UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BRESCIA
FACOLTÀ DI ECONOMIA
CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA
TESI DI LAUREA
IL REGIME IMPOSITIVO DEI REDDITI FINANZIARI
RELATORE:CHIAR.MO PROF. GIUSEPPE CORASANITI
LAUREANDO:
MARCO ROSELLI
MATRICOLA N. 44223
ANNO ACCADEMICO 2002\2003
INDICE
Premessa
Introduzione
1)
Reddito-prodotto e reddito-entrata.
2)
Frutto civile e frutto economico.
3)
Il D. Lgs. 21 novembre 1997 n. 461.
3.1) Le linee guida della riforma Tremonti.
4)
Gli interessi.
4.1) Gli interessi soggetti a imposizione.
4.2) Gli interessi distribuiti dai soggetti non residenti.
4.3) La riforma della tassazione degli interessi.
4.4) Gli interessi corrisposti da soggetti residenti a favore di non residenti.
5)
Gli utili.
5.1) La riforma della tassazione degli utili.
5.2) La tassazione degli altri redditi di capitale.
5.3) La riforma della tassazione degli utili derivanti dai contratti di associazione
in partecipazione e dai contratti di cointeressenza.
6) Redditi diversi di natura finanziaria.
6.1) I regimi del risparmio amministrato e gestito.
6.2)..La riforma della tassazione delle plusvalenze finanziarie.
Conclusioni
Bibliografia
1
Premessa
In un mercato internazionale quale quello attuale, caratterizzato dal libero
movimento dei capitali finanziari, e dalla “virtualizzazione” del capitale dovuta alla
diffusione dell’uso delle reti telematiche, si assiste ad un abbattimento di tutte le
barriere geografiche.
In tale contesto i capitali sono gestiti da intermediari professionali; la “variabile
fiscale” assume un ruolo fondamentale nella decisione dei mercati e dei prodotti
finanziari in cui saranno investite le risorse economiche. Ci troviamo oggi in un
mercato finanziario “globalizzato”, in cui i differenziali fiscali concorrono a spostare
gli investimenti tra le “piazze affari” di tutto il mondo.
Ulteriore aspetto fondamentale del contesto attuale è la creazione di sempre
nuovi strumenti finanziari, conseguenza della maggiore concorrenza creatasi nel
mercato. Tali strumenti, sono diversamente “interpretati” dalle diverse legislazioni
finanziarie, con il conseguente spostamento dei capitali internazionali negli Stati in
cui le condizioni favoriscono “minori costi fiscali”. Ne consegue la necessità di un
continuo adeguamento della legislazione fiscale nazionale al mercato finanziario e
alle legislazioni degli altri Stati.
In tale contesto si inserisce il disegno di legge <<Delega al governo per la
riforma fiscale statale>>, presentato in Parlamento il 28 dicembre 2001. La riforma
dell’imposizione dei redditi finanziari prevista nel disegno di legge delega prevede la
2
neutralità e l’universalità del prelievo fiscale, e l’eliminazione delle differenze di
trattamento fiscale causate da esigenze extrafiscali.
Altro obiettivo della riforma è stimolare l’autofinanziamento delle imprese
soprattutto di quelle medio-piccole. Sotto questo aspetto si denota una immaturità
della realtà produttiva italiana rispetto alla concorrenza internazionale. Tali soggetti
economici risultano essere ancora troppo dipendenti dai finanziatori istituzionali, con
il conseguente aumento dei costi di finanziamento e la perdita di competitività.
Altro obiettivo perseguito è di aumentare l’interesse verso i fondi pensione e i
fondi etici, tramite agevolazioni fiscali. Nell’attuale situazione di cambiamento degli
strumenti previdenziali, l’Italia si trova indietro rispetto agli altri paesi europei che da
anni affiancano alla previdenza pubblica altri strumenti finanziari-previdenziali
privati.
3
Introduzione
L’eterogeneità dei “redditi finanziari” e la loro continua evoluzione ha
comportato un costante interesse da parte della dottrina tributaria e degli operatori
tributari.
Secondo la teoria prevalente, l’imposizione dei redditi finanziari deve essere
complessiva, neutrale, equa ed efficiente.
Per i redditi finanziari, la comprensività o completezza della tassazione si ottiene
tenendo conto di tutte le fattispecie di contratti che possono generare reddito. Il
conseguimento della completezza dell’imposta, non può spingersi, comunque ad
assoggettare fenomeni che per un ordinamento giuridico non sono considerati redditi.
La neutralità si ottiene quando il sistema fiscale non condiziona le scelte degli
investitori, fra i diversi prodotti finanziari, o discrimini ingiustificatamente fra diversi
tipi di “risparmiatori”. Negli Stati moderni, di fatto, la leva fiscale è uno dei principali
strumenti di politica economica; ne consegue che difficilmente un sistema tributario
risulti perfettamente neutrale. La “non neutralità” nell’imposizione dei redditi
finanziari, non deve però diventare una “canalizzazione” di tali risorse. Basti pensare,
ad esempio, al caso dell’Italia dove, all’occorrenza, lo Stato ha indirizzato il
risparmio dei cittadini verso i titoli di Stato al solo scopo di finanziare il debito
pubblico. L’art. 47 della Costituzione sancisce la tutela del “risparmio in tutte le sue
forme”, un’imposizione iniqua sarebbe in contraddizione con tale norma. L’equità
nell’imposizione dei redditi finanziari è strettamente collegata all’elusione fiscale.
4
L’efficienza nell’imposizione dei redditi finanziari si ottiene realizzando un
sistema fiscale che non interferisca con la libertà dei mercati, e che garantisca idonei
strumenti di controllo e di accertamento dell’effettiva imposta dovuta, esercitando un
controllo di tutti i redditi finanziari soggetti ad imposizione, in modo da verificare
eventuali evasioni ed elusioni operate dai contribuenti. L’offerta di nuovi prodotti
finanziari e l’internazionalizzazione dei mercati finanziari ha reso più complessi i
controlli dell’Amministrazione finanziaria.
5
1) Reddito-prodotto e reddito-entrata.
La legislazione italiana non contiene una definizione di reddito, ma precisa i
singoli “redditi di categoria”. I “redditi finanziari” sono distinti in due categorie:
redditi di capitale e redditi diversi.
Il reddito è un concetto astratto, in quanto esprime l’incremento del patrimonio
di un individuo.
Nell’ambito delle scienze delle finanze, sono state elaborate due principali
tipologie di reddito: il reddito-entrata che comprende tutti gli incrementi di
patrimonio anche di carattere straordinario, pluriennale e fortuito; e il redditoprodotto che è circoscritto ai proventi originati da attività economiche “ordinarie”,
ovvero dal compimento di un’ attività produttiva del contribuente.
La migliore dottrina fa rientrare nella tipologia del reddito-prodotto la categoria
dei redditi di capitale, mentre riconduce alla tipologia del reddito-entrata la categoria
dei redditi diversi di natura finanziaria.
Per reddito-prodotto si intendono propriamente gli incrementi derivanti da un
capitale per effetto di un negozio giuridico avente ad oggetto l’impiego del capitale
stesso 1.
I redditi di capitale non hanno natura omogenea, la normativa casistica li elenca
nell’art. 41 del testo Unico.
1
F. Gallo, Prime considerazioni sulla disciplina dei redditi di capitale nel nuovo T.U., in
Rassegna Tributaria, I., 1998, pag. 39 e segg.
6
Nel reddito-entrata, rientrano i proventi di natura finanziaria di carattere
differenziale, nei quali il negozio di impiego del capitale, quando c’è, non si pone
come diretta causa produttiva del provento stesso2. Non sussiste una fonte produttiva
di reddito, ma solo un eventuale accrescimento del patrimonio, un guadagno di
capitale, è un reddito da capitale in senso stretto e non è derivante dall’utilizzo
strumentale del patrimonio dell’investitore. I redditi-diversi sono di natura aleatoria,
ossia suscettibili di generare tanto differenziali positivi quanto negativi.
2
F. Gallo, Il reddito di capitale come frutto economico, in Il fisco, 20, 1998, pag. 6522.
7
2) Frutto civile e frutto economico
I redditi di capitale sono raggruppabili in due grandi categorie, la prima è
riconducibile al “frutto” civile (lett. a), b), c), d), g-bis), g-ter), g-quater) g-quiquies) e
h) dell’art.41) ovvero a rapporti di finanziamento; il rapporto giuridico attraverso il
quale il capitale è sfruttato, concedendone la disponibilità temporanea ad altri dietro
compenso3, è di tipo obbligazionario, è riconducibile allo schema debito/credito,
quindi in un corrispettivo per il godimento del capitale. Questi redditi si
caratterizzano per la normalità e ordinarietà e rappresentano la normale
fruttificazione del capitale dato in uso. Questi tipi di reddito si avvicinano molto al
frutto civile ex art. 821 c.c. in cui la produzione del reddito avviene giorno per
giorno.
La seconda categoria, gli utili, è simile alla prima perché derivante da rapporti di
impiego di capitale, ma non in un contratto basato sul godimento del capitale stesso,
bensì i proventi derivano da partecipazioni e investimenti, lettera e), f) e lato sensu g)
dell’art. 41. In questo caso, vi è una diretta utilizzazione del capitale da parte del
soggetto anche se pro quota. L’esercizio del controllo dell’investimento, da parte del
conferente è limitato dall’organizzazione societaria, ma sicuramente l’utile dipende
principalmente dalla gestione dell’ente da parte degli organi societari e non è
garantito da tassi prefissati a priori. In tali casi i profitti sono meramente eventuali.
3
G. Escalar, Contributo allo studio della tassazione dei redditi diversi di natura finanziaria, in
Rassegna Tributaria, 1997, pag. 320.
8
Anche nell’ipotesi che tali investimenti abbiano determinato dei proventi, la
maturazione giornaliera è solo uno dei possibili casi dal momento che si potrebbe
avere la maturazione degli utili anche in un solo istante.
Con l’entrata in vigore del d. lgs n. 461/97 si è avuto un radicale cambiamento
dell’art. 41 del Testo Unico, che fino ad allora identificava i redditi di capitale
tassativamente nelle lettere a) e segg. fino alla h). Nel precedente testo la lettera h)
non dava luogo propriamente ad una “norma generale residuale”, come pure poteva
a prima vista sembrare, ma, al contrario, ad una fattispecie puntuale ulteriore
rispetto alle altre lettere. Il riferimento, oltre che agli interessi, ai proventi in misura
definita, rendeva infatti riferibile quella previsione alle sole somme invariabili e
predeterminate o predeterminabili. Insomma, la precedente versione della lettera h)
ampliava l’ambito di imponibilità a ogni forma di provento equiparabile agli
interessi, ma oltre non andava4, ossia interessava i proventi il cui importo era già
pattuito o comunque determinabile a priori, per esempio la categoria degli interessi.
La successiva stesura dell’articolo 41, nella lettera h) precisa che sono redditi di
capitale gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto
l’impiego del capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati
differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto5, in tale
riformulazione l’uso della parola “impiego” amplia la tipologia dell’utilizzo del
capitale che va oltre al “godimento concesso ad altri” della precedente stesura.
4
F. Gallo, Il reddito di capitale come frutto economico, in Il fisco ,n. 20, 1998, pag. 6522.
D.P.R. del 22 dicembre 1986 n. 917 art. 41, comma 1, lett. h).
5
9
Nel nuovo art. 41 la norma qualifica come reddito di capitale un qualsiasi reddito
che scaturisca dalla circostanza che sia data la disponibilità temporanea del capitale
e che da tale situazione consegua in termini economici un vantaggio, e cioè un
provento (anche non necessariamente corrispettivo), a favore di chi il capitale ha
impiegato6 escluso quando scaturisce da differenziali derivanti da eventi aleatori. Ne
discende che la nuova lettera h) è una norma generale che ridefinisce il reddito di
capitale come reddito derivante dal capitale impiegato per la propria capacità di
produrre proventi.
In conclusione il reddito di capitale è oramai definibile, con nozione unitaria ed
onnicomprensiva, come frutto economico di un capitale trasferito temporaneamente
alla controparte contrattuale, che ha la sua diretta fonte produttiva in un rapporto
giuridico7. Il frutto economico ricomprende il frutto civile, ma anche un qualsiasi
incremento della ricchezza derivante dalla concessione di un capitale ad un terzo per
qualsiasi clausola contrattuale. La nuova lettera h), dunque, comprendendo qualsiasi
contratto che abbia ad impiego del capitale diventa una norma residuale.
L’evoluzione della nozione di reddito di capitale, unitaria e onnicomprensiva,
conduce a una norma di chiusura volta a ricomprendere ogni provento derivante
dall’impiego di capitale riconducendo a tassazione molte fattispecie economiche che,
prima risultavano non chiaramente imponibili; la onnicomprensività della norma è un
6
7
F. Gallo, Il reddito di capitale come frutto economico, in Il fisco, n. 20, 1998, pag.6523.
F. Gallo, Il reddito di capitale come frutto economico, in Il fisco, n. 20, 1998, pag.6524.
10
valido strumento in un mercato finanziario in continua evoluzione, e riduce gli
arbitraggi fiscali tra fattispecie produttive di redditi di capitale e redditi diversi.
11
3) Il D. Lgs. 21 novembre 1997 n. 461.
A seguito della delega contenuta nella legge 23 dicembre 1996, n. 662 è stato
emanato il d. lgs. 21 novembre 1997, n. 461, gli obiettivi perseguiti erano di colmare
le lacune normative e di fissare alcuni principi che potessero ricondurre a tassazione
anche eventuali prodotti innovativi che dovessero in futuro essere introdotti sul
mercato finanziario. La delega confermava la distinzione tra redditi di capitale e
redditi diversi, e l’assenza di una definizione generale, scegliendo una classificazione
di tipo casistico dei differenti redditi. Dopo le modifiche apportate dal Decreto
Legislativo le norme che regolano i redditi finanziari si possono sintetizzare in alcuni
principi generali.
