Chimica Fisica Cenni di spettroscopia AA 2007-2008 Antonino Polimeno Dipartimento di Scienze Chimiche Università degli Studi di Padova Capitolo 1 Spettroscopie In questa settima ed ultima raccolta di appunti di lezione saranno presentati alcuni concetti elementari relativi alle tecniche spettroscopiche più comuni, che sono gli strumenti conoscitivi più importanti per la chimica moderna. Poichè però è probabile che lo studente difetti di concetti fondamentali per una piena comprensione di molti aspetti delle indagini spettroscopiche (p.es. una conoscenza anche solo accennata della simmetria molecolare, una chiara distinzione tra fenomeni dinamici ed indipendenti dal tempo, alcune tecniche teoriche di base come la teoria delle perturbazioni etc.), le note che seguono sono necessariamente molto limitate in scopo ed estensione. L’obiettivo primario per lo studente dovrebbe essere conoscere l’esistenza delle principali spettroscopie ottiche e magnetiche e saper distinguere, a grandi linee, il tipo di informazioni che da queste si possono ricavare. La dispensa è chiusa da un capitolo dedicato ai metodi statistici per la descrizione delle proprietà molecolari, con una discussione di alcuni ’casi specifici’ soprattutto da un punto di vista applicativo. Anche in questo caso la trattazione resta ad un livello elementare, ma dovrebbe risultare utile allo studente che sia interessato ad una visione d’insieme delle nozioni apprese in precedenza. 1.1 Le principali tecniche spettroscopiche I metodi spettroscopici sono tecniche sperimentali basate sull’interazione tra energia e materia per la determinazione di proprietà fisiche e chimiche. • Spettroscopie ottiche – assorbimento-emissione UV-visibile – fluorescenza, fosforescenza, – spettroscopia infrarossa; Raman • Spettroscopie magnetiche – risonanza magnetica nucleare, NMR – risonanza elettronica di spin, ESR • Scattering 1 2 CAPITOLO 1. SPETTROSCOPIE – diffrazione raggi X – scattering neutronico Le spettroscopie magnetiche saranno discusse nel prossimo capitolo e sono in generale basate sulle transizioni tra diversi livelli energetici dovuti alla presenza di momenti di spin (nuclaere od elettronico) diversi da zero. Nel caso dei nuclei, lo spin (rotazione) di alcuni nuclei atomici (paramagnetici) su sé stessi è associato ad un momento magnetico: la carica in rotazione genera un campo magnetico. La misura dellassorbimento di energia da parte di nuclei paramagnetici si dice nuclear magnetic resonance (NMR). Analogamente, il fenomeno detto electron spin resonance (ESR) è la spettroscopia di assorbimento di energia da parte di elettroni paramagnetici (spaiati) presenti in specie chimiche radicaliche o complessi inorganici. Lo spin dellelettrone spaiato genera un momento di dipolo magnetico. le spettroscopie di scattering misurano la diffrazione di particelle (es. neutroni o elettroni) o radiazioni incidenti su una strttura molecolare. Tra le spettroscopie di scattering più note troviamoi La cristallografia a raggi X, che è una tecnica della cristallografia in cui l’immagine, prodotta dalla diffrazione dei raggi X attraverso lo spazio del reticolo atomico in un cristallo, viene registrata e quindi analizzata per rivelare la natura del reticolo. In genere, questo porta a determinare il materiale e la struttura molecolare di una sostanza. La cristallografia a raggi X il metodo principale per determinare le conformazioni molecolari delle macromolecole biologiche, particolarmente delle proteinee degli acidi nucleici come il DNA e l’RNA. Le tecniche di misura spettroscopiche ottiche misurano l’interazione delle sostanze chimiche con una radiazione elettromagnetica. Le molecole interagiscono con una radiazione elettromagnetica assorbendo o cedendo energia, passando cioè da stati ad energia minore a stati ad energia maggiore (assorbimento) o da stati ad energia maggiore a stati ad energia minore (emissione). Una molecola assorbe od emette radiazioni quando subisce un cambiamento del suo livello energetico (autovalore dell’hamiltoniano molecolare); dalla frequenza di emissione o di assorbimento ∆E = Efinale − Einiziale = hν (1.1) si possono avere informazioni sui livelli energetici coinvolti, Einiziale , Efinale e quindi sulla struttura della molecola. Il