Istantoni in meccanica quantistica

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Università degli Studi di Firenze
Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Corso di laurea in Fisica
Tesi di laurea triennale
Istantoni
in
Meccanica Quantistica
Candidato: Michele Miccinesi
Relatore: Prof. Domenico Seminara
Anno Accademico 2008-2009
Indice
L’approccio di Feynman alla meccanica quantistica
1
4
Metodo perturbativo: sinossi
Derivazione di U g
5
Calcolo perturbativo degli autovalori - Traccia
7
Calcolo perturbativo degli autovalori - Laplace
7
Una manciata di esempi
7
11
Istantoni
La doppia buca quartica: una soluzione artigianale
13
Coordinate collettive
Spettro e autofunzioni di − ∂τ2 +
Calcolo del determinante via ζΛ
ω 2
2(3qc2 − 1)
2
Separazione degli autostati fondamentali
Continuazione analitica degli autostati: “energia” immaginaria
Continuazione analitica di un integrale
1 d2
1
11
1
H = − 2 dq2 + 2 q 2 + 4 gq 4
Una prospettiva più ampia: “the Shifting Method”
14
15
18
18
18
19
19
Contributo dell’istantone alla funzione di partizione
22
L’istantone non c’è più
24
Un’infinità di buche
24
Multiistantoni
26
Energie complesse ed espansione perturbativa: integrali di dispersione
28
Ritorno ai multiistantoni nella ex-doppia buca (g < 0)
29
Epilogo
30
Bibliografia
31
Ringrazio il relatore per l’approccio in stile prolem-solving con cui mi ha introdotto alla questione
(di sua spontanea volontà!)
qui non esistono isole
L’approccio di Feynman alla meccanica quantistica
Nel 1933 Dirac osservò che secondo le conoscenze del tempo l’azione, nonostante giocasse un
ruolo fondamentale nella meccanica classica, sembrava non averne uno importante in meccanica
quantistica; proseguì dunque speculando come si potesse riparare questa incongruenza, arrivando
alla conclusione che in meccanica quantistica il propagatore “fosse analogo” in qualche modo a
iS
exp[ ~ ], dove S è l’azione classica valutata lungo il percorso classico.
Il primo a cogliere profondamente le possibilità di una tale proposta fu Feynman che, quando venne
a sapere dell’articolo di Dirac da un fisico europeo in visita, era già alla ricerca di una formulazione
della meccanica quantistica in cui la meccanica classica apparisse naturalmente per il limite di ~
zero. Una riflessione accurata e quantitativa sul lavoro di Dirac lo condusse alla nota formulazione
della meccanica quantistica in termini di integrali sui cammini, che colpisce senz’altro per le possibilità di interpretazione fisica del propagatore (da cui il nome della riformulazione). L’articolo (non
accettato da Physical Review ) fu pubblicato nel 1948; Feynman non si addentrò nei fondamenti
matematici di una teoria rigorosa dell’integrazione funzionale, tuttavia si augurò che qualcuno
svolgesse un tale lavoro; una tale necessità fu ribadita da Dyson in occasione delle “Gibbs lectures”
tenutesi nel gennaio 1972 [Dys1972 ], sottolineando come nell’ambito dell’integrazione sui cammini
abbondassero risultati, sperimentalmente corretti e significativi, ricavati con manipolazioni vietate
o non giustificate dalla teoria (già un mese dopo l’invito Morette impostava una prima risposta in
[Mor1972 ]). Le basi matematiche sono tutt’ora in evoluzione.
Per quel che concerne il presente scritto è sufficiente la teoria primordiale in uno spazio con metrica
piatta (in realtà quasi ovunque lavoreremo in spazi unidimensionali nonché con hamiltoniane non
afflitte da problemi di riordinamento nel passaggio alla versione operatoriale).
Ricaviamo dunque dall’equazione di Schroedinger l’espressione come integrale sui cammini nello
p2
spazio delle configurazioni per il propagatore U di un’hamiltoniana unidimensionale H = 2m + V (q),
dove p è il momento e q la coordinata spaziale.
∂U
Dall’equazione di Shroedinger i~ ∂t (t, t ′) = HU (t, t ′) si deduce che l’operatore d’evoluzione soddisfa
le proprietà di semigruppo U (t2, t1)U (t1, t0) = U (t2, t0) che permettono di scriverlo come prodotto
ordinato nel tempo di propagatori per frazioni dell’intervallo di tempo:
U (t, t ′) =
n
Y
m=1
U (t ′ + εm, t ′ + ε(m − 1)) , ε =
Studiamo allora (con notazione ovvia) U (ε) = e
< q|e
−
iHε
~
|q ′ > =
Z
dk < q|e
−
iHε
~
−
iHε
~
t − t′
.
n
nella base delle coordinate spaziali:
|k > < k|q ′ > =Id= R
dk|k> <k|
Z
q
dk −ikq ′ − iεH
e
e ~ eikq
2π
~2
dove H q = − 2m ∂ q2 + V (q); siccome qualsiasi a complesso vale ∂ qnea q = ea q (a + ∂ q )n, troviamo
iε
e
~2
− ~ (− 2m ∂ q2 +V (q)) ikq
e
= eikq e
1
iε
~2
− ~ (− 2m (∂ q +ik)2 +V (q))
perciò
< q|U (ε)|q ′ > =
Z
dk
e
2π
~2 2
~2
iε
~
− iε 2m k2 −i(q −q ′)k − ~ − 2m ∂q − m ik∂ q +V (q)
e
;
espandendo in serie l’ultimo esponenziale nell’equazione precedente arriviamo a
< q|U (ε)|q ′ > =
n n
Z
i
m
ε~
im
k − ε~ (q −q ′) X
(q −q ′)2
iε
1
~2 2 ~2
dk − 2
m
e
−
−
∂ q − ik∂ q + V (q)
=
= e 2ε~
~
m
n!
2m
2π
!n
2
q
r
n
i
m
′
q Z
im
(q − q ′)2
1
iε
~3
~2 2
du − 2 u− ε~ (q − q ) X
m
2ε~
e
−
∂ −i
u∂ q + V (q)
=e
;
−
~
n!
εm
2m q
ε~
2π
q
2
q
adesso notiamo che l’ultima somma è pari a
!j
r
n
iε
1 X
~3
~2
−
∂q − i
u ∂ qjV n− j (q) =
−
~
n!
εm
2m
n>0
06j 6n
!j −k
r
k
n
j −k
i
1
~2
~3
j j+k n−j
n− 2
u
−
−
−i
ε
∂
V
(q),
k q
~ n!
2m
m
X
=
X
06k6 j 6n
che con un cambio di indici che separi le potenze di ε diviene
X
06z6 y6x
X
x+z
1
i~
ε
x+ 2
εx
1
0 6z −16 y6x
1
i~
r !2z
y −z
~2
1 ~3
y + z 2y x−y
−
u2z
∂q V
+
2z
i m
2m
y −z+1 r 3 !2z −1
1 ~
1
~2
y + z 2y+1 x−y
u2z −1
∂
V
.
−
2z − 1 q
i m
(x + z)!
2m
1
(x + z)!
x+z
Per integrare sostituiamo v = u −
q
m
(q
ε~
− q ′) e, assumendo che ciò sia corretto, scambiamo
somma con integrazione; riordinando le potenze di ε derivanti dalle potenze di u e osservando
n+ 1 R
R
2
2
1
1
2
Γ n + 2 , si
che l’integrale gaussiano
dv v 2n+1e−αv è nullo, mentre
dv v 2ne−αv = α
ottiene l’espansione seguente del propagatore in potenze di ε:
< q|U (ε)|q ′ > =
r !2z+w
y −z
qm X
2
x
X
im
(q − q ′)2 1
1
~
~3
ε

−
e 2ε~
×
x+z+w
i m
2m
(x + z + w)!(i~)
2π ε~
06w 06z6y6x

w
q
2 z+ 12 1
m
2z + w y + z + w
(q − q ′)
Γ z+
∂ q2y+wV x− y(q)  .
×
w
y −z
2
i
~

Riassettando i contributi dei vari fattori
X
X
06w 06z6 y6x
q
im
(q −q ′)2
m
< q|U (ε)|q ′ > = e 2ε~
×
2πiε~
1
y
(q ′ − q)w ε x
~2
y + z + w Γ z + 2 2y+w x− y
z 2z + w
−
∂
V
,
( − 4)
1
w
y −z
(x + z + w)! i~
2m
Γ 2
che può essere utilizzata di per sé per calcolare l’operatore d’evoluzione per tempi finiti.
2
Troncando invece l’espansione al prim’ordine in ε ricaviamo in particolare
im
(q − q
< q |U (ε)|q ′ > = e 2ε~
=e
!
q m
ε X (q ′ − q)w w
2
1+
∂ V (q) + O(ε ) =
(1 + w)!
2πiε~
i~
′)2
w
!
Z
q m
X λw(q ′ − q)w
ε 1
w
2
dλ
1+
∂ V (q) + O(ε ) =
w!
2πiε~
i~ 0
im
(q − q ′)2
2ε~
w
=e
im
(q − q ′)2
2ε~
q
ε
m
1+
i~
2πiε~
Z
1
0
′
2
!
dλV (q + λ(q − q)) + O(ε ) =
"
!
#
Z 1
q m
iε 1 (q − q ′)2
′
2
exp
m
−
dλV (q + λ(q − q)) + O(ε ) ;
=
~ 2
ε2
2πiε~
0
il primo addendo nell’esponenziale induce nel propagatore un comportamento di rapida oscillazione
√
per |q − q ′| ≫ ε , perciò potremmo approssimare linearmente la media sul potenziale (ovvero
troncare lo sviluppo al prim’ordine in q − q ′):
′
< q|U (ε)|q > =
q
"
#
2
!
m
iε 1
q − q′
q + q′
2
′2
exp
m
+ O(ε ) + O(ε|q − q | ) .
−V
2πiε~
~ 2
ε
2
Per inciso, la “prescrizione del punto medio” è spesso chiamata ordine di Weyl; infatti si dimostra
semplicemente, ad esempio per induzione, che data un’hamiltoniana generica H(p, q), indicando
con un pedice W il riordinamento alla Weyl, i.e. l’ordinamento completamente simmetrico degli
P
operatori coniugati p̂ e q̂ descritto dalle funzioni generatrici (αp̂ + βq̂ )n = α jβ n− j nj (p̂ j q̂ n−j )W ,
si ha
Z
q + q′
dp ~i p(q − q ′)
.
< q|HW (p̂ , q̂ )|q ′ > =
e
H p,
2
2π~
Nel nostro caso l’hamiltoniana non soffre di ambiguità di ordinamento nel passaggio alla versione
operatoriale, sì che l’appellativo suddetto affonda le radici in terre altrui.
Tornando all’espressione dell’operatore d’evoluzione come prodotto di propagatori per frazioni di
t − t′
tempo ε = n ottenuta dalla proprietà di semigruppo ed inserendovi una delle precedenti formule
approssimate (l’ultima esposta semplifica spesso i calcoli),
′
′
< q|U (t, t )|q > =
= lim
n→∞
Z
n−1
Y
i=1
Z
n−1
Y
i=1
dqi
!
n
Y
j =1
< q j |U (t ′ + jε, t ′ + (j − 1)ε)|q j −1 > =
!
"
2
!#
n
q m
q m Y
q j − q j −1
q j + q j −1
iε 1
m
−V
dqi
exp
2πiε~
ε
2
2πiε~
~ 2
j=1
dove q0 = q ′, qn = q.
|q − q ′|
Nel limite di ε → 0, per ε
sull’intervallo [0, ε], ovvero
< q|U (ε)|q ′ > ≃
≪ ∞, il termine nell’esponenziale è proporzionale all’azione valutata
Z ε q
q m
i
1
m
iS(q, q ′; 0, ε)
exp
dt
m q̇ 2 − V (q)
≃
exp
;
~ 0
2
2πiε~
~
2πiε~
3
dunque continuizzando la formula del propagatore come prodotto infinito giungiamo alla scrittura
significativa
Z
i
S[q(t)]
,
< q |U (t, t ′)|q ′ > =
[dq(t)]e ~
q(t)= q, q(t ′)= q ′
da leggersi come integrale sui cammini di estremi fissati, dove [dq(t)] è un simbolo per una “misura
funzionale” afflitta da un fattore di normalizzazione infinito (il prodotto degli inversi degli intervalli
di tempo infinitesimi); per questo, come vedremo in seguito, nei casi concreti usualmente si ricava il
fattore di normalizzazione confrontando l’espressione del propagatore con quella di un propagatore
esattamente risolubile. Per hamiltoniane più generali diviene rilevante la condizione di località, nel
nostro caso assicurata dal termine cinetico.
Come già preannunciato per dare un senso rigoroso all’espressione su esposta, senza leggerla necessariamente come limite di un prodotto discreto, si imbocca un sentiero ancora non assodato, che
comunque sembra necessitare di ulteriori specifiche riguardo la natura analitica dei cammini nello
spaziotempo (cit. [Mor1995 ]). Nel seguito daremo solo qualche assaggio delle possibilità introdotte
dalla versione continua dell’integrale sui cammini.
Se applichiamo nelle formule precedenti un prolungamento analitico del tempo, t → it = τ (corrispondente al passaggio da spaziotempo di Minkowski a spaziotempo euclideo), esplicitiamo il
parallelismo fra l’equazione di Shroedinger e l’equazione di diffusione; in particolare, con l’ulteriore
−
τ
iH t
sostituzione β = ~ , l’operatore di evoluzione e ~ diviene l’operatore statistico-quantistico e−Hβ
la cui traccia è la funzione di partizione Z per l’hamiltoniana H, di cui dunque adesso abbiamo
una rappresentazione come integrale sui cammini. Infatti da
< q |e−Hβ |q ′ > = < q|e
−
Hτ
~
|q ′ > =
Z
[dq]e
−
S[q]
~
,
q(τ )=q,q(0)= q ′
1
dτ ′ 2 q̇ 2 + V (q) è l’azione euclidea ottenuta da S[q] col prolungamento analitico,
i
h
R
S[q]
è immediata l’equazione Z = q(τ )=q(0) [dq]exp − ~ ; vedremo che questo ci fornisce fra l’altro
dove S[q] =
R
τ
0
uno strumento per ricavare gli autovalori dell’hamiltoniano dato. Inoltre nell’impostazione euclidea
la parte cinetica contribuisce in modo ancora più intuitivo a “selezionare” i cammini continui,
cosicché non di rado gli integrali funzionali in spazio di Minkowski sono viceversa ottenuti con un
prolungamento analitico dalla versione euclidea.
