LE VICENDE ITALIANE DAL 1871 ALLA FINE

STORIA CLASSE V
PROF.SSA RAFFAELLA ARISTODEMO
MODULO 1
L’ULTIMO SCORCIO DEL XIX SECOLO E LA CRISI DEL PRIMO ‘900
U.D. 1 LE VICENDE ITALIANE DAL 1871 ALLA FINE DEL SECOLO
U.D. 2 L’ETA’ GIOLITTIANA
U.D. 3 LA I GUERRA MONDIALE
U.D 4 LA RIVOLUZIONE RUSSA
U.D. 1 LE VICENDE ITALIANE DAL 1871 ALLA FINE DEL SECOLO
LA DESTRA STORICA
Il 20 settembre 1870 era stata conquistata Roma dalle truppe italiane con a capo il
generale Cadorna; si era aperta a colpi di cannone una breccia nelle mura di cinta
presso Porta Pia(episodio della Breccia di Porta Pia). Roma fu proclamata capitale
d’Italia il 2 luglio 1871 e con la sua conquista il periodo risorgimentale si concluse
definitivamente. Il periodo risorgimentale era stato costituito dalle 3 guerre di
indipendenza condotte dall’Italia principalmente contro l’Austria per unificare la
penisola suddivisa in tanti piccoli staterelli e liberarla dal dominio austriaco.
Restavano tuttavia ancora due regioni da annettere nuovamente all’Italia: il Trentino
e la Venezia-giulia, conquistate in seguito solo con la I Guerra Mondiale.
Il Papa Pio x era contrario all’annessione del Lazio e di Roma all’Italia, in quanto
avrebbe voluto, così come si era sempre verificato in precedenza con gli altri
pontefici, continuare ad avere la sovranità politica su Roma e sui territori dell’Italia
Centrale, iniziata nell’Alto Medioevo. Il Parlamento, tuttavia, in segno di
riconciliazione, votò in suo favore una legge(La legge delle Guarentigie), che gli
assegnava i palazzi del Vaticano, del Laterano e la Villa di Castel Gandolfo. Tale
provvedimento gli assicurava inoltre la più completa libertà di azione spirituale e gli
assegnava una notevole somma annua di denaro, per il mantenimento e la cura dei
palazzi apostolici. Il Papa rifiutò tali condizioni, ma il governo italiano rispettò
ugualmente le garanzie. Nel 1874 il Vaticano formulò inoltre il NON –EXPEDIT,
con cui vietava ai cattolici di prendere parte alla vita politica.
A poco a poco in quegli anni morirono tutti i maggiori protagonisti del Risorgimento,
quasi a testimoniare la fine di un’epoca: Cavour (già morto nel 1861), Giuseppe
Mazzini (1872), il re Vittorio Emanuele II (1878), il Papa Pio IX, Giuseppe Garibaldi
(1882).
A Vittorio Emanuele II successe il figlio Umberto I: il suo fu un regno difficile. Dopo
la fase risorgimentale, l’Italia risultava colpita da gravi problematiche, soprattutto di
carattere economico, come la povertà, la mancanza di lavoro, l’analfabetismo, il
divario tra nord e sud. In seguito alla morte di Cavour, i suoi successori in
Parlamento si raggrupparono nella Destra Liberale, o Destra Storica ( da non
confondersi con l’attuale destra),ma non riuscirono a far decollare l’economia italiana
e si attirarono il malcontento degli elettori. Nel corso degli anni ‘70, la Destra dovette
cedere il Governo agli esponenti della sinistra democratica, favorevoli ad un
allargamento del suffragio elettorale e a riforme sociali a tutela delle fasce più deboli.
Nuovo capo del Governo fu Agostino Depretis, che ricoprì la carica a fasi alterne dal
1876 fino alla sua morte, sopraggiunta nel 1887. Egli propose una nuova pratica di
governo, IL TRASFORMISMO, che consisteva nell’accettare indifferentemente
l’apporto politico di uomini sia di destra che di sinistra, purchè capaci di risolvere i
problemi del Paese.
LA POLITICA COLONIALE ITALIANA E FRANCESCO CRISPI
Nel 1887, morto Depretis, divenne Presidente del Consiglio il siciliano Francesco
Crispi, che tenne il potere fino al 1896, eccetto per un breve intervallo di tempo
compreso tra il 1892 e il 1893, in cu fu eletto capo del Governo Giovanni Giolitti.
Egli intese fare dell’Italia una grande potenza, in grado di competere a livello
internazionale con gli altri Stati, ma trascurando così i gravi problemi economici e
sociali italiani. Crispi intraprese una politica coloniale di conquista dei territori
africani. Già nel 1882 lo Stato italiano si era impossessato del porto di Assab, sul Mar
Rosso, mentre 3 anni dopo occupò anche il porto di Massaua. Dopo la conquista dei
porti, l’Italia voleva penetrare nell’interno del territorio, che apparteneva all’Impero
di Etiopia chiamato anche Abissinia. Nel 1887 però 7.000 abissini massacrarono
l’esercito italiano a Dogali.
Quando Crispi divenne nuovo capo del Governo, strinse un accordo con il re
dell’Etiopia Menelik (il re era chiamato anche negus), detto TRATTATO DI
UCCIALLI, in base al quale l’Italia considerava l’Etiopia un proprio protettorato. Lo
stato italiano costituì dalla costa del mar Rosso fino all’interno, la vasta colonia
chiamata Eritrea (l’Eritrea era l’antico nome del mar Rosso).
Qualche anno dopo, però, Menelik si rimangiò l’accordo, e riprese la guerra per porre
fine al protettorato italiano sul proprio regno. Lo scontro decisivo avvenne nei pressi
di Adua e l’Italia fu sconfitta il 1 marzo del 1896. Francesco Crispi, ritenuto il
responsabile sia della sanguinosa sconfitta, sia del fallimento della politica coloniale,
fu costretto a dimettersi. L’Italia cedette all’Etiopia i territori conquistati,
conservando solo la colonia di Eritrea.
