Marinella Anaclerio sceglie il duro testo di Norén: «Il nostro orrore

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Spettacoli 13
Corriere del Mezzogiorno Mercoledì 11 Gennaio 2012
BA
«La bisbetica
domata» domani
al teatro Verdi
BRINDISI — È ambientata in un
futuro abitato da elfi e troll La
bisbetica domata che, sulle
musiche di Goran Bregovic, il
regista Armando Pugliese fa
rivivere al Nuovo Teatro Verdi di
Brindisi, domani e venerdì alle
20.30, intrecciando le tre trame
della commedia in un gioco scenico
divertente del quale sono
protagonisti Vanessa Gravina ed
Edoardo Siravo (nella foto). Il
capolavoro di William Shakespeare,
primo appuntamento del 2012 per
la stagione della Fondazione
Nuovo Teatro Verdi firmata da Italo
Nunziata, è, infatti, una festa di
storie incrociate, scambi d’identità,
manipolazioni linguistiche in una
Padova reinventata dall’autore, che
descrive la vigorosa conquista
dell’irrequieta e ribelle Caterina da
parte del caparbio Petruccio. Dopo
La bisbetica domata la
programmazione del Nuovo Teatro
Verdi proseguirà il 2 e 3 febbraio
con il Cyrano di Bergerac di
Rostand interpretato e diretto da
Alessandro Preziosi, mentre è
slittata al 5 e 6 febbraio L’opera da
tre soldi di Brecht e Weill con
Massimo Ranieri, Lina Sastri e Gaia
Aprea, in un primo momento
prevista il 25 e 26 gennaio. Info
0831.56.25.54.
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Teatro Oggi al Royal «prima» nazionale (con repliche fino a domenica) dello spettacolo della regista barese
In scena a Roma
«Guerra» senza fine
Gianfranco
Berardi
prova a volare
con Modugno
TARANTO — Rischiare,
lasciare tutto, partire per un
viaggio ignoto inseguendo i
propri sogni. Con una
chitarra, degli accordi in testa,
una bella presenza e una voce
potente, dai piccoli locali di
una provincia del Sud ai
palcoscenici della grande città
e del mondo intero. È la storia
di Domenico Modugno. La
storia di un talento e della sua
inquietudine. È la voglia di
Gianfranco Berardi di dire a
tutti, dal palcoscenico di un
teatro, Io provo a volare.
Omaggio a Domenico
Modugno. Dall’urgenza di
queste parole, nasce il titolo e
lo spettacolo di teatro
canzone che l’attore tarantino
ha portato in scena ieri sera al
teatro Ambra Garbatella di
Roma e che replicherà nella
capitale fino al 22 gennaio. Un
atto unico nato dal lavoro
della compagnia
Marinella Anaclerio sceglie
il duro testo di Norén:
«Il nostro orrore quotidiano»
BARI — «Una giornata qualsiasi di una famiglia sopravvissuta a una guerra civile, che cerca
di capire da dove e come ricominciare». Inizia così Guerra, il dramma crudo e violento del drammaturgo svedese Lars Norén, rappresentato per
la prima volta in Italia con la regia di Marinella
Anaclerio. In scena da questa sera sino al 15 dicembre al teatro Royal di Bari, per la stagione di
prosa del Comune organizzata dal Teatro pubblico pugliese (ore 21, festivi ore 18). E poi il 4 febbraio al teatro Paisiello di Lecce. L’attrice barese,
già regista dei Fratelli Karamazov, ritorna a teatro con un’altra saga familiare che indaga nell’animo umano superando limiti di tempo e spazio. Non si sa con precisione in quale Stato si trovino i protagonisti, forse Bosnia, Kosovo o Cecenia, né da quale guerra siano reduci: il dramma
gioca con lo spettatore dandogli solo degli indizi. Manrico Gammarota è il marito e padre che
torna invalido (ceco), Antonella Attili, invece, è
la donna, moglie che è restata e che ha dovuto
lottare per sopravvivere con le sue figlie.
Marinella Anaclerio, una prima nazionale
che si presenta già come una grande sfida.
«Potrei dire che portare in scena quest’opera è
stato molto più difficile rispetto ai Fratelli Karamazov di Dostoevskij. Il testo di Norén è contrappuntato da silenzi e non detti, che vanno riempiti sul palcoscenico. Devo far succedere qualcosa!»
Perché ha scelto questo testo?
«E’ una parabola del nostro orrore quotidiano.
