La “legge naturale” e le sue necessarie implicazioni

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La “legge naturale” e le sue necessarie implicazioni
Angelo Marchesi
Per poter parlare e usare, in modo pertinente e preciso, l’espressione “legge naturale”
occorre preliminarmente capire che cosa di intende con il termine “natura” e, chiarito questo
termine, che cosa si intende poi con l’espressione con il termine “legge”, connesso con il suo
riferimento all’aggettivo “naturale”.
Ci sono infatti – non da oggi – alcuni pensatori filosofi, e anche teologi cattolici, che
ritengono di poter sostenere che: «Sotto il profilo etico il ‘naturale’ oscilla (oscillerebbe!) tra il
biologico e il razionale, ispirandosi ora a un riduzione biologica, ora a una riduzione razionaldeduttiva della legge morale»
Questo richiamarsi alla istanza della “natura” - sempre secondo i suddetti teologi cattolici – nel
cosiddetto “modello giusnaturalista” indica (indicherebbe) «la trascendenza dell’umano rispetto alle
forme storiche delle sue determinazioni culturali. Ma questa istanza (della natura) veniva reificata
in una ‘natura’ astratta(?) definita e conosciuta dalla ragione a monte (sic!) delle sue esperienze
effettive. Il tratto fondamentale di questa ‘natura’ diventava così inevitabilmente intellettualista.
Ne conseguiva così un’astratta e aprioristica idea di legge naturale e di diritto naturale».
Sempre secondo i suddetti “teologi”, spalleggiati da alcuni esponenti della filosofia contemporanea
(cfr. ad es. Remo Bodei) «Il fatto è che non esiste una natura ‘sovraculturale’ che sarebbe solo da
tradurre nelle singole culture. Accade precisamente – secondo costoro – il contrario: non c’è
accesso all’umano, nella sua natura, se non in una forma storica e culturalmente determinata.
Occorre dunque – sempre per costoro – superare un’idealizzazione astorica e sostanzialistica di
natura, e riconoscere che, poiché non si dà mai una natura senza cultura, è nel confronto tra
culture che, al di là delle differenze, nasce l’interrogativo circa l’universale antropologico – un
dono affidato al sé come compito etico della coscienza personale – trascendente(?) ma sempre
incarnato concretamente nelle forme culturali».1
Si è riportato questo lungo passo per documentare in modo palese quali sono i giudizi e le
prospettive avanzate in tema di “legge naturale” e di una sua…. ‘fondazione’ da parte di certi
“teologi” cattolici: prospettive che collimano con quelle avanzate da certi esponenti del “laicismo” e
del “naturalismo” filosofico (e biologico) contemporaneo quali Remo Bodei che in una intervista 2
ha asserito in merito al caso, verificatori in California (nel 1999), dove una donna aveva partorito
una bambina concepita con lo sperma del marito, morto in precedenza: «Se tecnicamente è possibile
farlo, allora non è contrario alla natura».
Contestualmente è apparso su “Il Sole – 24 Ore” un servizio di Roberto Casati, intitolato:
“Contro natura ! Quale natura?”, in cui si difende e si condivide la tesi di Nicla Vassallo intesa a
sostenere, in un suo recente libro, che: “Il matrimonio omosessuale non è contro natura”.3
Come si vede il problema è molto ampio ed esige precise puntualizzazioni in tema di
“natura” e di “legge naturale”.
Chiarimenti sul termine: “natura” cominciando da Aristotele
Aristotele ne parla nella sua Fisica e nella sua Metafisica.
Nella Fisica (lib. II) Aristotele esordisce precisando: «Delle cose che esistono, le une sono da
natura (physei), mentre altre derivano da altre cause [prodotte dalla techne artificiale].
Maurizio Chiodi: L’etica e il diritto. La politica e la questione della laicità, in: “Teologia dal Vaticano II.
Analisi storiche e rilievi ermeneutici”, (edito a cura della Scuola teologica del Seminario di Bergamo); ed. San Paolo,
Cinisello Balsamo, Milano, 2012: (pp. 159 – 201); cfr. pp. 173 e 197-98.
2
Apparsa sul Corriere della Sera (merc. 11 febbr. 2015; p. 25), a cura di Elvira Serra.
3
R. Casati: Matrimoni gay. Contro natura ! Quale natura ?; in Il Sole – 24 Ore (dom. 22 febbr. 2015).
1
Dalla natura sono (derivano) gli animali (zõa) e le loro parti, le piante (phytà) e i corpi semplici
come ad es. la terra, il fuoco, l’aria, l’acqua; infatti noi diciamo che questi (esseri) sono da natura
(physei). (…) E’ manifesto infatti che le cose che sono da natura hanno il principio del movimento
(kineseôs) e della stasi (staseôs) in se stesse, alcune secondo lo spazio, o secondo crescita e
diminuzione o secondo alterazione.
Invece un letto o un mantello [prodotti artificiali, non naturali] e ogni altro oggetto di questo
genere, in quanto sono prodotti dalla techne, non possiedono in se stessi nessuna tendenza innata
(èmphyton) al cambiamento; quindi la natura, essendo principio e causa del divenire (kineseôs) e
della stasi (staseôs) di ciò cui essa originariamente appartiene per se stessa e non in modo
accidentale».4
Passando ora alle pagine della Metafisica, ci imbattiamo nel libro quinto (lib. Δ, cap. 4) in
cui Aristotele affronta l’analisi del termine: “physis” (natura), connesso etimologicamente con il
verbo: “phyesthai” che significa: nascere, aver crescita, come d’altronde il verbo latino: nasci da cui
il termine: natura.