LA TRIPLICE ALLEANZA
Sotto il profilo dei rapporti internazionali, la Francia, che al tempo di Cavour era stata
la maggiore alleata del Piemonte, divenne antagonista dell’Italia. Nel 1881 i francesi
assunsero il protettorato della Tunisia; tale iniziativa andò contro le attese dell’Italia,
che da molto tempo aspirava ad estendere la sua influenza su quella terra così
prossima alla Sicilia, e meta di una notevole emigrazione di contadini italiani che
avrebbero potuto trovare una nuova occupazione. L’anno successivo, per reazione a
tali mosse della Francia e anche per non trovarsi isolata nei rapporti internazionali,
l’Italia decise di avvicinarsi alla Germania e all’Austria, superando l’antica rivalità. I
tre Stati stipularono LA TRIPLICE ALLEANZA-1882-, un patto difensivo che
prevedeva aiuto reciproco nel caso di attacco ad una delle tre alleate in guerra. Non
tutto il parlamento italiano era in linea con l’accordo, poiché l’Austria aveva ancora
per sè le zone irredente del Trentino e della Venezia- giulia.
U.D.2 L’ITALIA GIOLITTIANA
GIOVANNI GIOLITTI
Alla morte del re Umberto I, salì sul trono d’Italia il figlio Vittorio Emanuele III, il
quale affidò l’incarico di formare il nuovo Governo a Giuseppe Zanardelli, giurista di
sinistra. Il nuovo capo di Governo ebbe il merito di rendere liberi i condannati politici
con l’amnistia e concesse una moderata libertà di stampa. Zanardelli per problemi di
salute si ritirò nel 1903 e nuovo capo del Governo divenne Giovanni Giolitti, che fino
a quel momento era stato ministro degli Interni. Egli fu Presidente del Consiglio per
quasi un decennio, salvo brevi interruzioni. E’ per questo motivo che il decennio è
definito “Età giolittiana”. Egli era un liberale e concesse la libertà di sciopero, il
quale era mal tollerato e spesso represso con la forza dagli organi di polizia. Quando
si verificavano scioperi, Giolitti faceva in modo che si svolgessero evitando solo che
scoppiassero repressioni in quanto giudicava lo sciopero un mezzo legale di lotta e
credeva che i contrasti tra i lavoratori e i proprietari potessero risolversi non con la
forza ma con le trattative. Giolitti attuò inoltre una serie di riforme per migliorare le
condizioni dei lavoratori anziani, infortunati o invalidi; vennero emanate nuove
norme sul lavoro in favore delle donne e dei fanciulli, venne esteso l’obbligo
dell’istruzione elementare fino al dodicesimo anno di età, venne stabilito il diritto al
riposo settimanale. In questo quadro si inserirono anche alcuni importanti interventi
nel settore della sanità pubblica, come la distribuzione gratuita del chinino contro la
malaria; altre numerose riforme sociali e igienico-sanitarie di Giolitti comportarono
un decisivo miglioramento delle condizioni di vita della popolazione e un notevole
incremento demografico.
LA POLITICA FINANZIARIA
Tutto il sistema economico del Paese in quegli anni fu rivitalizzato.
A tal proposito, soprattutto in agricoltura si realizzarono importanti lavori di bonifica
e di irrigazione con l’uso di concimi chimici; crebbero anche le industrie meccaniche,
chimiche, tessili, alimentari, idroelettriche. Nel 1899 Giovanni Agnelli fondò a
Torino la Fiat, simbolo della potenza dell’industria automobilistica. Durante l’età
giolittiana fu inoltre realizzato un intenso programma di lavori pubblici, che ebbe le
sue più significative manifestazioni nell’estensione della rete stradale e ferroviaria.
Una vera e propria rivoluzione però, fu quella sulle assicurazioni sulla vita, le quali
prima erano gestite da società private, ma con Giolitti passarono in parte alla gestione
dello Stato, che istituì l’ Istituto Nazionale per le Assicurazioni nel 1912. L’azione
svolta positivamente nel suo insieme dal Governo non deve comunque far
dimenticare la lunga serie di problemi rimasti ancora insoluti. L’Italia infatti
continuava a essere per certi aspetti un paese arretrato, dove ancora dilagava
l’analfabetismo, con punte estreme in Calabria, Sicilia e Basilicata, dove la
tubercolosi mieteva tantissime vittime. La disoccupazione e la miseria erano presenti
quasi ovunque, con punte paurose in certe zone del sud. Uno Stato, insomma, per
molti aspetti sottosviluppato e classificato tra i più arretrati d’Europa.
