Dopo quel tragico 25 luglio 1943 il processo a Carlo Scorza nel

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Dopo quel tragico 25 luglio 1943
il processo a Carlo Scorza
racconto
di MARIO
BOMMEZZADRI
nel
di chi lo stenografò
CIVILTÀ DELLA SCRITTURA
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l fatto che si vuole ricordare risale all’aprile del 1944, probabilmente l’anno più
triste e più tragico del periodo dell’ultima guerra mondiale. È l’anno in cui si consumò la tragedia delle Fosse Ardeatine, mentre sul territorio nazionale si combattevano due eserciti nemici e, in più, si contrapponevano in una guerra fratricida fascisti e
squadre partigiane che gradualmente andavano formandosi sulle montagne delle varie
regioni del Nord. Il nostro Paese era diviso in due parti, entrambe occupate da truppe
straniere. Sulla città erano frequenti i bombardamenti aerei, diurni e notturni. La Repubblica sociale italiana, detta “la repubblichetta di Salò”, non aveva i propri ap- in attesa di una vostra decisione circa il
parati soltanto sulle rive del Garda; uffici partito. Carlo Scorza”.
La lettera fu trovata sul tavolo di Baministeriali, paraministeriali o militari si
trovavano nelle principali città lombarde doglio al momento della sua fuga al sud
e venete. A Parma fu dislocato il Tribu- con il re ed i membri del nuovo governo.
A sua volta Alessandro Tarabini era
nale speciale per la difesa dello Stato,
davanti al quale si celebrarono vari im- accusato di avere spedito, la sera stessa del
portanti processi, come quello agli am- 25 luglio, un telegramma ai segretari fedemiragli Campioni e Maschera, coman- rali con l’invito a non ribellarsi ed a metdanti delle postazioni militari di Rodi e tersi a disposizione del nuovo governo.
Poiché l’esito del processo si preanLero che, dopo una certa resistenza opnunciava
incerto, il tribunale decise di
posta ai tedeschi, furono da questi soverbalizzare
tutta la discussione e, in
praffatti, imprigionati e consegnati ai faparticolare,
la
deposizione di Carlo Scorscisti di Mussolini col mandato di consumare la vendetta. Il processo si risolse za per sottoporla al Duce ed acquisirne il
quindi in una formalità, in obbedienza parere. A quel tempo, l’unico sistema per
riportare integralmente un dibattimento
agli ordini degli alleati teutonici.
Più importante ed anche più incerto giudiziario era quello di farlo raccogliere
fu il processo contro l’ultimo segretario da uno stenografo: non erano ancora stadel partito Carlo Scorza ed il vice segre- ti inventati gli attuali e più moderni meztario Alessandro Tarabini. Quale l’impu- zi di registrazione magnetica. A quell’etazione? Due giorni dopo la caduta del poca soltanto la “Gazzetta di Parma” difascismo e la cattura di Mussolini, Scor- sponeva di uno stenografo professionale.
za aveva scritto una lettera a Badoglio Egli era regolarmente iscritto all’albo dei
del seguente tenore: “Eccellenza, dopo giornalisti ed era tecnicamente molto
due giorni di silenzioso lavoro, ritengo preparato, avendo trascorso il periodo di
di poter considerare esaurito il mio com- praticantato nell’ufficio di stenografia
pito di persuasione e di disciplina tra i del “Resto del Carlino” a Bologna, una
fascisti impostomi dalla mia coscienza e fra le migliori scuole d’Italia per la predal sacro dovere di soldato, in seguito al senza di anziani professionisti, collaudacambiamento di governo. Vi rimetto co- ti da molti anni di lavoro. Egli, dunque,
pia delle dichiarazioni da me presentate fu incaricato di svolgere quel delicato
al Gran Consiglio del Fascismo e resto compito. Anche nei giornali, in quel pe-
Uno storico
documento
firmato da
Carlo Scorza:
la convocazione
del Gran Consiglio,
che segnò poi la
fine del fascismo
riodo, la funzione dello stenografo era di
primaria importanza. Non essendo disponibili altri sistemi di trasmissione
delle notizie, meno che meno quello postale, i servizi e le notizie provenienti
dall’esterno dovevano essere ricevuti per
via telefonica.
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L
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a parte centrale del processo fu
senz’altro la deposizione di Scorza.
