STORIA CLASSE V PROF.SSA RAFFAELLA ARISTODEMO MODULO 1 L’ULTIMO SCORCIO DEL XIX SECOLO E LA CRISI DEL PRIMO ‘900 U.D. 1 LE VICENDE ITALIANE DAL 1871 ALLA FINE DEL SECOLO U.D. 2 L’ETA’ GIOLITTIANA U.D. 3 LA I GUERRA MONDIALE U.D 4 LA RIVOLUZIONE RUSSA U.D. 1 LE VICENDE ITALIANE DAL 1871 ALLA FINE DEL SECOLO LA DESTRA STORICA Il 20 settembre 1870 era stata conquistata Roma dalle truppe italiane con a capo il generale Cadorna; si era aperta a colpi di cannone una breccia nelle mura di cinta presso Porta Pia(episodio della Breccia di Porta Pia). Roma fu proclamata capitale d’Italia il 2 luglio 1871 e con la sua conquista il periodo risorgimentale si concluse definitivamente. Il periodo risorgimentale era stato costituito dalle 3 guerre di indipendenza condotte dall’Italia principalmente contro l’Austria per unificare la penisola suddivisa in tanti piccoli staterelli e liberarla dal dominio austriaco. Restavano tuttavia ancora due regioni da annettere nuovamente all’Italia: il Trentino e la Venezia-giulia, conquistate in seguito solo con la I Guerra Mondiale. Il Papa Pio x era contrario all’annessione del Lazio e di Roma all’Italia, in quanto avrebbe voluto, così come si era sempre verificato in precedenza con gli altri pontefici, continuare ad avere la sovranità politica su Roma e sui territori dell’Italia Centrale, iniziata nell’Alto Medioevo. Il Parlamento, tuttavia, in segno di riconciliazione, votò in suo favore una legge(La legge delle Guarentigie), che gli assegnava i palazzi del Vaticano, del Laterano e la Villa di Castel Gandolfo. Tale provvedimento gli assicurava inoltre la più completa libertà di azione spirituale e gli assegnava una notevole somma annua di denaro, per il mantenimento e la cura dei palazzi apostolici. Il Papa rifiutò tali condizioni, ma il governo italiano rispettò ugualmente le garanzie. Nel 1874 il Vaticano formulò inoltre il NON –EXPEDIT, con cui vietava ai cattolici di prendere parte alla vita politica. A poco a poco in quegli anni morirono tutti i maggiori protagonisti del Risorgimento, quasi a testimoniare la fine di un’epoca: Cavour (già morto nel 1861), Giuseppe Mazzini (1872), il re Vittorio Emanuele II (1878), il Papa Pio IX, Giuseppe Garibaldi (1882). A Vittorio Emanuele II successe il figlio Umberto I: il suo fu un regno difficile. Dopo la fase risorgimentale, l’Italia risultava colpita da gravi problematiche, soprattutto di carattere economico, come la povertà, la mancanza di lavoro, l’analfabetismo, il divario tra nord e sud. In seguito alla morte di Cavour, i suoi successori in Parlamento si raggrupparono nella Destra Liberale, o Destra Storica ( da non confondersi con l’attuale destra),ma non riuscirono a far decollare l’economia italiana e si attirarono il malcontento degli elettori. Nel corso degli anni ‘70, la Destra dovette cedere il Governo agli esponenti della sinistra democratica, favorevoli ad un allargamento del suffragio elettorale e a riforme sociali a tutela delle fasce più deboli. Nuovo capo del Governo fu Agostino Depretis, che ricoprì la carica a fasi alterne dal 1876 fino alla sua morte, sopraggiunta nel 1887. Egli propose una nuova pratica di governo, IL TRASFORMISMO, che consisteva nell’accettare indifferentemente l’apporto politico di uomini sia di destra che di sinistra, purchè capaci di risolvere i problemi del Paese. LA POLITICA COLONIALE ITALIANA E FRANCESCO CRISPI Nel 1887, morto Depretis, divenne Presidente del Consiglio il siciliano Francesco Crispi, che tenne il potere fino al 1896, eccetto per un breve intervallo di tempo compreso tra il 1892 e il 1893, in cu fu eletto capo del Governo Giovanni Giolitti. Egli intese fare dell’Italia una grande potenza, in grado di competere a livello internazionale con gli altri Stati, ma trascurando così i gravi problemi economici e sociali italiani. Crispi intraprese una politica coloniale di conquista dei territori africani. Già nel 1882 lo Stato italiano si era impossessato del porto di Assab, sul Mar Rosso, mentre 3 anni dopo occupò anche il porto di Massaua. Dopo la conquista dei porti, l’Italia voleva penetrare nell’interno del territorio, che apparteneva all’Impero di Etiopia chiamato anche Abissinia. Nel 1887 però 7.000 abissini massacrarono l’esercito italiano a Dogali. Quando Crispi divenne nuovo capo del Governo, strinse un accordo con il re dell’Etiopia Menelik (il re era chiamato anche negus), detto TRATTATO DI UCCIALLI, in base al quale l’Italia considerava l’Etiopia un proprio protettorato. Lo stato italiano costituì dalla costa del mar Rosso fino all’interno, la vasta colonia chiamata Eritrea (l’Eritrea era l’antico nome del mar Rosso). Qualche anno dopo, però, Menelik si rimangiò l’accordo, e riprese la guerra per porre fine al protettorato italiano sul proprio regno. Lo scontro decisivo avvenne nei pressi di Adua e l’Italia fu sconfitta il 1 marzo del 1896. Francesco Crispi, ritenuto il responsabile sia della sanguinosa sconfitta, sia del fallimento della politica coloniale, fu costretto a dimettersi. L’Italia cedette all’Etiopia i territori conquistati, conservando solo la colonia di Eritrea. LA TRIPLICE ALLEANZA Sotto il profilo dei rapporti internazionali, la Francia, che al tempo di