Nel seguito lavoreremo sempre in spazi euclidei, ma non tratteremo nemmeno con un breve sunto
storico il fruttuoso connubio fra meccanica statistica e QFT; si veda al riguardo [Jus1997 ].
Metodo perturbativo: sinossi
Presentiamo brevemente il metodo perturbativo nella formulazione di Feynman della meccanica
quantistica.
Data una lagrangiana (euclidea) unidimensionale esprimibile come perturbazione di un oscillatore
1
1
armonico, ovvero nella forma 2 mq̇ 2 + 2 mω 2 q 2 + λV (q) = LH.O. + λV (q), ci proponiamo di
determinarne innanzitutto il propagatore U (q1, q0; τ1, τ0); da questo vedremo come calcolare anche
gli autovalori della relativa hamiltoniana.
Partiamo dalla formula di Feynman per il propagatore
U (q1, q0; t1, t0) =
4
Z
1
[dq]e
− ~S
R τ
dove l’integrazione è sui cammini con q(τ0) = q0 , q(τ1) = q1, S è l’azione euclidea τ 1 (LH.O. +
0
λV )dτ e la misura funzionale è inglobata nel simbolo [dq]. Una meditazione manipolatrice sull’integrale in questione può rivelare una prospettiva di qualche utilità: se consideriamo il propagatore U g
per la lagrangiana L g = LH.O. + mg(τ )q, dove g(τ ) è una generica funzione dipendente dal tempo,
con una derivazione formale del parametro g(τ ) sotto integrale ricaviamo
Z
[dq]e
1R
− ~ dτ (LH.O. +λV )
Z
Z
1R
1
~ δ
−
dτ (LH.O. +m g(τ )q)
[dq]e ~
= exp −
)
| g(τ )≡0 ;
dτ λV ( −
~
m δg(τ )
ovvero otteniamo
per U un’espressione
formale
in serie di potenze del parametro
perturbativo λ,
n
P λn 1 R
δ
δ
1 R
~
~
U = exp − ~ dτ λV ( − m δg(τ ) ) U g =
− ~ dτ λV ( − m δg(τ ) ) U g.
n!
Perseverando nell’ignorare i problemi di convergenza di tali operazioni, non ci rimane che valutare
U g.
Derivazione di U g
Vediamo come determinare U g.
Le equazioni del moto classiche per una lagrangiana L g sono
− mq̈c + mω 2 qc + mg = 0, qc(τ0) = q0 , qc(τ1) = q1 .
Se sostituiamo q = qc + r nell’azione S g abbiamo
S g [q] =
Z
dτ [
m 2 m 2 2
q˙c + ω qc + mgqc] +
2
2
Z
dτ [
m 2 m 2 2
ṙ + ω r ] +
2
2
Z
dτ [mq˙cṙ + mω 2 qcr + mgr].
L’ultimo integrale nell’equazione precedente è nullo, come si vede facilmente integrando per parti e
tenendo conto delle equazioni del moto soddisfatte da qc e delle condizioni al contorno su r, dunque
S g[q] = S g [qc] + SH.O.[r]
cioè
Ug (q1, q0) = e
−
S g [qc]
~
UH.O.(0, 0).
Osserviamo che la magica traslazione q = qc + r spezza profiquamente l’azione perché corrisponde
ad espandere quest’ultima attorno a un punto stazionario, perciò il termine lineare è nullo.
Proseguiamo col calcolo classico, noioso ma inevitabile, di S g[qc]:
riscriviamo l’equazione di moto in forma conveniente
mg = m(∂τ + ω)(∂τ − ω)qc = me−ωτ∂τ eωτ eωτ∂τ e−ωτqc
così da poterla facilmente invertire
ωτ
e qc =
e2ωτ − e2ωτi
− ( − 1)i
e2ωτ1 − e2ωτ0
⇒ qc =
−
1
ω
Z
τ1
τ0
du g(u)
e
ωτi
Z τ
Z τ
1
ωu
−ωu
2ωτi
du e g(u) |i=1
du e
g(u) −
e
qi +
i=0 ⇒
2ω
τi
τi
q1sh[ω(τ − τ0)] + q0sh[ω(τ1 − τ )]
+
sh[ω(τ1 − τ0)]
θ(u − τ )sh[ω(τ − τ0)]sh[ω(τ1 − u)] + θ(τ − u)sh[ω(τ1 − τ )]sh[ω(u − τ0)]
.
sh[ω(τ1 − τ0)]
5
Dall’ultima equazione ricaviamo anche le velocità iniziali e finali q˙0 e q˙1 ,
Z
ω
1 τ1
du g(u)sh[ω(τ1 − u)]} − ω cth[ω(τ1 − τ0)]q0
q˙0 =
{q1 −
sh[ω(τ1 − τ0)]
ω τ0
e
ω
1
q˙1 = −
{q0 −
sh[ω(τ1 − τ0)]
ω
τ1
Z
τ0
du g(u)sh[ω(u − τ0)]} + ω cth[ω(τ1 − τ0)]q1 ,
hm
i
m
I + I1 + I2
qcg = 0
sh[ω(τ1 − τ0)]
2
sì da ultimare il calcolo di S g [qc]:
S g [qc] =
Z
m
q̇ qi |i=1 +
2 i i=0
I0 =
mω
2
τ1
Z
τ0
I2 = −
m
ω
dτ
τ0
in cui
I1 = m
τ1
dε
τ0
[(q12 + q02)ch[ω(τ1 − τ0)] − 2q1 q0]
dτ g(τ ) {q1sh[ω(τ − τ0)] + q0sh[ω(τ1 − τ )]}
τ1
Z
2
qc( − q¨c + ω 2 qc + g) +
Z
ε
τ0
dτg(ε)g(τ ) sh[ω(τ1 − ε)]sh[ω(τ − τ0)] .
Rimane da valutare UH.O.(0, 0); a tal scopo potremmo tornare alla definizione di integrale sui
cammini come limite della versione discreta, si veda [Kle2009 ] per una trattazione approfondita.
Tuttavia sarebbe auspicabile trovare un metodo che si avvalga della versione continua dell’integrale
sui cammini, più maneggevole seppur fragile. Un tale programma è effettivamente attuabile nel
caso dell’oscillatore armonico: rammentando le condizioni al contorno su r, una tripla integrazione
per parti ci conduce a
UH.O.(0, 0) =
Z
Z
1
1
r(ε1)r(ε2)( − ∂ε21 + ω 2)δ(ε1 − ε2)
dε1dε2
[dr]exp −
2m
~
Generalizzando i risultati validi per gli integrali gaussiani in finite variabili, otteniamo
UH.O.(0, 0) = N [det( − ∂ 2 + ω2)]
1
−2
,
con N un fattore di normalizzazione (infinito) indipendente da ω; calcoliamo il determinante
dell’operatore con le appropriate condizioni al contorno come prodotto dei suoi autovalori: det( −
Q
nπ
∂t + ω2) = n∈N (ω 2 + ( τ − τ )2). Per concludere sfruttiamo il fatto che per ω → 0 il propagatore
1
0
dell’oscillatore armonico tende al noto propagatore di libera particella,
~2k2
UFree =
F{exp( − 2m~ ∆τ }
kF{exp( −
2 2
~ k
∆τ }k
2m~
=
q
m
x2m
exp( −
)
2π~∆τ
2~∆τ
dove F denota l’operatore trasformata di Fourier, k.k la norma di L2, cosicché
r
UH.O.(0, 0) = N ′
UH.O.(0, 0) =
q
det( − ∂ 2)
→ω→0 N ′ = UFree(0, 0) =
det( − ∂ 2 + ω 2)
m Y
2π~∆τ
1+
ω∆τ
nπ
2 !− 12
6
=
r
q
m
⇒
2π~∆τ
mω∆τ
=
2π~∆τ sh[ω∆τ ]
r
mω
.
2π~ sh[ω∆τ ]
Riassumiamo il risultato ottenuto con notazione evidente:
Ug (q1, q0; τ1, τ0) = Ug≡0(q1, q0; τ1, τ0)exp[(L, −
U g≡0(q1, q0; τ1, τ0) =
q
m
2π~∆τ
L(u) =
K(u, v) =
r
1 mg
mg
mg
)+ (
,K
)]
2 ~
~
~
,
ω∆τ
mω (q12 + q02)ch[ω∆τ ] − 2q1 q0
exp[ −
],
sh[ω∆τ ]
sh[ω∆τ ]
2~
[q1sh[ω(u − τ0)] + q0sh[ω(τ1 − u)]]
,
sh[ω∆τ ]
~ θ(u − v)sh[ω(τ1 − u)]sh[ω(v − τ0)] + θ(v − u)sh[ω(τ1 − v)]sh[ω(u − τ0)]
.
mω
sh[ω∆τ ]
Calcolo perturbativo degli autovalori - Traccia
Una volta che il propagatore di un’hamiltoniana con spettro discreto sia noto, nello spazio euclideo
si possono dedurre gli autovalori dalla traccia del propagatore, i.e. la funzione di partizione Z con
∆τ
la sostituzione β ↔ ~ :
X − En∆τ
H∆τ
−
e ~ ⇒
Z = Tr U = Tr e ~ =
~ ln Tr U
~ ln [Tr U − e
⇒ E0 = lim −
, E1 = lim −
∆τ
∆τ
∆τ →+∞
∆τ →+∞
−
E0∆τ
~
]
, &tc .
Data una lagrangiana L = LH.O. + λV (q), per ottenere un’espansione della relativa funzione di
partizione Z in serie di potenze del parametro perturbativo λ possiamo seguire la procedura
descritta per l’espansione perturbativa del propagatore, perciò è sufficiente calcolare Tr U g . Qualche
manipolazione (iper)trigonometrica conduce alla formula compatta:
Z g = Tr U g =
mg
1 mg
, J ~ )]
~
∆τ
2 sh[ω 2 ]
exp[ 2 (
,
∆τ
J=
~ ch[ω( 2 − |u − v|)]
.
∆τ
mω
2 sh[ω ]
2
Calcolo perturbativo degli autovalori - Laplace
Gli autovalori di un dato sistema possono essere determinati anche dalla trasfomata di Laplace del
propagatore U = e−Hτ . Infatti se
Z +∞
1
RH (E) = L{U }(E) =
e−(H −E)τdτ =
H −E
0
gli autovalori di H corrispondono ai poli di tr[R].
Una manciata di esempi
Qualche esempio ci permetterà di toccare con mano il modus operandi nonché i limiti analitici del
metodo perturbativo.
Iniziamo dall’esempio più semplice, tuttavia non triviale: cerchiamo la funzione di partizione della
1
lagrangiana L = LH.O. + 2 mν 2 q 2, dove l’ultimo terminepnell’equazione precedente è trattato
ω 2 + ν 2 ∆τ
])−1. Poniamo per comodità
come perturbazione; sappiamo che Z dovrebbe essere (2 sh[
2
mν
m g(τ )
α = 2~ , f(τ ) = ~ , Jkl = J (τk , τl) = J(τl , τk); iniziando ad espandere,
Z
Z
α2 1 1
α 1 1
1
2 2 2
2 2
2
2
J12 + ,
J11J22 +
J +
dτ1 1!2!
dτ1dτ2 2!2!
Z = ωτ 1 −
1
2
2 11 2! 22 2!
1! 21 1!
sh 2
7
è ovvio innanzitutto che il fattore
1
2
h
i
1
in exp 2 (f , Jf ) si rinormalizza col conteggio delle permuta-
zioni degli elementi in ciascuna coppia di pedici in Jkl (considerati sempre come oggetti distinti),
1
mentre il fattore n! nell’espansione dello stesso esponenziale si rinormalizza con i riordinamenti
dei vari J. Proseguendo nell’espansione così snellita dei fattori banali, troviamo al terz’ordine in
α l’integrando
2 2
2 2
2 2
2 2
2
J11J22J33 + J11
J23J23 +
J12J12J33 +
J13J13J22 +
J12
J J ;
1
1
1
1
1 23 31
siccome l’integrazione è simmetrica negli indici, gli addendi nel secondo termine fra parentesi
nell’espressione precedente apportano ciascuno il medesimo contributo. Si può dare una rappresentazione visiva del conteggio necessario in termine di grafi: ogni coordinata di integrazione τi
è un punto con etichetta i e ogni Jkl è un arco che connette i punti k e l; questo facilita il
discernimento dei diversi tipi di integrali da calcolare (due configurazioni descrivono lo stesso
integrale se sono uguali a meno di una permutazione dei punti), la loro fattorizzazione (i distinti
integrali fattorizzabili corrispondono ai distinti aggregati sconnessi dal resto dei punti) e facilitano
il conteggio. Il caso che stiamo esaminando è particolarmente semplice perché, essendo il potenziale
quadratico, da ogni punto partono solo due archi; in particolare possiamo rappresentare i distini
integrali “primi” come circonferenze nelle quali selezioniamo n punti distinti e etichettiamo ciascuno
di essi con un diverso numero da 1 da n; il resto sono conteggi e prodotti. Ad esempio per calcolare
il termine di quart’ordine possiamo partire dalle configurazioni distinte a quattro punti:
,
,
,
,
;
perciò l’integrando sarà
4 3 2 1 1 1 1 1
J11J22J33J44
4 3 2 1
1 1 1 1
4 1 3 1
1 1
1 1
4 2 1 +
2 1 1
1 2 1
1 1 1
2 2 2
J12J33J44
1
4 2
2
2
2 2
2 2
J J .
J23J31J44 + 41 J
J12
J12
1
1 23 1 34 41
1
1
+
4 2 2 2
2 1
1 1
2 2 2 2 2 2
J12
J34
1
1
+
1
Avendo esplicitato in tal modo i vari conteggi dovrebbe essere chiaro come procedere in modo
automatico per gli ordini superiori:
−
la corrispondenza biunivoca con i cerchi con ciascuno un numero determinato di punti
è anche una corrispondenza biunivoca con il partizionamento dei naturali: all’ordine n
abbiamo p(n) configurazioni differenti, dove p(n) è il numero di partizioni di n
−
il primo fattore in ogni addendo dell’espressione precedente conta il numero di possibili
etichettamenti di una data configurazione a meno dello scambio fra di loro di due oggetti
connessi con lo stesso numero di punti; per ogni partizione
n=
#n1
X
1
n1 +
#n2
X
1
n2 + +
#n j
X
1
8
n j = #n1n1 + + #njn j ,
dove ciascun ni è diverso dagli altri, ci sono dunque
n
n1(1), , n1(#n1), n2(1), , n2(#n2), , n j(1), , n j(#n )
j
#n j
#n1
1(1), , 1(#n1)
1(1), , 1(#n j)
tali etichettamenti
−
= Qj
1
n!