Una autentica filippica che non mancò di
impressionare la giuria. Scorza aveva
trascorso i mesi precedenti nel carcere
parmense di San Francesco e, nel raccoglimento della sua cella, aveva avuto la
possibilità di preparare la propria difesa
e le argomentazioni più persuasive.
Dopo una lunga esposizione per
elencare le proprie benemerenze nei confronti del partito e le prove di fedeltà al
fascismo e al Duce, venne agli argomenti giustificativi della lettera inviata a Badoglio dopo l’arresto del Duce stesso: in
primo luogo l’impossibilità di organizzare qualsiasi reazione o tentativo di liberare Mussolini. A chi avrebbe potuto rivolgersi se il partito si era dissolto, se le
sedi erano deserte, se tutti i fascisti si
erano nascosti di fronte all’esultanza popolare per la fine del fascismo?
“Io, in quel momento – disse testualmente Carlo Scorza – avevo la sensazione di non poter ottenere nulla con la violenza. O non sarebbe stato, quello, un
lanciare la popolazione nella guerra civile, in una guerra civile in cui gli italiani non avrebbero avuto nulla da guadagnare? O non avremmo offerto a Badoglio la giustificazione di quell’armistizio
di cui egli aveva già preparato la trama?
Egli avrebbe detto, per l’Italia e per l’estero, di essere costretto a chiedere l’armistizio poiché i fascisti avevano promesso la guerra civile”.
Poi Scorza continuò: “Ma se si era
spento lo spirito di iniziativa nel partito,
volete addossarne a me la responsabilità? A me che avevo assunto da soli novantanove giorni la direzione del partito?... La dissoluzione già da tempo lavorava nelle file del partito”.
Il secondo argomento addotto da
Scorza fu quello della situazione in cui si
trovava Mussolini, prigioniero di Badoglio. Se si fosse creato un momento di
difficoltà con un tentativo di insurrezione fascista, la prima vittima sarebbe stata
sicuramente lo stesso Duce. Badoglio
non se lo sarebbe certamente lasciato
carpire. “Fu dunque Mussolini –
esclamò Scorza – che, dalla prigione,
ispirò la mia linea di condotta”.
In un impeto di oratoria, Scorza
esclamò: “Se un colpo di fucile fosse stato
esploso contro le guardie di pubblica sicurezza, il secondo colpo delle regie
guardie o dei regi carabinieri sarebbe
stato indirizzato contro Mussolini, oppure
quest’ultimo sarebbe stato tradotto dinanzi ad un tribunale straordinario che si
sarebbe vantato di difendere lo Stato. Fu
Mussolini, generale presidente, che dalla
sua fredda cella ha guidato l’opera dell’ultimo segretario del partito ed ha salvato ancora una volta le sorti dell’Italia
con il suo silenzio e la sua saggezza”.
Fu poi facile a Scorza chiamare correi “tutti quelli che materialmente avrebbero potuto fare e non hanno fatto.”.
“Ma dove sono – egli disse – quelli che
blaterano che io non avrei avuto il coraggio dell’azione?” A questo punto
Scorza parlò di coloro che fuggirono in
Germania, dei novantadue federali delle
Esultanza della
folla alla caduta
del fascismo nel
luglio 1943
varie province che non fecero nulla per
resistere, della milizia volontaria per la
sicurezza nazionale che non si fece minimamente sentire.
A sua volta Alessandro Tarabini raccontò, nel corso della sua deposizione,
che la sera del 25 luglio riuscì a contattare il Capo di stato maggiore delle camicie nere, generale Galbiati. Anche questi
però si dimostrò più incerto che mai. I
due si consultarono, decidendo poi di rimanere in attesa degli eventi senza assumere alcuna determinazione. Quando
Tarabini ritornò alla sede del partito,
trovò addirittura la porta sbarrata e l’edificio circondato dalle forze di polizia.
Durante la sua assenza era entrato nel
suo ufficio un maggiore, certo Campana
che, dopo avere requisito tutte le armi e
perquisito tutti i presenti, li aveva invitati
a sgomberare, senza incontrare la benché
minima resistenza.
Visto poi che la popolazione tumultuava ed inscenava aperte dimostrazioni
di piazza, Tarabini credette opportuno
rincasare, chiudere bene il portone alle
proprie spalle e non muoversi più. Successivamente, venuto a conoscenza del
fatto che la folla stava tentando di dare
alle fiamme Palazzo Braschi, sede della
federazione fascista dell’Urbe, si mise in
comunicazione con il Ministero della
Guerra chiedendo al generale Sorice di
provvedere ad inviare rinforzi per evitare
che ciò si verificasse. Egli non sapeva
che, nel gabinetto Badoglio, il generale
Sorice sarebbe stato il nuovo ministro
della guerra.
