Cecilia Costa
LA SOCIETÀ
POST-RAZIONALE
ARMANDO
EDITORE
Sommario
Premessa
9
Introduzione
25
Capitolo primo: Il fenomeno religioso e l’incontro
tra sociologia e teologia
1.1 Il fenomeno religioso nella ricerca sociologica
1.2 I rapporti “storici” fra sociologia e teologia
1.3 Il punto di incontro tra sociologia e teologia
1.4 Orizzontalismo sociologico e verticalismo teologico
1.5 Un nuovo dialogo tra sociologia e teologia
37
37
46
51
56
60
Capitolo secondo: L’immaginario come approccio sociologico
2.1 Ansie contemporanee: Dylan Dog
2.2 Aspirazioni immaginarie: Twilight
2.3 Una diversa concezione di eternità
69
76
82
85
Capitolo terzo: Il relativismo etico, il fenomeno religioso
e l’immaginario attuale
93
3.1 Il relativismo etico
93
3.2 Il fenomeno religioso
101
3.3 L’immaginario
104
3.4 Ipotesi di una percezione post-razionale della morte e
dell’eternità nel religioso e nell’immaginario
110
Conclusioni
121
Bibliografia
129
Premessa
Al di là degli argomenti affrontati per esteso in questo libro, due
suggestioni socio-letterarie del passato e delle domande sulla realtà
attuale hanno costituito lo sfondo riflessivo delle sue pagine.
In primo luogo, dunque, due suggestioni – giunte da un versante
sociologico, Tocqueville e da uno letterario, Manzoni – sono state
tra le ispirazioni latenti del saggio perché in esse, in qualche modo,
si può cogliere in estrema sintesi il probabile – non certo – vizio di
origine della controversa declinazione, da parte dei soggetti contemporanei, della realtà sociale ed esistenziale.
Del resto, non è inedito fare ricorso a riflessioni di classici del
pensiero per tentare di comprendere l’attualità in quanto, a volte,
non è il soggetto contemporaneo ad interrogare un testo del passato,
ma è «il testo antico che chiama a sé l’uomo di oggi e si offre a lui
come risposta»1.
1 Un esempio della possibilità di avere, grazie ad un testo classico del pensiero,
una risposta cronologicamente anteriore a situazioni e problematiche successive ci è
dato dal mettere in parallelo il testo spirituale Il Castello interiore, del 1577, di Teresa
D’Avila, con il romanzo Il Castello, del 1922, di Kafka. A parte il titolo simile, scelta
non casuale da parte di Kafka, Teresa D’Avila, più di trecento anni prima, offre una
risposta concreta, certo prettamente religiosa, al disagio dell’epoca moderna espresso
nell’opera incompiuta dell’autore boemo. Infatti, Teresa D’Avila, senza la pretesa di
essere un’interprete della modernità, ha proposto all’uomo del suo tempo, ma in egual
misura anche a quello della modernità, una soluzione per superare le sue paure di essere
escluso dalla vita e di non coglierne mai la sua pienezza: la risposta teresiana all’angoscia esistenziale moderna consiste nella possibilità, da lei indicata come risolutiva, di
“innestare l’eternità nel tempo” e di raggiungere attraverso la “indìazione” la felicità
tanto sospirata. Cfr. Antonio Maria Sicari, Nel “Castello interiore” di Santa Teresa
D’Avila. L’inaccessibile castello da Franz Kafka a santa Teresa, Jaca Book, Milano,
2006, pp. 13-15.
9
Sostiene Tocqueville:
Colui che si dedica alla sola ricerca dei beni di questo mondo è
sempre sotto pressione poiché non ha che un periodo limitato per
trovarli, acquisirli e goderne. La conoscenza della brevità della vita
lo perseguita. Indipendentemente dai beni che possiede, questi ne
immagina ad ogni istante mille altri che la morte impedirà di acquisire se non si affretta. Questo pensiero lo riempie di apprensioni,
di timori e di rimpianti, ne mantiene l’animo in uno stato di trepidazione incessante che lo porta a mutare ogni momento strategie e
luoghi2.
Manzoni, in un’evocativa pagina dei Promessi Sposi, invece,
quasi facendo un controcanto alla moderna “angoscia del desiderio” denunciata da Tocqueville, con rara sintesi descrive le attitudini
etico-esistenziali del Card. Federigo Borromeo; infatti, scrive:
egli era persuaso che la vita non è già destinata ad essere un peso
per molti, e una festa per alcuni, ma per tutti un impiego, del quale
ognuno renderà conto, cominciò da fanciullo a pensare come potesse render la sua utile o santa3.
La sollecitazione tocquevilliana ha aperto un percorso speculativo mirato ad interrogarsi su quanto la scomparsa “dell’autorità del
mistero”, l’autoreferenzialità soggettiva e l’emergere nella coscienza pubblico-privata di un’attenzione preminente “ai beni materiali”
possano essere una causa del disorientamento collettivo e dell’incertezza individuale.
L’accenno ad una pagina del famoso romanzo di Manzoni, viceversa, è servito come pretesto per rifar memoria di momenti storicoculturali in cui, a torto o a ragione, le vicende degli uomini erano
2 Cfr. Alexis de Tocqueville, De la Démocratie en Amérique, II vol., Gallimard,
Paris, 1961, p. 143.
3 Cfr. Alessandro Manzoni, I promessi sposi, BUR, Milano, 2000, p. 463.
10
ancora legate ad un solido impegno etico, ad una narrazione personale orientata ad un fine che trascendeva il quotidiano e in cui l’autodeterminazione soggettiva si manifestava nella versione “teologica”
del libero arbitrio.
In secondo luogo, delle domande sulla realtà hanno animato,
sempre e solo come sfondo latente, le riflessioni di questo testo: in
definitiva, la sociologia, così come la scienza in generale, altro non
è che un atteggiamento di curiosità e, insieme, un tentativo di dare
risposta a una serie di interrogativi “storicamente maturi”4; o come
direbbe Boudon: l’inizio di una qualsiasi indagine – qualitativa o
quantitativa – è in generale un “perché”5.
Gli interrogativi accennati in questa premessa, a parere di chi scrive, esprimono una singolare commistione di elementi contraddittori
presenti nella trama culturale, che non possono essere schematizzati
in ambiti disciplinari strettamente settoriali o in ottiche sistemicofunzionaliste, ma conducono per itinerari e metodologie di ricerca
estranei a forme di “sociologismo”6.
La serie di domande (molte altre ancora potrebbero far parte
dell’elenco), accennate in questo contesto riflessivo, sono tendenzialmente sollecitate dalla particolare “mescolanza”, propria del vissuto socio-individuale odierno, di codici etico-culturali contrapposti
e oscillanti tra tradizione e modernità, razionalità e irrazionalità o
post-razionalità, sacro e profano, agnosticismo e sentimentalismo
religioso e tra il nuovo desiderio di continuo cambiamento e quello
“antico” di stabilità: quest’ultimo tradotto, però, nel linguaggio della
modernità.
Questi quesiti possono essere sintetizzati – al solo scopo di meglio evocare la problematica realtà della modernità7 – da una serie
4 Cfr. Franco Ferrarotti, Manuale di sociologia, Editori Laterza, Roma-Bari, 1998,
p. 12.
5 Cfr. Raymond Boudon, Metodologia della ricerca sociologica, Il Mulino,
Bologna, 1996, p. 31.
6 Cfr. Pierpaolo Donati, La matrice teologica della società, Rubettino, Soveria
Mannelli, 2010, p. IX.
7 Cfr. Peter L. Berger, Questioni di fede, Il Mulino, Bologna, 2005, p. 15.
11
di fenomeni, che spesso la cronaca ci consegna attraverso i mass
media.
Tali domande non sono l’argomento specifico dei capitoli successivi del libro, ma servono solo per segnalare quanto alcune dinamiche
attuali entrino in apparente conflitto con quell’immagine razionale,
tecnologica, scettica, eticamente debole e votata alla dimensione
estetico-edonistica della vita, attribuita alla mentalità corrente. Questi interrogativi, inoltre, sottolineano un atteggiamento “incongruente” dello spirito moderno che era già stato prefigurato da autori come
Weber e Simmel, i quali nelle loro rispettive elaborazioni avevano
rilevato una deriva “irrazionalistica” come conseguente riflesso del
processo di “razionalizzazione generale dell’esistenza”8.