Mi ha colpito la precisione della scrittura di
Norén, che riesce con una sintesi mirabile a restituire in poesia l’orrore di cui tutti siamo portatori sani. Non permette ai suoi personaggi di rivelarsi se non costretti. Ci sono pochi commenti,
tutto si sviluppa nell’azione e nella relazione».
Come ha scelto gli attori?
«Scegliere gli attori è già la metà del lavoro di
un regista. Appena ho finito di leggere Guerra ho
pensato subito a Gammarota, con cui avevo già
lavorato per un progetto sperimentale. Mi piace
perché non è un attore formale, riesce a portare
sulla scena un’umanità profonda. Per il ruolo di
moglie e madre non potevo non scegliere Antonella Attili, già mamma in Nuovo cinema paradiso di Tornatore; ritengo che sia un’attrice con
una profonda sensualità materna. Poi ci sono ancora Pietro Faiella, il fratello del padre e amante
di Antonella, Ornella Lorenzano e Cristina Spina,
le due figlie. La giovane Spina, fu molto apprezzata dalla critica già nei Fratelli Karamazov, dove
l’avevo scelta per il ruolo della fidanzata di Alekseij».
"Guerra", prodotto da Compagnia del Sole e
dedicato al grande tema delle nazioni e dell’identità, è stato commissionato dal Mittelfest
2011 che lo ha presentato a luglio in anteprima.
Che risposta c’è stata da parte del pubblico?
«E’ stata la prima prova e sono fiera di come
sia andata, lo spettacolo s’inseriva benissimo in
quel contesto. Guerra parla anche dell’angosciosa realtà dei popoli della Mitteleuropa e lì, in
Friuli, a pochi chilometri dalla Slovenia, ha avuto
effetto. In quest’opera si sente forte anche il
dramma dell’emigrazione, che tanti popoli vivono ancora oggi».
Pensa che la cronaca contemporanea sia rappresentabile a teatro? Proprio pochi giorni fa il
Teatro pubblico pugliese, per il progetto
"Short Latitude", ha proposto un confronto
con due drammaturghi della nuova generazione inglese: Gupreet Kaur Bhatti e Steve Waters.
«Penso che la cronaca a teatro ha un senso solo se passa attraverso la trasfigurazione dell’artista. Per esempio, Sarah Kane riusciva a portare
l’attualità in scena in modo metaforico; io fui
una delle prime in Italia a rappresentare la sua
opera Phaedra’s Love».
E in Italia, invece?
«Qui è difficile crescere come drammaturghi,
perché scrivere su questi temi significa che c’è
qualcuno che te li produce e li accetta nel suo teatro, e qui non è così. Il Tpp ha fatto una buona
promozione della scrittura con questo progetto,
ma è molto difficile riuscire in questa impresa.
Purtroppo se non c’è il nome di grido non ti comprano lo spettacolo. Sono certa che venderei di
più con La locandiera di Goldoni che con Guerra».
Michela Ventrella
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Manrico Gammarota e Antonella Attili sono i protagonisti in scena di «Guerra»
«Nel Gioco del Jazz» Al teatro Forma
La Zavalloni «chanteuse»
rilegge i classici
di Charles Aznavour
BARI — Ci sono artisti che, quando si muovono su versanti diversi,
fanno storcere il naso ai puristi dei
vari fronti. Se nasci jazzista non
puoi morire interprete classico, tanto per dirne una. Con le dovute, pochissime eccezioni, naturalmente.
Tra le quali rientra a pieno titolo il
«caso» Cristina Zavalloni, la «musa» del compositore olandese Louis
Andriessen, che per lei ha scritto alcuni dei suoi più recenti capolavori, tra cui Passeggiata in tram per
l’America e ritorno,
Racconto dall’Inferno
e il ruolo di Dante nella Commedia, con cui
la cantante bolognese
ha debuttato alla Carnegie Hall di New
York nel 2010. Un «caso» perché nessuna,
come Cristina Zavalloni, spazia con disinvoltura dalla lirica pura al pop, passando Charles Aznavour
dai Folk songs di Luciano Berio, che furono il cavallo di
battaglia di Cathy Berberian, al nu
jazz di Nicola Conte e al repertorio
di Gershwin ripercorso in duo col
funambolico pianista Stefano Bollani, oppure dal canto declamato dell’opera da camera La voix humaine
di Poulenc a Eleonor Rigby dei Beatles, o ancora dall’Incoronazione di
Poppea di Claudio Monteverdi, capolavoro del repertorio antico, al
Pierrot lunaire di Arnold Schönberg, emblema del teatro musicale
del Novecento, per arrivare alle canzoni di Charles Aznavour.