Per quanto riguarda i “redditi di capitale”, i principi generali della tassazione di
tali proventi sono la tassazione “al lordo”, ovvero la base imponibile è costituita dai
proventi percepiti al lordo degli eventuali e correlati costi e oneri8 sostenuti per la
loro realizzazione del reddito.
La seconda regola generale è la tassazione, essa avviene in base al principio di
cassa salvo alcune eccezioni per i capitali dati a mutuo gli interessi, salvo prova
contraria, si presumono percepiti alle scadenze e nella misura pattuite per iscritto.
Se le scadenze non sono stabilite per iscritto gli interessi si presumono percepiti
nell’ammontare maturato nel periodo di imposta9, trattasi chiaramente di una
8
9
F. Gallo, Il reddito di capitale come frutto economico, in Il fisco, 20, 1998, pag. 6522.
D.P.R. del 22 dicembre 1986 n. 917, art. 42, comma 2.
12
presunzione legale relativa. Altra deroga a tale principio la ritroviamo nel regime di
tassazione del “regime del risparmio gestito”.
Per quanto riguarda i dividendi la norma attuale prevede la possibilità per le
persone fisiche, le società semplici, le associazioni professionali, gli enti non
economici di inserire i dividendi nella dichiarazione dei redditi, il cosiddetto “regime
della dichiarazione” con un riconoscimento del credito d’imposta . Il credito di
imposta a favore degli azionisti viene concesso allo scopo di eliminare la doppia
imposizione sui dividendi delle società per azioni e delle società a responsabilità
limitata. L’altra opzione è il “regime amministrato” nel quale l’obbligo fiscale viene
adempiuto tramite ritenuta d’imposta.
Se il reddito è percepito da società di capitali concorre a formare il reddito di
impresa, senza alcuna ritenuta alla fonte.
La disciplina dei “redditi-entrata” è stata totalmente modificata dal Decreto
Legislativo, che ampliando notevolmente le fattispecie imponibili, oltre alle
plusvalenze derivanti dalla cessione di titoli partecipativi, dai certificati e dalle quote
di partecipazione in organi di investimento collettivo, si estende anche ad alcune
nuove fattispecie: le plusvalenze derivanti da cessione a titolo oneroso di valute, i
proventi derivanti dalla cessione di crediti pecuniari e metalli preziosi.
Le modifiche apportate all’art. 81 del Testo Unico disegnano nuovi criteri di
qualificazione delle partecipazioni, oltre al criterio della partecipazione al capitale, in
conformità alla delega, si dà la rilevanza al diritto di voto che assicura il controllo
della società trasformando un mero investimento finanziario in un’effettiva gestione
13
della società. Anche le percentuali minime per qualificare le partecipazioni e la loro
diversa aliquota di imposizione sono state fissate a livelli differenti. Per il diritto al
voto la cessione di partecipazioni si definisce qualificata quando è superiore al 2 o al
20 per cento a secondo che si tratti di partecipazioni negoziate nei mercati
regolamentari oppure no, mentre per quota di partecipazione al capitale o al
patrimonio è del 5 per cento per le partecipazioni quotate nei mercati regolamentari e
del 25 per le altre. Tali percentuali non devono essere superate in tutte le cessioni nel
corso di dodici mesi anche se effettuate nei confronti di soggetti diversi.
Per semplificare la liquidazione e riscossione dell’imposta e favorire l’entrata nel
mercato mobiliare dei piccoli risparmiatori, il decreto legislativo ha previsto
particolari regimi sostitutivi, il risparmio amministrato e il risparmio gestito.
3.1) Le linee guida della riforma Tremonti.
Il Parlamento della Repubblica ha approvato una delega per la riforma del
sistema fiscale << Delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale>> il 28
dicembre 2001. Nel disegno legge n. 80 promulgato il 7 aprile 2003 e pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale del 18 aprile, si prevede l’entrata in vigore del nuovo testo di
riforma a decorrere dal 1 gennaio 2004. Il testo prevede anche la riforma della
tassazione dei proventi finanziari, i criteri direttivi sono individuati nell’art. 3, comma
1, lettera d) del disegno di legge.
14
La prima direttiva indica la omogeneizzazione dei regimi fiscali per redditi di
capitale e redditi diversi di natura finanziaria, dando più rilevanza alla sostanza che
alla forma del provento finanziario.
La relazione del Governo afferma che si intende abbandonare da distinzione fra
le due categorie di redditi a favore dell’adozione di un’unica categoria. L’abbandono
dell’attuale distinzione fra redditi di capitale e <<diversi>> determinerà una
diminuzione del differenziale con cui redditi finanziari sempre più intrinsecamente
correlati vengono tassati, evitando che investimenti simili possano produrre redditi di
uguale importo ma di categorie differenti, così che un investitore non vedrà i propri
redditi tassati ad una aliquota media superiore dell’altro. Nel sistema normativo di
alcuni paesi fra cui gli Stati Uniti d’America, ma anche in diversi Paesi del NordEuropa, si è creata infatti un’unica categoria di redditi finanziari, comprensiva tanto
dei redditi di capitale quanto dei redditi diversi10. Sostenitori dell’unificazione della
categoria sono gli economisti; questo cambiamento determinerà effetti positivi sulla
competitività della piazza affari italiana, diminuendo il cosiddetto “effetto di
fuorigioco del sistema fiscale”. Il secondo punto dispone la convergenza all’aliquota
dei titoli di stato (12,5 per cento), ad esclusione della cessione delle “partecipazioni
qualificate”, dei dividendi derivanti da partecipazioni qualificate, dei mutui e dei
contratti di associazione in partecipazione. Per questi ultimi e per gli altri redditi ora
tassati al 27 per cento si prevede che andranno a formare (in tutto o in parte) il reddito
complessivo del soggetto. La relazione prevede, inoltre, che il passaggio alle nuove
10
F. Gallo, Il reddito di capitale come frutto economico, in Il fisco, 20, 1998, pag. 6522.
15
aliquote dovrà essere operato sia rispetto ai proventi derivanti dagli strumenti di
nuova emissione sia da quelli già in circolazione.
Per favorire l’ingresso dei piccoli risparmiatori nei mercati finanziari, verrà
estesa la tassazione alla fonte affidata ai sostituti d’imposta, mentre la tassazione dei
dividendi derivanti da partecipazioni qualificate rimarrà sottoposta ad autotassazione.
Cambierà, invece, la tassazione del risparmio gestito che non sarà più tassato in
base al maturato, ma per cassa nel momento del realizzo. In questo modo si eviterà il
crearsi di crediti d’imposta virtuali. La tassazione del maturato, nel sistema fiscale dei
redditi finanziari improntati all’imposizione secondo il principio di “cassa”, aveva
prodotto un artificioso sistema per evitare effetti distorsivi sul mercato finanziario
chiamato “equalizzatore”. Tra le critiche scaturite dall’introduzione all’equalizzatore
ci si chiedeva il perché agisse sui redditi valutati per cassa , al fine di adeguarli a
quelli valutati per maturazione; perché, cioè, si adeguasse il regime ordinario
(cassa) a quello straordinario (maturazione), e non viceversa. Sarebbe certamente
più logico il contrario, vale a dire l’adeguamento della fattispecie derogatoria a
quella ordinaria11.Questa riforma conformerà il trattamento fiscale del risparmio
gestito a quello dei principali paesi esteri, aumentando gli interessi per i fondi italiani,
essendo la tassazione per “cassa” più conveniente per gli investitori.
La riforma prevede per quanto riguarda i dividendi l’esenzione parziale del 60
per cento dall’imponibile sia per le persone fisiche, per le società di persone con
oggetto non commerciale che per gli enti non commerciali. Per le società di capitali
11
F. Gallo, Il reddito di capitale come frutto economico, in Il fisco, 20, 1998, pag. 6527.
16
gli utili non contribuiranno alla formazione del reddito per il 95 per cento del loro
ammontare. La quasi neutralità della tassazione dei dividendi porterà l’abrogazione
dell’art. 14 del Testo Unico e dei relativi crediti d’imposta.
La delega prevede, inoltre, di estendere oltre che al “risparmio gestito” anche
agli altri “regimi” le compensazioni tra interessi e dividendi con le minusvalenze, ma
non di generalizzare le così dette compensazioni eterogenee anche al “regime della
dichiarazione”.
Il quarto punto della riforma ordina un regime differenziato di favore fiscale per
il risparmio affidato a fondi pensione ed a casse di previdenza privatizzate,
contribuendo così a giovare all’espansione di questi strumenti finanziari, che non
hanno riscontrato grande successo fra i risparmiatori italiani.
L’ultimo punto della delega, risulta particolarmente innovativo, in quanto per la
prima volta introduce in Italia un regime fiscale agevolato per i contribuenti che
decideranno di depositare i propri risparmi in fondi destinati all’acquisizione della
prima casa.
17
4) Gli interessi
Gli interessi sono fra i redditi finanziari quelli di più comune comprensione. Chi
nella vita quotidiana non ha a che fare con tale nozione, per l’acquisto di prodotti di
consumo o durevoli come la casa, o come la remunerazione dei propri capitali. La
diversa utilità sociale degli interessi che remunerano il capitale ha determinato un
variegato sistema di imposizione.
Non tutti gli interessi sono soggetti a imposizione. Gli interessi compensativi
non possono essere considerati reddito perché per definizione sono una
reintegrazione patrimoniale, anche se nell’ultima stesura dell’art. 41 è scomparsa
l’espressione “non aventi natura compensativa”.
L’art. 6 comma 2 del testo unico espressamente dispone che gli interessi
moratori e gli interessi per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa
categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati12 Dalla
lettura combinata di quest’ultimo articolo del testo unico e della lettera h) dell’art. 41,
si rafforza il concetto di norma residuale della lett. h) che non ammette la tassazione
di alcuna somma che non sia frutto di impiego di capitale; con la conseguenza che
gli unici interessi tassati in via residuale, ai sensi dell’art. 41, lettera h) sono quelli
non compensativi e non accessori ai crediti reddituali, e cioè quegli interessi che
derivano da rapporti aventi per oggetto l’impiego di capitale13.
12
D.P.R. del 22 dicembre 1986 n. 917 art. 6, comma 2.
18
4.1) Gli interessi soggetti a imposizione.
La determinazione del reddito soggetto a imposizione varia con il variare del
tipo di reddito, in linea generale è costituita dall’ammontare di interessi, utili o altri
proventi senza alcuna deduzione.
Nel caso di interessi derivanti da mutui (art. 41 lett. a), l’imponibile viene
determinato dalla differenza tra la somma riconosciuta alla scadenza e quella data a
mutuo, su di esso viene applicata una ritenuta a titolo di acconto del 12,5 per cento
come sancito dall’art. 26 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 che regola le ritenute
sugli interessi e sui redditi di capitale che è stato modificato dall’art. 12 del d. lgs. 21
novembre 1997, n.461.
Sempre alla lett. a) è prevista l’imposizione di depositi e conti correnti, la base
imponibile viene determinata nel medesimo modo dei mutui, ma viene applicata una
ritenuta sugli interessi del 27 per cento a titolo di imposta per le persone fisiche
(esclusi gli imprenditori individuali per i depositi, i conti correnti e i certificati di
deposito intestati all’imprenditore, ma relativi all’impresa), per gli enti non
commerciali e per le società non residenti, mentre negli altri casi la ritenuta è a titolo
d’acconto. Nell’ eventualità che tali proventi siano di fonte estera la ritenuta a titolo
d’imposta deve essere applicata dal sostituto d’imposta che interviene nella
riscossione. Quando gli interessi bancari vengono percepiti dall’estero senza
l’interposizione di alcun intermediario, il contribuente è soggetto all’applicazione di
13
F. Gallo, Il reddito di capitale come frutto economico, in Il fisco, 20, 1998, pag. 6526.
19
una tassazione separata nella dichiarazione dei redditi (salvo opzionare per quella
ordinaria) con l’aliquota 27 per cento tassazione a titolo di imposta.
Nella successiva lettera si sancisce l’imposizione degli interessi e gli altri
proventi delle obbligazioni e titoli similari, degli altri titoli diversi dalle azioni e titoli
similari, nonché dei certificati di massa14.
Sulle obbligazioni e sui titoli similari si applica una ritenuta al 12,5 per cento
purché le obbligazioni abbiano scadenza superiore ai 18 mesi, il tasso di interesse
effettivo non sia superiore di due terzi al tasso ufficiale di sconto per i titoli negoziati
in mercati regolamentari, e non superi di un terzo, negli altri casi, il tasso ufficiale di
sconto al momento dell’emissioni dei titoli. Questa norma salvaguarda l’erario dal
comportamento elusivo che i soci di un’impresa attuerebbero se sottoscrivendo delle
obbligazioni ad un tasso elevato, stornassero parte degli utili della società e la
corrispondente tassazione, in interessi debitori. Negli altri casi la ritenuta è del 27 per
cento. Nell’ipotesi in cui si sottoscrive una obbligazione con scadenza superiore ai 18
mesi, ma successivamente si richiede il rimborso anticipato, sulle somme maturate
fino a tale momento è dovuto il 20 per cento.