LA POLIRTICA INTERNA
Uno dei provvedimenti più qualificanti del Governo fu l’estensione del diritto di voto
(IL SUFFRAGIO UNIVERSALE), che consentiva una maggiore partecipazione
politica alle classi popolari. La nuova legge, approvata in data 30 giugno 1912,
ammetteva al voto tutti i cittadini maschi che avessero compiuto i 21 anni, che
sapessero leggere e scrivere e avessero compiuto il servizio militare. Potevano votare,
però, anche i cittadini maschi che avessero già compiuto i 30 anni anche se
analfabeti e senza servizio militare svolto. Dunque aumentarono gli elettori e
l’analfabetismo non venne più considerato motivo di incapacità intellettiva; esso
cessava di essere considerato una colpa, a causa della quale un analfabeta era ritenuto
idoneo a compiere il servizio militare o a fare la guerra ma non legittimato a far
sentire con il voto la propria volontà sul modo di gestire lo Stato. L’azione politica di
Giolitti non fu tuttavia esente da critiche in quanto, pur di continuare a governare,
non si schierò mai in maniera netta a destra o a sinistra, dalla parte degli operai o
dalla parte degli imprenditori. Cercava di accontentare un pò gli uni e un pò gli altri
e, durante le elezioni, non si fece scrupoli a corrompere prefetti e polizia per
abbattere i suoi avversari politici, mirando a creare un Governo di soli giolittiani e di
uomini non in contrasto con la sua azione politica. Al sud, Giolitti si arruffianava, per
ricevere voti,i corrotti, potenti e grandi proprietari terrieri e, contrariamente a quanto
avvenuto per il nord, reprimeva gli scioperi e le proteste dei contadini e degli operai
con la forza. A tal proposito, lo storico socialista e meridionalista Gaetano Salvemini
lo definì “il ministro della malavita”. In Parlamento, il capo del Governo volle creare
alleanze anche con il partito socialista, particolarmente attento alle problematiche
lavorative degli operai, che fino a quel momento non aveva mai collaborato con il
Governo. In seno al partito socialista, vi erano due correnti. Una più rivoluzionaria,
che voleva ottenere riforme con metodi forti e con la rivoluzione, e l’altra, moderata,
che voleva attuare gradualmente le riforme sociali a tutela delle classi più deboli,
soprattutto lavoratrici. Giolitti era però disposto a collaborare solo con la parte
moderata del partito socialista. Pertanto nel 1903, Giolitti offrì a Filippo Turati, capo
della corrente riformista, l’invito a entrare nel suo primo Governo; il partito socialista
tuttavia non realizzò mai una concreta collaborazione con il Governo. Il Primo
Ministro ritenne necessario anche un riavvicinamento con la Chiesa cattolica. Pio X
cominciò ad ammettere la possibilità di una partecipazione dei cattolici alle elezioni
come elettori e alla vita politica ed attenuò l’intransigenza vaticana nei riguardi del
Regno d’Italia, ammorbidendo il NON EXPEDIT. Pertanto nel 1913,
contemporaneamente all’estensione del diritto di voto, Giolitti stipulò con il conte
Vincenzo Ottorino Gentiloni un accordo segreto, IL PATTO GENTILONI, in base al
quale i cattolici si impegnavano a sostenere per le prossime elezioni, l’elezione dei
deputati liberali, ottenendo in cambio l’abbandono della politica anticlericale. Tale
avvenimento segnò di fatto il rientro dei cattolici nella vita politica italiana dopo la
frattura del 1870. Due sacerdoti si distinsero per la loro attività socio-politica, attenti
soprattutto ai problemi delle classi sociali contadine e popolari. Romolo Murri fondò
nel 1900 un movimento (Movimento Democratico Cattolico) che assunse poi il nome
di Democrazia Cristiana. Egli era contro i cattolici troppo rigidi ed era desideroso di
affrontare e risolvere i problemi che subivano le classi lavoratrici più deboli. Il
sacerdote Luigi Sturzo creò un partito di carattere democratico e popolare, autonomo
dall’autorità ecclesiastica e capace di aggregare i ceti più deboli sulla base dei valori
cristiani.
LA POLITICA ESTERA
Prima dell’ascesa di Giolitti al potere, l’Italia aveva stipulato un patto con la
Germania e l’Austria, la Triplice Alleanza. Il tentativo italiano di impadronirsi di
alcuni territori africani, aveva provocato il dissenso della Francia e dell’Inghilterra.
Dopo la sconfitta di Adua, l’Italia capì che per tentare altre imprese in Africa,
avrebbe dovuto avere l’appoggio e l’aiuto di Francia e Inghilterra. Dunque Giolitti
prese accordi con la Francia, questa sarebbe stata aiutata a espandersi in Marocco e in
cambio i francesi avrebbero permesso all’Italia di penetrare in due territori libici, la
Tripolitania e la Cirenaica, poste sotto il dominio turco. Il 29 settembre 1911 l’Italia
dichiarò guerra alla Turchia e il conflitto si concluse con la pace di Losanna il 18
ottobre 1912, con cui la Tripolitania e la Pirenaica furono cedute al nostro Paese.
L’occupazione della Libia non fu vantaggiosa per l’Italia, poichè era desertica e priva
di materie prime. Nel 1912, a Reggio Emilia, ci fu un Congresso che portò alla
definitiva scissione del partito socialista. L’ala riformista di Filippo Turati si distaccò
da quella guidata da Ivanoe Bonomi e Leonida Bissolati che crearono il Partito
Socialista Riformista Italiano. Nel 1914 Giolitti cedette il posto di Capo del Governo
ad Antonio Salandra, liberale moderato, e tra il 7 e il 13 giugno si svolse un violento
sciopero nazionale, (La Settimana Rossa), voluto dai socialisti più rivoluzionari,
durante il quale ci furono numerosi morti e feriti.
