® FRONTIERA DI PAGINE TEATRO LA SCENA DI PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA di Andrea Galgano Prato, 30 ottobre 2011 http://polopsicodinamiche.forumattivo.com P edro Calderón de la Barca è portatore di una scena che raccoglie gli splendori del “siglo de oro” spagnolo, portandoli all’intimità del raccoglimento, allo spazio del tempo in cui l’io si svolge, senza residui. Tra fiaba e simbolo, e polimorfismo di esiti, il suo teatro assimila appieno la tradizione gesuitica, seppur attraverso mediazioni, ma cercando un punto focale nell’uomo e nelle sue possibilità, nel turbamento dell’equilibrio instaurato da Dio e in una prospettiva fratturata e sghemba della salvezza. Dentro questo sguardo così duro, esiste nell’uomo di Calderón, una fiducia in Dio e un robusto razionalismo tomistico che però non eliminano l’inquietudine dei suoi personaggi, nelle loro volute interrogative, emergenti. La critica ha posto, a ragione, gli accenti sull’aspetto figurale della sua opera che attinge a piene mani, non solo dai Padri della Chiesa e dall’Antico Testamento, ma anche dalla simbologia pagana che riesce a contenere una sorta di anticipazione cristiana, una parabola di anticipazione, si potrebbe dire. Le figure sulla scena sono in bilico tra movimenti opposti e muti: fato, disegno divino, libero arbitrio, conoscenza platonica. Egli vede l’impronta di Dio, il suo disegno nell’uomo e nelle sue volontà, nel mondo aurorale e stellato, nei paesaggi dell’anima che riesce a disegnare con tratto netto. Il simbolo è il luogo in cui avviene la scena, interstizio indispensabile per carpire il suo dramma molteplice, la sua parabola dal caos indistinto della passionalità alla luce della ragione che frena l’istinto «per avere la prova se il dotto ha potere sulle stelle». Ne La vita è sogno, dramma scritto nel 1635 in tre atti, il re Basilio, a seguito di una sua profezia errata che avrebbe previsto la violenza sanguinaria e perniciosa del figlio Sigismondo, lo rinchiude in una torre ( «un rustico palazzo, così poco elevato che non riesce a mostrarsi al sole», dove «un fioco lume quella tremula fiamma, quella pallida stella che con incerti bagliori, palpitando di luce timorosa, rende ancor più tenebrosa la stanza buia con insicura luminosità»), escludendolo, sotto la severa sorveglianza educativa del suo fido Clotaldo, dal mondo esterno. Rosaura, figlia all’inizio non riconosciuta dello stesso Clotaldo, si trova sbalzata tra le rocce e lì scopre la prigione di tenebra del figlio del re. Prigione cosmica e di sguardo, lontani dalla Creazione: «Ippogrifo violento, che corresti a gara col vento, dove, fulmine senza fiamme, uccello senza penne colorate, pesce senza squame e bruto senza istinto naturale, nel confuso labirinto di queste nude rupi ti sfreni, ti avventi, ti precipiti?». Sigismondo, dilaniato e al confine tra terra e cielo, non ha conosciuto la realtà, soltanto appena intravista, ma solo l’apparenza, concependo un’ansia smodata di grandezza e di ribellione. Fatto addormentare è portato a corte e risvegliato dalla coscienza di Clotaldo, diviene davvero, suo malgrado, tirannico e quel potere lo induce a dominare anche se stesso. Rimane solo un attimo di estasi dinanzi alla soavità maestosa di Rosaura, uno scorcio di veduta platonica del reale che risveglia le idee. Il padre allora lo fa riaddormentare e ricondurre in prigione. Ridestatosi nuovamente avverte l’espandersi di una frattura, di uno ® © articolo stampato da Polo Psicodinamiche S.r.l. P. IVA 05226740487 Tutti i diritti sono riservati. Editing MusaMuta www.polopsicodinamiche.com http://polopsicodinamiche.forumattivo.com Andrea Galgano LA SCENA DI CALDERON DE LA BARCA – 30 OTTOBRE 2011 II spostamento di sguardo. Cosa è reale? Cosa è stato sognato?: «Sono dunque tanto simili ai sogni le glorie, che quelle reali sembrano false, e quelle simulate, vere ? Così poca differenza c'è tra le une e le altre, che si deve discutere per sapere se ciò che si vede e si gode è verità o menzogna?». L’ultimo atto, mancando del finale tragico, ha un unico trionfo vero e proprio: il libero arbitrio che vince le inclinazioni astrali e le pulsioni della natura ferina. La vita è sogno è un’insegna ampia, sintagma d’espressione, dove teatro e vita si mischiano in una luce strana, edipica. La cura figurativa e simbolica della scena trova ne Il gran teatro del mondo, dato alle stampe nel 1655, un modulo disseminativo-ricapitolativo ampio e suggestivo. Teatro nel teatro o meglio meta teatro dove l’Autore, Dio, convoca a sé il Mondo, il Re, il Ricco e il Povero, il Bambino e distribuisce loro le parti imponendogli di rappresentare nell’immensa pagina dell’universo la commedia dell’umanità. Caos di elementi ricondotti a livello sovrannaturale ad unità, quando essi, remota materia, saranno rivelazione della grazia e partecipazione divina: l’Acqua sarà la Penitenza, la Terra il pane e il vino, l’Aria sarà la Consacrazione, il Fuoco sarà la fiamma dell’amor divino. Pier Paolo Pasolini scrisse nel 1966 l’opera Calderón, mutuando gli stilemi classici barocchi in una nuova luce sghemba, sociale e politica allo stesso tempo, ma conservando una nuova mappa di fuga. III In Calderón de la Barca, le figure sono sfumature e recita di un compito imposto, di un vestiario intrinseco al personaggio. La scena diventa la partitura delle linee della mano dell’autore, in essa vivono del respiro di chi le fa muovere. Teatro di elementi, con monti, folgori, pelaghi e venti: venti per cui lentamente veleggiano le navi degli uccelli; pelaghi e mari dove assiduamente volano le squadre dei pesci; folgori per le quali la tua opacità è illuminata dalla collera del fuoco; monti ove, signori assoluti, si aggirano gli uomini e le fiere: essendo tu dunque, in perpetua agitazione, mostro di fuoco, aria, acqua e terra. (Scena Prima, 9-20) ® © articolo stampato da Polo Psicodinamiche S.r.l. P. IVA 05226740487 Tutti i diritti sono riservati. Editing MusaMuta www.polopsicodinamiche.com http://polopsicodinamiche.forumattivo.com Andrea Galgano LA SCENA DI CALDERON DE LA BARCA – 30 OTTOBRE 2011