processo di assorbimento od emissione di un fotone è dovuto all’interazione tra i due stati, misurata dal momento di transizione, che è proporzionala all’intensità della riga µtransizione = hΨfinale |µ̂|Ψiniziale i (1.2) Il momento di transizione può essere messo in relazione alla forma degli stati iniziale e finale e dell’operatore momento di dipolo di transizione µ (principio di Franck-Condon) 1.2 Spettroscopie ottiche le principali tipologie di spettri ottici possono essere classificate in base alla frequenza della radiazione interagente: Microonde ∆E = 4 × 10−4 − 0.04 kJ mol−1 , ν = 109 − 1011 Hz (0.03-3 cm−1 ); sono coinvolti livelli energetici rotazionali; si ottengono informazioni su distanze internucleari 1.2. SPETTROSCOPIE OTTICHE 3 Figura 1.1: Stati iniziali e finali in una transizione elettronica: tipologie di sovrapposizione tra stato fondamentale e stato eccitato Infrarosso lontano ∆E = 0.04 − 4 kJ mol−1 , ν = 1011 − 1013 Hz (3-300 cm−1 ); sono coinvolti livelli energetici rotazionali e vibrazionali; si ottengono informazioni costanti di forza di legame Infrarosso ∆E = 4−40 kJ mol−1 , ν = 1013 −1014 Hz (300-3000 cm−1 ); sono coinvolti livelli energetici vibrazionali; si ottengono informazioni costanti di forza di legame, momenti di dipolo Raman ∆E = 0.04 − 40 kJ mol−1 , ν = 1011 − 1014 Hz (3-3000 cm−1 ); sono coinvolti livelli energetici rotazionali e vibrazionali; si ottengono informazioni costanti di forza di legame, momenti di dipolo, distanze internucleari UV-visibile ∆E = 40 − 4000 kJ mol−1 , ν = 1014 − 1016 Hz (3000-3 × 105 cm−1 ); sono coinvolti livelli energetici elettronici; si ottengono informazioni costanti di forza di legame, etc. più energia di dissociazione dei legami Ricordiamo che l’energia di una molecola è data dalla somma dei (1) contributi elettronici (livelli energetici corrispondenti a diversi stati elettronici); (2) contributi vibrazionali (livelli energetici corrispondenti a diversi stati vibrazionali; (3) contributi rotazionali (livelli energetici corrispondenti a diverse orientazioni nello spazio). L’energia quantizzata totale di una molecola (trascurando il moto traslazionale) è pertanto E ≈ Eelet + Evib + Erot (1.3) I livelli energetici sono approssimativamente separati in livelli energetici elettronici, vibrazionali e rotazionali. Ad ogni livello energetico elettronico corrisponde una sottodivisione in livelli vibrazionali, che a loro volta sono suddivisi in livelli rotazionali. Da questa semplice considerazione possiamo indicare le seguenti relazioni dirette tra tipo di transizione e spettroscopia: • Transizioni tra livelli elettronici ⇒ spettroscopia UV-visibile 4 CAPITOLO 1. SPETTROSCOPIE • Transizioni tra livelli vibrazionali ⇒ spettroscopia IR • Transizioni tra livelli rotazionali ⇒ spettroscopia micronde L’analisi dei segnali di emissione/assorbimento in una generica spettroscopia ottica può avvenire in linea di principio in base alla soluzione completa dell’equazione di Schrödinger per la molecola o le molecole coinvolte nella transizione. Di fatto, sono convenientemente introdotte varie approssimazioni1 • Born-Oppenheimer per separare i livelli elettronici dai moto roto-vibrazionali • Oscillatore armonicoper descrivere i livelli vibrazionali • Rotatore rigido per descrivere i livelli rotazionali 1.3 Spettroscopia elettronica La spettroscopia elettronica o UV-Visibile studia • l’assorbimento di luce UV e visibile dalle molecole, che causa la promozione di un elettrone da uno stato ad energia minore ad uno stato ad energia maggiore • l’emissione di luce UV e visibile dalle molecole, che causa la discesa di un elettrone da uno stato ad energia maggiore (eccitato) ad uno stato ad energia minore ⇒ fluorescenza, fosforescenza La spettroscopia elettronica lavora nell’ambito dell’ultravioletto e della luce visibile (lunghezza d’onda λ tra 190 e 800 nm. L’assorbimento o l’emissione UV-visibile presenta bande generalmente molto larghe, perch sono costituite dalla sovrapposizione di transizioni vibrazionali e rotazionali. L’eccitazione di un elettrone legato dall’Highest Occupied Molecular Orbital (HOMO) al Lowest Unoccupied Molecular Orbital (LUMO) è misurata in un esperimento di assorbimento. Il decadimento dal LUMO all’HOMO è