SOMMARIO
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Le innovazioni
1. Definizione e caratteristiche generali ..............................................
2. Innovazioni consentite all’assemblea ...............................................
2.1. Le novità della legge n. 220/2012 ............................................
3. Innovazioni vietate ....................................................................
3.1. Distinzione tra innovazioni consentite e innovazioni vietate ............
3.2. Decoro architettonico, pregiudizio statico ed estetico ...................
4. Innovazioni gravose e voluttuarie ...................................................
4.1. Opere suscettibili di utilizzazione separata: ascensore ...................
5. Opere su su parti di proprietà o uso individuale ..................................
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Compravendita, Condominio, Locazioni
5. Le innovazioni
1. Definizione e caratteristiche generali
n
art. 1120 c.c.
Nozione Costituisce innovazione ai sensi dell’art. 1120 c.c. qualsiasi opera
nuova che, eccedendo i limiti della conservazione, dell’ordinaria manutenzione e amministrazione e del godimento della cosa comune, ne determini una
modificazione totale o parziale nella forma o nella sostanza, con la conseguenza di migliorarne o peggiorarne il godimento e comunque di alterarne la
destinazione originaria.
La dottrina ha elaborato il concetto di innovazione, affermando che con il termine
innovazioni si debba intendere particolari modificazioni che rendono, per modo di
dire, ‘‘nuova’’ la cosa, con trasformazioni, alterazioni, cambiamenti dell’originaria
funzione e destinazione, ovvero con un’alterazione della sua entità sostanziale. Si è
anche precisato che lo stabilire se un’opera abbia le caratteristiche o meno dell’innovazione costituisce indagine di fatto, non censurabile in sede di legittimità. L’innovazione potrebbe dar luogo a maggior godimento solo per alcuni condomini e non
per altri, purché questi ultimi continuino a godere delle cose comuni senza limitazioni o impedimenti. In particolare potrebbe non apportare alcuna utilità per uno o
più condomini, purché non arrechi loro un sensibile pregiudizio. In giurisprudenza si è
affermato il principio secondo cui l termine innovazione designa l’atto o l’effetto di
innovare, ossia indica ogni novità, mutamento o trasformazione che modifichi o
provochi comunque l’alterazione della situazione esistente. Costituiscono innovazioni le modificazioni materiali o funzionali dirette al miglioramento, all’uso più comodo o al maggior rendimento delle parti comuni, quelle cioè che importano una alterazione della entità sostanziale o il mutamento della originaria destinazione in modo
che le parti comuni, in seguito alle attività o alle opere innovative eseguite, presentino una diversa consistenza materiale ovvero vengano ad essere utilizzate per fini
diversi da quelli precedenti (Cass. 26.5.2006, n. 12654, in Giust. civ. Mass., 2006, 5).
Le innovazioni possono classificarsi secondo una triplice ripartizione:
innovazioni consentite all’assemblea con il voto favorevole della maggioranza qualificata dei condomini
innovazioni vietate
innovazioni gravose o voluttuarie.
Due sono le caratteristiche salienti dell’innovazione:
il mutamento di destinazione o dalla modificazione sostanziale della cosa
comune;
l’interesse della maggioranza dei condomini all’esecuzione delle opere innovative.
Distinzione tra modifiche e innovazioni Per innovazioni delle cose comuni
devono intendersi non tutte le modificazioni (qualunque opus novum), ma
solamente quelle modifiche che, determinando l’alterazione dell’entità materiale o il mutamento della destinazione originaria, comportano che le parti
comuni, in seguito all’attività o alle opere eseguite, presentino una diversa
consistenza materiale ovvero vengano ad essere utilizzate per fini diversi
da quelli precedenti; peraltro le innovazioni, seppure possono derivare da
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Definizione e caratteristiche generali
SCHEMA RIEPILOGATIVO
Il caso
CASE HISTORY
Innovazione = non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente
quella modificazione materiale che ne alteri l’entità sostanziale o ne muti la destinazione
originaria.
LexJus Sinacta
modifiche apportate senza l’esecuzione di opere materiali, consistono sempre
nell’atto o nell’effetto di un facere, necessario per il mutamento o la trasformazione della cosa. Lo stabilire se un’opera integri o meno gli estremi dell’innovazione costituisce un’indagine di fatto insindacabile in cassazione se sostenuta da corretta e congrua motivazione.
La distinzione tra modifica ed innovazione, quindi, si ricollega all’entità e
qualità dell’incidenza della nuova opera sulla consistenza e sulla destinazione
della cosa comune (Cass. 5.10.2009, n. 21256, in D&G, 2009).
Si può affermare che non costituiscono innovazione, ma semplice modificazione soggetta invece alla disciplina dell’art. 1102 c.c., tutti gli atti che comportano una maggiore o più intensa utilizzazione della cosa comune senza
comportarne una sostanziale alterazione e senza precludere agli altri partecipanti la possibilità di utilizzare la cosa al pari del condomino che ha effettuato
la modifica. Perché sussista innovazione occorre quindi che le modificazioni
apportate alle cose comuni siano di tale entità qualitativa e quantitativa da
incidere sulla sostanza del bene che perde cosı̀ la sua originaria destinazione.
Modificazione = interventi che mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento
della cosa comune e ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non
turbare i concorrenti interessi dei condomini.
L’amministratore di un condominio si è rivolto allo studio chiedendo un preventivo parere in
ordine alla pur informale decisione assunta dai consiglieri di condominio di ampliare il numero
degli spazi comuni da adibire a parcheggio delle auto, sia tracciando nel cortile i posti auto
destinati e sia, soprattutto, eliminando alcuni alberi di alto fusto cosı̀ da crearne di nuovi.
L’intervento avrebbe lasciato comunque inalterata un’altra area condominiale adibita a giardino, cosı̀ che non si sarebbe pregiudicato il diritto dei condomini di godere del verde e tanto
meno si sarebbe alterato, nel suo insieme, il decoro architettonico dell’intero complesso
residenziale.
Prima di convocare l’assemblea per deliberare sullo specifico ordine del giorno, sentiti peraltro i discordanti pareri espressi dai condomini, nasceva la necessità di conoscere se simile
intervento dovesse considerarsi di natura straordinaria ovvero si configurasse come innovazione, sebbene non strettamente necessaria: ciò al fine di esattamente individuare il quorum
necessario per legittimamente assumere simile delibera.
La questione sottoposta allo studio necessitava dunque uno specifico esame sulla qualifica-
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5. Le innovazioni
zione giuridica dell’opera, se da considerarsi come mera modifica del bene comune, cosı̀ come
sosteneva il cliente, oppure come innovazione, sempre che questa non dovesse considerarsi
addirittura vietata.
Sulla base del parere dello studio, si sarebbero forniti in assemblea i necessari chiarimenti.
L’opinione dello Studio
È pacifico che per innovazioni delle cose comuni devono intendersi non tutte le modificazioni,
ma solamente quelle modifiche che, determinando l’alterazione dell’entità materiale o il
mutamento della destinazione originaria, comportano che le parti comuni, in seguito all’attività o alle opere eseguite, presentino una diversa consistenza materiale ovvero vengano ad
essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti. Le innovazioni, seppure possono derivare
da modifiche apportate senza l’esecuzione di opere materiali, consistono sempre nell’atto o
nell’effetto di un ‘‘facere’’, necessario per il mutamento o la trasformazione della cosa.
Peraltro, l’art. 1120 c.c., nel consentire all’assemblea condominiale, sia pure con una particolare
maggioranza, di disporre innovazioni, non postula affatto che queste rivestano carattere di assoluta necessità, ma richiede soltanto che esse siano dirette ‘‘al miglioramento o all’uso più comodo
o al maggior rendimento delle cose comuni’’, salvo vietare espressamente, nel comma 2, quelle
che possono recare pregiudizio alla statica o al decoro architettonico del fabbricato o che
rendano talune parti comuni inservibili all’uso o al godimento anche di uno solo dei condomini.
Al di fuori dunque di tale divieto, ogni innovazione utile deve ritenersi permessa anche se non
strettamente necessaria, col solo limite, posto dal successivo art. 1121, del suo carattere
voluttuario o della particolare gravosità della spesa in rapporto alle condizioni e all’importanza
dell’edificio, nel qual caso essa è consentita soltanto ove consista in opere, impianti o manufatti suscettibili di utilizzazione separata e sia possibile, quindi, esonerare da ogni contribuzione alla spesa i condomini che non intendano trarne vantaggio, oppure, in assenza di tale
condizione, se la maggioranza dei condomini che l’ha deliberata o accettata intenda sopportarne integralmente la spesa.
L’opera modificativa consiste invece in un miglioramento delle utilità che il bene comune ha
già l’attitudine di procurare ai partecipanti, sia pure in misura ridotta.
La distinzione tra modifica ed innovazione si ricollega pertanto all’entità e alla qualità dell’incidenza della nuova opera sulla consistenza e sulla destinazione della cosa comune.
Pertanto, non viola la disciplina dettata in materia di innovazioni la delibera dell’assemblea dei
condomini la quale si limiti a lasciare immutato lo ‘‘status quo’’ relativo alla utilizzazione o al
godimento degli spazi comuni.
Sotto tale profilo deve ritenersi mera modificazione del bene comune l’intervento diretto a
meglio individuare, attraverso tracciamenti sulla pavimentazione del cortile, gli spazi da destinare al parcheggio delle vetture dei condomini, aumentando in tal modo il numero disponibile. La relativa delibera, in quanto destinata a meglio utilizzare il bene comune, può senza
dubbio essere assunta con le maggioranze di cui ai commi 2 e 3, dell’art. 1136 c.c.
Non cosı̀ può dirsi, invece, per l’abbattimento di alberi perché l’intervento, comportando la
distruzione di un bene comune, deve considerarsi un’innovazione vietata ai sensi dell’art. 1120
c.c. e, in quanto tale, richiede l’unanime consenso di tutti i partecipanti al condominio.
L’abbattimento degli alberi di alto fusto comporta innegabilmente un radicale mutamento del
bene comune, interferendo peraltro, pregiudicandolo, sull’aspetto architettonico del condominio. Il beneficio che deriverebbe ai condomini da un maggior numero di posti auto non è di
certo giustificato dall’eliminazione degli alberi di alti fusto posizionati nel cortile condominiale.
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Definizione e caratteristiche generali
Distinzione tra opere di manutenzione straordinaria e innovazioni È necessario, inoltre, distinguere le innovazioni dalle opere di manutenzione ordinaria e straordinaria: queste ultime rivestono infatti un carattere di necessità che
manca invece alle innovazioni, la cui esecuzione è invece rimessa esclusivamente alla volontà dei condomini. Al contrario, gli interventi di manutenzione
sono necessari per la conservazione delle cose comuni, in stato da assicurare ai
condomini l’uso e il godimento delle stesse, con lo scopo di mantenere in
perfetto stato di conservazione l’edificio condominiale nel suo complesso.
CASISTICA
Il concetto di rinnovamento delle entità che necessitano di riparazione, cui si riferisce l’art. 1005 c.c. in tema di ripartizione delle spese relative alla cosa oggetto di
usufrutto, è ben diverso dal concetto di innovazione cui si riferiscono, in tema di
condominio negli edifici, gli artt. 1120 e 1121 c.c. Il primo concetto va posto in
relazione ad opere che comportano la sostituzione di entità preesistenti, ma ormai
inefficienti con altre pienamente efficienti. Il secondo riguarda, invece, opere che
importano un mutamento della cosa nella forma e nella sostanza, con aggiunta di
entità non preesistenti o trasformazione di alcuna di quelle preesistenti (Cass.
28.11.1998, n.12085, in Giust. civ. Mass., 1998, 2480).