Per le obbligazioni quotate in borsa e depositate presso intermediari, a seguito
del decreto legislativo del 1 aprile 1996 n. 239, emanato a seguito della delega
contenuta nella legge del 28 dicembre 1995 n. 549, la ritenuta d’imposta viene
trasformata in un’imposta sostitutiva (con le medesime aliquote) applicata ai proventi
destinati alle persone fisiche, società semplici e di fatto non esercenti attività
14
D.P.R. del 22 dicembre 1986 n. 917 art. 41 comma 1, lett. b).
20
commerciali e alle associazioni fra professionisti, cosiddetti “nettisti”. Tale imposta
sostitutiva è operata a titolo di acconto nei confronti delle persone fisiche esercenti
attività d’impresa qualora i titoli siano relativi all’impresa perché le società di
persone e le persone fisiche possono agire nel ruolo di privati investitori oppure nel
ruolo di imprenditori. Imporre di volta in volta distinzioni basate sull’attività in
concreto
esercitata
avrebbe
appesantito
eccessivamente
il
lavoro
degli
intermediari15.
Per i cosiddetti “lordisti”, invece, l’imposta sostitutiva non andrà applicata. Tra i
“lordisti” oltre alle società di capitali rientrano anche le società in nome collettivo e
in accomandita semplice. Questi redditi vengono direttamente attratti dal reddito di
impresa evitando la creazione di rilevanti crediti d’imposta e dei seguenti problemi
per il relativo incasso. Se questi redditi vengono percepiti dall’estero senza
interposizione di alcun intermediario è tenuta l’applicazione di una tassazione
separata nella dichiarazione dei redditi (salvo opzionare per quella ordinaria art 16bis del Testo Unico) con l’ aliquota prevista per la tassazione a titolo di imposta.
Medesime regole valgono per titoli e certificati di massa diversi dalle azioni e
per i cosiddetti titoli atipici, varia soltanto l’aliquota dell’imposta che è sempre del 27
per cento.
Se il titolo atipico è senza scadenza fissa gli emittenti hanno l’obbligo di versare
annualmente un acconto sulle ritenute con aliquota del 10 per cento.
15
R. Lupi, Prime osservazioni sulla nuova tassazione delle obbligazioni quotate in borsa (dalla
ritenuta alla fonte all’imposta sostitutiva), in Rassegna Tributaria, 1996, n.4, pag. 792.
21
Le Cambiali finanziarie sottostanno alle stesse regole delle obbligazioni, mentre
le accettazioni bancarie scontano sempre l’aliquota del 27 per cento.
I titoli di stato sono soggetti a imposta sostitutiva con l’aliquota 12,5 per cento. I
titoli emessi in Italia prima del 20 settembre 1986 e all’estero fino 10 settembre 1992
sono esenti da imposizione come stabilisce l’art. 31 D.P.R. 29 settembre 1973, n.
601.
La lett. c) impone a tassazione delle rendite perpetue di cui art. 1861 e 1869 del
codice civile. Tale reddito può essere percepito come l’interesse di un credito di cui
non esiste l’obbligo di restituzione. Questi redditi sono soggetti ad una ritenuta a
titolo di acconto con aliquota del 12,5 per cento ai sensi dell’art. 26 comma 5 del
D.P.R. 600/73.
La lett. d) inquadra fra i redditi di capitale “ i compensi per prestazioni di
fideiussione o di altra garanzia”.
Le operazioni pronti contro termine e riporti di titoli e valute rientrano tra gli
strumenti di finanziamento (oltre che speculativi) degli operatori finanziari per questo
motivo si collocano fra gli interessi, la circolare 165/E del Ministero delle Finanze
precisa che con l'introduzione della nuova fattispecie impositiva della lettera g-bis)
dell'art. 41, comma 1, del TUIR i proventi delle operazioni di pronti contro termine
su valute non sono più ricondotti a tassazione tra i redditi diversi, ma tra i redditi di
capitale, insieme ai proventi delle operazioni di pronti contro termine su obbligazioni
e titoli similari. Attraverso le operazioni di pronti contro termine, infatti, le parti non
intendono trasferire la proprietà dei titoli e del denaro ovvero delle valute e delle lire
22
a titolo definitivo, ma soltanto a titolo temporaneo. Pertanto, per i soggetti che non
esercitano attività di impresa, esse non danno luogo ad una duplice cessione a titolo
oneroso, bensì ad una duplice operazione di impiego di capitale16.Il reddito
imponibile è dato, dalla differenza tra i prezzi di alienazione a pronti ed a termine da
computarsi nella loro globalità. Da tale differenza vanno tuttavia scomputati gli
interessi e gli altri proventi dei titoli non rappresentativi di partecipazione, maturati
nel periodo di durata del rapporto, con esclusione dei redditi esenti dalle imposte sui
redditi17.
Perciò nella fattispecie dei riporti e pronti contro termine su titoli
rappresentativi di partecipazioni il reddito di capitale sarà costituito dalla differenza
tra i corrispettivi delle cessioni a pronti ed a termine, con la precisazione che ex art.
2, comma3, del D.L.vo n. 461/1997, il cessionario a pronti ha diritto al credito
d’imposta sui dividendi soltanto se tale diritto sarebbe spettato, anche in virtù di
semplice opzione, al cedente a pronti in mancanza del trasferimento temporaneo dei
titoli predetti.18
L’imponibile, nell’acquisto e rivendita contestuali, viene determinato dalla
differenza tra i prezzi di acquisto e vendita, mentre nelle operazioni di vendita a
termine, dalla differenza tra il valore di mercato al momento della cessione il prezzo a
termine. Bisogna ricordare che tali differenze vanno calcolate al netto dei dividendi
16
Ministero delle Finanze, Dipartimento delle Entrate. Circolare del 24/06/1998 n. 165, cap. 1 par.
1.9.
17
AA.VV. (a cura Miccinesi), Commento agli interventi di riforma tributaria,. R .Esposito. Redditi
di capitale, CEDAM, Padova, 1999, pag.521.
18
AA.VV. (a cura Miccinesi), Commento agli interventi di riforma tributaria,. R .Esposito. Redditi
di capitale, CEDAM, Padova, 1999, pag.522.
23
maturati se vengono incassati mentre l’operazione è in corso, perché sono stati già
tassati in capo al cessionario. Il cessionario a pronti, se ne ricorrono i requisiti, ha
diritto al credito d’imposta sui dividendi. Il provento così determinato è soggetto a
ritenuta del 12,5 per cento, a titolo d’imposta per le persone fisiche (con esclusione
delle operazioni relative all’impresa individuale), per gli enti non commerciali. Sono
a titolo di acconto per i soggetti IRPEG, per le società in nome collettivo e in
accomandita semplice.
Del carattere residuale della lett. h) si è già trattato precedentemente, in questa
sede si vuole aggiungere che la lett. h) ricomprende qualunque provento da impiego
di capitale tanto da rendere del tutto superflua, per ogni lettera, l’aggiunta circa i
“rapporti analoghi o finalità economiche medesime”19.
4.2) Gli interessi distribuiti dai non residenti.
Per
terminare
l’esposizione
sugli
interessi
analizzeremo
brevemente
l’imposizione dei proventi esteri.
Ricordiamo che l’imposizione dei redditi che provengono da non residenti in
molti casi è regolata da convenzioni fra gli Stati. Queste convenzioni vengono
sottoscritte dai governi per facilitare e incrementare i rapporti economici e finanziari
fra i cittadini residenti in Stati differenti e per altri motivi, fra cui cercare di impedire
19
F. Gallo, Il reddito di capitale come frutto economico, in Il fisco, 20, 1998, pag. 6526.
24
la doppia imposizione, la prima nella nazione in cui viene prodotto il reddito, e la
seconda nella Stato di residenza del percettore. Nell’ipotesi che la tassazione è
regolata nell’accordo internazionale, il contribuente ha la possibilità di scegliere fra le
norme generali e quelle che regolano i rapporti fra gli Stati in questione, tramite
convenzioni.
Nei casi in cui nella riscossione dei redditi che provengono da soggetti non
residenti, intervengono intermediari indicati dall’art. 23, comma 1, del D.P.R. n.
600/73, gli stessi effettuano una ritenuta d’ingresso con la medesima aliquota che
prevede la tassazione dei redditi provenienti da soggetti residenti. La norma non
indica in questo caso i rapporti con il tasso ufficiale di sconto, perciò per determinare
a quale aliquota assoggettare i proventi bisogna discriminare a seconda se i titoli
abbiano una durata maggiore o minore ai 18 mesi.
I titoli pubblici sono soggetti ad una ritenuta da parte degli intermediari del 12,5
per cento.
Nell’ipotesi che non intervengono intermediari i proventi devono essere
dichiarati nella dichiarazione dei redditi.
Nell’ipotesi che i redditi provenienti da soggetti non residenti siano percepiti da
soggetti non residenti tali redditi non sono soggetti a ritenuta. Al momento della
riscossione il soggetto può autocertificare la non residenza, ottenendo l’esclusione
della ritenuta.
25
4.3) La riforma della tassazione degli interessi
La riforma del sistema fiscale prevede rilevanti modifiche alla tassazione degli
interessi, indirizzate a ridurre le differenze d’imposizione delle diverse categorie di
reddito; l’obiettivo è un’ imposizione neutrale e generalizzata di tali proventi.
Nel nuovo testo si prevede che anche le obbligazioni e i titoli a loro assimilabili,
con durata inferiore ai 18 mesi siano tassate con una ritenuta del 12,5 per cento. La
norma non fa più riferimento al rendimento del tasso ufficiale di sconto, perciò tutti i
titoli scontano la stessa aliquota indipendentemente dal tasso di remunerazione del
capitale investito.
Con i continui abbassamenti del tasso applicato dalla Banca Centrale Europea,
per le società e tanto più per quelle non quotate in Borsa, non potevano collocare
delle obbligazioni che interessassero il mercato, perché un tasso che non facesse
scattare le norme antielusive era troppo basso rispetto altri strumenti finanziari anche
di minor rischio.
Nell’ipotesi che le medesime regole valessero in Europa più del 40 per cento
delle emissioni sarebbe considerata di tipo elusivo, ricevendo un rating inferiore o
pari a BBB, per il quale è richiesto un premio del 2.08 per cento rispetto a titoli del
Tesoro di pari durata20.
20
M. C. Panzeri, La riforma della tassazione del risparmio: criteri di delega ed effetti sul sistema
della finanza, in Diritto e Pratica Tributaria, fasc. 6, 2002, pag.695.
26
Stesso trattamento viene applicato ai conti correnti e ai depositi bancari ai
certificati di deposito a medio e lungo termine diminuendo di ben 14,5 per cento
l’aliquota in vigore oggi.
Anche i così detti titoli atipici che per il loro elevato grado di rischio subivano
una tassazione penalizzante del 27 per cento si prevede che sconteranno l’aliquota
ordinaria. Bisogna ricordare che nei lavori della commissione Gallo per la riforma del
diritto societario, sono previste due categorie di strumenti finanziari. La prima delle
azioni e dei titoli loro assimilati, la seconda delle obbligazioni e dei titoli loro
assimilati, con la scomparsa dei titoli atipici.
Si prevede dunque l’introduzione di un’aliquota unica del 12.5 per cento per la
tassazione sia dei titoli di stato che per le obbligazioni.
L’aliquota unica eliminerà le distorsioni fiscali attualmente operanti nel mercato
finanziario italiano, e determinerà la scomparsa delle forme di arbitraggio fiscale e
delle strutture finanziarie complesse per attuarlo.
Ne trarranno giovamento sicuramente le forme di raccolta a breve termine.
La riforma favorirà lo sviluppo della finanza innovativa e della raccolta delle
banche, dato che il nuovo sistema favorisce l’investimento affidato agli intermediari.
Le nuove norme riporteranno in Italia i capitali di molti investitori, ridando
slancio al mercato finanziario italiano.
27
4.4) Gli interessi corrisposti da soggetti residenti a favore di non
residenti
Alcuni redditi di capitale percepiti dai non residenti usufruiscono di un regime di
esenzione. Con le modifiche apportate all’art. 26 bis) del D.P.R. n. 600/73 dal decreto
legislativo 461/98 è previsto un regime di esenzione, per i soggetti residenti negli
Stati esteri indicati nei decreti ministeriali del 4 settembre e del 25 marzo 1998, per
alcuni redditi di capitale; 1) depositi e conti correnti, anche non bancari, e prestiti
aventi ad oggetto beni diversi dal denaro; 2) rendite perpetue e prestazioni annue
perpetue; 3) prestazioni di fidejussioni e di ogni altra garanzia; 4) operazioni di
pronti contro termine e di riporto su titoli e valute;5) operazioni di mutuo di titoli
garantito21. I soggetti che attribuiscono interessi e altri proventi affini su azioni e
titoli similari a soggetti non residenti secondo il previsto regime di esonero, devono
acquisire dagli interessati un attestato di residenza rilasciato dalle Autorità fiscali
competenti del Paese di appartenenza22
Rimangono soggetti all’applicazione della ritenuta con aliquota 12,50 per cento
gli interessi e gli altri redditi derivanti dalle operazioni di prestito di denaro.
Per i proventi derivanti; a) i titoli obbligazionari emessi dalle banche; b) le
obbligazioni e i titoli similari emessi da società per azioni, le cui azioni sono
21
Ministero delle Finanze, Dipartimento delle Entrate. Circolare del 24/06/1998 n. 165, cap. 4
par.6
22
Ministero delle Finanze, Dipartimento delle Entrate. Circolare del 24/06/1998 n. 165, cap. 4
par.6
28
negoziate nei mercati regolamentati italiani; c) le obbligazioni e gli altri titoli
indicati nell'art. 31 del D.P.R. 29 settembre 1973, n.601, e quelli ad essi equiparati;
d) le obbligazioni e i titoli similari dagli enti pubblici economici trasformati in
società per azioni in base a disposizioni di legge; e) i titoli obbligazionari emessi da
enti territoriali ai sensi dell'art. 35 della legge 23 dicembre 1994, n. 724.23 E’
previsto l’esonero dell’imposta sostitutiva per i soggetti residenti in Stati con i quali
sono state stipulate Convenzioni per evitare la doppia imposizione; e per gli enti
internazionali che fruiscono soggettivamente di totale esenzione dalla generalità
delle imposte in Italia, in base ad apposite leggi interne o ad Accordi internazionali
recepiti dal nostro ordinamento24.