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sua volta Scorza, dopo avere atteso
lungamente il ritorno di Mussolini
dal colloquio con il Re a Villa Savoia,
tentò più volte di contattare telefonicamente sia Palazzo Venezia sia Villa Torlonia, residenza privata del Duce, accorgendosi a un certo punto che il telefono
gli era stato scollegato. Decise allora di
far chiamare il vice segretario del partito
Alfredo Cucco e il segretario federale
dell’Urbe invitandoli a mobilitare tutte
le squadre fasciste di Roma e di affidarne il comando ad un noto e vecchio
squadrista della capitale. Egli si rese
conto, infatti, che qualche cosa di grave
stava avvenendo. Più tardi, però, il federale di Roma, Ratti, tornerà alla sede del
partito per annunciare di essere riuscito
a trovare soltanto settanta uomini in tutta Roma, nucleo del tutto insufficiente a
salvare le sorti del partito in un frangente tanto grave.
Il presidente del tribunale speciale,
Griffini, mosse a Scorza due contestazioni: la frase: “Dopo due giorni di lavoro,
di persuasione e di disciplina tra i fascisti…” non era sufficientemente spiegata
nella sua deposizione; inoltre, come poté
Scorza concepire un partito fascista senza Mussolini o pensare che Badoglio potesse tenere in vita il partito fascista
quando tutti gli italiani ebbero chiara
l’impressione del crollo definitivo del fascismo?
Scorza, alla prima obiezione rispose:
“Ma io, generale presidente, scrivevo a
Badoglio, non a un fascista. Non potevo,
il giorno 27 luglio, ammettere che il partito era calmo perché non esisteva più. Ammettere che la rivolta a Roma non era stata fatta contro i badogliani e gli antifascisti perché non ci era stato possibile mobilitare le squadre; non potevo cioè ammettere, scrivendo a Badoglio, che i fascisti
erano rimasti impotenti. Non potevo dire
questo, è evidente. Da questo stato di fatto dovevo trarre le migliori conseguenze o
il miglior sfruttamento, se la parola può
stare. Io non potevo dire: ‘Badate che io
non ho potuto agire contro di voi perché
le vostre misure sono state sconcertanti;
ho voluto parlare di opera di persuasione
per acquistare un merito, un titolo ai fascisti e per giustificare nello stesso tempo
la mancata reazione”.
Alla seconda obiezione Scorza rispose: “Io avevo la convinzione che Badoglio avrebbe mantenuto in vita il partito,
in quanto ciò gli avrebbe giovato come
una forza. E’ stata proprio la sua microcefalia che non gli ha consentito di tenere in vita il partito. Avrebbe potuto giostrare, servendosi del partito fascista
abilmente manovrato dai suoi uomini, su
tutti gli altri partiti politici. E’ stata proprio la completa incapacità di Badoglio
a provocare questo cataclisma. In questo
egli si è rivelato veramente un settario”.
Ad un certo punto della sua deposizione,
Carlo Scorza ammise come fosse arduo
andare in giro per Roma nei giorni immediatamente successivi alla caduta del
fascismo: la città era in tumulto e per le
CIVILTÀ DELLA SCRITTURA
Pietro Badoglio,
nuovo capo del
governo, dopo la
caduta di
Mussolini, in un
manifesto a firma
del maresciallo
Graziani, capo
delle forze armate
della Repubblica
Sociale Italiana
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vie si aggiravano
alcuni personaggi
che volevano assolutamente la sua testa. E qui Scorza
lasciò capire a chi
si riferisse. Si riferiva probabilmente
alle azioni squadristiche da lui comandate ed agli antifascisti che ne
erano rimasti vittime.
Successivamente, il 30 o il 31
luglio, Scorza ebbe
un incontro con Ettore Muti e tra i due
si svolse un mesto
colloquio. Muti
disse: “Non c’è più niente da fare. Qui ci
ammazzano tutti. E poi sono così feroci
che faranno la pelle anche a Mussolini”.
