Sconti promozionali Abbuoni, riduzioni di prezzo ex post, dopo l’acquisto IL PRICE BUNDLING E UNBUNDLING Il price bundling consiste nella costruzione di un “pacchetto”di prodotti offerti al cliente e venduti ad un unico prezzo. esistono due possibili tipologie di bundling: Puro, o rigido, che prevede la vendita di due o più prodotti ad un unico prezzo, senza che ne sia possibile l’acquisto singolarmente Misto, o opzionale, per il quale è previsto l’acquisto combinato, ma è possibile l’acquisto separato dei prodotti oggetto di bundle Il price unbundling consiste nel frammentare l’offerta permettendo al cliente di “auto costruirsi” il prodotto (es. Computer). PREZZO DI SCREMATURA E PREZZO DI PENETRAZIONE Le strategie più diffuse nel caso del lancio di un nuovo prodotto sono il prezzo di scrematura e il prezzo di penetrazione. La strategia del prezzo di penetrazione prevede la determinazione, per il nuovo prodotto, di un prezzo molto basso. La motivazione principale è quella di ottenere, in breve tempo, ampi volumi. Tale strategie viene prevista per quelle tipologie di prodotti in cui il tempo di imitazione è rapido. La strategie del prezzo di scrematura prevede, invece, la determinazione di un prezzo iniziale molto elevato. Viene prevista per le tipologie di prodotto difficilmente imitabile e percepito come unico da parte del cliente. LA COMUNICAZIONE AZIENDALE: CONCETTI INTRODUTTIVI COMUNICARE VS INFORMARE La comunicazione aziendale fa parte dei processi operativi (che attengono alla gestione della value proposition, del prezzo e della comunicazione). Generalmente si ritiene che nel processo di comunicazione avvenga il semplice trasferimento di un messaggio già dotato di determinati significati. Tuttavia, è opportuno fare subito una distinzione fra comunicazione e informazione, nonostante nel loro significato generico vengano utilizzati come sinonimi. L’informazione è rappresentata dal trasferimento di un messaggio da un emittente ad un ricevente. Ha come unico obbiettivo quello di modificare il livello di conoscenza del destinatario (es. telegiornale). Si tratta di un processo ad una linea, cioè dall’emittente al destinatario. La comunicazione è qualcosa di diverso, si coglie il vero significato del termine andando ad individuare l’etimologia del verbo comunicare che significa “mettere in comune” qualche cosa. Con la comunicazione si vuole condividere qualche cosa, condividere non significa essere d’accordo, ma significa mettere in comune un certo pensiero. Si comunica per mezzo di un processo bidirezionale, che va dall’emittente al destinatario ma che importa anche un feedback, un processo di retrazione dal destinatario all’emittente. Con il processo comunicativo, quindi, non si ha un semplice trasferimento delle informazioni, ma si ha un processo di condivisione. Informare = trasferire. Processo ad 1 via; Comunicare = condividere, mettere in comune. Processo a 2 vie. IL PROCESSO DI COMUNICAZIONE Il processo comunicativo è circolare e coinvolge numerosi elementi: 1. La fonte emittente, è la persona o la struttura da cui ha origine la comunicazione, soggetto che vuole condividere con un altro il proprio pensiero. 2. La codifica, è il processo attraverso il quale un determinato pensiero viene trasformata in simboli, immagini, suoni, forme, e linguaggi, cioè in un messaggio comprensibile per il ricevente. È il passaggio dal pensiero al messaggio. 3. Il messaggio, è l’insieme di segni che la fonte trasmette. È strettamente legato alla fase della codifica, poiché è la concretizzazione del pensiero. Il messaggio può essere analizzato considerando due aspetti: Il contenuto (cosa dire), si deve tenere conto di due profili: o Quantitativo, il messaggio inviato deve avere un contenuto più o meno ampio; alle volte quando si hanno troppe notizie troppe informazione, il rischio è quello di confondersi, il rischio è rappresentato dalla ridondanza informativa, cioè un overdose di notizie che alla fine rendono quel soggetto incapace di comprendere il pensiero originario. o Qualitativo, sotto il profilo qualitativo si adottano due approcci comunicativi: Unidirezionale, un approccio con il quale si forniscono informazioni solo di tipo positivo (es. gran parte delle pubblicità in tv hanno un approccio unidirezionale, forniscono solo informazioni positive relative al prodotto). Bidirezionale, un approccio nel quale si forniscono elementi positivi e negativi. La struttura (come dirlo), riguarda le modalità attraverso le quali si realizza il messaggio. Esso è costituito da un insieme di segni che possono distinguersi in due tipologie: o Artificiali, sono le parole che utilizziamo nel linguaggio, le note musicali; sono frutto di convenzioni. o Naturali, sono quelli in cui non vi è dubbia interpretazione. Es. l’impronta di un animale. Si dice che il segno è qualcosa che sta per qualcos’altro. Se noi pensiamo ad una parola ( casa), è un segno che sta per qualcos’altro ( quell’abitazione in cui viviamo). Nel segno distinguiamo due elementi fondamentali: o Significato, è il concetto mentale. o Significante, è la forma espressiva. Prendiamo come esempio la parola cane, la forma espressiva è c-a-n-e; cui sottende un concetto: animale a 4 zampe, amico dell’uomo. Le relazione tra significato e significante possono essere invarianti, e in questo caso si parla di denotazione, quando non vi sono dubbi tra significante e significato; ma si possono avere anche delle connotazioni, che si hanno quando a quel si legano ulteriori significati. La comprensione dei segni è rasa possibile dai codici, che sono insieme di norme che regolano il rapporto tra significato e significante. Se emittente e ricevente non utilizzano lo stesso codice non possono comunicare. Tuttavia, l’utilizzo dello stesso codice è una condizione necessaria per la comprensione ma non è sufficiente; poiché si deve tenere conto anche del contesto in cui tale messaggio viene espresso. 4. Il canale, è il mezzo utilizzato per far si che il messaggio giunga al destinatario. es. telefono, internet, aria. 5. La decodifica, è la fase attraverso cui il destinatario, dopo aver recepito il messaggio per mezzo dei sensi, trasforma le parole in pensiero. Processo inverso a quello di codifica. 6. Il destinatario ricevente, è il destinatario del messaggio, il soggetto con il quale l’emittente vuole condividere il proprio pensiero. Quando il messaggio arriva al ricevente si conclude la prima parte del processo di comunicazione. La comunicazione tra emittente e ricevente può essere: One to one, uno ad uno Uno a molti (es. professore-studenti) Molti ad uno, anche se più difficile 7. Il feedback (o retroazione), poiché la comunicazione è un processo circolare, essa non si esaurisce nella trasmissione di un messaggio, ma richiede una risposta da parte del destinatario ricevente. Il feedback è, quindi, la risposta che il ricevente, dopo essere stato esposto al messaggio, rimanda alla fonte. 8. Il contesto, è l’ambiente nel quale il messaggio viene veicolato, all’interno del quale si possono verificare i c.d. rumori, elementi distorsivi che determinano la perdita di tutto o parte del messaggio. Responsabili delle distorsioni possono essere: Emittente, es. disturbi di pronuncia Ricevente, es. disturbi di ascolto Canale, es. disturbi telefonici Contesto, es. disturbi ambientali LA COMUNICAZIONE D’IMPRESA Emittente e ricevente possono essere persone fisiche o organizzazioni o animali. L’attività di comunicazione è svolta da tutte le organizzazioni (profit e no-profit). Si parla di comunicazione d’impresa quando l’attività comunicativa viene svolta dalle imprese, cioè dalle organizzazioni for profit. La comunicazione d’impresa sta diventando un attività sempre più rilevante. Poiché l’impresa nel suo normale operare entra in relazione con molti stakeholders, e l’attività comunicativa si occupa di gestire le relazioni con questi pubblici di riferimento; al fine di ottenere credibilità, fiducia, di essere sempre più rispondente alle attese dei suo interlocutori, di migliorare la propria immagine e quindi, di ottenere il consenso degli stakeholders, soggetti fondamentali per l’esercizio dell’attività d’impresa. La comunicazione aziendale comprende due aree: l’area della comunicazione esterna e quella della comunicazione interna. La distinzione fra comunicazione interna ed esterna si basa esclusivamente sulla collocazione dei pubblici di riferimento. Es. la comunicazione interna è rivolta ai lavoratori; mentre la comunicazione esterna è rivolta ai clienti. Spesso vi è una forma di sovrapposizione tra comunicazione interna ed esterna, perché a volte vi sono degli interlocutori ibridi. Alle volte certi soggetti possono assumere duplice veste, possono essere finanziatori e clienti ad esempio. Questa distinzione tra comunicazione interna ed esterna può generare confusione per la collocazione del pubblico. Proprio per questo, questa classificazione è stata superata a favore di un’altra un po’ più dettagliata in cui si distinguono 4 aree di comunicazione: Istituzionale, l’impresa, comunicando alla generalità dei pubblici la sua missione e la sua identità, mira ad ottenere credibilità