Cavour era stata la maggiore alleata del Piemonte, divenne antagonista dell’Italia. Nel 1881 i francesi assunsero il protettorato della Tunisia; tale iniziativa andò contro le attese dell’Italia, che da molto tempo aspirava ad estendere la sua influenza su quella terra così prossima alla Sicilia, e meta di una notevole emigrazione di contadini italiani che avrebbero potuto trovare una nuova occupazione. L’anno successivo, per reazione a tali mosse della Francia e anche per non trovarsi isolata nei rapporti internazionali, l’Italia decise di avvicinarsi alla Germania e all’Austria, superando l’antica rivalità. I tre Stati stipularono LA TRIPLICE ALLEANZA-1882-, un patto difensivo che prevedeva aiuto reciproco nel caso di attacco ad una delle tre alleate in guerra. Non tutto il parlamento italiano era in linea con l’accordo, poiché l’Austria aveva ancora per sè le zone irredente del Trentino e della Venezia- giulia. U.D.2 L’ITALIA GIOLITTIANA GIOVANNI GIOLITTI Alla morte del re Umberto I, salì sul trono d’Italia il figlio Vittorio Emanuele III, il quale affidò l’incarico di formare il nuovo Governo a Giuseppe Zanardelli, giurista di sinistra. Il nuovo capo di Governo ebbe il merito di rendere liberi i condannati politici con l’amnistia e concesse una moderata libertà di stampa. Zanardelli per problemi di salute si ritirò nel 1903 e nuovo capo del Governo divenne Giovanni Giolitti, che fino a quel momento era stato ministro degli Interni. Egli fu Presidente del Consiglio per quasi un decennio, salvo brevi interruzioni. E’ per questo motivo che il decennio è definito “Età giolittiana”. Egli era un liberale e concesse la libertà di sciopero, il quale era mal tollerato e spesso represso con la forza dagli organi di polizia. Quando si verificavano scioperi, Giolitti faceva in modo che si svolgessero evitando solo che scoppiassero repressioni in quanto giudicava lo sciopero un mezzo legale di lotta e credeva che i contrasti tra i lavoratori e i proprietari potessero risolversi non con la forza ma con le trattative. Giolitti attuò inoltre una serie di riforme per migliorare le condizioni dei lavoratori anziani, infortunati o invalidi; vennero emanate nuove norme sul lavoro in favore delle donne e dei fanciulli, venne esteso l’obbligo dell’istruzione elementare fino al dodicesimo anno di età, venne stabilito il diritto al riposo settimanale. In questo quadro si inserirono anche alcuni importanti interventi nel settore della sanità pubblica, come la distribuzione gratuita del chinino contro la malaria; altre numerose riforme sociali e igienico-sanitarie di Giolitti comportarono un decisivo miglioramento delle condizioni di vita della popolazione e un notevole incremento demografico. LA POLITICA FINANZIARIA Tutto il sistema economico del Paese in quegli anni fu rivitalizzato. A tal proposito, soprattutto in agricoltura si realizzarono importanti lavori di bonifica e di irrigazione con l’uso di concimi chimici; crebbero anche le industrie meccaniche, chimiche, tessili, alimentari, idroelettriche. Nel 1899 Giovanni Agnelli fondò a Torino la Fiat, simbolo della potenza dell’industria automobilistica. Durante l’età giolittiana fu inoltre realizzato un intenso programma di lavori pubblici, che ebbe le sue più significative manifestazioni nell’estensione della rete stradale e ferroviaria. Una vera e propria rivoluzione però, fu quella sulle assicurazioni sulla vita, le quali prima erano gestite da società private, ma con Giolitti passarono in parte alla gestione dello Stato, che istituì l’ Istituto Nazionale per le Assicurazioni nel 1912. L’azione svolta positivamente nel suo insieme dal Governo non deve comunque far dimenticare la lunga serie di problemi rimasti ancora insoluti. L’Italia infatti continuava a essere per certi aspetti un paese arretrato, dove ancora dilagava l’analfabetismo, con punte estreme in Calabria, Sicilia e Basilicata, dove la tubercolosi mieteva tantissime vittime. La disoccupazione e la miseria erano presenti quasi ovunque, con punte paurose in certe zone del sud. Uno Stato, insomma, per molti aspetti sottosviluppato e classificato tra i più arretrati d’Europa. LA POLIRTICA INTERNA Uno dei provvedimenti più qualificanti del Governo fu l’estensione del diritto di voto (IL SUFFRAGIO UNIVERSALE), che consentiva una maggiore partecipazione politica alle classi popolari. La nuova legge, approvata in data 30 giugno 1912, ammetteva al voto tutti i cittadini maschi che avessero compiuto i 21 anni, che sapessero leggere e scrivere e avessero compiuto il servizio militare. Potevano votare, però, anche i cittadini maschi che avessero già compiuto i 30 anni anche se analfabeti e senza servizio militare svolto. Dunque aumentarono gli elettori e l’analfabetismo non venne più considerato motivo di incapacità intellettiva; esso cessava di essere considerato una colpa, a causa della quale un analfabeta era ritenuto idoneo a compiere il servizio militare o a fare la guerra ma non legittimato a far sentire con il voto la propria volontà sul modo di gestire lo Stato. L’azione politica di Giolitti non fu tuttavia esente da critiche in quanto, pur di continuare a governare, non si schierò mai in maniera netta a destra o