misurato in un esperimento di emissione: la presenza di bande allargate è dovuta ai livelli roto-vibrazionali presenti in ogni livello elettronico. L’interpretazione di uno spettro UV/visibile è basata su varie considerazioni, relative soprattutto ai livelli energetici elettronici coinvolti nelle transizioni molecoari osservate. In generale l’emissione di radiazione UV-visibile da uno stato eccitato con momento di spin elettronico totale nullo (singoletto) allo stato fondamentale elettronico di una molecola è detta fluorescenza, mentre l’emissione da uno stato elettronico con momento di spin totale pari ad uno (tripletto) è detta fosforescenza. I diagrammi che descrivono le transizioni possibili tra i diversi livelli energetici (elettronici e vibrazionali), si dicono diagrammi di Jablonski. Le seguenti definizioni sono molto utili per discutere le caratteristiche principali degli spettri UVVisibile: cromoforo: gruppo di atomi che assorbe luce auxocromo: gruppo che estende la coniugazione di un cromoforo condividendo elettroni liberi Shift batocromico: spostamento dell’assorbimento a lunghezze d’onda maggiori 1 Anche se oggi esistono approcci volti ad una completa soluzione del calcolo di spettri 1.3. SPETTROSCOPIA ELETTRONICA 5 Figura 1.2: Schema delle transizioni di assorbimento ed emissione UV-visibile Shift ipsocromico: spostamento dell’assorbimento a lunghezze donda minori Effetto ipercromico: aumento dell’intensità di assorbimento Effetto ipocromico: diminuzione dellintensità di assorbimento 1.3.1 Legge di Lambert-Beer La luce incidente su di un sistema macroscopico può essere riflessa, trasmessa, rifratta, diffusa o assorbita. La frazione di luce assorbita dipende dalla natura della sostanza (cioè dai fenomeni di assorbimento da parte delle molecole), dallo spessore del mezzo considerato ed anche dalla lunghezza d’onda della radiazione. Uno spettro UV-Visibile si ottiene di solito facendo passare della luce di una lunghezza d’onda definita (luce monocromatica) attraverso una soluzione diluita in un solvente non-assorbente. L’intensità della banda di assorbimento si misura come la percentuale di luce incidente che passa attraverso il campione Trasmittanza percentuale = 100 I I0 (1.4) dove I è l’intensità della luce trasmessa e I0 è l’intensità della luce incidente. L’assorbimento della luce è funzione della concentrazione delle molecole assorbenti, ed esiste una legge quantitiva che lega l’assorbanza (collegata alla trasmittanza) in funzione della concentrazione, detta legge di Lambert-Beer: µ A = − log I I0 ¶ = ²cl (1.5) 6 CAPITOLO 1. SPETTROSCOPIE Figura 1.3: Bande di assorbimento ed emissione UV-visibile Nell’equazione di Lambert-Beer, ² è il coefficiente di assorbimento molare, c è concentrazione molare del soluto, l è la lunghezza della cella (in cm). Lo spettro si ottiene di solito da una soluzione molto diluita (1 mg in 100 ml di solvente). Una porzione di soluzione si ripone in una cella (o cuvetta); una cella analoga piena di solvente (bianco o riferimento) viene posta in una sezione adiacente dello spettrofotometro a doppio raggio Due raggi Figura 1.4: Schema di uno spettrometro UV-visibile luminosi identici vengono fatti passare per le due cuvette. L’intensità delle due trasmittanze viene misurata su tutto il range di lunghezze d’onda disponibili. Lo spettro viene rappresentato come log(I0 /I) in ordinata contro λ in ascissa, anche se in letteratura si possono trovare ² vs. λ oppure log(²) vs. λ. 1.4. SPETTROSCOPIA INFRAROSSA 7 Una serie di considerazioni relative al rapporto esistente tra bande osservate e struttura elettronica possono essere di grande aiuto nell’interpretazione di uno spettro UV-Visibile. In pratica ai legami chimici o ai livelli energetici coinvolti possiamo associare classi di composti • σ → σ ∗ (alcani) • σ → π ∗ (carbonili) • π → π ∗ (alcheni, carbonili, alchini, azocomposti) Senza alcuna pretesa di completezza, riportiamo alcune semplici regole intepretative: • Se lo spettro di un composto esibisce una banda di assorbimento ad intensità bassa nella regione 270-350 nm, e nessun altro assorbimento sopra i 200 nm, il composto contiene un solo cromoforo non coniugato • Se lo spettro presenta molte bande, anche nel visibile, il composto