Non costituisce innovazione:
l’apposizione di cancelli all’ingresso dell’area condominiale, al fine di disciplinare il
transito pedonale e veicolare ed impedire l’ingresso indiscriminato di estranei, attenendo
essa all’uso ed alla regolamentazione della cosa comune, senza alterarne la funzione o la
destinazione, né sopprimere o limitare la facoltà di godimento dei condomini (Cass.
21.2.2013, n. 4340, in Giust. civ. Mass., 2013);
l’utilizzo del vano contenente la canna pattumiera, già sigillata, allo scopo di alloggiarvi il
contatore e la caldaia di produzione dell’acqua calda, non prevedendo essa la realizzazione di opere da parte del condominio incidenti sull’essenza della cosa comune, in quanto
idonee ad alterarne l’originaria funzione e destinazione ed a consentirne una diversa utilizzazione in favore di tutti i condomini (Cass. 16.1.2013, n. 945, in Arch. Locaz., 2013, 3, 312).
l’intervento richiesto da un condomino consistente nel tracciare nel cortile i posti
auto assegnati a ciascuno dei comproprietari sulla base di titoli di acquisto: la delibera
dell’assemblea dei condomini è validamente assunta senza la maggioranza qualificata poiché si limita a lasciare immutato lo ‘‘status quo’’ relativo alla utilizzazione o al godimento
degli spazi comuni (Cass. 26.5.2006, in Giust. civ. Mass., 2006, 5);
la sostituzione di ascensori usurati e non più agibili con impianti nuovi, anche se di
tipo e di marca diversi, perché le cose comuni oggetto dell’intervento non subiscono
alcuna sostanziale modifica; conservando invece la loro originaria destinazione e senza
apportare all’edificio condominiale alcun sostanziale mutamento ed invece conservando
un servizio del quale esso era già dotato;
la sostituzione di un preesistente zoccolino in pietra e piantine di breve fusto,
delimitanti il perimetro condominiale, con una cancellata, in quanto non implica alterazione sostanziale o cambiamento della originaria destinazione, né mutamento dell’entità
materiale del bene attraverso una sua radicale trasformazione, avendo il giudice ritenuto
che fra la preesistente delimitazione di confine di carattere prevalentemente estetico con
minore funzione protettiva e la deliberata delimitazione con carattere prevalentemente
antiintrusione e minore funzione estetica si configura una installazione sostitutiva per la
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5. Le innovazioni
quale non si ravvisa una diversità sostanziale apprezzabile ai fini dell’art. 1120 c.c. non
determinando alcuna incidenza sulle modalità di utilizzo della cosa comune e secondo una
valutazione rimessa alla sovrana discrezionalità assembleare (Trib. Milano, 6.7.2005, in
Giustizia Milano, 2005, 54);
l’installazione di una insegna luminosa, fatti salvi eventuali ostacoli da parte del
regolamento condominiale (App. Firenze, 2.3.2005, in Arch. loc., 2005, 436);
il restringimento di un viale di accesso pedonale, considerato che esso non integra
una sostanziale alterazione della destinazione e della funzionalità della cosa comune, non la
rende inservibile o scarsamente utilizzabile per uno o più condomini, ma si limita a ridurre
in misura modesta la sua funzione di supporto al transito pedonale, restando immutata la
destinazione originaria (Cass. 23.10.1999, n. 11936, in Giust. civ. Mass.; 1999, 2142);
la sostituzione della preesistente pavimentazione del lastrico solare con un
diverso tipo di mattonelle (Cass. 5.11.1990, n. 10602, in Giust. civ. Mass., 1990, fasc.11);
l’apertura di abbaini e finestre da parte del proprietario dell’ultimo piano sottostante il
tetto comune per dare aria e luce alla sua proprietà; questa costituisce una modifica e non
innovazione vera e propria, che è configurabile solo per nuove opere che immutano la sostanza
o alterano la destinazione delle parti comuni, in quanto ne rendono impossibile l’utilizzazione
secondo la funzione originaria e che debbono pertanto essere deliberate dall’assemblea nell’interesse di tutti i condomini (Cass. 27.7.2006, n. 17099, in Giust. civ., 2007, 10, 2177);
l’uso anche a transito veicolare della cosa comune, già adibita a solo transito pedonale,
esso infatti, non costituisce mutamento di destinazione, non comportando alcuna imputazione, trasformazione, modificazione della consistenza o sfruttamento per fini diversi da
quelli precedenti, ma soltanto una più ampia utilizzazione della cosa comune, che l’assemblea dei condomini può deliberare con la maggioranza di cui all’art. 1136, comma 2, c.c.
(Cass. 8.8.2003, n. 11943, in D&G, 2003, 35, 112);
la chiusura dei cancelli di accesso al sottosuolo ove sono collocati i posti macchina
riservati ai condomini può essere deliberata dalla maggioranza non qualificata, riguardando
solo la regolamentazione dell’uso ordinato della cosa comune consistente nel non consentire a terzi estranei al condominio l’indiscriminato accesso al sottosuolo dello stesso
(Cass. 3.2.1999, n. 875, in Giust. civ. Mass., 1999, 234);
la locazione ad un condomino per uso abitativo di un appartamento condominiale,
in precedenza concesso ad un condomino per uso deposito, perché non realizza un
mutamento di destinazione nei termini precisati del bene, ma soltanto una diversa utilizzazione che l’assemblea dei condomini può deliberare a maggioranza semplice di cui all’art.
1136, comma 2, c.c. (Cass. 29.8.1998, n. 8622, in Giust. civ. Mass., 1998, 1811);
l’installazione da parte di alcuni condomini nel cortile comune di serbatoi idrici al
servizio esclusivo dei rispettivi appartamenti, in considerazione delle ridotte dimensioni
dei manufatti, che non comportano un’alterazione del decoro architettonico del fabbricato né mutano la funzione del cortile comune consistente non solo nel fornire aria e luce
agli immobili circostanti, ma anche nel consentire un’agevole ed indifferenziata praticabilità
delle singole unità immobiliari (Cass. 14.6.2006, n. 13752, in Giust. civ. Mass., 2006, 9);
l’installazione dell’ascensore anche se riduce l’ampiezza del pianerottolo perché è prevalente l’interesse della collettività condominiale (Cass. 12.7.2011, n. 15308, in
D&G, 2011, 6 ottobre).
l’installazione di una recinzione in rete metallica su di un’area condominiale,
già in precedenza delimitata da paletti unito da una catena interposta (Trib. Bologna
7.3.2000, in Arch. loc., 2001, 271).
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Innovazioni consentite all’assemblea
2. Innovazioni consentite all’assemblea n art. 1120, comma 1,
c.c.
Sono quelle innovazioni deliberate dalla maggioranza qualificata dei condomini (art. 1136, comma 5, c.c.), finalizzate all’uso più comodo e al miglior
rendimento e godimento delle cose comuni che possono essere disposte dall’assemblea con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno i due terzi del valore dell’edificio. La legge n. 220/2012
ha modificato il quinto comma dell’art. 1136 c.c. perciò le innovazioni previste
dal primo comma dell’art. 1120 c.c. devono ora essere deliberate non già con la
maggioranza dei partecipanti al condominio, bensı̀ con la più elastica e più
raggiungibile maggioranza degli intervenuti in assemblea, benché sempre rappresentativa di almeno due terzi del valore dell’edificio.
In assenza di questo quorum deliberativo i condomini dissenzienti e gli assenti potranno impugnare la deliberazione chiedendone l’annullamento per illegittimità della stessa.
La deliberazione assunta con la maggioranza richiesta dalla legge vincola
invece tutti i condomini, che sono dunque obbligati a contribuire pro quota alle
spese relative all’intervento. Essa è sempre necessaria; pur se l’innovazione sia
voluta dai condomini che rappresentino la maggioranza qualificata, non potrebbe evitarsi l’atto formale della delibera, alla cui formazione devono essere
invitati tutti i condomini.
La finalità perseguita dall’art. 1120 c.c. è quella di agevolare i condomini nell’introduzione di modifiche o esecuzione di nuove opere che permettano un uso migliore, più comodo e più redditizio, delle singole unità immobiliari di proprietà di ciascuno, e, al contempo, è quella di impedire l’esecuzione di opere o modifiche che,
pur importando un vantaggio per alcuni proprietari, pur se rappresentanti la maggioranza, siano suscettibili di arrecare danno e notevole incomodo nel godimento delle
parti o servizi comuni anche ad uno solo degli altri condomini.
In caso di vendita di un’unità immobiliare in condominio, nel quale siano stati
deliberati lavori di straordinaria manutenzione, ristrutturazione o innovazioni
sulle parti comuni, qualora venditore e compratore non si siano diversamente
accordati in ordine alla ripartizione delle relative spese, è tenuto a sopportarne
i costi chi era proprietario dell’immobile al momento della delibera assembleare che abbia disposto l’esecuzione dei detti interventi, avendo tale delibera
valore costitutivo della relativa obbligazione. Di conseguenza, ove le spese
in questione siano state deliberate antecedentemente alla stipulazione del contratto di vendita, ne risponde il venditore, a nulla rilevando che le opere siano
state, in tutto o in parte, eseguite successivamente, e l’acquirente ha diritto di
rivalersi, nei confronti del medesimo, di quanto pagato al condominio per tali
spese, in forza del principio di solidarietà passiva di cui all’art. 63 disp. att. c.c.
(Cass. 3.12.2010, n. 24654, in Foro it. 2011, 1, I, 56).
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5. Le innovazioni
Innovazioni al servizio solo di un gruppo di condomini Nel caso in cui l’innovazione interessi beni comuni al servizio di un gruppo soltanto di condomini, il calcolo della maggioranza necessaria per la relativa delibera dovrà
essere effettuato con riferimento ai soli condomini interessati all’intervento.
Va evidenziato, infatti che la norma nel richiedere che le innovazioni della cosa
comune siano approvate dai condomini con una determinata maggioranza,
mira essenzialmente a disciplinare l’approvazione di innovazioni che comportino una spesa da ripartire tra tutti i condomini su base millesimale, perciò
quando le spese debbano far carico esclusivamente al gruppo di condomini
che ne trae utilità, trattandosi di innovazioni destinate a servire solo una parte
dell’edificio condominiale (art. 1123, comma 3, c.c.), il computo della maggioranza prescritta dal co. 1 del citato art. 1120 deve operarsi con riferimento ai
soli condomini interessati, ossia a quelli facenti parte di detto gruppo (Cass.
8.6.1995, n. 6496, in Giust. civ. Mass., 1995, fasc. 6).
Il rispetto del principio generale di cui all’art. 1102 c.c. e delle regole conseguentemente dettate dall’art. 1120 c.c. in materia di innovazioni, impone al
giudice, nel caso in cui parti del bene comune siano di fatto destinate ad uso e
comodità esclusiva di singoli condomini, un’indagine diretta all’accertamento
della duplice condizione che il bene, nelle parti residue, sia sufficiente a soddisfare anche le potenziali, analoghe esigenze dei rimanenti partecipanti alla
comunione, e che lo stesso, ove tutte le predette esigenze risultino soddisfatte,
non perderebbe la sua normale ed originaria destinazione, per il cui mutamento è necessaria l’unanimità dei consensi dei partecipanti (Cass. 14.6.2006, n.
13752, in Giust. civ. Mass., 2006, 9).
2.1. Le novità della legge n. 220/2012
n
art. 1120, comma 2, c.c.
La Legge di Riforma del condominio ha aggiunto all’art. 1120 c.c. un nuovo
secondo comma con lo scopo di stabilire una uniforme disciplina per le deliberazioni riguardanti una serie di interventi generalmente diretti a consentire
ai condomini di migliorare il loro vivere in condominio, alcuni dei quali avevano per il vero già trovato precisa disciplina in apposite leggi speciali. Ad
evitare dunque un diverso trattamento da parte dell’assemblea, il nuovo comma precisa che simili interventi devono essere tutti deliberati con le maggioranze di cui al secondo comma dell’art. 1136 c.c., vale a dire con un numero di
voti espressi dalla maggioranza degli intervenuti in assemblea portatori di
almeno la metà del valore dell’edificio, a volte andando cosı̀ ad aumentare il
quorum dapprima previsto dalle leggi speciali di riferimento.