L
o stesso Scorza ebbe un incontro con
Badoglio; gli parlò di persecuzioni
immeritate a carico dei fascisti, di comunismo dilagante, e gli chiese misure per
la cessazione di tale stato di cose. Badoglio accolse Scorza con molta cordialità
e semplicità, la porta dell’ufficio era
aperta, uscivano ed entravano degli ufficiali. Poi, uscendo, Scorza si accorse
che, nella bussola, tra una porta e l’altra,
si trovava un ufficiale dei carabinieri. Il
Capo del governo gli disse che aveva
dato disposizioni severissime per il mantenimento dell’ordine pubblico, che
avrebbe rinnovato tali disposizioni, ma
che, purtroppo, qualche caso sporadico,
qualche eccezione non si sarebbe potuta
evitare, dato il momento particolare e il
sommovimento degli animi.
Badoglio assicurò poi l’ex segretario
del partito che non sarebbe stato minimamente disturbato e che, analogamente
a quanto si stava disponendo per tutti gli
alti gerarchi, sarebbe stato richiamato
sotto le armi. Infatti, successivamente,
Scorza fu ricevuto anche dal generale
Sorice che gli annunciò che il Governo
lo aveva assegnato al Ministero della
Guerra, cosa che egli rifiutò, adducendo
di essere stato sempre al comando di
truppe combattenti e di non voler accet-
tare un posto sedentario solo perché era
stato segretario del partito.
In quell’occasione Sorice chiese
all’ex segretario del partito se per caso,
attorno al 25 luglio, avesse avuto contatti
con il maresciallo Graziani. Scorza rispose in maniera del tutto negativa: “Io
non ho incontrato Graziani; avete la mia
parola di italiano”. Altri contatti Scorza disse di aver avuto con i tedeschi, il
primo dei quali proprio la notte del 25
luglio, non appena fu noto il cambiamento di governo in Italia. In quell’occasione egli incontrò l’ambasciatore tedesco a Roma che fu da lui messo al corrente della situazione, con preghiera di
riferirne al capo del partito nazionalsocialista. Può darsi che l’afflusso di divisioni tedesche in Italia, iniziato proprio il
25 luglio, sia stato dovuto in parte anche
al campanello di allarme dato da Scorza
all’ambasciatore tedesco: la considerazione non è nostra ma fu esposta dallo
stesso Scorza nel corso della sua deposizione al processo di Parma, non sappiamo se a scopo strumentale o meno. Dai
tedeschi Scorza ricevette anche un invito
a prendere un aereo per rifugiarsi in Germania, ma egli rifiutò. Sarebbe andato
volentieri per conferire con il Führer, ma
avrebbe voluto essere subito riaccompagnato in Italia. Fu raggiunta un’intesa in
questo senso, ma il giorno convenuto per
la partenza Scorza ricevette una telefonata di un funzionario dell’ambasciata tedesca che gli annunciava di non potersi
avvicinare per rilevarlo, in quanto la casa
era circondata da agenti di polizia. All’indomani Scorza riuscì a dileguarsi e
fece giungere il suo nuovo recapito all’ambasciata che, tuttavia, non si mise
più in contatto con lui.
F
ra i testimoni a difesa, molto calorosi
furono Francesco Giunta, già segretario del partito e governatore della Dalmazia (“In una riunione del partito alla
quale partecipai ed in cui Scorza era segretario, mi accorsi che egli aveva infuso in tutti uno spirito nuovo, un fervore
che in precedenza non avevo mai notato”) e Farinacci. Quest’ultimo, dopo avere sottolineato che Scorza aveva votato
contro l’ordine del giorno Grandi nella
famosa riunione del Gran Consiglio del
Fascismo, disse: “Mi meraviglio che,
CARLO SCORZA
CIVILTÀ DELLA SCRITTURA
N ato a Paola (Cosenza) nel
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1897, partecipò, come volontario,
al primo conflitto mondiale. Fu il
fondatore del fascio di Lucca e diresse le squadre d’azione in numerose spedizioni ponendosi alla
loro testa anche in occasione della marcia su Roma. Incontrastato ras di Lucca, fu segretario federale della città dal 1921 al 1929 e deputato al
Parlamento dal 1924 al 1939. Per alcuni anni, nel periodo compreso fra il 1920 e il 1925, si occupò di giornalismo dirigendo l’“Intrepido” e, per un breve periodo, “La
Lucchesia”. Dall’ottobre del 1929 al dicembre del 1931
fu incluso nel direttorio del Pnf, fu incaricato di costituire i Fasci Giovanili di Combattimento e, infine, nominato