Sì, proprio lui, lo chansonnier
francese di origini armene tornato
a Bari nel novembre del 2009 ventitre anni dopo la sua ultima appari-
zione. Contemporaneamente, ma
senza volerlo, Cristina Zavalloni gli
dedicava parte di un disco pubblicato dall’Egea, Solidago, le cui canzoni sono il piatto forte del concerto
che l’artista terrà domani sera, alle
21, al teatro Forma di Bari per l’associazione Nel Gioco del Jazz accompagnata dal gruppo Idea, vale a
dire Stefano De Bonis al pianoforte,
Antonio Borghini al basso elettrico
e Cristiano Calcagnile alla batteria
(info 338.903. 11.30, biglietti da 15
a 25 euro).
La lampadina si accende nel 2007, quando la Zavalloni, a passeggio per Parigi, entra in un negozio di
dischi e compra
un’antologia dell’artista francese. Colpo di
fulmine, Aznavour diventa per lei un punto di riferimento in
tema di leggerezza.
Infatti, a colpire la
cantante è l’atmosfera scanzonata
dei brani. Così, accanto al tradizionale greco Kaigomai - kaigomai, all’intramontabile Que sera sera
(una bonus track con ospite il pianista Andrea Rebaudengo) e a pezzi della stessa Zavalloni, che tra le
tante cose si diletta con la composizione, nel disco Solidago finiscono
Si tu m’emportes, La mamma, Io
tra di voi, Vivre avec toi e Qui?,
una sorta di summa del vastissimo
repertorio di Aznavour, che anche
riletto da quest’interprete di grande talento diventa occasione irresistibile per gli amanti della buona
musica.
Francesco Mazzotta
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Cristina Zavalloni, cantante capace di passare dalla lirica al jazz
L’omaggio in un cd
«Solidago», virtuosismi
tra melò e leggerezza
BARI — Solidago è il terzo album Egea e il secondo
progetto discografico che Cristina Zavalloni ha realizzato
insieme alla formazione Idea, con la quale ha avuto modo
di sperimentare molte soluzioni sonore durante una breve
ma intensa attività dal vivo. Ma con Solidago la cantante
bolognese ha voluto soprattutto
celebrare la sua recente scoperta,
Charles Aznavour, con una ricercata
selezione di brani, tra cui Les plaisirs
démodés, Qui?, Vivre avec toi, Si tu
m’emportes e La mamma. E oltre a
regalarsi un momento di passione per
il folk, evocata nell’adattamento del
rembetiko greco Kaigomai-kaigomai,
contemporaneamente ha voluto
Il cd «Solidago»
presentare diverse sue composizioni,
tra cui Ci vengo, Teaching Job, Aspetto il silenzio, un
omaggio alle avanguardie condensato nella suite Solidago
Compositum e un tributo ai newyorchesi Alarm Will
Sound con Alarm Will Solidago. (f.maz.)
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Berardi-Casolari, in
collaborazione con il Teatro
Stabile di Calabria e il festival
Castel dei Mondi. La regia è
curata dallo stesso Gianfranco
Berardi, assieme a Gabriella
Casolari. In un vecchio teatro
abbandonato e buio, quattro
musicisti-marionette
lentamente si risvegliano.
Sono Davide Berardi, fratello
di Gianfranco, chitarrista e
voce solista, Giancarlo
Pagliara, fisarmonicista,
Vincenzo Pede,
percussionista, e Francesco
Salonna, contrabbassista.
Raggiunti i propri strumenti
improvvisano un tema
musicale tetro fino a ritrovare
l’armonia di Amara terra mia.
La canzone della passione dei
migranti. Le note, poi,
riarrangiate, volano sul
Vecchio frack che introduce lo
spirito del teatro che si fa
spazio e luce con una candela
in mano. Lo spirito è il viso
scarno e pallido di Berardi. Il
suo corpo dinoccolato e agile,
calamita il pubblico col
monologo, accompagnato
dalle note e dalle parole delle
canzoni di Modugno, e gioca
con il suo essere non vedente.
«Vedere o non vedere - dice
lo spirito - questo è il
problema, guardare dritto in
faccia la realtà che mi
circonda e mi spaventa, e
affrontarla con coraggio per
cercare di cambiare, o tenere
tutto quanto dietro un velo
che mi copre gli occhi ed il
cuore e m’impedisce di
soffrire?». Il viaggio dello
spirito termina «volando», a
suo modo, tra le note di Nel
blu dipinto di blu.
Gino Martina
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