contiene probabilmente catene coniugate o gruppi aromatici. • Se il composto è colorato possono esistere almeno 4,5 cromofori coniugati e gruppi auxocromi (con l’eccezione di alcuni nitro-, azo-, diazo-, and nitroso-composti che sono colorati). Un valore di e tra 10000 and 20000 generalmente rappresenta un semplice chetone a,b-insaturo o un diene. • Bande con ² tra 1000 e 10000 normalmente mostrano la presenza di un gruppo aromatico. Se il gruppo aromatico ha dei gruppi funzionali possono comparire bande con ² maggiore di 10000 1.4 Spettroscopia infrarossa La spettroscopia infrarossa studia l’assorbimento di luce nella regione dei raggi infrarossi, corrispondente ai livelli energetici vibrazionali (modifiche delle lunghezze dei legami chimici e degli angoli di legame). La radiazione coinvolta è nell’intervallo dell’infrarosso: lunghezza d’onda λ tra 2.5 e 25 µm o numeri d’onda tra 4000 e 400 cm−1 . Uno spettrometro IR è formato da una sorgente di luce infrarossa (lampada IR), da un contenitore per il campione, da un prisma per separare la luce nelle varie componenti, da un rivelatore, e da un registratore (video, stampa etc.) La spettrometria IR misura transizioni tra livelli vibrazionali. Il calcolo dei livelli energetici di una molecola in uno stato elettronico determinato richiede la definizione del potenziale elettronico (livello energetico elettronico) e la soluzione dell’equazione di Schrödinger relativa al moto vibrazionale dei nuclei nel potenziale elettronico. In pratica i vari modi normali di vibrazione (=”tipi” di vibrazione interne della molecola) si possono considerare come indipendenti l’uno dall’altro e, almeno in linea di di principio, ciascuno responsabile di un segnale IR. In generale una molecola di N atomi ha 3N − 6 gradi di libertà vibrazionali ⇔ modi di vibrazione; se la molecola è lineare i gradi vibrazionali sono 3N − 5. La giustificazione formale è semplice: i gradi di libertà nucleari totali di una molecola sono 3N (tutte le coordinate dei nuclei); di queste, tre descrivono la traslazioone della molecola come un oggetto rigido e tre (o due nel caso di una molecola lineare) la rotazione della molecola come un oggetto rigido. Restano pertanto 3N − 6 o 3N − 5 gradi di libertà interni. 8 CAPITOLO 1. SPETTROSCOPIE Figura 1.5: Schema di uno spettrometro IR Consideriamo per semplicità una molecola biatomica, per (es. H2 ). Calcoliamo i livelli energetici vibrazionali per la molecola nel suo stato fondamentale. Descriviamo il moto relativo dei nuclei come un oscillatore armonico di massa µ= m1 m2 m1 + m2 (1.6) dove m1,2 sono le masse dei nuclei; µ è la massa ridotta. La curvatura del potenziale è legata alla forza di legame 1 V (x) = kx2 2 (1.7) dove k è la costante di forza e x è la distanza di legame. L’equazione di Schroedinger per l’oscillatore armonico è (vedi Dispensa n. 6) Ĥψ(x) = Eψ(x), dove l’hamiltoniano Ĥ è dato dalla somma dell’energia cinetica e potenziale Ĥ = − h̄2 ∂ 2 + V (x) 2µ ∂x2 (1.8) La soluzione è quantizzata ψn (x) = Nn exp − µ En = 1 2 Ã 2 h̄ kµ !1/2 x2 HN − Ã !1/4 h̄ x 2 (1.9) kµ ¶ 1 + n hν 2 n: intero ≤ 0 Nella precedente equazione la frequenza di oscillazione ν è definita come ν = (1.10) ω 2π = 1 2π q k µ. 1.4. SPETTROSCOPIA INFRAROSSA 9 La presenza di molti modi di vibrazione (=oscillatori armonici) in una molecola, ciascuno descritto da una frequenza propria e da una serie di livelli vibrazionali, rende uno spettro IR sensibile alla struttura molecolare. L’interpretazione delle bande IR rivela diversi possibili movimenti interni della molecola, dovuti alla presenza di gruppi funzionali specifici. Non tutti i modi vibrazionali sono però visibili in uno spettro IR: in particolare quelli per cui il momento di transizione è nullo non sono rilevabili. I modi più comuni sono detti di stretching o stiramento. Le frequenza di stretching (stiramento) si possono determinare con la regola empirica s ν = 4.12 × k µ (1.11) dove k è la costante di forza in dyne cm−1 , che vale per un legame singolo k = 5 × 105 dyne cm−1 , per un legame doppio k = 10 × 105 dyne cm−1 , per un legame triplo k = 15 × 105 dyne cm−1 ; µ è la massa ridotta espressa in grammo-moli. Per esempio, nel caso del legame doppio carboni-carbonio (C=C): q ν = 4.12 × ( 10 × 105 /12 × 12/(12 + 12) = 1682cm−1 il valore 1682 (calcolato) è da confrontarsi con 1650 cm−1 (misurato). I fattori che influenzano la frequenza di assorbimento sono molteplici. I principali sono: • le masse atomiche: C-H (3000 cm−1 ), C-C (1200 cm−1 ), C-O (1100 cm−1 ), C-Cl (750 cm−1 ), C-Br (600 cm−1 ), C-I (500 cm−1 ) • l’ordine di legame: C≡C (2150 cm−1 ), C=C (1650 cm−1 ), C-C (1200 cm−1 ) • l’ibridizzazione: C-H sp (3300 cm−1 ), C-H sp2 (3100 cm−1 ), C-H (sp3 ) (2900 cm−1 ). Come per - ed anzi in misura maggiore - gli spettri UV-visibile, l’analisi di uno spettro IR è basata su varie linee-guida. In particolare, si possono associare gruppi funzionali a zone di assorbimento specifico nello spettro: • Esiste un gruppo carbonile (1820-1660 cm−1 ) – Acidi O-H (3400-2400 cm−1 ) – Ammidi N-H ( 3400 cm−1 ) – Esteri C-O (1300-1000 cm−1 ) – Anidridi, 2 assorbimenti C=O (1810-1760 cm−1 ) – Aldeidi C-H (2850 e 2750 cm−1 ), chetoni (nessuno dei gruppi precedenti) • Il gruppo C=O non esiste: – Alcoli O-H (3400-3300 cm−1 ); confermato da C-O (1300-1000 cm−1 ) – Ammine N-H (3400 cm−1 ) ed eteri C-O (1300-1000 cm−1 ) – Legami doppi/anelli aromatici: C=C (1650 cm−1 ), C=C aromatici (1600-1450 cm−1 ), vinile C-H (¿3000 cm−1 ) – Legami tripli CN (2250 cm−1 ), CC (2150 cm−1 ), acetilene C≡H (3300 cm−1 ) – Nitrogruppi N-O (1600-1530 e 1390-1300 cm−1 ) 10 CAPITOLO 1. SPETTROSCOPIE 1.5 Proprietà magnetiche Una molecola può essere dotata di un momento magnetico permanente, oltre che di un momento indotto da una campo magnetico esterno (cosı̀ come può possedere un momento di dipolo elettrico permanente ed indotto). Quando un campo magnetico agisce su un materiale, gli effetti dipendono dalla densità del ~ le cui unità di misura SI è il tesla (T), dove 1 T = Kg s−2 A−1 , che corrisponde flusso magnetico B, ~ , o momento nel sistema cgs a 104 gauss. Un campione macroscopico esibisce una magnetizzazione M ~ e da H, ~ cioè l’intensità del campo magnetico: magnetico per unità di volume, che dipende da B ~ ~ = B −H ~ M µ0 (1.12) ~ = µH, ~ dove µ dove µ0 è la permeabilità del vuoto, pari a 4π × 10−7 N/A2 . Per un materiale isotropo B ~ eM ~ è la permeabilità del materiale (quantità adimensionale); da ciò deriva una relazione diretta tra H ~ = χH, ~ M χ= µ −1 µ0 (1.13) χ è la suscettività magnetica del materiale, che può essere positiva (materiale paramagnetico, µ ≥ 1), p.es. aria, alluminio, magnesio, platino) o negativa (materiale diamagnetico, µ < 1), p. es.acqua, argento, oro, piombo). Nel primo caso il campo magnetico nel materiale è maggiore che nel vuoto, nel secondo caso è minore. Nel caso il campo magnetico sia molto maggiore si parla di materiale ferromagnetico (µ À 1), p. es. cobalto, ferro, nichel). Una relazione generale - dedotta da Langevin (1905) - tra la suscettività magnetica molare e le proprietà molecolari in molti materiali è la seguente χm M = χ=N ρ Ã p2 α+ 3kB T ! (1.14) dove M è il peso molecolare, α è il momento magnetico indotto, p è il momento magnetico permanente e ρ è la densità. Le caratteristiche magnetiche di una sostanza sono conseguenza diretta delle proprietà molecolari, come si vede dalla formula di Langevin. Una molecola è sede di molti momenti magnetici, che a loro volta dipendono dai vari momenti angolari: orbitali elettronici, di spin elettronici, di spin nucleari. • In particolare, il paramagnetismo è legato al momento angolare degli elettroni. La relazione classica tra il momento magnetico di un atomo (idrogenoide per semplicità) con un elettrone che si muova lungo un’orbita circolare ed il momento angolare è stimabile con considerazioni elementari come ~ p~ = γ L (1.15) dove γ = −e/2me è detto rapporto giromagnetico. I due vettori sono antiparalleli e diretti perpendicolarmente all’orbita. Da un punto di vista quantistico, il momento angolare dell’elettrone p è quantizzato, secondo il numero quantico l, ed assume solo i valori l(l + 1)h̄. In presenza di un campo magnetico esterno, il momento angolare precede attorno alla direzione del campo, e la componente diretta lungo il campo assumere i valori quantizzati mh̄, dettati dal numero quantico 1.5. PROPRIETÀ MAGNETICHE 11 Figura 1.6: Linee di campo nei materiali magnetici magnetico. I valori permessi della componente