strategica. Economico – finanziaria, ha l’obbiettivo di migliorare le relazioni con i portatori di risorse, evidenzia gli aspetti patrimoniali, reddituali e finanziari dell’impresa. Es. è rivolta ai finanziatori. Commerciale, ha l’obbiettivo di migliorare le relazioni con il mercato dei clienti finali e intermedi, evidenzia il valore dell’offerta aziendale, nonché la sua capacità di soddisfare i bisogni della domanda Gestionale, è rivolta a tutte quelle attività che hanno l’obbiettivo di assicurare il corretto svolgimento dell’attività gestionale dell’impresa. Generalmente ciascun tipo di comunicazione ricade sotto la responsabilità gestionale di un’area funzionale diversa. Infatti, la comunicazione economico finanziaria viene gestita dall’area finanza; la commerciale dall’area marketing; quella istituzionale dalla direzione, cioè dai vertici dell’impresa; e, quella gestionale dalla funzione organizzazione e personale. Tuttavia, l’ampliarsi degli stakeholders con cui relazionarsi, genera all’interno delle imprese un contrasto tra specializzazione del messaggio e del canale, e integrazione della comunicazione. (SPECIALIZZAZIONE VS. INTEGRAZIONE). Le ragioni della specializzazione sono riconducibili alla: Eterogeneità dei destinatari, soggetti che hanno un livello di comprensione diverso, hanno dei codici differenti nella lettura dei messaggi che a loro vengono inviati. Eterogeneità degli strumenti, alcuni strumenti si prestano a certi tipi di comunicazione altri strumenti ad altri tipi; es. televisione, giornale, bilancio d’esercizio. Elevata specializzazione fornitori Le ragioni dell’integrazione, cioè le ragioni dell’ l’integrated marketing communication, sono rivolte ad: Evitare messaggi contrastanti, si pone il rischio di inviare messaggi contrastanti. Es. alle volte il cliente è contemporaneamente finanziatore e lavoratore, se si utilizzano dei canali di comunicazione specializzate a questo soggetto potrebbero giungere dei messaggi che contrastano l’uno con l’altro. Realizzare economie, accentrare la comunicazione consente di ottenere un risparmio dei costi al’interno dell’organizzazione. Sfruttare le sinergie Quest’idea della comunicazione integrata è quella attualmente prevalente, la specializzazione è stata superata nel rispetto dell’idea di specializzazione, si vogliono integrare le varie forme di comunicazione tenendo conto dell’esistenza di canali specialistici. La tendenza è quella di integrare ma cercando di non disconoscere la specializzazione. CAPITOLO OTTAVO LE POLITICHE DI COMUNICAZIONE: LA PUBBLICITA’ IL PROCESSO DI PIANIFICAZIONE (IMC PLAN) Precedentemente siamo arrivati alla conclusione che l’idea attualmente prevalente è quella che riguarda la comunicazione integrata di marketing, che si sostanzia attraverso l’Integrated Marketing Communication Plan. Il punto di partenza del Imc Plan è la definizione dell’oggetto della campagna, da esso poi discendono gli obbiettivi della campagna, il budget, l’Imc strategy, l’implementazione e il controllo dei risultati. Tutti gli stadi del Imc Plan hanno una loro sequenza logica, e si condizionano reciprocamente. Abbiamo detto che il punto di partenza, lo starting point, del Imc Plan è L’OGGETTO DELLA CAMPAGNA, in questo stadio si tratta di definire ciò su cui si focalizza la comunicazione e per cui si intende promuovere la campagna di Imc, che può essere rappresentato da: Prodotto/servizio Brand Corporate (impresa) Dopo aver stabilito l’oggetto è necessario stabilire quali sono gli OBBIETTIVI DELLA CAMPAGNA. Per poter definire gli obbiettivi si deve rispondere a due interrogativi: Who e What? Grazie al targeting, individuiamo nel target group il destinatario del Imc, evitando sprechi, poiché i messaggi vengono indirizzati nel modo più preciso. Relativamente al secondo interrogativo, l’impresa si pone il problema su cosa rivelare al destinatario; l’impresa, infatti, a seconda degli obbiettivi che si pone può incidere: sulla conoscenza dell’esistenza del prodotto e delle sue caratteristiche, fornendo informazioni e fatti sullo sviluppo di atteggiamenti favorevoli, influendo sugli atteggiamenti e le percezioni sull’intenzione e la propensione all’ acquisto, stimolando il desiderio di acquisto Il problema è proprio quello di individuare quale tra questi effetti si intende perseguire. Altro aspetto della campagna da definire dopo gli obbiettivi è il BUDGET; esso risponde all’interrogativo How much? In questo stadio dell’Imc Plan l’impresa deve stabilire quanto investire nella campagna: poiché investire troppo poco non potrebbe consentire di raggiungere i potenziali obbiettivi di vendita e di conseguenza di profitto, ma investire troppo vorrebbe dire affrontare costi e investimenti non strettamente necessari che tenderebbero a ridurre il profitto. Per la definizione del budget si possono impiegare: Modelli di natura economica, il più noto è senza dubbio il “sales responde model”, che prevede la rappresentazione di una curva ad “s” che si può ottenere rapportando gli investimenti nella comunicazione sia alle vendite che ai contributi. Rapportando su un sistema di assi cartesiani gli investimenti nella comunicazione con le vendite otteniamo una curva che prima è quasi parallela all’asse delle ascisse poi aumenta, fino a che non arriva ad un livello in cui rimane costante. Nella prima parte del grafico la curva non cresce perché l’investimento in comunicazione è troppo basso, quindi non determina un aumento delle vendite; poi la curva è quasi costante perché arriva ad un livello di saturazione. Il problema è stabilire un budget che sia all’interno di questi limiti, cioè un budget che superi quella soglia minima ma che non vada oltre il livello di saturazione, perché non si determinano effetti convenienti. Rapportando, invece, gli investimenti nella comunicazione con il contributo notiamo che la curva prima tende a decrescere, poi aumenta e poi di nuovo diminuisce. Questa curva tende nella prima parte a diminuire perché l’impresa deve cercare di effettuare un certo numero di comunicazione perché si abbia un significativo ritorno economico; nella prima parte, quindi, il bilancio tra costi e ricavi significativi tende a diminuire. Poi man mano che aumentano gli investimenti, aumentano i profitti che l’impresa riesce a realizzare; fino ad un livello di spesa massima, è vero che le vendite continuano ad aumentare ma aumentano ad un tasso sempre più modesto ciò significa che all’impresa non conviene più investire, per questo si stabilisce un livello di spesa massima. È nel range tra spesa minima e massima che deve posizionarsi l’investimento in comunicazione. Modelli di natura manageriale, secondo cui il budget viene fissato secondo modalità diverse: o Metodo della percentuale sulle vendite, secondo cui l’impresa stabilisce che l’investimento in comunicazione deve essere pari ad una percentuale delle vendite dell’anno precedente. o Metodo degli obbiettivi da raggiungere, secondo cui l’impresa stabilisce l’investimento in comunicazione in relazione all’entità di vendite che si vogliono registrare nell’anno successivo. o Metodo dell’importo disponibile, è un procedimento residuale, secondo cui l’impresa prima copre tutti i costi aziendali, quello che rimane viene, poi, destinato alla comunicazione. o Metodo della parità competitiva, metodo abbastanza intuitivo, secondo cui l’impresa effettua un livello di investimenti in comunicazione pari a quello effettuato dalla concorrenza. Tutti i procedimenti hanno pro e contro. Il pro del metodo della percentuale sulle vendite è che si stabilisce l’importo dell’ investimento su dati precedenti, quindi, certi, però l’inconveniente è che non tiene conto che la situazione si può anche migliorare. Il metodo degli obbiettivi da raggiungere ha come inconveniente che si basa su dati aleatori. Altro procedimento è quello dell’importo disponibile, che magari può essere più realistico perché assicura la copertura dei costi aziendali, ma non tiene conto della concorrenza né degli obbiettivi che si vogliono raggiungere, quindi se l’impresa è inefficiente destinerà molto poco alla comunicazione, mentre sappiamo che si più investe maggiori sono i risultati. Il Metodo della parità competitiva guarda alle altre imprese non focalizzandosi su se stessa, si fa una specie di inseguimento della concorrenza. Successivamente alla definizione del budget è importante stabilire l’IMC STRATEGY, a tal proposito si deve rispondere a due interrogativi: How e Where? Si tratta di definire come andare a costruire il messaggio e dove, cioè quali strumenti comunicativi si vogliono impiegare. Per comunicare non esiste solo la pubblicità, ma tantissimi altri mezzi comunicativi, perciò in questo stadio si cerca di definire in che modo si vuole comunicare e quali strumenti utilizzare. L’IMPLEMENTAZIONE rappresenta, invece, il momento operativo di effettiva messa in onda della strategia Imc definita. Si richiede, poi, che vengano valutati i risultati attraverso l’ultima fase che riguarda il CONTROLLO DEI RISULTATI e che risponde alla domanda How effective? LA PUBBLICITA’ Il termine pubblicità nella lingua italiana, deriva da “pubblico” ed