Aristotele enumera qui ben cinque “sensi” o sfumature del termine “physis” dicendo che:
(1) «Natura (physis) significa (è detta), in un primo senso, la generazione delle cose che crescono
(tõn phuoménon ghénesis).
(2)In un secondo senso natura significa il principio originario immanente dal quale si sviluppa il
processo di crescita della cosa che cresce.
(3) In un terzo senso natura significa il principio del movimento (kinesis prôte) che è in ciascuno
degli esseri che esistono per natura (…).
(4) Inoltre natura significa anche il principio materiale originario di cui è fatto o da cui deriva
qualcosa degli esseri naturali che è privo di forma e incapace di mutare in virtù della sua propria
potenza (…).
(5) Inoltre, in un altro senso, natura significa la sostanza (ousìa) degli esseri che sono per natura
(…); e qualora non posseggano ancora la loro forma (tò εĩδος) e la loro figura (μορφήν) noi diciamo
che non hanno ancora la loro natura. Dunque per natura (si intende) ciò che è composto di materia
e di forma»5
Questo quinto significato di natura indica che ogni data realtà è costituita da una materia
investita (determinata) da una forma (εĩδος), che la rende così intellegibile.
La componente materia costituisce poi la condizione del principio di moltiplicabilità di medesimi
oggetti: ci sono molte seggiole o molti vasi o tavoli che posseggono tutti la stessa forma.
In tutta questa esposizione aristotelica sul termine “natura”, va rilevato che non si parla di
“creazione”, in quanto, per Aristotele, il mondo naturale è eterno, non ha un inizio.
Anche Tommaso d’Aquino in proposito ha detto con chiarezza: «Che il mondo (naturale) non sia
sempre esistito è asserito solo mediante la fede (nel racconto biblico).6
Contestuale a questa affermazione è la tesi che riguarda la creazione del mondo da parte di Dio.
Tommaso d’Aquino infatti asserisce che: «nulla può esistere negli esseri che non sia derivato da
Dio che è causa universale di tutto l’esistente», in quanto «creare è proprio solo di Dio» («creatio
est propria actio ipsius Dei».7
Per questo motivo Tommaso d’Aquino accetta la indicazione di Dio come: “Natura natùrans”
rispetto al mondo creato che viene indicato come “natura naturata”.8
Aristotele, Fisica, lib. II, c. 1; (192b, 8 – 23).
Aristotele,Metafisica, lib. V, c. 4; (1014b, 16 – 1015a, 69.
6
«Respondeo dicendum quod mundum non semper fuisse, sola fide tenetur et demonstrative probari non potest,
sicut et supra (S. Th. I, q. 32, art. 1) de mysterio Trinitatis dictum est.» (S. Theol. I, q. 46, art. 1: Utrum mundum
incepisse sit articulus fidei). Infatti l’Aquinate asserisce che non si può dimostrare, per via razionale, che il mondo abbia
avuto un inizio, giacchè potrebbe eternamente dipendere da Colui che lo ha posto in essere.
7
Cfr. Summa Theol. I, q. 45, art. 5: “Utrum solius Dei sit creare”.
8
Cfr. Summa Theol. I, q. 85, art. 6. Queste espressioni sono state usate da Averroè e anche da s. Bonaventura
(Commento alle Sentenze, lib. III, dist. VIII, dubium 2; ediz. Quaracchi, lib. III, p. 107).
4
5
Va però precisato che anche B. Spinoza userà questa terminologia, ma con la pretesa di sostenere
che Dio stesso è ad un tempo: “Natura natùrans” e “natura naturata”, per la sua concezione
monista e panteistica dell’universo. Quindi occorre tenere presente questa distinzione teoretica e
metafisica.
Sulla specificità della natura umana
Per quanto poi attiene alla definizione della “natura umana”, rispetto alle altre “realtà
naturali”, occorre ricordare che Tommaso d’Aquino ha definito la realtà della “persona umana” con
queste parole: « Persona significati id quod est perfectissimum in tota natura, scilicet subsistens in
rationali natura».9
Tommaso d’Aquino aggiunge – in armonia con Aristotele – che: «Poiché mediante la forma viene
completata l’essenza di ciascuna realtà (per formam completur essentia uniuscuiusque rei),
comunemente l’essenza di ciascuna res, indicata dalla sua definizione, è denominata natura
(vocatur natura)».10
Vale la pena qui di integrare quanto detto in relazione alla dignità e al valore ontologico ed
etico della “persona umana”, ricordando che, sempre Tommaso d’Aquino, affrontando il tema del
rapporto tra realtà della “persona” e la sua appartenenza alla comunità (per cui si deve parlare di
“concezione personale e comunitaria” di ogni essere umano) ha precisato con incisività:
«Homo non ordinatur ad communitatem politicam secundum se totum, et secundum omnia sua; et
ideo non oportet quod quilibet actus eius sit meritorius vel demeritorius per ordinem ad
communitatem politicam. Sed totum quod homo est, et quod potest et habet, ordinandum est ad
Deum; et ideo omnis actus hominis bonus vel malus habet rationem meriti vel demeriti apud Deum,
quantum est de ipsa ratione actus».11
Questo testo tomistico, ripetutamente richiamato nelle sue pubblicazioni di carattere politico
istituzionale da Giorgio La Pira, giudicava, per così dire, in ante prima ogni forma di collettivismo
statolatrico, negatore della dignità della persona umana e del suo valore spirituale e metastorico.