Tra i fenomeni posti in luce in questa premessa, che per la loro
“ambiguità” interna alimentano le domande sulla realtà culturale
odierna, è annoverabile l’intervento di Celentano, del febbraio 2012,
al Festival di Sanremo.
Naturalmente, in questa sede, non si vuole né focalizzare in modo
particolare l’attenzione su questo episodio né entrare nella polemica
sulle affermazioni del cantante a proposito dei giornali cattolici “Avvenire” e «Famiglia cristiana», ma piuttosto soffermarsi su quanto l’elemento religioso e immateriale della vita è tutt’ora presente
nell’universo sociale e nella biografia degli individui. L’esternazione
sanremese del cantante può servire a mettere in evidenza alcune intrinseche “incongruenze” proprie dell’attualità e sollecitare alcuni
interrogativi, come ad esempio: perché un veterano dello spettacolo,
interessato ad ottenere il consenso di pubblico in una sua esibizione, ha ritenuto opportuno tematizzare in un contesto di spettacolo
e divertimento non tanto la dimensione generica del sacro9 – che
8
Cfr. Alessandro Dal Lago, Il conflitto della modernità, Il Mulino, Bologna, 1994,
p. 88.
9 Il sacro è una categoria particolarmente complessa e dibattuta tanto che, come
scrive Roberto Cipriani, definirlo “non è impresa agevole, come non lo è definire la
religione”: su un unico punto c’è un’opinione corrente, tendenzialmente, condivisa:
“il sacro procede storicamente la religione”. In principio, l’idea di sacro aveva una
«fondazione ontologica e sovrannaturale, senza alcun riferimento ad una base sociale.
Nel corso del XX secolo ed agli inizi del XXI si sono susseguiti invece tentativi più
12
è «rivalutata nei confronti della categoria della religione e adattata
alla natura post-cristiana della nostra società»10 – ma una più determinata religiosamente: quella cattolica? E, ancora, come mai per
ottenere il massimo di audience Celentano (pur non trascurando il
fatto che la stessa figura del cantante, qualsiasi cosa dica, è di per sé
un evento mediatico) ha voluto “scandalizzare”11 gli ascoltatori con
un discorso sulla vecchiaia, sulla transitorietà della vita umana e su
una specifica visione della vita oltre la morte: il paradiso?
Al seguito di questi primi quesiti, come non domandarsi perché,
nelle circostanze più laico-profane, alcuni personaggi famosi (che
orientati in senso sociologico, che hanno evidenziato la pervasività del sacro, pur nelle
sue continue metamorfosi». Cfr. Roberto Cipriani, Clemente Lanzetti, La religione continua, Studi Arborense, Roma, 2010, pp. 9-17. Nel corso del tempo, molte sono state le
interpretazioni del sacro elaborate da numerosi studiosi, tra le quali, per esempio, quella
di H. Hubert, che lo intende come il principio della religione: cioè, la religione, per lui,
non è che “l’amministrazione del sacro”, o come dice Roger Caillois, il fondamento
sul quale si struttura il sentimento religioso, «quello che gli conferisce il suo carattere
specifico, che impone al fedele un particolare sentimento di rispetto, che difende la sua
fede contro lo spirito critico, lo sottrae alla discussione, lo colloca al di fuori e al di là
della ragione». Alcuni autori, come Otto, lo interpretano con il termine “tremendo”.
Kant, a proposito del sacro, usa il concetto di “sublime”. Altri studiosi lo confinano ai
fenomeni «che accadono all’interno di una chiesa o di un loro equivalente»; qualcun
altro ritiene che ogni concezione religiosa del mondo implica, di per sé, la distinzione
tra sacro e profano: queste due categorie, in pratica, sono una il riferimento dell’altra,
si presuppongono e si escludono. Ad avviso di altri autori, invece, il sacro è «ciò che
trascende i nostri poteri di comprensione, comunicazione, azione». Esso è un riflesso
dell’esperienza di impotenza quando diventa evidente come sia “ridicolmente breve
la vita mortale” rispetto all’eternità; oppure il sacro è inteso “come proprietà stabile o
effimera” che appartiene a certe cose (gli strumenti del culto), a certi esseri (il re, il sacerdote), a certi spazi (il tempio, la chiesa, il luogo elevato), a certi tempi (la domenica,
il giorno di Pasqua, di Natale, ecc.). Studiosi più contemporanei arrivano a sostenere
che: «lavare la macchina la domenica o andare con la famiglia al centro commerciale
sia l’odierna incarnazione del sacro». Cfr. Roger Caillois, L’uomo e il sacro, BollatiBoringhieri, Torino, 2001, pp. 13-14; cfr. Zygmunt Bauman, Intervista sull’identità,
Laterza, Bari, 2003, pp. 114-116.
10 Cfr. Giovanni Filoramo, Millenarismo e New Age. Apocalisse e religiosità alternativa, Edizioni Dedalo, Bari, 1999, p. 51.
11 Nella contemporaneità, si è provato con ogni mezzo possibile ad esorcizzare la
morte (anche qualsiasi problematica drammatica dell’esistenza), che spesso è assimilata ad un’immagine scandalosa della modernità e della ragione in quanto rappresenta
“l’archetipo dei limiti delle potenzialità umane”. Cfr. Zygmunt Bauman, La società
dell’incertezza, Il Mulino, Bologna, 1999, p. 133.
13
ricoprono ruoli diversi e svolgono funzioni dissimili) sentono il bisogno di fare appello ai simboli, ai concetti e alle liturgie pseudoreligiose per sollecitare ondate di emotività e rendere più coinvolgente, significativo e straordinario un evento, un racconto, un fatto o
un’azione? Basti pensare ai leaders di alcuni partiti, a connotazione
carismatica (o almeno con la presunzione di esserlo) e in cerca di un
consenso populistico incondizionato, che per incitare i propri elettori ad una partecipazione più attiva, hanno attinto da un linguaggio
espressamente religioso i loro slogans elettorali, quali: “il partito
dell’amore; o missionari della libertà”.
O ancora, come non domandarsi perché è consuetudine tra gli
appassionati di Facebook utilizzare termini di origine religiosa? Gli
utenti dei social network mettono in atto “pratiche” di confessione e
di condivisione12.
In definitiva, come non rilevare che c’è un sottile “reincantamento” della mentalità individuale, proprio in un’epoca post-metafisica
e, apparentemente, “disincantata”13, tanto che negli ultimi anni, anche nello spazio pubblico, si risente parlare di Dio.
A questa batteria di domande si possono aggiungere ulteriori interrogativi che nascono, anche essi, da altri fenomeni tendenzialmente alternativi al punto di vista di una società razionale-tecnologica: quali possono essere le condizioni probabili che favoriscono la
12 Le narrazioni biografiche degli iscritti a Facebook hanno come modalità della
conversazione: la confessione. «L’individuo è spinto a confessarsi, come segno della
propria apertura agli altri». Nello stesso tempo, condizione dell’aggregazione sui social
network «è l’esistenza di qualche comunanza di mondi vitali [ …] In ogni caso, al di
là dell’interesse prevalente, è possibile raggiungere rapidamente un numero ampio di
interlocutori, produrre condivisione, termine divenuto ricorrente e che ha catalizzato
una quantità di significati e bisogni». Cfr. Maura Franchi, Augusto Schianchi, Scegliere
nel tempo di Facebook, Carocci Editore, Roma, 2011, pp. 179, 196.
13 Negli ultimi anni, si è prestata particolare attenzione scientifica alla religione
e, nello stesso tempo, si è messo in guardia dall’assumere, in modo semplificato, il
tema del disincanto e della secolarizzazione per descrivere l’attuale condizione religiosa postmoderna. Cfr. Charles Taylor, L’età secolare, Giangiacomo Feltrinelli Editore,
Milano, 2009, p. 12.
14
seduzione esercitata dall’invisibile e dall’extrasensory perception14
sull’attuale forma mentis?
Oppure, come non interrogarsi sulla forte attrazione esercitata su
adulti e bambini dalle favole tradizionali, a cominciare da quelle
di Biancaneve e i sette nani, Cenerentola e La bella addormentata
nel bosco? Favole che, dopo decenni dalla loro prima apparizione
in versione filmica, raccolgono l’interesse di milioni di spettatori15.