Si tratta comunque di interventi che anche a giudizio del legislatore eccedono i
limiti della conservazione, dell’ordinaria manutenzione e amministrazione e
del godimento della cosa comune al punto che non esita a qualificarli come
‘‘innovazioni’’, cioè opere nuove in grado di determinare una modificazione,
totale o parziale, nella forma o nella sostanza delle cose comuni stesse, con la
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Innovazioni consentite all’assemblea
conseguenza di migliorarne o peggiorarne il godimento e comunque di alterarne la destinazione originaria.
La finalità perseguita dall’art. 1120 c.c., in buona sostanza, è quella di agevolare i condomini nell’introduzione di modifiche o esecuzione di nuove opere
che permettano un uso migliore, più comodo e più redditizio, delle singole
unità immobiliari di proprietà di ciascuno, e, al contempo, è quella di impedire
l’esecuzione di opere o modifiche che, pur importando un vantaggio per alcuni
proprietari, pur se rappresentanti la maggioranza, siano suscettibili di arrecare
danno e notevole incomodo nel godimento delle parti o servizi comuni anche
ad uno solo degli altri condomini.
Due sono, quindi, le caratteristiche salienti dell’innovazione:
l’una è rappresentata dal mutamento di destinazione o dalla modificazione
sostanziale della cosa comune;
l’altra consiste nell’interesse della maggioranza dei condomini all’esecuzione delle opere innovative.
Sulla base di tali concetti generali il legislatore della riforma ha ritenuto però di
ridurre il quorum solo per le innovazioni cosiddette ‘‘di interesse sociale’’,
prevedendo per esse l’applicazione delle maggioranze previste dal quarto
comma dell’art. 1136 c.c. e continuando invece a richiedere quelle più elevate
indicate nel quinto comma per le tipiche innovazioni di cui al primo comma
dell’art. 1120.
Con per le maggioranza ridotte si possono quindi deliberare:
1) le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli
edifici e degli impianti. Si tratta di una generica previsione di interventi di
cui si è appositamente evitato di fare una elencazione, lasciando dunque
alla discrezionalità dei condomini la loro esatta individuazione. L’importante è che si discuta di opere dirette a privilegiare, migliorandolo, l’uso da
parte del condomino dei beni e dei servizi comuni di modo che dalla loro
esecuzione ne derivino vantaggi diretti all’intero edificio e indirettamente
anche alle unità immobiliari del singolo condomino, nonché alla funzionalità degli impianti . Il tutto per rendere maggiormente sicura e più salubre la
vita in condominio.
2) le opere e gli interventi previsti:
per eliminare le barriere architettoniche (v. Cap. 3)
per il contenimento del consumo energetico degli edifici (v. Cap. 3)
per realizzare parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o
dell’edificio: si tratta della legge 24.3.1989, n. 122, nota come ‘‘legge
Tognoli’’, che prevede la possibilità per i condomini di realizzare parcheggi anche negli immobili già costruiti, posizionandoli nel sottosuolo
degli stessi o nei locali siti al piano terreno (art. 9, legge n. 122/1989),
nonché nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato (legge n.
127, 15.5.1997) purché non in contrasto con i piani urbani del traffico,
tenuto conto dell’uso della superficie sovrastante e compatibilmente con
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5. Le innovazioni
tutela dei corpi idrici. Quanto poi al ruolo dell’assemblea dei condomini,
l’approvazione all’esecuzione dell’opera serve solo se i parcheggi vengono realizzati in aree condominiali e non invece nel caso in cui venga
utilizzata uno spazio di proprietà non condominiale. Il legislatore della
riforma non ha modificato il quorum necessario per assumere la relativa
delibera, confermandone la piena legittimità quando la stessa è adottata
con la maggioranza prevista dal secondo comma dell’art. 1136 c.c., cioè
con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti in assemblea e
almeno la metà del valore dell’edificio, fatto sempre salvo quanto previsto dagli artt. 1120, comma 38, e 1121, comma 38, c.c. Ciò significa che
l’intervento non deve recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del
fabbricato, alterare il decoro architettonico dell’edificio oppure rendere
talune parti comuni inservibili all’uso e al godimento anche di un solo
condomino.
Secondo la L. n. 122/1989 doveva però essere lasciata la possibilità al condomino che
originariamente aveva espresso il proprio dissenso di partecipare successivamente ai
vantaggi dell’opera, contribuendo alle spese di esecuzione e di manutenzione della
stessa. Secondo un orientamento giurisprudenziale, a lungo prevalente, la realizzazione di posti auto nel sottosuolo al piano terra o di edifici esistenti, anche in deroga agli
strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti, prevedeva che tutti gli appartamenti dello stabile avessero, se non la proprietà, almeno la possibilità di utilizzare i
posti auto realizzati. Questo vincolo è stato finora il principale ostacolo al pieno utilizzo delle possibilità date dall’art. 9 della legge Tognoli stessa. Infatti, delle due l’una:
o il palazzo condominiale aveva sufficienti spazi, al piano terra o nel sottosuolo, per
ricavare posti auto per tutte le unità immobiliari, oppure i posti auto realizzati, in
garage o nel cortile, dovevano essere attribuiti in uso a rotazione a tutti i proprietari
dello stabile e restare di proprietà comune. Al punto che si era addirittura affermato
che il vincolo all’uso doveva esser obbligatoriamente trasferito anche al conduttore
dell’appartamento, nel contratto di locazione. Poiché la rotazione dell’uso è tutt’altro
che facile da far rispettare, spesso i progetti di costruzione di parcheggi negli edifici
esistenti finivano per essere accantonati. Quindi, via libera ai box di proprietà solo di
chi li vuole costruire, ma purché resti spazio abbastanza agli altri, per edificarli. Sui
c.d. ‘‘parcheggi Tognoli’’ c’era comunque il vincolo per cui «essi non possono essere
ceduti separatamente dall’unità immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale. I relativi atti di cessione sono nulli (art. 9, comma 5, l. n. 122/1989).
Il D.L. Semplificazioni del 2012, in vigore dal 10.2.2012 ha apportato una
radicale modifica al comma 5 dell’art. 9 e cosı̀ è divenuto possibile vendere
liberamente ad altri il parcheggio realizzato (per quanto con vincolo di pertinenza ad unità immobiliare nello stesso comune). Attualmente chiunque può
alienare ad un terzo il proprio parcheggio sito al piano terra o a quello interrato o su area esterna pertinenziale anche separatamente dal proprio appartamento. E tale separato trasferimento a terzi dei parcheggi può avvenire, perché
cosı̀ chiarisce espressamente la norma, anche in deroga a quanto previsto nel
titolo abilitativo edilizio che ha legittimato la costruzione del fabbricato o nei
successivi atti convenzionali. A prescindere comunque dalla realizzazione di
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Innovazioni consentite all’assemblea
parcheggi secondo la citata ‘‘legge Tognoli’’ nulla impedisce ai condomini, con
delibere assunte nel rispetto di quanto indicato dal nuovo secondo comma
dell’art. 1120 c.c., di adibire a parcheggio aree o spazi condominiali senza
ricorrere a particolari trasformazioni: si pensi ai cortili trasformati in ricovero
delle autovetture dei condomini oppure ai giardini, magari anche solo parzialmente trasformati in parcheggio:
— per la produzione di energia mediante l’utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili da parte del condominio
o di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di
godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune (v. cap. 3)
— per l’installazione di impianti centralizzati per la ricezione ra-diotelevisiva e
per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti sino alla diramazione per le
singole utenze (v. cap. 3).
L’obbligo di convocare l’assemblea Anche uno solo dei condomini interessato a fare eseguire gli interventi indicati dal nuovo secondo comma dell’art.
1120 c.c. può chiedere all’amministratore di convocare l’assemblea che ne
deliberi l’esecuzione. In quanto obbligato a farlo (‘‘è tenuto’’, recita il nuovo
comma), deve provvedervi entro trenta giorni dal momento in cui gliene viene
fatta richiesta, sotto pena di venire revocato dall’incarico.
Al potere conferito al singolo condomino di chiedere la convocazione del’assemblea ed all’ obbligo dell’amministratore di provvedervi conseguono i due
importanti rilievi, già peraltro evidenziati con riferimento al disposto del nuovo art. 1117 quater c.c. (v. Cap. 1).
Si tratta di una deroga al disposto dell’art. 66 disp. att. c.c., in forza del quale
l’obbligo della amministratore di convocare l’assemblea resta subordinato alla
richiesta di almeno due condomini rappresentanti di un sesto del valore dell’edificio che trova il suo fondamento e presupposto nella volontà di impedire
al singolo condominio di coinvolgere l’intera collettività condominiale per
questioni magari da lui solo ritenute meritevoli di attenzione. Il porre dunque
il doppio limite delle ‘‘teste’’ (almeno due) e dei millesimi (almeno un sesto)
significa evitare iniziative singole che potrebbero arrecare solo disturbo agli
altri condomini. Ancor più nei casi in esame, dove gli importanti interventi
innovativi, se non ritenuti rilevanti dalla maggioranza dei condomini (esigenza
questa che indurrebbe allora l’amministratore a convocare l’assemblea di sua
sponte), ben difficilmente potrebbero trovare il consenso in una assemblea
convocata su richiesta di un solo condomino: fatta eccezione, a ben vedere
per la sola richiesta di assemblea da parte del condomino per eliminare le
barriere architettoniche, perché dall’eventuale rifiuto opposto dall’assemblea
potrebbe scaturire il suo diritto a provvedervi personalmente.
Più grave, invece, l’eventuale mancata convocazione da parte dell’amministratore dell’assemblea richiesta dal condomino, magari perché ritenuta superflua.
Il nuovo art. 1129 c.c., al comma 12, n. 1, prevede, tra i motivi legittimanti la
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Compravendita, Condominio, Locazioni
5. Le innovazioni
revoca dell’amministratore per gravi irregolarità, anche l’omessa convocazione
dell’assemblea ‘‘...omissis... negli altri casi previsti dalla legge’’ e quindi anche
nell’ipotesi in esame di cui al comma secondo dell’art. 1120, comma 2, c.c.
Comunque, al richiedente è fatto onere di indicare esattamente gli interventi
che propone di fare eseguire, nonché le concrete modalità con cui ritiene che si
possa darvi esecuzione, In mancanza di tali indicazioni, ovvero qualora quelle
fornite non siano ritenute sufficienti a consentire all’assemblea di scientemente
deliberare sul punto, spetta all’amministratore di invitare subito (‘‘senza indugio’’) il condomino richiedente a fornire ulteriori integrazioni ritenute necessarie per meglio fare comprendere a tutti i condomini la natura, l’entità ed i costi
degli interventi richiesti.
Da rilevare che mentre nel caso di opere dirette all’eliminazione delle barriere
architettoniche la mancata convocazione dell’assemblea, ovvero la delibera di rifiuto, legittima il richiedente ad eseguire le opere a proprie spese (come prevede l’art.
2, comma 2, legge n. 13/1989), nulla è detto per il rifiuto (anche tacito) all’esecuzione degli altri interventi di cui al comma secondo dell’art. 1120 c.c., talché si deve
ritenere che in siffatta situazione al richiedente resti solo la possibilità di adire
l’autorità giudiziaria affinché revochi l’amministratore (per mancata convocazione
dell’assemblea) oppure per impugnare ex art. 1137 c.c. la delibera negativa perché
assunta con eccesso di potere da parte dell’assemblea, cioè frutto di mera discrezionalità da parte dei condomini.
