LA LUNGA E TRAVAGLIATA ESPERIENZA DI
SOLDATO “DÈL TUNÌ DI CURNÈLE”
(GIACOMO ANTONIO ZAMBONI)
L’artigliere Zamboni.
Giacomo Antonio Zamboni, detto “Tunì”, nato a Nona, allora comune di Oltrepovo
oggi Vilminore di Scalve, il 14 agosto 1916 da Beniamino e Boni Maria.
Nel centenario della sua nascita ripercorriamo, in queste poche pagine, le drammatiche vicende militari di “Tunì”, che comprendono la partecipazione a tre conflitti e
poi la prigionia in Germania. Al ritorno dalla Russia, ferito e congelato, venne ricoverato all’ ospedale militare di Como dove si recarono a fargli visita i fratelli Piero e
“Batistì”. A far da filo conduttore il suo foglio matricolare che, però, contiene non
poche imprecisioni perché compilato in buona parte dagli uffici preposti dell’Esercito,
nel 1954, cioè, ben 9 anni dopo la fine della guerra.
In alcuni casi usando la logica, in altri con l’aiuto di opuscoli, libri e altro ho cercato
di ricostruire le varie tappe in modo corretto, nella viva speranza di esservi riuscito.
Sergio Piffari. Estate 2016.
Con la visita di Leva, inizia l’odissea!
1° settembre 1936. Visita di Leva al Distretto Militare di Bergamo. Dotato di un fisico
asciutto e di una statura di una decina di centimetri superiore alla media di allora, alto m. 1,76, viene ritenuto abile ed arruolato: Matricola n° 55208.
Lasciato in congedo illimitato.
6 ottobre 1937. Chiamato alle armi al 2° Reggimento Artiglieria Alpina a Merano, alla caserma “Cavour” (in seguito caserma “Francesco Rossi”), con l’incarico di conducente.
24 agosto 1938. Collocato in congedo illimitato.
27 settembre 1938. Iscritto nel ruolo 115 della forza in congedo del Distretto Militare di Bergamo, nel 2° Reggimento della Divisione Alpina “Tridentina”, nella quale
presterà sempre servizio.
28 agosto 1939. Richiamato al 2° Reggimento Artiglieria della Divisione Alpina Tridentina. E’ probabile che in questo periodo sia stato mandato a Gressoney –AO- ed
abbia frequentato la locale Scuola Militare Centrale di Alpinismo, scuola nata il 5
gennaio 1934, soppressa alla fine del 1943, e ripristinata alcuni anni più tardi.
Il suo cappello alpino; è ben visibile il n° 2 che indica il Reggimento di appartenenza.
Il cappello indica anche i reparti dei quali fece parte nelle varie guerre: Il n° 30 della batteria del Gruppo Valcamonica; il distintivo del Gruppo “Val d’Orco” e quello
del Gruppo “Bergamo”. Vi è, inoltre, il distintivo di “Gressoney – La Trinité”.
FRONTE OCCIDENTALE – GUERRA DI FRANCIA (10 – 25 giugno 1940).
Nonostante l’ambasciatore francese a Roma avesse scongiurato l’Italia di non dichiarare guerra al suo Paese che stava soccombendo di fronte ad una straripante Germania, Mussolini mise in atto il suo piano. Il capo del Governo Italiano aveva bisogno, disse, “di qualche migliaio di morti” per potersi sedere al tavolo delle trattative. La Francia considerò il nostro intervento una vera pugnalata alle spalle, ma sul
campo si difese decisamente. In quella che un nostro generale definì “non una battaglia, ma, tecnicamente, una presa di contatto” subimmo 631 morti, 616 dispersi,
2631 feriti. La Francia contò 37 morti, 42 feriti, 150 dispersi…
Hitler, come farà anche in seguito, non ci tenne comunque in considerazione.
L’impreparazione, l’improvvisazione, l’incompetenza dei Comandi Militari, la scarsità
di armamenti e munizioni saranno la costante di tutte le guerre combattute dall’Italia nel secolo scorso.
Sul fronte francese il 2° Reggimento Artiglieria era posizionato nella valle della Dora
Baltea ed era composto dai Gruppi: “Vicenza”, “Bergamo” e “Valcamonica”.