Su un ordine di carattere ontologico ed etico nel contesto delle realtà naturali rispetto alla
realtà umana
Sempre in merito a questa destinazione metastorica della persona umana (nel suo rapporto
con Dio) Tommaso d’Aquino ha fornito un preciso approfondimento che va qui ricordato.
L’Aquinate infatti, dopo aver posto in rilievo che nelle diverse “realtà naturali” si rinviene un ordine
che istituisce una maggiore o minore importanza e valore e una loro diversa finalità, aggiunge e
precisa: «Solo la natura razionale creata ha un immediato ordinamento a Dio (habet immediatum
ordinem ad Deum). Poiché le restanti creature non raggiungono qualcosa di universale, ma solo
qualcosa di particolare, partecipando il bene divino o soltanto nell’esistere, come gli esseri
inanimati (come le pietre), o anche vivendo e conoscendo realtà singolari come le piante e gli
animali; invece una natura razionale (come l’uomo) in quanto conosce la razionalità universale del
bene e dell’essere, ha un ordinamento (un rapporto) immediato al principio universale dell’essere
(habet immediatum ordinem ad universale essendi principium).
Summa Theol. I, q. 29, art. 2. L’Aquinate qui aggiunge che a Dio, contenendo egli ogni perfezione, può essere
attribuito il termine: “persona”, ma non nello stesso modo con cui esso è attribuito all’uomo. Boezio definì (nel suo De
duabus naturis) la persona umana: “rationalis naturae individua substantia”, mentre Riccardo di s. Vittore ritenne più
esatto definire la persona divina «divinae naturae incommunicabilis existentia» (De Trinitate, lib. IV, cap. 21).
10
Summa Theol. I, q. 29, art. 1, ad 4um
11
Summa Theol. I IIae, q. 21, art. 4.
9
Dunque la perfezione di una creatura razionale non solo consiste in ciò che gli compete secondo la
sua natura, ma anche in ciò che ad essa è attribuito da una certa partecipazione ultranaturale al bene
divino. Per cui l’ultima beatitudo dell’uomo consiste in una certa visione sovrannaturale di Dio». 12
Come si vede la concezione delle diverse realtà naturali e della realtà umana è molto
articolata nella prospettiva del pensiero medievale, prospettiva che annovera, accanto al
domenicano Tommaso d’Aquino, molti altri esponenti come il francescano Giovanni Duns Scoto,
non certo inferiore all’Aquinate, anche nelle sua analisi sulla realtà antropologica e politica della
persona umana. Va inoltre precisato che la realtà dell’uomo, nel pensiero tomistico, è poi desunta
sulla scorta delle manifestazioni fenomenologiche della concreta vita umana e non è affatto desunta
a priori e astoricamente(!) dalla asserita dipendenza creaturale da Dio, come qualcuno dice
erroneamente.
Una necessaria precisazione sulla nozione di “natura umana”
In una recente pubblicazione a cura di Fiorenzo Facchini,13 intitolata: Natura e cultura nella
questione del Genere,14 è comparso un contributo di Francesco Botturi:15 “Natura e cultura: crisi di
un paradigma”16 in cui l’autore fornisce una chiarificatrice spiegazione sulla nozione di: “natura”.
Scrive Botturi: “E opportuno portare un po’ di chiarezza direttamente sul concetto [o,
meglio: nozione] di natura, di cui riscoprire l’antico e più sensato significato. In realtà, l’idea
classica di natura, di origine greca: physis, esige un disoccultamento.
Nel moderno, infatti, prevale un essenzialismo statico e neutrale (in dipendenza dell’avanzare della
nuova visione scientifica e dell’arretrare della considerazione finalistica della realtà), che nasconde
due dimensioni che l’ontologia classica aveva invece accuratamente elaborato, ossia l’idea
genetico-dinamica e quella qualitativo-esperienziale della natura.
In sintesi, all’inizio della modernità scettica (Montaigne) o razionalista (Descartes) è già persa
l’idea originaria di natura, quale scaturigine e origine, matrice e grembo, principio e dinamismo,
riconducibile alla complessa nozione aristotelica di physis,17 in cui sono racchiuse insieme le
nozioni di sorgente del movimento (kìnesis) e di principio interno del processo di crescita, e quindi
l’idea di «sostanza» che garantisce, non come sostrato inerte ma attivo l’identità dell’essente nel
suo processo di crescita”.18
Sempre Botturi conclude rilevando che: “La natura di ogni essente tiene insieme per cos’ dire
dall’interno la sua identità e la sua trasformazione (…). Infatti l’idea (la nozione) di una natura
diviene comprensibile come risposta alla domanda: che cosa fa sì che qualcosa, che evidentemente
ha un’esistenza processuale, permanga se stessa e abbia una costanza operativa (per cui un leone
non si metta a mangiar fieno o una foca non generi un pinguino),ecc.?
La permanente identità nei processi operativi è possibile perché l’agente ha una sua natura, cioè
un’origine/matrice/principio di attività «interna» all’operare che funge da sua struttura permanente
di riferimento”.