assume il significato di “rendere noto” ciò che fino a quel momento non lo era; il corrispondente termine inglese “advertising” deriva da “to advertise” = avvertire, privilegia il processo di natura commerciale finalizzato al raggiungimento del destinatario del messaggio; mentre il suo corrispettivo nella lingua francese “rèclame” = richiamo mette in evidenza l’aspetto di richiamo ad un’azione insita nel messaggio. In realtà, mettendo insieme i tre significati è possibile raggiungere la seguente definizione di pubblicità: “La pubblicità viene definita come la presentazione di un prodotto fatta da una fonte ben identificata (o identificabile in tempi brevi) attraverso un canale non personale la cui utilizzazione comporta il pagamento di un prezzo”. Possiamo, quindi, dire che perché si possa parlare di pubblicità è necessario che ricorrano dei requisiti: o La fonte deve essere identificata, o identificabile in tempi brevi, perché il destinatario del messaggio deve capire chi sta pubblicizzando il prodotto. o Il messaggio deve essere veicolato da un canale non personale, come ad es. la radio o la tv. Non è considerata pubblicità ad esempio quella che compie un dipendente nel parlare bene dell’impresa in cui opera. o L’utilizzo del canale comporta il pagamento di un prezzo. È proprio su questo requisito che si fonda la differenza tra pubblicità e sponsorizzazione. Vi sono numerosi criteri che classificano la pubblicità in relazione a: o Tempo: campagne annuali, estive, primaverili, autunnali, invernali ecc. o Raggio d’azione: Local advertising vs International/Global advertising (es. Rtp vs Rai) o Pubblico: Consumer advertising (rivolta ai consumatori finali) Trade advertising (rivolta agli intermediari) o Mezzi impiegati: campagna stampa, campagna televisiva o campagna multimediale o Entità/Fonte su cui può potenzialmente ricadere il vantaggio dell’impiego di tale forma di comunicazione; l’entità può quindi essere rappresentata da: o L’azienda, ci si riferisce alla pubblicità istituzionale (corporate advertising) ha l’obbiettivo di creare un’immagine favorevole dell’impresa e si pone a cavallo fra la comunicazione commerciale e quella istituzionale. o La marca, o una linea di prodotti di una certa marca (brand advertising) o Il prodotto, ci si riferisce alla pubblicità di prodotto, che ha come l’obiettivo di aumentare le vendite di un prodotto o Un’associazione o un consorzio di produttori, ci si riferisce alla pubblicità collettiva o Lo sforzo congiunto di più aziende o marche appartenenti a settori diversi (coopadvertising) LA PIANIFICAZIONE DELLA CAMPAGNA PUBBLICITARIA La pubblicità è un attività che generalmente viene dedicata all’esterno; infatti, la creazione del messaggio viene generalmente delegata ad un’agenzia di pubblicità. Un momento molto importante all’interno del rapporto tra azienda inserzionista e agenzia di pubblicità e il c.d. BRIEFING, incontro che si viene a realizzare tra l’azienda inserzionista e l’agenzia di pubblicità, attraverso il quale si deve capire cosa l’impresa inserzionista vuole pubblicizzare a quale target vuole rivolgerlo ecc. Oltre all’agenzia di pubblicità nel settore della pubblicità operano anche altri soggetti: o Le CONCESSIONARIE DI PUBBLICITÀ, sono strutture preposte alla commercializzazione degli spazi pubblicitari; imprese che acquistano e vendono gli spazi pubblicitari. o I MEDIA sono i soggetti attraverso i quali i messaggi vengono veicolati che vendono spazi pubblicitari alla concessionaria che si occupa di ricollocarli sul mercato. o Le AGENZIA MEDIA che predispongo dei pacchetti di spazi pubblicitari di concessionarie diverse alla fine di poter assicurare la copertura desiderata da parte del cliente. o Vi sono poi soggetti che svolgono attività di supporto: I FORNITORI DI SERVIZI. Gli istituti di ricerca, gli stampatori, le case di produzione, ecc. In genere un impresa che decide di fare pubblicità non invia un solo messaggio, ma attua una vera e propria CAMPAGNA PUBBLICITARIA, che è rappresentata da una serie di messaggi dal contenuto identico o simile che appaiono su uno o più media in un determinato periodo di tempo con riferimento a un certo prodotto. GLI OBBIETTIVI La definizione degli obbiettivi da raggiungere è di fondamentale importanza per la comunicazione pubblicitaria, proprio perché da essi discendono programmazione e controllo della campagna. È necessario, quindi, evidenziare quali finalità possano essere specificatamente assegnate alla pubblicità, sempre nel rispetto degli obbiettivi attribuiti all’Integrated Marketing Communication. Solitamente si suole distinguere tra: o Obbiettivi cognitivi, volti a far conoscere meglio il prodotto; o Obbiettivi affettivi e attitudinali, che mirano a suscitare emozioni e creare preferenze e atteggiamenti favorevoli verso il prodotto, la marca o l’azienda; o Obbiettivi comportamentali, tendono ad accrescere la fedeltà del cliente, agiscono sul comportamento e inducono all’acquisto e al riacquisto. Più specificatamente la pubblicità assolve a tre ruoli fondamentali: o Informare o Persuadere o Ricordare LA STRATEGIA CREATIVA La strategia creativa consiste nell’individuare le modalità migliori per realizzare il contenuto dei messaggi pubblicitari. Negli ultimi anni ha acquistato rilevanza la ricerca di un impatto comunicativo in grado di colpire l’emotività dell’acquirente agendo su qualità o prestigio della marca o del prodotto e affidandosi alla forza espressiva delle immagini. Spesso, infatti, per attirare l’attenzione dell’audience si ricorre a contenuti che esprimano fascino, eleganza ed esclusività. Ciò porta a considerare come l’impatto dell’annuncio pubblicitario non dipenda solo da ciò che si dice o si racconta al suo interno, ma da come lo si racconta. Nella realizzazione creativa di una campagna pubblicitaria si deve partire, infatti, da una COPY STRATEGY, un documento che racchiude la strategia creativa e che risponde a tre interrogativi: a chi comunicare? Che cosa comunicare? Come comunicare? La pubblicità può fare ricorso a particolari CHIAVI COMUNICATIVE, che vengono selezionate in funzione di ciò che meglio si addice al concetto da esprimere e alla natura del prodotto o della marca. Tra queste ricordiamo: o Confronto con la gente comune: si ricorre alla gente comune perché più attendibile o Testimonial: il ricorso a persone famose per attirare l’attenzione del pubblico. Rischi derivanti dall’uso della tecnica del testimonial: o L’invecchiamento del testimonial può determinare l’invecchiamento del prodotto o L’eccessiva notorietà o personale del testimonial possono offuscare il prodotto o Le vicende del testimonial possono incidere negativamente sul prodotto o Humor – Ironia: (es. Rocco Siffredi per Amica Chips) o Stili di vita; il messaggio sottostante è che l’utilizzo di quel prodotto riproduce lo stile di vita evidenziato nella pubblicità o Confronto: pone a confronto due prodotti non nominando il prodotto concorrente o Pubblicità comparativa: o Musicale: si ricorre a particolari motivi musicali (es. parmigiano reggiano) L’impatto di un messaggio dipende, in gran parte, dalla sua forza nella sintesi, dalla capacità, cioè, di comunicare in modo immediato una pluralità di contenuti. Ogni messaggio può essere articolato secondo un’impostazione a più livelli, l’impiego coordinato di tutti i livelli rinforza e arricchisce l’impatto del messaggio. I livelli sono cosi suddivisi: o PROMISE, la promessa di base o il beneficio principale che la marca o il prodotto intende mettere in luce (punto centrale del messaggio); può essere di carattere: o Funzionale, connesso alle prestazioni dello stesso (es. Svelto) o Merceologico, costituito da attributi concreti o Valoriale, che si rifà a dei valori (es. Bmw) o REASON WHY, (perché è), ha il compito di sostenere la promessa e renderla credibile attraverso argomenti a sostegno dei benefici proposti (es. Svelto) o SUPPORTING EVIDENCE, utilizzata per rinforzare l’attendibilità della promessa o della reason why o TONE OF VOICE, rappresenta le modalità di presentazione dei benefici e degli argomenti di sostegno in termini di linguaggio, stile e atmosfera; esso può essere estremamente variegato: scientifico serio scherzoso ecc. Per quanto riguarda gli elementi che caratterizzano la struttura del messaggio sono: o Layout, come il messaggio viene disposto e illustrato attraverso l’insieme di parole e immagini armonizzate tra di loro e organizzate per richiamare l’attenzione del pubblico o Head line, titolo, messaggio d’apertura o Body copy, parte argomentativa che spiega e sviluppa ciò che è stato dichiarato nella head line o Packshot, immagine del prodotto o Logotipo, nome dell’azienda o Trademark, simbolo del marchio aziendale o Pay off, frase conclusiva e riassuntiva del messaggio Organizzazione di un testo visivo o Organizzazione topologica (spazio) o Organizzazione eidetica (forme e linee) o Organizzazione cromatica (colori) LA STRATEGIA MEDIA Per media si intendono i mezzi attraverso i quali il messaggio pubblicitario è portato a conoscenza del target prescelto. La MEDIA STRATEGY concerne quindi la scelta dei mezzi di comunicazione