Forse, perché, ora come nel passato, questi prodotti dell’immaginario, nella loro qualità irreale, propongono soluzioni – ideali o idealizzate – a bisogni millenari e, anche, perché riflettono, esorcizzano
o nascondono, molte delle paure concrete degli uomini di oggi come
le insidie della vita e la paura della morte.
Come non guardare con curiosità scientifica l’audience raggiunta
dalle fictions su argomenti religiosi o sulla vita di alcune figure carismatiche del cattolicesimo: un’audience che per la sua consistenza
è spesso simile a quella della finale del Festival di Sanremo o della
finale dei Mondiali di calcio16.
O di seguito, come interpretare il successo riscosso dai film sulle catastrofi apocalittiche, sui demoni, gli esorcismi, e l’interesse
manifestato da un esteso target di pubblico – anche se prevalen14 Il mondo extrasensoriale – l’extrasensory perception – che è fiorito in Occidente
in modo particolare negli anni ’60 e ’70, «prima che i miti della New Age riempissero quel vuoto spirituale che nessuna escalation tecnologica è stata mai capace di
riempire», si ripropone con forza nel panorama culturale attuale, come testimoniato
dall’interesse ad esso rivolto dall’autorevole rivista «Journal of Personality and Social
Psichology». Cfr. Angelo Aquaro, Ma è possibile una parascienza?, in “la Repubblica”,
05/02/2011, pp. 1, 32-33.
15 Biancaneve è apparsa sugli schermi cinematografici 73 anni fa e Cenerentola 60
anni fa. Queste favole sono state trasmesse ultimamente in prima serata in televisione e
hanno raccolto oltre 7 milioni di telespettatori, confermando un successo senza tempo.
Cfr. Giuseppina Manin, Biancaneve superstar: su Raiuno la favola hollywoodiana record, in “Corriere della Sera”, 30/12/2010, p. 43.
16 Per esempio, la fiction su Padre Pio, nella versione proposta da “Canale 5”, ha
avuto circa 12 milioni di spettatori e quella di “Raiuno”, nella stagione successiva,
quasi 13 milioni. Gli stessi alti livelli di ascolto ci sono stati per altre fictions religiose:
Jesus, di “Raiuno”, con una media di 10 milioni; Lourdes, “Raiuno”, quasi 9 milioni di
spettatori; Papa Giovanni con 13 milioni. Cfr. Stefano Martelli, con la collaborazione
di Gianna Cappello e Lorella Moltemi, Il giubileo “mediato”, FrancoAngeli, Milano,
2003, pp. 73-74, 101, 114, 178.
15
temente adolescenziale e femminile – per i racconti sui vampiri?
Perché non interrogarsi sul come mai, all’interno di una realtà
pervasa dai processi di tecnologizzazione e di razionalizzazione,
si propaga un’attrattiva verso il fantastico nei suoi diversi aspetti
– dall’horror al demoniaco all’apocalittico e al sentimentale favolistico – reso palese da «un modo di essere e di pensare interamente attraversato dall’immagine, dall’immaginario, dal simbolico e
dall’immateriale»17?
Inoltre, come non interpellarsi criticamente sull’incremento del
“turismo nero”: ossia, su quei pellegrinaggi di massa nei luoghi dove
sono avvenuti omicidi efferati o disastri come, per esempio, ad Avetrana – luogo dell’uccisione di Sarah Scazzi – o all’isola del Giglio
dove è naufragata la Costa Concordia18.
Come non soffermarsi a riflettere su quella sorta di catarsi collettiva che si autoalimenta, a scavalco della tabuizzazione della mor-
17
Cfr. Michel Maffesoli, Note sulla postmodernità, Lupetti, Milano, 2005, p. 58.
Le vacanze del turismo nero seguono tre filoni: «lo slum tourism, cioè la visita
dei luoghi considerati di degrado morale e allo stesso tempo di forte autenticità, come
le favelas a Rio o in Sudafrica; il dark tourism o grief tourism, legato al patriottismo
o alla memoria dolorosa, come le escursioni ad Auschwitz, a Ground Zero o al Peace
Memorial Park di Hiroshima; il black tourism, legato alla volontà morbosa di vivere un
luogo di morte». Sono state fatte delle indagini sull’incremento dei visitatori in alcuni
di questi particolari luoghi: «ad Avetrana nei quattro mesi seguiti al delitto il numero dei
visitatori è deflagrato del 160%; bar, pizzerie, ristoranti vicini al luogo maledetto hanno
registrato un balzo in avanti compreso fra l’80 e il 122 per cento». Stesso incremento di
turisti si è avuto a Brambate: in questa cittadina, dopo l’omicidio di Yara Gambirasio,
«i flussi escursionistici sono aumentati del 55 per cento; fra l’80 e il 122 per cento i
consumi nei luoghi di ristoro». Per quanto riguarda, invece, il numero di curiosi accorsi
all’isola del Giglio per vedere da vicino la carcassa della nave Concordia, «nel sabato
dopo il naufragio, senza contare i soccorritori, le biglietterie dei traghetti hanno staccato
1.080 tagliandi contro i 131 del sabato precedente». Secondo alcuni psichiatri questo
tipo di turismo morboso nasce dalla “ricerca della trasgressione” e dal fatto che “il proibito suscita sempre fascino”. In modo particolare, le persone che si affollano nei luoghi
dei delitti, sempre secondo gli psichiatri, «non vorrebbero uccidere come l’assassino,
ma – con poca spesa – puntano comunque a immedesimarsi. Quindi, questi pellegrinaggi permettono di dare sfogo alla propria istintualità, senza rinunciare ai freni etici».
Cfr. Vincenzo Tessadoro, Turismo nero. La voglia di tornare sul luogo del delitto, in «il
Venerdì» de “la Repubblica”, 3/08/2012, pp. 38-39.
18
16
te19, in occasione dei funerali “spettacolo”, siano essi “sacri” o “profani”? Milioni di persone, infatti, fisicamente o in diretta televisiva,
hanno partecipato alle esequie di Giovanni Paolo II, di Madre Teresa
di Calcutta e a quelli di Lady Diana o di molti altri protagonisti del
nostro tempo. Inoltre, come interpretare gli atteggiamenti della folla
dei presenti nei luoghi delle veglie funebri? In quelle occasioni, solitamente, le persone mettono in atto, senza distinzione del ruolo del
defunto (pontefice, sportivo o cantante, suora o principessa, ecc.),
una medesima liturgia celebrata, all’insegna di “un’effervescenza
collettiva”, con bigliettini, candele, lacrime, preghiere, abbracci tra
i partecipanti al “rito” di veglia e orsacchiotti di pezza. Si registra in
queste situazioni luttuose una sorta di composito combinato di variegati aspetti, dai risvolti non tutti chiari o verificati, che potrebbero rappresentare, sociologicamente, delle variabili comportamentali
soggettive che vanno dal “convenire per cercare sintonie emotive”20
alla semplice curiosità; dalla bulimia di emozioni all’aspettativa di
una partecipazione comunitaria; dalla voglia di “toccare” lo straordinario o di unire, come nei pellegrinaggi popolar-religiosi, la consuetudine con “l’eccezionale”21 al bisogno di esserci per diventare
19 Le sensazioni che accompagnano le problematiche drammatiche dell’esistenza,
insopportabili per la mentalità odierna, sono fatte rientrare dagli attori sociali, come
recita la letteratura sull’argomento, nelle categorie della “prevaricazione” e dell’assurdità. Sostanzialmente, la malattia, la decadenza del corpo, il dolore e la morte sono
ritenuti, nella postmodernità, dei dati della vita impensabili e innominabili: essi rappresentano un’offesa, “un segreto colpevole”. Specialmente la morte viene considerata
“una umiliazione della ragione” e, nel pubblico e nel privato, si cerca di negarne la sua
stessa sostanza, “il suo essere la fine di tutto”. Cfr. Christopher Lasch, La cultura del
narcisismo, Bompiani, Milano, 1979, p. 232; cfr. Zygmunt Bauman, Il teatro dell’immortalità, Il Mulino, Bologna, 1995, pp. 24-26, 36, 179.
20 Cfr. Aldo Natale Terrin (a cura di), Riti religiosi e riti secolari, Edizioni
Messaggero Padova, Padova, 2007, pp. 75-76.
21 Cfr. Alphonse Dupront, Il sacro, Bollati Boringhieri, Torino, 1993, p. 357; cfr.
Liberio Andreatta (a cura di), Un popolo in cammino, Piemme, Casale Monferrato,
2001, p. 90.