23
Ministero delle Finanze, Dipartimento delle Entrate. Circolare del 24/06/1998 n. 165, cap. 4
par.6
24
Ministero delle Finanze, Dipartimento delle Entrate. Circolare del 24/06/1998 n. 165, cap. 4
par.6
29
5) Gli utili.
Le società a seguito di un utile ovvero di utili accantonati in precedenti esercizi
possono distribuire dei dividendi ai propri soci. L’utile della società è sottoposto
all’imposizione con l’aliquota Irpeg in vigore al momento in cui viene ad esistere. Per
quanto concerne la tassazione degli utili distribuiti alle persone fisiche, per impedire
che i proventi da partecipazione che contribuiscono alla determinazione del reddito
complessivo vengano nuovamente tassati in capo al contribuente percettore, viene
concesso un credito d’imposta al titolare delle partecipazioni. Il valore del credito di
imposta è uguale al rapporto che ha al numeratore l’aliquota Irpeg, mentre al
denominatore è dato dalla differenza tra 1 meno l’aliquota Irpeg. In questo modo si
neutralizza la tassazione in capo alla società e il reddito viene tassato sommando il
dividendo maggiorato del credito d’imposta, al reddito complessivo del percettore,
scontando soltanto le aliquote progressive Irpef, dall’imponibile Irpef determinato si
detrae l’ammontare del credito d’imposta.
Il credito d’imposta si definisce pieno quando le imposte sono state
effettivamente versate dalla società, in questo caso la norma prevede che la società
collochi tale credito nel cosiddetto “canestro A”. Nell’ipotesi che per disposizioni di
legge, alla società viene diminuita l’aliquota Irpeg, la norma prevede che tale regime
di favore si debba trasferire ai soci; per tale motivo viene concesso un credito
d’imposta limitato uguale al valore delle imposte teoriche dovute meno quelle
effettivamente pagate. Quest’ultimo credito viene imputato al cosiddetto “canestro
30
B”. La società al momento della liquidazione degli utili sceglie da quale “canestro”
prelevare i crediti da imputare ai soci.
Il credito di imposta deve essere indicato nel modello Rad o in una equivalente
comunicazione rilasciata dal soggetto Irpeg, che oltre ad indicare l’ammontare del
dividendo attesti le eventuali quote cui spetti il diritto di credito pieno o limitato.
La norma prevede per le persone fisiche che abbiano comunicato di non
esercitare attività di impresa e di non possedere partecipazioni “qualificate”, la
possibilità di assolvere i propri obblighi fiscali mediante l’applicazione di una
ritenuta alla fonte a titolo di imposta con aliquota 12,5 per cento (art. 27, d.p.r. 600),
senza alcun credito di imposta, il cosiddetto regime della “cedolare secca”. Come
chiarisce la circolare 165/E del 24/06/1998 per l’individuazione della partecipazione
qualificata occorre far riferimento al momento della riscossione degli utili, tenendo
conto dei criteri indicati nell’articolo 81, lettera c), del TUIR25.
Chiaramente la perdita del credito d’imposta comporta uno svantaggio fiscale
per i contribuenti che non raggiungano l’ultimo scaglione di reddito che produce
l’applicazione dell’aliquota marginale Irpef massima; nonostante tutto per la
semplicità del regime molti piccoli risparmiatori adottano la ritenuta alla fonte a titolo
definitivo. Nell’ipotesi che non spetti il credito d’imposta, è conveniente il regime
della “cedolare secca” che esclude anche dall’applicazione dell’ addizionale regionale
e, dove istituita, della addizionale comunale. Nel caso in cui il contribuente abbia
molti oneri deducili o detraibili oppure risultino rilevanti perdite derivanti dal reddito
25
Ministero delle Finanze, Dipartimento delle Entrate, Circolare del 24/06/1998, n. 165, cap. 4 par. 8.
31
d’impresa in contabilità semplificata, o di arti e professioni, bisogna valutare la
convenienza del regime della dichiarazione o dell’imposta alla fonte a titolo
definitivo.
Bisogna precisare che non tutte le somme erogate dalla società ai soci sono
soggette a imposizione, sono escluse le somme che sono una restituzione dei
conferimenti effettuati dai soci, perché non costituiscono reddito essendo una
restituzione patrimoniale. La restituzione dei conferimenti determina una
diminuzione del valore fiscale delle azioni o delle quote. Nel caso di liquidazione
della società, rientrano nel regime di imposizione dei dividendi solamente la parte
eccedente il prezzo della sottoscrizione delle partecipazioni. I proventi della
ripartizione di riserve e fondi particolari, per esempio i fondi costituiti da versamenti
a fondo perduto dei soci, o costituiti con sovrapprezzi di emissione, con interessi di
conguaglio versati dai soci per l’acquisto di nuove partecipazioni ed anche per i fondi
costituiti con i saldi di rivalutazione monetaria esenti, non si configurano come una
distribuzione di utili. In caso di fusione tra società non costituiscono utili le somme
percepite (e i beni assegnati ai) soci per ripartizione di riserve o altri fondi costituiti
con avanzi di fusione, in conformità alla disciplina prevista dall’art. 55 in tema di
sopravvenienze attive26.
Per gli utili o il valore normale dei beni assegnati ai soci di società soggette
all’imposta sul reddito delle persone giuridiche nei casi di recesso, riduzione del
capitale e liquidazione, anche concorsuale, se il periodo di tempo intercorso tra la
26
Ministero delle Finanze, Dipartimento delle Entrate, Circolare del 24/06/1998, n. 165, cap. 4 par. 8.
32
costituzione della società e la comunicazione del recesso, la deliberazione di
riduzione del capitale o l’inizio della liquidazione è superiore a cinque anni27 si può
usufruire della tassazione separata di cui art. 16 del testo unico.
Per quanto riguarda le società ed enti commerciali, Sicav, enti non commerciali e
le partecipazioni riconducibili al patrimonio aziendale di imprenditori individuali, gli
utili percepiti partecipano a formare il reddito d’impresa seguendo il principio di
cassa. Anche all’impresa compete il credito d’imposta.
Per le cooperative esenti Irpeg si applica una ritenuta a titolo d’imposta con
aliquota del 27 per cento.
Per i soggetti esclusi Irpeg, ovvero società semplici, enti non commerciali,
associazioni tra professionisti, società commerciali e stabili organizzazioni di soggetti
non residenti, non viene trattenuta alcuna ritenuta, sia per i dividendi distribuiti da
società nazionali che estere, ma i soggetti sono obbligati al regime della
dichiarazione. Se gli utili provengono da partecipazioni immesse nel sistema di
deposito accentrato gestito dalla Monte Titoli S.p.A. ai sensi della legge 19 giugno
1986, n. 289, è applicata, in luogo della ritenuta di cui ai commi 1 e 3 dell’articolo
27, un’imposta sostitutiva delle imposte sul reddito con le stesse aliquote ed alle
medesime condizioni28.
Gli utili distribuiti ai soggetti non residenti sono sottoposti a una ritenuta con
aliquota del 27 per cento. Tali soggetti hanno diritto al rimborso, fino a concorrenza,
27
Testo unico delle imposte sui redditi, Decreto del Presidente della Repubblica del 22 dicembre
1986, art 16, lett. m).
28
Decreto Legislativo del 21/11/1997 n.461, art. 12, comma 5.
33
dei quattro noni della ritenuta, dell’imposta assolta all’estero in via definitiva,
mediante esibizione di idonea certificazione del competente ufficio fiscale dello stato
estero29. La circolare del Ministero delle Finanze n. 165/E del 1998 precisa che
questa disposizione non si applica nei casi in cui il soggetto risieda in uno Stato con
cui siano state firmate delle convenzioni contro la doppia imposizione. Nel caso tali
titoli siano gestiti da intermediari non residenti la norma prevede l’obbligo di
nominare un rappresentante fiscale in Italia che può essere o una banca o una SIM
residente nel territorio dello Stato ovvero una stabile organizzazione di banche o di
imprese di investimento non residenti. Tale rappresentante provvederà, in
particolare, negli stessi termini e con le stesse modalità previste per gli intermediari
residenti in Italia, a versare l’imposta sostitutiva, effettuare le comunicazioni allo
schedario dei titoli azionari, conservare la documentazione, fornire, entro 15 giorni
dalla richiesta dell’amministrazione finanziaria, ogni notizia o documentazione, utile
ai fini dell’accertamento dell’esatto adempimento degli obblighi afferenti
l’applicazione dell’imposta sostitutiva30.
Sugli utili percepiti sia derivati da partecipazioni “qualificate” che “non
qualificate” direttamente da enti non residenti si applica una ritenuta d’acconto con
aliquota del 12,5 per cento con l’obbligo di esporli nella dichiarazione dei redditi.
29
AA.VV. (a cura Miccinesi), Commento agli interventi di riforma tributaria, R.Esposito, Redditi
di capitale, CEDAM, Padova, 1999, pag.544.
30
AA.VV. (a cura Miccinesi) Commento agli interventi di riforma tributaria, R.Esposito, Redditi
di capitale, CEDAM, Padova, 1999, pag.546..
34
Per i soggetti che svolgono attività imprenditoriale non si applica alcuna ritenuta,
rimane l’obbligo della dichiarazione, mentre i soggetti esenti Irpeg sono soggetti a
una ritenuta a titolo di imposta del 27 per cento.
Nei casi in cui si deve calcolare la ritenuta, la base imponibile è uguale all’utile
distribuito al lordo dell’imposizione subita nello Stato estero, in tale caso compete il
credito d’imposta delle tasse pagate nello stato d’origine. Nei casi in cui il provento
debba essere imputato direttamente nel regime dichiarativo la base imponibile si
determina dalla somma dei dividendi più le imposte pagate nello Stato da cui
provengono tali utili, anche in questo caso compete il credito d’imposta. Per far
valere il diritto del credito d’imposta si necessita di una documentazione rilasciata
dall’autorità fiscale dello Stato estero ai sensi della Ris. Min. n. 104/E del 3 luglio
2001.
5.1) La riforma della tassazione degli utili.
La riforma del testo unico delle imposte sul reddito prevede rilevanti modifiche
al sistema di imposizione degli utili riconosciuti dalle persone fisiche e dalle società.
La tassazione degli utili percepiti dalle persone fisiche inerenti a partecipazioni
“non qualificate” sarà tassato con una ritenuta alla fonte a titolo definitivo con la
cosiddetta “cedolare secca” con una aliquota del 12,5 per cento. Non sarà più
35
possibile il regime della dichiarazione che beneficiava del credito di imposta previsto
dall’art. 14 del D.P.R. 917/86.
La norma prevede che il contribuente attesti che le partecipazioni non superino i
limiti stabiliti dall’art. 81, comma 1, lett. c), testo unico, che nella bozza non muta
rispetto alla norma attuale, ma assume la numerazione come art. 66.
Per i dividendi riferiti a partecipazioni “qualificate” la bozza della nuova
disposizione dispone l’esenzione parziale del 60 per cento, il rimanente 40 per cento
parteciperà alla formazione del reddito complessivo del contribuente. Anche in
questo caso è prevista l’abolizione del credito d’imposta. E’ evidente che con la
riforma, gli utili sono sottoposti ad una doppia imposizione, la prima in capo alla
società mediante l’applicazione dell’Ires, con l’aliquota del 33 per cento, la seconda
sulle persone fisiche a seconda dei casi o tramite ritenuta o al momento della
dichiarazione dei redditi.
Nell’ipotesi che un soggetto Ire detenga partecipazioni estere, gli utili distribuiti
subiranno una ritenuta con aliquota del 12.5 per cento, a titolo di imposta nel caso di
partecipazioni “non qualificate” a titolo di acconto se “qualificate”.
Più articolata è la nuova tassazione degli utili percepiti dalle società.
La riforma prevede che i dividendi percepiti da una società usufruiscano di una
esenzione parziale pari al 95 per cento del dividendo, anche in questo caso senza
credito d’imposta. Si passerà da un sistema impositivo che permetteva di annullare
completamente ogni effetto impositivo sulla società che percepisce l’utile, ad un
sistema che prevede una imposizione ulteriore dell’ 1,65 per cento (uguale al 33 per
36
cento del 5 per cento che contribuisce alla formazione dell’imponibile della società
partecipante). Nell’ipotesi che la società partecipante distribuisca dei dividendi a
un’altra società il medesimo utile subirà una ulteriore imposizione. Nel regime attuale
se la partecipante è titolare di perdite riportabili ha la possibilità di recuperare le
imposte pagate dalla partecipata, con il nuovo regime potrà compensare con
l’importo dovuto, ma non potrà recuperare le imposte pagate dalla partecipata.
Per evitare questa tassazione a “cascata” nella riforma è prevista la possibilità di
un consolidato fiscale. In questo regime i dividendi distribuiti all’interno del gruppo
sono totalmente esenti da tassazione.
Nell’ipotesi che tutte le società partecipanti al consolidato siano residenti la
bozza prevede il cosiddetto consolidato fiscale “domestico”, se sussiste il rapporto di
controllo di cui all’articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile con i
requisiti di cui al successivo articolo 121 possono congiuntamente esercitare
l’opzione per la determinazione di un unico reddito complessivo risultante dalla
dichiarazione dei redditi della società o ente controllante e corrispondere alla
somma algebrica degli imponibili di ciascuna entità legale rettificati in base a
quanto previsto dalle norme della presente sezione31.