a sinistra, dalla parte degli operai o dalla parte degli imprenditori. Cercava di accontentare un pò gli uni e un pò gli altri e, durante le elezioni, non si fece scrupoli a corrompere prefetti e polizia per abbattere i suoi avversari politici, mirando a creare un Governo di soli giolittiani e di uomini non in contrasto con la sua azione politica. Al sud, Giolitti si arruffianava, per ricevere voti,i corrotti, potenti e grandi proprietari terrieri e, contrariamente a quanto avvenuto per il nord, reprimeva gli scioperi e le proteste dei contadini e degli operai con la forza. A tal proposito, lo storico socialista e meridionalista Gaetano Salvemini lo definì “il ministro della malavita”. In Parlamento, il capo del Governo volle creare alleanze anche con il partito socialista, particolarmente attento alle problematiche lavorative degli operai, che fino a quel momento non aveva mai collaborato con il Governo. In seno al partito socialista, vi erano due correnti. Una più rivoluzionaria, che voleva ottenere riforme con metodi forti e con la rivoluzione, e l’altra, moderata, che voleva attuare gradualmente le riforme sociali a tutela delle classi più deboli, soprattutto lavoratrici. Giolitti era però disposto a collaborare solo con la parte moderata del partito socialista. Pertanto nel 1903, Giolitti offrì a Filippo Turati, capo della corrente riformista, l’invito a entrare nel suo primo Governo; il partito socialista tuttavia non realizzò mai una concreta collaborazione con il Governo. Il Primo Ministro ritenne necessario anche un riavvicinamento con la Chiesa cattolica. Pio X cominciò ad ammettere la possibilità di una partecipazione dei cattolici alle elezioni come elettori e alla vita politica ed attenuò l’intransigenza vaticana nei riguardi del Regno d’Italia, ammorbidendo il NON EXPEDIT. Pertanto nel 1913, contemporaneamente all’estensione del diritto di voto, Giolitti stipulò con il conte Vincenzo Ottorino Gentiloni un accordo segreto, IL PATTO GENTILONI, in base al quale i cattolici si impegnavano a sostenere per le prossime elezioni, l’elezione dei deputati liberali, ottenendo in cambio l’abbandono della politica anticlericale. Tale avvenimento segnò di fatto il rientro dei cattolici nella vita politica italiana dopo la frattura del 1870. Due sacerdoti si distinsero per la loro attività socio-politica, attenti soprattutto ai problemi delle classi sociali contadine e popolari. Romolo Murri fondò nel 1900 un movimento (Movimento Democratico Cattolico) che assunse poi il nome di Democrazia Cristiana. Egli era contro i cattolici troppo rigidi ed era desideroso di affrontare e risolvere i problemi che subivano le classi lavoratrici più deboli. Il sacerdote Luigi Sturzo creò un partito di carattere democratico e popolare, autonomo dall’autorità ecclesiastica e capace di aggregare i ceti più deboli sulla base dei valori cristiani. LA POLITICA ESTERA Prima dell’ascesa di Giolitti al potere, l’Italia aveva stipulato un patto con la Germania e l’Austria, la Triplice Alleanza. Il tentativo italiano di impadronirsi di alcuni territori africani, aveva provocato il dissenso della Francia e dell’Inghilterra. Dopo la sconfitta di Adua, l’Italia capì che per tentare altre imprese in Africa, avrebbe dovuto avere l’appoggio e l’aiuto di Francia e Inghilterra. Dunque Giolitti prese accordi con la Francia, questa sarebbe stata aiutata a espandersi in Marocco e in cambio i francesi avrebbero permesso all’Italia di penetrare in due territori libici, la Tripolitania e la Cirenaica, poste sotto il dominio turco. Il 29 settembre 1911 l’Italia dichiarò guerra alla Turchia e il conflitto si concluse con la pace di Losanna il 18 ottobre 1912, con cui la Tripolitania e la Pirenaica furono cedute al nostro Paese. L’occupazione della Libia non fu vantaggiosa per l’Italia, poichè era desertica e priva di materie prime. Nel 1912, a Reggio Emilia, ci fu un Congresso che portò alla definitiva scissione del partito socialista. L’ala riformista di Filippo Turati si distaccò da quella guidata da Ivanoe Bonomi e Leonida Bissolati che crearono il Partito Socialista Riformista Italiano. Nel 1914 Giolitti cedette il posto di Capo del Governo ad Antonio Salandra, liberale moderato, e tra il 7 e il 13 giugno si svolse un violento sciopero nazionale, (La Settimana Rossa), voluto dai socialisti più rivoluzionari, durante il quale ci furono numerosi morti e feriti. U.D 3 LA PRIMA GUERRA MONDIALE 1914-1918 CAUSE E PRESUPPOSTI All’inizio del secolo XX i rapporti fra i vari Stati europei, dopo alcuni anni di relativa tranquillità, erano diventati più difficili. La Germania, della quale faceva parte anche la Prussia, unificata dal cancelliere austriaco Ottone di Bismarck, primo ministro, era diventata la più potente Nazione del continente, grazie anche al grandioso sviluppo della sua economia e delle sue industrie. Bismark era stato il maggior responsabile della politica di pace della Germania, facendo in modo che essa instaurasse rapporti e alleanze con le altre potenze. Dopo il 1890 le cose cambiarono e il nuovo Imperatore di Germania Guglielmo II, attuò una politica più aggressiva per accrescere il potere tedesco in Europa e nel mondo. Il Kaiser (Guglielmo