U.D 3 LA PRIMA GUERRA MONDIALE 1914-1918
CAUSE E PRESUPPOSTI
All’inizio del secolo XX i rapporti fra i vari Stati europei, dopo alcuni anni di relativa
tranquillità, erano diventati più difficili. La Germania, della quale faceva parte anche
la Prussia, unificata dal cancelliere austriaco Ottone di Bismarck, primo ministro, era
diventata la più potente Nazione del continente, grazie anche al grandioso sviluppo
della sua economia e delle sue industrie. Bismark era stato il maggior responsabile
della politica di pace della Germania, facendo in modo che essa instaurasse rapporti e
alleanze con le altre potenze. Dopo il 1890 le cose cambiarono e il nuovo Imperatore
di Germania Guglielmo II, attuò una politica più aggressiva per accrescere il potere
tedesco in Europa e nel mondo. Il Kaiser (Guglielmo II), era uno strenuo assertore
dell’Imperialismo tedesco, che mirava ad attuare la fusione di tutti i popoli germanici
dell’Europa-PANGERMANESIMO-.e ad assicurare il loro predominio nel mondo. Il
vecchio cancelliere Bismark fu licenziato e allontanato dal governo. Non era la sola
Germania a voler attuare una politica espansionistica e aggressiva, in quanto anche
l’Impero asburgico(Austria e Ungheria), mirava a imporre il suo dominio, soprattutto
sulla penisola balcanica. La Germania e l’Austria-Ungheria erano solidali e
costituivano gli IMPERI CENTRALI. Dalla parte opposta vi erano la Francia, la
Russia e l’Inghilterra, legate e unite tra di loro da vari accordi e perciò dette
POTENZE DELL’INTESA. Due dunque erano i blocchi formatisi fra le Potenze in
seguito allo stringersi delle alleanze: LA TRIPLICE Intesa (Francia, Russia e
Inghilterra), e la TRIPLICE ALLEANZA (Germania, Austria e Italia). Principale
nemica della Germania era la Francia, battuta a Sedan nel 1870. In seguito a tale
sconfitta, i tedeschi avevano tolto ai francesi i due territori dell’Alsazia e della
Lorena, che la Francia naturalmente intendeva riprendere. Altra acerrima concorrente
della Germania era l’Inghilterra, anch’essa nazione economicamente molto forte. Le
industrie tedesche, tuttavia, moderne e efficienti per lo sviluppo della tecnologia,
rispetto a quelle inglesi,riuscivano a produrre a costi inferiori e a vendere prodotti a
prezzi più bassi. Rivale dell’Austria per il possesso della penisola balcanica era la
Russia. La penisola balcanica era la zona nevralgica dell’Europa, dove maggiori
erano i disordini, le instabilità. Dal disfacimento dell’Impero turco, che aveva
dominato i balcani, nacquero alcuni Stati, quali la Serbia, la Romania, la Bulgaria,
Montenegro, la Grecia, e in seguito l’Albania e la Bosnia
L’ATTENTATO DI SERAJEVO E LO SCOPPIO DELLA PRIMA GUERRA
MONDIALE
Il 28 giugno 1914 l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austro-ungarico, e
la moglie Sofia, furono assassinati a colpi di pistola dallo studente irredentista serbo
Gravilo Princil a Sarajevo, capitale della Bosnia, regione da poco annessa all’impero
asburgico (Impero austro-ungarico), dove erano in visita ufficiale. Il governo austroungarico ritenne responsabile la Serbia del grave delitto, le inviò pertanto un
ultimatum con richieste di riparare al danno tanto pesanti, che la Serbia non potè
accettare. Il 28 luglio 1914 allora l’Austria-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia. Il
conflitto divenne mondiale (Guerra totale), in quanto si mise in moto un complesso
meccanismo di alleanze e vide la partecipazione di quasi tutti gli Stati del mondo. La
Germania si alleò con l’Austria, la quale a sua volta dichiarò guerra
contemporaneamente alla Russia il 1 agosto 1914 e alla Francia il 3 agosto 1914
IL PRIMO ANNO DI GUERRA- 1914
La guerra si svolse principalmente su tre fronti: occidentale, o franco-belga, orientale
o russo, meridionale o serbo. La Germania mirava a battere separatamente prima la
Francia e poi la Russia, e per questo rovesciò tutte le sue forze sul fronte occidentale,
nella speranza di impadronirsi di Parigi. Sul fronte occidentale, i tedeschi volevano
prendere alle spalle l’esercito francese passando per il Belgio che, come la Svizzera,
aveva dichiarato la propria neutralità. La decisione della Germania scatenò
l’intervento dell’Inghilterra, che si schierò con la Francia, la Serbia e la Russia. La
Germania era convinta che la guerra sarebbe stata una guerra-lampo, ma, al contrario,
si trasformò in una logorante guerra di trincea e di posizione. Il 4 agosto 1914
l’esercito tedesco dilagò nella Francia settentrionale, ma i francesi, con una
importante battaglia lungo il fiume Marna (6-12 settembre), respinsero indietro i
tedeschi. A questo punto la Germania pensò di attaccare le coste franco-belghe per
interrompere le comunicazioni tra la Francia e l’Inghilterra (la cosìdetta corsa al
mare). L’ Inghilterra istituì a questo punto un blocco economico attorno agli Imperi
centrali (blocco della circolazione delle merci di Austria e Germania), i tedeschi
tentarono di spezzare il blocco ingaggiando una guerra sottomarina,che fu diretta
anche contro le navi mercantili dei paesi neutrali,. Anche il transatlantico inglese
Lusitana fu colpito e affondato. Questo trasportava tra i suoi passeggeri anche
numerosi americani, e ciò provocò l’indignazione degli Stati Uniti d’America che
minacciarono di entrare in guerra se la Germania non avesse interrotto la guerra
sottomarina. Sul fronte centro-orientale i russi nell’agosto del1914, avevano invaso la
Prussia, ma furono bloccati dai tedeschi in due grandi battaglie: a Tannenberg (26-29
agosto 1914) e ai Laghi Masuri (8-10 settembre). Nel frattempo anche la Turchia
entrò in guerra a fianco degli Imperi Centrali, mentre il Giappone alleato
dell’Inghilterra, si impadronì dei possessi coloniali tedeschi in Cina e nel Pacifico.