Il primo comma dell’art. 2359 del codice civile stabilisce che sono considerate
controllate le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti
nell’assemblea ordinaria. L’articolo 121 della bozza del testo di riforma stabilisce
31
Bozza del testo unico, approvata il 12 settembre 2003, dal Consiglio dei Ministri, art. 118,
comma 1.
37
l’obbligo di tener conto del demoltiplicatore che si è determinato dalla catena
societaria di controllo. Il demoltiplicatore limita notevolmente l’utilizzo del
consolidato nazionale, le percentuali di controllo di una partecipante in una catena
societaria di due partecipate risulta essere uguale al prodotto delle due partecipazioni.
Un semplice esempio può chiarire ulteriormente il concetto. Se la società partecipante
detiene il 70 per cento della partecipata X la quale possiede il 70 per cento della
partecipata Y la partecipante per effetto della catena societaria non può far rientrare
nel consolidato nazionale la partecipata Y perché a causa del demoltiplicatore,
partecipa al capitale sociale della partecipata Y soltanto per la quota del 49 per cento
(uguale al prodotto del 70 per cento per il 70 per cento), in tale caso i dividendi sono
esenti parzialmente. La norma prevede che una società ha la possibilità di partecipare
a un solo consolidato. Il requisito della maggioranza dei voti deve essere presente
all’inizio di ogni esercizio.
La scelta per la tassazione di gruppo deve essere effettuata congiuntamente dalla
controllante e dalla controllata.
La scelta del consolidato nazionale ha valore per tre anni, nell’ipotesi di un
abbandono di tale regime la società o l’ente deve rideterminare il proprio imponibile.
Se la scelta di abbandonare il consolidato derivi dall’entrata in vigore di nuovi
principi contabili internazionali che fanno venir meno la convenienza del consolidato,
non si dovrà rideterminare la base imponibile.
La riforma prevede la possibilità per le società o enti di poter optare per un
consolidato “mondiale”, in questo regime, la società (o le società) partecipata può
38
essere non residente. L’opzione per il consolidato internazionale è irrevocabile per la
durata di 5 anni. In questo caso il bilancio della società estera deve essere ricompilato
secondo i dettami che regolano la stesura dei bilanci nazionali.
Nel consolidato “mondiale” i dividendi di una società estera godono
dell’esenzione se distribuiti dalle società e dagli enti di cui all’articolo 72, comma 1,
lettera d) diversi da quelli residenti negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato
di cui al decreto del Ministero dell’economia e delle finanze emanato ai sensi
dell’articolo 169, comma 4, o se ivi residenti relativamente ai quali, a seguito
dell’esercizio dell’interpello previsto dal comma 5, lettera b), dell’articolo 169, siano
rispettate le condizioni di cui alla lettera c) del comma 1, dell’articolo 8832. La
società partecipata, residente in “paradiso” fiscale deve dimostrare a seguito di
interpello ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (statuto dei diritti
del contribuente), che la localizzazione dei redditi negli Stati a regime fiscale
privilegiato, non sia avvenuta per conseguire agevolazioni fiscali.
Se i dividendi sono distribuiti per partecipazioni detenute da persone fisiche, ma
nell’ambito dell’attività d’impresa, l’art. 59 della bozza di riforma del testo unico
dispone che i dividendi concorrono alla formazione del reddito di impresa per il 40
per cento del loro ammontare, e sconteranno l’aliquota marginale in capo al
contribuente, al momento della dichiarazione dei redditi. Questo regime si applica sia
per le partecipazioni “qualificate” che per le “non qualificate”
32
Bozza del testo unico, approvata il 12 settembre 2003, dal Consiglio dei Ministri, art. 90, comma
3.
39
Per società a responsabilità limitata a ristretta base azionaria con ricavi non
superiori le soglie previste per l’applicazione degli studi di settore (5.164.568,99
euro) è prevista nella riforma la possibilità di optare per il regime di tassazione per
trasparenza. La tassazione si sposta direttamente in capo al socio per trasparenza
come avviene per le società di persone. Un requisito di questo regime, è che i soci
della società devono essere o tutte persone fisiche, oppure tutte persone giuridiche.
Per questi ultimi soggetti la norma prevede che devono detenere minimo il 10 per
cento delle quote della società partecipata. Se i soci della Srl sono persone fisiche, la
nuova disposizione prevede che per usufruire del regime agevolato la compagine
sociale sia composta esclusivamente da persone fisiche non superiore a 10
33
.
Nell’ipotesi di società cooperativa a responsabilità limitata la compagine sociale non
deve essere superiore a 20 persone. Per la determinazione del numero dei soci la
bozza prevede che si deve fare riferimento alla data di chiusura dell’esercizio della
società partecipata.
L’opzione è irrevocabile per tre esercizi sociali della società partecipata e deve
essere comunicata all’amministrazione finanziaria, entro il primo dei tre esercizi
sociali predetti, secondo le modalità indicate in un provvedimento del Direttore
dell’Agenzia delle entrate34.
33
Bozza del testo unico, approvata il 12 settembre 2003, dal Consiglio dei Ministri, art. 117.
Bozza del testo unico, approvata il 12 settembre 2003, dal Consiglio dei Ministri, art.116,
comma 4.
34
40
5.2) La tassazione degli altri redditi di capitale.
La lett. f) primo comma dell’art. 41 del testo unico delle imposte sul reddito
impone la tassazione degli utili da associazione in partecipazione. La norma prevede
la tassazione degli utili derivanti da contratti di associazione in partecipazione. Sono
riconducibili a tale profilo gli utili che derivino dall’apporto di capitale o di capitale e
lavoro. Nel caso di apporto di solo lavoro questi redditi devono essere tassati come
lavoro autonomo ai sensi dell’art. 49, comma 2, lett. c) del testo unico.
Ai fini della determinazione dell’imponibile il reddito di capitale e' costituito
dall'ammontare degli interessi, utili o altri proventi percepiti nel periodo d'imposta,
senza alcuna deduzione. Nei redditi di cui alle lettere a), b), f), e g) del comma 1
dell'articolo 41 è compresa anche la differenza tra la somma percepita o il valore
normale dei beni ricevuti alla scadenza e il prezzo di emissione o la somma
impiegata, apportata o affidata in gestione, ovvero il valore normale dei beni
impiegati, apportati od affidati in gestione35.
Sui proventi percepiti il sostituto d’imposta deve trattenere una ritenuta a titolo
di acconto del 12.5 per cento. Nell’ipotesi che non sono soggetti a ritenuta alla fonte
a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva, se il periodo di durata del contratto36 è
superiore ai 5 anni possono essere soggetti a tassazione separata ai sensi dell’art. 16
del testo unico.
35
Testo unico delle imposte sui redditi, Decreto del Presidente della Repubblica del 22 dicembre
1986 n.917, art 42, comma 1.
41
La medesima lettera dell’art. 41 impone la tassazione degli utili derivanti da
contratti di cointeressenza previsti dal primo comma dell’art. 2554 del codice civile.
La cointeressenza può essere “propria” quando il partecipante senza l’apporto
partecipa agli utili e alle perdite, oppure “impropria” nel caso che, a seguito
dell’apporto, abbia diritto agli utili ma non partecipa alle perdite.
Prima dell’entrata in vigore del d. lgs. 461/97, i redditi riconducibili alla lett. g),
primo comma, art. 41, del D.P.R. 917/86, erano soprattutto i proventi derivanti da
organismi di investimento collettivo di valori mobiliari (O.I.C.V.M.) di diritto estero,
infatti questa norma sembra dettata con riferimento alle gestioni collettive diverse
dai fondi comuni di investimento quali sono – ancora per poco tempo (considerato il
recente decreto ministeriale che li ha soppressi) – gli enti di gestione fiduciaria di cui
all’art. 45 del T.U. delle leggi sulle assicurazioni private. Altre forme di gestioni
collettive dovrebbero considerarsi ormai vietate perché in contrasto con gli artt. 10 e
1 della legge n. 77 istitutiva dei fondi comuni di investimento, i quali, appunto, non
consentono che la gestione collettiva di denaro o di beni di terzi possa essere
esercitata attraverso forme diverse da quella dei fondi comuni di investimento37.
Con la riforma del 1997 la lett. g) dell’art. 41 configura come redditi di capitale i
proventi derivanti dalla gestione, nell’interesse collettivo di pluralità di soggetti, di
36
Testo unico delle imposte sui redditi, Decreto del Presidente della Repubblica del 22 dicembre
1986 n.917, art 16, lett. n).
37
F. Gallo, Prime considerazioni sulla disciplina dei redditi di capitale nel nuovo T.U., in Rassegna
Tributaria, I, 1988, pag. 47.
42
masse patrimoniali, costituite con somme di denaro e beni affidati a terzi o
provenienti dai relativi investimenti38.
Il provento si considera realizzato con la cessazione del rapporto di
partecipazione al fondo, il capitale originariamente investito, nonché gli eventuali
frutti, mediante distribuzione, riscatto, liquidazione o cessione delle quote, ritornino
(il primo) o siano definitivamente acquisiti (i secondi) nella sfera giuridica
dell’investitore, appaiono irrilevanti, ai fini della tassazione, i passaggi (c.d. switch)
da un compartimento all’altro nel caso dei fondi “multicompartimentali”39.
La base imponibile è determinata dalle somme percepite dal contribuente meno i
conferimenti apportati al fondo. Tali redditi sono assoggettati a una ritenuta
d’acconto con aliquota del 12,5 per cento. Nell’ipotesi che OICVM sia specializzato
in società quotate di piccola e media capitalizzazione l’aliquota dell’imposta è ridotta
al 5 per cento, qualora il regolamento del fondo preveda che non meno dei due terzi
del relativo attivo siano investiti in azioni ammesse alla quotazione nei mercati
regolamentati degli Stati membri dell'Unione Europea di Società di piccola o media
capitalizzazione e, decorso il periodo di un anno dalla data di avvio o di
adeguamento del regolamento alla presente disposizione, il valore dell'investimento
nelle azioni delle predette società non risulti inferiore, nel corso dell'anno solare, ai
due terzi del valore dell'attivo per più di un sesto dei giorni di valorizzazione del
fondo successivi al compimento del predetto periodo; il valore dell'attivo e' rilevato
38
Testo unico delle imposte sui redditi, Decreto del Presidente della Repubblica del 22 dicembre
1986, art 41, lett. g).
39
AA.VV. (a cura Miccinesi), Commento agli interventi di riforma tributaria, R.Esposito, Redditi di
capitale, CEDAM, Padova, 1999, pag.527.
43
dai prospetti periodici del fondo al netto dell'eventuale risparmio d'imposta,
ricollegabile ai risultati negativi della gestione, contabilizzato nei prospetti
medesimi40 Se la durata del contratto che ha generato i redditi è superiore ai 5 anni, il
risparmiatore può optare per la tassazione separata. Non rientrano in questa tipologia
i fondi storici lussemburghesi.
L’art. 41, primo comma, lett. g-quinquies), e l’art. 42, comma 4 ter), del testo
unico, regola dal 2001 la tassazione delle rendite vitalizie derivanti da contratti di
partecipazione a fondi pensione o comunque previdenziale. Si applica una imposta
sostituiva con aliquota del 12,5 per cento sui rendimenti finanziari che non sono stati
assoggettati a imposta precedentemente.
Per i fondi comuni di investimento è prevista una disciplina tributaria specifica.
In particolare, radicalmente innovando rispetto alla previgente normativa, per tali
fondi (che non sono soggetti alle imposte sui redditi) è prevista l’applicazione di una
imposta sostitutiva del 12,5 per cento sul risultato maturato della gestione,
escludendo i redditi esenti, quelli assoggettati a ritenuta a titolo di imposta o a
imposta sostitutiva. E’ prevista la possibilità di compensare il risultato negativo di un
periodo di imposta con quelli positivi degli anni successivi. Speculare a questo
particolare regime impositivo previsto a carico del fondo è l’esenzione da ogni
imposta reddituale dei proventi percepiti dai partecipanti del fondo41. Nell’ipotesi in
cui i partecipanti al fondo siano meno di 100, nel caso che parte del reddito sia
40
Decreto Legge del 30/09/2003 n. 269, art.12, comma 3, convertito in legge n. 326 il 24 novembre
2003.
44
prodotto per mezzo di partecipazioni “qualificate”, limitatamente a tali proventi si
applica una imposta sostitutiva con aliquota del 27 per cento, l’aliquota agevolata del
12,5 per cento si applica sempre anche agli utili relativi alle partecipazioni qualificate
e alle azioni o quote detenute in misura superiore al 50 per cento da investitori
istituzionari. Per i fondi immobiliari si applica una ritenuta con aliquota del 12,5 per
cento ai sensi dell’art. 41 bis, comma 9, del decreto legge del 30 settembre 2003 n.
269, convertito in legge n. 326 il 24 novembre 2003.
Per le gestioni individuali di portafoglio si applica una disciplina analoga a
quella dei fondi comuni di investimento, alla tassazione di ogni singolo reddito
conseguito dal contribuente, si è sostituita la applicazione, sia pure in via opzionale,
di una imposta sostitutiva del 12,5 per cento sul reddito complessivo netto maturato
nel periodo d’imposta nell’ambito del contratto di gestione di patrimoni intrattenuti
con l’intermediario42.
5.3) La riforma della tassazione degli utili derivanti dai contratti di
associazione in partecipazione e dai contratti di cointeressenza .