In conclusione si può affermare che il nuovo comma dell’art. 1120 c.c. non
sembra apportare radicali modifiche a quanto già previsto dalle leggi speciali
dettate in tema di risparmio energetico, uso di impianti di cogenerazione e, in
genere, di fonti rinnovabili, nonché di realizzazione di parcheggi, se non per
l’aumento in alcuni casi del quorum necessario all’assemblea per validamente
deliberare l’esecuzione dei particolari interventi espressamente richiamati nel
comma stesso. La novità, a ben vedere, consiste solo nella possibilità concessa a
ciascun condominio di richiedere la convocazione di apposita assemblea all’amministratore, tenuto a provvedervi sotto pena di revoca del mandato ai
sensi del nuovo art. 1129, comma 11 n.1, c.c.
3. Innovazioni vietate
n
art. 1120, comma 4, c.c.
Sono quelle che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza
dell’edificio, oppure che ne alterano il decoro architettonico ovvero che rendono alcune parti comuni inservibili all’uso o al godimento anche di un solo
condomino.
Esse non possono essere disposte dall’assemblea con la maggioranza qualificata di cui sopra, ma richiedono il consenso unanime di tutti i condomini
risultante da atto scritto, a pena di nullità della delibera eventualmente assunta
e quindi impugnabile senza limiti di tempo.
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Compravendita, Condominio, Locazioni
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Innovazioni vietate
La condizione di inservibilità del bene comune all’uso o al godimento anche di
un solo condomino, che rende illegittima e quindi vietata l’innovazione deliberata dagli altri condomini, è riscontrabile anche nel caso in cui l’innovazione
produca una sensibile menomazione dell’utilità che il condomino precedentemente ricavava dal bene (ad es. nel caso di restringimento del vialetto di
accesso ai garages che rende disagevole il transito delle autovetture Cass.
25.10.2005, n. 20639, in Giust. civ. Mass., 2005, 9).
Nell’identificazione del limite all’immutazione della cosa comune, disciplinato
dall’art. 1120, comma 4, c.c. il concetto di inservibilità della stessa non può
consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione coessenziale al concetto di innovazione - ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della res communis secondo la sua naturale fruibilità; si può tener
conto di specificità - che possono costituire ulteriore limite alla tollerabilità
della compressione del diritto del singolo condomino - solo se queste costituiscano una inevitabile e costante caratteristica di utilizzo. Sulla scorta di tale
principio la S.C. ha ritenuto legittima l’installazione dell’ascensore anche se
riduce l’ampiezza del pianerottolo perché è prevalente l’interesse della collettività condominiale (Cass. 12.7.2011, n. 15308, in D&G, 2011, 6 ottobre). Ciò, in
quanto il concetto di inservibilità va interpretato come sensibile menomazione
dell’utilità che il condomino ritraeva secondo l’originaria costituzione della
comunione, con la conseguenza che pertanto devono ritenersi consentite quelle
innovazioni che, recando utilità a tutti i condomini tranne uno, comportino per
quest’ultimo un pregiudizio limitato e che non sia tale da superare i limiti della
tollerabilità (Cass. 8.10.2010, n. 20902, in Arch. Locaz., 2011, 1, 36).
Poiché l’art. 1120 c.c., nel vietare le innovazioni pregiudizievoli alle parti comuni dell’edificio, fa riferimento non soltanto al danno materiale, inteso come
modificazione esterna o della intrinseca natura della cosa comune, ma a tutte le
opere che elidono o riducono in modo apprezzabile le utilità da essa detraibili,
anche se di ordine edonistico, devono ritenersi vietate tutte quelle modifiche
che comportino un peggioramento del decoro architettonico del fabbricato
(Cass. 19.1.2005, n. 1076, in Giust. civ. Mass., 2005, 1).
3.1. Distinzione tra innovazioni consentite e innovazioni vietate
Ai fini della distinzione tra innovazioni consentite e innovazioni vietate, non
basta che la nuova opera incida sull’entità materiale della cosa comune, ma
occorre che ne alteri la sostanza, con mutamento dell’essenza funzionale e
strutturale o ne muti la destinazione (impressavi dalla volontà dei compartecipanti ed espressa dal titolo: regolamento di condominio, deliberazione assembleare, o gradatamente dall’uso o dalla natura stessa della cosa).
Sono state considerate innovazioni vietate:
l’assegnazione nominativa a favore di singoli condomini di posti fissi nel
cortile comune per il parcheggio della seconda autovettura in quanto tale
delibera sottrae l’utilizzazione del bene comune a quei condomini che non
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Compravendita, Condominio, Locazioni
5. Le innovazioni
posseggono una seconda autovettura (Cass. 22.1.2004, n. 1004, in Giust. civ.
Mass., 2004, 1);
l’incorporazione del vano scale nell’appartamento di proprietà di un singolo condomino (App. Firenze, 4.2.1997, in Gius, 1998, 1897);
l’installazione di una canna fumaria che percorre tutta la facciata dell’edificio condominiale, cosı̀ da pregiudicare l’aspetto e l’armonia del fabbricato,
perché costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale (Cass. 11.5.2011, n.10350, in Giust. civ. Mass., 2011, 5, 729);
l‘alterazione, ossia il mutamento estetico – con conseguente pregiudizio
economico – che può derivare anche dalla modifica dell’originario aspetto
di singoli elementi o di singole parti dell’edificio che abbiano una sostanziale e formale autonomia o siano comunque suscettibili per sé di considerazione autonoma, come nel caso dell’atrio dell’edificio (Cass. 24.3.2004, n.
5899, in Giust. civ. Mass., 2004, 3);
la concessione, deliberata dalla maggioranza dell’assemblea, di un piazzale
condominiale a favore di un bar con autorizzazione all’installazione di
tavolini, in quanto altera la cosa comune con mutamento della destinazione,
per la cui adozione necessitava dell’unanimità dei consensi (GdP Perugia,
18.1.2000, in Rass. Giur. Umbra, 2000, 123);
l’abbattimento di alberi, comportando la distruzione di un bene comune,
deve considerarsi un’innovazione vietata ai sensi dell’art. 1121 c.c. e, in
quanto tale, richiede l’unanime consenso di tutti i partecipanti al condominio; né può ritenersi che la delibera di approvazione, a maggioranza, della
spesa relativa all’abbattimento, possa costituire valida ratifica dell’opera
fatta eseguire di propria iniziativa dall’amministratore (App. Roma, sez.
IV, 6 febbraio 2008, n. 478, in Il merito, 2008, 9, 31).
l’abbattimento di parte della falda del tetto e della muratura per la costruzione della terrazza, con utilizzazione per uso esclusivo di parte del
sottotetto di proprietà di altro condomino (Cass. 10.9.2009, n. 19566, in
Guida Dir., 2009, 43, 48). La costruzione di tettoie che - pur essendo state
realizzate nella proprietà esclusiva del condomino - comportavano un danno estetico alla facciata dell’edificio condominiale (Cass. 11.2.2005, n. 2743,
in Giust. civ. Mass. 2005, 2).
Invece non sono state ritenute costituire innovazione vietata:
la costruzione nel cortile comune di uno scivolo per accedere ad una unità
immobiliare sita ad un livello più alto, attraverso una finestra trasformata in
accesso carrabile, in quanto determinante modificazione della struttura e
della destinazione del cortile, adibito al servizio di passo carrabile e di area
di parcheggio del traffico veicolare a servizio dell’unità immobiliare utilizzata non più ad uso abitativo, bensı̀ commerciale (Cass. 10.3.1983, n. 1789,
in Giust. civ. Mass., 1983, fasc. 3);
l’installazione (utile a tutti i condomini tranne uno) di un’autoclave nel
cortile condominiale, con minima occupazione di una parte di detto cortile,
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Innovazioni vietate
poiché il concetto di ‘‘inservibilità’’ va interpretato come sensibile menomazione dell’utilità che il condomino ritraeva secondo l’originaria costituzione
della comunione, con la conseguenza che pertanto devono ritenersi consentite quelle innovazioni che, recando utilità a tutti i condomini tranne uno,
comportino per quest’ultimo un pregiudizio limitato e che non sia tale da
superare i limiti della tollerabilità (Cass. 21.10.1998, n. 10445, in Giust. civ.
Mass., 1998, 2140);
l’ampliamento dell’autorimessa condominiale mediante trasformazione
dei locali adibiti a portineria dopo la soppressione del servizio, poiché
trattasi di modificazione che mira a potenziare o a rendere più comodo il
godimento della cosa comune lasciandone immutate la consistenza e la
destinazione (Cass. 5.11.2002, n. 15460, in Giust. civ. Mass., 2002, 1907);
la destinazione a parcheggio di un’area di giardino condominiale, interessata solo in piccola parte da alberi di alto fusto e di ridotta estensione
rispetto alla superficie complessiva perché tale destinazione non comporta
alcun apprezzabile deterioramento del decoro architettonico, né alcuna significativa menomazione del godimento e dell’uso del bene comune, ed
anzi, da essa derivando una valorizzazione economica di ciascuna unità
abitativa e una maggiore utilità per i condomini (Cass. 12.7.2011, n.
15319, in Giust. civ. Mass., 2011, 78);
mantenere in esercizio il dismesso impianto centralizzato di riscaldamento
perché ne fruiscano dei locali condominiali, trattandosi di una attività che,
senza alternarne la consistenza e la destinazione originaria, attua il potenziamento ed il migliore godimento della cosa comune (Cass. 1.3.1995, n.
2329, in Giust civ. Mass., 1995, 480);
l’installazione dell’ascensore a cura e spese solo di alcuni condomini, che
limiti, per alcuni altri, l’originaria possibilità di utilizzazione delle scale e
dell’andito occupati dall’impianto di ascensore, ove risulti che dalla innovazione non derivi, sotto il profilo del minor godimento della cosa comune,
alcun pregiudizio, non essendo necessariamente previsto che dalla innovazione debba derivare per il condomino dissenziente un vantaggio compensativo Cass. 8.10.2010, n. 20902, in Arch. Locaz. 2011, 1, 36).
3.2. Decoro architettonico, pregiudizio statico ed estetico
Nozione Riferito ad un edificio il termine decoro assume il significato di
aspetto esteriore della costruzione che la giurisprudenza ha definito l’estetica
data dall’insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la
nota dominante dell’edificio ed imprimono alle varie parti dell’edificio, nonché
all’edificio stesso nel suo insieme, una determinata armonica fisionomia, senza che occorra che si tratti di un edificio di particolare pregio artistico (Cass.
25.1.2010, n. 1286).
Con il termine ‘‘decoro’’ il legislatore ha voluto tutelare non solo la piacevo337
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5. Le innovazioni
lezza e l’armonia dell’aspetto architettonico dell’edificio condominiale, ma
anche la rispettabilità e la dignità dello stesso.
Tutti i fabbricati, anche quelli di edilizia popolare ed i rustici, hanno un proprio
decoro architettonico in quanto anche per essi sono configurabili linee architettoniche e motivi ornamentali che conferiscono allo stabile un determinato e caratteristico aspetto.
La linea armonica può essere estremamente semplice e tuttavia costituire un
bene comune a tutti i condomini, ai sensi dell’art. 1117 c.c., il cui mantenimento
è tutelato a prescindere dalla validità estetica assoluta delle modifiche che si
intendono apportare.
Il decoro è correlato non solo all’estetica, ma anche all’aspetto dei singoli
elementi o di singole parti dell’edificio che abbiano una sostanziale e formale
autonomia o siano suscettibili per sé di considerazione autonoma.