IL SECONDO ANNO DI GUERRA (1915). L’ITALIA E’ NEUTRALE:
INTERVENTISTI E NEUTRALISTI Nei primi tempi del conflitto l’Italia, anche se
aveva stipulato con l’Austria e la Germania il patto della TRIPLICE ALLEANZA,
rimase neutrale e non intervenne a fianco delle due (Ddichiarazione di neutralità
proclamata il 2 agosto 1914). La TRIPLICE ALLEANZA era infatti un patto
difensivo, in quanto uno Stato doveva aiutare l’altro, in caso di guerra, solo se veniva
attaccato. Nel caso dell’Austria, essa non era stata attaccata dalla Serbia, ma era
avvenuto il contrario. L’Italia dunque, non si sentiva obbligata ad entrare nel conflitto
a difenderla contro la Serbia. Tra l’altro, l’Italia era ancora risentita con l’Austria
perché essa si era impossessata di due regioni italiane, il Trentino e la VeneziaGiulia, che il nostro Stato voleva riprendere (TERRE IRREDENTE). Un’entrata in
guerra dell’Italia, tra l’altro, necessitava di un esercito e di armi potenti, strumenti che
essa non aveva. Intanto nel Paese si svolgeva un acceso dibattito fra interventisti e
neutralisti: questi ultimi (cattolici, una parte dei socialisti e liberali giolittiani),
ritenevano che l’Italia dovesse rimanere neutrale fino alla conclusione della guerra,
per non correre il rischio di compromettere i progressi economici, politici e sociali
raggiunti negli ultimi tempi a prezzo di grandi sacrifici. I cattolici si opponevano alla
guerra per ragioni di principio e perché temevano il crollo di una potenza cattolica
quale era l’ Austria e lo stesso Papa Benedetto XV definì la guerra un’ orrenda
carneficina. Il più autorevole esponente di questo punto di vista era Giovanni Giolitti,
convinto che l’ Italia avrebbe potuto realizzare in gran parte i suoi obiettivi attraverso
la via dei negoziati . Contro l’ opinione dei neutralisti vi era un complesso di forze
assai eterogenee: conservatori,irredentisti e nazionalisti, socialisti rivoluzionari, i
sindacalisti rivoluzionari, favorevoli tutte, ciascuna per motivi propri, all’ ingresso in
guerra dell’ Italia a fianco delle potenze dell’ Intesa e contro l’ Austria. I nazionalisti
volevano completare l’opera di unificazione italiana strappando all’Austria le terre
irredente. Anche Benito Mussolini, socialista rivoluzionario e direttore del giornale
“l’Avanti !”, incitava violentemente all’entrata in guerra dell’Italia. Per questo fu
espulso dal partito dai socialisti. Alla fine il governo italiano si avvicinò sempre di
più alle potenze dell’ Intesa, e il 26 aprile 1915 stipulò segretamente, all’ insaputa del
Parlamento, il Patto di Londra, in base al quale si impegnava a scendere entro un
mese contro l’Austria. In cambio, una volta ottenuta la vittoria, l’ Italia avrebbe
riavuto il Trentino, l’ Alto Adige, Trieste, l’ Istria e la Dalmazia esclusa la città di
Fiume e anche il Dodecaneso. Con il nuovo Presidente Salandra, il 24 maggio 1915,
anche l’ Italia dichiarò guerra all’ Austria.Quando la nostra Nazione entrò in guerra
contro l’Austria, l’impero austro-ungarico dovette dirottare molte truppe sul nuovo
fronte alpino, indebolendo così la posizione degli Imperi Centrali negli altri teatri di
guerra. Benché inferiore come preparazione e armamento a quello austro-ungarico, l’
esercito italiano, al comando del generale Cadorna, si dimostrò fin dall’ inizio all’
altezza del compito. L’esercito italiano si stabilì al confine del Trentino, al di là del
fiume Isonzo, nei pressi di Trieste. La guerra divenne lunga e logorante, di posizione.
Tra il giugno e il dicembre 1915, furono combattute le 4 battaglie dell’Isonzo,
risoltesi con gravissime perdite per l’Italia. Il 1915 fu un anno di rovesci militari per
le Potenze dell ‘Intesa. I russi furono nuovamente sconfitti e costretti alla disastrosa
ritirata, la Serbia, attaccata anche dalla Bulgaria, fu invasa e annientata
IL TRZO ANNO DI GUERRA-1916
Nel 1916 continuò, inizialmente, la guerra di trincea e di posizione sugli altri fronti.
Sul fronte italiano, gli austriaci lanciarono la SPEDIZIONE PUNITIVA contro la
traditrice Italia, colpevole di essersi schierata a fianco dell’Intesa e di aver tradito e
abbandonato la TRIPLICE ALLEANZA. Gli italiani tuttavia bloccarono gli austriaci
che avanzavano in Italia cercando di entrare nel Veneto, e conquistarono la città
friulana di Gorizia. Nel 1916 il capo del governo Salandra si dimise e nuovo
presidente divenne Paolo Boselli.Nel giugno 1916 l’Italia dichiarò guerra anche alla
Germania. Questa a sua volta, sferrò il 12 febbraio 1916 a Verdun, in Francia, un
duro attacco ai francesi, causando una carneficina.
IL QUARTO ANNO DI GUERRA -1917
Nel 1917 la Russia, alleata della Francia e della Serbia, fu costretta a ritirarsi dal
conflitto perché all’interno del Paese era scoppiata una rivoluzione (LA
RIVOLUZIONE RUSSA). Essa firmò nel 1917 l’armistizio di Brest-Litovsk – questo
poi si trasformò in pace nel marzo 1918-, e si dichiarò con questo ufficialmente
sconfitta dalla Germania e dall’Austria, che la costrinsero per la sua resa a pagare
grosse somme di denaro e a cedere diversi territori. Sul fronte italiano, nella notte tra
il 23 e il 24 ottobre gli austriaci e i tedeschi attaccarono l’Italia e la sconfissero a
CAPORETTO, costringendo l’esercito italiano a retrocedere sino alla linea del Piave
e ad abbandonare gran parte del Veneto. Al capo del governo Boselli, succedette
Vittorio Emanuele Orlando, ed al generale Cadorna il generale Armando Diaz. Dopo
la disastrosa sconfitta di Caporetto, l’Italia subì una gravissima perdita di uomini e di
mezzi, ma tuttavia non si arrese e si risollevò. L’esercito fu incrementato anche grazie
all’arruolamento di soldati giovanissimi, che iniziarono una feroce resistenza contro
gli austriaci sul fiume Piave. Nel 1917 entrarono in guerra anche gli Stati Uniti, il cui
presidente era Woodrow Wilson. L’America dichiarò guerra alla Germania e nel giro
di pochi mesi fece affluire in Europa enormi quantità di viveri, mezzi e uomini. Tale
intervento determinò un forte indebitamento dei vari Stati europei nei confronti degli
Stati Uniti, per le rilevanti quantità di viveri e di materie prime importate.