“Natura, dunque, - nota Botturi – non è solo struttura permanente e principio operativo, ma anche
tendenza all’operazione secondo fine appropriato o bene.
Nella terminologia di Tommaso d’Aquino tale nesso di forma e operazione è chiamato «inclinatio
naturalis», termine e concetto peraltro capitali per la sua visione dinamica dell’ontologia e
dell’antropologia.(…) L’inclinatio di una data realtà “esprime così la sua intrinseca appartenenza
12
13
14
15
16
17
18
Summa Theol, II IIae, q, 2, art. 3.
Già ordinario di “Antropologia” all’Univ. di Bologna.
Edizioni Dehoniane, Bologna, 2015; (pp. 192).
Ordinario di “Filosofia morale” presso l’Univ. Cattolica di Milano.
Op. cit., pp. 27 – 47.
Da noi introduttivamente richiamata in modo preciso e determinante !
Botturi rinvia qui, (in nota 14 a p. 43, ai passi della Metafisica aristotelica da noi espressamente riportati.
alla costituzione ontologica di quella realtà” (…) Da ciò deriva “il processo attivo entro cui si
manifesta la natura di alcunchè, con evidenza peculiare nel vivente”.19
Un singolare dialogo immaginato tra Dio e l’uomo
Nella successiva epoca rinascimentale merita di essere menzionato Giovanni Pico della
Mirandola (1463 – 1494) con la sua famosa “Oratio de hominis dignitate”, in cui l’autore esaltando
la realtà dell’uomo, dotato di capacità razionale e di libertà, immagina un ideale colloquio tra Dio
creatore e il primo uomo Adamo.
Pico della Mirandola nella suddetta “Oratio” dice che Dio, “sommo Padre e Architetto” del
mondo, avendo già distribuito, nei vari gradi e ordini degli esseri creati, le diverse positive
perfezioni, «stabilì perciò che a colui al quale non poteva essere dato nulla di proprio (avendo già
creato le intelligenze angeliche), fosse assommato tutto ciò che era stato dato ai singoli in
particolare» (…).
Creò dunque l’uomo e postolo in mezzo al mondo così gli parlò:
«O Adamo, noi non ti abbiamo dato né una sede determinata, né un aspetto proprio, né alcun
dono particolare, affinchè tu possa avere ee possedere quella sede, quell’aspetto, quei doni che tu
abbia coscientemente bramati, secondo il tuo desiderio e secondo il tuo sentimento.
Mentre una definita natura, per gli altri esseri, è fissata da noi dentro leggi prescritte, (inter
praescriptas a nobis leges coërcetur): tu, non limitato da costrizione alcuna, potrai deteminartela
secondo il tuo arbitrio, nelle cui mani io ti ho posto (tu, nullis angustiis coërcitus, pro tuo arbitrio,
in cuius manu te posui, tibi illam praefinies).
Ti ho collocato come ciò che è la medietà del mondo, (medium te mundi posui), affinchè tu
vedessi da lì più agevolmente tutto ciò che è nel mondo.
Non ti ho fatto né (un essere) celeste, né (un essere) terreno, né un essere mortale, né immortale
(Nec te coelestem, neque terrestrem, neque mortalem, neque immortalem fecimus), affinchè tu quasi
libero ed onorario plasmatore e delineatore di te stesso, possa configurarti in quella forma che tu
avrai preferito (ut tui ipsius quasi arbitrarius plastes et fictor in quam malueris tute formam
effingas).
Tu potrai degenerare nelle realtà inferiori (degenerare in inferiora) che sono gli esseri bruti.
Tu potrai rigenerarti, secondo la decisione del tuo animo, nelle realtà superne (Poteris in superiora
regenerari), che sono divine».20
Come si vede dal brano riportato, Dio ha posto l’uomo come sintesi delle varie componenti
(materiali e razionali) del cosmo (medium te mundi posui) e lo ha affidato alla sua libera decisione
per elevarsi alle realtà superne oppure per degenerare nelle realtà brute.
Va subito notato che qui Pico della Mirandola precisa che è Dio che parla al primo uomo, mentre
nei successivi sviluppi di certe concezioni antropologiche Dio come “interlocutore dell’uomo”
scompare, viene eliminato e l’uomo è presentato come colui che progetta il suo avvenire e il suo
destino all’interno di una prospettiva storicistica ed immanentistica (come nel caso di Spinoza e di
Hegel), oppure in una prospettiva naturalistica o esistenzialistica (come in Sartre e in Camus),
oppure in una prospettiva scientistica senza nessuna sicurezza di esito positivo permanente.
Altre concezioni della natura
Viene qui in primo piano, rispetto alle concezioni delle realtà naturali e del’uomo proprie di
un Aristotele e di un pensiero medievale (sopra richiamate), un ventaglio di concezioni delle realtà
naturali in cui vige solo un necessitarismo di tipo meccanico e casuale (rappresentato
dall’antesignano Democrito che, come ha detto sinteticamente Dante: «il mondo a caso pone», con
19
20
F. Botturi, saggio cit. pp. 43-44.
Pico della Mirandola, Opera omnia, Basilea, 1501, tomo I, p. 208.
l’assenza di ogni “finalismo”, oppure quello in cui vige una prospettiva dialettica (immanentisticostoricistica) che riassume il divenire delle “realtà naturali” nei ritmi dello “Spirito” (Geist)
hegeliano che assorbe in sé l’universo cosmico e il destino dell’uomo.