Proprio in quanto bene comune il cui mantenimento è tutelato a prescindere
dalla validità estetica assoluta delle modifiche che si intendono apportare, una
volta accertato che le modifiche non hanno una valenza ripristinatoria o migliorativa dell’originaria fisionomia, ma alterano quest’ultima sensibilmente,
non ha alcuna rilevanza l’accertamento - del tutto opinabile - del risultato
estetico della modifica, che deve ritenersi non consentita quand’anche nel
suo complesso possa apparire a taluno gradevole (Cass. 30.8.2004, n. 17398,
in Giust. civ. Mass., 2004, 7-8).
Viene quindi considerato alterazione del decoro architettonico qualsiasi peggioramento estetico dello stabile e costituisce lesione dell’estetica qualunque
modifica delle linee architettoniche esterne e interne dell’edificio. Tali sono
considerati gli interventi che realizzano modificazioni mediante variazioni in
altezza, interruzione della linea di gronda, realizzazione di un terrazzo incassato nel tetto, intonacazione della facciata, apertura di nuove finestre non
allineate, sostituzione delle persiane a chiusura classica con altre a scorrimento
(Cass., sez. II, 31.3.2006, n. 7325, in Giust. civ. Mass., 2006, 3).
La delibera assembleare di approvazione di una innovazione che altera il
decoro architettonico del condominio, in modo non trascurabile, ha oggetto
illecito, per contrarietà al disposto dell’art. 1120, comma 2, c.c. (ora comma 4)
ed è quindi nulla (Trib. Milano, 29.7.2005, in Corr. merito, 2005, 12, 1251).
Va però evidenziato che non può avere incidenza lesiva del decoro architettonico di un edificio un’opera modificativa compiuta da un condomino, quando
sussista degrado di detto decoro a causa di preesistenti interventi modificativi
di cui non sia stato preteso il ripristino (Cass. 26.2.2009, n. 4679, in Giust. civ.
Mass., 2009, 2).
Del pari ininfluente, ai fini della tutela prevista dall’art. 1120 c.c., è il grado di
visibilità delle innovazioni contestate, in relazione ai diversi punti di osservazione dell’edificio, ovvero alla presenza di altre pregresse modifiche non autorizzate (Cass. 17.10.2007, n. 21835, in Giust. civ. Mass., 2007, 1).
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CASISTICA
Innovazioni vietate
Non è lesiva del decoro architettonico l’installazione da parte di alcuni condomini di un
impianto condizionatore di piccole dimensioni sul muro perimetrale, intervento che
non costituisce una innovazione, ma una mera modifica all’uso del muro comune (Cass.
22.8.2003, n. 12343, in Giust. civ., 2004, I,2724).
È inibito ai singoli condomini, in difetto di autorizzazione del condominio, apportare modificazioni alle parti esterne dell’edificio, siano esse di proprietà condominiale o individuale
(come, per esempio, la tamponatura esterna di un balcone rientrante), quando esse
incidano sul decoro architettonico dell’intero corpo di fabbrica o di parti significative di esso.
Anche la sostituzione delle mattonelle del balcone di proprietà del singolo condomino,
pur determinando un costo da addebitare al medesimo in quanto proiezione della proprietà
esclusiva, non è rimessa alla libera scelta perché deve conformarsi all’insieme dell’edificio e
non essere lesiva del decoro architettonico (Cass. 30.8.2004, n. 17398, in Arch. loc., 2005,
306).
La tutela del decoro architettonico va considerata nell’ipotesi di installazione su di una
parete esterna dell’edificio condominiale di un cartellone pubblicitario grande
quanto l’intera superficie disponibile, da ritenersi innovazione poiché ciò comporta un mutamento di destinazione del bene comune che viene cosı̀ ad avere una funzione diversa da
quella originaria: tale opera determina un pregiudizio del decoro architettonico dello stabile,
poiché con il termine ‘‘decoro’’ il legislatore ha voluto tutelare non solo la piacevolezza e
l’armonia dell’aspetto architettonico dell’edificio condominiale, ma anche la rispettabilità e la
dignità dello stesso. Viceversa, non costituisce né innovazione né abuso della cosa comune,
contrario ai principi di cui all’art. 1120 c.c., l’installazione di una insegna luminosa, fatti
salvi eventuali ostacoli da parte del regolamento condominiale (App. Firenze, 2.3.2005, n. 534,
in Arch. loc., 2005, 436).
È stato considerato lesivo del decoro architettonico il comportamento del condomino proprietario delle unità abitative al piano terra e primo che, per realizzare un vano di circa mq.
25 da adibire a servizi igienici e cucina, aveva inglobato uno degli archi laterali asimmetrici del piano terra del fabbricato, interrompendo l’armonia del prospetto architettonico
costituito dall’arco centrale di ingresso all’androne e da ciascuno dei due archi sugli altri lati
(Cass. 4.4.2008, n. 8830, in Giust. civ. Mass., 2008, 4, 526).
È da ritenersi legittima la installazione di una controporta a filo del muro di separazione
fra l’appartamento del condomino e il ballatoio non avendo tale manufatto un‘incidenza apprezzabile sull’armonia complessiva del pianerottolo, cioè sul complesso delle sue
linee e delle sue forme (Cass., sez. II, 19.1.2005, n. 1076, in Giust. civ. Mass., 2005, 1).
Non è stato considerato in violazione del decoro architettonico l’installazione da parte di un
condomino sul balcone dell’appartamento di sua proprietà dell’unità esterna di un impianto
di raffreddamento, ancorché l’installazione costituisca una modifica dell’originario profilo
dello stabile, se le linee estetiche del fabbricato risultano già alterate da pregresse e consentite
superfetazioni di vario genere, realizzate da altri condomini nel corso del tempo (Trib. Napoli,
12.6.2004, in Giur. merito, 2004, 1989; Cass., sez. II, 26.2.2009, n. 4679).
Sono vietate le opere realizzate dal condomino nella proprietà esclusiva che comportino una
lesione del decoro architettonico dell’edificio, come nel caso di tettoie, che - pur essendo
state realizzate nella proprietà esclusiva del condomino - comportino un danno estetico alla
facciata dell’edificio condominiale (Cass. 11.2.2005, n. 2743, in Giust. civ. Mass., 2005, 2).
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5. Le innovazioni
È da ritenersi inibita al singolo condomino la realizzazione del sopralzo dei parapetti del
terrazzo di copertura dell’edificio, se tale intervento compromette sul piano estetico il
rispetto dell’aspetto architettonico del fabbricato (Cass. 27.4.1989, n. 1947, in Giust. civ. Mass.,
1998, fasc. 489).
È vietata la modifica di una porzione di proprietà esclusiva di un condomino da autorimessa
venga destinata ad abitazione, in quanto costituisce un peggioramento dell’estetica della
facciata e creazione di una situazione di ‘‘basso’’, che si risolve anche in pregiudizio economicamente apprezzabile per il decoro abitativo generale dell’edificio, posto in zona residenziale (Cass. 17.4.2001, n. 5612, in Giust. civ. Mass., 2001, 803).
Può essere vietata l’installazione sul balcone di proprietà esclusiva di una zanzariera che, per
le sue caratteristiche - nel caso, formata da telaio in alluminio installato lungo il perimetro
esterno del balcone dell’appartamento - risulti immediatamente visibile dall’esterno, e lesiva
del decoro architettonico dell’edificio (Cass. 29.4.2005, n. 8883, in Giust. civ. Mass., 2005, 5).
Tutela del decoro La tutela del decoro architettonico è disciplinata in considerazione dell’apprezzabile alterazione delle linee e delle strutture fondamentali dell’edificio e della conseguente diminuzione del valore dell’intero edificio
e, quindi, anche di ciascuna delle unità immobiliari che lo compongono.
Esso è anche suscettibile di valutazione economica in quanto concorre a determinare il valore sia delle parti comuni dell’edificio sia delle singole proprietà individuali. Nell’ipotesi di ‘‘stravolgimento’’ della fisionomia architettonica
dell’edificio condominiale, il pregiudizio economico è una conseguenza normalmente insita nella menomazione del decoro architettonico che, costituendo
una qualità del fabbricato, è tutelata - in quanto di per sé meritevole di salvaguardia - dalle norme che ne vietano l’alterazione.
Ne consegue che tutti i condomini sono direttamente interessati alla sua tutela.
Ciascun condomino può infatti sempre agire a tutela del decoro architettonico
dello stabile (Cass. 30.6.2011, n.14447, in Giust. civ., 2011, 6, 981), anche nell’inerzia e contro il deliberato degli organi del condominio e l’azione è imprescrittibile (Cass. 7.6.2000, n. 7727, in Arch. loc., 2001, 425).
Il giudice chiamato a decidere dell’incidenza di un’innovazione sul decoro
architettonico deve adottare, caso per caso, criteri di maggiore o minor rigore
a seconda delle caratteristiche del singolo edificio accertando se preesisteva
un’unitarietà di linee e di stili suscettibile di alterazione in considerazione della
denunciata innovazione, nonché se su di essa avessero o meno inciso, menomandola, precedenti diverse modifiche apportate da altri condomini. Nel caso
in cui venga accertato un danno estetico di particolare rilevanza, consegue
automaticamente anche un danno economico altrettanto rilevante per il condominio, il cui accertamento e la cui quantificazione sono in ogni caso demandati alla valutazione discrezionale del giudice (Cass. 15.4.2002, n. 5417, in Arch.
loc., 2002, 271).
Limiti previsti dal regolamento Occorre poi rammentare che le norme del
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Innovazioni vietate
regolamento di natura contrattuale possono prevedere limitazioni ai diritti dei
condomini, nell’interesse comune, sia relativamente alle parti comuni, sia riguardo al contenuto del diritto dominicale sulle parti di esclusiva proprietà (v
oltre Cap. 11). L’autonomia privata consente, infatti, alle parti di stipulare
convenzioni che pongano limitazioni nell’interesse comune ai diritti dei condomini, anche relativamente al contenuto del diritto dominicale sulle parti di
loro esclusiva proprietà, cosı̀ costituendo degli oneri reali. Il regolamento di
condominio di natura contrattuale può addirittura infatti vietare l’esecuzione
di opere all’interno della proprietà esclusiva se non preventivamente autorizzate dall’assemblea, qualora queste siano anche solo potenzialmente in grado
di minare la stabilità dell’edificio e la sicurezza degli altri condomini. L’obbligo
assunto dai singoli condomini di non eseguire nella propria unità immobiliare
attività che rechino danno alle parti comuni, d’altro canto, ha natura di obbligazione propter rem, la cui violazione, pur se protratta oltre venti anni, non
determina l’estinzione del rapporto obbligatorio e dell’impegno a tenere un
comportamento conforme a quello imposto dal regolamento onde è sempre
deducibile, stante il carattere permanente della violazione, il diritto degli altri
condomini di esigere l’osservanza di detto comportamento, potendosi prescrivere soltanto il diritto al risarcimento del danno derivante dalla violazione
dell’obbligo in questione. Gli altri condomini possono quindi rivolgersi al
giudice anche se l’opera realizzata dal condomino è ultraventennale, chiedendogli di ordinarne la rimozione e la rimessa in pristino.
Anche il divieto contenuto nel regolamento è soggetto comunque ad interpretazione. E cosı̀, il previsto divieto assoluto di sopraelevazione non si estende
all’erezione da parte del proprietario dell’ultimo piano di un comignolo sul
tetto di proprietà comune per la fuoriuscita del fumo da un camino installato
nella sua abitazione, ove non comporti pregiudizio per la stabilità e la sicurezza del fabbricato ovvero l’alterazione del decoro architettonico. Ciò, infatti,
non può considerarsi innovazione ai sensi dell’art. 1122 c.c. (come tale soggetta
a preveniva comunicazione all’assemblea), ma una mera modificazione del
tetto comune consentita a termine dell’art. 1102 c.c., sempre che non incida
sulla sostanza e struttura del bene comune cosı̀ da alterare l’originaria ed unica
funzione di copertura dell’edificio, senza impedire agli altri condomini l’eventuale identico uso del tetto stesso.