17
protagonisti di un evento22 o per esprimere l’esigenza di pratiche
iniziatiche23 e di riti24.
Un’altra possibile spiegazione può venire dalla constatazione che
caduto ogni interesse ed emozione per la politica, le manifestazioni
di emotività collettiva, come il lutto, “danno, almeno momentaneamente, il senso della condivisione”, prima offerto dalla passione
ideologica e dalla politica tradizionale di partito25.
Sull’onda di questa serie di interrogativi e delle implicite contraddizioni che sono da essi segnalate, più in generale, ci si può ancora
domandare, a fronte della prefigurata “apoteosi” dell’individualismo, quanto le esponenziali chances di autoreferenzialità soggettiva
e l’affievolirsi di una visione esaustiva del mondo hanno veramente
emancipato – in positivo o in negativo – le singole personalità dalla tendenza comunitaria, dall’assegnazione di un valore prioritario
all’approccio relazionale26 e, soprattutto, dal “peso” dell’eterodirezione, del pensiero unico e del conformismo?
22
Potrebbe essere un esempio di una qual somiglianza tra il bisogno di esserci
profano e quello sacro la fila sterminata di persone giunte ad Avetrana: è stato una sorta
di fenomeno di massa di “turismo nero”, ma per certi versi con caratteristiche simili a
un pellegrinaggio anche pseudo-religioso. Infatti, nel paese dove è avvenuto l’omicidio
di Sarah Scazzi si sono riversate migliaia di persone, di ogni età ed estrazione sociale,
che hanno messo in atto comportamenti ai confini del paradossale: alcuni pregavano,
qualcuno curiosava e altri fotografavano i luoghi del crimine. Cfr. Giuliano Foschini,
L’horror show di Avetrana, in “la Repubblica”, 18-10-2010, pp. 1, 13.
23 A proposito dell’attrazione esercitata sui soggetti contemporanei dai rituali comunitari, dai pellegrinaggi religiosi, dalle situazioni emotive collettive, è importante
segnalare che, anche nel mezzo della “febbre modernizzante”, queste pratiche di incontro e di effervescenza emozionale, come evidenziato in alcune ricerche fatte nel passato
in Italia, in Francia, in Belgio, sono particolarmente coinvolgenti per le persone. Studi
successivi hanno confermato che le feste, il vivere l’esperienza religiosa nei luoghi
consacrati e il partecipare a momenti emozionali condivisi (in parte, il vivere insieme
un’emozione è ciò che si vuole sperimentare in molte occasioni non solo religiose)
hanno una efficacia sociale e questa constatazione ha anche iniziato a far “vacillare il
paradigma della secolarizzazione”. Cfr. Ulrich Beck, Il Dio Personale, Laterza, RomaBari, 2009, p. 33
24 Cfr. Alphonse Dupront, Il sacro, cit., p. 357.
25 Cfr. Frank Furedi, Il nuovo conformismo. Troppa psicologia nella vita quotidiana, Feltrinelli, Milano, 2008, pp. 66, 71.
26 La rinascita del bisogno di “affinità elettive” comunitarie ha determinato anche
una variazione del concetto di distanza sociale e ha avuto una sua ricaduta nella per-
18
Secondo alcuni studiosi il nuovo individualismo27 è ormai diventato un fenomeno di massa e ha assunto «un carattere più formale,
non veramente vissuto, vittima di un doppio livello di conformismo:
da un lato l’assunzione di un’individualità di superficie in conformità ad un modello ormai egemonico e dall’altro la produzione mimetica e passiva del comportamento degli altri invece della creazione
di un’individualità altamente singola»28.
A proposito della sorta di omologazione conformista e dell’adozione di atteggiamenti imitativi, che sembrano essere l’altra faccia
della medaglia dell’imporsi dell’autoriflessività soggettiva, Tocqueville aveva prefigurato la possibilità di una perdita delle prerogative
dell’individualità e il suo scadere, per l’affermarsi della corsa al benessere e al relativismo assoluto29, in un “narcisismo di massa” provocato anche dalla rottura del “legame” tra la soggettività moderna e
il trascendente che, a suo avviso, è il solo legame in grado di liberare
il soggetto “dal potere del senso comune”30. In effetti, in molti casi,
pur se è vero che rispetto al passato l’individuo è diventato una sorta
di autolegislatore di se stesso, sembra verificarsi la previsione toc-
cezione di vicinanza/lontananza tra esponenti di ceti diversi, tanto che conviene non
fermarsi teoricamente in via prioritaria, come nel passato, sui “fattori posizionali”, perché ormai essi non sono gli unici elementi a determinare delle differenze, ma a queste
variabili oggettive si devono addizionare fattori soggettivi, che concorrono a produrre
determinati principi di simmetria/asimmetria socio-esistenziale. In definitiva, senza che
vengano annullate del tutto le variabili strutturali delle differenze di collocazione individuale nella scala sociale – per esempio, la differenza di classe, di status, di livello di
istruzione, di capitale economico – sembra delinearsi una disposizione a vivere l’interazione tra persone diverse da sé con un’attenzione ai risvolti immateriali e percettivamente attraenti delle persone. Cfr. Marina D’Amato (a cura di), La distanza sociale.
Roma: vicini da lontano, FrancoAngeli, Milano, 2009, p. 133; Cfr. Vincenzo Cesareo
(a cura di), La distanza sociale. Una ricerca nelle aree urbane italiane, FrancoAngeli,
Milano, 2008, pp. 68-69.
27 Cfr. Alain Laurent, Storia dell’individualismo, Il Mulino, Bologna, 1994, p. 12.
28 Sostanzialmente, secondo alcuni studiosi, nella contemporaneità si è passati
“dall’individualismo metodologico a un individualismo sociologico di massa”. Ivi, p.
124.
29 Ivi, p. 12.
30 Cfr. Salvatore Abbruzzese, La sociologia di Tocqueville, Rubettino, Soveria
Mannelli, 2005, p. 108.
19
quevilliana di una “sottomissione” del pensiero soggettivo all’opinione pubblica.
Sotto un altro profilo, il modello di “esasperata” autonomia soggettiva, che rompe l’equilibrio tra libertà e uguaglianza, inibisce la
manifestazione qualitativa della singola identità e impedisce il buon
esito dell’aspirazione di ognuno “di esprimere e realizzare la propria
unicità”31: per concretizzarsi veramente questa unicità, come argomentava Simmel, si dovrebbe certo esprimere un individualismo
della differenza, ma coniugarlo con quello dell’uguaglianza32.
Oggi, il venir meno di questa capacità di far coesistere le due
modalità e la declinazione autoreferenziale delle norme, delle regole, della morale, sembrano condurre a volte, più che verso un’autonomia interiore e una volontà autoaffermativa33, ad identità «decentrate, fluide, ansiose di conferme e di riconoscimento, mosse da
desideri inquieti e senza oggetto»34, le quali avvertono il bisogno di
certezze, di autorità “carismatiche”, di poteri e di uomini “forti”, di
pratiche magiche ed esoteriche35.
Forse, come aveva intuitivamente compreso Robert Musil, nella
civiltà dell’individualismo radicale, le troppe sollecitazioni, i bisogni, i desideri, le molte opinioni, non consentono più all’individuo
31
Per Simmel, come tiene a sottolineare Paolo Jedlowski, «il concetto di individuo
diventa non qui e non più e non tanto l’idea di un’uguaglianza di tutti gli uomini in
quanto espressione della medesima natura umana, ma quella della differenza fondata
sull’assunto della loro unicità, e della loro responsabilità personale nello sviluppare le
potenzialità implicite in tale unicità. Per la cultura che esprime questa idea di individuo,
egli conia l’espressione di individualismo qualitativo (o individualismo della differenza)». Cfr. Paolo Jedlowski, Il mondo in questione, Roma, Carocci, 1998, p. 116.
32 L’individualismo dell’uguaglianza e quello della differenza, secondo Simmel,
presenti negli stessi ambiti culturali, “o in grandi personalità di confine come Goethe”,
pur essendo in «primo luogo in un rapporto di successione temporale, come ideologie
caratteristiche dei secoli XVII e XIX», possono – e dovrebbero coesistere – nel medesimo tempo. Cfr. Georg Simmel, La legge individuale, (a cura di Ferruccio Andolfi),
Armando Editore, Roma, 2001, pp. 9-10.