diretta lungo il campo (per semplicità assumiamo che sia diretta lungo l’asse z di laboratorio) sono pz = mµB (1.16) dove µB = eh̄/2me si chiama magnetone di Bohr e vale 9.2732 × 10−24 J T−1 . • L’elettrone possiede un momento angolare intrinseco, detto spin, che causa un momento magnetico. Un elettrone spaiato è perciò un piccolo magnete. Anche in questo caso possiamo trovare una relazione di proporzionalità diretta tra momento magnetico e momento angolare di spin, ma il rapporto giromagnetico è (circa) il doppio di quello del caso orbitalico, γ = −e/me ; la quantizzazione del modulo dipende dal numero quantico di spin s, che peraltro per un elettrone vale p 1/2, secondo la solita relazione s(s + 1)h̄, ed in presenza di una campo magnetico la componente lungo il campo è quantizzata nei due valori ±h̄/2. Il corrispondente momento magnetico è perciò un magnetone di Bohr, (e/m) × (h̄/2) = µB ; lo studio dell’influenza di un campo magnetico sulla quantizzazione dei momenti magnetici risultanti dalla presenza di elettroni spaiati e la loro dipendenza dall’intorno chimico sono brevemente discussi nella sezione che segue dedicata alla spettroscopia EPR. • Infine, le proprietà magnetiche di una molecola sono dettate anche dal momento magnetico dei nuclei atomici, che lungi dall’essere delle cariche puntiformi positive, come finora abbiamo supposto, 12 CAPITOLO 1. SPETTROSCOPIE Figura 1.7: Quantizzazione del momento magnetico orbitalico sono in realtà dotati spesso (non sempre) di momento angolare di spin intrinseco, e quindi di momento magnetico; lo studio dell’influenza di un campo magnetico sulla quantizzazione dei momenti magnetici nucleari, le transizioni tra livelli energetici magnetici nucleari e la loro dipendenza dall’intorno chimico sono brevemente discussi nella prossima sezione dedicata alla spettroscopia NMR. 1.6 Risonanza magnetica nucleare Lo spin di un nucleo è descritto da un numero quantico, che indichiamo con I, ed è associato al vettore ~ Per nuclei con numero di massa dispari, I è un multiplo dispari di 1/2, mentre per momento di spin I. nuclei con numero di massa pari I è un multiplo pari di 1/2. Il momento magnetico è parallelo (dato p che la carica è positiva) al momento angolare, ed assume i valori pN = gN µN I(I + 1) dove gN è il fattore g nucleare, che dipende da nucleo a nucleo (per l’idrogeno gN = 2.7245) e µN è il magnetone nucleare eh̄/2mp = 5.0493 × 10−27 J T−1 . ~ 0 , in analogia a quanto è stato già discusso nellaq In presenza di una campo magnetico esterno B sezione precedente, la componente del momento magnetico nucleare diretta lungo il campo assume valori quantizzati, che corrispondono anche a livelli energetici rivelati dalla struttura iperfine delle righe spettrali. Per un nucleo con numero di spin nucleare I, la componente assume i valori pN,z = MI gN µN (1.17) dove MI = −I, −I + 1, . . . , I − 1, I; l’energia associata ai livelli è data dalla semplice espressione 1.6. RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE 13 Figura 1.8: Transizioni tra livelli magnetici E = −pN,z B0 = −MI gN µN B0 . I livelli risultano quindi equispaziati con una differenza di energia tra livelli adiacenti (∆MI = ±1) ∆E = gN µN B0 = γN h̄B0 (1.18) dove γN è il rapporto giromagnetico del nucleo considerato. Tipicamente queste energie corriponsdono alle onde radio; per sempio nel caso del 19 F gN = 5.2567, e per B0 = 1 T si ha ∆E = 2.653 × 10−26 J, cui corrisponde ν = ∆E/h = 19.85 MHz. In generale la frequenza di transizione tra livelli energetici adiacenti è detta frequenza di Larmor o frequenza di risonanza: γN B0 (1.19) 2π Le transizioni tra questi livelli energetici sono osservabili con picchi di assorbimento, da esprimersi in opportune unità (vedi oltre). In pratica, nei moderni spettrometri NMR, il campione è soggetto ad un campo magnetico molto intenso che genera lo splitting dei livelli. L’eccitazione avviene mediante onde radio e l’assorbimento in corrispondenza delle diverse frequenze di risonanza viene registrato. Quindi, in sintesi, in uno spettro NMR in ascissa abbiamo una misura della frequenza di assorbimento ed in ordinata un’assorbanza. ν= 14 CAPITOLO 1. SPETTROSCOPIE Figura 1.9: Schema di uno spettrometro NMR 1.6.1 Chemical shift L’utilità