Parimenti, deve essere consentita ad un condomino l’apertura di una porta sul
muro perimetrale comune anche se detta porta abbia ingresso su una scala
diversa da quella da quella del condomino, qualora l’incremento di traffico che
si potrà verificare lungo la scala non comporti una apprezzabile limitazione al
godimento degli altri condomini e non arrechi pregiudizio di conseguenza alle
parti comuni dell’edificio, alla sua stabilità o sicurezza e non alteri il decoro
architettonico
All’obbligo che incombe su ciascun condomino di non eseguire nelle unità
immobiliari di sua proprietà o in quelle parti che detiene in uso esclusivo opere
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Compravendita, Condominio, Locazioni
5. Le innovazioni
arrecanti pregiudizio alle parti comuni (o agli immobili di proprietà esclusiva
di altri condomini) consegue la responsabilità per i danni che ne conseguono in
caso di violazione dell’obbligo stesso, senza che possa assumere rilevanza
l’affidamento della loro esecuzione ad un appaltatore che le abbia a sua volta
eseguite in regime di autonomia.
Di conseguenza, in presenza di una clausola del regolamento vietante variazioni all’aspetto esterno dell’immobile, è valida la delibera condominiale che
vieti ad un condomino l’installazione sul balcone di sua proprietà esclusiva di
una zanzariera che, per le sue caratteristiche (nel caso, formata da telaio in
alluminio installato lungo il perimetro esterno del balcone dell’appartamento)
risulti immediatamente visibile dall’esterno, e lesiva del decoro architettonico
dell’edificio (Cass. 11.2.2005, n. 2743, in Giust. civ. Mass., 2005, 5). Infatti, le
norme condominiali che vietano modificazioni dell’estetica dell’edificio, aventi
natura di servitù reciproca opponibile ‘‘erga omnes’’, superano la necessità di
una valutazione da compiere volta a volta in ordine alla conformità o disformità di ogni singola modifica rispetto alla identità architettonica del complesso
o alla attitudine a ledere il decoro architettonico del medesimo (App. Milano,
9.6.2004, in Giur. merito, 2005, 7/8, 1537).
4. Innovazioni gravose e voluttuarie
n
art. 1121 c.c.
In giurisprudenza si è ritenuto che per innovazioni voluttuarie si intendono
quelle prive di utilità, mentre quelle gravose sono caratterizzate da una notevole onerosità in senso oggettivo, ossia con riferimento oggettivo alle condizioni e all’importanza dell’edificio e la relativa valutazione integra un accertamento di fatto devoluto al giudice del merito ed incensurabile in sede di
legittimità se sorretto da motivazione congrua (Cass. 18.1.1984, n. 428, in Giust.
civ. Mass., 1984, fasc, 1).
In effetti l’art. 1121 c.c. appare sufficientemente chiaro nell’ancorare la valutazione a criteri oggettivi (importanza e particolari condizioni dell’edificio):
infatti, per determinare il carattere gravoso o voluttuario della spesa inerente
ad un’innovazione non è rilevante il riferimento alle condizioni economiche
dei singoli condomini (Trib. Milano, 4.5.1989, in Arch. loc., 1989, 504).
Per le innovazioni che riguardano impianti suscettibili di utilizzazione separata e che hanno natura voluttuaria, ossia sono prive di indispensabile utilità
oppure risultano economicamente molto gravose, è consentito al singolo condomino di sottrarsi alla relativa spesa per la quota di sua competenza.
In ogni caso, i condomini o i loro eredi e i loro aventi causa potranno in
qualsiasi momento giovarsi dell’innovazione contribuendo alle spese di esecuzione e di manutenzione del manufatto.
Se l’utilizzazione separata non è possibile, l’innovazione non è consentita,
salvo che la maggioranza dei condomini che l’ha deliberata non accetti di
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Innovazioni gravose e voluttuarie
sopportarne integralmente le spese (Cass. 30.5.1996, n. 5028, in Giust. civ.
Mass., 1996, 801).
Si può affermare che le innovazioni, per le quali è consentito al singolo condomino, ai sensi dell’art. 1121 c.c., di sottrarsi alla relativa spesa per la quota
che gli compete, devono avere le seguenti caratteristiche:
riguardare impianti suscettibili di utilizzazione separata
avere natura voluttuaria, ovvero
risultare molto gravose, con riferimento oggettivo alle condizioni e alla
importanza dell’edificio.
4.1. Opere suscettibili di utilizzazione separata: ascensore
La maggior parte delle pronunce concernenti le innovazioni suscettibili di
utilizzazione separata riguarda il servizio di ascensore.
In un primo tempo la S.C. ha espresso un orientamento restrittivo fondato sul riconoscimento di un’ampia tutela nell’ambito del condominio al diritto di proprietà in
ogni sua manifestazione, compreso quella che a ciascun condomino è riconosciuto
sulle parti comuni dell’edificio: le norme dettate in materia di innovazioni (artt.
1120 e 1121 c.c.) venivano interpretate come finalizzate a limitare qualsiasi cambiamento che vada oltre la semplice manutenzione (Cass. 7.5.1982, n. 2846; Cass.
20.8.1986, n. 5101; Cass. 14.11.1988, n. 6146). Successivamente, anche a seguito
della introduzione della legge 9.1.1989, n. 13 ‘‘Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati’’, l’installazione dell’ascensore è sempre ritenuta innovazione legittima in quanto diretta al
miglioramento e all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni ed è
vietata solo se può comportare un pregiudizio alla statica del fabbricato o alterare il
decoro architettonico o rendere alcune parti comuni indisponibili all’uso comune,
salvo il consenso unanime. Più di recente, con l’evoluzione della qualità delle costruzioni tutte ormai dotate di tale impianto comune, la giurisprudenza è giunta ad
affermare che la realizzazione di un ascensore in un edificio che ne sia privo costituisce un uso legittimo ex art. 1102 c.c. del bene comune di cui ciascun condomino
può fare uso, nei limiti della citata norma, anche modificandolo a proprie spese per il
migliore godimento (Trib. Orvieto, 17.7.1996, in Arch. loc., 1996, 758).
Pur nel perdurare di oscillanti decisioni da parte dei giudici, installare un
ascensore in un edificio che prima ne era sprovvisto costituisce una innovazione e pertanto la relativa delibera deve essere assunta in assemblea con un
numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio
e almeno due terzi del valore millesimale dell’edificio. Una maggioranza inferiore (un terzo dei condomini e dei millesimi) è richiesta solo nei casi in cui
possa trovare applicazione la normativa dettata in tema di eliminazione delle
barriere architettoniche.
Una barriera architettonica è un qualunque elemento costruttivo che impedisce o
limita gli spostamenti o la fruizione di servizi, in particolar modo a persone disabili,
con limitata capacità motoria o sensoriale.
La barriera architettonica può essere una scala, un gradino, una rampa troppo ripida:
qualunque elemento architettonico può trasformarsi in barriera architettonica e
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Compravendita, Condominio, Locazioni
5. Le innovazioni
l’accessibilità dipende sempre dalle caratteristiche personali della singola persona.
Per la determinazione del concetto di barriera architettonica il legislatore fa riferimento all’art. 27, comma 1, legge 30.3.1971, n. 118 dove si definiscono barriere
architettoniche gli impedimenti fisici che sono di ostacolo alla vita di relazione dei
minorati.
La legge 9.1.1989, n. 13 ha stabilito che sia i nuovi edifici sia quelli già esistenti
devono essere adattati alle esigenze dei portatori di handicap; la disciplina si
applica in via generale a tutti gli edifici, non necessariamente ed esclusivamente a quelli in cui dimorino soggetti affetti da menomazioni o limitazioni funzionali permanenti, giacché la normativa persegue la finalità di consentire la
‘‘visitabilità’’ degli edifici medesimi da parte di tutti coloro che hanno occasione di accedervi e che i portatori di handicap possono avere relazioni con
l’immobile anche di natura diversa dalla proprietà, ad esempio in forza di
un rapporto di locazione (Trib. Milano, 26.4.1993, n. 4466, in Arch. loc., 1994,
130) (sul tema si rinvia al Cap. 3 § 2.3.1).
ESEMPIO
Procedura La richiesta di realizzare l’intervento finalizzato a superare ostacoli
esistenti negli spazi comuni che impediscono un agevole accesso alla proprietà
esclusiva può essere fatta sia dal portatore di handicap sia da chi esercita la
tutela o la potestà o dall’amministratore di sostegno.
L’interessato può essere sia condomino, sia conduttore.
Tale richiesta è opportuno sia formale, quindi è consigliabile sia redatta nella
forma di una lettera raccomandata indirizzata all’amministratore del condominio con cui si chiede l’intervento ed eventualmente si allega un preventivo
di spesa richiedendo la convocazione dell’assemblea affinché deliberi.
Richiesta intervento per abbattere barriere architettoniche
Raccomandata a.r.
Egregio Signor
Amministratore
Oggetto: Condominio via ......n... Città
Egregio Amministratore,
come è già a Sua conoscenza, mia madre, purtroppo, a causa dell’avanzare dell’età ha difficoltà
a deambulare, ma soprattutto, in esito ad una recente caduta che le ha procurato una frattura
del femore, è costretta a muoversi con una carrozzella. Mio padre, invece, pur non avendo
menomazioni, è cardiopatico e diabetico.
Essendo io figlio unico, da sempre ho dato ospitalità ad entrambi i miei genitori e, negli ultimi
anni, a causa dell’avanzare dell’età tale ospitalità si protraeva per mesi, soprattutto d’inverno.
Purtroppo, la situazione dell’edificio condominiale è tale da presentare numerosi ostacoli e
impedimenti all’accesso per persone, come i miei genitori, con difficoltà deambulatorie: la
rampa di scale di acceso dall’androne al punto di partenza dell’ascensore e la dimensione delle
porte dello stesso rendono praticamente impossibile raggiungere il mio appartamento al terzo
piano.
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Compravendita, Condominio, Locazioni
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Innovazioni gravose e voluttuarie
Vorrà quindi con cortese sollecitudine provvedere alla convocazione di un’assemblea affinché
deliberi in ordine a:
1. realizzazione di un servo scala che consenta di accedere alla cabina dell’ascensore
2. ampliamento delle porte di accesso alla cabina dell’ascensore.
Attendo fiducioso di ricevere l’avviso di convocazione e Le porgo i migliori saluti
Il Condomino
L’assemblea di condominio deve deliberare sulla richiesta entro tre mesi
dalla presentazione della domanda: la legge n. 220/2012 ha ritenuto di aumentare il quorum necessario per deliberare le modifiche da apportare alle parti
comuni negli edifici condominiali dirette al superamento o all’eliminazione
delle barriere architettoniche, richiedendo ora, sia in prima che in seconda
convocazione, ‘‘le maggioranze previste dal secondo comma dell’art. 1120
c.c.’’.
La delibera obbliga tutti i condomini, in misura proporzionale, a sostenere la
spesa; se tale maggioranza non è raggiunta, la medesima assemblea può autorizzare la realizzazione dell’opera a condizione che il richiedente se ne assuma
tutte le spese.
Se invece l’assemblea risponde negativamente o non risponde entro il termine
di tre mesi, i richiedenti possono ‘‘installare, a proprie spese, servoscala nonché
strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l’ampiezza
delle porte d’accesso, al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli
ascensori e alle rampe dei garages’’.
Riparto delle spese Salvo diverso accordo, la spesa per l’installazione va
ripartita tra i condomini che partecipano all’iniziativa in ragione dei rispettivi
millesimi di proprietà, al pari di quelle più generali che dovranno essere in
seguito sostenute per gli interventi di manutenzione straordinaria, quali la
sostituzione della cabina o delle porte ai piani e, in linea di massima, quelli
che non dipendono né dall’intensità dell’uso e né dalla vetustà dell’impianto.