su cui veicolare la campagna, in un’ottica di ottimizzazione dell’investimento dell’azienda utente. Tale strategia discende direttamente da quella pubblicitaria e si sviluppa coerentemente con la strategia creativa, essa prevede: o La scelta dei mezzi: stampa, tv, radio ecc. o Selezione dei veicoli: es. se stampa quotidiana, la decisione potrebbe riguardare la scelta tra “la Repubblica”o “Il corriere della Sera” o Definizione delle modalità di distribuzione temporale e spaziale dei messaggi, facendo riferimento agli indicatori di copertura e frequenza Relativamente alla media strategy si deve tenere conto di: o o o o o Audience, numero di soggetti esposti ad uno specifico media Target audience, i soggetti che si vogliono raggiungere per mezzo della media strategy Share of voice, obbiettivo della strategia, in stretta relazione con il budget Territorialità,ambito territoriale entro cui il messaggio deve essere diffuso Soluzioni di concentrazione o dispersione, cioè si deve individuare un valore compreso tra questi due estremi Tra i fattori che maggiormente influenzano le scelte della media strategy, alcuni hanno assunto un ruolo significativo, divenendo in alcuni casi indicatori di valutazione di efficacia, essi sono: o La COPERTURA NETTA (reach), rappresenta l’estensione della campagna, indica quante persone del target sono state esposte almeno una volta al messaggio in un determinato periodo di tempo; la copertura dipende dalla combinazione di mezzi e veicoli, si deve scegliere, infatti, un media che assicura una copertura netta più elevata. È data dal rapporto tra il numero degli individui raggiunti dal messaggio appartenenti al target e il target del mercato. o La FREQUENZA (opportunity to see), rappresenta l’intensità della campagna, indica il numero di volte in cui una persona viene esposta al messaggio in uno specifico periodo di tempo; in altre parole, indica quante occasioni di contatto con il messaggio, in media, ha raggiunto ciascun individuo. È data dal rapporto tra tra il volume complessivo dei contatti sviluppati ed il numero degli individui raggiunti. o Il GROSS RATING POINT (Grp), misura la pressione pubblicitaria; è un parametro convenzionalmente impiegato come indicatore di efficacia per valutare la capacità della combinazione tra i mezzi pubblicitari di raggiungere il proprio target group. Esso rappresenta la sintesi tra copertura e frequenza: Copertura Netta (Reach) x Frequenza Media (O.T.S.) Può accadere che ci si trovi a dovere selezionare un piano con il medesimo Grp, ovviamente proveniente da una differente combinazione tra frequenza e copertura: o Piano media A o Piano media B I due piano pur raggiungendo il medesimo Grp sono molto diversi fra loro, poiché in un piano si privilegia la possibilità di raggiungere una più ampia percentuale di pubblico (INFORMARE); mentre nel’altro è superiore la volontà di CONVINCERE. Un altro momento di fondamentale importanza nella pianificazione pubblicitaria è la DISTRIBUZIONE TEMPORALE DELL’INVESTIMENTO, che può avvenire nell’arco dell’anno o su tempi molto brevi. Si può scegliere ad esempio una terapia d’urto attraverso una forte concentrazione dei messaggi, oppure impiegare una distribuzione più diluita nel tempo, con un sequenza che, può presentarsi costante o intermittente. La concentrazione verrà prescelta per marche nuove che abbiano necessità di una rapida memorizzazione di nome, tipologia di prodotto; mentre una distribuzione non accentrata e più diluita sarà perseguita nell’intento di tenere vivo il ricordo di marca e prodotto. IL CONTROLLO DEI RISULTATI L’efficacia della pubblicità misura la capacità dell’impresa di raggiungere gli obbiettivi prefissati, data dal rapporto tra risultati e obbiettivi di una certa campagna pubblicitaria. La misurazione di questo valore è molto difficile, per una serie di motivi connessi alla difficile attribuzione alla pubblicità del risultato ottenuto. Ciò evidenzia la difficoltà di raggiungere misure globali di efficacia, avvalendosi, invece, di misure parziali di efficacia, ottenibili per mezzo di due tipologie principali di stima: o EFFETTO VENDITA, considera e misura l’eventuale aumento delle vendite provocato dalla pubblicità; viene misurato l’effetto delle vendite della pubblicità in relazione al volume delle vendite, al valore delle vendite e alla quota di mercato. L’effetto delle vendite è spesso di difficile o impossibile misurazione, poiché è difficile imputare esclusivamente alla campagna pubblicitaria l’incremento delle vendite, che possono derivare da una serie di fattori concomitanti; e inoltre gli effetti delle variazioni delle vendite generate dalla pubblicità non sempre sono immediate. o EFFETTO COMUNICAZIONE, considera i risultati non in relazione all’aumento delle vendite ma in termini di persone contattate; prende in considerazione: o I singoli mezzi, la stima dell’effetto comunicazione tende a valutare il numero delle persone che effettivamente sono state raggiunte dal messaggio pubblicitario (contatto), si ottiene, quindi, un numero medio che se confrontato con il costo affrontato per la campagna consente di determinare il costo per contatto, indicatore di efficienza( rapporto tra costi e ricavi, modo attraverso cui sono stati raggiunti i risultati); impiegato per valutare l’efficienza di un mezzo rispetto ad un altro. o Il singolo messaggio, si fa riferimento a ricerche pre-test e post-test o L’intera campagna, si fa riferimento al grado di notorietà della marca e del prodotto, anche se non possono essere imputabili alla pubblicità, ma possono dipendere da altri fattori come ad esempio la riduzione di prezzo. È opportuno, però, fare una riflessione: la pubblicità di massa sta entrando in crisi. Le cause di questa crisi sono: Affollamento dei messaggi; giornalmente, infatti, siamo colpiti da migliaia di spot e da altre forme di comunicazione; ciò sta determinando una sorta di antipatia nei confronti della tv perché ad esempio si utilizzano le tecniche dell’interruption marketing, si interrompe il film o il programma per mandare in onda la pubblicità Proliferazione dei media; ormai si comunica tramite telefonino, internet ecc; Frammentazione dell’audience su diversi media; prima vi era un solo canale, e tutti gli spettatori guardavano un solo canale, oggi ci sono moltissimi canali, per questo è molto più difficile raggiungere un numero elevato di consumatori Distrazione per multitasking; contemporaneamente il soggetto utilizza più media contemporaneamente Diffusione di tecniche ad skipping; tecniche per evitare la pubblicità Proprio per questa crisi della pubblicità, occorre ricercare maggiormente l’attenzione del destinatario del messaggio, attraverso: Mimetizzazione; si mandano dei messaggi mimetizzati, nel senso che lo spettatore è colpito ma senza rendersi conto che è pubblicità Inevitabilità; alcune emittenti non interrompono lo spettacolo , ma reclamizzano inserendo la pubblicità in basso Da spettatori a protagonisti; es. siti dove si può partecipare alla creazione del messaggio Viralità; messaggi che vengono trasferiti da individui ad individuo, es. perché fanno ridere “abbandona la Coca” Ricerca di nuovi canali; la possibilità di sfruttare nuovi media che prima non venivano utilizzati CAPITOLO DODICESIMO LO SVILUPPO E IL LANCIO DEI NUOVI PRODOTTI L’impresa ha la necessità di svolgere un’attività di innovazione, di realizzazione di nuovi prodotti, perché i prodotti presto o tardi sono destinati a morire, ed è quindi necessario che essi vengano continuamente innovati. Secondo qualche studioso le funzioni dell’impresa sono sostanzialmente due la funzione di marketing e la funzione di ricerca e sviluppo, poichè tutte le imprese oltre a occuparsi di vendere i prodotti devono anche sviluppare l’attività di innovazione. Essa viene svolta dalla funzione di ricerca e sviluppo, una funzione aziendale deputata a creare innovazione, cioè a creare qualcosa di nuovo, innovazione che può essere di tre tipi: Innovazione di prodotto, un’impresa realizza un nuovo prodotto utilizzando gli stessi processi produttivi o comunque utilizzando dei processi produttivi in cui vi è una modifica quasi irrilevante Innovazione di processo, facciamo riferimento al fatto che l’impresa continua a realizzare gli stessi prodotti ma li ottiene con modalità, con processi produttivi differenti, che evidentemente comportino dei risparmi di costo; consento di realizzare lo stesso prodotto con costi meno onerosi, il risparmio non necessariamente si ricollega ai costi di produzione, ma può essere ricollegato anche ad una minore onerosità dei costi di smaltimento ad esempio Innovazione di prodotto e di processo, si realizzano nuovi prodotti modificando i processi produttivi In questo tipo di analisi dobbiamo riporre la nostra attenzione su innovazioni, che la maggior parte delle volte riguardano sia il prodotto in sé che il processo produttivo. LA DOMANDA COME VETTORE DELL’INNOVAZIONE La realizzazione di nuovi prodotti può essere sviluppata facendo riferimento a due vettori di innovazioni, ossia due diverse modalità attraverso le quali si attiva il processo di innovazione; i vettori di