LA FINE DELLA GUERRA (1918) E I TRATTATI DI PACE (1919). Nel 1918
Germania e Austria prima che arrivassero gli aiuti americani, tentarono un nuovo
attacco alla Francia (SECONDA BATTAGLIA DELLA MARNA), ma non vi
riuscirono per i rifornimenti di aeroplani, armi e uomini giunti alla Francia dagli Stati
Uniti. Sul nostro fronte, l’Austria tentò di rompere le difese italiane lungo il Piave il
15 giugno 1918, senza però riuscirvi(BATTAGLIA DEL PIAVE) L’Italia
nell’ottobre 1918 sfondò definitivamente il fronte austriaco a VITTORIO VENETO e
entrò a TRENTO. Il 3 novembre 1918, l’Austria si arese e firmò l’armistizio a
Padova, a Villa Giusti. L’11 novembre 1918 si arrese anche la Germania. Si arresero
anche la Turchia e la Bulgaria.Il 18 gennaio 1919 i rappresentanti delle potenze
vincitrici si riunirono a Parigi per una conferenza di pace e per ristabilire l’assetto
territoriale dell’Europa. Vi prese parte il presidente degli Stati Uniti, che formulò i
quattordici punti per la soluzione dei più importanti problemi per risolvere
pacificamente le contese tra i popoli, quali la libertà di navigazione sui mari, la
riduzione degli armamenti ecc… Dalla conferenza di pace scaturirono 5 trattati:
TRATTATO DI VERSAILLES con la Germania,TRATTATO DI SAINTGERMAIN con l’Austria,TRATTATO DI NEUILLY, TRATTATO DI SEVRES,
TRATTATO DI LOSANNA
L’Impero austro-ungarico fu sciolto e l’Austria divenne una Repubblica. Con i
territori sottratti all’Austria, alla Germania e con quelli perduti dalla Russia si
formarono i nuovi stati di Ungheria, Cecoslovacchia, Polonia, Estonia, Lettonia,
Lituania, Danzica . La Germania divenne una Repubblica federale e dovete restituire
l’Alsazia e la Lorena alla Francia; fu privata di tutte le sue colonie; fu costretta al
disarmo e condannata a una enorme indennità di guerra. L’Austria cedette all’Italia il
Trentino, l’Alto Adige, Trieste e l’Istria. L’Impero turco fu smembrato e la Turchia
fu ridotta a Repubblica. La Serbia insieme alla Bosnia, alla Erzegovina, alla Croazia,
Montenegro e Slavonia, diventa la Jugoslavia. Le numerose colonie tedesche
dell’Africa e dell’Oceania vengono spartite fra Inghilterra, Francia, Giappone, Stati
uniti. All’Italia non tocca nessun compenso, nonostante gli immani sacrifici di guerra
U.D. 4 LA RIVOLUZIONE RUSSA O BOLSCEVICA
LE CAUSE E I PRESUPPOSTI
LA RUSSIA ZARISTA E L’OPPOSIZIONE POLITICA
Nel quarantennio che precedette il primo conflitto mondiale, la Russia era dominata
dall’Impero zarista.Lo zar Nicola II(1894-1917) esercitava un potere totalitario,
attuando un rigido controllo poliziesco e riducendo la libertà del popolo attraverso un
pesante programma di “russificazione” nei confronti delle popolazioni dell’Impero. Il
termine “russificazione” indicava anche l’imposizione dello studio della lingua russa
nelle scuole e del suo uso nelle amministrazioni pubbliche. A dare palesi segni di
dissenso e di scontentezza per il controllo e la reggenza repressiva dello zar, era
soprattutto la classe colta, l’INTELLIGENCIJA, da tempo ormai in posizione critica
verso il regime dello zar e vicino, invece, alla popolazione che era costretta a vivere
in condizioni di estrema povertà. Nel frattempo, in Russia, nell’ultimo decennio del
secolo XIX, si era avuto un importante sviluppo industriale e il sorgere di centri
industriali di grande rilievo, specializzati nella produzione del carbone, del ferro, del
petrolio. Come conseguenza della nascente industrializzazione, si ebbe anche in
Russia la formazione di un consistente proletariato (classe operaia). Da ciò derivò
anche l’aumento dello sfruttamento degli operai all’interno delle fabbriche da parte
dei possessori delle fabbriche (i capitalisti). Questo fenomeno indusse molti socialisti
russi, come Georgij Plechanov(1856-1918) e Vladimir Il’ic’Ul’Janov(1870-1924),
detto Lenin, a far proprie le teorie di Carlo Marx, sociologo e filosofo il quale
affermava che le ingiustizie della classe operaia sarebbero finite solo se il proletariato
avesse fatto la rivoluzione contro il sistema capitalistico e fosse andato al potere.