33 Ivi, p. 10.
34 Cfr. Elena Pulcini, L’individuo senza passioni, Bollati Boringheri, Torino, 2001,
pp. 142, 158-159.
35 Cfr. Vincenzo Cesareo, Roberto Cipriani, Franco Garelli, Clemente Lanzetti,
Giancarlo Rovati, La religiosità in Italia, Arnoldo Mondadori, Milano, 1995, p. 179.
20
di “essere completo”, ma lo consegnano inerme ad un processo di
trasformazione costante che lo potrebbe condurre ad un suo “dissolvimento senza nucleo”36.
E, di conseguenza, viene da domandarsi quale modello di individuo esercita la sua libertà di scelta tra una pluralità di opzioni e in un
clima culturale relativista?
Non sarà, per ipotesi, che le stesse scelte relativiste, più che esprimere una decisione autodeterminata e autofondata soggettivamente
all’insegna di una razionalità strumentale, rispondano all’irrazionalismo dell’homo sentimentalis, all’etica “situazionale”, all’indecisione, all’incertezza, ad una «libertà narcisistica fatta di relazioni frammentarie, di immagini caotiche e di comunicazioni istantanee»37,
che caratterizzano le identità attuali38? E ci si può chiedere, inoltre,
se veramente “l’agire razionale rispetto allo scopo” ha avuto il sopravvento su ogni altro senso, meno strumentale, dell’agire, dal momento che al dispiegarsi della razionalità fa sempre più riscontro un
ripiegarsi, di molti e in tante circostanze, sui “residui”, intesi come
passioni ed emozioni39? E, sempre più spesso, non solo nella sfera
biografica ma anche in altri spazi della realtà sociale, a cominciare
36
Cfr. Robert Musil, “L’uomo senza qualità”. Pagine inedite, Il Saggiatore,
Milano, 1983, p. 91.
37 Cfr. Giovanni Filoramo, La Chiesa e le sfide della modernità, Editori Laterza,
Roma-Bari, 2007, p. 48.
38 Cfr. Maura Franchi, Augusto Schianchi, Scegliere nel tempo di Facebook, cit.,
pp. 66-68, 150.
39 A proposito dell’emotività diffusa, la quale sembra una tendenza pervasiva del
contesto culturale, come non ricordare che nell’attualità, a differenza del passato, personaggi istituzionali di rilievo – come per esempio, il Ministro Fornero, il Segretario
PD Bersani e il Presidente della Repubblica Napolitano – hanno pianto in circostanze
di pubblico confronto, lasciando così spazio alle loro sensazioni intime e non solo alle
mere ragioni della politica.
21
dell’esistenza in conseguenza del “tramonto di un’interpretazione
morale del mondo”44.
O, forse, molto più semplicemente, bisogna tener conto delle debolezze “delle pretese del sapere scientifico”45 e del fatto che il processo di razionalizzazione non ha condotto ad “un ordine sempre più
razionale”, ma si è rivelato una “soluzione acida che dissolve tutte
le certezze”46.
44 Cfr. Martin Buber, L’eclissi di Dio, Passigli Editori, Firenze-Antella, 2001 (I° ed.
tedesca 1952), p. 105.
45 Cfr. Max Weber, La scienza come professione, cit., p. 40.
46 Cfr. Zygmunt Bauman, Modernità e ambivalenza, Bollati Boringhieri, Torino,
2010, p. 189.
23
Introduzione
Nel primo capitolo di questo libro – lasciando in latenza le due
suggestioni socio-letterarie del passato (che non vogliono essere il
pretesto per un giudizio di valore sul tempo presente) e la serie di
domande sopra-citate che segnalano una moltiplicazione di elementi
contraddittori intrecciati nella trama socio-esperienziale dei soggetti
– non è stata trascurata speculativamente la dimensione del religioso
che trasversalmente influenza, in forma nebulosa o manifesta, i vari
fenomeni e che può essere intesa come “più di quanto possa spiegare la teoria”1. Infatti, se da una parte la razionalizzazione rende
obsoleti modelli e miti del passato e corrode molti spazi della sfera sacro-religiosa, disancorando le scelte soggettive dal riferimento all’Assoluto, nello stesso tempo, crea le premesse per rianimare
– riadattata – quella stessa sfera. Pertanto, nonostante l’apparente
diminuzione degli spazi tradizionali di influenza della religione e
l’allargamento di quelli della razionalità strumentale – quest’ultimi
spesso anche “occupati” da irrazionalità o post-razionalità – non si
può fare a meno di richiamarsi teoricamente al sacro e al religioso quando si guarda al sociale e alle modalità dell’esperienza individuale. Il richiamo alla sfera della religione è necessario perché,
prendendo a prestito una riflessione del laico Sartre, «il silenzio del
1
Il sociologo tedesco Niklas Luhmann nell’epigrafe in memoria della moglie ha
scritto che “la religione per lei significava più di quanto possa spiegare la teoria”: da un
lato questa frase è circoscritta all’atteggiamento verso il religioso proprio della moglie
di Luhmann; dall’altro lato, essa può essere assunta come un presupposto più generale
dell’approccio alla religione. Cfr. Roberto Cipriani, Nuovo Manuale di Sociologia della
Religione, Borla, Roma, 20092, p. 276.
25
trascendente, unito alla persistenza del bisogno religioso nell’uomo
moderno», costituisce un problema con cui si deve fare i conti oggi
come ieri2.
Inoltre, in considerazione dell’importanza che la dimensione religiosa (in forma diffusa3) riveste tutt’ora nelle dinamiche in atto e
in ogni dimensione della vita delle persone – al di là dei processi di
privatizzazione e delle basse percentuali di appartenenza ortodossa
o di pratica confessionale – si è dato spazio all’idea mai rimossa, ma
scarsamente applicata a causa di reciproche “antiche” miopi chiusure, di un confronto tra la sociologia e la teologia. Infatti, uno scambio riflessivo tra queste due discipline – fermo restando l’irrinunciabilità ad alcuni rispettivi principi disciplinari non negoziabili – può
aiutare a render ragione di istanze socio-individuali non solo di tipo
religioso, ma che riguardano tutto il sociale.
Di fatto, se ci si interroga sui «fenomeni storico-empirici, il sociale e il religioso non sono mai nettamente separabili»4, in quanto
queste due differenti dimensioni della ricerca scientifica si interessano di «oggetti comuni: l’uomo, le sue azioni, le sue creazioni, l’intera società e la sua storia»5.
Del resto, non è per nulla originale – per “facilitare” l’indagi2
Cfr. Martin Buber, L’eclissi di Dio, cit., p. 63.
Roberto Cipriani ha ampiamente spiegato che esiste, ed è rilevabile in molti Stati
e non solo in Italia, “un carattere diffusivo e storico delle religioni” ed, inoltre, che
«una religione a lungo preminente in un dato territorio […] rimane una vera e propria
cultura come fenomeno globale intimamente legato al più vasto set di valori e modelli
di comportamento, senza profonde fratture, ma con aggiustamenti di volta in volta resi
praticabili per il bisogno di superare comunque momenti o motivi di impasse». Cfr.
Roberto Cipriani, La religione diffusa, Borla, Roma, 1988, pp. 7-8, 14-15.
4 Secondo Donati, è giunto il momento di instaurare “un dialogo istruttivo” tra
sociologia e teologia su una base sgombra «dall’idea restrittiva che esse si confrontino sul solo terreno della religione. Una tale selettività finirebbe per rendere sterile il
confronto e condurrebbe fuori strada […] È senza dubbio più utile mantenere aperto
l’orizzonte e prospettare un confronto su tutto il sociale o, se si preferisce, sulla totalità
delle relazioni umano/divino nel sociale». Cfr. Pierpaolo Donati, La matrice teologica
della società, cit., pp. XV, 8.
5 La sociologia e la teologia non solo parlano di “cose comuni”, ma «usano anche
alcune tecniche e metodi comuni specie di tipo ermeneutico per l’indagine scientifica».
Ivi, p. 10.