innovazione sono: La SPINTA TECNOLOGICA o TECHNOLOGY PULL: secondo questo primo vettore i concept, ossia le idee di prodotto nascono all’interno dell’impresa non su sollecitazione dell’ambiente esterno, vengono spinti dalla tecnologia. Questi vettori danno vita prevalentemente a prodotti più innovativi, perché se l’impresa aspetta sollecitazioni dai consumatori questi non hanno conoscenze e competenze, mentre le innovazioni che vengono create e realizzate all’interno delle imprese da persone specializzate sono realmente innovativi, perché il personale tecnico ha maggiori competenze, guardano maggiormente al lungo termine; se invece sono i consumatori a dare questi input, l’innovazione si realizzerà ma sarà leggera. La TRAZIONE DELLA DOMANDA o DEMAND PULL: secondo questo vettore,invece, l’innovazione viene tirata dalla domanda, si dice che il demand pull è un innovazione che fa riferimento al mondo economico-finanziario, al mondo degli investitori, cioè persone che hanno i mezzi finanziari e allora cercano delle imprese nelle quali investire, imprese che possano creare prodotti innovativi. Altri autori, invece, quando parlano di demand pull fanno riferimento alla domanda di mercato, cioè alla domanda dei consumatori. Sia il vettore di innovazione di technology push che quello di demand pull ignorano il mercato, ignorano il consumatore; perché uno fa riferimento alla spinta tecnologica, l’altro fa riferimento a sollecitazioni che vengono dal mondo economico-finanziario. Il concetto di mercato è, invece, un importante vettore di creazione delle innovazioni. È opportuno analizzare una classificazione delle innovazioni, che fa ricorso ad una matrice, che classifica i tipi di innovazione a seconda del grado di novità per l’impresa e del grado di novità per il mercato. Vi sono quattro tipo di innovazioni particolarmente rilevanti: NEW TO THE WORLD: sono prodotti nuovi sia per il mercato che per l’impresa. Tali prodotti hanno richiesto all’impresa un importante sforzo in termini di investimento e il mercato li ha vissuti come prodotti completamente nuovi rispetto all’offerta presente sul mercato. RISEGMENTAZIONI: sono prodotti nuovi per il mercato ma non per l’impresa; rappresentano un’importante forma di innovazione, poiché permettono ad un determinato segmento di consumatori di beneficiare per la prima volta di un nuovo prodotto. Tali innovazioni di mercato che lo ri-segmentano, si riferiscono a strategie di imprese che ad esempio estendono l’utilizzo di un loro prodotto a nuovi segmenti di mercato. IMITAZIONI: prodotti nuovi per l’impresa ma non per il mercato. RIDUZIONI DI COSTO: presentano innovazioni limitate; poiché si tratta di prodotti che già erano conosciuti sia dall’impresa che dal mercato ma che magari presentano una riduzione di costo rispetto a quelli già esistenti. PROCESSO DI INNOVAZIONE Lo sviluppo dell’innovazione viene tradizionalmente interpretato come un processo da svolgersi seguendo un insieme di fasi; tra cui le più rilevanti sono: La creazione delle idee, che può essere collegata a nuovi servizi a nuove esigenze La selezione delle idee, in cui le idee create nella fase precdente vengono ridotte in un numero limitato, sulla base dei principi di economicità, di accettazione da parte del mercato, di fattibilità tecnologica e di efficienza economica-finanziaria del progetto Lo sviluppo del prototipo, relativo alla creazione fisica del prototipo di prodotto e servizio in modo da poter concretamente valutare la fattibilità tecnica ed economica, e quindi testare l’indice di gradimento Lo sviluppo del prodotto, relativo alla creazione definitiva del prodotto, per poter verificare il suo successo potenziale in seguito al lancio sul mercato Il lancio del prodotto sul mercato Questo processo che conduce alla realizzazione del prodotto può essere sviluppato secondo due approcci: Stage-gate: è un approccio basato sulla razionalità. In base ad esso il processo innovativo viene ripartito in una serie di fasi relative alle principali attività da svolgere per trasformare un’idea innovativa in un prodotto finito. Presenta una struttura completamente organizzata, costruita intorno ad una serie di fasi separate. Quest’approccio parte dall’osservazione dell’ambiente esterno per cercare di capire le esigenze del consumatore, poi effettua un’analisi aziendale, seleziona l’idea, sviluppa il prototipo, effettua un test di mercato e poi commercializza. Secondo questo approccio vi è una tecnica di concatenazione molto rigida, poiché ogni processo inizia meccanicamente quando quello precedente termina. Concurrent engineering: questo approccio mira ad attivare l’ambiente esterno, anziché mettere in campo processi di adattamento e presenta un processo di parallelizzazione che porta alla creazione di nuovi prodotti. Si tratta di un procedimento proattivo e non adattivo, attraverso cui l’impresa è protagonista del cambiamento, non guarda esclusivamente l’esigenza del mercato. Ogni fase non è rigida come nel processo precedente, proprio per la parallelizzazione che determina un processo circolare. LA GENERAZIONE E LO SVILUPPO DELL’IDEA DI PRODOTTO Recentemente è modificato il ruolo del consumatore all’interno dei processi innovativi, da soggetto passivo è divenuto attivo; il cliente non è più semplicemente destinatario dell’innovazione, ma viene considerato come partners o addirittura come protagonista dell’innovazione; si va a ricercare un rapporto con il consumatore che possa dare all’impresa delle indicazioni dei suggerimenti. Questo fenomeno di coinvolgimento del consumatore nel processo di innovazione prevede l’assorbimento della conoscenza del cliente. La conoscenza del cliente si fonda su queste quattro dimensioni: TIPO DI CONOSCENZA, funzionale o simbolica, il consumatore può avere delle aspettative di bisogni e desideri che sono connessi alle caratteristiche tecniche del prodotto ma anche ad aspetti simbolici Il LIVELLO DI CODIFICAZIONE, che può essere tacita o esplicita, il consumatore può esprimere quelle che sono le proprie preferenze e allora la codificazione è esplicita, oppure può essere tacita, ovviamente se tacita è più difficoltoso per l’azienda riuscire ad individuarla Il LIVELLO DI ANALISI, l’impresa può conoscere il consumatore nei suoi comportamenti di acquisto e di consumo individuali o nelle relazioni che lui insatura con altri soggetti Il LOCUS DELL’INNOVAZIONE, il luogo dove si svolge l’innovazione, a seconda che riguardi le caratteristiche “core”, centrali, base del prodotto oppure che riguardano degli aspetti periferici del prodotto che non attengono alla funzione primaria del prodotto Queste quattro dimensioni vengono rappresentate su un sistema di assi cartesiani, dal quale si evince che il problema è che molto spesso l’attività di innovazione tende nello studio della conoscenza del consumatore a concentrarsi sugli aspetti core del prodotto, sulle caratteristiche funzionali, su quello che è il consumo individuale della persona, su quelle che sono le esplicitazioni dei suoi bisogni e dei desideri. Non si va invece a scavare in profondità cercando di capire qual è la conoscenza tacita, cioè quanto non esprime il consumatore, quali sono i rapporti con il sociale, qual è la dimensione simbolica del prodotto, o ancora agli elementi periferici del prodotto. Questa rappresentazione ci indica che l’innovazione combinata con il consumatore non deve essere circoscritta, ma sempre più deve svilupparsi lungo queste 4 direttrici. Per sviluppare questa migliore conoscenza del consumatore si possono attuare delle tecniche di generazione della conoscenza di tipo diverso, vengono prese in considerazione relativamente a quelle variabili che prima abbiamo analizzato il locus della conoscenza e il livello di esplicitazione della conoscenza. Attraverso una rappresentazione che prevede come variabili il locus della conoscenza e il livello di esplicitazione della conoscenza vengono classificate quattro tecniche che prevedono la generazione di nuove idee di prodotto: REVERSE ENGINEERING: l’ingegneria al contrario, l’impresa cerca di innovare concentrandosi non tanto sul cliente quanto sul prodotto, e il livello dell’esplicitazione della conoscenza è elevato. L’impresa analizza i prodotti della concorrenza, non sta prendendo in considerazione il cliente, sta prendendo in considerazione i prodotti che i consumatori stanno apprezzando per cercare di capire perché il consumatore apprezza quelle caratteristiche. Non si pone l’attenzione sul consumatore ma sui prodotti che il consumatore ha apprezzato; proprio per questo l’esplicitazione è elevata. CREATIVITY TEMPLATES: il locus è il prodotto, e il livello di esplicitazione del prodotto è basso. Si fa un prodotto e si vede come rispondono i consumatori e poi si analizza quel prodotto. Nella tecnica precedente si analizzavano prodotti della concorrenza che già erano stati apprezzati dai consumatori, ci si concentrava su prodotti per i quali era esplicitata la conoscenza dei consumatori. In questa tecnica il livello di esplicitazione è basso perché l’impresa realizza questo prototipo per vedere come rispondono i consumatori. LEAD USER TECHNIQUE