La prospettiva naturalistica marxiana dell’uomo ridotto a “l’insieme delle relazioni sociali” è
la versione prassistica dello storicismo, “rimesso sui piedi” (cfr. Feuerbach), rispetto alla
esaltazione dialettica dello “Spirito del mondo” (Weltgeist) hegeliano.
Anche l’attualismo gentiliano, nel solco dello storicismo hegeliano, ma opponendosi al
“materialismo storico” della sinistra hegeliana, presume di inglobare la “natura”nel processo
dialettico infinito del pensiero pensante, con la convinzione che ogni “categoria” viene posta e
continuamente superata dall’atto inesauribile del pensiero.21
Scrive infatti G. Gentile: «…questa sempre più potente signoria dell’uomo sulla natura,
questo incremento della vita dello spirito, che trionfa sempre più sicuramente delle forze avverse
della natura, e le vince e soggioga, (…) che altro è il cammino dell’umanità, di stazione in stazione,
attraverso lo spazio e il tempo, che altro è se non la rappresentazione empirica ed esteriore
dell’immanente eterna vittoria (piena ed assoluta) dello spirito sulla natura, dell’immanente
risoluzione della natura nello spirito, che (…)è il solo possibile concetto speculativo del rapporto tra
natura e spirito ?».22
Analoga prospettiva è presente nello spiritualismo evoluzionistico dell’èlan vitale di H. Bergson
nella sua opera L’evoluzione creatrice (del 1907)
Una prospettiva decisamente naturalistico-biologistica e addirittura trans-umana
Infine oggi viene avanti la prospettiva di una concezione funzionale e tecnologica della
natura, concezione legata ad un operazionismo scientifico-tecnico secondo il quale è lecito e
legittimabile tutto quanto può essere attuato all’interno delle ricerche (e dei risultati) che
permettono la manipolazione indiscriminata di ogni realtà biologica, compresa quella umana,
giungendo a parlare di un possibile avvento del “transumanesimo”, come superamento dell’attuale
situazione esistenziale dell’uomo, sino ad un traguardo di immortalità.
Condizioni necessarie per una possibile e pensabile: legge naturale
Alla luce delle suddette concezioni delle “realtà naturali” e, quindi, del termine riassuntivo:
natura, va ora connesso il termine “legge” che viene ancorato, per il suo fondamento giustificativo,
al termine: natura, forgiando così l’espressione: “legge naturale” intesa come insieme delle norme
che sono individuate per lo sviluppo delle varie realtà naturali (compresa la realtà umana con le sue
peculiarità) e forgiando così anche la nozione di “lex humanitus posita”, accanto o in rapporto con
la suddetta lex naturalis.
Ovviamente siccome abbiamo visto esistere diverse (e contrapposte) nozioni (e fondazioni) di
“natura” o, addirittura, negazioni di una “natura”, sostituita dal mutare della(e) cultura(e)
scientificamente o teoreticamente variabile(i), occorre quindi spiegare e motivare a quali condizioni
si possa oggi parlare di “leggi naturali” e di “leggi positive umane”.
Diciamo subito che si può parlare di etica e di norme morali nell’ambito della filosofia
morale (distinta, ma non contrapposta alla filosofia teoretica) e quindi di “leggi”, solo se si tiene
presente che la totalità delle realtà (o esseri) divenienti “agiscono in vista di un fine”
Occorre qui precisare che la “finalità del reale” è vista e concepita (dalla filosofia morale propria
della scolastica medievale) come la conseguenza della tesi, accertata in sede metafisica, secondo la
quale tutto l’esistente dipende da Dio per un atto di libera e intelligente creazione, tesi che è assente
21
G. Gentile: Teoria generale dello Spirito come Atto, puro, Laterza, Bari (I ed. 1916; II ed. 1920); cfr. cap.
XVI, §§ 16 - 18. Il pensiero filosofico di Gentile era dunque completo ben prima dell’avvento del signor Benito
Mussolini !
22
G. Gentile, Op. cit. cfr. ora nell’ediz. Bompiani: G. Gentile: L’attualismo, Milano 2014; p. 301-302.
nel pensiero di Aristotele, anche se egli ha ancorato il mondo diveniente al Proton akìneton, come
suo fondamento ontologico, ma senza la nozione di un rapporto creativo.
L’Etica a Nicomaco di Aristotele si apre infatti constatando anch’essa che; «…ogni azione (praxis)
ed ogni scelta deliberata (proàiresis) tendono ad un certo bene; per cui giustamente si è dichiarato
che il bene è ciò a cui tutte le cose tendono».23
Tuttavia in questa asserzione aristotelica di principio manca ogni riferimento ad un rapporto di
dipendenza creaturale del mondo e degli uomini da un Dio libero creatore, mentre Tommaso
d’Aquino e la scolastica medievale partono dalla dimostrata asserzione che vi è un Primo essere che
dona l’esistenza alle realtà finite (…) e ciò che è prodotto dalla libera volontà di un Agente assoluto
è da lui stesso ordinato ad un fine, poiché il bene e il fine è l’oggetto proprio della volontà.