della spettroscopia NMR discende da un’importante considerazione: i nuclei attivi risentono del loro intorno chimico formato da altri atomi che li circondano, con i loro elettroni. Il campo magnetico applicato induce, sull’intorno elettronico di ogni nucleo, un campo magnetico locale opposto (fenomeno di induzione). La ”nube” elettronica provoca cio una modulazione locale del campo applicato, detta schermatura. Il campo residuo effettivo è B = B0 (1 − σ). Al variare dell’intorno chimico di un certo nucleo, la frequenza di risonanza risultare più bassa di un fattore 1 − σ, poichè solitamente il campo magnetico indotto opposto a quello applicato. Diversi valori di σ corrispondono a diversi intorni chimici. Un modo conveniente di definire il comportamento di un nucleo è dato dallo spostamento chimico o chemical shift che si ricava mettendo in relazione le costanti di schermo dei vari nuclei con un composto standard. Per studi NMR basati sul protone e sul 13 C si usa come standard il tetrametilsilano (Si(CH3 )4 , TMS). L’atomo di silicio è infatti il meno elettronegativo dei tre elementi che costituiscono il TMS (elettronegatività: Si=1.91; H=2.1; C=2.55), è ciò causa un’altissima schermatura del carbonio e dell’idrogeno. Inoltre, grazie all’alta simmetria della molecola, tutti gli atomi di carbonio e tutti gli atomi di idrogeno sono schermati nella stessa misura. Il chemical shift è definito in modo rigoroso come la frequenza di assorbimento del nucleo, meno la frequenza del riferimento, diviso per la frequenza del riferimento moltiplicato per 106 e cioè in parti per milione (ppm) δ= ν − νrif × 106 νrif (1.20) Spesso si descrive il comportamento di un determinato nucleo in termini di posizioni relative nello 1.6. RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE 15 spettro. Per esempio, un picco con shift δ = 10 ppm è detto a campi bassi (o deschermato) rispetto ad un picco a 5 ppm, tenendo presente che la massima schermatura in linea di principio è a 0 ppm. Figura 1.10: Chemical shift L’analisi di uno spettro NMR può esser molto complessa, ma anche estremamente informativa sulla struttura e la dinamica molecolare. Di particolare importanza risulta essere il fenomeno detto accoppiamento spin-spin (spin-spin coupling), che è responsabile di molte delle caratteristiche che rendono la spettroscopia NMR cosı̀ utile per determinare la struttura di una molecola. Consideriamo come esempio l’etanolo, CH3 CH2 OH, di cui è riportato lo spettro 1 H NMR ad alta risoluzione in figura. Lo spettro mostra che nella posizione del metile (CH3 ) sono presenti tre picchi ed in quella del metilene (CH2 ) sono presenti quattro picchi. Ciò accade a causa di una piccola interazione (accoppiamento) tra i due gruppi di protoni. Si può verificare come la distanza tra i picchi del tripletto metilico e tra i picchi del quartetto metilenico sia uguale: questa quantità, di solito espressa in Hertz, è detta costante di accoppiamento, J. Qual è la causa della presenza dei picchi? Consideriamo i protoni del metilene: sono due, e ciascuno può avere una di due possibili orientazioni (allineato od opposto al campo magnetico), il che porta a quattro possibili configurazioni, nella prima delle quali gli spin sono entrambi opposti al campo: questo causa una lieve diminuzione del campo risentito dai protoni del metile (e quindi si vede uno spostamento a campi un po’ più alti); delle altre tre configurazioni, due ahnno gli spin in opposizione l’uno all’altro e quindi non influenzano i protoni metilici; l’ultima rafforza il campo (essendo gli spin entrambi paralleli al campo stesso) e quindi i protoni metilici si spostano a campi un po’ più bassi. Il risultato è che i protoni del metile si ’vedono’ come un tripletto con intensità (rapporto fra le aree) 1:2:1. Allo stesso modo, l’effetto dei protoni del metile sui protoni del metilene è razionalizzabile dalle otto possibili combinazioni dei tre protoni; di queste abbiamo due gruppi di tre con lo stesso effetto magnetico. Si hanno perciò quattro possibili effetti, che portano ad uno splitting del metilene in quattro picchi con intensità 1:3:3:1. In uno spettro, assumendo che il chemical shift tra gruppi di protoni interagenti sia molto maggiore delle loro costanti