3
26
ne sulla complessità religiosa odierna (e non solo religiosa) – porre
attenzione al confronto tra teologia e sociologia perché, più di un
secolo fa, Max Weber ha dedicato al rapporto ancor più complesso
tra scienza e teologia le ultime pagine del suo saggio La scienza
come professione; pur se, in principio, il suo interesse mirava ad
individuare una loro differenziazione ed, invece, alla fine giunse ad
evidenziare una loro “affinità di fondo”6. In ogni caso, l’interesse
di Weber per il nesso tra scienza e mondo religioso rientra in quella
linea speculativa propria dei “padri nobili” della sociologia, i quali,
ognuno nel proprio modo, hanno ritenuto fondamentale riflettere su
tale connessione e, in particolare, sulla relazione «tra pensiero razionale e sentimento, in funzione tanto dell’esigenza del pensiero
scientifico quanto dell’esigenza sociale di stabilità e consenso»7.
Nel secondo capitolo, partendo dal presupposto che è produttivo
per l’analisi sociologica spogliarsi a volte dei metodi più strettamente convenzionali di fare ricerca, di osservare e interpretare la realtà, è
sembrato utile soffermarsi su alcune figure immaginativo-simboliche
di questo particolare momento culturale. Infatti, spesso le espressioni della fantasia, così come l’opera d’arte, possono far trasparire in
nuce, “sciogliendo la loro unità”, zone d’ombra, contraddizioni della
realtà empirica o essere il pretesto per manifestare passioni umane
meno evidenti ed esperienze della vita quotidiana8. In ogni caso, la
finzione fantastica può suggerire alla ricerca sociologica qualcosa
6 Nel contesto del suo saggio La scienza come professione, Weber formula la seguente domanda: «che differenza c’è tra scienza e teologia, sapere scientifico e sapere
teologico-religioso?». Se nel passato la risposta a questo quesito sarebbe risultata universalmente ovvia, oggi invece «gli scienziati dei diversi campi sono in gran parte convinti della sostanziale uniformità dei principi del sapere scientifico, si tratti di scienza
naturale, di scienza sociale o di scienza filosofica o teologica. È un aspetto caratteristico
dell’odierna cultura occidentale, di quel movimento ideologico e culturale che potremmo chiamare (con grossa generalizzazione) cultura postmoderna, la consapevolezza
che i limiti tra scienza e retorica, tra sapere rigoroso e interpretazione arbitraria, sono
labili e indefiniti» come molti autori tendono a sottolineare da Lyotard a Deleuze, da
Rorty a Vattimo, tanto per citarne alcuni. Cfr. Max Weber, La scienza come professione,
cit., pp. 38-39.
7 Cfr. Raymond Aron, Le tappe del pensiero sociologico, cit., p. 285.
8 Cfr. Luigi Russo, Personaggi dei Promessi Sposi, Editori Laterza, Roma-Bari,
1998 (prima ed. 1945), p. 18.
27
che va al di là del suo apparato scientifico, può provocare metodologicamente ed indurre ad aprire la strada a nuove ipotesi, mettere
in discussione teorie, procedure, mostrare altre modalità dell’agire,
del sentire, di porsi verso il reale, sottolineare «casi, vicende, declinazioni dell’identità e della razionalità che nessuna ricerca empirica
riuscirebbe né a immaginare né a registrare»9.
La narrazione fantastica e letteraria non solo può porre in luce
sentieri sconosciuti all’immaginazione sociologica, ma può ridurre
anche la pretesa di imbrigliare la complessità del reale in leggi e generalizzazioni10 e, rompendo gli schemi prefissati, recuperare «tutto
ciò che è vietato o dissimulato dalle censure specifiche del campo
scientifico»11. In definitiva, un atteggiamento speculativo incline ad
assumere come strumento d’indagine la visione creativa dei narratori, dei poeti, degli artisti o dei filosofi classici12, tutto sommato
consente di avventurarsi più facilmente nei sentieri misteriosi delle
esperienze pratico-riflessive dell’essere umano.
Al fine di provare ad evidenziare, in modo solo esplorativo, alcune dinamiche della realtà fenomenica, in una prospettiva euristica
lontana da logiche rappresentative, sono state dunque analizzate due
produzioni del fantastico attuale, tra loro molto diverse: il fumetto di
Dylan Dog e la versione romanzesca, non filmica, di Twlight13.
Nel terzo capitolo, in considerazione della difficoltà di interpretare “l’ossimoro” panorama culturale odierno si è tentato di trovare
una correlazione tra le espressioni attuali dell’immaginario e quelle
del religioso e se si è mantenuta – o se si è consumata – nei singoli mondi vitali la relazione simbolica tra valori, etica e religione e
9 Cfr. Gabriella Turnaturi, Immaginazione sociologica e immaginazione letteraria,
Editori Laterza, Roma-Bari, 2003, p. 17.
10 Ivi, p. 18.
11 Cfr. Pierre Bourdieu, Risposte, Bollati Boringhieri, Torino, 1992, p. 163.
12 Cfr. Max Weber, Economia e società, Vol. I, Edizioni di Comunità, Milano, 1968,
p. 141.
13 Si è inteso considerare solo il primo romanzo della saga vampiresca (vi sono altri
libri ai quali si sono ispirati altrettanti film: New Moon; Eclipse; Breaking Dawn) perché nel primo volume c’è l’originaria ispirazione dell’autrice mentre negli altri si legge
la necessità commerciale di proseguire un filone narrativo, diluito nella sua creatività,
per continuare a trarre profitto dal successo di pubblico riscosso dal primo romanzo.
28
quanto questa eventuale relazione delinei, esplicitamente o implicitamente, la formulazione della visione del finito, dell’infinito e dello
scorrere irreversibile del tempo. In modo particolare, si è cercato
di segnalare la continua tensione esistenziale esperita dai soggetti e
lo stato altalenante della loro coscienza, in quanto essi sono spesso
attratti, senza soluzione di continuità, da poli divergenti della realtà
socio-culturale: il gregarismo e il soggettivismo; l’individualismo
e la “crisi” dell’identità; il relativismo radicale e la nostalgia della
solidità dei codici unici; il materiale e l’immateriale; lo scetticismo
e la credenza.
Sulla scia di queste considerazioni, dunque, l’approccio riflessivo di queste pagine è stato anche quello di segnalare – se esistono
– alcune “somiglianze”14 in aspetti di fenomeni tra loro diversi, in
frammenti della realtà o del simbolico che alla fine trovano una sotterranea relazione probabile e parziale, in una prospettiva weberiana di spiegazione condizionale15. Infatti, la tanto citata complessità,
propria di questo lungo – quanto contratto – tempo storico-culturale,
sembra essere sempre di più l’espressione del legame16 tra differenti
istanze, azioni, eventi e elementi17 che possono essere compresi solo
“nei termini del rapporto e della rete di rapporti con altri fenomeni”18
del sistema sociale.
Pertanto, si è cercato non di indagare le cause, né di tracciare
“nessi causali o ricostruire intenzioni”19 o di proporre “parentele e
14
Cfr. Ruth A. Wallace, Alison Wolf, La teoria sociologica contemporanea, Il
Mulino, Bologna, 2000, p. 13.
15 La scienza, per Weber, può solo «portare a chiarificazione di quale sia il valore
di riferimento che si nasconde, il più delle volte inconsapevolmente, dietro a una certa
presa di posizione. Questo è il contributo essenziale che la scienza può portare alla vita
umana». Cfr. Max Weber, La scienza come professione, cit., p. 25.
16 Cfr. Gianpaolo Fabris, Il nuovo consumatore: verso il postmoderno, FrancoAngeli,
Milano, 2003, p. 25.
17 Cfr. Loredana Sciolla, Sociologia dei processi culturali, Il Mulino, Bologna,
2002, pp. 86-87.
18 Cfr. Georg Simmel, Filosofia del denaro, (a cura di Alessandro Cavalli e Lucio
Perucchi), Utet, Torino, 1984, p. 12.
19 Cfr. Alessandro Ferrara, Massimo Rosati, Affreschi della modernità, Carocci,
Roma, 2005, p. 194.
29
anologie di strutture”20, ma piuttosto di segnalare, in modo ancora
interlocutorio, alcune condizioni probabili “del darsi di un fenomeno” secondo un dato punto di vista21; fermo restando che, a differenza delle evidenze della scienza classica, oggi è consuetudine porre l’accento “sul carattere altamente problematico delle risultanze
scientifiche”22.