Alcuni necessari chiarimenti per un’etica razionalmente fondata
Bisogna tuttavia precisare che ogni realtà (prodotta in essere dall’Agente assoluto) e non
solo l’uomo, è, per sua natura (o struttura costitutiva) ordinata ad un fine, ma mentre l’uomo ha un
ideale, un progetto, una sua vocazione da seguire attuandola in modo cosciente e liberamente
responsabile, le cose prive di ragione perseguono un loro fine guidate dal piano di colui che le ha
poste in essere, (così come una freccia è guidata dall’arciere al suo bersaglio).
Quindi emerge, in sede metafisica, che: “omnia agentia necesse est agere propter finem” e questa
affermazione – come rileva puntualmente Sofia Vanni Rovighi nelle sue lezioni di “filosofia
morale”24 – «è messa a fondamento dell’etica proprio perché solo se c’è un fine inscritto nella
natura dell’uomo si potrà parlare di un faciendum, di un qualcosa che l’uomo deve fare. “Deve
fare” – dicevamo – per non venir meno alla sua natura di uomo, per realizzare quell’ideale umano
che ha presieduto alla sua creazione»25 e, aggiungerei, al suo destino metastorico.
E’opportuno precisare qui che Tommaso d’Aquino chiedendosi “Se la lex naturalis
contenga più precetti oppure uno soltanto”.
L’Aquinate fa rilevare che il primo principio della ratio practica, che presiede all’agire umano in
vista di un fine, è l’attuazione di un bene, che la ratio practica vede essere un bene per l’uomo.
Il primo precetto delle legge naturale è dunque questo: «bonum est faciendum et prosequendum, et
malum est vitandum».
Occorre però precisare, come ha fatto notare J. Leclercq nella sua trattazione sulle linee essenziali
di una “filosofia morale”, che tale precetto più precisamente va formulato così: «Realizza la tua
perfezione». L’uomo cioè deve individuare, prendendo in esame tutta l’esperienza della sua vita
concreta, quale è l’ideale della “perfezione” completa del suo essere, dotato di ragione e di libertà,
ed agire di conseguenza e coerentemente alla sua “natura umana”, diversa da quella di altri esseri
con loro specifici fini.
Altra opportuna precisazione è costituita dalla distinzione necessaria tra esigenza
giustificativa (di determinate norme morali) ed esigenza esecutiva (di determinate norme).
L’etica (o filosofia morale) deve soddisfare solo l’esigenza giustificativa, mentre l’esigenza
esecutiva (di determinate norme o prescrizioni) è problema di educazione pedagogica e/o problema
politico.
Analoga distinzione va fatta tra etica descrittiva ed etica normativa, precisando che la “filosofia
morale” non può fermarsi alla mera descrizione, storica e sociologica, di determinati comportamenti
umani e sociali, ma deve impegnarsi a fornire precise valutazioni e norme morali, giustificandone la
doverosità.
23
Etica a Nicomaco, lib. I cap. 1; (1094a, 1-4).
Cfr. Elementi di Filosofia, vol. III, Etica generale, La Scuola, Brescia, nuova ed. 1963; p. 187ss. Oppure: Studi
di filosofia medievale, vol. II (sec. XIII e XIV), Vita e Pensiero. Milano 1978; (pp. 107- 188).
25
Cfr. Studi di filosofia medievale, cit. p. 143.
24
Esistono poi due vie26 per la produzione di un’etica normativa: quella che si affida all’intuizionismo
morale e quella che, invece, esige un preciso raccordo con il discorso metafisico e di antropologia
filosofica.
Ora l’intuizionismo morale (presente ad esempio in certe opere di H. Bergson) è senz’altro
apprezzabile, ma non fornisce una giustificazione doverosa della norma e dei valori morali. Uno
potrebbe sempre obiettare all’intuizionista etico che lui non ha, non avverte, il valore cogente, il
pregio di una determinata intuizione morale; pertanto occorre costruire un’etica filosofico-razionale
che poggia, come si è già rilevato, su due asserzioni: la concezione finalistica della realtà e
l’affermazione della libertà umana, fonte della responsabilità delle proprie decisioni personali.
Altra precisazione di S. Vanni Rovighi, in sede di fondazione di un’etica filosofica, è costituita dal
rilievo critico secondo il quale: non è necessario conoscere l’esistenza di Dio per operare
moralmente in modo corretto (anche un ateo o un agnostico può benissimo comportarsi in modo
moralmente positivo con se stesso e con gli,altri), ma è necessario rapportarsi a Dio, creatore libero
del mondo e dell’uomo, per giustificare (in modo fondato) vincolanti norme morali.27
Il tema della “legge naturale”
Sulla scorta delle suddette chiarificazioni si può ora affrontare il tema della “legge naturale”
come riferimento ineludibile per giustificare determinate norme e determinate decisioni personali.
Alla luce dei precedenti rilievi si presentano tre possibili concezioni della “legge naturale”:
1) Intesa la legge come “ordinatio rationis ad bonum commune” (ordinamento stabilito dalla
ragione in vista del bene comune da promuovere per tutti), la “legge naturale” è vista
scaturire dall’ordine con cui le diverse realtà naturali sono tra loro collegate. (Cfr. quanto si
è detto sopra riguardo a Platone, ad Aristotele, allo stoicismo antico e poi, più precisamente,
riguardo al pensiero filosofico e giuridico medievale). Anche per Kant si parla di “leggi
naturali” scoperte dalla ragione e dalle sue “categorie”.