Deve invece applicarsi un differente criterio per il riparto delle spese di esercizio dell’ascensore, quelle cioè relative alla forza motrice, alla luce, alla manutenzione ordinaria e alle piccole riparazioni. È pacifico infatti che gli ascensori,
cosı̀ come le scale, vengono utilizzate dai condomini degli ultimi piani in
misura maggiore rispetto a quelli dei piani inferiori e, ancor più, a quelli del
piano terreno che non lo usano affatto. Anche l’ascensore risente quindi di un
maggior logoramento dei suoi congegni meccanici e di tutta la sua struttura
dal maggior uso che ne fanno i proprietari dei piani più elevati. Ecco allora che
per le spese che riguardano la semplice gestione dell’ascensore deve trovare
applicazione lo stesso criterio che la legge detta per la manutenzione delle
scale: esse, in quanto attinenti al godimento dell’impianto, vanno suddivise
tra i condomini per metà in ragione del valore millesimale di ogni singola unità
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Compravendita, Condominio, Locazioni
5. Le innovazioni
immobiliare e per l’altra metà in misura proporzionale all’altezza di ciascun
piano dal suolo (art. 1124 c.c.).
L’obbligo di contribuire alle spese non dipende però dall’uso concreto che i
condomini fanno dell’ascensore, bensı̀ dall’utilizzazione che essi potenzialmente ne possono fare. Non serve quindi accertare se l’impianto venga o meno
usato dal condomino, essendo questi tenuto al pagamento delle spese per il
semplice fatto che la sua unità immobiliare è raggiunta dall’ascensore da cui
può liberamente accedere al pianerottolo.
L’installazione dell’ascensore costituisce – al di fuori dell’ipotesi dell’abbattimento delle barriere architettoniche - una innovazione voluttuaria, nel senso
che la decisione della maggioranza non obbliga i contrari a partecipare alla
spesa: perciò obbligati al pagamento della spesa sono solo coloro che intendono usufruire del servizio. Di conseguenza nulla vieta ad alcuni condomini di
non opporsi all’installazione e nel contempo di dichiarare di non volersi avvantaggiare dell’ascensore, con la conseguenza che coloro che invece si servono dell’impianto dovranno sopportare anche la quota di spesa dei condomini
non aderenti. Costoro possono anche in tempi successivi entrare a far parte
della comunione rimborsando le spese sostenute dai proprietari dell’impianto, una quota cioè comprensiva del costo dell’installazione e della manutenzione straordinaria eventualmente eseguita nel corso degli anni: il tutto tenendo magari presente da un lato la svalutazione della moneta nel frattempo
intervenuta e dall’altro del minor valore dell’opera per vetustà, uso e obsolescenza, onde evitare arricchimenti in danno dei condomini che hanno assunto
l’iniziativa dell’opera.
Condominio con più scale Negli edifici condominiali provvisti di più scale
ciascuna destinata a servire soltanto alcune unità immobiliari, il gruppo di
condomini serviti da tali scale possono deliberare di fare istallare l’ascensore,
indipendentemente dalla decisione che andranno ad assumere i condomini
delle altre scale. Infatti, a norma dell’art. 1123, comma 2, c.c. nel caso in cui
un bene o un servizio sia funzionale ad una sola parte dell’immobile, detta
cosa o servizio deve considerarsi comune non già alla totalità dei condomini,
ma solo a coloro che ne traggono utilità. L’ascensore installato in una sola scala
dell’edificio resta quindi di proprietà dei soli condomini delle unità immobiliari serviti dall’ascensore. Sono loro che devono validamente assumere ogni
decisione riguardante l’impianto, dalla nuova installazione, alla manutenzione, alla messa in sicurezza e all’eventuale sostituzione, senza possibilità per gli
altri di ostacolare o addirittura opporsi alle varie delibere che si ritengono di
adottare.
Quanto alle maggioranze, queste non devono rapportarsi al numero totale dei
partecipanti al condominio, ma solo a quelli beneficati dall’impianto e ai relativi millesimi: un’assemblea parziale esclusivamente legittimata a deliberare su
questioni riguardanti l’ascensore e quant’altro ad esso connesso.
Però se l’ascensore, pur se destinato a servire una sola scala, va ad occupare
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Compravendita, Condominio, Locazioni
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Opere su su parti di proprietà o uso individuale
parte del cortile comune, la decisione circa l’installazione deve necessariamente coinvolgere l’intera collettività condominiale, spettando ad essa di valutare
se il sacrificio imposto all’uso di una parte dello spazio comune trova giustificazione nel maggior vantaggio che solo alcuni condomini traggono invece
dall’impianto dell’ascensore. Spetta pertanto a tutti i condomini l’esame del
progetto esecutivo, relativamente però alla parte dell’impianto che va ad invadere il cortile comune e, non da ultimo, sotto il profilo della rumorosità del
funzionamento dell’impianto onde evitare il verificarsi di intollerabili immissioni di rumore.
Installazione da parte del singolo condomino L’ascensore può essere fatto
istallare anche dal singolo condominio senza la necessità di particolari maggioranze da parte dell’assemblea purché l’opera non comporti oneri di spesa
per gli altri condomini.
Qualora, infatti, un solo condomino decida di assumersi interamente a carico
la spesa dell’opera che intende realizzare sulle parti comuni non serve alcuna
autorizzazione da parte dell’assemblea, nel senso che trova applicazione il più
generale principio (art. 1102 c.c.) secondo cui ciascun partecipante al condominio può servirsi della cosa comune e apportarvi le modificazioni necessarie
per trarne il miglior godimento possibile: il tutto però a condizione che non ne
alteri la destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne uguale uso
secondo il loro diritto. Ciò significa che, ricorrendo tali presupposti, l’assemblea non ha potere per impedire l’esecuzione dell’opera se non in presenza di
oggettivi pregiudizi che da questa possono conseguire all’uso delle scale comuni e, più in generale, all’aspetto architettonico della tromba delle scale nel
suo insieme.
Del pari, il condomino non può vietare agli altri condomini di fare successivamente uso dell’impianto, a condizione però che anch’essi partecipino alle
spese da lui sostenute per l’esecuzione dell’impianto e per la sua manutenzione.
5. Opere su su parti di proprietà o uso individuale
c.c.
n
art. 1122
La legge n. 220/2012 ha cambiato il titolo dell’art. 1122 c.c. in maniera che più
si addice al contenuto di quanto con esso disposto. La ratio del vecchio articolo
1122 c.c. era invero quella di impedire che il condomino, attraverso l’esecuzione di opere nella sua unità immobiliare, arrecasse danno alle parti comuni. Il
divieto riguardava interventi direttamente eseguiti dal condomino sulla sua
proprietà, che andavano però indirettamente ad interessare, danneggiandole,
le parti comuni dell’edificio. Il titolare l’articolo ‘‘opere sulle parti dell’edificio di
proprietà comune’’ appariva dunque ultroneo rispetto al suo reale contenuto
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Compravendita, Condominio, Locazioni
5. Le innovazioni
perché le opere che si intendevano vietare non erano quelle eseguite sulle parti
comuni, ma quelle che il condomino effettuava all’interno della sua proprietà e
che andavano a danneggiare le parti comuni. Da qui l’intervento del legislatore
della riforma che, ancor prima di ampliare il contenuto dell’articolo in esame,
ne muta la titolazione al fine di renderlo più confacente al contenuto, privilegiando quindi il vero senso della norma, quello cioè di vietare le ‘‘ opere su parti
di proprietà o uso individuale’’ che arrecano danno alle parti comuni.
Risponde alle esigenze del modo di vivere attuale ed al sentimento giuridico contemporaneo prescrivere che il diritto di proprietà su una unità immobiliare sita in un
edificio soggetto al regime di condominio venga esercitato non soltanto in funzione
dell’interesse individuale, ma anche in consonanza con le esigenze della convivenza
originate dalla sovrapposizione verticale o contiguità orizzontale delle unità immobiliari o delle parti comuni. L’acquisto di un appartamento in un condominio esige
che il proprietario, nel godimento del suo immobile tenga conto degli interessi afferenti alle altrui proprietà, nonché a quelle comuni tra tutti i condomini.
Anche nella norma in esame, cosı̀ come nel nuovo art. 1117 c.c. il legislatore
della riforma ha abbandonato l’espressione ‘‘piano o porzione di piano dell’edificio’’ scegliendo invece quella più diretta di ‘‘unità immobiliare dell’edificio’’.
In primo luogo è ribadito il divieto per il condomino di eseguire nell’unità
immobiliare di sua proprietà opere che arrechino danno alle parti comuni. A
maggiore chiarimento e con l’intento di rafforzare il previsto divieto, la riforma
ha ritenuto di estendere la portata della norma anche alle parti che, benché
normalmente destinate all’uso comune, siano state attribuite al condomino in
proprietà o in uso esclusivo: si pensi al lastrico solare, al locale ex portineria o a
quello in precedenza adibito a centrale termica o a quant’altro concesso in uso
al condomino in forza di regolamento contrattuale o di decisione assunta con il
consenso unanime della collettività condominiale.
L’uso più intenso non può giungere sino al punto di attrarre la cosa comune o una sua
parte nell’orbita della disponibilità esclusiva del singolo condomino sottraendola in
tal modo alla possibilità di godimento degli altri contitolari, in quanto il diritto di
ciascuno nei limiti della quota si estende su tutta la cosa. Solo uno specifico accordo
concluso da tutti i condomini può legittimare l’utilizzazione della cosa comune o di
una sua porzione da parte di uno o di alcuni dei partecipanti. Al singolo condomino è
consentito servirsi in modo esclusivo di parti comuni soltanto alla duplice condizione
che il bene, nelle parti residue, sia sufficiente a soddisfare anche le potenziali,
analoghe esigenze dei rimanenti partecipanti al condominio e che lo stesso, ove tutte
le predette esigenze risultino soddisfatte, non perda la sua normale e originaria
destinazione, per il cui mutamento è necessaria l’unanimità dei consensi.
La generale definizione che normalmente viene fornita della proprietà esclusiva potrebbe portare a ritenere che il condomino abbia diritto di godere e di
disporre del proprio bene in modo pieno, ossia che ‘‘ciascuno in casa sua possa
fare quello che vuole’’. Non è vero perché, soprattutto nel condominio, il diritto
di ciascun proprietario trova sempre limite nel pari diritto del proprietario
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Compravendita, Condominio, Locazioni
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Opere su su parti di proprietà o uso individuale
dell’appartamento accanto o in quello di tutti gli altri condomini di pacificamente usufruire di godere delle parti comuni condominiali. La legge, infatti, è
adesso ancor più chiara nel prevedere che ciascun condomino, nell’unità immobiliare di sua proprietà esclusiva, non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni dell’edificio.
L’utilizzazione della propria porzione individuale di immobile consentita a
ciascun condomino deve essere riguardata nel modo ritenuto più conveniente
rispetto alle parti comuni dell’edificio, purché non ne derivino pregiudizievoli
invadenze nell’ambito dei coesistenti diritti altrui.
Nel condominio le parti di proprietà esclusiva e quelle comuni costituiscono un tutt’uno e può quindi capitare che il condomino, nell’eseguire lavori nella sua proprietà, vada a pregiudicare, oltre che le unità immobiliare limitrofe per la cui tutela il
singolo proprietario trova individuale rimedio, anche le parti comuni condominiali.