#ni!ni!#ni
la potenza di 21 in ciascun addendo è n − #1, ovvero n meno il numero di 1 in quel
partizionamento.
In sintesi, indicando con In l’integrale relativo alla circonferenza con n punti , dobbiamo valutare
X
{#n }
P
( − 2α)
j # jj
2
−#1
#j
Y
X
Y Ij #j 1
1
j Ij
−#1
− (2α)
2
=
;
j!
j!
#j!
#j!
{#n }
j
j
arrivati a tal forma, considerando che {#n } varia su tutte le sequenze infinite di numeri naturali,
raggiungiamo l’espressione
"
#
∞
X
(2α)n
exp[αI1]exp −
In .
n!
n=1
Il calcolo degli integrali non sembra banale e non lo affronteremo seriamente in questa sede, notiamo
solo che possiamo esplicitare un fattore proporzionale
a ∆τ con la trasformazione di jacobiano
τ + +τ
1 delle variabili di integrazione (τ1, τ2, , τn) → τ1 − τ2, , τn−1 − τn , 1 n n . Dato che
i medesimi integrali ricompaiono in differenti espansioni perturbative, una strategia alternativa
potrebbe essere 1) dimostrare che le varie uguaglianze formali ottenute sono valide in senso analitico
2) uguagliare l’espressione suscritta con quella che otterremmo dalla funzione di partizione nota e
(2α)n
ricavare gli integrali In come coefficienti di n! .
Dedichiamoci alla situazione fisicamente più interessante descritta dagli oscillatori anarmonici, ma
stavolta impostiamo innanzitutto un’analisi qualitativa del problema.
1
1
1
È data la lagrangiana 2 q̇ 2 + 2 q 2 + 4 λn−1 q 2n, λ parametro perturbativo, n > 1; in questo caso
la teoria delle perturbazioni per la funzione di partizione non può essere convergente dato che
per qualsiasi Re[λn−1] < 0 l’hamiltoniano è illimitato inferiormente. Inoltre, se immaginiamo
che per λ positivo la particella sia in uno stato localizzato nell’intorno dello 0 corrispondente
all’autovalore E0 dello stato fondamentale, ci aspettiamo che con la continuazione analitica λn−1 →
− λn−1 l’autovalore divenga complesso a causa del tunneling, fenomeno che non ritroviamo in modo
evidente nell’espansione perturbativa. Ma il problema non sorge solo perché l’hamiltoniano non
è autoaggiunto. Ad esempio, nel caso della doppia buca quartica con minimi degeneri descritto
1
1
da una lagrangiana della forma 2 q̇ 2 + 2 q 2(λq 2 − 1) con λ > 0, l’espansione perturbativa attorno a
ciascun minimo conduce per simmetria al medesimo E0. Sappiamo dall’espansione WKB all’ordine
zero che la probabilità di attraversare la barriera non è una funzione analitica di ~ nello zero (per
√
1
potenziali della forma λ V ( λ q) vedremo in seguito che ~ e λ svolgono una funzione analoga),
perciò non può essere ricavata immediatamente dall’espansione perturbativa centrata in uno dei
due minimi, che ci offre una descrizione asintotica più vicina alla situazione classica dal punto di
vista della rottura di simmetria; mentre l’hamiltoniano in questione commuta con l’operatore parità
(e il potenziale è regolare), cosicché gli autostati del sistema hanno parità definita, nella situazione
classica lo stato fondamentale (degenerazione due) è rappresentato da una particella ferma in uno
dei due minimi (una delta in uno dei due minimi); per formare in questo autospazio una base di
autovettori della parità dovremmo prendere le combinazioni simmetriche e antisimmetriche delle
due autofunzioni a delta, ma il processo fisico che permette di raggiungere tali configurazioni è
proprio l’attraversamento della barriera. Nell’espansione perturbativa, invece che partire dalle
delta, costruiamo l’autostato “spandendo” la funzione d’onda dell’oscillatore armonico.
9
Dunque matematicamente il problema che stiamo inquadrando è in primo luogo la non analiticità
della funzione nel punto in cui cerchiamo di espanderla; questo non vuol dire affatto che calcolare
la serie perturbativa sia inutile: questa rappresenta comunque un’informazione decodificabile in
termini degli oggetti che ci interessano (innanzitutto lo spettro), ad esempio con le tecniche di
risommazione alla Borel o con il metodo di perturbazione variazionale sviluppato da Kleinert e
Feynman [Kle2009 ]. Quel che manca in questa impostazione è una rappresentazione matematica
che espliciti il fenomeno fisico; delineeremo in seguito un’alternativa per ovviare a tale carenza.
Detto questo
dedichiamoci
al potenziale della doppia buca quartica, poniamo che sia V (q) =
2
m ω 2 √
m
1
2
λ q − 1 , che con una traslazione nel minimo − √ diviene V (q) = 2 ω 2 q 2 +
2λ 2
λ
√
m ω 2
(λq 4 + 4 λ q 3), e calcoliamone perturbativamente la funzione di partizione dalla formula
2 2
Z Z = exp α dτ λ
√
δ
δ3
+4 λ
4
δf (τ )
δf (τ )3
4
dove per comodità di scrittura abbiamo posto α = −
h
i
exp 1 (f , Jf )
2
ωτ | g≡0 ,
2sh 2
mω 2
,
8~
g(τ )m
f (τ ) = ~ ; se avessimo centrato
√
δ3
l’espansione nell’altro minimo sarebbe cambiato solo il segno di − 4 λ δf (τ )3 , ma solo le potenze
pari dell’operatore danno un contributo non nullo una volta che si imponga g ≡ 0, dunque non
sarebbe cambiato niente come previsto.
Al prim’ordine in λ otteniamo
Z
αλ
1
4
dτ1
+
J J
1+
Z≃
ωτ
2 τ1τ1 τ1τ1
1!
2sh 2
!
√
Z
(4 λ α)2
3 2 2 2 3
3 2
+
=
Jτ1τ2
Jτ1τ1Jτ2τ2Jτ1τ2 +
dτ1dτ2
1
1
2
2!

ωτ !2
ωτ !
1 ωτ i
h
3
~ cth 2
1
9 2 ωτ
36 3 sh 3 2 + 3sh 2
~
 ;
ωτ  1 + 6αλτ
ωτ =
+
cth
+ 8λα2τ 3 4
8
2
2mω
m ω 2
2sh
sh3
2
2
riespandendo le funzioni ipertrigonometriche come serie di esponenziali troviamo come coefficiente
di e
1
−(n+ 2 )ωτ
1+
l’espressione
3 n + 2 n + 1 n 3 n + 3 n 27 n + 1 λτ~ 9
−
+2
−
=
+
+
+
2
3
2
2
3
2
2 16
4
m
4
" #
4
3
λτ~
2
2
2n + 2n + 1 + 3(n + n) ,
=1+
2
m
1
λ~2
3 4
da cui al prim’ordine in λ gli autovalori sono ~ω n + 2 − m
2n2 + 2n + 1 + 3(n2 +
2
n) . Volendo proseguire con gli ordini superiori seguendo un metodo enumerativo ci troviamo di
fronte a difficoltà molteplici di conteggio; sottolineiamo solamente che spesso si cerca direttamente
Z
, che nel caso della perturbazione quadratica si è mostrata ai nostri occhi
l’espansione di ln Z
H.O.
sua sponte, da cui si ricava la correzione allo stato fondamentale e via di seguito; si consulti al
riguardo il capitolo 5 di [Kle2009 ].
10
Istantoni
R +∞
f (z)
Consideriamo l’integrale I = −∞ exp[ − ~ ]dz dove f è limitata inferiormente e ha un minimo
solo in z0; se espandiamo f in serie di Taylor attorno al minimo,
Z +∞
1 (z − z0)2 ′′
f (z0)
dz exp −
f (z0) g(z − z0) ,
I = exp −
~
2
~
−∞
dove g contiene i termini di ordine superiore (g(0) = 1) e assumiamo che f ′′(z0) 0. Per ~ → 0,
l’integrando gaussiano è proporzionale a una funzione δ, perciò è sensata l’approssimazione per
piccoli ~
r
f (z0)
π~
I = exp −
(1 + O(~)).
~
f ′′(z0)
Nel caso in cui f avesse più minimi locali sommeremmo sugli integrali gaussiani centrati ciascuno
in un differente minimo locale.
La medesima idea è applicabile all’integrale sui cammini nello spazio euclideo; in tal caso l’espansione avverrà attorno ai minimi locali dell’azione: è la stessa procedura che guidava la soluzione
per il propagatore dell’oscillatore armonico perturbato da una forza dipendente dal solo tempo.
Con queste premesse introduciamo l’istantone, che è una soluzione topologicamente non triviale
alle equazioni del moto euclidee con azione finita. Il nome fu inventato da ’t Hooft per via della
somiglianza con il solitone, dato che un istantone in uno spazio n-dimensionale può essere pensato
come un solitone in uno spazio a n + 1 dimensioni “spazializzando” la dimensione temporale (anche
se euclidea) dell’istantone (da cui “instant”).
Dal punto di vista del calcolo del propagatore, la finitezza dell’azione suggerisce che l’integrazione
sui cammini localizzati in un intorno dell’istantone apporti al propagatore un contributo finito;
la nontrivialità topologica assicura che un istantone rappresenti un cammino nello spaziotempo
euclideo, il che comporta che rechi con sé effetti tipici della meccanica ondulatoria, come l’attraversamento di una barriera (a volte il cammino più breve che connette due punti è immaginario;
la rotazione di Giancarlo Wick nel piano complesso lo rende reale).
Nel caso della doppia buca gli istantoni saranno la chiave per calcolare la separazione del livello
fondamentale, mentre nel caso di un potenziale illimitato inferiormente ottenuto per prolungamento
analitico da un potenziale limitato inferiormente vedremo come i contributi istantonici permettano
di valutare la parte immaginaria del prolungamento analitico degli autovalori.
La doppia buca quartica, una soluzione artigianale
Analizziamo il fenomeno dell’attraversamento della barriera nel caso della doppia buca quartica da
un punto di vista istantonico, partendo però dalle sole tecniche introdotte nei corsi introduttivi di
meccanica quantistica.
L’approccio consiste nello sviluppare al secondo ordine l’azione; nel valutare il determinante di un
operatore ci rifaremo a un’idea introdotta da Dowker e Critchley e impiegata sistematicamente da
Hawking [Haw1977 ] nello studio di una teoria della gravitazione quantistica imperniata sull’impostazione degli integrali sui cammini; in realtà sfrutteremo solo la parte più superficiale della tecnica,
ovvero non regolarizzeremo il determinante funzionale per prolungamento analitico della zeta del
relativo operatore, bensì ci ridurremo all’usuale rapporto di due determinanti funzionali, come da
tradizione in QFT (l’equivalenza dei due metodi per un’ampia classe di operatori pseudodifferenziali è stata dimostrata da Sarnak e Osgood). Perciò il vantaggio principale offerto dal metodo qui
utilizzato risiede nello svolgere i calcoli a partire direttamente da uno spettro non artificiosamente
discretizzato. Prima di iniziare è doveroso ricordare che la regolarizzazione zeta è nata in grembo
alla teoria dei numeri, nonostante oggidì sia comunemente applicata a problemi in fisica.
11
1 ω 2
Consideriamo dunque un sistema unidimensionale soggetto al potenziale V (q) = 2 2 (x2 − 1)2
e andiamo a calcolare come in programma il tunneling fra i due minimi, ovvero limτ →∞ U ( − 1,
1; τ ); la rotazione di Wick trasforma la barriera interposta fra i due minimi in un avvallamento,
perciò nel limite di tempo infinito esiste una traiettoria classica di energia nulla ed azione finita
che connette i due punti q = − 1, q = 1:
1
ε = 0 = q̇c2 − V (qc) ⇒ τ − τ0 =
2
Z
qc(τ )
qc(τ0)
p
dx
=±
2V (x)
Z
qc(τ )
qc(τ0)
dx
ω
(x2 − 1)
2
;
scegliamo la soluzione positiva e imponiamo la condizione al contorno qc(τ0) = 0:
qc(τ ) = th
hω
2
i
(τ − τ0) .
Abbiamo una famiglia di soluzioni descritta dal parametro τ0: l’istantone è invariante per traslazioni
temporali. Come preannunciato, in quel che segue espanderemo l’azione intorno a tale soluzione
istantonica, ovvero scriveremo per S(qc + r)
Z
X 1 Z
δ 2S(qc)
δ nS(qc)
1
dτ1 dτn r(τ1) r(τn)
dτ1dτ2 r(τ1)r(τ2)
≃ S(qc) +
δq(τ1)δq(τ2)
δq(τn) δq(τ1)
2
n!
;
ora se con qc(τ , τ0) indichiamo esplicitamente in qc la dipendenza dal parametro τ0, siccome
l’invarianza dell’azione per traslazioni di τ0 comporta che S(qc(τ , τ0)) = S(qc(τ , τ0 + ǫ)) qualsiasi
P ǫn ∂ nq c
(τ , τ0)) è costante al variare di ǫ, dalla
ǫ, ovvero, espandendo qc in serie di Taylor, S(
n! ∂τ0
precedente espansione dell’azione si può osservare che
Z
in effetti,
∂qc
∂τ0
dτ1dτ2
∂qc
∂q
δ 2S(qc)
(τ1) c (τ2)
= 0;
∂τ0
∂τ0
δq(τ1)δq(τ2)
è proprio un’autofunzione dell’operatore S ′′ con autovalore nullo.