ed EMPATHIC DESIGN: prevedono come locus della conoscenza il consumatore ed un livello di esplicitazione piuttosto modesto. Sono delle tecniche diverse che vengono sviluppate a seconda del tipo di mercato nel quale ci si trova ad operare: mercati b2b (impresa to impresa) o b2c (mercati di consumo). I lead user sono gli utilizzatori del prodotto, coloro che già sono clienti dell’impresa, che tipicamente già utilizzano il prodotto e sono in grado di dare dei suggerimenti su come migliorarlo, sono quei soggetti dai quali l’impresa si attende un maggior contributo all’innovazione, perché loro utilizzando il prodotto possono essere in grado di sviluppare nuovi utilizzi di segnalare in maniera tecnica le problematiche che il prodotto presenta, non tutti gli utilizzatori sono lead users; sono lead users soltanto quelli che presentano la capacità di fornire un contributo. Si realizzano delle tecniche di coinvolgimento del consumatore o dell’utilizzatore nei processi di creazione, ma non in maniera esplicita come possono fare i focus group, che sono gruppi di utilizzatori o consumatori che vengono riuniti in una stanza e dove discutono sul prodotto sui modi per migliorarlo, sulle loro esigenze, ed esplicitano la loro conoscenza in occasione di questi incontri che potrebbero essere anche delle interviste in profondità, interviste ad uno ad uno. Nel caso delle lead user technique e delle empathic design si cerca di acquisire la conoscenza dei clienti in maniera indiretta facendo emergere cose che in realtà non vogliono dire coinvolgendoli magari in progetti comuni di sviluppo. Ci si concentra sul cliente acquisendo le informazioni in maniera indiretta, analizzando le loro tendenze di acquisto. Un esempio di queste tecniche è rappresentato dai c.d. innomediari, sono tecniche attuate per riuscire a capire il pensiero dei consumatori, senza fare delle interviste al FOCUS GROUP. Le imprese attraverso questi innomediari riescono a capire cosa pensano i consumatori dei propri prodotti, quali sono i giudizi. L’impresa quindi acquisisce la conoscenza in maniera indiretta, quindi, non facendo un intervista diretta, ma guardando i rapporti che loro intrattengono con questi innomediari, che sono siti in cui i consumatori si scambiano giudizi e pareri. LO SVILUPPO E IL LANCIO DEL NUOVO PRODOTTO SUL MERCATO Una volta realizzata l’idea occorre passare alle fasi successive: lo sviluppo e il lancio del prodotto. Affinché lo sviluppo e il lancio siano efficaci si deve agire su due variabili: Integrazione fra le funzioni; integrazione significa che le funzioni devono dialogare le une con le altre Collaborazione con i clienti Un esempio di Quality function deployment (processo di integrazione di competenze e conoscenze fra le varie aree funzionali) è “la casa della qualità” che impiega una matrice sui cui assi sono indicati gli attributi richiesti dal cliente e le specifiche produttive per realizzarli. La casa della qualità fornisce un criterio razionale per scegliere quali attributi sviluppare e con quale intensità renderli presenti nella messa a punto di un’innovazione di prodotto o servizio. IL LANCIO DEL NUOVO PRODOTTO: LA CENTALITA’ DELLA COLLABORAZIONE CON I CLIENTI Per quel che concerne il lancio del nuovo prodotto sul mercato un aspetto centrale nella logica dell’innovazione basata sulla collaborazione di mercato consiste nell’identificazione dei segmenti di clientela a cui indirizzare l’offerta in prima battuta. È possibile segmentare la popolazione in cinque cluster di riferimento: Pionieri, il segmento che acquista la tecnologia in netto anticipo rispetto al mercato di riferimento, grazie all’interesse che manifesta nei confronti del prodotto (tra il 5 e il 10%) I primi adottanti, coloro che acquistano il prodotto in seguito ai pionieri ma comunque prima del mercato di massa (tra il 10 e il 15%) La maggioranza anticipatrice, il mercato di massa che viene investito per primo dall’innovazione (tra il 30 e il 35%) La maggioranza ritardataria (tra il 30 e il 35%) Gli ultimi arrivati, rappresentano la coda della distribuzione normale del mercato (il rimanente 15-20%) Questi segmenti di clientela mostrano una differente attitudine verso la sperimentazione del nuovo prodotto e devono essere oggetto di attenzioni differenziali da parte dell’impresa. L’abilità di riuscire a colpire pionieri e primi adottanti può favorire una più veloce diffusione del prodotto nel mercato; sembrano inoltre meno sensibili al prezzo poiché più attratti dalle caratteristiche intrinseche dell’innovazione. CAPITOLO TREDICESIMO IL MARKETING DIGITALE Internet è il mezzo di comunicazione che ha generato una rivoluzione tecnologica che ha investito tutti i settori dell’economia. Il web non cambia il principio secondo il quale il cliente svolge un ruolo centrale nell’orientamento strategico dell’azienda e l’impresa deve sviluppare una value pro position strutturata intorno alla capacità di soddisfazione del cliente stesso. La rivoluzione riguarda il sostanziale potenziamento delle tecnologie di informazione e comunicazione che divengono essenziali per competere nel mondo virtuale. In passato le aziende erano abituate a costruire il loro marketing intorno al prodotto, oggi lo devono ripensare intorno all’informazione, poiché è l’informazione è più in generale la conoscenza, a garantire il sostenimento del vantaggio competitivo in ambienti virtuali. A parità di principi di marketing, le modalità analitiche, strategiche e operative, con cui viene concretamente realizzata l’azione di marketing, necessitano di essere adattate alla nuova realtà introdotta dal web di prima e, oggi, seconda generazione (il c.d. Web 2.0). mentre, infatti, la teoria di marketing si adatta bene agli ambienti virtuali, i modelli di marketing management richiedono un adattamento per poter essere impiegati in contesti digitali. Nel Web di prima generazione, la rete è prevalentemente un ambiente informativo e necessita di una produzione sistematica di contenuti. Nel Web di seconda generazione, che fa perno sul concetto di user generated content (ovvero il contenuto è prodotto direttamente dagli utenti), alla dimensione informativa si viene ad affiancare quella relazionale; infatti, le opportunità di collaborazione, tanto fra impresa e clienti, quanto fra gli stessi clienti, si moltiplicano. In sintesi, fare marketing sul web richiede un adeguamento dei modelli di riferimento tipici del marketing classico: la teoria rimane immutata, i modelli invece, devono essere sensibilmente adattati ai nuovi contesti digitali. LE PROPRIETA’ DELLA RETE CHE POTENZIANO I PROCESSI DI MARKETING Le proprietà della rete sono: Apertura e ubiquità: Internet è una rete aperta e ubiqua, che consente interazioni a costi ridotti. Internet è una rete aperta nella quale tutti possono accedere e iscrivere contenuti; e ubiqua nel senso che si può accedere da qualsiasi luogo. Contribuisce a ridurre qualsiasi distanza, ed è un ambiente democratico dove tutti hanno accesso alle medesime informazioni e possono portare il proprio contributo. Flessibilità: questa proprietà riguarda una maggiore flessibilità dell’azione strategica e operativa, con riferimento alla capacità di raccogliere informazioni dal mercato e alla capacità di trasferire informazioni al mercato stesso. Grazie alla flessibilità Internet ha il vantaggio di adattare i messaggi e i contenuti a soggetti differenti, mediante: o Il tracking, che riguarda la tracciabilità, attraverso cui si riesce a vedere quali siti il consumatore utilizza maggiormente o Il profiling, attraverso cui si definisce il profilo del consumatore Prima dell’avvento delle tecnologie di informazione e comunicazione, le imprese si potevano porre l’obbiettivo strategico di colpire l’intero mercato attraverso un prodotto standard venduto a prezzi accessibili (marketing di massa), oppure di raggiungere solo un gruppo di clienti, un segmento, disposti a pagare prezzi più alti per un prodotto adatto ai loro bisogni (marketing differenziato). La flessibilità propria delle tecnologie digitali permette oggi di colpire l’intero mercato con un sistema di offerta particolarmente differenziato al punto da giungere al singolo cliente, attraverso ad esempio le strategie di customerization. Per cui le imprese, oggi, possono compiere delle opzioni strategiche sulla base della flessibilità sia tecnologica sia di marketing; esse sono: o Marketing tradizionale, presenta bassi livelli di differenziazione tecnologica e di marketing o Mass customization, presenta un elevata differenziazione tecnologica, ma al contrario una limitata differenziazione di marketing. È quella che ad esempio si verifica con i computer fissi componibili; è infatti possibile realizzare grandi differenze tecnologiche tra un prodotto e un altro, ma dal punto di vista del marketing i prodotti si presentano senza grandi differenze o Customerization, presenta un elevata differenziazione sia dal punto di vista tecnologico che di marketing; il cliente viene considerato come co-creatore dell’offerta sviluppata dall’impresa sia in termini di innovazioni sia con riferimento alle scelte di marketing o Marketing