Lenin sosteneva che la rivoluzione dovesse essere fatta attraverso una stretta
collaborazione tra operai e contadini, con assoluta esclusione della borghesia e sotto
la guida di “rivoluzionari di professione”, disciplinati e pronti a tutto per condurre il
proletariato a sicura vittoria. Anche le condizioni dei contadini, infatti, erano
disastrose. Fino al XIX secolo la Russia era stata caratterizzata da una forte
arretratezza economica, come provava la massiccia presenza dei servi del gleba, che
costituivano l’85% della popolazione, mentre la classe dei nobili proprietari terrieri,
pur rappresentando meno dell’1%, deteneva il potere economico. Un predecessore
dello zar Nicola II, lo zar Alessandro II(1855-1881), aveva tentato di modernizzare il
Paese con delle riforme, fra cui le più importanti furono l’abolizione della servitù
della gleba(1861), e l’istituzione di assemblee elettive provinciali, gli zemstvo(1864).
Queste assemblee erano costituite da rappresentanti della nobiltà, della borghesia e
del mondo contadino. Tale tentativo di modernizzare il paese fallì, e lo stesso zar
Alessandro II, ritenuto il responsabile, fu ucciso nel 1881. Perché non cambiarono le
condizioni dei contadini, dopo che fu abolita la servitù della gleba? Perché i
contadini, una volta resi liberi, avevano ricevuto una casa e un pezzo di terra, a patto
di pagarne il riscatto. I contadini trovarono un’estrema difficoltà nel pagare il riscatto
e dovettero pesantemente indebitarsi. Lenin, poiché era un rappresentante dell’
intelligencija russa, fu costretto a espatriare per non essere perseguitato dal regime
dello zar e a rifugiarsi in Germania, Svizzera, Inghilterra. Nel 1898 nacque il Partito
Operaio Socialdemocratico Russo. Nel 1903, a Londra, si tenne un congresso del
partito.All’interno di questo, vi erano due correnti: i bolscevichi e i menscevichi. I
bolscevichi, che erano in maggioranza, volevano conquistare il potere con la
rivoluzione, volevano eliminare il sistema capitalistico e volevano attuare la dittatura
del proletariato. I bolscevichi erano legati a Lenin e alle masse operaie e contadine. I
menscevichi, che erano in minoranza, erano più riformisti e meno rivoluzionari.
Questi, come i bolscevichi, volevano abbattere lo zarismo, ma anche collaborare, per
attuare le riforme, con la borghesia, e formare una Repubblica Democratica. LA
RIVOLUZIONE DEL 1905.
Il popolo, ormai sempre più stremato dalla fame e dalla povertà, deciso a chiedere
riforme, si dimostrava disposto a tutto e pronto a fare la rivoluzione. A Pietroburgo, il
22 gennaio 1905 (la domenica di sangue), la folla si spinse fino al palazzo dello zar,
dove fu attaccata a fucilate dalla guardia imperiale, la quale col suo intervento
provocò mille morti. A ottobre vi fu anche uno sciopero generale, che paralizzò il
paese, e poi tumulti e sommosse. Queste sommosse erano guidate dai “soviet”,
consigli, formati da contadini, operai, intellettuali. Lo zar, messo alle strette, concesse
alcune riforme, e diede vita alla DUMA, un’assemblea elettiva, senza però poteri
decisionali ma solo consultivi, e una COSTITUZIONE, che prevedeva una certa
libertà di parola, associazione e stampa. Tutto questo non migliorò le condizioni dei
contadini.
LA RIVOLUZIONE DI OTTOBRE
Nel 1914 la Russia era entrata in guerra a fianco di Francia e Serbia. La Russia era
rivale dell’Austria, in quanto entrambe miravano ad avere il controllo sulla penisola
balcanica. L’8 marzo 1917 (corrispondente in Russia al 23 febbraio 1917), scoppiò a
Pietrogrado una sommossa popolare contro la dilagante carestia e fame. Accanto al
popolo si schierò anche l’esercito. Il 12 marzo 1917 si formò un governo provvisorio
guidato da Georgij L’Vov (1865-1925), che rappresentava gli interessi dei proprietari
terrieri e degli industriali(la borghesia), e dal socialdemocratico Aleksandr Kerenskij
(1881-1970), uomo di sinistra. Il 15 marzo 1917 lo zar Nicola II fu costretto ad
abdicare e con la famiglia fu posto sotto stretta sorveglianza. Il governo provvisorio
non era guidato solo ed esclusivamente da L’Vov e da Kerenskij, ma anche dai
Soviet, formati non solo da contadini e operai eletti nelle fabbriche, ma anche da
soldati. La situazione subì una svolta decisiva quando il capo bolscevico Lenin, che
sarà poi l’ispiratore della rivoluzione, nell’aprile del 1917 rientrò a Pietrogrado
dall’esilio in Svizzera. Lì pubblicò le cosìdette TESI DI APRILE, nelle quali si
affermava che la rivoluzione di febbraio era stata una rivoluzione borghese, che non
rappresentava gli interessi degli operai , e che occorreva attuare una nuova
rivoluzione, questa volta proletaria e comunista, con la quale eliminare L’Vov, il
quale faceva gli interessi dei proprietari terrieri e degli industriali. Conquistato il
potere, il comando sarebbe stato poi dei soviet, i soli che facevano gli interessi
proletari e popolari. Gli slogan di Lenin erano infatti: “tutto il potere ai soviet”, “la
terra ai contadini e le fabbriche agli operai”. Con le Tesi d’aprile, Lenin inoltre
affermava che la Russia doveva ritirarsi dalla guerra. Frattanto dal maggio 1917 la
presidenza del governo provvisorio venne assunta totalmente da Kerenskij, il quale
però non era in grado di riportare la Russia alla normalità, visto che continuavano i
violenti scioperi e i disordini. Lenin ritenne che la situazione fosse ormai matura per
rovesciare il governo Kerenskij e conquistare il potere: nella notte tra il 6 e il 7