Valutiamo l’azione classica:
S(qc) =
Z
+∞
dt
−∞
Z +∞
Z
1 2
ω +∞ dz
2
ωt
q̇ (t) + V (qc(t)) =
;
dt q̇c =z=
2
2 c
2 −∞ ch4z
−∞
in generale abbiamo (nel dominio di convergenza dell’integrale, Re[l] > 1)
Z
+∞
−∞
dz
=u=e2z 2l−1
chlz
Z
0
+∞
2 l
Γ
2
u
l l
= 2l−1
du
= 2l−1B
,
,
Γ(l)
2 2
(1 + u)l
l
−1
2
2
dunque S(qc) = 3 ω.
Imbarchiamoci adesso nel calcolo del termine di secondo ordine; partendo da
δ 2S
= (∂τ2 + V ′′)δ(t1 − t2),
δx(τ2)δx(τ1)
ω 2
dove V ′′ = 2 2(3qc2 − 1), otteniamo S(qc + r) ≃ S(qc) +
corrisponde all’approssimazione per il propagatore
U ( − 1, 1; ∞) ≃ e−Sc
Z
r(−∞)=r(+∞)=0
1
2
R
dτ r(τ )( − ∂τ2 + V ′′)r(τ ), che
Z
1
[dr]exp −
dτ r(τ )( − ∂τ2 + V ′′)r(τ ) .
2
12
Il problema è ricondotto nuovamente al calcolo del determinante di un operatore; basta esprimere
r(τ ) in termini di una base ortonormale di autofunzioni per l’operatore in questione per rendersi
conto che... già conosciamo un autovettore con autovalore nullo; come dare un senso al determinante? Il primo passo è quindi isolare tali autovettori e restringere il determinante allo spazio
ad essi ortogonale. Si incontra questa difficoltà ogni volta che la souzione istantonica rompe una
simmetria continua dell’azione classica e vale la pena soffermarsi un po’ sulla questione con un
esempio più semplice tratto dall’analisi su spazi vettoriali di dimensioni finite.
Coordinate collettive
Consideriamo all’uopo un integrale n − dimensionale,
I=
Z
dnxex
2
− g(x2)2
,
con esplicita simmetria O(n) dell’integrando. Per piccoli g, possiamo applicare il metodo di approssimazione gaussiana: i punti stazionari di g(x2)2 − x2 sono descritti da
xc(1 − 2gx2c ) = 0 ⇔ |xc | ∈ {0, (2g)
−
1
−2
},
1
con |xc | = (2g) 2 la famiglia di punti di minimo, anch’essa con simmetria O(n). Procedendo con
l’espansione, ci riconduciamo al calcolo del determinante di 8gxix j che è proporzionale al proiettore
su x, perciò ha n − 1 autovalori nulli. Per ovviare al problema dovremmo integrare esattamente sulle
coordinate che descrivono la simmetria O(n) prima di effettuare l’approssimazione gaussiana (che
coinvolgerà quindi la sola coordinata radiale); in particolare è necessaria una parametrizzazione
dell’n − spazio in cui compaiano tali coordinate.
Nel caso dell’integrale sui cammini esplicitiamo come variabili d’integrazione i parametri che descrivono la simmetria dei punti di minimo (per il problema in corso di risoluzione, τ0 potrebbe essere
un buon candidato).
∂q
Nel caso specifico ∂τ appartiene allo stesso spazio generato dagli autovettori con autovalore nullo
0
intimamente legati all’esistenza di una soluzione all’equazione di moto classica: se deriviamo l’equazione di moto q¨c − V ′ = 0 otteniamo (∂τ2 − V ′′)q̇ c = 0 ed è chiaro che ∂τ0 q = − q˙c . Possiamo
trovare la soluzione generica all’equazione differenziale
scrivendo κ = q̇cα, cosicché 0 = (∂τ2 −
R τ dt
′′
V )κ = 2q̈ cα̇ + q̇ cα̈ ⇒ κ(τ ) = Aq̇c + Bq̇c(τ )
, ma come vedremo nel nostro caso, siccome
q̇c2
R τ dt
non è normalizzabile,
lavoriamo su un intervallo di tempo infinito, l’autofunzione q̇c(τ )
q̇c2
P
perciò è sufficiente isolare q̇c. In pratica, scriviamo q(τ ) = qc(τ − τ0) +
qnfn(τ − τ0) dove {τ0,
qi } sono le nuove variabili di integrazione e {fi } è un insieme di funzioni ortonormali in L2;
per variazioni infinitesime di τ0 si
R ha una variazione in q proporzionale a q̇c, perciò imponendo
l’ortogonalità delle fi con q̇c (i.e. q̇cfi = 0) le variabili di integrazione sono fra loro indipendenti.
Nel nostro caso vediamo che è conveniente prendere come fi le autofunzioni dell’operatore S ′′
con autovalore non nullo, che soddisfano automaticamente le condizioni richieste. Rammentando
che nel continuo la misura funzionale [dq] può essere definita come la misura sui coefficienti {ci }
Q dci
√ )
dell’espansione di q(τ ) in una base di funzioni ortonormali {gi } ∈ L2 (ex gratia [dq] = N
2π
∂c
ci rimane
da calcolare lo jacobiano
della trasformazione {ci } → {τ0, fi } , ovvero det[ ∂τi ,
R
0
P R
ci = dτgi(τ )qc(τ − τ0) +
q j dτgi(τ )fj (τ − τ0) otteniamo
∂ci
=−
∂τ0
Z
dτgi(τ )q̇c(τ − τ0) −
∂ci
=
∂q j
Z
X
qj
Z
dτgi(τ )f˙j (τ − τ0) ,
dτgi(τ )fj (τ − τ0) ;
13
∂ci
]:
∂q j
da
al primo ordine possiamo trascurare la dipendenza dello jacobiano dalle {q j } dunque, siccome
q̇
{ kq̇c k , fn } è una base ortonormale (con jacobiano 1), il nostro jacobiano J è kq̇c k (nel caso specifico
c
√
in cui il moto avviene ad energia totale nulla, kq̇c k = Sc ).
Siamo pronti per calcolare il determinante, dove d’ora innanzi indichiamo con un apostrofo, i.e.
det ′, la restrizione al sottospazio ortogonale agli autovettori con autovalore nullo.
Il metodo della funzione zeta permette talvolta di valutare il determinante di un operatore differenziale ellittico anche quando il suo spettro non sia esplicitamente noto; tuttavia nel nostro caso
uno studio elementare è sufficiente a ricavare esplicitamente lo spettro, come ci apprestiamo a
dimostrare.
ω 2
Spettro e autofunzioni di − ∂τ2 + 2 2(3qc2 − 1)
Innanzitutto notiamo che qc(t) è strettamente monotona perciò q̇c(t) non ha nodi, dunque λ = 0 è
il minimo autovalore.
ω 2
ω 2
Notiamo che − ∂τ2 + 2 2(3qc2 − 1) =z= ωτ 2 ( − ∂z2 + 2(3qc2 − 1)) e concentriamoci sull’equazione
2
Λφλ = λφλ dove Λ = ( − ∂z2 + 2(3qc2 − 1)). Sappiamo che una soluzione per λ = 0 è φ0 = ∂z qc: possiamo
tentare di scomporre Λ sfruttando questa conoscenza; se f (z) è una generica funzione, imponendo
Λ = ( − ∂z + f )(∂z −
φ′
φ′
φ′
φ0′
) = − ∂z2 + (f + 0 )∂z + ∂z 0 − f 0
φ0
φ0
φ0
φ0
φ′
si ha f = − φ0 = − 2ln ′ [ch[z]] = − 2 th[z]. Verifichiamo sostituendo che tale fattorizzazione è corretta:
0
′ 2
φ
2
φ′
φ′
φ′
sh2[z]
Λ = (∂z + φ0 )( − ∂z + φ0 ) = − ∂z2 + ∂z φ0 + φ0 = − ∂z2 − ch2[z] + 4 ch2[z] = 6 th2[z] − 2 . Ciò
0
0
0
0
φ′
1
che immediatamente colpisce della fattorizzazione suddetta è che, detto a = − ∂z + φ0 = − φ0∂z φ ,
0
0
1
1
si ha Λ = a+a; da qui ricaviamo immediatamente che Λ = − φ ∂zφ20∂z φ , in tal modo è naturale
0
0
R dz
(come già dimostrato).
cercare una soluzione del tipo φ0θ e trovare ∂zφ20∂zθ = 0 ⇒ θφ0 ∝ φ0
φ20
Ricapitolando abbiamo le due soluzioni
φI0 =
φII
0 =
1
ch2[z]
z sh[z]ch[z] sh[z]ch3[z]
+
+
4
4
2
ma la seconda non è normalizzabile su un intervallo illimitato di z.
Approfondiamo lo studio dell’operatore a = − ∂z − 2ln ′[ch[z]]; è naturale generalizzare il problema
2
2
con l’inserimento di un parametro e indagare su al = − ∂z − lln ′[ch[z]]. Infatti a+
l al = − ∂z + l −
l(l + 1)
l(l
−
1)
2
2
mentre ala+
l = − ∂z + l − ch2[z] : analogamente al caso della particella libera in coordinate
ch2[z]
sferiche vale la relazione
+
+
2
2
al+1a+
l+1 = al al + 2l + 1 = al al + (l + 1) − l .
Per l = 0 ritroviamo l’hamiltoniana della particella libera:
2
a+
0 a0 |k, 0 > = k |k, 0 >
perciò vediamo che
+
+ +
2 +
a+
1 a1a1 |k, 0 > = a1 (a0 a0 + 1)|k, 0 > = (1 + k )a1 |k, 0 > ;
14
è adesso naturale definire |k, 1 > = q
a+
1 |k, 0 >
< k, 0|a1a+
1 |k, 0 >
; analogamente
+
2
a+
2 a2a2 |k, 1 > = (4 + k )|k, 1 >
+
2
2 +
a+
n anan |k, n − 1 > = (k + n )an |k, n − 1 >
con
a+
n |k, n − 1 >
;
|k, n > = p
< k, n − 1|ana+
n |k, n − 1 >
2
2
dato che < k, n − 1|an a+
n |k, n − 1 > = k + n otteniamo infine
|k, l > =
l
Y
1
√
a+
n
|k, 0 > .
k 2 + n2
Adesso consideriamo gli stati legati; conosciamo una autofunzione |0, l > tale che a+
l al |0, l > = 0
1
′
(la otteniamo da ln [φ0,l] = − l th[z] ⇒ φ0,l = chl[z] ). Osserviamo che
a+
1 a1|0, 1 > = 0
+
+
2
2
a+
2 a2a2 |0, 1 > = a2 (2 − 1 )|0, 1 >
+ 2
+
2
2
2
2
2
a+
3 a3a3 |2 − 1 , 2 > = a3 (3 − 1 )|2 − 1 , 2 >
2
2
2
2
ricavando il fattore di normalizzazione da < (l − 1)2 − 12, l − 1|ala+
l |(l − 1) − 1 , l − 1 > = l − 1
abbiamo
|l2 − 12, l > =
l
Y
1+1
a+
p j
|0, 1 > .
j 2 − 12
In generale dunque, da |0, l > ricaviamo lo spettro discreto
|l2 − i2, l > =
l
Y
i+1
mentre da |k, 0 > lo spettro continuo
2
2
|l + k , l > =
l
Y
1
a+
j
p
j 2 − i2
|0, i > ,
a+
j
p
j 2 + k2
|k, 0 > .
Nel nostro caso l = 2, dunque λ ∈ {0, 3, (4, + ∞)} (lo spettro continuo ha degenerazione 2).
Calcolo del determinante via ζΛ
15
Nel caso lo spettro {λ} di un operatore Λ sia discreto possiamo definire la relativa funzione zeta
P
come ζΛ(s) = {λ} λ−s; nei casi più fortunati ci ritroveremo con una funzione che può essere
continuata analiticamente (si veda per un esempio classico [Rie1859 ]) fino a divenire meromorfa su
C (se l’operatore è ellittico questo, assieme alla regolarità nello zero, è stato dimostrato da Seeley
[See1967 ]). Esprimendo la zeta come trasformata di Laplace si ottiene un’espressione più generale,
R
1 R +∞
1 P R +∞ s−1 −λu
u e
du = Γ(s) 0
du us−1
dz < z |e−Λu |z > dove |z > sono gli
ζΛ(s) = Γ(s) λ 0
autovettori posizione, che è estendibile al caso di spettri continui; in altre parole definiamo la zeta
di un operatore Λ come la trasformata di Mellin della relativa funzione di partizione:
ζΛ(s) =
1
Γ(s)
Z
+∞
0
du us−1ZΛ(u).
Nel seguito daremo per scontato di avere isolato l’autovalore nullo.
R
P
1 R +∞
−λu
Nella nostra situazione ζΛ(s) = Γ(s) 0
du us−1[ R\{0} dk < k |e−Λu |k > +
]
λ discreto e
P
′′
′′
ln λ = − ∂sζΛ|s=0. (per comodità a volte indichiamo la
e siamo interessati a ln[det[Λ]] =
{λ}
base ovvia di autovettori in |k 2 + 22, 2 > con | ± k > )
P
−λu
Evidentemente
= e−3u.
λ discreto e
Per lo spettro continuo, da < z |k > =
< z |k > =
1
1
√
√
(
4 + k 2 1 + k2
eik z
− ∂z + 2th[z])( − ∂z + th[z]) √
1
1
1
√
√
√
( − k 2 − 3ik th[z] − 1 + 3th2[z])eikz
2π 1 + k2 4 + k2
2π
ricaviamo
, perciò
Z
Z
Z
dk < k|e−Λu |k > = dk < k|
dz |z > < z |e−Λu |k > =
R
Z
Z
2
1 ( − k − 1 + 3th2[z])2 + 9k 2th2[z]
dz
=
dk e−u(4+k )
,
2π
(1 + k 2)(4 + k 2)
chiaramente divergente.
Al fine di valutare il propagatore applichiamo lo stesso metodo al propagatore per l’oscillatore
′′
armonico con VH.O.