one-to-one, presenta un elevata differenziazione di marketing, ed una limitata differenziazione tecnologica. I prodotti sono abbastanza simili dal punto di vista tecnologico, ma dal punto di vista del marketing vengono adattati alle richieste dei consumatori Velocità e durata: gli ambienti virtuali incrementano sensibilmente la velocità e la durata del coinvolgimento del cliente; si possono, infatti, avere interazioni con la clientela in tempo reale, e tali interazioni possono essere sempre più frequenti e durevoli. Accesso a conoscenza distribuita: gli ambienti virtuali consentono di incrementare la capacità dell’azienda di accedere alla dimensione sociale della conoscenza dei clienti; essi facilitano i processi di condivisione della conoscenza, dal momento che l’informazione può essere trasferita e condivisa in maniera più efficace ed efficiente. Reversibilità e plasticità: sotto il profilo delle interazioni sviluppate con i consumatori i clienti possono presentare diversi livelli di coinvolgimento nel tempo e in diverse occasioni. È opportuno evidenziare, inoltre, che le proprietà degli ambienti virtuali potenziano i processi di marketing lungo tre direttrici: La direzione della comunicazione, poiché il dialogo a due vie aiuta l’azienda a raccogliere una conoscenza sempre più approfondita sui clienti. L’intensità e la ricchezza dell’interazione, che aumenta in virtù dell’opportunità di raccogliere informazioni sempre più analitiche. La grandezza e il raggio d’azione del pubblico raggiunto, che possono aumentare, poiché l’azienda ha la possibilità di prendere parte in rete a interazioni mediate da terze parti indipendenti, i c.d. innomediari. In sintesi, mentre la conoscenza di consumo assorbita dall’impresa nei contesti tradizionali attraverso le classiche ricerche di mercato è prevalentemente di tipo funzionale ed esplicito, di fonte individuale e di limitata ampiezza; nei contesti virtuali l’impresa ha per la prima volta la possibilità di accedere in maniera sistematica e su ampia scala anche ad una conoscenza di consumo di tipo simbolico, di natura sociale, ad un livello di codificazione tacito e con un ampiezza rilevante. L’IMPATTO DELLA RETE SUL MARKETING CONCEPT E SUL MARKETING MANAGEMENT L’ambiente virtuale prodotto dalla rete, non fa altro che alimentare la complessità strategica dei processi competitivi e accresce ulteriormente l’idea secondo cui la customer satisfaction è al centro dell’impresa. Se, quindi, i principi di fondo del marketing non mutano nei contesti digitali, ma semplicemente si potenziano, la stessa affermazione non si può sostenere nei confronti del marketing management in rete rispetto ala marketing management tradizionale. Infatti, l’ampliamento e il potenziamento degli elementi di marketing rendono necessario un aggiornamento degli strumenti che possono impiegarsi per fare marketing management attraverso la rete. Gli strumenti utilizzati nel marketing tradizionale sono quelli del marketing mix basati sulle quattro P; con l’avvento del nuovo marketing centrato su interazioni con l’utente e condivisione di esperienza tra gli utenti, il marketing mix si realizza attraverso le tre C: content (comunicazione impresa-utente), community (comunicazione tra utenti) e commerce (che prevede le 4P). Il cliente rimane l’epicentro della strategia dell’impresa, tuttavia, a differenza delle tecnologie passate che non ne permettevano l’effettivo coinvolgimento nei processi di definizione dell’offerta, il web consente al cliente stesso di cooperare con l’impresa e con altri clienti nella messa a punto. Si è affermata sempre più una logica pull (tirata dal cliente) anziché push (spinta dall’impresa). Mentre prima l’impresa produceva, il cliente consumava e il mercato era il luogo dove avveniva lo scambio. Oggi, l’impresa e il cliente collaborano per co-creare valore e il mercato è il luogo in cui co-creare il prodotto. CAPITOLO DICIASSETTESIMO LE RICERCHE DI MERCATO IL SISTEMA INFORMATIVO DI MARKETING Le ricerche di mercato rappresentano il fondamento di qualsiasi decisione di marketing. Tuttavia, tenuto conto degli investimenti che le ricerche di marketing comportano, è legittimo valutare se sia sempre necessario svolgere una ricerca di marketing per assumere una decisione o se, piuttosto, i problemi da risolvere possano essere gestiti in altro modo. Le ricerche di mercato fanno parte dei processi di pianificazione e controllo e rappresentano dei sottosistemi del sistema informativo di marketing. Un SISTEMA INFORMATIVO DI MARKETING è un insieme strutturato di individui, macchine, e procedure utilizzato per generare un flusso ordinato di informazioni, raccolte da fonti sia interne sia esterne all’impresa, e destinate ad essere utilizzate come basi delle decisioni nelle specifiche aree di competenza del marketing. Il sistema informativo di marketing si suddivide in più sub sistemi a seconda che le informazioni vengano acquisite all’interno dell’impresa o dall’ambiente esterno; o ancora a seconda che si tratti di dati primari, che vengono raccolti per un determinato obbiettivo conoscitivo, sono quindi rilevazioni ad hoc , o di dati secondari se sono stati raccolti dall’impresa non per specifiche ricerche di mercato; i sub sistemi sono: Sub sistema di rilevazione interna, si occupa della raccolta, conservazione e trattamento dei dati necessari alla gestione aziendale. I dati a cui si fa riferimento sono quelli provenienti dai sistemi di rilevazione aziendali (es. i dati di vendita o i risultati di un’azione di direct marketing) Sub sistema informativo di mercato, comprende i dati riguardanti il macro e il micro ambiente; si tratta di dati secondari che provengono da fonti istituzionali o comunque da fonti esterne all’impresa Sub sistema di ricerca di mercato, quando le ricerche vengono commissionate a soggetti esterni, in questo caso vengono raccolti dati primari Sub sistema dei modelli di marketing, quando l’impresa realizza delle indagini, cioè ricerca delle informazioni ad hoc per definiti obbiettivi conoscitivi LE FASI DI UNA RICERCA DI MARKETING E I DISEGNI DI RICERCA Le fasi di una ricerca di marketing sono le seguenti: 1. 2. 3. 4. 5. Definizione dell’obbiettivo di ricerca Definizione del disegno di ricerca Raccolta dei dati Elaborazione dei dati Presentazione di un report La scelta del disegno di ricerca è strettamente correlata alla definizione dell’obbiettivo; può essere selezionato un disegno esplorativo, descrittivo o causale a seconda dell’obbiettivo. È bene precisare che le ricerche esplorative vengono anche dette qualitative, mentre quelle descrittive e causali vengono dette quantitative. La RICERCA ESPLORATIVA è volta a chiarire la natura di un problema, ad acquisire una migliore comprensione di una situazione di mercato, a fornire indicazioni per eventuali indagini future. La RICERCA DESCRITTIVA, invece, si propone di determinare le risposte alle seguenti domande: chi, che cosa, quando, dove e come (es. definire la struttura di un mercato). Infine, la RICERCA CAUSALE si propone di determinare i rapporti causa-effetto. LE TECNICHE DI RACCOLTA DEI DATI PER IL DISEGNO QUALITATIVO E QUANTITATIVO La scelta del disegno di ricerca, a sua volta, condiziona la selezione della tecnica di raccolta dei dati. Esistono tecniche di raccolta che rispondono ad obbiettivi di tipo qualitativo o di tipo quantitativo. Sono tecniche di tipo qualitativo: Le interviste in profondità, sono colloqui individuali gestiti da un ricercatore specializzato e protratti per un periodo di tempo Il focus group, può essere composto da 8-12 persone che, sotto lo stimolo e la guida di un moderatore, si confrontano per circa due ore, su uno o più temi da questo introdotti. Il ricercatore dispone di una traccia di discussione L’osservazione partecipata, tecnica attraverso cui si osserva il comportamento del consumatore mentre utilizza il prodotto Sono tecniche di tipo quantitativo: Il sondaggio, consiste nell’intervista strutturata (somministrazione di un questionario) ad un campione opportunamente selezionato di soggetti. Il questionario prevede una serie di domande aperte e chiuse. La somministrazione dello stesso avverrà personalmente, oppure al telefono, via posta o e-mail. La scelta del metodo di somministrazione varia al variare del budget a disposizione del ricercatore, dei tempi di raccolta dati a sua disposizione, dalle caratteristiche del questionario, del target e cosi via. L’osservazione strutturata, è un processo sistematico di registrazione degli schemi comportamentali di persone, oggetti o avvenimenti senza che il ricercatore li interroghi o comunichi con loro. La realizzazione di un’indagine di questo tipo presuppone la messa a punto di una griglia di osservazione, strumento che il ricercatore utilizzerà per prendere nota, in modo sistematico, dai comportamenti oggetto di studio. Tali comportamenti potranno essere osservati direttamente o indirettamente. CAPITOLO DICIOTTESIMO IL PIANO DI MARKETING Il piano di marketing si inserisce nell’ambito della pianificazione aziendale (business plan). Spesso, infatti, le imprese operanti in ambienti competitivi e dinamici si trovano a dover