10 giugno 1940: i giornali annunciano l’entrata in guerra del nostro Paese.
11 giugno 1940. “Tunì” arriva in territorio dichiarato in stato di guerra in forza alla
30ma batteria del Gruppo “Valcamonica”.
1 agosto 1940. Lascia il territorio suddetto. Il 2° Rgt. Artiglieria si trasferisce in Alto
Adige.
Non sappiamo esattamente il luogo; “Tunì” è il primo a destra, vicino a lui con
l’obice in spalla, il convalligiano di Barzesto, Catinelli.
FRONTE GRECO – ALBANESE (28 ottobre1940 – 23 aprile 1941).
Per ripicca verso Hitler che aveva invaso la Romania senza neanche avvisarlo, il Duce
dichiarò guerra alla Grecia: era il 28 ottobre 1940. In un suo discorso pronunciò
un’altra frase tristemente famosa: “Spezzeremo le reni alla Grecia!”. Ci imbarcammo
così, senza essere preparati militarmente, in un conflitto che si risolse a nostro favore
solo per l’intervento delle truppe tedesche. Per alcuni reduci il fronte greco-albanese
fu peggio della campagna di Russia, il che è tutto dire!
L’armistizio venne firmato il 23 aprile 1941. Queste per noi le conseguenze:
13.755 morti, 50.000 feriti, 12.000 congelati, 25.000 dispersi da considerare in massima parte caduti sul campo.
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Fronte greco-albanese.
Postazione di artiglieria alpina.
19 novembre 1940. “Tunì” inquadrato nel Gruppo Artiglieria “Val d’Orco”,
s’imbarca a Brindisi per l’Albania.
21 novembre 1940. Sbarco al porto di Durazzo; giunto, quindi, in territorio dichiarato in stato di guerra.
Il Gruppo “Val d’Orco” viene aggregato al 5° Regg. Alpini e ne condivide le tragiche
vicende sulle montagne greche col freddo che congela i soldati e blocca le armi.
Famose le battaglie per la conquista del monte Guri I Topit, conquistato e perso più
volte, con altissime perdite da ambo le parti.
Muli e conducenti.
5 luglio 1941. Partito per l’Italia, imbarcato a Durazzo sulla nave “Quirinale” e
sbarcato a Bari.
L’artigliere di montagna Zamboni se ne torna in Alto Adige col 2° Reggimento Artiglieria Alpina.
Il giorno 31 luglio 1941 riceve Lire 437, per non aver fruito della licenza ordinaria di
30 giorni, maturata dal 10/6/1940 al 10/6/1941.
Il 17 luglio 1942 riceverà Lire 315, per non aver fruito della stessa dal 10/6/1941 al
10/6/1942.
LA CAMPAGNA DI RUSSIA.
Dopo aver inviato sul fronte russo lo C.S.I.R (Corpo di Spedizione Italiano in Russia)
nel 1941, nell’estate del 1942 venne la volta della ben più consistente A.R.M.I.R.
(Armata Italiana in Russia): 229.000 uomini agli ordini del gen. Italo Gariboldi.
Di tale grande Unità faceva parte anche il Corpo d’Armata Alpino con al comando il
gen. Gabriele Nasci che disponeva delle Divisioni Cuneense, Julia e Tridentina; in totale 55.000 uomini. Ogni Divisione contava circa 16.000 effettivi.
La Tridentina (gen. Reverberi), era composta dal 5° e 6° Reggimento Alpini, dal 2°
battaglione Genio e dal 2° Reggimento Artiglieria Alpina (Gruppi: “Bergamo”, nel
quale militava “Tunì”, “Valcamonica” e “Vicenza”).
Che sia stata un’altra, immensa, catastrofe è noto, con soldati morti in gran parte
dei casi per congelamento. Cosa abbia vissuto sul fronte russo e nella tragica ritirata
chi è ritornato l’abbiamo saputo, almeno in parte, dai numerosi libri autobiografici;
la maggioranza dei reduci non ha voluto parlare di quello che aveva patito, e visto,
per moltissimi anni. Leggiamo ora alcuni dati della drammatica spedizione.