La riforma del testo unico delle imposte sul reddito prevede un radicale
cambiamento della tassazione degli utili derivanti da associazioni in partecipazione e
41
42
G. Falsitta, Manuale di Diritto Tributario, parte speciale. Padova, Cedam, 2000, pagg. 121-122.
G. Falsitta, Manuale di Diritto Tributario, parte speciale. Padova, Cedam, 2000, pag. 122.
45
dai contratti di cointeressenza indicati nel primo comma dell’art. 2554 del codice
civile.
La bozza del nuovo testo unico prevede che gli utili derivanti dai contratti di cui
alla lettera f) dell’articolo 44 concorrono alla formazione del reddito imponibile
complessivo nella stessa percentuale di cui al comma 1, qualora il valore
dell’apporto sia superiore al 5 per cento o al 25 per cento del valore del patrimonio
netto contabile alla data della stipula del contratto secondo che si tratti di società i
cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati o di altre partecipazioni43. I redditi
del contratto sono trattati in capo al soggetto partecipante, o come utili derivanti da
partecipazioni “non qualificate”, regime della “cedolare secca” se l’apporto di
capitale è inferiore alle percentuali indicate precedentemente, oppure concorrono a
formare il suo reddito complessivo limitatamente al 40 per cento del loro
ammontare44
Nella bozza non è prevista una norma transitoria, pertanto, i contratti in corso
possono in alcuni casi divenire antieconomici per gli associati.
43
Bozza del testo unico, approvata il 12 settembre 2003, dal Consiglio dei Ministri, art.47, comma
2.
44
Bozza del testo unico, approvata il 12 settembre 2003, dal Consiglio dei Ministri, art.47, comma
1.
46
6) Redditi diversi di natura finanziaria
Le plusvalenze finanziarie sono regolate dall’art. 81 e 82 del testo unico delle
imposte dirette. La norma riporta a tassazione le mutevoli specie di contratti
finanziari, facendo riferimento agli effetti giuridici che producono, tralasciando
denominazioni tecniche che vengono coniate dagli operatori del settore.
La prima premessa che si trova al primo comma dell’art. 81 sancisce che sono
redditi diversi di natura finanziaria, i proventi che non costituiscono redditi di
capitale. Nell’ipotesi in cui un provento abbia sia i requisiti per essere tassato come
reddito di capitale che come reddito diverso tale norma prevede la sua imposizione
come reddito di capitale. Questa norma, perciò, semplifica l’individuazione della base
imponibile, e diminuisce la possibilità di arbitraggio fiscale.
Le lett. c), c-bis), c-ter), e c-quater) definiscono diverse tipologie di plusvalenze,
mentre la lett. c-quinques) è una norma di chiusura in quanto attrae a imposizione le
fattispecie non indicate nelle lettere precedenti. Più precisamente la lett. c) definisce
la tassazione della cessione “qualificata” delle partecipazioni al patrimonio delle
società di cui l’art. 5 del testo unico e delle azioni (di tutti i soggetti I.R.P.E.G. sia
privati che di enti pubblici, ad esclusione degli enti non commerciali non residenti),
nonché dei diritti o titoli con cui possono essere acquistate, ad esclusione delle azioni
di risparmio. Mentre la lett. c-bis) individua la tassazione della cessione “non
qualificata” dei medesimi titoli; rientrano sempre in questo genere la cessione di
partecipazioni al capitale o al patrimonio di associazioni professionali. Bisogna
47
ricordare che la circolare n. 165/E interpreta la nozione di “partecipazione” usata dal
legislatore nell’art. 81 del testo unico estendendo il significato fino a ricomprendere
non solo le azioni e ogni altra partecipazione al patrimonio delle persone fisiche (con
la sola esclusione delle associazioni fra artisti e professionisti) delle società di
capitali e degli enti commerciali, ma anche i diritti o titoli attraverso cui possono
essere acquistate partecipazioni45.
La lett. c-ter) attrae a imposizione la cessione dei titoli non rappresentativi di
merci, valute estere, certificati di massa, metalli preziosi e quote di partecipazione ad
organismi d’investimento collettivo; infine la lett. c-quater) i redditi derivanti da
contratti in cui deriva il diritto o l’obbligo di cedere o acquistare merci, valute,
metalli preziosi e altri contratti a termine di natura finanzia.
Tali plusvalenze sono soggette ad imposta sostitutiva, perciò non concorrono
mai alla formazione del reddito complessivo delle persone fisiche. La scelta del
legislatore è dettata dalla volatilità internazionale di tali proventi, una tassazione
progressiva consiglierebbe all’investitore di realizzare i propri guadagni in una borsa
finanziari estera. E’ evidente che un sistema tributario che non rispetti il principio
della progressività delle imposte sembrerebbe venir meno alle disposizioni dell’art.
53 della Costituzione, ma con la globalizzazione dell’economia, le grandi imposte
onnicomprensive, personali e progressive non soddisfanno più i molteplici fini che si
prefissano di raggiungere con la politica fiscale. Di conseguenza sono stati elaborati
dei sistemi fiscali speciali più adeguati agli scopi che la politica fiscale deve
45
Ministero delle Finanze, Circolare del n. 165/E del 24 giugno 1998, cap.2 par. 3.6.
48
perseguire, per esempio la volatilità, la meritevolezza sociale degli investimenti o dei
consumi o il contrasto all’evasione.
I redditi si producono dal differenziale che si realizza tra il prezzo di acquisto e il
prezzo di vendita, si tratta di guadagni di capitale (capital gains).
La vendita è soggetta all’aliquota del 27 per cento nel caso che si tratti di
cessione di partecipazioni <<qualificate>>; per la determinazione delle percentuali si
tiene conto del totale dei passaggi di proprietà avvenuti nell’arco di un anno (anche se
avvengono in periodi d’imposta diversi), e riguardano una pluralità di soggetti. Tale
regola si applica dal momento in cui il venditore viene in possesso delle percentuali
<<qualificate>>, gli scambi avvenuti prima del superamento delle soglie non
rientrano nel computo dei titoli ceduti.
Nel caso della vendita di partecipazioni <<non qualificate>> e per i proventi
derivanti da operazioni “a termine” o dalla vendita di titoli obbligazionari l’aliquota
si riduce al 12.5 per cento. Nella liquidazione dell’imposta si tiene conto sia delle
plusvalenze che delle minusvalenze per ciascuna delle due masse, con la possibilità di
compensare i risultati nell’ambito della medesima tipologia di partecipazione. Nel
caso di un risultato negativo tali minusvalenze si possono riportare in diminuzione
degli eventuali risultati positivi nei successivi quattro anni. Per le plusvalenze tassate
ai sensi della norma di chiusura regolata dalla lett. c-quinquies) non è ammessa la
deducibilità delle minusvalenze.
Nella maggior parte dei casi i piccoli risparmiatori preferiscono avvalersi degli
intermediari finanziari che prelevano l’imposta sostitutiva, tali contribuenti possono
49
scegliere fra due forme di gestione: il “risparmio amministrato” e il “risparmio
gestito”, di cui ci occuperemo successivamente.
Dopo un’introduzione sulla tassazione dei guadagni di capitali approfondiamo
alcuni aspetti della normativa. Per determinare la percentuale che definisce la
cessione “qualificata” rientrano anche i titoli e i diritti che permettono di acquistare
delle partecipazioni per esempio diritti di opzione, warrant, obbligazioni convertibili
ed ogni altra posizione giuridica da cui scaturisce il diritto di vendere od acquistare
dei titoli. La ragione di tale inclusione deriva dalla volontà di impedire il passaggio
del controllo di una società, evitando la imposizione con l’aliquota del 27 per cento.
Nel momento in cui viene meno la possibilità di convertire tali titoli o certificati
in partecipazioni torneranno ad essere tassabili come redditi diversi sulla base della
lettera c-ter), una volta che sia venuto meno il diritto alla conversione in quanto
tanto la lettera c), quanto la lettera c-bis), assimilano alle cessioni di partecipazione
al capitale e al patrimonio di società ed enti anche le cessioni di titoli non
rappresentativi di partecipazioni soltanto se ed in quanto attraverso tali titoli sia
possibile effettuare l’acquisto di partecipazion46i. Sono sempre imponibili sulla base
della lett. c-ter) la cessione a titolo oneroso di certificati di massa, le accettazioni
bancarie e le cambiali, le plusvalenze derivanti dalla contrattazione di quote di
partecipazione ad organismi d’investimento collettivo, a valori diversi dei prospetti
preparati dalle società di gestione, mentre le plusvalenze prodotte dall’incremento dei
46
AA.VV. (a cura Miccinesi), Commento agli interventi di riforma tributaria, G. Escalar, Il
riordino della tassazione dei redditi diversi di natura finanziaria, CEDAM Padova, 1999, pag.
571
50
valori dei fondi e percepite tramite cessione devono essere tassate ai sensi dell’art. 41
comma 1 del T.U.I.R . Le minusvalenze in qualsiasi forma prodotte non essendo
deducibili dai redditi di capitale ai sensi dell’art. 42 del testo unico sono deducibili
per le disposizioni dell’art. 82, comma 6, del T.U.I.R.
La lett. c-quarter) regola i contratti derivati, la prima distinzione si ha se il
contratto produce
il diritto o l’obbligo di acquistare o cedere degli strumenti
finanziari alla scadenza dei termini; in questo caso si tratta di contratti derivati di tipo
traslativo (contratti a opzione su titoli, future, etc.) , mentre se alla scadenza il diritto
o l’obbligo riguarda il ricevere o pagare dei premi si tratta di contratti di tipo
differenziale, ricordiamo i contratti: forward, interes rate future , swaps, etc. Bisogna
ricordare che i contratti che hanno per oggetto le valute rientrano nei redditi diversi se
il risultato dell’operazione è incerto in caso contrario sono soggetti ad imposizione
come redditi di capitale ai sensi dell’art. 41 comma 1 lett. g-bis) che regola il
contratto di riporto e pronti contro termine.
Per quanto riguarda il presupposto della territorialità, le plusvalenze realizzate
dai non residenti sono soggette ad imposta sostitutiva a titolo definitivo. Sono anche
soggette ad imposizione le cessioni di partecipazioni di società per azioni residenti
detenute da soggetti non residenti, ovunque scambiate. Non sono, invece, imponibili.
le cessioni di partecipazioni di società non residenti effettuate da soggetti non
residenti nel territorio italiano, in quanto non si ritengono prodotte nel territorio
nazionale.
51
6.1) I regimi del risparmio amministrato e gestito.
Il regime del risparmio amministrato è regolato dall’art. 6 d. lgs. 461/97. Il
contribuente ha l’ opportunità di opzionare per questo regime se i titoli siano posti in
custodia o in amministrazione presso i soggetti abilitati. La norma identifica come
soggetti abilitati le banche, le Poste Italiane, le SIM, gli agenti di cambio iscritti nel
ruolo unico nazionale e le società fiduciarie di cui alla Legge 1966/39. Tale regime
può essere richiesto solo per i redditi indicati nelle lett. c-bis), c-ter), c-quater), cquinquies) del primo comma dell’art. 81 del testo unico, ne perviene che non possono
rientrare in questo regime semplificato le cessioni di partecipazioni <<qualificate>>.
Si accede a questo regime mediante opzione rilasciata al soggetto abilitato; nel
caso di più rapporti la comunicazione deve avvenire per ognuno; la circolare 165/E
dell’1998 a proposito di tale opzione specifica che può essere esercita sia
contestualmente, che successivamente alla stipula del contratto o all’instaurazione
del rapporto: nel primo caso, l’opzione ha effetto immediato; nel secondo caso, ha
effetto dal primo giorno dell’anno successivo a quello in cui è stata esercitata
l’opzione, salvo che per le fattispecie previste dall’art. 81, comma 1 lettere c-quater)
e c-quinquies) per le quali l’opzione può essere esercitata anche al momento della
conclusione del primo contratto47.
47
Ministero delle Finanze, Dipartimento delle Entrate, Circolare del 24/06/1998 n. 165, cap. 3 par.
3.2
52
I proventi sono sottoposti ad un’imposta sostitutiva con aliquota del 12,5 per
cento, liquidata dal gestore che l’applica al momento della percezione da parte del
contribuente del reddito.
La tassazione avviene oltre che al momento della cessione dei titoli, quando
viene revocata l’opzione e anche quando i titoli sono trasferiti ad altri rapporti di
amministrazione o a diversi regimi di amministrazione, anche intrattenuti con il
medesimo intermediario, ad esclusione dei trasferimenti per donazione e successione.
Questa norma, meramente antielusiva, risponde alla necessità che con il cambio di
intestazione o regime, possa essere differita l’imposizione delle plusvalenze maturate.
Nell’eventualità in cui il risultato del <<risparmio amministrato>> sia negativo,
le minusvalenze così determinatesi sono deducibili dalle plusvalenze realizzate nel
medesimo rapporto, ne consegue che qualora il contribuente abbia acceso più
rapporti con i diversi intermediari potrebbe essere obbligato a pagare l’imposta
anche qualora, sommando i redditi e le perdite derivanti da ciascun rapporto, non
abbia realizzato redditi ma perdite. Analogamente a quanto stabilito per il regime di
tassazione in dichiarazione, le minusvalenze che non siano state compensate nel
corso del periodo d’imposta possono essere portate a nuovo e compensate anche con
le plusvalenze e gli altri redditi diversi di natura finanziaria dei periodi d’imposta
successivi, ma non oltre il quarto48; non è possibile fruirne per compensare una
plusvalenza prodotta in un rapporto di risparmio gestito tale norma è prevista dall’art.