II), era uno strenuo assertore dell’Imperialismo tedesco, che mirava ad attuare la fusione di tutti i popoli germanici dell’Europa-PANGERMANESIMO-.e ad assicurare il loro predominio nel mondo. Il vecchio cancelliere Bismark fu licenziato e allontanato dal governo. Non era la sola Germania a voler attuare una politica espansionistica e aggressiva, in quanto anche l’Impero asburgico(Austria e Ungheria), mirava a imporre il suo dominio, soprattutto sulla penisola balcanica. La Germania e l’Austria-Ungheria erano solidali e costituivano gli IMPERI CENTRALI. Dalla parte opposta vi erano la Francia, la Russia e l’Inghilterra, legate e unite tra di loro da vari accordi e perciò dette POTENZE DELL’INTESA. Due dunque erano i blocchi formatisi fra le Potenze in seguito allo stringersi delle alleanze: LA TRIPLICE Intesa (Francia, Russia e Inghilterra), e la TRIPLICE ALLEANZA (Germania, Austria e Italia). Principale nemica della Germania era la Francia, battuta a Sedan nel 1870. In seguito a tale sconfitta, i tedeschi avevano tolto ai francesi i due territori dell’Alsazia e della Lorena, che la Francia naturalmente intendeva riprendere. Altra acerrima concorrente della Germania era l’Inghilterra, anch’essa nazione economicamente molto forte. Le industrie tedesche, tuttavia, moderne e efficienti per lo sviluppo della tecnologia, rispetto a quelle inglesi,riuscivano a produrre a costi inferiori e a vendere prodotti a prezzi più bassi. Rivale dell’Austria per il possesso della penisola balcanica era la Russia. La penisola balcanica era la zona nevralgica dell’Europa, dove maggiori erano i disordini, le instabilità. Dal disfacimento dell’Impero turco, che aveva dominato i balcani, nacquero alcuni Stati, quali la Serbia, la Romania, la Bulgaria, Montenegro, la Grecia, e in seguito l’Albania e la Bosnia L’ATTENTATO DI SERAJEVO E LO SCOPPIO DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE Il 28 giugno 1914 l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austro-ungarico, e la moglie Sofia, furono assassinati a colpi di pistola dallo studente irredentista serbo Gravilo Princil a Sarajevo, capitale della Bosnia, regione da poco annessa all’impero asburgico (Impero austro-ungarico), dove erano in visita ufficiale. Il governo austroungarico ritenne responsabile la Serbia del grave delitto, le inviò pertanto un ultimatum con richieste di riparare al danno tanto pesanti, che la Serbia non potè accettare. Il 28 luglio 1914 allora l’Austria-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia. Il conflitto divenne mondiale (Guerra totale), in quanto si mise in moto un complesso meccanismo di alleanze e vide la partecipazione di quasi tutti gli Stati del mondo. La Germania si alleò con l’Austria, la quale a sua volta dichiarò guerra contemporaneamente alla Russia il 1 agosto 1914 e alla Francia il 3 agosto 1914 IL PRIMO ANNO DI GUERRA- 1914 La guerra si svolse principalmente su tre fronti: occidentale, o franco-belga, orientale o russo, meridionale o serbo. La Germania mirava a battere separatamente prima la Francia e poi la Russia, e per questo rovesciò tutte le sue forze sul fronte occidentale, nella speranza di impadronirsi di Parigi. Sul fronte occidentale, i tedeschi volevano prendere alle spalle l’esercito francese passando per il Belgio che, come la Svizzera, aveva dichiarato la propria neutralità. La decisione della Germania scatenò l’intervento dell’Inghilterra, che si schierò con la Francia, la Serbia e la Russia. La Germania era convinta che la guerra sarebbe stata una guerra-lampo, ma, al contrario, si trasformò in una logorante guerra di trincea e di posizione. Il 4 agosto 1914 l’esercito tedesco dilagò nella Francia settentrionale, ma i francesi, con una importante battaglia lungo il fiume Marna (6-12 settembre), respinsero indietro i tedeschi. A questo punto la Germania pensò di attaccare le coste franco-belghe per interrompere le comunicazioni tra la Francia e l’Inghilterra (la cosìdetta corsa al mare). L’ Inghilterra istituì a questo punto un blocco economico attorno agli Imperi centrali (blocco della circolazione delle merci di Austria e Germania), i tedeschi tentarono di spezzare il blocco ingaggiando una guerra sottomarina,che fu diretta anche contro le navi mercantili dei paesi neutrali,. Anche il transatlantico inglese Lusitana fu colpito e affondato. Questo trasportava tra i suoi passeggeri anche numerosi americani, e ciò provocò l’indignazione degli Stati Uniti d’America che minacciarono di entrare in guerra se la Germania non avesse interrotto la guerra sottomarina. Sul fronte centro-orientale i russi nell’agosto del1914, avevano invaso la Prussia, ma furono bloccati dai tedeschi in due grandi battaglie: a Tannenberg (26-29 agosto 1914) e ai Laghi Masuri (8-10 settembre). Nel frattempo anche la Turchia entrò in guerra a fianco degli Imperi Centrali, mentre il Giappone alleato dell’Inghilterra, si impadronì dei possessi coloniali tedeschi in Cina e nel Pacifico. IL SECONDO ANNO DI GUERRA (1915). L’ITALIA E’ NEUTRALE: INTERVENTISTI E NEUTRALISTI Nei primi tempi del conflitto l’Italia, anche se aveva stipulato con l’Austria e la Germania il patto della TRIPLICE ALLEANZA, rimase neutrale e non