= 4 ⇐ VH.O. = 2z 2, così da ricondurci al calcolo del rapporto dei relativi
determinanti, ovvero alla differenza delle due funzioni zeta:
1
Γ(s)
=
Z
0
+∞
du us−1 e−3u +
Z
dk e−u(k
2
+4)
Z
R
dz
2π
ζΛ(s) − ζ−∂z2 +4(s) =
( − k − 1 + 3th [z])2 + 9k 2th2[z]
−1+
;
(1 + k 2)(4 + k 2)
2
l’ultimo integrale si riscrive
Z
R
dz
3 24B(2, 2) − (4 + k 2)2B(1, 1) 3
3
3
(4 + k 2)
k2 + 2
=
−
=
4
2
2
2
2
2
2
2π (1 + k )(4 + k ) ch [z]
2π
ch [z]
(1 + k )(4 + k )
π (k + 1)(k 2 + 4)
perciò
∆ζ(s) = ζΛ(s) − ζ−∂z2 +4(s) =
3
1
−
3s π
Z
dk
k2 + 2
(k 2 + 1)(k 2 + 4)s+1
,
da cui potremmo ricavare esplicitamente la differenza fra le funzioni zeta in termini di funzioni
ipergeometriche; per quel che concerne il problema attuale è sufficiente calcolarne la derivata nello
zero,
Z
3 +∞
2 + k2
∂s∆ζ(0) = − ln[3] +
dk
ln[4 + k 2]
π −∞
(1 + k 2)(4 + k 2)
16
e riscrivendo ln[4 + k 2] come ln[2i + k] + ln[k − 2i], dove l’argomento di k nel primo logaritmo
i
h
i
h
3
3
1
1
è definito nell’intervallo − 2 iπ; 2 iπ mentre quello nel secondo in − 2 iπ; 2 iπ , separiamo
il dato integrale in due integrali di linea nel piano complesso, rispettivamente il primo lungo
R chiuso con una semicirconferenza all’infinito nel semipiano a parte immaginaria positiva, il
secondo lungo il percorso speculare rispetto a R; dai residui otteniamo per l’integrale il risultato
2π
ln[12], dunque ∂s∆ζ(0) = ln[48]. In coerenza con la definizione data di determinante, se α è
3
una costante det[αΛ] = α ζΛ(0)det[Λ], cosicché per risalire al rapporto di determinanti non ridotto è
sufficiente calcolare ∆ζ(0); il calcolo dei residui risponde subito con ∆ζ(0) = − 1, per cui in sintesi
det[ − ∂τ2 + V ′′]
ω 2∆ζ(0) 1
1
= 2
= 12ω2 ; da questo si ricava, per grandi τ ,
48
det[ − ∂ 2 + ω 2]
τ
U ( − 1, 1; τ ) ≃ e
√
−S[qc]
ω
48
2
r
2
2
ω
J
− ωω
√ τ =e 3
τ
π
2π sh[ωτ ] 2π
r
ω 2 16
ω
4ω
2
−τ
−
≃τ
e 2e 3 2.
sh[ωτ ]
2 2π
Per specificare le condizioni sotto le quali l’approssimazione è valida conviene tornare alla versione
del problema non epurata dei vari parametri fisici:
U
1
1
− √ , √ ;τ
g
g
!
=
Z
1
τ
q( 2 )= √g
1
τ
q(− 2 )=− √g
Z
1
1
1 m ω 2 2
2
2
dt mq̇ +
[dq]exp −
(q g − 1)
;
2
~
2 g 2
si verifica dalla versione discreta dell’integrale sui cammini (o per semplice ragionamento dimen√
sionale) che un cambio di coordinate q → g q porta il propagatore nella forma
U
1
1
− √ , √ ;τ
g
g
!
√
= g
Z
τ
q( 2 )=1
τ
q(− 2 )=−1
Z
m
1 2 1 ω 2 2
2
[dq]exp −
(q − 1)
,
q̇ +
dt
~g
2 2
2
perciò
U
1
1
− √ , √ ;τ
g
g
!
√
= ge
2 ωm
− 3 ~g
r
mω
2π~g sh[ωτ ]
√
ω
48
2
r
m
~g
q
2
ω
3
√ τ ≃e
2π
2 mω
ω
− 2τ
~g
−3
4
mω ω
τ.
√
π~ g 2
Dunque ~ e l’inverso della distanza fra i due minimi del potenziale giocano un ruolo molto simile,
da cui l’approssimazione ottenuta è tanto più valida quanto più sono distanti i due minimi in
rapporto all’altezza della barriera e alla massa, ovvero quanto maggiore è la barriera (e quanto
minore è il tunneling), come ci si poteva aspettare fisicamente.
Sarà utile ricapitolare concettualmente i differenti contributi contenuti nell’approssimazione a cui
siam giunti:
q
ωτ
√ q
mω −
mω
g 2π~g sh[ωτ ] ≃ωτ ≫1 π~ e 2 : il contributo dell’oscillatore armonico in quanto riferimento
1h
i
−
m
per la normalizzazione, ovvero N det 2 g~ − ∂τ2 + ω 2
e
2 ωm
~g
−3
√ q 2 mω ω τ
√
48 3 ~g 2 √ = 48
2π
=e
q
−
S[qc]
~
S[qc] ω
τ
2π~ 2
: il termine di ordine zero nell’approssimazione gaussiana
: il contributo di second’ordine nell’approssimazione gaussiana rapportato all’oscillatore armonico, comprendente gli
effetti del modo zero
17
Il prodotto degli ultimi due termini, e
−
S[qc]
~
q
S[qc]
ωτ ,
6π~
è usualmente detto densità istantonica.
Separazione degli autostati fondamentali
h Hτ i
−
Abbiamo visto che la traccia tr e ~ permette di determinare lo spettro; tuttavia, siccome espan-
diamo per g piccolo, nel caso della doppia buca abbiamo delle difficoltà nel separare i primi due
autovalori E+, E− nel limite di τ → ∞ (g è piccolo prima che τ sia grande nella procedura di
h Hτ i
τE
τE
−
− +
− −
approssimazione); infatti in tali condizioni tr e ~ ∼ e ~ + e ~ , che possiamo riscrivere come
h Hτ i
h
i
τ (E+ +E −)
−
−
τ (E+ − E −)
2~
tr e ~ ∼ 2e
ch
, non contiene termini lineari nella differenza nonperturba2~
2n
P z
); la traccia è dominata invece dall’espansione perturbativa
tiva E+ − E− (memo: ch[z] =
(2n)!
di E+ + E−.
h
i
τH
−
Per calcolare E+ − E − conviene rivolgersi a tr P e ~ , dove P nel caso specifico è l’operatore
parità:
h
i
τE
τE
τ (E+ +E−)
τH
τ (E+ − E−)
− ~
− ~+
− ~−
−
~
tr P e
∼e
−e
= − 2e
sh
;
2
infatti in tali approssimazioni ricaviamo, al prim’ordine in E+ − E −,
i
h
τH
−
tr P e ~
1τ
h Hτ i ∼ −
(E+ − E −).
− ~
2~
tr e
h Hτ i
S[q]
R
−
−
Riguardo alla normale traccia dell’operatore d’evoluzione, tr e ~ = q(− τ )= q( τ ) [dq]e ~ ,
2
2
in approssimazione semiclassica prevalgono i contributi triviali dei cammini in cui la particella è
ferma in uno dei due minimi; ciò conduce all’usuale teoria perturbativa. È invece nel calcolo di
h
i R
τH
S[q]
−
−
tr P e ~ = q(− τ )+q( τ )=0 [dq]e ~ che prevalgono i contributi istantonici, in prima istanza (per
2
2
1
τ → ∞) il contributo dell’oscillazione da − √g a
1
√
g
(che abbiamo già determinato) e del cammino
speculare. Con queste informazioni, in prima approssimazione troviamo
S[qc]
E+ − E−
−
≃−e ~
2
r
S[qc]
~ω .
6π~
Continuazione analitica degli autostati: “energia” immaginaria
Come promesso rintracciamo i contributi istantonici nel caso di un potenziale che con una continuazione analitica di un suo parametro divenga illimitato inferiormente; scegliamo in particolare
l’oscillatore anarmonico quartico. Anche questa volta un esempio tratto dall’analisi in finite dimensioni ci illuminerà il percorso.
Continuazione analitica di un integrale
Ecco il nostro integrale guida,
1
I=√
2π
Z
R
z4
z2
dz,
exp − − g
4
2
18
che in approssimazione gaussiana, per g positivo e piccolo, è dominato dal punto stazionario nello
zero perciò si approssima con I = 1 + O(g). Per continuare analiticamente la funzione I(g), che è
analitica in un piano tagliato, fino a raggiungere g ∈ R−, ruotiamo il percorso di integrazione γ nel
piano complesso mentre variamo l’argomento di g in modo che Re[g z 4] rimanga postivo, ovvero
1
integriamo lungo uno dei cammini γ: arg[z] + 4 arg[g] ≡ 0 (mod π). In particolare otteniamo due
differenti prolungamenti analitici per I(g) a seconda che ruotiamo g nel piano complesso in senso
π
orario (per g che ruota in − |g | − i0 integriamo sul cammino γ−: z = 4 (π)) o antiorario (lungo
γ+ speculare a γ− rispetto a R per g = − |g | + i0); ambedue sono dominati per g → 0− dal punto
stazionario nell’origine. Se calcoliamo però la discontinuità sul taglio,
1
I(g + i0) − I(g − i0) = √
2π
Z
γ+ − γ −
z2
z4
exp − − g
dz,
2
4
il contributo del punto stazionario nell’origine si elide, dunque rimagono gli altri due punti critici
1
contenuti in z + gz 3 = 0, ovvero z = ± √− g ; infatti possiamo deformare il percorso di integrazione
γ+ − γ− nella somma di due cammini disconnessi passanti ciascuno per uno dei due punti critici,
1
cosicché la discontinuità sul taglio è approssimativamente 2ie 4g . L’ambiguità di segno nella definizione naturale 2i Im[I(g)] = ± [I(g + i0) − I(g − i0)] corrisponde, nelle situazioni di interesse fisico
(con tempo reale), a un autostato dissipativo o in formazione (nel nostro caso siamo interessati
agli autostati dissipativi).
1 d2
1
1
H = − 2 dq2 + 2 q 2 + 4 gq 4
Nonostante la procedura sia sensibile, passando mentalmente da C a F (C), l’insieme delle funzioni
da C a C, possiamo adattare il metodo appena presentato alla funzione di partizione dell’oscillatore
anarmonico quartico; è essenziale adesso che oltre a Re[gq 4] > 0 valga Re[q̇ 2] > 0 (si veda la prima
sezione), perciò ruoteremo la funzione
q nel piano complesso in modo che il suo argomento, per
π π
g negativo, sia contenuto in 8 , 4 o nell’intervallo coniugato. Come nel caso precedente, per
piccoli g < 0 ciascuno di questi prolungamenti analitici è dominato in approssimazione gaussiana
dai punti stazionari nell’origine, mentre nel calcolare la discontinuità sul taglio tale contributo
si cancella. Questa volta però i contributi dei punti stazionari del potenziale sono dell’ordine di
∆τ
e 4g , overo trascurabili per grandi intervalli di tempo dato che in tale limite la relativa azione è
infinita: ecco dunque che ricompaiono gli istantoni, in coerenza coll’interpretazione fisica della parte
immaginaria dell’energia. Il potenziale in questione è la versione capovolta di quello della doppia
buca
soluzioni alle equazioni del moto classiche con le condizioni al contorno
quartica
e cerchiamo
q
∆τ
2
=q −
∆τ
2
, perciò per intervalli di tempo grandi abbiamo le soluzioni che partono dal
punto critico del potenziale in q = 0, rimbalzano su uno dei due muri di potenziale che crescono
all’infinito (da cui il nome bounces per questo tipo di soluzione), e tornano indietro; in formule
q
1
2
4
qc(τ ) = ± − g ch[τ − τ ] con S[qc] = − 3g . Il fatto che ci sia un punto di inversione implica che q̇c,
0
autofunzione con autovalore zero dell’operatore
2
δ S
δq 2
δ 2S
,
δq 2
abbia un nodo, dunque non sia l’autostato
fondamentale; perciò il determinante di
è negativo, ovvero l’integrazione sulle fluttuazioni
quantistiche attorno alla soluzione classica produce il fattore immaginario che ci aspettavamo.
Una prospettiva più ampia: “the Shifting Method”
Se l’hamiltoniana è integrabile, possiamo produrre una formula approssimata per il propagatore
espandendo l’azione al secondo ordine intorno a un punto critico. Analizziamo in primo luogo il caso
unidimensionale; nel caso generico ci confrontiamo col fatto che la maggior parte delle hamiltoniane
non è integrabile (l’insieme delle hamiltoniane integrabili ha misura nulla). Eccetto che per questo
ingombrante ostacolo, le formule sono analoghe.
19
1
Partiamo da una lagrangiana L = 2 q̇ 2 + V (q) ed espandiamo la relativa azione in qc fino al secondo
R
′′
1
ordine: S ≃ Sc + dτ 2 [ṙ 2 + V (qc)r 2]. Cerchiamo un cambio di variabili che porti l’integrando
nella forma di una lagrangiana di particella libera. Nella sezione precedente abbiamo trovato
κ̈
contingentemente un candidato che valga come funzione κ(τ ) tale che V ′′ = κ ; scrivendo V ′′ in tal
modo
Z ∆τ
Z ∆τ
Z ∆τ
2
2
2
1 2 κ̈ 2
1 2
r2
1
r
S − Sc =
dτ [ṙ + r ] =
dτ [ṙ − κ̇∂τ ] =
dτ [ṙ − κ̇ ]2;
∆τ
∆τ
∆τ
2
κ
2
κ
2
κ
−
−
−
2
2
2
r
− κ̇ κ
dunque se sostituiamo σ̇ = ṙ
otteniamo il risultato desiderato. Lo jacobiano della trasformaδr
zione è δσ , quindi dovremmo esprimere r come funzione di σ:
Z τ
ṙ
σ̇ ′
r
r
σ̇ = κ( − κ̇ 2 ) = κ∂τ ⇒ r(τ ) = κ(τ )
dτ ;
∆τ κ
κ
κ
κ
−
2
∆τ
scegliendo come condizioni al contorno σ( − 2 ) = 0 e integrando per parti, possiamo riscrivere
R τ
κ̇
′
l’equazione nella forma r(τ ) = σ(τ ) + κ(τ )
∆τ σ κ2 dτ , quindi
−
2
δr(τ1)
κ̇(τ )
= δ(τ1 − τ2) + θ(τ1 − τ2)κ(τ1) 2 2 .