48
AA.VV. (a cura Miccinesi), Commento agli interventi di riforma tributaria, G. Escalar. Il
riordino della tassazione dei redditi diversi di natura finanziaria. CEDAM Padova, 1999 pagg.615616.
53
6, comma 5, d. lgs 461/97. Il gestore rilascia apposita dichiarazione nella quale
risultano le informazioni necessarie per fruire della deduzione.
Il risultato del <<risparmio amministrato>>, se composto da una pluralità di
titoli, viene determinato rispetto al costo e al valore medio ponderato per ogni
categoria omogenea in luogo del metodo lifo continuo, che è invece prescritto per i
contribuenti che intendano andare in dichiarazione. Finalità dell’adozione di questo
particolare metodo di valutazione è quella di permettere agli intermediari di tenere
memoria di un solo costo d’acquisto per tutte le attività finanziarie, appartenenti ad
una stessa categoria omogenea49. In questo caso, ovvero qualora si verifichino più
acquisizioni del medesimo titolo, il costo o valore di acquisto risulterà uguale al costo
medio ponderato.
Il prelievo dei titoli e la revoca di amministrare i contratti a termine non è
presupposto del realizzo di plusvalenze, perché con l’assoggettamento a tassazione
ordinaria non varia l’aliquota applicabile nè la determinazione della base imponibile.
Nell’eventualità in cui i soggetti abilitati non siano in possesso di tutte le
informazioni necessarie per la liquidazione dell’imposta, sono tenuti a richiederle al
contribuente il quale può presentare anche una dichiarazione sostitutiva. Gli
intermediari devono sospendere l’esecuzione delle disposizioni dell’investitore fino a
quando tale richiesta non viene esaudita. Quando la non idonea comunicazione del
contribuente
comporta
una
minor
imposizione,
amministrativa da 1 a 2 volte l’imposta evasa.
54
si
applica
una
sanzione
Il regime del risparmio gestito è regolato dall’art. 7 D. Lgs. 461/97. Il
contribuente ha la possibilità di fruire di tale regime se i titoli siano dati in gestione a
soggetti abilitati. La norma identifica come soggetti le banche, le SIM, le società
fiduciarie, le società di gestione risparmio, se non residenti sono considerati soggetti
abilitati le loro stabili organizzazioni in Italia aventi i medesimi requisiti, e gli agenti
di cambio iscritti nel ruolo unico nazionale. Questo regime si differenzia da quello
amministrato per le seguenti caratteristiche; la prima è che il risultato della gestione
viene determinato dalla differenza del valore del patrimonio al termine di ogni anno
solare e il valore dell’anno precedente, oppure se più recente, dal momento in cui si è
instaurato il rapporto, al netto dei costi di gestione. In questo caso si ha una
imposizione sul maturato della gestione, al fine di limitare il più possibile l’effetto di
“blocco” o “lock-in”, riscontrabile nei sistemi che colpiscono fiscalmente i capitolan
gain solo al momento del realizzo50, perciò la tassazione avviene per competenza e
non per cassa.
Scopo della delega era di favorire l’ingresso nel mercato finaziario dei risparmi
privati, abitualmente indirizzati verso i titoli del debito pubblico, infatti questo regime
speciale è precluso ai capitali riconducibili all’attività d’impresa commerciale.
Altri elementi che rendono particolarmente innovativa questa forma di
risparmio, è la “gestione individuale”, sotto il profilo fiscale il legislatore ha
49
AA.VV. (a cura Miccinesi), Commento agli interventi di riforma tributaria, G. Escalar., Il
riordino della tassazione dei redditi diversi di natura finanziaria, CEDAM, Padova, 1999, pag 615.
50
A. Magliacco, D. Pitaro, G. Ricotti e A. Sanelli, Tassazione del risparmio gestito e integrazione
finanziaria europea, in Quaderni di ricerca giurica della Consulenza legale, Banca d’Italia, n. 50
settembre 1999, pag 19.
55
opportunamente omesso ogni riferimento definitorio agli elementi che configurano il
prodotto stesso, lasciando alla prassi commerciale degli intermediari e alle eventuali
regole di vigilanza i connotati salienti dello schema contrattuale. Un tratto
imprescindibile che delimita il campo delle gestioni rispetto ai rapporti di deposito a
custodia di titoli è comunque l’intervento dell’intermediario nella scelta degli
strumenti di investimento: l’ampiezza dei margini di manovra della banca non rileva
ai fini fiscali. E’ perciò indifferente se lo schema contrattuale adottato con la
clientela sia di delega piena o di tipo “advisory”, condizionata cioè al consenso
preventivo del cliente. La duttilità del prodotto “gestione patrimoniale” è tale che in
futuro si potrebbe ipotizzare l’eliminazione della distinzione tra i due regimi di
tassazione, quello del “gestito” e quello dell’“amministrato” per una reductio ad
unum dell’intero sistema di tassazione del risparmio “intermediato”51. Nel regime
del risparmio “gestito” non vi è alcuna differenza se i fondi gestiti sono riferiti ad un
singolo investitore oppure ad un collettività di soggetti.
Innovativa caratteristica di questo regime è che il risultato della gestione si
determina dalla somma dei redditi diversi di cui al primo comma dell’art. 81 a
esclusione della lettera c) e dei redditi di capitale indicati nell’art. 41 con il vincolo
per gli interessi ed altri proventi dei conti correnti bancari, a condizione che la
giacenza media annua non sia superiore al 5 per cento dell’attivo medio gestito52.
L’innovazione di questo regime impositivo è evidente: per la prima volta, si possono
51
A. Magliacco, D. Pitaro, G. Ricotti e A. Sanelli, Tassazione del risparmio gestito e integrazione
finanziaria europea, in Quaderni di ricerca giurica della Consulenza legale, Banca d’Italia n. 50
settembre 1999, pagg 17-18.
56
sommare i redditi di capitale, sicuramente positivi con i redditi diversi derivanti da
plusvalenze finanziarie il cui risultato è aleatorio. Tale forma di compensazione
assume particolare significato nell’ottica della neutralità del prelievo e della
conseguente riduzione delle asimmetrie impositive: tenendo conto del processo di
innovazione finanziaria, particolarmente nel settore degli strumenti derivati, essa
muove nella direzione di abbandonare la tradizionale distinzione tra redditi di
capitale e plusvalenze53.
Sul risultato maturato della gestione si applica una imposta sostitutiva con
aliquota del 12,5 per cento, il predetto risultato viene determinato, deducendo dal
valore del patrimonio gestito al termine di ciascun anno solare, determinato al lordo
dell’imposta sostitutiva, aumentato dei prelievi e diminuito dei conferimenti, il valore
del patrimonio stesso all’inizio dell’anno.
Il valore del patrimonio gestito al termine dell’anno è assunto al netto
dell’importo complessivo dei redditi maturati nel periodo e soggetti a ritenuta, dei
redditi che concorrono a formare il reddito complessivo del contribuente, dei redditi
esenti o comunque non soggetti ad imposta, maturati nel periodo e, infine, dei
proventi derivanti da quote di partecipazioni ad organismi d’investimento collettivo
mobiliare soggetti ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e a fondi comuni
immobiliari. Tali redditi pertanto non concorrendo a formare la base di
52
Decreto Legislativo del 21/11/1997 n.461, art. 7, comma 3, lett. b).
53
A. Magliacco, D. Pitaro, G. Ricotti e A. Sanelli, Tassazione del risparmio gestito e integrazione
finanziaria europea, in Quaderni di ricerca giurica della Consulenza legale. Banca d’Italia n. 50
settembre 1999, pag. 20.
57
commisurazione dell’imposta sostitutiva, rimangono soggetti al regime di tassazione
loro proprio54. L’esclusione dalla tassazione dei proventi derivanti da quote di
partecipazioni ad organismi d’investimento collettivo mobiliare e dei fondi comuni
immobiliari è dovuta alla volontà di evitare che tali proventi subiscano una doppia
imposizione la prima a carico del fondo da cui derivano tali redditi, e la seconda al
momento della dismissione delle quote della partecipazione al deposito gestito.
Per la valutazione del patrimonio iniziale e finale, non avendo il d. lgs. 461/97
dettato alcun criterio di valutazione particolare, occorrerà applicare i criteri di
valutazione del regolamento della Consob. Nell’ipotesi in cui più del 10 per cento
dell’attivo medio gestito non sia negoziato in mercati regolamentari, la valutazione
dei titoli non può avvenire secondo i criteri dettati dal regolamento della Consob, la
norma prevede che la valutazione deve avvenire sulla base del valore normale ai sensi
dell’art. 9 del testo unico. L’investitore ha la possibilità di revocare l’opzione
limitatamente ai titoli non quotati nei mercati regolamentari.
Nell’ipotesi di revoca dell’opzione o scioglimento del contratto, le minusvalenze
che si sono venute a produrre possono essere compensate nella dichiarazione dei
redditi ai sensi dell’art. 82 comma 4 del testo unico o con le plusvalenze di un altro
rapporto di gestione intestato allo stesso contribuente, per il quale sia stata
ovviamente esercitata la prescritta opzione. Per consentire l’esercizio di questo
diritto, la disposizione in esame ha stabilito che il gestore rilasci al contribuente
54
AA.VV. (a cura Miccinesi) Commento agli interventi di riforma tributaria, G. Escalar. Il
riordino della tassazione dei redditi diversi di natura finanziaria. CEDAM Padova, 1999, pag 621.
58
un’apposita certificazione dalla quale risulti l’importo del risultato negativo e l’anno
in cui esso si è prodotto. Il risultato negativo può essere inoltre computato in
diminuzione dal risultato di un altro contratto di gestione che il contribuente ha gia
stipulato o stipula ex novo con lo stesso od un altro gestore, nonché dalla
plusvalenza realizzata nell’ambito di un rapporto soggetto al regime del risparmio
amministrato di cui art. 6, sempreché tali rapporti siano intestati allo stesso
contribuente e sempre nei limiti temporali stabiliti dalla legge55.
La revoca dell’opzione è presupposto per l’imponibilità delle plusvalenze
maturate.
L’imposizione con il regime del risparmio “gestito”, produce per l’erario il
problema dell’instabilità delle entrate finanziarie perché legate all’andamento del
mercato dei titoli, nell’ipotesi più pessimista negli anni in cui il mercato dei titoli
finanziari produce rilevanti minusvalenze, il gettito erariale dell’imposta sostituva si
può anche annullare. La circostanza che questo strumento di investimento, grazie alle
sue caratteristiche, attiri sempre maggiori capitali finanziari, aggrava tale questione.
Per entrambi i regimi speciali il superamento delle soglie indicate nella lett. c)
del comma 1 dell’art. 81 del testo unico, determina la decadenza dell’opzione
esercitata, e l’obbligo di applicare il regime della dichiarazione.
Se il contribuente non comunica entro 15 giorni agli intermediari il superamento
di tale soglia è soggetto a una sanzione amministrativa con aliquota che può variare
55
Ministero delle Finanze, Dipartimento delle Entrate, Circolare del 24/06/1998, n. 165. cap. 3
par.4.
59
dal 2 al 4 per cento del valore delle partecipazioni, alla data del superamento delle
percentuali previste dalla norma.
Nella riforma del sistema fiscale, prevista nel disegno legge n. 80, del 7 aprile
2003 si prevede che il risparmio affidato in gestione ad intermediari abilitati sia
imponibile secondo il criterio di cassa e il mantenimento del principio di
compensazione. Il terzo criterio guida della riforma, per i redditi finanziari dispone
che il regime di risparmio “gestito” passerà dall’attuale sistema della tassazione in
base al principio della maturazione del risultato di gestione a quello del prelievo
all’atto del realizzo dei proventi da parte degli investitori finali. Le due forme di
risparmio gestito rimarranno entrambe <<lordiste>>, non essendo applicabile
alcun prelievo alla fonte sui redditi da esse percepiti. Saranno in questo modo
eliminate all’origine le cause che attualmente determinano in capo alle gestioni il
fenomeno dei cd. <<crediti d’imposta virtuali>> dovuti alle minusvalenze
accumulatesi per effetto dell’andamento al ribasso del mercato56.
Nella riforma viene confermata la possibilità di compensare le componenti
positive con le negative, sia per le gestioni collettive che per quelle individuali. Per le
prime nella relazione alla legge delega si prevede l’applicazione del prelievo
direttamente in capo agli investitori anziché a carico delle gestioni: queste ultime
saranno considerate fiscalmente trasparenti (cd. No-veil system). L’investitore –
persona fisica o impresa – sarà in ogni caso soggetto ad imposizione sui proventi
56
M. C. Panzeri, La riforma della tassazione del risparmio: criteri di delega ed effetti sul sistema
della finanza,in Diritto e Pratica Tributaria, 2002, fasc. 6, pag. 686.
60
delle quote come per qualunque altro strumento finanziario, e cioè all’atto
dell’eventuale distribuzione periodica dei proventi, nonché al momento del riscatto o
della cessione delle quote, sul differenziale tra il valore di cessione o di riscatto delle
medesime e il prezzo di acquisto57.
Mentre per le gestioni individuali la delega intende conservare il regime
privilegiato che si attua con l’entrata in vigore d. lgs 461/97 con alcuni aggiustamenti
dovuti all’esigenza di evitare indefiniti effetti di tax deferral impliciti nella concreta
assenza di un’<<uscita>> dalla gestione individuale. Al fine di conciliare il sistema
di tassazione per cassa con il mantenimento dei benefici della compensazione tra
minusvalenze e altri proventi, nella relazione alla delega viene indicata
l’applicazione del prelievo ad opera degli intermediari con cadenza periodica
convenzionale, al massimo pari all’ordinario periodo d’imposta di un anno, sui
redditi netti realizzati dalla gestione individuale58.