novembre (secondo il calendario russo il 24-25 ottobre), fu la “guardia rossa”, un
corpo armato di operai e bolscevichi, che occupò il Palazzo d’Inverno, la sede del
Governo. Tale avvenimento prese il nome di RIVOLUZIONE D’OTTOBRE o
RIVOLUZIONE BOLSCEVICA. La sommossa aveva lo scopo di cacciare tutti gli
elementi borghesi dall’apparato del potere politico, di formare un governo
rivoluzionario di operai e soldati, di porre fine alla guerra mediante una pace
democratica, di sopprimere i diritti dei proprietari terrieri. Con la Rivoluzione
Bolscevica il governo retto da Kerenskij cadde, e ne nacque un altro, sotto la guida di
Lenin. Con Lenin alla guida dello Stato sovietico, furono cacciati dal governo e dalle
amministrazioni politiche tutti gli elementi borghesi. Il nuovo governo era un
governo rivoluzionario di operai e soldati. L’unico partito politico nel Paese era il
partito bolscevico, e gli altri partiti di opposizione furono eliminati. Fu creato il
“Consiglio dei commissari del popolo”, del quale Lenin era il presidente. Lenin nella
sua azione di governo fu affiancato da 2 collaboratori: Lev Trotskij (1879-1940),
commissario degli esteri e della guerra, e Josif Stalin(1879-1953), commissario delle
nazionalità che curava i rapporti fra le diverse parti dell’ex impero zarista.Un’enorme
mole di lavoro attendeva a questo punto Lenin e i suoi collaboratori, al fine di
procedere ad una efficace riorganizzazione politica, economica e amministrativa del
nuovo Stato sovietico, cioè basato sui soviet, e alla sua trasformazione in una
moderna potenza industriale. Poiché la Russia era uscita dalla guerra, il nuovo
Governo intavolò con l’Austria-Ungheria e con la Germania intense trattative, che si
conclusero nel dicembre 1917 con l’armistizio di Brest-Litovsk, poi trasformato in
pace nel marzo 1918. la Russia perse la Polonia, la Lituania, una parte della Russia,
l’Ucraina, la Finlandia.
(NB.La capitale nel corso degli anni ha avuto diversi nomi: fino al 1914 era San
Pietroburgo, dal 1914 al 1918 Pietrogrado, poi Mosca)
IL GOVERNO LENIN (1917-1924)
Dopo la pace di Brest-Litovsk, in Russia scoppiò una sanguinosa guerra civile fra i
“rossi”, sostenitori dei soviet, e i “bianchi”, desiderosi di un ritorno del regime
zarista. Le potenze capitalistiche dell’Intesa (Inghilterra, Giappone, Francia, Stati
Uniti), poiché temevano che le idee socialiste rivoluzionarie russe si diffondessero
nei loro territori, intervennero negli ultimi mesi del 1917 appoggiando i bianchi. Il
governo sovietico, per salvare la propria indipendenza creò l’ARMATA ROSSA,
guidata da Trotskij, che sconfisse i bianchi. La guerra civile terminò nel 1921. Il 23
luglio 1918 fu proclamata la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa con
una nuova capitale, Mosca. Quasi contemporaneamente venne poi istituita la spietata
polizia politica sovietica, la CEKA, che reprimeva con la violenza i ribelli, le
controrivoluzioni e i sabotaggi. Nel frattempo Lenin, subito dopo la presa del potere,
diede origine a un profondo processo di rinnovamento della società russa basato sulle
“Tesi d’aprile”. Tolse in seguito tutti i diritti ai proprietari terrieri, abolì la grande
proprietà privata, confiscò i beni ecclesiastici e assegnò terreni ai contadini. Stabilì
poi un rigido controllo operaio nelle fabbriche. Tutto questo non bastò a risolvere la
povertà dei contadini e di tutta la popolazione, per questo Lenin adottò il
COMUNISMO DI GUERRA, cioè un programma di controllo forzato su tutto ciò
che si produceva nel paese, specialmente quella contadina, per sopperire alle esigenze
alimentari della popolazione sotto terrore poliziesco; di conseguenza le derrate
eccedenti il semplice bisogno familiare, vennero requisite dallo Stato in modo
massiccio. In seguito Lenin avvertì la necessità di attenuare il rigido controllo statale
applicato in campo economico e desiderò incitare i piccoli possidenti a una maggiore
produttività, per rendere più libera l’economia e i commerci. Attenuò il rigido
controllo statale sull’economia pertanto e diede il via a una parziale restaurazione del
libero commercio, dell’attività industriale minore e della proprietà privata in genere.
Questa iniziativa prese il nome di NEP (NUOVA POLITICA ECONOMICA), e fu
considerata come una tappa di transizione fra capitalismo e socialismo, e finì ben
presto per avere effetti positivi su tutta la vita economica del paese. Nessuna apertura
si ebbe invece in campo religioso,dove fu attuata un’opera repressiva e la scuola fu
caratterizzata dal più intransigente ateismo. A suo avviso l’esperienza russa altro non
era che “la prima tappa della rivoluzione comunista mondiale, immancabile e vicina”.
Proprio a tale scopo Lenin creò la TERZA INTERNAZIONALE (KOMINTERN),
finalizzata a diffondere su scala mondiale la rivoluzione proletaria. I partiti comunisti
degli altri paesi in base al Komintern dovevano creare un apparato fortemente
centralizzato simile a quello del partito comunista russo, accettare una piena
subordinazione alle direttive dell’Internazionale, lottare per abbattere anche con
mezzi violenti e illegali il capitalismo occidentale. Nel 1922 il territorio russo fu
suddiviso in repubbliche federate-ciascuna governata da un soviet locale-, tale
federazione prese il nome di URSS, Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
Lenin morì nel 1924 e gli succedette Stalin (1924-1953)