In questo senso, al fine di comprendere dinamiche oggettive e
soggettive, delle singole coscienze e dell’intero tessuto socio-culturale, conviene, più che nel passato, assumere come dati sociologici
significativi, più che i sistemi sociali e i modelli sociali comuni, “la
pluralità delle esperienze e delle manifestazioni della vita”23 nel suo
perenne intrecciarsi di dolore e piacere24 così come, per esempio,
traspaiono nel mondo immaginario e religioso.
Nell’attuale momento storico, dato il prorompere della complessità sociale e un certo fallimento delle potenzialità ordinatrici della
razionalità, lo sguardo scientifico deve essere adeguato al livello di
svelamento di senso a cui vuole giungere e, quindi, si avverte l’esigenza di accedere al “materiale umano”, alle sensibilità e alle “sfumature individuali”25 e di adottare – lontani da un approccio “ideologico” della conoscenza26 – quel tipo di “metodologia non esplicita”
per la quale “la società è sinonimo di vita”27 e perciò impossibile da
fissare nella sua totalità o in una logica quantitativa, ma semmai osservarla solo “nella fuggevole perfezione di alcuni microsistemi”28.
Una prospettiva di indagine della realtà fenomenica non mera-
20
Cfr. Raymond Boudon, Metodologia della ricerca sociologica, cit., pp. 88-89.
Cfr. Max Weber, La scienza come professione, cit., pp. 23, 26.
22 Cfr. Franco Ferrarotti, Manuale di sociologia, cit., pp. 8-9.
23 Cfr. Alessandro Dal Lago, Il conflitto della modernità, Il Mulino, Bologna, 1994,
p. 47.
24 Cfr. Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, Feltrinelli, Milano, 2011, p. 69.
25 Cfr. Tamara Haraven, Family Time and Industrial Time, Cambridge University
Press, Cambridge, 1982.
26 Pierpaolo Donati, La matrice teologica della società, cit., p. IX.
27 Cfr. Alessandro Ferrara, Massimo Rosati, Affreschi della modernità, cit, p. 194.
28 Ibidem.
21
30
mente descrittiva o di netta separazione tra fatti e valori29 può meglio interpretare le rappresentazioni simboliche e “i significati che
la soggettività elabora a partire dalla realtà”30, ma anche dall’immaginazione e, soprattutto, rispetto allo specifico dato religioso –
la variabile più discriminante e complessa di tutto il campo della
ricerca empirica – può tener conto di alcuni “fattori non naturali”,
che influenzano la dimensione sociale (oltre che soggettiva) più dei
“fatti naturali”31.
In questo senso, gli elementi della fantasia e del religioso –
quest’ultimo inteso come “basso continuo” che non può essere segregato nel solo dato statistico, nelle frequenze e nella predittibilità
numerica – possono offrire, in virtù della possibilità “estetica di cogliere motivi e rapporti tra motivi”, un nuovo respiro interpretativo al
di fuori di “gabbie costrittive”32. Inoltre, essi possono favorire, “nuovi modi di guardare, rappresentare e quindi costruire il mondo”33 ed
aprire l’analisi sociologica allo stupore della scoperta34.
Per evocare, in forma letteraria, quanto sia ora necessario uno
sguardo scientifico ideografico e aperto al contesto della scoperta,
più che a quello della giustificazione35, viene voglia di far propria in
29
Proprio la separazione tra fatti e valori, come sottolineano molti autori – tra i
quali Gadamer, Bellah, Habermas, MacIntyre, Challenger – è alla base della crisi di rilevanza in cui “versano le scienze sociali, ripiegate su uno sterile professionismo”. Cfr.
Massimo Rosati, Solidarietà e sacro, Laterza, Bari-Roma, 2002, pp. 10-11.
30 Cfr. Chito Guala, Metodi della ricerca sociale, Carocci, Roma 2000, p. 26.
31 Donati riprende le riflessioni di Don Sturzo che ha evidenziato come «il soprannaturale si esprime nel mondo non solo in quanto realtà vissuta e agita dalla parte dell’uomo, ma anche come manifestazione in lui e, attraverso lui, nella storia, di una realtà che
non è costruita dall’uomo, una realtà (sociologica) che in sé eccede la natura. O per meglio dire, una realtà sociologica che mette in corrispondenza, coesistenza, correlazione
significativa, la società soprannaturale (divina) e la società naturale (umana)» (corsivo
mio). Cfr. Pierpaolo Donati, La matrice teologica della società, cit., pp. 161-162.
32 Cfr. Roberto Cipriani (a cura di), La metodologia delle storie di vita.
Dall’autobiografia alla life history, EuRoma La Goliardica, Roma, 1987, p. 25.
33 Cfr. Alberto Zanutto, Liberare la ricerca, in Roberto Cipriani (a cura di), L’analisi
qualitativa, Armando Editore, Roma, 2008, p. 20.
34 Ibidem.
35 Nella ricerca sociale di solito vengono proposti due paradigmi scientifici: il primo è il paradigma positivista, al quale corrisponde una metodologia quantitativa che
si muove nel contesto della giustificazione, ossia il controllo delle ipotesi formulate
31
chiave metodologica, mutatis mutandis, una considerazione del cinico Lord Henry, tra i protagonisti de Il ritratto di Dorian Gray, che
affermava di essere stato sempre affascinato dai metodi delle scienze
naturali, ma alla fine «i normali argomenti di studio di queste scienze
gli sembravano banali e privi di importanza». Solo la vita umana
gli pareva «l’unica cosa che valesse la pena investigare. Paragonato
ad essa il resto non aveva valore. […] Osservare la bizzarria, dura
logica delle passioni, la screziata vita emotiva dell’intelletto – seguire dove si incontravano e si allontanavano, cogliere il momento
dell’unisono e quello della dissonanza – questo era il vero piacere.
Non importava a quale prezzo»36 (per esempio, il prezzo da pagare
può essere la non rappresentatività statistica di un fenomeno e una
certa asistematicità della speculazione).
Probabilmente, prestando attenzione «alla quantità di contrari, situati nella penombra del pensiero dell’uomo moderno che, a turno,
si presentano sulla scena»37, così come alla coabitazione di concetti dati tradizionalmente per contrapposti – per esempio, religione e
modernità, secolarizzazione e reincantamento, ragione ed emozione – e alla dialettica delle differenze si potrebbe trovare, in parte,
il filo rosso della realtà fenomenica contemporanea e si potrebbe
anche ipotizzare che la coincidentia oppositorum costituisca la forma dell’intrinseca coerenza delle oscillazioni pratico-spirituali degli
attori sociali.
In qualche modo, anche il contrasto teorico più evidente tra Comte e Pareto si è basato sulla tesi che l’umanità non procede in modo
lineare da uno stadio all’altro; ossia, dal feticismo al positivismo,
passando per la teoria e la metafisica. Infatti, al contrario di Comte,
Pareto riteneva che l’atteggiamento logico-sperimentale è solo un
all’inizio dello studio; il secondo è il paradigma umanistico, o dell’interpretazione, ancorato alla metodologia qualitativa che informa di sé il percorso della ricerca, orientandolo nella direzione della scoperta, in una traiettoria non prevedibile nella fase di
avvio dell’analisi. Cfr. Cecilia Costa, Il contesto della scoperta: limiti e opportunità,
in Roberto Cipriani (a cura di), L’approccio qualitativo, Guerini Scientifica, Milano,
2006, p. 47.
36 Cfr. Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, cit., p. 69.
37 Cfr. Paul Valéry, La crisi del pensiero, Il Mulino, Bologna, 1994, p. 61.
32
modo, non l’unico, di riflettere degli uomini e che i quattro modi di
pensare indicati da Comte «si ritrovano normalmente, in gradi diversi, in tutte le epoche. […] Pertanto non esiste un passaggio da un tipo
all’altro di pensiero con un processo unico e irreversibile, ma vi sono
oscillazioni secondo i momenti, le società e le classi, nell’influenza
relativa di ognuno di questi modi di pensare»38 (corsivo mio).
A legittimazione di una teoria della coesistenza di dinamiche
contrapposte, con tutte le doverose differenze, potrebbe tornare utile anche un’analisi di Tocqueville sui giorni festivo-religiosi e su
quelli del lavoro quotidiano in quanto, pur constatando che l’atteggiamento dei soggetti in queste due diverse dimensioni del tempo
rispondeva a “due vere e proprie province finite di significato”, egli
trovò importante non la «divaricazione degli atteggiamenti, bensì
la loro complementarità»39. Ciò che conta, in questa sede, dunque,
non è tanto la sua analisi di uno specifico fenomeno, ma il fatto che
la sua riflessione teorica abbia sottolineato la complementarità che
si instaura tra elementi diversi all’interno di una stessa dimensione
fenomenica e non, piuttosto, un processo di esclusione40 in funzione
di una necessaria omogeneità.