intervenne a fianco delle due (Ddichiarazione di neutralità proclamata il 2 agosto 1914). La TRIPLICE ALLEANZA era infatti un patto difensivo, in quanto uno Stato doveva aiutare l’altro, in caso di guerra, solo se veniva attaccato. Nel caso dell’Austria, essa non era stata attaccata dalla Serbia, ma era avvenuto il contrario. L’Italia dunque, non si sentiva obbligata ad entrare nel conflitto a difenderla contro la Serbia. Tra l’altro, l’Italia era ancora risentita con l’Austria perché essa si era impossessata di due regioni italiane, il Trentino e la VeneziaGiulia, che il nostro Stato voleva riprendere (TERRE IRREDENTE). Un’entrata in guerra dell’Italia, tra l’altro, necessitava di un esercito e di armi potenti, strumenti che essa non aveva. Intanto nel Paese si svolgeva un acceso dibattito fra interventisti e neutralisti: questi ultimi (cattolici, una parte dei socialisti e liberali giolittiani), ritenevano che l’Italia dovesse rimanere neutrale fino alla conclusione della guerra, per non correre il rischio di compromettere i progressi economici, politici e sociali raggiunti negli ultimi tempi a prezzo di grandi sacrifici. I cattolici si opponevano alla guerra per ragioni di principio e perché temevano il crollo di una potenza cattolica quale era l’ Austria e lo stesso Papa Benedetto XV definì la guerra un’ orrenda carneficina. Il più autorevole esponente di questo punto di vista era Giovanni Giolitti, convinto che l’ Italia avrebbe potuto realizzare in gran parte i suoi obiettivi attraverso la via dei negoziati . Contro l’ opinione dei neutralisti vi era un complesso di forze assai eterogenee: conservatori,irredentisti e nazionalisti, socialisti rivoluzionari, i sindacalisti rivoluzionari, favorevoli tutte, ciascuna per motivi propri, all’ ingresso in guerra dell’ Italia a fianco delle potenze dell’ Intesa e contro l’ Austria. I nazionalisti volevano completare l’opera di unificazione italiana strappando all’Austria le terre irredente. Anche Benito Mussolini, socialista rivoluzionario e direttore del giornale “l’Avanti !”, incitava violentemente all’entrata in guerra dell’Italia. Per questo fu espulso dal partito dai socialisti. Alla fine il governo italiano si avvicinò sempre di più alle potenze dell’ Intesa, e il 26 aprile 1915 stipulò segretamente, all’ insaputa del Parlamento, il Patto di Londra, in base al quale si impegnava a scendere entro un mese contro l’Austria. In cambio, una volta ottenuta la vittoria, l’ Italia avrebbe riavuto il Trentino, l’ Alto Adige, Trieste, l’ Istria e la Dalmazia esclusa la città di Fiume e anche il Dodecaneso. Con il nuovo Presidente Salandra, il 24 maggio 1915, anche l’ Italia dichiarò guerra all’ Austria.Quando la nostra Nazione entrò in guerra contro l’Austria, l’impero austro-ungarico dovette dirottare molte truppe sul nuovo fronte alpino, indebolendo così la posizione degli Imperi Centrali negli altri teatri di guerra. Benché inferiore come preparazione e armamento a quello austro-ungarico, l’ esercito italiano, al comando del generale Cadorna, si dimostrò fin dall’ inizio all’ altezza del compito. L’esercito italiano si stabilì al confine del Trentino, al di là del fiume Isonzo, nei pressi di Trieste. La guerra divenne lunga e logorante, di posizione. Tra il giugno e il dicembre 1915, furono combattute le 4 battaglie dell’Isonzo, risoltesi con gravissime perdite per l’Italia. Il 1915 fu un anno di rovesci militari per le Potenze dell ‘Intesa. I russi furono nuovamente sconfitti e costretti alla disastrosa ritirata, la Serbia, attaccata anche dalla Bulgaria, fu invasa e annientata IL TRZO ANNO DI GUERRA-1916 Nel 1916 continuò, inizialmente, la guerra di trincea e di posizione sugli altri fronti. Sul fronte italiano, gli austriaci lanciarono la SPEDIZIONE PUNITIVA contro la traditrice Italia, colpevole di essersi schierata a fianco dell’Intesa e di aver tradito e abbandonato la TRIPLICE ALLEANZA. Gli italiani tuttavia bloccarono gli austriaci che avanzavano in Italia cercando di entrare nel Veneto, e conquistarono la città friulana di Gorizia. Nel 1916 il capo del governo Salandra si dimise e nuovo presidente divenne Paolo Boselli.Nel giugno 1916 l’Italia dichiarò guerra anche alla Germania. Questa a sua volta, sferrò il 12 febbraio 1916 a Verdun, in Francia, un duro attacco ai francesi, causando una carneficina. IL QUARTO ANNO DI GUERRA -1917 Nel 1917 la Russia, alleata della Francia e della Serbia, fu costretta a ritirarsi dal conflitto perché all’interno del Paese era scoppiata una rivoluzione (LA RIVOLUZIONE RUSSA). Essa firmò nel 1917 l’armistizio di Brest-Litovsk – questo poi si trasformò in pace nel marzo 1918-, e si dichiarò con questo ufficialmente sconfitta dalla Germania e dall’Austria, che la costrinsero per la sua resa a pagare grosse somme di denaro e a cedere diversi territori. Sul fronte italiano, nella notte tra il 23 e il 24 ottobre gli austriaci e i tedeschi attaccarono l’Italia e la sconfissero a CAPORETTO, costringendo l’esercito italiano a retrocedere sino alla linea del Piave e ad abbandonare gran parte del Veneto. Al capo del governo Boselli, succedette Vittorio Emanuele Orlando, ed al generale Cadorna il generale Armando Diaz. Dopo la