2) La “legge naturale” è poi vista da Hume come un rapporto costante tra fenomeni, rilevato
ripetutamente dall’esperienza sensibile umana, in forza di un’abitudine, confermata dalla
ripetizione. Analogamente Comte rileva che i vari “fenomeni” sono soggetti a “leggi
naturali” invariabili che esprimono le connessioni di successione e di somiglianza
(positivismo ottocentesco) con un rigido necessitarismo meccanico.
3) La legge naturale intesa come frutto di convenzione, stabilita dell’uomo sulla base di
restrizioni e di aspettative nei confronti dei diversi fenomeni, osservati in funzione di
utilizzazioni strumentali e tecniche (Cfr. l’empiriocriticismo di Ernst Mach (1838- 1916) e
di Avenarius, con il successivo neopositivismo logico e l’operazionismo scientifico
contemporaneo).
Da questo elenco e da quanto è stato precedentemente richiamato emerge che solo la prima
prospettiva permette di poter parlare sensatamente di “legge naturale”, implicante un riferimento
esplicito al discorso metafisico classico che àncora la realtà naturale ad un rapporto creaturale con
l’Autore della natura (o della struttura) delle realtà divenienti e finite.
Le altre due prospettive empiristico-positivistiche e convenzionalistiche non permettono
certo di poter parlare e sostenere l’esistenza di una “legge naturale” che fissi un ordine etico di
valori da rispettare, ancorati all’atto creativo divino.
Infatti se si elimina il rapporto e la dipendenza creaturale da Dio creatore libero e fine ultimo del
divenire storico dell’uomo e del mondo, è impossibile parlare di una “legge naturale” assegnata da
Dio alle diverse realtà create.
Tommaso d’Aquino, nel quadro di una precisa “metafisica della trascendenza”, ha parlato di una
“lex aeterna” che sta a fondamento di una lex naturalis, intesa come partecipazione di quella “lex
26
27
Precisa ancora S. Vanni Rovighi nei citati saggi etici.
Cfr. Elementi di Filosofia, op. cit. vol. III, p. 208.
aeterna” che costituisce il piano creativo liberamente voluto da Dio, anche attraverso l’azione di
“cause seconde” nei diversi eventi del mondo diveniente.28
In merito alla “lex naturalis” Tommaso d’Aquino precisa poi che essa può essere più o meno bene
conosciuta e applicata e contenere uno o più precetti specifici derivati tutti da una motivazione
razionale propria degli atti umani.
La “lex naturalis” può poi variare, non nei principi fondamentali come nel comandamento di “non
uccidere” o nel “non dire falsa testimonianza”, ma può variare in certe sue specificità come nel caso
di impedimenti che ostacolano l’osservanza di un dato precetto morale.
Passando poi a trattare della possibilità di “lex humana” e cioè della “lex humanitus posita”,
formulata quindi dagli uomini, Tommaso d’Aquino precisa che la lex humanitus posita, se è
connessa direttamente con i precetti della “legge naturale” ha valore di “legge”, se invece non
concorda con la “legge naturale” “iam non erit lex, sed legis corruptio”.29
In questa stessa “quaestio” l’Aquinate ricorda che già s. Agostino aveva asserito: “Non videtur esse
lex, quae iusta non fuerit”.30
Si deve qui ricordare che una norma di 31legge è da rispettare se è determinata in modo
corretto e giusto, altrimenti non è una “legge” giusta.
“Non iustum quia iussum, sed iussun quia iustum” Una legge va rispettata non perché è stata
comandata (da qualcuno), ma perché essa è giusta.
La statualità del diritto non basta, da sola, ad esigere l’obbedienza del cittadino: occorre che la
norma emanata dalla legittima autorità abbia una giusta ragione e motivazione.
Trattando della “potestà delle legge humanitus posita” Tommaso d’Aquino precisa che alla
“lex humanitus posita” non spetta “cohibêre omnia vitia”, in quanto si può agevolmente rilevare che
gli uomini non sono, in buona parte, perfetti nella vita virtuosa e quindi la “legge umana” deve
limitarsi a proibire quelle azioni e quei comportamenti che violano l’incolumità e la sicurezza degli
altri (aggressioni, uccisioni, rapine, furti, violenze sessuali, false testimonianze, ecc.).
Inoltre, per Tommaso d’Aquino deve rispettare le leggi emanata anche chi esercita il potere
politico. La tesi del “princeps legibus solutus” di hobbesiana derivazione non è concepibile per
l’etica medievale: anche chi governa deve essere sottomesso alle leggi emanate e vigenti.
Un altro problema è quello della possibilità di una “mutazione delle leggi”
Tommaso d’Aquino, affrontando la questione rileva che «la lex humana è un determinato dictamen
rationis mediante il quale vegono dirette le azioni umane».
Ora vi è un duplice motivo per cui la legge umana può essere cambiata:
Un motivo è costituito dal fatto che la ragione legislativa può rilevare che si può passare da un dato
ordinamento ad uno più idoneo e più eticamente valido.
Un secondo motivo di opportuna mutazione di leggi è dato dal cambiamento di determinate
condizioni di vita degli uomini e delle varie comunità.