Ecco allora che si giustifica l’intervento del legislatore che, nel dettare in definitiva
una garanzia per le parti comuni verso i danni provocati dal condomino, va a consacrare il principio secondo cui nel condominio il singolo proprietario non può fare un
uso indiscriminato del suo bene in danno degli altri, ma deve soggiacere alle regole di
buon vicinato e di correttezza che devono caratterizzare, o almeno dovrebbero, il
vivere in condominio: il godimento della cosa propria, in poche parole, non deve
recare pregiudizio ad altri.
Il fenomeno è disciplinato anche dal principio della solidarietà, nel senso che il
condomino, anche quando utilizza il bene di sua proprietà esclusiva, è tenuto al
rispetto della qualità della cosa comune. Il danno è quello che colpisce il bene
comune nella sua materialità oppure ne riduce il suo godimento o il suo valore,
ma può derivare anche dall’uso della proprietà esclusiva. E cosı̀, la libertà del
condomino di eseguire opere o trasformazioni nella propria unità immobiliare
trova ora espresso limite nel rispetto del decoro architettonico dell’edificio, delle
distanze legali, dell’uguale godimento delle parti comuni da parte degli altri
condomini e, ancor più importante, ora anche della stabilità e della sicurezza
dell’edificio. Sono queste le regole che devono essere rispettate nell’uso della
propria unità immobiliare sita nell’edificio condominiale, senza con ciò eliminare
il diritto del proprietario di utilizzare il proprio bene di proprietà esclusiva nel
modo che più ritiene opportuno e di eseguire in esso opere che gli consentano il
miglior godimento ed un più comodo uso del bene stesso.
Le modificazioni della cosa comune o di sue parti eseguite dal singolo condomino ai fini di un suo uso particolare diretto ad in migliore e più intenso
godimento del bene stesso costituiscono una consentita esplicazione del diritto
di comproprietà ex art. 1102 c.c. qualora non implichino alterazione della
consistenza e della destinazione del bene e non pregiudichino i diritti d’uso
e di godimento degli altri condomini. Diversamente si risolvono in una innovazione ai sensi dell’art. 1120 c.c
La casistica, assai numerosa, non fornisce per il vero indicazioni univoche,
dovendosi sempre fare riferimento alla fattispecie concreta. Deve, ad esempio,
ritenersi vietata la divisione orizzontale di un appartamento se le opere in
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Compravendita, Condominio, Locazioni
5. Le innovazioni
esso eseguite, pur non andando a pregiudicare la funzione portante dei muri
comuni perché limitate alla demolizione di pareti divisorie, siano idonee a
minacciare la stabilità dell’edificio in conseguenza del fatto che in altri appartamenti del medesimo edificio siano state apportate, magari in tempi di gran
lunga più remoti, pari modifiche che hanno esaurito il margine di sicurezza
statica del fabbricato. Lo spostare una qualsivoglia parete interna di una unità
immobiliare condominiale senza esaminare lo schema costruttivo dell’intero
stabile costituisce grave negligenza da parte del singolo condomino.
L’esercizio del diritto del singolo sulle parti di sua esclusiva proprietà non può
dunque ledere il godimento dei diritti degli altri sulle cose comuni.
Il concetto di danno, cui la norma fa riferimento, non va limitato esclusivamente al danno materiale, inteso come modificazione della conformazione
esterna o della intrinseca natura della cosa comune, ma va esteso anche al
danno conseguente alle opere che elidono o riducono apprezzabilmente le
utilità ritraibili della cosa comune, anche se di ordine edonistico od estetico.
Devono pertanto ritenersi vietate tutte quelle modifiche con comportano un
peggioramento del decoro architettonico del fabbricato. Al riguardo, il decoro
è correlato non solo all’estetica - che è data dall’insieme delle linee e delle
strutture che connotano il fabbricato imprimendogli una determinata armonia
complessiva – ma anche all’aspetto di singoli elementi o di singole parti dell’edificio che abbiano una sostanziale e formale autonomia o siano suscettibili
per sé di considerazione autonoma.
La norma, anche nella sua nuova formulazione, non vieta di mutare la semplice destinazione della proprietà esclusiva ad un uso piuttosto che ad un altro.
Il limite che viene posto è quello di compiere opere che possano danneggiare le
parti comuni dell’edificio o che rechino altrimenti pregiudizio alla stabilità, alla
sicurezza ed al decoro architettonico dell’edificio stesso. Ciò naturalmente
trova applicazione in mancanza di norme regolamentari di natura contrattuale
che vietino determinate destinazioni del bene esclusivo.
Infatti, oltre al limite previsto dalla norma altri ne possono derivare dal regolamento contrattuale: perciò l’obbligo assunto dai singoli condomini di non
eseguire sul piano o sulla porzione di piano di proprietà esclusiva attività che
rechino danno alle parti comuni ha natura di obbligazione propter rem, la cui
violazione, pur se protratta oltre venti anni, non determina l’estinzione del
rapporto obbligatorio e dell’impegno a tenere un comportamento conforme
a quello imposto dal regolamento onde è sempre deducibile, stante il carattere
permanente della violazione, il diritto degli altri condomini di esigere l’osservanza di detto comportamento, potendosi prescrivere soltanto il diritto al
risarcimento del danno derivante dalla violazione dell’obbligo in questione
(Cass. 13.8.2004, n. 15763, in Giust. civ. Mass., 2004, 7-8).
Gli altri condomini potrebbero quindi rivolgersi al giudice, che può inibire la
nuova destinazione, ordinando la rimozione delle opere pregiudizievoli.
All’obbligo che incombe su ciascun condomino di non eseguire, nel piano o
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Opere su su parti di proprietà o uso individuale
porzione di piano di sua proprietà, opere arrecanti pregiudizio agli immobili
di proprietà esclusiva di altri condomini, ovvero alle parti comuni dell’edificio
concesse in uso, in forza di regolamento contrattuale, ad altro condomino,
consegue la responsabilità per i danni dovuti a tali opere, senza che possa
assumere rilevanza l’affidamento delle stesse ad un appaltatore che le abbia,
a sua volta, eseguite in regime di autonomia.
È stato ritenuto sussistere il diritto al risarcimento dei danni patiti da un condomino a
causa del comportamento tenuto da altro condomino che, nel corso dell’estate,
abbia iniziato lavori di sistemazione dei locali di sua proprietà occupando un cortile
condominiale - concesso in uso al medesimo, giusta clausola del regolamento di
condominio, per l’esercizio di un’attività di bar - e protraendo la durata di tali lavori
ben oltre il termine ultimo pattuito tra l’impresa appaltatrice, il titolare dell’esercizio commerciale e l’amministratore di condominio (Cass., sez. II, 24.11.1997, n.
11717, in Giust. civ. Mass., 1997, 2252).
Realizzazione di una veranda La veranda può definirsi come quell’intervento
che realizza la chiusura, prevalentemente con vetri, supportati su metallo o
legno, di spazi scoperti come balconi o terrazze, con opere effettuate dopo
l’ultimazione dell’edificio.
La veranda costituisce, dal punto di vista urbanistico, un aumento di volumetria dell’immobile ed esteticamente comporta una modifica della facciata. Pertanto, prima di procedere alla sua realizzazione, sarà necessario rivolgersi ad
un professionista abilitato (architetto, ingegnere, geometra) che, in base a
quanto prescritto dal Piano Regolatore comunale e dal Regolamento Edilizio,
stabilirà la possibilità di effettuare l’intervento ed eventualmente il tipo di
titolo autorizzativo da richiedere.
Nel caso in cui si tratti di un edificio condominiale, bisognerà richiedere, oltre
al permesso comunale, il consenso dell’assemblea dei condomini. La sua realizzazione in assenza di concessione edilizia integra (se non ricorre anche, la
violazione paesaggistica) il reato di cui all’art 44 lett. b) d.P.R. n. 380/2001
(Cass. pen. 18.5.2011, n. 28927, in D&G, 2011, 22 luglio)
Da un punto di vista strutturale le verande si possono distinguere:
gazebo: struttura costituita dalla sola copertura, ma aperta su almeno tre
lati, non crea nuova cubatura, né aumento di superficie utile (salvo diverse
prescrizioni del regolamento locale) e quindi è sufficiente presentare una
Denuncia di inizio attività, trattandosi di un intervento di manutenzione
straordinaria. Trascorsi 30 giorni dalla presentazione della Denuncia, se non
ci sono osservazioni da parte del Comune, è possibile procedere all’esecuzione dei lavori;
veranda chiusa: costituisce un aumento di volumetria per cui è necessario
richiedere un Permesso di costruire, sempre che questo aumento volumetrico rientri nei parametri concessi dalla strumentazione urbanistica. In questo caso sarà necessario attendere il parere favorevole della commissione
edilizia, prima di procedere ai lavori;
chiusura di un balcone: diverse sono le tipologie:
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5. Le innovazioni
pannelli in vetro e alluminio su parapetto di balconi già chiusi, questa
tipologia determina un aumento della superficie utile, realizza un nuovo
locale e modifica la sagoma dell’edificio richiede la concessione edilizia
veranda ripostiglio, è stata assimilata ad una struttura nuova e aggiuntiva
veranda con pannelli scorrevoli o struttura grigliata in cemento, per questa fattispecie non vi è ampliamento di volume per cui non è necessario
alcun permesso amministrativo
La norma che vieta al condomino di eseguire, nel piano o nella porzione di
piano di sua proprietà, quelle opere che elidano o riducano in modo apprezzabile le utilità conseguibili dalla cosa comune non trova applicazione nel caso
in cui un balcone di proprietà esclusiva venga trasformato da un condomino in
veranda, se non emerge la prova di una apprezzabile limitazione all’ingresso
di luce ed aria nel vano scala sul quale affacciava il balcone per effetto della sua
trasformazione in veranda (Cass. 28.5.2007, n. 12491, in Giust. civ. Mass,. 2007,
5).
La realizzazione di verande incide, infatti, sul bene comune costituito dalla
facciata dell’edificio la cui tutela è apprestata non in modo astratto ed in via
generale, ma nei soli casi in cui il condominio ne faccia un uso illegittimo,
compromettendone l’aspetto esteriore con innovazioni che alterino il decoro
architettonico del fabbricato. L’indagine rivolta a stabilire se in concreto ricorra
il denunciato danno all’aspetto della facciata, rientra nei poteri del giudice di
merito e non è sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata.
Altrettanto vietata è risultata la trasformazione di un balcone in veranda eseguita mediante chiusura in alluminio e vetri chiari, in quanto opera che
modifica le linee architettoniche e l’armonia cromatica della facciata laterale
del condominio (App. Napoli, 28.1.1998, in Il Civilista, 2011, 6, 23).
Anche la chiusura con finestre a vetri con telaio metallico realizzata su balconi di proprietà esclusiva dei singoli condomini è stata giudicata illegittima,
nel caso in cui, limitando la circolazione dell’aria all’interno delle scale e dei
pianerottoli e determinando conseguenti ristagni di odori, è stata ritenuta
idonea a creare situazioni di pericolo o danni alle parti comuni dell’edificio
(Trib. Milano, 26.6.1989, in Arch. loc., 1990, 321).
Va infine considerato che il condomino che abbia trasformato il proprio balcone in veranda, elevandola sino alla soglia del balcone sovrastante, è soggetto
alla normativa sulle distanze di cui all’art. 907 c.c. quando la costruzione
insista su altra area del terrazzo non ricadente in quella del sovrastante balcone, mentre non è tenuto ad analogo rispetto qualora la veranda insista esattamente nell’area del balcone senza debordare dal suo perimetro, in modo da
non limitare la veduta in avanti e a piombo del proprietario sovrastante.
Invece la trasformazione del proprio balcone in veranda, elevandola sino alla
soglia del balcone sovrastante, diviene opera illegittima quando è realizzata
sul terrazzo del condomino in assenza al piano sovrastante di balcone aggettante (Cass. 11.7.2011, n. 15186, in D&G, 2011, 14 luglio).
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