δσ(τ2)
κ (τ2)
δr
,
δσ
Al fine di valutare il determinante di
conviene ricordare che
ln det (1 + M ) = tr ln (1 + M );
P
tr( − M )n
, tutti i
infatti nel nostro caso notiamo che espandendo tr ln (1 + M ) nella serie
n>0 −
n
termini eccetto il primo sono nulli:
Z
tr M n = dτdτ1 .dτn−1 θ(τ − τ1)θ(τ1 − τ2) .θ(τn−1 − τ )[ ],
perciò l’integrando è diverso da zero solo per τ = τ1 = = τn−1 , il che implica che l’integrale sia
non nullo solo per n = 1, caso in cui
tr M =
Z
∆τ
2
−
∆τ
2
∆τ
κ( 2 )
κ̇(τ )
dτ θ(0)
= θ(0) ln
.
∆τ
κ(τ )
κ( − )
2
Con ciò terminiamo il calcolo del determinante:
v
u
∆τ
κ( 2 )
δr u
=t
.
det
∆τ
δσ
κ( − )
2
Per concludere la sostituzione nell’integrale sui cammini dobbiamo ancora imporre la condizione al
∆τ
∆τ R 2
σ̇
∆τ
contorno 0 = κ( 2 )
∆τ dτ κ = r( 2 ); una strada per giungere al risultato è l’inserimento di una
−
2
funzione delta espressa in forma integrale come trasformata di Fourier:
!
Z
Z ∆τ
2
δr
∆τ
σ̇ − R dτ 12 σ̇ 2
−Sc
U ≃e
[dσ]det
δ κ( )
dτ
e
=
∆τ
∆τ
δσ
2
κ
σ(−
)=0
−
2
=e
=e
−Sc
Z
−Sc
σ(−
Z
σ(−
∆τ
)=0
2
∆τ
)=0
2
2
!
Z ∆τ
2
dψ
δr
σ̇(τ ) 1 2
[dσ]det
exp −
dτ [ − iψ
+ σ̇ ] =
∆τ
δσ 2πκ( ∆τ )
κ(τ ) 2
−
2
2
dψ
[dσ]
2π
q
exp −
∆τ
∆τ
κ( 2 )κ( − 2 )
20
Z
∆τ
2
−
∆τ
2
!
1
iψ
ψ2
2
dτ [( −
+ σ̇(τ )) +
] .
2
κ(τ )
κ(τ )2
Uno shift di σ, σ̇ ← σ̇ −
U ≃ e−Sc
Z
Z
= e−Sc
σ(−
σ(−
iψ
,
κ
∆τ
)=0
2
∆τ
)=0
2
conduce infine a
dψ
[dσ]
2π
[dσ] q
q
exp −
∆τ
∆τ
κ( 2 )κ( − 2 )
1
2πκ(
∆τ
∆τ R
)κ( − 2 )
2
⇒ U ≃ e−Sc r
2πκ(
dτ
κ(τ )2
Z
∆τ
2
−
!
2
1
ψ
dτ [σ̇(τ )2 +
] =
2
κ(τ )2
∆τ
2
exp −
Z
∆τ
2
−
1
∆τ
∆τ
)κ( − 2 )
2
R
∆τ
2
∆τ
− 2
∆τ
2
!
1
2
dτ σ̇ (τ ) ⇒
2
.
dτ
κ(τ )2
Per avere una formula più significativa dovremo analizzare meglio la parte classica dell’argomento.
Dalla sezione precedente ricordiamo che le soluzioni dell’equazione ( − ∂τ2 + V ′′(qc))f (τ ) = 0
δ 2S
sono le autofunzioni di δτ δτ con autovalore nullo, dunque sono combinazioni lineari di q̇c(τ )
1 2
R τ dτ ′
; in tal modo comprendiamo che κ è una tale combinazione lineare che non si
e q̇ c(τ )
q̇ 2(τ ′)
c
annulla mai in R. Dato un qualsiasi potenziale regolare, l’esistenza della suddetta combinazione
lineare in F (C, C), l’insieme delle funzioni C → C, deriva direttamente dall’esistenza di una base
di funzioni in F (R, R) per la relativa equazione differenziale. Infatti data una base {f1, f2} con
dette caratteristiche, dal fatto che il wronskiano è costante e non zero si deduce che le due funzioni
non si annullano mai contemporaneamente, da cui la combinazione lineare f1 + if2 non si annulla
mai su R. Invece in F (R, R) l’esistenza di una soluzione che non si annulla mai dipende dal
δ 2S
potenziale (e.g., il potenziale illimitato inferiormente, associato a un operatore δq 2 non ellittico,
1
V (q) = − 2 ω 2 q 2 non ammette la soluzione richiesta). Possiamo verificare che la formula appena
ottenuta per il propagatore è indipendente dalla combinazione lineare che abbiamo scelto; a tal
R τ dτ ′
:
fine è sufficiente sostituire κ(τ ) = q̇c(τ )
q̇ 2(τ ′)
c
∆τ
∆τ
κ( )κ( −
)
2
2
Z
e osservando che
∆τ
2
∆τ
− 2
dτ
∆τ
∆τ
= q̇c( )q̇c( −
)
κ(τ )2
2
2
1
[q̇c(τ )
R
dτ ′ 2
]
2(τ ′)
q̇c
τ
∆τ
∆τ
= q̇c( )q̇c( −
)
2
2
"Z
∆τ
∆τ
)
q̇c( )q̇c( −
2
2
∆τ
2
1
= − ∂τ R
Z
∆τ
2
dτ
q̇c(τ )2
−
Z
∆τ
2
dτ
q̇c(τ )2
Z
∆τ
2
∆τ
− 2
dτ
[q̇c(τ )
R
τ
dτ ′ 2
]
q̇c2(τ ′)
la precedente catena di equazioni prosegue
dτ ′
τ
∆τ
2
Z
2(τ ′)
q̇c
dτ
q̇c(τ )2
dτ
−
q̇c(τ )2
Z
Z
−
−

dτ

q̇c(τ )2 R
∆τ
2
∆τ
2
1
τ
−2
dτ ′
q̇c2(τ ′)
−R
1
τ
2
dτ ′
q̇c2(τ ′)

=
#
Z ∆τ
2
dτ
∆τ
dτ
∆τ
)
= q̇c( )q̇c( −
∆τ q̇ (τ )2
q̇c(τ )2
2
2
c
−
2
il che porta a termine la verifica dell’invarianza.
Adesso possiamo dimostrare che q̇c(
posto q1 =
′
∆τ
qc( 2 )
con x , data la
∆τ
∆τ
)q̇c( − 2 )
2
R
∆τ
2
∆τ
− 2
∆τ
e q0 = qc( − 2 ); infatti, denotando
1
lagrangiana L = 2 q̇ 2 + V (q),
′
Sc(x , x; τ ) =
Z
0
τ
′
′
dτ
q̇c(τ )2
∂ 2Sc(q1, q0; ∆τ ) −1
) ,
∂q0∂q1
′
dove abbiam
con q(τ ) il percorso classico che connette x
′
dτ L(q̇(τ ), q(τ )) =
21
=(−
Z
x′
x
dq
L(q̇ (q), q)
;
q̇
richiamando il fatto che la relativa hamiltoniana è indipendente dal tempo, dunque costante lungo
1
il cammino classico, cosicché 2 q̇ 2 − V (q) = ε con ε costante,
∂Sc(x ′, x; τ ) L(x ′)
=
+
∂x ′
x˙ ′
valutare
x′
x
dq
∂
ε + 2V (q)
L(x ′)
∂ε
p
=
+ ′
′
′
∂x 2(ε + V (q))
ẋ
∂x
∂ε
, notiamo che prolungando il
∂x ′
∂ε
∂ε
∂ε
∂ε 1
dx ′ + ∂τ dτ = 0 ⇒ ∂x ′ = − ∂τ ẋ ′ (il
∂x ′
∂ε
:
∂τ
per trovare
cui dε =
Z
1 2
q̇ − V (q) = ε ⇒ τ =
2
Z
x′
x
Z
x′
ε
dq
3
;
[2(ε + V (q))] 2
x
cammino classico oltre x ′ l’energia ε non varia, da
∂ε
medesimo argomento è valido per − ∂x ); rimane da
dq
p
⇒1=−
2(ε + V (q))
Z
x′
x
dq
∂ε
∂ε
1
⇒
= − R τ dτ ′ .
∂τ
∂τ
[2(ε + V (q))]
0 q̇ 2(τ ′)
3
2
In tal maniera otteniamo per la derivata dell’azione:
Z τ
∂Sc(x ′, x; τ ) ε + 2V (x ′)
ε
1
2(ε + V (x ′))
dτ ′ 2 ′ =
=
+
= ẋ ′ ,
R
′
′
′
dτ
τ
∂x
q̇ (τ )
ẋ
ẋ ′
ẋ ′ 0 q̇ 2(τ ′) 0
la nota equazione caratteristica per l’azione ricavata per una via perversa; tuttavia proseguendo
sulla stessa strada è immediato ottenere:
∂p
1
∂ε
1
∂ 2Sc(x ′, x; τ )
=
2(ε + V (x ′)) = p
=−
R τ
′
∂x
∂x
∂x∂x ′
′
2(ε + V (x ))
ẋ ẋ
dτ ′
0 q̇ 2(τ ′)
.
Questo ci permette di riscrivere la formula approssimata per il propagatore in modo più suggestivo:
U (x1, x0; ∆τ ) ≃ exp[ − Sc(x1, x0; ∆τ )]
1 ∂ 2Sc
−
2π ∂x0∂x1
1
2
(ovvero la formula di Morette-Van Vleck per potenziali quadratici).
Analogamente nel caso di n gradi di libertà si cerca una matrice nonsingolare K tale che K̈ij =
∂ 2V (qc(τ ))
Kkj e il cambio di variabili diviene ṙ − K̇K −1r = σ̇ , dove K è scelta in modo che K̇K −1
∂qi∂qk
sia simmetrica, cosicché la formula approssimata per il propagatore è
τ
τ
≃s
U x1, x0; , −
2
2
o equivalentemente
n
(2π) det K
exp[ − Sc(x1, x0; τ )]
τ
K
2
−
τ
2
R
τ
2
τ
−2
dt (K T )−1K −1
1
2
1 ∂ 2 Sc
τ
τ
≃ exp[ − Sc(x1, x0; τ )] − det
.
U x1, x0; , −
2π ∂x0∂x1
2
2
Contributo dell’istantone alla funzione di partizione
Data una soluzione istantonica per il potenziale V che soddisfi alle condizioni al contorno cicliche
imposte dal calcolo della traccia di U (τ ) (un bounce), dalla relativa formula in approssimazione
semiclassica per il propagatore possiamo valutare il contributo dell’istantone alla parte immaginaria della funzione di partizione. Denotiamo con x0(ε) e x1(ε) i due zeri di ε + V (q) connessi dal
R x (ε)
τ
dq
= 2 . Riprendiamo innanzitutto l’equazione di vanVleck,
cammino scelto, tali che x 1(ε) p
0
2(ε + V )
v
u
u
−Sc(τ )t
U (τ ) ∼ e
∂ε
− ∂τ
τ .
τ
2πq̇c 2 q̇c − 2
22
Per calcolare approssimativamente il contributo alla funzione di partizione, integriamo su tutti i
cammini, sempre all’energia ε dell’istantone, che partono da un punto in (x0(ε), x1(ε)), appros∂ε
simando la relativa azione con quella dell’istantone e mantenendo il ∂τ dell’istantone (notiamo
che se integrassimo sui cammini naturali, ovvero con le energie minime possibili, includeremmo
il contributo dei punti stazionari del potenziale compresi in (x0, x1) nonché delle eventuali
altre
′
2 τ
soluzioni
istantoniche
ivi
presenti).
Le
condizioni
al
contorno
periodiche
implicano
che
q̇
=
c 2
q̇c2
−
τ′
2
τ′
2
= − q̇c
q̇c
−
τ′
2
= 2(ε + V (qc(τ ′))); ricordando l’equazione integrale per τ ,
l’integrazione di U così descritta conduce al contributo
τ
Im[Z]|istantone ≃
2
dove Sc(τ ) =
R
τ
+2
τ
−2
r
−
1 ∂ε −Sc(τ )
e
,
2π ∂τ
p
R x (ε)
1
dτ ′ 2 q̇c2(τ ′) + V (qc(τ ′)) = 2 x 1(ε) dq 2(V (q) + ε) − ετ . A questo punto è
0
scomodo continuare a lavorare con un’energia descritta da tre parametri, ε(x0, x1, τ ), dal momento
che x0 e x1 sono funzioni di ε; sarebbe più significativa un’espressione per ε(τ ) (e dunque x0(τ ) e
x1(τ )). Per semplicità adesso ci concentriamo solo sulla parte di cammino da x1 a x0. Indicando
con D(.) la derivata rispetto a (.) nel sottospazio (opportunamente ristretto nella scelta della coppia
di estremi) descritto da
(*)
(**)
0 = V (xi) + ε
0=
abbiamo Dτε =
∂ε
∂τ
1
x1
dq
p
x0
2(ε + V (q))
∂ε
∂ε
D x + ∂x Dτ x1
∂x0 τ 0
1
1
per
la
(*),
perciò
ẍi
+
Dεxi = − V ′(x ) = −
i
R
Dτ ε =
=
∂ε
∂τ
+τ
Dτ x0
ẋ0
1+
−
Dτ x1
ẋ1
∂ε
∂τ
∂ε
∂τ
1−
1
ẋ0(ε)ẍ0(ε)
1
1(ε)ẍ1(ε)
− ẋ
=
∂ε
∂τ
1 + Dτε
Dεx0
ẋ0
− Dτε
Dεx1
ẋ1
;
.
Adesso trasliamo potenziale e coordinate in modo che per τ grande si abbia ε → 0, x0 → 0, con
x1 > x0 e V ′(0) = 0 (il rimbalzo avviene in x1), e ammettiamo che V (q) si comporti come una
potenza nell’origine, V (q) ∼0 q n, n > 2. Il maggior contributo nell’integrale in (**) è dato da un
intorno di x0 ∼ 0, cosicché la (**) nel limite di ε → 0, V (q) ∼0 q n ci dà un comportamento per la
2
− n−2
2 e del tipo qc(t) ∼ e−t per
Rper n > −1
τ dt
∂ε
e notiamo che in Dτε il
n = 2. In particolare, se riesprimiamo esplicitamente ∂τ = −
q̇ 2(t)
soluzione del moto in prossimità di x0 del tipo qc(t) ∼ t
contributo di
1
ẋ1ẍ1
è trascurabile, poiché in x1 il potenziale non è stazionario, ricaviamo
Dτ ε ∼ 0 −
1 n ∂ε
.