Pertanto la “legge naturale” contiene determinati precetti universali che sono permanenti e
determinati precetti specifici che possono mutare secondo casi che emergono in modo nuovo.32
Come si vede dai rilievi precedenti, emerge che le leggi devono rispettare i principi
essenziali della “legge naturale”, ma devono poi articolarsi e specificarsi in relazione alle mutate
condizioni di vita degli uomini e delle varie comunità.
E’ pertanto inconsistente e priva di buon senso la critica che taluni (anche teologi) muovono contro
le nozioni di “legge naturale” e di “natura umana”, accusandole di essere “astratte” e prive di
riferimenti storici e culturali alle diverse e mutevoli condizioni della vita umana. 33
28
Cfr. Summa Theol. I, q. 45, artt. 1-2 e q. 46, art. 2. Stessa prospettiva in Giovanni Duns Scoto.
Cfr. Summa Theol. I IIae, q. 95, art. 2.
30
Agostino, De libero arbitrio, lib. I, c. 5.
31
Cfr. Summa Theol. I IIae, q.96, artt. 2, 3 e 5.
32
Cfr. Summa Theol. I II ae, q. 97, art. 1.
33
Cfr. S. Vanni Rovighi, Studi di filosofia medievale, ed. cit., (vol. II. Secoli XIII e XIV). Vedi il saggio: Il
fondamento dell’etica di san Tommaso, p. 122.
29
Tommaso d’Aquino (e con lui i più avvertiti pensatori medievali) se ne sono ben guardati da
dedurre astrattamente la “natura umana” dalla sua dipendenza ontologica dall’atto creativo divino,
ma hanno invece osservato – secondo il metodo aristotelico – i vari referti fenomenologici della
concreta esperienza umana.
Troviamo infatti, nel contesto della trattazione delle “questioni” (90 – 97) dedicate nella Summa
theologiae alla “legge” e da noi analizzate, una lunga “quaestio” in cui Tommaso d’Aquino si
chiede se la “lex naturalis” contenga uno o più precetti.
Rispondendo alla “quaestio” egli rileva che: «Il primo precetto della legge etica asserisce che:
bonum est faciendum et prosequendum et malum vitandum», come abbiamo già rielvato.
Però subito dopo aggiunge con precisione: «L’ordinamento dei precetti della legge di natura
è quello sulla base dell’ordine delle inclinationes naturales».
Ora noi vediamo che nell’uomo è presente in primo luogo (inest primo) una inclinazione al
bene, comune a tutti gli esseri, cioè la conservazione del loro essere secondo la loro natura.
In secondo luogo è presente nell’uomo (inest homini) ciò che egli ha in comune con gli altri
animali: e quindi sono di legge naturale quello che la natura ha insegnato a tutti gli animali, come
è il congiungimento del maschio e della femmina (coniunctio maris et feminae) e l’educazione dei
loro nati e cose simili.
In terzo luogo è presente nell’uomo (inest homini) l’inclinazione ad un bene che è proprio
dell’uomo in quanto essere razionale, al fine di conoscere la verità su Dio e al fine di vivere in
società. Questa inclinazione di tipo razionale comporta che l’uomo, secondo la legge naturale, eviti
l’ignoranza, che non offenda gli altri con i quali deve convivere e quanto di simile riguarda questo
impegno (cfr. Summa Theol. I IIae, q. 94, art. 2)
Queste precisazioni eliminano ogni pericolo di astrazione indebita rispetto alla concreta
realtà dell’uomo nel contesto della vita associata.
Avviandomi alla conclusione vorrei citare qui una recente pubblicazione di Francesco Paolo
Casavola, noto costituzionalista e già presidente della Corte costituzionale (dal 1992 al 1995),
intitolata significativamente: “Tornare alle radici. Per la ricostruzione delle basi della
democrazia”.34
Il libro si articola in due parti: I fondamenti valoriali e Le forme istituzionali, che
contengono ciascuna due significativi capitoli: Dignità dell’uomo (pp. 15-29) e Il valore della
democrazia (pp. 57-72).
L’Autore non manca di ricordare in due diversi capitoli (p. 15 e p. 70) che la Repubblica federale di
Germania (nella sua Costituzione approvata a Bonn nel maggio del 1949) si apre con un articolo 1
(comma 1) che asserisce: «La dignità dell’uomo è intangibile. E’dovere di ogni potere statale
rispettarla e proteggerla».
E’ la prima volta che una Costituzione, aprendosi con l’elenco dei diritti fondamentali, anziché con
la definizione della forma dello Stato (come nel caso della Costituzione italiana: “L’Italia è una
repubblica democratica fondata sul lavoro”) riconosce in termini così assoluti il primato della
dignità dell’uomo.
E Casavola aggiunge che “il cammino intrapreso con la Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo
e del cittadino (1789) e che ha realizzato una svolta aprendosi al genere umano con la
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (votata dalle Nazioni Unite nel 1948, trova qui un
suo compimento concettuale e terminologico. I diritti dell’uomo (…) si fondano sulla sua dignità di
uomo, la dignità è l’assoluto valore dell’uomo in sé, dignità dichiarata intangibile (...) e che non
dipende né dalla società, né dallo Stato”
Nel corso dei capitoli Casavola fa poi un rilevante riferimento al testo conciliare del Vaticano II:
Dignitatis humanae, che rappresenta un apporto fondamentale alla cultura giuridica e religiosa del
mondo contemporaneo.
34
Cittadella editrice , 2014 (pp. 105).
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