disastrosa sconfitta di Caporetto, l’Italia subì una gravissima perdita di uomini e di mezzi, ma tuttavia non si arrese e si risollevò. L’esercito fu incrementato anche grazie all’arruolamento di soldati giovanissimi, che iniziarono una feroce resistenza contro gli austriaci sul fiume Piave. Nel 1917 entrarono in guerra anche gli Stati Uniti, il cui presidente era Woodrow Wilson. L’America dichiarò guerra alla Germania e nel giro di pochi mesi fece affluire in Europa enormi quantità di viveri, mezzi e uomini. Tale intervento determinò un forte indebitamento dei vari Stati europei nei confronti degli Stati Uniti, per le rilevanti quantità di viveri e di materie prime importate. LA FINE DELLA GUERRA (1918) E I TRATTATI DI PACE (1919). Nel 1918 Germania e Austria prima che arrivassero gli aiuti americani, tentarono un nuovo attacco alla Francia (SECONDA BATTAGLIA DELLA MARNA), ma non vi riuscirono per i rifornimenti di aeroplani, armi e uomini giunti alla Francia dagli Stati Uniti. Sul nostro fronte, l’Austria tentò di rompere le difese italiane lungo il Piave il 15 giugno 1918, senza però riuscirvi(BATTAGLIA DEL PIAVE) L’Italia nell’ottobre 1918 sfondò definitivamente il fronte austriaco a VITTORIO VENETO e entrò a TRENTO. Il 3 novembre 1918, l’Austria si arese e firmò l’armistizio a Padova, a Villa Giusti. L’11 novembre 1918 si arrese anche la Germania. Si arresero anche la Turchia e la Bulgaria.Il 18 gennaio 1919 i rappresentanti delle potenze vincitrici si riunirono a Parigi per una conferenza di pace e per ristabilire l’assetto territoriale dell’Europa. Vi prese parte il presidente degli Stati Uniti, che formulò i quattordici punti per la soluzione dei più importanti problemi per risolvere pacificamente le contese tra i popoli, quali la libertà di navigazione sui mari, la riduzione degli armamenti ecc… Dalla conferenza di pace scaturirono 5 trattati: TRATTATO DI VERSAILLES con la Germania,TRATTATO DI SAINTGERMAIN con l’Austria,TRATTATO DI NEUILLY, TRATTATO DI SEVRES, TRATTATO DI LOSANNA L’Impero austro-ungarico fu sciolto e l’Austria divenne una Repubblica. Con i territori sottratti all’Austria, alla Germania e con quelli perduti dalla Russia si formarono i nuovi stati di Ungheria, Cecoslovacchia, Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, Danzica . La Germania divenne una Repubblica federale e dovete restituire l’Alsazia e la Lorena alla Francia; fu privata di tutte le sue colonie; fu costretta al disarmo e condannata a una enorme indennità di guerra. L’Austria cedette all’Italia il Trentino, l’Alto Adige, Trieste e l’Istria. L’Impero turco fu smembrato e la Turchia fu ridotta a Repubblica. La Serbia insieme alla Bosnia, alla Erzegovina, alla Croazia, Montenegro e Slavonia, diventa la Jugoslavia. Le numerose colonie tedesche dell’Africa e dell’Oceania vengono spartite fra Inghilterra, Francia, Giappone, Stati uniti. All’Italia non tocca nessun compenso, nonostante gli immani sacrifici di guerra U.D. 4 LA RIVOLUZIONE RUSSA O BOLSCEVICA LE CAUSE E I PRESUPPOSTI LA RUSSIA ZARISTA E L’OPPOSIZIONE POLITICA Nel quarantennio che precedette il primo conflitto mondiale, la Russia era dominata dall’Impero zarista.Lo zar Nicola II(1894-1917) esercitava un potere totalitario, attuando un rigido controllo poliziesco e riducendo la libertà del popolo attraverso un pesante programma di “russificazione” nei confronti delle popolazioni dell’Impero. Il termine “russificazione” indicava anche l’imposizione dello studio della lingua russa nelle scuole e del suo uso nelle amministrazioni pubbliche. A dare palesi segni di dissenso e di scontentezza per il controllo e la reggenza repressiva dello zar, era soprattutto la classe colta, l’INTELLIGENCIJA, da tempo ormai in posizione critica verso il regime dello zar e vicino, invece, alla popolazione che era costretta a vivere in condizioni di estrema povertà. Nel frattempo, in Russia, nell’ultimo decennio del secolo XIX, si era avuto un importante sviluppo industriale e il sorgere di centri industriali di grande rilievo, specializzati nella produzione del carbone, del ferro, del petrolio. Come conseguenza della nascente industrializzazione, si ebbe anche in Russia la formazione di un consistente proletariato (classe operaia). Da ciò derivò anche l’aumento dello sfruttamento degli operai all’interno delle fabbriche da parte dei possessori delle fabbriche (i capitalisti). Questo fenomeno indusse molti socialisti russi, come Georgij Plechanov(1856-1918) e Vladimir Il’ic’Ul’Janov(1870-1924), detto Lenin, a far proprie le teorie di Carlo Marx, sociologo e filosofo il quale affermava che le ingiustizie della classe operaia sarebbero finite solo se il proletariato avesse fatto la rivoluzione contro il sistema capitalistico e fosse andato al potere. Lenin sosteneva che la rivoluzione dovesse essere fatta attraverso una stretta collaborazione tra operai e contadini, con assoluta esclusione della borghesia e sotto la guida di “rivoluzionari di professione”, disciplinati e pronti a tutto per condurre il proletariato a sicura vittoria. Anche le condizioni dei contadini, infatti, erano disastrose. Fino al XIX secolo la Russia era stata caratterizzata da una forte arretratezza economica, come