gestire una crescente complessità gestionale che richiede l’adozione di processi e strumenti decisionali improntati alla pianificazione. La scelta dei processi e degli strumenti decisionali vengono poi indicati nel piano di marketing. In funzione della dimensione dell’azienda e della numerosità delle combinazioni prodotti/mercati, possono esistere più livelli gerarchici di pianificazione: Piani di marketing con una valenza più strategica e aggregata per business unit Piani di gruppo di prodotti, di categoria merceologica Piani di prodotto o di marca Queste gerarchie di pianificazione non hanno ragion d’essere nella aziende di piccole e medie dimensioni, dove il tutto è più concentrato. LA STRUTTURA E I CONTENUTI DEL PIANO DI MARKETING Il piano di marketing può essere idealmente suddiviso in cinque parti sequenziali e tra loro strettamente interconnesse: 1. Introduzione al Piano, non è altro che un introduzione sull’azienda, sui suoi macroobbiettivi; in cui vi è la presenza di una sintesi manageriale l’Executive Summary 2. Analisi della situazione di Marketing 3. Swot analysis, in cui sono razionalizzate le minacce e le opportunità, le forze e le debolezze dell’impresa 4. Planning, si concentra sulla pianificazione vera e propria delle decisioni di marketing a livello degli obbiettivi, del buffe, delle azioni e della struttura 5. Controlli di marketing INTRODUZIONE Prevede l’Executive Summary, cioè il riassunto manageriale del piano di marketing; apre il documento per mettere in risalto i principali obbiettivi di marketing, le linee guida d’azione pianificate e un breve estratto delle previsioni economiche finanziarie, costituisce un vero e proprio biglietto da visita del documento. Poi l’Introduzione vera e propria si concentra sugli obbiettivi di fondo che l’impresa intende raggiungere nel breve e/o nel medio-lungo periodo; obbiettivi che possono avere sia natura economica (es. fatturato, margini, quote ecc.) che non economica (es. immagine ecc.) ANALISI DELLA SITUAZIONE DI MARKETING Per definire degli obbiettivi di marketing mirati e raggiungibili, è necessario fare bene il punto della situazione su quanto accade all’esterno e all’interno dell’impresa. L’analisi della situazione si marketing è fondamentale perché racchiude in sé tutte le informazioni fondamentali per supportare la pianificazione. Per realizzarla è necessario effettuare un audit di marketing: Audit esterno, che è volto alla conoscenza dell’ambiente di marketing e delle forze che in esso operano e contribuiscono a influenzare il comportamento dei clienti e dei concorrenti. L’audit esterno, quindi, evidenzia e analizza quali sono e come si comportano queste forze, in modo da identificare e valutare le minacce e le opportunità offerte: o Forze economiche: fanno riferimento al reddito disponibile e spendibile da parte delle famiglie, all’andamento dei risparmi, al livello di occupazione e di andamento dei prezzi, al costo di indebitamento ecc. o Forze socio demografiche: vengono messi in risalto tutti gli elementi legati alle caratteristiche e ai cambiamenti del quadro socio demografico in grado di evidenziare la presenza di opportunità o minacce per il business dell’impresa. o Forze tecnologiche e politiche: nel primo caso si fa riferimento alla disponibilità di nuove tecnologie, di materiali sostitutivi ecc. Nel secondo caso ci si riferisce, invece, al ruolo giocato dalla politica (es. governi, partiti ecc.) e alla conseguenza di norme che possano limitare o estendere il campo d’azione competitivo delle aziende. o Forze competitive: l’impresa deve fare i conti con la qualità delle risorse aziendali a disposizione e con le minacce provenienti dalla concorrenza. Le valutazioni del quadro competitivo devono indicare e descrivere con chiarezza quali sono i principali competitori diretti e indiretti (es. prodotti e tecnologie sostitutive emergenti) Tramite l’analisi di queste forze si determina l’esistenza o meno di opportunità non ancora sfruttate a livello di mercato, ed eventualmente di minacce che al contrario potrebbero ostacolarne il successo o lo sviluppo futuro del business del prodotto. L’audit interno, il cui obbiettivo è comprendere quali sono le risorse, le azioni e i risultati su cui, rispetto all’ambiente di riferimento, l’azienda è confidente per il futuro. È opportuno compiere un’analisi sulle aree dell’audit interno: o L’offerta: è una valutazione che riguarda il valore offerto dall’impresa. L’analisi deve concentrarsi sulle caratteristiche (tangibili e intangibili) più rilevanti dell’offerta. o Le politiche di prezzo: è una riflessione critica sulle passate politiche di pricing; da cui devono emergere in modo chiaro quali sono state le strategie e le tattiche di pricing. o La comunicazione: è una descrizione delle principali attività di comunicazione svolte in passato, specificando il mix e l’intensità degli strumenti di comunicazione utilizzati . o La distribuzione e le vendite: è la mappa delle scelte a livello dei canali distributivi e della forza vendita. Molto del successo del prodotto può dipendere, infatti, dalle strategie di canale, dalla tipologia di intermediari selezionati, dalla capacità di condividere con loro le strategie di marketing , di comunicazione e di prezzo. S.W.O.T. ANALYSIS Le informazioni e le valutazioni contenute nell’analisi della situazione di marketing sono utili se aiutano concretamente ad assumere decisioni in merito agli obbiettivi da raggiungere e a quali strategie e azioni implementare. La swot anlysis, acronimo inglese di opportunità, minacce, forze e debolezze; prevede,quindi, un’identificazione delle opportunità, delle minacce. Essa risulta largamente adottata nella pianificazione di marketing. PLANNING Con la formalizzazione della swot analysis, il piano di marketing entra in una fase cruciale in cui si devono: Definire concretamente i traguardi (qualitativi e quantitativi) che si intendono raggiungere Definire il programma d’azione Pianificare il sistema di controllo delle performance di marketing Per semplicità, gli obbiettivi di marketing possono essere raggruppati in tre categorie: Obbiettivi economici, es. il fatturato Obbiettivi competitivi, es. il livello di qualità del prodotto, il posizionamento competitivo in termini di qualità/prezzo Obbiettivi relazionali, relativi alla notorietà del prodotto e del marchio, alla customer satisfaction, alla customer loyalty, al livello di fiducia riposta dal mercato nel brand ecc. Per raggiungere gli obbiettivi di marketing è necessario pianificare un set di azioni efficaci ed efficienti al tempo stesso. Si devono, quindi, prendere decisioni relativamente a: Prodotto e marca: cioè si tratta di definire l’offerta che caratterizzerà il piano in termini di qualità, quindi, di benefici tangibili e intangibili che si generano rispetto alla concorrenza. È opportuno mettere in evidenza, anche aspetti legati agli elementi accessori come ad es. il servizio, le garanzie pre e post vendita. Politiche di prezzo: si deve definire in che modo si andrà ad incidere sulle performance economiche e competitive dell’azienda. Il prezzo rappresenterà, infatti, una variabile fondamentale nel posizionamento sul mercato. Canali distributivi e forza vendita: il piano deve contenere indicazioni sulle strategie distributive che s’intendono perseguire per raggiungere gli obbiettivi di marketing. Una volta stabiliti i canali e le tipologie di clienti intermedi da servire, è opportuno stabilire i relativi obbiettivi di vendita e di penetrazione, le varianti dell’offerta e il prezzo. infine si devono prendere decisioni relativamente alla forza vendita che deve ricoprire un ruolo fondamentale nei processi di comunicazione, erogazione e cattura del valore per l’azienda. Promozione e comunicazione: sono decisioni che riguardano la comunicazione e la promozione. Si tratta di definire il communication mix che può essere composto in varia misura da strumenti come ad es. la pubblicità, la sponsorizzazione ecc. si deve decidere anche su quali di questi strumenti s’intende puntare in funzione del target, con quale costi e a fronte di quali ritorni attesi. SCELTE DI STRUTTURA A conclusione del piano è possibile riportare schematicamente alcune indicazioni e linee guida d’intervento per la struttura commerciale. Si fa riferimento alla possibilità di specializzare il personale di marketing e vendite, in base alle aree geografiche servite, ai prodotti/linee prodotti, ai segmenti di clienti serviti e alle attività di vendita svolte. BUDGET E CONTROLLI DI MARKETING All’interno del piano di marketing è presente uno spazio importante riservate alle previsioni economiche-finanziarie: il budget, che fornisce un’indicazione del margine atteso, risultante dal controllo dei ricavi obbiettivo con le spese di marketing e vendite pianificate. Questa fase della pianificazione consente al management di valutare la reale fattibilità delle azioni di marketing previste e la sostenibilità economica degli obbiettivi programmati. Come conclusione possiamo dire che la stesura del piano di marketing rappresenta un momento rilevante per riflettere sul futuro del business aziendale.