L’intento delle osservazioni di questo saggio – sulla scia della
linea speculativa che si appoggia, in generale, sul criterio di una lettura, solo di sfondo, qualitativo-tematica dei fenomeni e, più specificatamente, su alcune espressioni dell’immaginario e sul dato religioso – è stato quello di tentare di riflettere più che sull’egemonica
persistenza della tradizione simbolico-religiosa e valoriale, o sulla
38
Cfr. Raymond Aron, Le tappe del pensiero sociologico, cit., p. 406.
Bisogna anche dire che la riflessione di Tocqueville sulla complementarità degli
atteggiamenti individuali rispetto alla metabolizzazione dei giorni festivo-religiosi e di
quelli lavorativi lo aveva portato ad interpretare questa complementarità come provocata dal fatto che la dimensione religiosa è un “momento di ricapitolazione di se stessi”.
Cfr. Salvatore Abbruzzese, La sociologia di Tocqueville, cit., p. 115.
40 «Esattamente come attraverso la dottrina dell’interesse bene inteso Tocqueville
riesce a coniugare individualismo e materialismo circostante in spirito civico e partecipazione politica, così come attraverso la religione come forma di autonomia e di
indipendenza della persona al di fuori del senso comune, questi riesce a far riprodurre
al cittadino democratico quelle componenti di autonomia personale e di libertà interiore
che altrimenti verrebbero meno». Ibidem.
39
33
sua liquefazione, sulla possibile complementarità di alcuni suoi antichi tratti significativi con quelli nuovi: una complementarità – o
meglio un’ambivalente coesistenza – che può essere evocata da certe suggestioni dell’immaginario e da alcune percezioni soggettive
del religioso.
Non a caso, diverse indagini sociologiche – così come, tutto sommato, sottolineato nella serie di domande della premessa – hanno
rilevato che, quasi per un’eterogenesi dei fini, proprio in seno alla
nostra epoca di disincanto avviata dal positivismo illuminista, segnata dalla ricerca di definizione, di soluzioni positive, di chiarezza,
si è incappati, da un lato nell’incerto, nell’imprevedibile e nell’indeterminato41; dall’altro lato, ancor di più, nell’ambivalenza42: anzi,
sembra quasi che, raggiunta l’assenza di ideologie, alla fine la vera
novità alimentata dalla modernità sia l’ambivalenza43 con la quale lo
spitito moderno è “venuto gradualmente a patti”44.
Un’ambivalenza, peraltro, che ha avuto tra i suoi primi interpreti
Simmel, pensatore della crisi della modernità, il quale – senza mai
cercare fondazioni o sicurezze – ha sempre posto in primo piano «il
gioco interminabile che si istituisce tra il particolare e la totalità,
tra un qualsiasi aspetto del mondo e il suo contrario, tra l’unità e la
scissione»45.
Forse – solo forse – un possibile criterio teorico-metodologico,
per tentare di comprendere l’attualità socio-individuale, può essere
quello di considerare come plausibile la coniugazione di aspetti propri del “vecchio” patrimonio culturale con altri più connotativi della
“nuova” costellazione di significati ed interessi post-moderni. E riflettere anche sulla possibilità che in questo momento i sentieri della
religiosità e quelli dell’immaginario – i quali rivelano un alto livello
41
Cfr. Zygmunt Bauman, Modernità e ambivalenza, cit., pp. 16-17.
Ivi, p. 26.
43 A proposito del fenomeno dell’ambivalenza, Hans Jonas ha sostenuto che questa
ambivalenza è l’unica forza capace «di salvare la moderna civiltà tecnologica dalle sue
conseguenze, programmate o involontarie». Cfr. Hans Jonas, Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino, 1990, p. 278.
44 Cfr. Zygmunt Bauman, Modernità e ambivalenza, cit., p. 26.
45 Alessandro Dal Lago, Il conflitto della modernità, cit., pp. 19-20.
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di emotività al di là di ogni consolidato processo di razionalizzazione – potrebbero essere una buona chiave di lettura sociologica
del fermento e dell’ambivalenza dell’attuale fase storico-sociale46 o,
comunque, utile al pari di una modalità quantitativa di analisi.
Infatti, oggi, sembra più probabile cogliere la colonizzazione
“fallita” di aspetti della modernità nei mondi della vita, risalire alla
grande storia della società e intravederne le sue paure, il suo “sogno”
e – se ancora presente – il suo bisogno di Dio, attraverso l’immaginazione fantastica e l’esperienza religiosa. Quest’ultima, intesa simmelianamente come “vitalità centrale”, come un fluire di sentimenti
e come fatto spirituale, ha una particolare potenzialità interpretativa
nei riguardi della complessità del mondo moderno e delle sue sovrapposizioni, in quanto «non è né una cosa finita, né una sostanza stabile, ma un processo vitale che ogni anima e ogni momento in sé sono
sicuri di produrre a fronte di ogni stabilità dei contenuti trasmessi»47
o, si potrebbe aggiungere, nonostante l’instabilità di essi.
Una storia degli uomini che si sta sgomitolando sempre più rapidamente – in una stagione storica che sembra aver ridotto in apparenza tutto il tempo nel solo presente, la ragione in mera razionalità
e l’esistente nella materialità – e, forse, la cui specificità è determinata non dalla sottrazione, ma dalla addizione e dalla compresenza,
di volta in volta più chiara o più in ombra, delle dinamiche e delle
istanze del “passato retaggio” con quelle del “nuovo appannaggio”
culturale-simbolico e tecnologico accumulato negli ultimi decenni.
Un “nuovo appannaggio” che, sostanzialmente, sembra non aver
ereditato dal tradizionale patrimonio culturale il vincolo tra modernizzazione e secolarizzazione, come affermato da Habermas e Ratzinger nel loro famoso dibattito sul rapporto tra fede e ragione48, e il
quale appare caratterizzato da variabili post-secolari che sottolineano il collasso delle teorie della secolarizzazione. Un collasso ritenu46
Cfr. Michel Maffesoli, Note sulla postmodernità, cit., p. 26.
Cfr. Georg Simmel, La religione, (a cura di Carlo Mongardini), Bulzoni, Roma,
1994, p. 25.
48 Cfr. Jürgen Habermas, Joseph Ratzinger, Ragione e fede in dialogo, (a cura di
Giancarlo Bosetti), Marsilio, Venezia, 2005, p. 21.
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to molto più rilevante, per esempio, “rispetto al crollo dell’Unione
Sovietica e del blocco orientale” e che, secondo la considerazione
“apocalittica” di Beck, «minaccia la stessa struttura dei principi fondamentali e delle istituzioni basilari della modernità europea, nonché in definitiva il suo futuro»49.
A questo punto, però, se il concetto di post-secolare, scelto dal
filosofo e dal teologo – ripreso da altri studiosi per segnalare sia l’errore «di avere confuso i processi storici di secolarizzazione in senso
proprio con le presunte conseguenze di tali processi sulla religione»50
e sia il fatto che l’idea di progresso non si correla necessariamente
con il disincanto – è valido per dare avvio ad un nuovo criterio interpretativo della modernità del dopo, perché non contemplare la possibilità di rafforzare tale concetto con l’aggiunta della categoria di
post-razionalità, che non vuol certo intendere post-ragione.
Un’idea di post-razionalità che sia inclusiva semanticamente
della “coabitazione” dialettica dei processi di individualizzazione,
autoreferenzialità, scetticismo, razionalizzazione con le derive conformiste, il bisogno di relazioni, di comunità e di nostalgia per le
certezze incrollabili, di fascinazione verso il mistero e la spiritualità,
di una sorta di esagerazione dell’emotività ed, infine, di un percorso di “conversione” da una mentalità secolarizzata ad una pseudoincantata.
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Cfr. Ulrich Beck, Il Dio personale, cit., pp. 26-27.
Cfr. José Casanova, Oltre la secolarizzazione. Le religioni alla riconquista della
sfera pubblica, Il Mulino, Bologna, 2000, pp. 36-37.
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