ispettore della milizia nazionale. Nello scontro del 1931
fra il regime e la Santa Sede assunse posizioni radicali
tendenti all’esasperazione dello scontro. Dietro diretta
richiesta del Vaticano, il regime lo costrinse a dimettersi
da tutte le cariche allora ricoperte. L’anno seguente, a
causa della concorrenza apertasi fra lui e Storace, il Partito aprì un’inchiesta sullo stato del fascismo in provincia
di Lucca. L’inchiesta si concluse con la proibizione, fatta
a Scorza, di recarsi nella intera provincia: il vecchio ras
di Lucca evitava l’espulsione dal Partito, ma il suo futuro
politico appariva ormai segnato. Negli anni successivi
prese parte alla campagna d’Etiopia e alla guerra di
Spagna. Nel 1940, con la nomina a presidente dell’Ente
stampa, tornò a rivestire incarichi politici riprendendo
anche la scalata nel Partito del quale, il 21 dicembre
1942 divenne vicesegretario, e, quattro mesi più tardi, il
17 aprile, segretario. Fu il primo a informare Mussolini
del contenuto dell’Ordine del giorno che Grandi avrebbe
presentato alla seduta del Gran Consiglio del Fascismo
del 25 luglio 1943, quindi concorda con il Duce un Ordine del giorno del P.N.F. che poi sarebbe stato messo ai
voti subito dopo quello di Grandi (contro il quale Scorza
esprime voto contrario) e che raccolse solo sette voti a
favore. Nella confusione politica seguita alla destituzione
e all’arresto di Mussolini, prima si nasconde, sottraendosi alla cattura, poi si offre di collaborare al governo di
Pietro Badoglio e resta indisturbato fino all’8 settembre.
Per tale motivo, dopo la nascita della Repubblica Sociale
Italiana, verrà arrestato con l’accusa di tradimento.
Compare come testimone al processo di Verona contro
Ciano e gli altri gerarchi. Processato a Parma nell’aprile del 1944 viene liberato per intervento dello stesso
Mussolini. Al termine della Seconda guerra mondiale si
rifugia a Gallarate. Scoperto e arrestato nell’agosto del
1945, riesce a evadere riparando in Argentina. Rientrato
in Italia nel 1969, si trasferisce in un piccolo comune vicino a Firenze, dove si spegne nel 1988.
mentre i veri traditori del Duce sono ancora liberi, un uomo fedele come Scorza
sia stato arrestato e sottoposto a processo”.
Al termine della sua deposizione,
prima di lasciare l’aula, Farinacci si avvicinò al banco degli imputati e si strinse
in un prolungato abbraccio a Carlo Scorza.
Il tribunale pretese dallo stenografo
l’immediata traduzione; gli mise a disposizione all’uopo una velocissima dattilografa dal momento che un motociclista
aspettava il resoconto completo da portare a Mussolini a Gargnano sul Garda. E
sul Garda, presumibilmente, fu adottata
la sentenza assolutoria. Alcuni giorni
dopo, infatti, quando fu ripreso il processo, il pubblico ministero – pur con qualche osservazione non positiva sul comportamento dei due gerarchi (“il comandante non deve abbandonare la propria
nave nel momento del pericolo, ma deve
anche saper morire nel naufragio”) ne
chiese l’assoluzione: “Sono contento –
concluse – che al dolore per i tanti tradimenti subiti, il Duce non debba aggiungere anche il tradimento del suo ultimo
segretario”.
Quello del processo Scorza rappresentò, dunque, un lavoro stressante ed
una fatica fisica rilevante per lo stenografo; ma fu, soprattutto, uno stress di
tipo psicologico. Dalla valutazione di
quelle cartelle dipendeva la vita o la
morte dei due imputati. Una pagina di
storia molto triste in un periodo molto
triste per il nostro paese.
Dopo la fine della guerra lo stenografo che ha registrato il processo Scorza
e che è l’autore di questi ricordi riferiti
ad un evento tanto lontano negli anni, ottenuta la laurea, ha trasferito il suo lavoro dal giornalismo al Servizio dei Resoconti della Camera dei deputati di cui è
diventato direttore nell’ultima parte della
sua attività professionale. Ha assistito a
tanti altri dibattiti, spesso anche molto
vivaci. Nelle sue cartelle ha registrato
tante giornate storiche, perfino svolte
epocali nella vita del nostro Paese, sempre con molta partecipazione ma, questa
volta, senza ansie o problemi di tipo psicologico.