La combinazione fra tassazione per cassa e compensazione tra le plusvalenze e
le minusvalenze in un contesto di tassazione con cadenza periodica, non produrrà
rilevanti modifiche del gettito fiscale, ed eliminerà la tassazione del maturato che,
essendo una peculiarità del sistema italiano, incentiverà gli investitori esteri verso i
prodotti finanziari nazionali.
57
M. C. Panzeri, La riforma della tassazione del risparmio: criteri di delega ed effetti sul sistema
della finanza,in Diritto e Pratica Tributaria, 2002. fasc. 6, pag. 686.
58
M. C. Panzeri, La riforma della tassazione del risparmio: criteri di delega ed effetti sul sistema
della finanza,in Diritto e Pratica Tributaria, 2002. fasc. 6, pag. 687.
61
6.2) La riforma della tassazione delle plusvalenze finanziarie.
La tassazione dei proventi derivanti dalla cessione delle partecipazioni societarie
e di altri strumenti finanziari, viene notevolmente modificata dalla riforma del testo
unico delle imposte sul reddito.
Per quanto riguarda le plusvalenze percepite dalle persone fisiche (che non siano
imprenditori), alle società semplici e ai soggetti equiparati, (regolate dall’art. 57
comma 2 del nuovo testo unico) il cambiamento più rilevante è l’eliminazione
dall’aliquota del 27 per cento per la tassazione della cessione di partecipazioni
<<qualificate>>. Mentre rimane in vigore l’imposta sostitutiva del 12,5 per cento
sulle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni <<non qualificate>>. Il
nuovo regime per la tassazione delle partecipazioni <<qualificate>> prevede che tali
redditi concorreranno alla formazione del reddito complessivo, previa deduzione di
una quota del 60 per cento dell’ammontare del provento. A tale reddito si deve
comunque dedurre il 40 per cento di eventuali minusvalenze <<qualificate>>.
Rimane anche in questo regime l’impossibilità di compensare i risultati tra le due
diverse masse (partecipazioni qualificate e partecipazioni non qualificate).
La deduzione non si applica quando tali proventi derivano dalla cessione di
partecipazioni di società con sede in un Stato avente un regime fiscale privilegiato,
tali Stati vengono individuati tramite decreto ministeriale. Eccetto nei casi in cui a
seguito di interpello preventivo l’amministrazione finanziaria autorizzi l’eventuale
esenzione parziale.
62
La riforma della tassazione delle partecipazioni <<qualificate>>, rettifica la
norma precedente, che per le sue caratteristiche era facilmente eludibile. Con tale
riforma il differenziale fra la tassazione delle due diverse masse è venuto a diminuire,
limitando tali comportamenti, e diminuendo la segmentazione del mercato azionario.
In determinate condizioni i proventi derivanti dalla cessione di partecipazioni
<<qualificate>> sono assoggettati ad una tassazione con una aliquota minore che la
tassazione delle <<non qualificate>>. Con le attuali aliquote dell’imposta sul reddito
(Ire) se il reddito di un contribuente è soggetto ad un aliquota marginale del 29 per
cento ha convenienza ad essere soggetto alla tassazione applicabile alle
partecipazioni <<qualificate>>; infatti, solo il 40 per cento della plusvalenza sarà
soggetta alla aliquota Ire del 29 per cento, perciò tale reddito sarà soggetto ad una
aliquota dell’ 11,6 per cento che è minore dell’imposta sostitutiva del 12,5 per cento.
Chiaramente questo vantaggio è ancora maggiore nel caso in cui l’aliquota marginale
è minore del 29 per cento.
La riforma della tassazione delle plusvalenze da partecipazione in riferimento
alle persone fisiche (che non siano imprenditori), alle società semplici e ai soggetti
equiparati nel caso dell’imposizione delle partecipazioni <<qualificate>> prevede la
soppressione della riportabilità delle minusvalenze nei quattro periodi successivi.
Più incisiva è stata l’opera di modificazione della tassazione delle plusvalenze
venutasi a produrre in capo alle società.
Un istituto introdotto dalla delega è la cosiddetta <<participation exemption>>,
ovvero l’esenzione per la cessione di azioni, per le quote di partecipazione in società
63
di persona, commerciali, ed enti assimilati di cui l’art. 5 del testo unico escluse le
società semplici e equiparate, e delle società di cui art. 72 della bozza del testo unico;
la sopraccitata esenzione è condizionata dal rispetto di determinati requisiti
individuati dalla norma. Il regime di tassazione delle partecipazione dipende dalla
scelta di contabilizzazione e dalla natura della partecipazione.
Questa agevolazione, già presente negli ordinamenti fiscali di molti Stati, ha
costituito un motivo per la creazione di complesse holding finanziarie all’estero
soprattutto in Lussemburgo e in Olanda per poter beneficiare di questo determinato
regime fiscale.
L’art. 88 della bozza del nuovo testo unico, prevede che la cessione di azioni o
quote afferenti soggetti Ires non genera plusvalenze imponibili quando ricorrano
congiuntamente le seguenti condizioni; a) ininterrotto possesso dal primo giorno del
dodicesimo mese precedente quello dell’avvenuta cessione considerando cedute per
prime le azioni o quote acquisite in data più recente;
b) classificazione nella categoria delle immobilizzazioni finanziarie nel primo
bilancio chiuso durante il periodo di possesso;
c) residenza fiscale della società partecipata in uno Stato o territorio diverso da
quelli a regime fiscale privilegiato di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi
dell’articolo 169, comma 4 59.
Ricapitolando i requisiti per l’esenzione, sono che le partecipazioni possedute
dalla società vengano classificate nella categoria delle immobilizzazioni finanziarie
64
nel primo periodo di possesso. Tale periodo deve risultare dal primo giorno del
dodicesimo mese precedente e deve essere stato ininterrotto.
L’ultimo requisito richiesto è che la società non sia collocata in un “paradiso
fiscale”, in tale caso non è precluso definitivamente tale regime; il soggetto
partecipante deve dimostrare, a seguito di interpello previsto dall’art. 11 della legge
27 luglio 2000, n. 212, che il possesso della partecipazione non abbia avuto lo scopo
di localizzare i redditi in Stati con regimi fiscali privilegiati.
Se sono avvenuti più acquisti del medesimo titolo, nella cessione vengono
considerate trasferite per prime le azioni che sono state acquistate più recentemente
(lifo). Al momento della cessione la società partecipata deve svolgere attività
commerciale ai sensi dell’art. 55 del testo unico. Alcune eccezioni a questa norma
sono previste dall’art. 88 comma 1 lett. d) alle società il cui patrimonio è
prevalentemente investito in beni immobili diversi dagli impianti e dai fabbricati
utilizzati direttamente nell’esercizio d’impresa. Si considerano direttamente utilizzati
nell’esercizio d’impresa gli immobili concessi in locazione finanziaria e i terreni su
cui è svolta l’attività agricola60 e anche nel successivo comma 3 fermi rimanendo
quelli di cui alle lettere a), b) e c), il requisito di cui alla lettera d) del comma 1 non
rileva per le partecipazioni in società i cui titoli sono negoziati nei mercati
regolamentati. Alle plusvalenze realizzate mediante offerte pubbliche di vendita si
59
Bozza del testo unico, approvata dal Consigli dei Ministri, il 12 settembre 2003, art. 88, comma 1,
lett. a),b) e c).
60
Bozza del testo unico, approvata dal Consigli dei Ministri, il 12 settembre 2003, art. 88, comma 1,
lett. d).
65
applica l’esenzione di cui ai commi 1 e 2 indipendentemente dal verificarsi del
requisito di cui alla predetta lettera d)61.
L’introducenda disciplina prevede anche una norma transitoria. Più precisamente
è previsto che la collocazione tra le immobilizzazioni finanziarie delle partecipazioni
<<storiche>> deve sussistere nel bilancio 2002, e nel bilancio 2003 per le
partecipazioni acquisite nel medesimo anno.
Oltre al regime partecipation exemption, sono previste altre rilevanti modifiche
al regime fiscale dei soggetti Ires. L’art. 87, comma 4, della bozza prevede la
rateizzazione delle plusvalenze nell’eventualità che le partecipazioni siano state
possedute per un periodo non inferiore a tre anni, a scelta del contribuente, in quote
costanti nell’esercizio stesso e nei successivi ma non oltre il quarto. La predetta
scelta deve risultare dalla dichiarazione dei redditi; se questa non è presentata la
plusvalenza concorre a formare il reddito per l’intero ammontare nell’esercizio in
cui è stata realizzata. Per i beni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie,
diverse da quelle di cui al successivo articolo 88, le disposizioni dei periodi
precedenti si applicano per quelli iscritti come tali negli ultimi tre bilanci; si
considerano ceduti per primi i beni acquisiti in data più recente62, perciò per la
rateizzazione delle plusvalenze oltre al requisito già previsto dalla norma
dell’iscrizione nelle immobilizzazioni finanziarie per almeno tre anni al momento
61
Bozza del testo unico, approvata dal Consigli dei Ministri il 12 settembre 2003, art. 88, comma
3.
62
Bozza del testo unico, approvata dal Consigli dei Ministri il 12 settembre 2003, art. 87, comma
4.
66
della cessione la nuova disposizione aggiunge il requisito della iniziale
classificazione nel primo bilancio nella specifica voce.
Mentre l’art. 86, comma 1, lett c), d) e e) della bozza del testo unico qualifica il
corrispettivo della cessione di partecipazioni come ricavo; c) i corrispettivi delle
cessioni di azioni o quote di partecipazioni, anche non rappresentate da titoli al
capitale di società ed enti di cui all’articolo 72, che non costituiscono
immobilizzazioni finanziarie, diverse da quelle cui si applica l’esenzione di cui
all’articolo 88. Se le partecipazioni sono nelle società o enti di cui all’articolo 72,
comma 1, lettera d), si applica il comma 2 dell’articolo 44;
d) i corrispettivi delle cessioni di strumenti finanziari assimilati alle azioni ai
sensi dell’articolo 44 emessi da società ed enti di cui all’articolo 72, che non
costituiscono immobilizzazioni finanziarie, diversi da quelli cui si applica l’esenzione
di cui all’articolo 88;
e) i corrispettivi delle cessioni di obbligazioni e di altri titoli in serie o di massa
diversi da quelli di cui alla lettere c) e d) precedenti che non costituiscono
immobilizzazioni finanziarie, anche se non rientrano fra i beni al cui scambio è
diretta l’attività dell’impresa63.
L’ art 44 comma 2 assimila alle azioni ai fini delle imposte sui redditi i titoli e
gli strumenti finanziari la cui remunerazione è costituita totalmente dalla
partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società
63
Bozza del testo unico, approvata dal Consigli dei Ministri, il 12 settembre 2003, art. 86, comma
1, lett. c), d) e e).
67
appartenenti allo stesso gruppo o dell’affare in relazione al quale i titoli e gli
strumenti finanziari sono stati emessi64 rientrano in tale categoria anche le azioni
“risparmio”.
64
Bozza del testo unico, approvata dal Consigli dei Ministri il 12 settembre 2003, art. 44, comma 2.
68
Conclusioni
Non è semplice valutare gli effetti di una riforma fiscale sul mercato finanziario
attuale, caratterizzato dalla “globalizzazione” e dalla continua innovazione degli
strumenti finanziari. Ancor più difficile è valutarla nel “sistema Italia” caratterizzato
da una “consuetudine” delle scelte d’investimento e di finanziamento sia da parte dei
risparmiatori che da parte delle imprese.
Sicuramente l’introduzione dell’aliquota unica favorirà una ricomposizione dei
“portafogli” dei risparmiatori, favorendo la sostituzione dei titoli pubblici con i
prodotti offerti dal mercato finanziario, e lo sviluppo dell’autofinanziamento delle
imprese, e di conseguenza la loro indipendenza dal sistema bancario.
Il ricorso più accentuato agli intermediari per assolvere agli obblighi fiscali
semplificherà l’assolvimento dei doveri tributari, rendendo più interessante il mercato
finanziario, rispetto ad altre forme di investimento.
Per le imprese l’istituto del “participation exemption” aumenterà la
“competitività” con i sistemi fiscali olandese, lussemburghese e belga che da anni
hanno il medesimo istituto.
Il consolidato fiscale produrrà una diminuzione delle tasse pagate dalle aziende
appartenenti al gruppo societario che potranno compensare gli utili con le perdite. In
generale, la combinazione degli istituti introdotti dalla riforma può favorire l’apertura
del mercato italiano agli investimenti internazionali.
69
La delega prevede che la riforma dell’imposizione delle rendite finanziarie non
debba apportare oneri aggiunti per i conti pubblici. Da una prima analisi degli effetti
della riforma sull’effettivo carico fiscale sulle persone fisiche si può affermare che si
avrà uno svantaggio per i contribuenti con un reddito imponibile più basso
determinato soprattutto dall’abolizione del credito d’imposta sui dividendi;
diversamente si avrà un vantaggio per i contribuenti con un reddito medio-alto.
Il passaggio drastico al nuovo sistema dal primo gennaio 2004 produrrà
problemi alle società che nelle scelte di pianificazione finanziaria pluriennale hanno
tenuto conto delle disposizioni finanziarie precedenti. Emblematica è la norma
antielusiva “thin capitalization” la sua entrata in vigore, costringerà molte aziende a
restituire i finanziamenti ricevuti dai propri soci e sostituirli con risorse esterne. Le
holding, grazie alla loro maggiore “elasticità” finanziaria subiranno minori
conseguenze, mentre potranno usufruire dei nuovi istituti introdotti dalla riforma, per
aumentare la loro competitività sul piano internazionale.
70
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