provava la massiccia presenza dei servi del gleba, che costituivano l’85% della popolazione, mentre la classe dei nobili proprietari terrieri, pur rappresentando meno dell’1%, deteneva il potere economico. Un predecessore dello zar Nicola II, lo zar Alessandro II(1855-1881), aveva tentato di modernizzare il Paese con delle riforme, fra cui le più importanti furono l’abolizione della servitù della gleba(1861), e l’istituzione di assemblee elettive provinciali, gli zemstvo(1864). Queste assemblee erano costituite da rappresentanti della nobiltà, della borghesia e del mondo contadino. Tale tentativo di modernizzare il paese fallì, e lo stesso zar Alessandro II, ritenuto il responsabile, fu ucciso nel 1881. Perché non cambiarono le condizioni dei contadini, dopo che fu abolita la servitù della gleba? Perché i contadini, una volta resi liberi, avevano ricevuto una casa e un pezzo di terra, a patto di pagarne il riscatto. I contadini trovarono un’estrema difficoltà nel pagare il riscatto e dovettero pesantemente indebitarsi. Lenin, poiché era un rappresentante dell’ intelligencija russa, fu costretto a espatriare per non essere perseguitato dal regime dello zar e a rifugiarsi in Germania, Svizzera, Inghilterra. Nel 1898 nacque il Partito Operaio Socialdemocratico Russo. Nel 1903, a Londra, si tenne un congresso del partito.All’interno di questo, vi erano due correnti: i bolscevichi e i menscevichi. I bolscevichi, che erano in maggioranza, volevano conquistare il potere con la rivoluzione, volevano eliminare il sistema capitalistico e volevano attuare la dittatura del proletariato. I bolscevichi erano legati a Lenin e alle masse operaie e contadine. I menscevichi, che erano in minoranza, erano più riformisti e meno rivoluzionari. Questi, come i bolscevichi, volevano abbattere lo zarismo, ma anche collaborare, per attuare le riforme, con la borghesia, e formare una Repubblica Democratica. LA RIVOLUZIONE DEL 1905. Il popolo, ormai sempre più stremato dalla fame e dalla povertà, deciso a chiedere riforme, si dimostrava disposto a tutto e pronto a fare la rivoluzione. A Pietroburgo, il 22 gennaio 1905 (la domenica di sangue), la folla si spinse fino al palazzo dello zar, dove fu attaccata a fucilate dalla guardia imperiale, la quale col suo intervento provocò mille morti. A ottobre vi fu anche uno sciopero generale, che paralizzò il paese, e poi tumulti e sommosse. Queste sommosse erano guidate dai “soviet”, consigli, formati da contadini, operai, intellettuali. Lo zar, messo alle strette, concesse alcune riforme, e diede vita alla DUMA, un’assemblea elettiva, senza però poteri decisionali ma solo consultivi, e una COSTITUZIONE, che prevedeva una certa libertà di parola, associazione e stampa. Tutto questo non migliorò le condizioni dei contadini. LA RIVOLUZIONE DI OTTOBRE Nel 1914 la Russia era entrata in guerra a fianco di Francia e Serbia. La Russia era rivale dell’Austria, in quanto entrambe miravano ad avere il controllo sulla penisola balcanica. L’8 marzo 1917 (corrispondente in Russia al 23 febbraio 1917), scoppiò a Pietrogrado una sommossa popolare contro la dilagante carestia e fame. Accanto al popolo si schierò anche l’esercito. Il 12 marzo 1917 si formò un governo provvisorio guidato da Georgij L’Vov (1865-1925), che rappresentava gli interessi dei proprietari terrieri e degli industriali(la borghesia), e dal socialdemocratico Aleksandr Kerenskij (1881-1970), uomo di sinistra. Il 15 marzo 1917 lo zar Nicola II fu costretto ad abdicare e con la famiglia fu posto sotto stretta sorveglianza. Il governo provvisorio non era guidato solo ed esclusivamente da L’Vov e da Kerenskij, ma anche dai Soviet, formati non solo da contadini e operai eletti nelle fabbriche, ma anche da soldati. La situazione subì una svolta decisiva quando il capo bolscevico Lenin, che sarà poi l’ispiratore della rivoluzione, nell’aprile del 1917 rientrò a Pietrogrado dall’esilio in Svizzera. Lì pubblicò le cosìdette TESI DI APRILE, nelle quali si affermava che la rivoluzione di febbraio era stata una rivoluzione borghese, che non rappresentava gli interessi degli operai , e che occorreva attuare una nuova rivoluzione, questa volta proletaria e comunista, con la quale eliminare L’Vov, il quale faceva gli interessi dei proprietari terrieri e degli industriali. Conquistato il potere, il comando sarebbe stato poi dei soviet, i soli che facevano gli interessi proletari e popolari. Gli slogan di Lenin erano infatti: “tutto il potere ai soviet”, “la terra ai contadini e le fabbriche agli operai”. Con le Tesi d’aprile, Lenin inoltre affermava che la Russia doveva ritirarsi dalla guerra. Frattanto dal maggio 1917 la presidenza del governo provvisorio venne assunta totalmente da Kerenskij, il quale però non era in grado di riportare la Russia alla normalità, visto che continuavano i violenti scioperi e i disordini. Lenin ritenne che la situazione fosse ormai matura per rovesciare il governo Kerenskij e conquistare il potere: nella notte tra il 6 e il 7 novembre (secondo il calendario russo il 24-25 ottobre), fu la “guardia rossa”, un corpo armato di operai e bolscevichi, che occupò il Palazzo d’Inverno, la sede del Governo. Tale avvenimento