Nell’ A.R.M.I.R. le perdite ammontarono, ufficialmente, a 114.520 militari, pari al
50% degli effettivi; i superstiti del Corpo d’Armata Alpino furono 11.000, il 20% di
coloro che partirono per la Russia. Il C.A Alpino aveva in organico più di 14.000 muli,
ne tornarono meno di 1.000. Se per il trasporto in Russia del C.A. Alpino erano state
necessarie 200 tradotte, per il ritorno ne bastarono 17!
Ripercorriamo la tragedia con “Tunì”:
26 luglio 1942. Partenza con la tradotta dalla zona di Torino ed arrivo, dopo una
quindicina di giorni a Gorlovka.
Il viaggio proseguì a marce forzate verso le montagne del Caucaso, destinazione
iniziale, ma, per sopravvenute esigenze di guerra, le truppe vennero deviate in direzione del bacino del Donetz e poi del fiume Don. Sempre marciando affardellati incontrarono: Novo Gorlovka, Rykovo, grande centro industriale, Ivanovka, Voroscilovgrad, Millerovo (26 agosto), Podgornoje sede dei magazzini e dell’ospedale da
campo e da qui giunsero al fronte del medio Don, a pochi chilometri. Il C.A.Alpino si
schierò tra Novo Kalitwa e Pavlowsk, per un totale di circa 80 chilometri. La Tridentina vi arrivò alla fine di agosto; alla sua sinistra aveva la 2° Armata Ungherese (che
al momento della ritirata smobilitò senza nemmeno avvisare), alla sua destra la
Julia e quindi la Cuneense. Alle spalle del C.A. Alpino c’era di riserva la Divisione di
Fanteria Vicenza, 10.000 uomini ancora peggio vestiti e senza un solo cannone!
Più a sud le altre Divisioni italiane intervallate da reparti germanici.
Le truppe alpine consolidarono il fronte nelle zone di competenza costruendo rifugi
sotterranei e camminamenti di collegamento, resistendo ai vari attacchi russi.
La sera del 17 gennaio 1943 il giovane alpino milanese, Ugo Balzari, portò l’ordine di
abbandonare le posizioni e ripiegare: con gravissimo ritardo iniziava la funesta
ritirata.
La tragica ritirata.
Dopo aver abbandonato precipitosamente i loro rifugi i soldati della Tridentina si
diressero verso Podgornoie dove regnava un caos infernale, in un viavai di militari di
ogni Corpo e nazionalità, molti dei quali già senza armi. Vennero dati alle fiamme i
magazzini e venne distrutto ed abbandonato tutto il resto, ad eccezione di armi e
munizioni. Tra i nostri soldati cominciò a circolare la voce che erano stati accerchiati
e chiusi in una sacca dalle truppe sovietiche, iniziarono quindi, con temperature che
di notte oscillavano tra i 35° ed i 40° sottozero, la drammatica marcia verso ovest,
verso la salvezza. In testa alla colonna vennero chiamati i reparti ancora organici che
sostennero numerose battaglie per aprire, a prezzo di sanguinosi scontri, la strada
verso casa alla numerosa colonna di sbandati. Come già detto, numerosissimi furono
i morti congelati, coloro che si salvarono ebbero un aiuto dalla gente dei vari paesi
incontrati,pur nella loro situazione di estremo disagio.
La lunghissima colonna di disperati.
Rivediamo le varie battaglie sostenute. Il 18 e 19 gennaio ad Opyt e Skororyb, il 20 a
Postojali, il 21 a Nova Charchovka, il 22, sanguinosissima, a Seljakino, dove “Tunì “
venne ferito all’anca sinistra (durante la ritirata subirà anche il congelamento del
piede sinistro).
Il 24 ed il 25 fu la volta di Arnautovo e Nikitovka, altre tappe molto dolorose per le
truppe alpine, per arrivare al 26 gennaio, giorno della famosa e decisiva battaglia di
Nikolajevka. In quella cittadina i sovietici avevano predisposto tutto per chiudere
definitivamente la sacca ed imprigionare il nemico. Dopo una giornata in cui si contarono da parte nostra numerosissime vittime, le truppe della Tridentina, tra le quali
si distinse il battaglione Edolo, reparto ancora efficiente che contava tra le sue file un
buon numero di scalvini, riuscirono ad oltrepassare il tristemente famoso sottopasso
della ferrovia e ad entrare nel paese. Gli artiglieri del Gruppo “Bergamo” portarono
le slitte coi feriti in una chiesa, nel tentativo di ripararli dal freddo e dalle bombe.