2 n − 1 ∂τ
1
Nelle ipotesi ancora più ristrette che il potenziale sia della forma V (q) = 2 q 2(1 + f (q)), con f (0) = 0
e f < 0 in un intorno destro di 0, possiamo “isolare” la singolarità di
1
p : se torniamo alla prima legge oraria del bounce,
2
q
τ
=
2
Z
x1(ε)
x0(ε)
≃
Z
1
p
"
2V (q)
#
1
1
1
dq p
−p
+p
≃
2(V (q) + ε)
q 2 + 2ε
q 2 + 2ε
x1(ε)
x0(ε)
"
#
x1(ε)
√
1
1
−1◦
dq p
−p
+ ch
[z]|1 −2ε
2
2V (q)
q
23
in zero col termine
e invertiamo in
√
R x (0)
− 2ε , otteniamo ε(τ ) ∼ − 2x21exp 2 0 1 dq p
1
1
2V (q)
per l’azione si ottiene
Sc(τ ) ∼ 2
Z
x1(0)
0
" Z
p
2
dq 2V (q) − 2x1exp 2
x1(0)
0
∂ε
−q
e−τ ; analogamente
1
1
dq p
−
2V (q) q
!#
e−τ ;
infine, ricordando che per n = 2 vale Dτε ∼0 − ∂τ , si sintetizza quanto detto nella formula [Bre1977 ]:
Im e−τH ∼istantone
R x1
1
1
−q
x1exp 0 dq p
2V (q)
τ − τ2 −Sc(τ )
√
e e
.
2
π
−τ
Per
nell’azione, i.e. Sc ∼
plo stato fondamentale si trascurano i contributi di ordine e
R xricavare
1(0)
2 0
dq 2V (q) ≡ a, ovvero, reinserendo la costante d’accoppiamento g,
τ −τ
Im[e−τH ] ∼istantone e 2
2
R x
1
1
con C ≡ x2+exp 2 0 1 dq p
−q .
r
C − ag
1
e ⇒ ImE0(g) ≃ −
πg
2
r
C − ag
e
πg
2V (q)
L’istantone non c’è più
È interessante chiedersi entro che limite possiamo schiacciare una soluzione istantonica che contribuisca alla funzione di partizione entro intervalli di tempo sempre più stretti - o in termini
statistici entro che temperatura “resista” la soluzione. Ad esempio, cercando soluzioni nell’intorno
di un punto xM di massimo relativo quadratico di V , ovvero un punto stazionario che permetta
1
2
l’espansione per le piccole oscillazioni V (q) = VM − 2 ω 2(q − xM ) + O(q − xM )3, man mano
che diminuiamo τ gli estremi del cammino si avvicinano fino a coincidere in xM ; nel dettaglio,
1
parametrizzando ε = − VM + 2 ω 2δ 2 + O(δ 3), x0 = xM − δ, x1 = xM + δ, dalla legge oraria
R x
dq
2 R +δ
2π
dq
abbiamo τ = 2 x 1 p
→δ→0 ω −δ p 2 2 = ω . Per tempi inferiori mancano soluzioni
0
2(ε + V (q))
δ −q
istantoniche, mentre è rilevante il contributo perturbativo attorno a xM .
Un’infinità di buche
Nella doppia buca abbiamo visto che il tunneling separa gli autostati fondamentali in due livelli
distinti; potremmo procedere analizzando sequenzialmente la buca tripla, V = x2(1 − x2)2, quaq 2
drupla, V = (1 − q 2)2(1 − 2 )2, in un crescendo di complessità, fino a renderci conto che qualcosa
di interessante dovrebbe avvenire quando raggiungiamo la simmetria traslazionale con un numero
Q
q 2 2
sin2[πq]
1 − cos[2πq]
infinito di buche, ad esempio V = q 2 n>0 1 − n
= π2 = 2 (2π)2 .
Consideriamo dunque il sistema con hamiltoniano
√
1
1
H = − ∂ q2 + (1 − cos[q g ]).
g
2
Così come nel caso della doppia buca ci siamo serviti per calcolare lo splitting nello stato fonda2π
mentale dell’operatore parità P , adesso ci è utile l’operatore T di traslazione su un periodo di √g .
Infatti [T , H] = 0: possiamo diagonalizzare contemporaneamente i due operatori; considerando
che le autofunzioni devono essere normalizzabili e in particolare finite per q → ∞, troviamo che il
modulo degli autovalori di T deve essere 1, perciò possiamo indicizzare gli autovettori con la fase
dei corrispettivi autovalori, i.e.
T |φ > = eiφ |φ > .
24
1
Nel caso estremo in cui g → 0, il potenziale tende al potenziale armonico 2 q 2 e gli autostati sono
infinitamente degeneri (per quanto possa aver senso una simile situazione); al crescere di g gli
1
autovalori sono funzioni periodiche En(φ) ≃ n + 2 + O(g), ma indipendenti da φ a tutti gli ordini di
potenze positive di g: perturbativamente lo spettro rimane infinitamente degenere. È il tunneling
a introdurre la dipendenza dal parametro φ dello spettro dell’operatore di simmetria e a diramare
i livelli degeneri in bande (sempre per g sufficientemente piccolo!).
Calcoliamo la funzione di partizione per τ grande, quando prevale il contributo degli autovalori
nella prima banda. La periodicità comporta che
tr ′[e−τH ] ∼
1
2π
Z
2π
dφe−τE0(φ) ,
0
dove indichiamo con un apice il fatto che calcoliamo la traccia su un solo periodo del potenziale.
2π
Infatti, se imponiamo condizioni al contorno periodiche di periodo N √g , N ∈ N, discretizziamo
p
gli autovalori di T , che divengono φ p = 2π N , N > p ∈ N, e possiamo indicizzare le autofunzioni
dell’energia con ψ p,n, dove n indica la banda di appartenenza, cosicché
tr ′ e−τH =
Z
2π
√
g
0
dq < q|e−τH |q > =
X
1
2π
−τEn(ϕ p)
e p,n
1
N
Z
2π
N √g
dq|ψ p,n(q)|2 =
0
1 X −τEn(φp)
e
;
N
p,n
2π
0
e−τEn(φ): per τ grande, ce qu’il faut démontrer.
P+∞ (l)
Rappresentiamo ciascun autovalore dell’energia in serie di Fourier, En(φ) = −∞ Ên eilφ con
P
nel limite di N → ∞, tr ′ e−τH = n
R
Ên = Ên ; l’indipendenza perturbativa degli autovalori da φ si traduce in Ên = 0 per l 0,
mentre nel termine rimanente il contributo principale
è quello perturbativo. Per questo, come nel
(l)
(−l)
(l)
caso della doppia buca, conviene valutare
′
tr T e
−Hτ
′
1
∼
2π
Z
2π
tr ′ T e−Hτ
tr ′ e−Hτ
(0)
iφ −τE0(φ)
dφe e
0
e−τÊ0
≃
2π
Z
2π
0
:
i
h
(0)
(1)
(0)
dφeiφ 1 − E0(φ) − Ê0 τ = − τÊ0 e−τÊ0
−Hτ
tr T e
tr ′ e−Hτ
∼ − τÊ 0(1).
Passiamo a determinare tr ′ T e−τH . Il contributo principale è dato dall’istantone che congiunge
2π
due minimi consecutivi del potenziale; scegliamo il cammino che congiunge x0 = 0 e x1 = √g ,
8
4
qc(τ ) = √g tan−1◦ eτ −τ0 con S[qc] = g . Considerando che il potenziale è simmetrico rispetto al
dunque
massimo compreso fra i due minimi, la formula per grandi τ per le soluzioni bounces può essere
riadattata immaginando che il punto medio fra i due minimi nel potenziale attuale corrisponda al
punto di inversione nel cammino di bounce, in formule
ε(τ ) ∼ − e
−τ
" Z x1
!#
x 2
2
1
1
1
exp 2
dq p
−
;
2
2
2V (q) q
0
nel contributo istantonico alla traccia cambia il segno del prodotto q̇c
τ
q̇c
2
τ
− 2 , che questa volta
1
è positivo e non apporta un fattore immaginario; inoltre manca il fattore 2i perché non stiamo
valutando la parte immaginaria della funzione di partizione.
h i
4
Calcolando l’integrale all’esponente troviamo ln π , da cui ε ∼ − 32e−τ , dunque (reinserendo g)
τ
− τe
−2
(1)
Ê0 ∼
−
τ
4τ e 2 − 8g
4 −8
(1)
e ⇒ Ê0 ≃ √ e g ;
√
πg
πg
25
perciò fin qui abbiamo ottenuto i medesimi risultati che si ricavano nel modello tight binding per i
cristalli, su cui ci siamo basati per la prima parte della presentazione pur senza riportare l’usuale
nomenclatura. Perché
gli altri coefficienti dello sviluppo in serie? Non
non procedere
calcolando
basta passare da tr ′ T e−τH a tr ′ T ne−τH ? Sì, ma salta all’occhio un’anomalia rispetto ai casi
precedenti se si pensa alla soluzione istantonica associata, una sorta di “catena” di n istantoni che
non corrisponde però per τ → ∞ ad alcun cammino classico, se non inteso come limite.
Multiistantoni
Nella stessa ottica troviamo subito possibili catene di istantoni in tutti gli esempi descritti. Come
gestire questa collezione di quasi-soluzioni del moto? Una trattazione dettagliata dell’argomento
esula dalle nostre possibilità, tuttavia possiamo darne una esposizione a grandi linee (tutt’altro
che bourbakista) sulla base di un esempio che mostri almeno parzialmente i problemi e i risultati
che si incontrano nel cammino.
Cominciamo sintetizzando quanto abbiam visto sin’ora: quando c’è una soluzione istantonica
adeguata, abbiam trovato che l’energia E0 (in genere ci siamo limitati all’autovalore dello stato
fondamentale, perciò a questo continuiamo a riferirci per comodità) si può approssimare come
(1)
(0)
somma del contributo perturbativo E0 e di quello istantonico E0 . In particolare nell’espansione
∞
(0) X ( − τ )n
(1) n
E0
tr e−Hτ ∼ e−τE0 ∼ e−τE0
n!
n=0
(0)
(1)
abbiamo ricavato il termine per n = 1, − τE0 e−τE0 , che di per sé è sufficiente a implicare la
presenza dei termini successivi nella somma. Adesso possiamo ricollegare tali termini al contributo
di una catena di n-istantoni, se pensiamo che entri in gioco una distinta coordinata colletiva per
ogni elemento nella catena. Il punto è che un istantone è un oggetto ben localizzato (altrimenti
non avrebbe azione finita), nel senso che trascorre il più del tempo in prossimità dei minimi
che congiunge, perciò potremmo pensare di operare chirurgicamente su una coppia di istantoni
q1(τ ) e q2(τ ) tali che q1( + ∞) = q2( − ∞) incollandoli a sufficiente distanza per la coda una
volta asportatone il pezzo finale, ma dovremmo fare attenzione a conservare almeno la continuità,
dato che la derivabilità non è conservabile con queste operazioni se non distorcendo la zona di
congiunzione. Più correttamente potremmo introdurre la distanza fra i due centri istantonici come
vincolo nell’integrale sui cammini e risolvere le relative equazioni del moto con i moltiplicatori
di Lagrange. La soluzione approssimata più semplice consiste nel considerare una combinazione
lineare dei due istantoni. Il moto ottenuto, se i due istantoni sono molto distanti, differisce da
un punto stazionario dell’azione per “poco” - ad esempio, nel caso i minimi del potenziale siano
quadratici, situazione a cui ci riferiremo d’ora innanzi, l’errore è confrontabile con e−2ξ , dove ξ è
indicativo della distanza fra i due istantoni. Confido che per iniziare un’immagine possa valere più
di accurate descrizioni:
q(τ )
τ0
τ0 + ξ
τ
Riprendiamo l’esempio della doppia buca; epuriamolo d’ogni parametro non strettamente necessario e trasliamo√ le coordinate in modo che il potenziale abbia un minimo nell’origine, ovvero
V ( g q)
q
1
1
con V (q) = 2 q 2(q − 1)2 e relativa √cg soluzione delle equazioni classiche del
H = − 2 ∂ q2 +
g
moto con qc( − ∞) = 1, qc(τ ) + qc( − τ ) = 1. Analizziamo i contributi multiistantonici costruendo
come primo passo un 2-istantone f (τ ).
26
Fissiamo una distanza ξ fra i centri dei due istantoni
la combinazione lineare di due
e consideriamo
ξ
u(τ ) − v(τ )
√
τ
−
,
con
u(τ
)
=
q
istantoni f ( − τ ) = f (τ ) =
,
v(τ
)
=
u(τ
+ ξ); per ξ grande f differisce
c
2
g
da ciascuna soluzione istantonica, nelle vicinanze di quel dato istantone, per termini dell’ordine di
e− ξ. Valutiamo l’azione:
S[f ] =
Z
R
Z
√
q
2 +∞
1 ˙2 1
f + V (f g ) = 2S √c +
dt[ − u̇v̇ + V (u − v) − V (u) − V (v)] =
dt
g
g
g 0
2
Z +∞
qc
2
dt(vü + V (u − v) − V (u) − V (v)) ;
= 2S √ + v(0)u̇(0) +
g
g
0
considerato che v per τ > 0 e ξ grande si comporta come e−ξ e che il contributo principale sarà di
tale ordine, espandiamo V (u − v) in potenze di v fino al second’ordine, così che l’integrando diviene
v2
vü − v V ′(u) + 2 V ′′(u) − V (v); ricordando le equazioni del moto per u annulliamo i primi due
addendi; l’integrazione sul terzo addendo si può restringere ai “paraggi” dello zero, dove V ′′(u) ∼ 1,
1 2
perché è hlì chei v 2 apporta il contributo
i maggiore; siccome V (v) ∼ 2 v l’integrale è trascurabile:
h
qc
2
2 −ξ
qc
S[f ] ∼ 2S √g + g v(0)u̇(0) ∼ 2S √g − g e .
Possiamohda questo
per τ finito considerando la simmetria fra ξ e τ − ξ:
i
dedurre l’approssimazione
S[f ] ∼ 2S
qc
√
g
2
− g e−ξ + e−(τ − ξ) .