prese il nome di RIVOLUZIONE D’OTTOBRE o RIVOLUZIONE BOLSCEVICA. La sommossa aveva lo scopo di cacciare tutti gli elementi borghesi dall’apparato del potere politico, di formare un governo rivoluzionario di operai e soldati, di porre fine alla guerra mediante una pace democratica, di sopprimere i diritti dei proprietari terrieri. Con la Rivoluzione Bolscevica il governo retto da Kerenskij cadde, e ne nacque un altro, sotto la guida di Lenin. Con Lenin alla guida dello Stato sovietico, furono cacciati dal governo e dalle amministrazioni politiche tutti gli elementi borghesi. Il nuovo governo era un governo rivoluzionario di operai e soldati. L’unico partito politico nel Paese era il partito bolscevico, e gli altri partiti di opposizione furono eliminati. Fu creato il “Consiglio dei commissari del popolo”, del quale Lenin era il presidente. Lenin nella sua azione di governo fu affiancato da 2 collaboratori: Lev Trotskij (1879-1940), commissario degli esteri e della guerra, e Josif Stalin(1879-1953), commissario delle nazionalità che curava i rapporti fra le diverse parti dell’ex impero zarista.Un’enorme mole di lavoro attendeva a questo punto Lenin e i suoi collaboratori, al fine di procedere ad una efficace riorganizzazione politica, economica e amministrativa del nuovo Stato sovietico, cioè basato sui soviet, e alla sua trasformazione in una moderna potenza industriale. Poiché la Russia era uscita dalla guerra, il nuovo Governo intavolò con l’Austria-Ungheria e con la Germania intense trattative, che si conclusero nel dicembre 1917 con l’armistizio di Brest-Litovsk, poi trasformato in pace nel marzo 1918. la Russia perse la Polonia, la Lituania, una parte della Russia, l’Ucraina, la Finlandia. (NB.La capitale nel corso degli anni ha avuto diversi nomi: fino al 1914 era San Pietroburgo, dal 1914 al 1918 Pietrogrado, poi Mosca) IL GOVERNO LENIN (1917-1924) Dopo la pace di Brest-Litovsk, in Russia scoppiò una sanguinosa guerra civile fra i “rossi”, sostenitori dei soviet, e i “bianchi”, desiderosi di un ritorno del regime zarista. Le potenze capitalistiche dell’Intesa (Inghilterra, Giappone, Francia, Stati Uniti), poiché temevano che le idee socialiste rivoluzionarie russe si diffondessero nei loro territori, intervennero negli ultimi mesi del 1917 appoggiando i bianchi. Il governo sovietico, per salvare la propria indipendenza creò l’ARMATA ROSSA, guidata da Trotskij, che sconfisse i bianchi. La guerra civile terminò nel 1921. Il 23 luglio 1918 fu proclamata la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa con una nuova capitale, Mosca. Quasi contemporaneamente venne poi istituita la spietata polizia politica sovietica, la CEKA, che reprimeva con la violenza i ribelli, le controrivoluzioni e i sabotaggi. Nel frattempo Lenin, subito dopo la presa del potere, diede origine a un profondo processo di rinnovamento della società russa basato sulle “Tesi d’aprile”. Tolse in seguito tutti i diritti ai proprietari terrieri, abolì la grande proprietà privata, confiscò i beni ecclesiastici e assegnò terreni ai contadini. Stabilì poi un rigido controllo operaio nelle fabbriche. Tutto questo non bastò a risolvere la povertà dei contadini e di tutta la popolazione, per questo Lenin adottò il COMUNISMO DI GUERRA, cioè un programma di controllo forzato su tutto ciò che si produceva nel paese, specialmente quella contadina, per sopperire alle esigenze alimentari della popolazione sotto terrore poliziesco; di conseguenza le derrate eccedenti il semplice bisogno familiare, vennero requisite dallo Stato in modo massiccio. In seguito Lenin avvertì la necessità di attenuare il rigido controllo statale applicato in campo economico e desiderò incitare i piccoli possidenti a una maggiore produttività, per rendere più libera l’economia e i commerci. Attenuò il rigido controllo statale sull’economia pertanto e diede il via a una parziale restaurazione del libero commercio, dell’attività industriale minore e della proprietà privata in genere. Questa iniziativa prese il nome di NEP (NUOVA POLITICA ECONOMICA), e fu considerata come una tappa di transizione fra capitalismo e socialismo, e finì ben presto per avere effetti positivi su tutta la vita economica del paese. Nessuna apertura si ebbe invece in campo religioso,dove fu attuata un’opera repressiva e la scuola fu caratterizzata dal più intransigente ateismo. A suo avviso l’esperienza russa altro non era che “la prima tappa della rivoluzione comunista mondiale, immancabile e vicina”. Proprio a tale scopo Lenin creò la TERZA INTERNAZIONALE (KOMINTERN), finalizzata a diffondere su scala mondiale la rivoluzione proletaria. I partiti comunisti degli altri paesi in base al Komintern dovevano creare un apparato fortemente centralizzato simile a quello del partito comunista russo, accettare una piena subordinazione alle direttive dell’Internazionale, lottare per abbattere anche con mezzi violenti e illegali il capitalismo occidentale. Nel 1922 il territorio russo fu suddiviso in repubbliche federate-ciascuna governata da un soviet locale-, tale federazione prese il nome di URSS, Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Lenin morì nel 1924 e gli succedette Stalin (1924-1953)