Oggi Nikolajevka è un sobborgo della città di Livenka.
Il sottopasso ferroviario che costò la vita a numerosissimi nostri soldati.
Ecco cosa pensavano nel frattempo a Roma. Dal “Diario 1939 – 1943” di Galeazzo
Ciano, Ministro degli Esteri e genero di Mussolini:
“ 28 gennaio 1943. Il Duce continua a vedere abbastanza ottimisticamente la situazione in Russia. Crede che i tedeschi hanno uomini, mezzi, energia per dominare gli
eventi e forse per capovolgerli… Non si può dire che le idee del Duce siano condivise
dal colonnello Battaglini, capo di Stato Maggiore della 3° Celere, reduce dalla Russia.
Ha fatto un quadro come più scuro non sarebbe stato possibile…”
Intanto la lunghissima marcia verso “baita” non era ancora finita, molti furono ancora i chilometri da percorrere a piedi tra diverse insidie, ma praticamente senza più
scontri a fuoco; fu attraversato Belgorod fino ad arrivare a Gomel, dove incontraro-
no il primo caposaldo tedesco. I feriti vennero trasferiti a Charkov e lì caricati, spesso
su carri –bestiame, sui treni per l’Italia.
Riprendiamo il percorso personale di un malconcio “Tunì”:
12 febbraio 1943. Partito dal territorio dichiarato in stato di guerra.
16 febbraio 1943. Ricoverato all’ospedale militare di Como, proveniente dalla Russia; cessa di essere mobilitato perché trasferito al reparto deposito.
3 marzo 1943. Dimesso dall’ospedale militare di Como ed inviato in licenza di convalescenza per 50 giorni.
21 aprile 1943. Visita di controllo all’ospedale militare di Como.
22 aprile 1943. Dimesso con licenza di convalescenza di 30 giorni.
22 maggio 1943. Rientrato al 2° Reggimento Artiglieria Alpina, di stanza in alcune
caserme del Trentino Alto Adige.
Più sfortunato fu un altro giovane di Nona che condivise con “Tunì” la campagna di
Russia nel 2° Reggimento Artiglieria Alpina, Vittorio Cirillo Piccini, dato per disperso
dal 22 dicembre 1942.
LA PRIGIONIA.
Nostri soldati prigionieri dei tedeschi.
L’8 settembre 1943, l’Italia firma l’armistizio con gli Alleati. Il re, Vittorio Emanuele III°, il gen. Badoglio ed il suo governo fuggono a Pescara e poi a Brindisi, centinaia
di migliaia di soldati italiani restano senza guida, sbandati; 800.000 di loro vengono
fatti prigionieri dagli ex alleati tedeschi che si aspettavano la piega presa dagli avvenimenti. Chi non accetta di passare dalla loro parte, circa il 90%, viene inviato, prima
a piedi e poi su vagoni piombati, in Germania ed avviato ai lavori forzati o internato.
Viene data loro la denominazione di I.M.I. (Internati Militari Italiani) e non gli viene
concesso nemmeno lo status di prigionieri di guerra.
Tra questi, “Tunì”!
8 settembre 1943. Sbandato.
9 settembre 1943. Catturato dalle truppe tedesche ed avviato verso la Germania.
1 luglio 1945. Rientrato al Distretto Militare di Bergamo.
2 luglio 1945. Inviato in licenza di rimpatrio
2 agosto 1945. Lasciato in licenza, senza assegni, in attesa di congedo.
15 settembre 1945. Collocato in congedo in data 17/9/1945.
Purtroppo, dopo essersi salvato da rischi e pericoli di ogni sorta, perde la vita a soli
42 anni, il 15 aprile 1958, in seguito ad un tragico incidente sul lavoro nelle miniere
della Manina, a due passi da casa.