mal di testa in ufficio per un italiano su quattro

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neuroscienze
MAL DI TESTA IN UFFICIO PER UN
ITALIANO SU QUATTRO
Uno studio italiano segnala l’impatto delle cefalee sulla qualità di
vita e i fattori i che possono facilitarne la comparsa: i consigli per
un ufficio «anti- mal di testa»
di Elena Meli
Non si muore di mal di testa, ma non per questo le cefalee possono essere derubricate a problema
secondario o di scarsa importanza per la salute. Per accorgersene basta scorrere i dati di una ricerca
dell’Unità di Medicina del Lavoro dell’IRCCS Fondazione Maugeri di Pavia, pubblicata di recente
sul Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia: gli attacchi di mal di testa colpiscono
infatti soprattutto persone giovani, nel pieno della loro vita lavorativa, riducendo tantissimo la loro
qualità di vita e soprattutto compromettendo non poco il rendimento in ufficio. Tanto che al 15 per
cento dei lavoratori capita di assentarsi dal lavoro per un mal di testa, mentre se invece scelgono di
restare alla scrivania la produttività cala del 35 per cento; tutto questo ha un costo non irrilevante,
calcolato in circa 420 euro a testa all’anno di perdite economiche “da mal di testa”.
Giovani e donne i più colpiti
Le donne sono le più colpite: una su cinque soffre di cefalee più o meno ricorrenti, contro il 5-6 per
cento degli uomini. «I motivi sono noti solo in parte, anche se certamente hanno un ruolo le
variabili fisiologiche legate al ciclo mestruale – spiega Giuseppe Taino dell’Unità di Medicina del
Lavoro dell’IRCCS Fondazione Maugeri di Pavia, autore dello studio –. L’età in genere è compresa
fra 25 e 55 anni, quindi proprio nel pieno dell’età lavorativa. Chi ne soffre sta davvero male, vive
nella paura di un nuovo attacco, nei due o tre giorni al mese in cui arriva la cefalea può diventare
impossibile avere una vita normale o tener fede ai propri impegni. Purtroppo il mal di testa
primario, che non dipende cioè da alcun problema organico diagnosticabile, è sottovalutato
soprattutto perché il sintomo coincide con la malattia: se sottoponiamo a TAC un paziente che
soffre di cefalee non troviamo nulla di diverso da un cervello “sano”, non abbiamo accertamenti
diagnostici oggettivi ma solo valutazioni cliniche di ciò che riferisce il paziente». Di conseguenza, il
mal di testa viene considerato spesso un disturbo di poco conto.
Grosso impatto sul lavoro
La realtà è tutta diversa, perché i dati raccolti dai medici del lavoro indicano che oltre alle
ripercussioni sul benessere personale e la qualità di vita il mal di testa comporta costi elevatissimi
dovuti sia al trattamento (chi non le prova tutte perché il fastidio passi, buttando giù pillole su
pillole?), sia alle assenze dal lavoro e alla perdita di produttività: secondo le stime degli esperti, la
sola emicrania in Europa costa ogni anno ben 27 bilioni di euro. C’è di più: lo studio italiano
sottolinea che proprio l’ambiente di lavoro può favorire gli attacchi, per cui proprio da lì dovrebbero
partire strategie di prevenzione. «Bisogna agire sui fattori di rischio che provocano il mal di testa
nei diversi casi – osserva Taino –. Molti, ad esempio, ne soffrono in conseguenza di un lavoro a
turni: modificarli in maniera da alterare il meno possibile l’orologio biologico e minimizzare la
probabilità di cefalea può aiutare non poco questi pazienti. Anche la postazione di lavoro fa la
differenza: la posizione di testa, collo e schiena, la luce eccessiva, i rumori di troppo, gli sbalzi di
temperatura sono elementi che possono contribuire a scatenare il mal di testa, per cui vanno tenuti
sotto controllo assicurandosi che i lavoratori abbiano una scrivania e un ufficio adeguati. Infine,
conta parecchio il benessere psicologico generale: disagi e stress correlati al lavoro sono oggi
sempre più frequenti, anche per l’informatizzazione delle nostre vite. Internet ed email che ci
raggiungono ovunque ci hanno reso più efficienti ma sollecitano troppo la nostra psiche. Siamo
insomma più affaticati mentalmente rispetto al passato, e questo favorisce la comparsa di mal di
testa: per prevenirlo occorre anche riappropriarsi di tempi lavorativi meno contratti», conclude
Taino.
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