Si può studiare anche cosa avviene, per grandi ξ, quando modifichiamo in modo continuo il 2istantone fin’ora analizzato alla ricerca di una minore variazione dell’azione. Ponendo f ′ = f + r
(certamente r è una funzione pari) ed espandendo l’azione S[f ′] intorno a f fino al second’ordine,
se supponiamo ragionevolmente che r sia trascurabile nelle vicinanze del centro di ciascun istantone,
così nel termine quadratico dell’espansione possiamo nuovamente approssimare V ′′ ∼ 1, da
S[f + r] = S[f ] + 2r f˙ |0 + 2
Z
∞
0
Z ∞
√
g ′ √
V (f g ) +
dt[ṙ 2 + r 2] + O(r 3)
dt r(t) − f¨ +
g
0
si verifica che il termine lineare in r è dell’ordine e−ξ , mentre i tentativi di migliorarlo conducono
a correzioni dell’ordine di e−2ξ.
Pn
Costruiamo ora una catena fn di n istantoni separati da tempi ξi con
i=1 ξi = τ . Al primo
ordine consideriamo la sovrapposizione fra gli istantoni nella combinazione lineare solo fra elementi
vicini (pensando l’istantone come una pseudoparticella, consideriamo solo l’interazione fra istantoni
adiacenti). Generalizzandoh la formula
ricavata per la coppia istantonica, abbiamo per l’azione
i
q
2 P −ξi
dell’n-istantone S[fn] ∼ nS √cg − g
e .
Adesso rimangono da calcolare le fluttuazioni intorno all’n-istantone; in prima approssimazione
possiamo
trascurare i termini
di sovrapposizione lineare, perciò il “potenziale” V ′′ nell’operatore
√ δ 2S
2
′′
= − ∂τ + V (fn g ) δ(τ − τ ′) è ottenuto in prima approssimazione come una serie di copie
δq 2
adiacenti del potenziale per l’istantone singolo, ovvero niente cambia nello spettro se non il fatto
che ogni autovalore è n volte degenere. Abbiamo n coordinate colletive ξi per isolare l’autovalore
nullo e con esse lo jacobiano della relativa trasformazione elevato alla potenza ennesima; rimane una
integrazione di tutta la catena istantonica in quel che era il parametro τ0 nel monoistantone, che
1
apporta un fattore τ ; infine un fattore n che deriva dall’aver schematizzato ciclicamente le distanze
Pn
fra gli istantoni ( 1 ξi = τ ). Collezionando i vari fattori abbiamo dunque il contributo da n-catena
Z
(n)
τ
∼e
−2
τ e−Sc
√
πg
n
!n Z
Y
dξie
i
27
2 −ξi
e
g
!
δ
X
j
!
ξj − τ ;
trascurando l’interazione fra istantoni (che avevamo comunque già limitato ai soli effetti di
prim’ordine) otteniamo l’approssimazione di gas diluito,
Z
(n)
−2 τ
τ
∼e
n
n!
e − Sc
√
πg
!n
.
h
i
1 + σP −Hτ
Sulle orme di quanto detto per l’1-istantone, studiamo Zσ = tr
e
, dove σ = + 1 seleziona
2
gli autovalori di autostati pari, σ = − 1 quelli di autostati dispari. Per comodità si definisce
generalmente la fugacità λ =
σe−Sc
√
πg
(ovvero metà del contributo di monoistantone), così che si scrive
τ
Zσ = e
−2
+
X
σ nZ (n) = e
τ
− 2 +τλ
,
da cui ritroviamo la stessa separazione fra E − ed E+ che avevamo già determinato (certo con
parametri differenti), oltre all’informazione che, in questa approssimazione, la diramazione avviene
simmetricamente rispetto al livello calcolato perturbativamente.
Il passo successivo è evidente, ma conduce a un bel dilemma: volendo tener conto dell’interazione fra
istantoni, ci accorgiamo nel considerare l’integrando di Z (n) che il maggior contributo dell’integrale
viene da configurazioni in cui gli istantoni si dispongono in agglomerati, ovvero l’interazione è
P
2 P − ξi
attrattiva (si tratta di massimizzare g
mantenendo
ξi costante); ma nel costruire le
e
catene istantoniche come combinazione lineare abbiamo sottolineato che ciò era approssimativamente corretto purché i centri istantonici fossero ben distanti fra di loro, dunque qui pare che il
modello collassi. A meno che non accettiamo di ottenere il risultato a partire da un prolungamento
analitico: per g negativo l’interazione è repulsiva. Per capire cosa abbiamo di fronte è necessaria
almeno una breve digressione sulla connessione fra soluzioni istantoniche e espansione perturbativa
a grandi ordini.
Energie complesse ed espansione perturbativa: integrali di dispersione
Consideriamo un potenziale che per g positivo conduca a stati instabili. Supponiamo che E(g),
l’autovalore dello stato fondamentale, sia una funzione analitica in un piano tagliato lungo R+
1
e si comporti come g 3 per grandi g; in altri termini, sorvoliamo tutto lo studio delle proprietà
analitiche dello spettro, come abbiamo più o meno tacitamente fatto fin’ora: questo è un campo
vasto e intrigante che prende le mosse dalla versione operatoriale della meccanica quantistica lo stesso Feynman [Fey1965 ] riconosceva, forse in questo senso, la maggiore profondità di tale
versione. Dalla rappresentazione integrale di Cauchy di una funzione si ottiene
g
E(g) = E(0) +
π
Z
+∞
0
Im[E(g ′)] ′
dg ;
g ′(g ′ − g)
P
k
inserendo l’espansione perturbativa E(g) = ∞
0 Ekg e restringendo l’integrale a
per k ≫ 1, il cosiddetto integrale di dispersione
Ek ∼
1
π
Z
0+
|g |
|g ′|
< 1 abbiamo,
Im[E(g)]
dg,
gk+1
dove l’integrazione è limitata a un intorno destro dello zero. Supponendo che vi sia un solo
contributo istantonico e che corrisponda a unqminimo quadratico relativo, possiamo valutare in
approssimazione semiclassica Im[E(g)] ∼ −
1
2
a
C −g
e
πg
+
e, riapprossimando l’integrale sull’intorno
dello zero con un integrale su tutto R , ci si riconduce alla rappresentazione integrale di Eulero
della funzione gamma:
r
1 C − k+ 12
1
Ek ∼ −
a
Γ k+
.
2π π
2
28
In generale per gli stati eccitati si conferma un comportamento del tipo Ek ∼ ck b−1k!a−k , dove c è
una costante e b dipende dalla potenza di g a fattore nella formula in approssimazione semiclassica,
ricordando che per gli stati eccitati non si procede con l’ulteriore approssimazione per l’azione
−
1
Sc ∼ a + O(e−τ ), ma anche che si ha un fattore g 2 per ogni coordinata collettiva associata alla
rottura di una simmetria dell’azione classica da parte dell’istantone.
Una stima del comportamento a grandi ordini acquista rilievo una volta che si consideri la trasforP
P Ek k
g - come
mata di Borel dell’espansione perturbativa - nella sua forma più semplice
Ekg k →
k!
mezzo di risommazione, inteso come continuazione analitica della trasformata seguita dall’antitrasformata. Infatti, tralasciando il caso (di cui l’espansione intorno a un minimo assoluto del
potenziale è l’emblema) in cui non ci sono soluzioni istantoniche reali e bisogna considerare quelle
complesse per ottenere una stima del comportamento a grandi ordini, abbiamo visto che ci ritroviamo con un comportamento a grandi ordini del tipo
Ek
∼ ck b−1a−k ,
k!
per cui la trasformata avrà una singolarità in g = a; se, come nel nostro caso, l’azione classica a è
positiva, nell’antitrasformare si deve tener conto di una singolarità lungo il percorso d’integrazione.
Si può pensare di spostare il cammino d’integrazione nel piano complesso e integrare su R + i0±,
sempre che non ci si imbatta in altre singolarità istantoniche. Questo ha senso se il minimo attorno
al quale si è espanso è divenuto relativo in seguito a un prolungamento analitico del potenziale:
si ottiene un risultato complesso a cui possiamo dare l’interpretazione di stato metastabile e per
piccoli g si verifica che la parte immaginaria degli autovalori concorda con quella calcolata col
metodo istantonico. Invece, nel caso di minimi degeneri, un autovalore complesso non è la risposta
che cerchiamo.
Nel caso della doppia buca quartica, si verifica che nemmeno la prescrizione della media dei due
autovalori ottenuti dall’integrazione in R + i0+ e in R + i0− fornisce il risultato corretto. Ma cosa
significa integrare lungo tali cammini traslati? Per g < 0 si può dimostrare che l’espansione è
sommabile secondo Borel; se procediamo definendo l’espansione per g positivo come continuazione
analitica dell’espansione risommata secondo Borel per g < 0, ci ritroviamo con i due distinti risultati
per g → |g | ± i0 che corrispondono a integrare lungo i due cammini. Quel che abbiamo detto è
che per g < 0 l’interazione istantonica è repulsiva, perciò una possibile via di uscita consiste nel
calcolare i contributi multiistantonici (assieme all’espansione perturbativa) per g < 0 e procedere
con una continuazione analitica globale. Vediamo come.
Ritorno ai multiistantoni nella ex-doppia buca (g < 0)
(n)
Introduciamo per comodità la variabile Zσ = σ nZ (n); nell’integrale in
Zσ(n) ∼
τ − τ2 n
e λ
n
Z
Y
dξie
2 − ξi
e
g
i
!
δ
X
j
ξj − τ
!
1 R
sostituiamo la δ con la sua rappresentazione integrale δ(x − y) = 2πi γ ds e−s(x− y), dove γ ̺(s) è
̺
il cammino orientato che congiunge seguendo una parallela all’asse immaginario il punto − i∞ − ̺
con + i∞ − ̺, dove ̺ ∈ R+ assicura come d’uso la convergenza dell’integrale. Dato che g è negativo,
2
introduciamo per chiarezza µ = − g ; con l’inserimento della rappresentazione integrale della δ
fattorizziamo l’integrazione nell’espressione da cui siam partiti:
Z
1
τ −τ
(n)
ds e−τsI n(s),
Z σ ∼ e 2 λn
2πi γ̺
n
dove I(s) =
R
+∞
0
−ξ
esξ − µe dξ. Con la sostituzione u = µe− ξ, per g piccolo ovvero µ grande,
I(s) =
Z
0
µ
du µ s −u
e ∼ µs
u u
Z
+∞
0
29
du u−s−1e−u = µsΓ( − s),
da cui
τ
Zσ − e
−2
=
X
n>0
Zσ(n) ∼
−
τ
τe 2
2πi
Z
ds e
−τs
γ̺
τ
− Z
X [µsΓ( − s)λ]n
τe 2
ds e−τs ln[1 − λµsΓ( − s)];
=−
n
2πi γ̺
n>0
1
E−2
1
ponendo E = s + 2 , ψ(E) = 1 − λµ
1
Γ 2 − E . Sarà chiaro a breve che scegliendo ̺ =
1
2
stiamo “inglobando” nel calcolo anche l’autovalore dello stato fondamentale; dunque così facendo
e infine integrando per parti
τ
Zσ ∼ −
2πi
Z
dE e
γ1
−τE
1
ln[ψ(E)] =
2πi
2
Z
dE e−τE
γ1
ψ ′(E)
.
ψ(E)
2
L’integrale è convergente ed è possibile modificare il cammino in modo che racchiuda i poli En
nel semipiano Re[E] > 0; ne risulta una somma sui residui, ovvero un’espressione implicita per gli
autovalori:
X
Zσ ∼
e−τEn ,
{En }
1
1
E−
−E =0 ,
{En } ≡ E | ψ(E) = 1 − λµ 2 Γ
2
dove s’intende che ogni zero di ψ(E) è contato con la relativa molteplicità. Siccome λ è esponenzialmente piccolo (si noti che abbiamo mantenuto
la stessa
azione che nella doppia buca), gli
1
1
zeri di ψ(E) saranno nelle vicinanze dei poli di Γ 2 − E , ovvero En = N + 2 + O(λ) - adesso è
chiaro il significato del cammino scelto. Possiamo dunque riespandere le soluzioni dell’equazione in
P (k) k
serie di potenze di λ e da questa dedurre il contributo di k istantoni, ovvero En =
En λ . Non
approfondiremo ulteriormente il calcolo. Notiamo solamente che a fattore nel termine En(k) compare
un polinomio in ln[µ] di grado k − 1 di cui possiamo intuire il significato; infatti se prendiamo per
semplicità il caso di due istantoni, l’interazione sarà rilevante per µe− ξ dell’ordine dell’unità, ovvero
ξ ∼ − ln[µ]; dunque il polinomio in ln[µ] è interpretabile come una misura dello spazio in cui vi è
interazione.
Ora ritorniamo con una continuazione analitica del contributo multiistantonico al problema iniziale
della doppia buca; che succede? La serie perturbativa risommata alla Borel acquisisce una parte
immaginaria, più piccola della parte reale di un fattore e−Sc; al contempo ln[µ] sviluppa un termine
iπ. Nonostante il percorso rocambolesco, quel che si osserva (capitolo 43 di [Jus1997 ]) è che
i contributi immaginari multiistantonici del prolungamento analitico si elidono con quelli della
continuazione analitica della serie perturbativa risommata alla Borel.
Epilogo
La spinta primaria allo sviluppo del metodo istantonico è originata nell’ambito della teoria dei
campi quantistica; tuttavia ci siamo promessi di ignorare completamente questa realtà nella stesura di questo testo, nel tentativo di toccare con mano quanto il metodo fosse effettivamente
rilevante in meccanica quantistica. Una prima impressione è che l’impostazione di Feynman unita
all’espansione semiclassica rappresenti un mezzo maneggevole per ottenere una comprensione fisica
approssimata, ma quantitativa, degli aspetti salienti di vari problemi. Nel compiere questo percorso non siamo assolutamente giunti a un livello di comprensione adeguato allo sviluppo di un
giudizio sull’essenzialità del metodo; l’eventuale costruzione di un tale senso critico necessiterebbe
di un approfondimento di temi fondamentali che qui abbiamo solo toccato, o di cui non abbiamo
nemmeno colto l’esistenza. In tal senso, il cammino qui sintetizzato è certamente mozzo; di questo
ci scusiamo (inutilmente) col paziente lettore.
30
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31
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