di accoppiamento, l’intepretazione dei picchi è molto semplice • la molteplicità di un multipletto è data dal numero di protoni equivalenti vicini più uno • i nuclei equivalenti non interagiscono fra loro • la costante di accoppiamento è indipendente dal campo applicato 16 CAPITOLO 1. SPETTROSCOPIE Figura 1.11: Spettro 1 H NMR dell’etanolo 1.6.2 Isotopi L’isotopo paramagnetico più usato ed abbondante è 1 H, con un chemical shift non grande, ma segnali molto stretti; il deuterio 2 H è di solito impiegato come tali in solventi deuterati (per non interferire con l’idrogeno), ma anche come sonda per membrane fosfolipidiche, cristalli liquidi etc. L’isotopo di elio 3 He è molto sensibile, ma è presente in percentuiali piccole nel’elio naturale, che quindi deve essere arricchito artificialmente (è usato per lo studio dei fullereni). Il 13 C `‘e molto usato, anche se è presente in basse percentuali: l’acquisizione degli spettri è quindi molto lenta; è usato per marcare composti in studi di sintesi e metabolismo, ha una bassa sensibilità, ampio chemical shift e segnali stretti. Molto usato anche 15 N, per studi di marcatura anche se è presente in basse percentuali e può richiedere arricchimento del campione. Altri isotopi abbastanza usati sono 14 N mediamente sensibile, presente in alte percentuali e non utilizzabile per molecole piccole e 19 F, con un buon chemical shift. 1.7 Risonanza elettronica (cenni) La Risonanza Paramagnetica Elettronica o Risonanza di Spin Elettronico, nota come EPR (dall’acronimo inglese Electron Paramagnetic Resonance) o ESR (dall’inglese Electron Spin Resonance) è una tecnica spettroscopica impiegata per individuare e analizzare specie chimiche contenenti uno o pi elettroni spaiati (chiamate specie paramagnetiche), come i radicali liberi, gli ioni di metalli di transizione, i difetti in cristalli,le molecole in stato elettronico di tripletto fondamentale (ad es. l’ossigeno molecolare) o indotto per fotoeccitazione. I concetti basilari della tecnica EPR sono analoghi a quelli della risonanza 1.7. RISONANZA ELETTRONICA (CENNI) 17 Figura 1.12: Accoppiamento spin-spin per l’etanolo magnetica nucleare, ma in questo caso sono gli spin elettronici ad essere eccitati al posto degli spin dei nuclei atomici. Per un elettrone spaiato il numero quantico di spin vale s = 1/2 e i possibili valori del numero quantico magentico sono ms = ±1/2. In presenza di una campo magnetico - diretto per convenzione lungo l’asse z del laboratorio - i due stati hanno energie pari a E = −gµB mS B0 (1.21) dove g = 2.002292 . All’aumentare del campo aumenta quindi la differenza di energia tra i due stati (vedi figura). Un elettrone spaiato può passare da un livello energetico all’altro assorbendo oppure emettendo una quantità di energia hν = ∆E tale che sia verificata la condizione di risonanza. La maggioranza delle misure EPR viene effettuata in campi magnetici di circa 0.35 T con una corrispondente risonanza di spin che ricade nella regione delle microonde alla frequenza di 9-10 GHz. In linea di principio, gli spettri EPR possono essere generati sia variando la frequenza dei fotoni incidenti su un campione mantenendo il campo magnetico costante, sia nel modo contrario. Nella pratica si tende a mantenere costante 2 I valori dei fattori g dipendono da caratteristiche quantomeccaniche sofisticate; in condizioni diverse (vuoto, legami chimici etc.) il loro valore può cambiare 18 CAPITOLO 1. SPETTROSCOPIE la frequenza: l’insieme di centri paramagnetici, come i radicali liberi, viene esposto a microonde di frequenza fissata. Aumentando il campo magnetico esterno, la differenza di energia tra gli stati di spin +1/2 e -1/2 tende ad aumentare fino a raggiungere il valore di risonanza con le microonde e generando un picco di assorbimento dovuto alla maggiore popolazione presente allo stato energetico inferiore (le popolazioni dei vari stati seguono la distribuzione di Maxwell-Boltzmann). Un tipico spettro EPR riporta quindi un’assorbanza contro un campo magnetico. Solitamente inoltre lo spettro è presentato in derivata, cioè si rappresenta la derivata dell’assorbanza invece dell’assorbanza stessa. Perchè si abbia effettivamente un assorbimento di energia da parte del sistema (e quindi una riga nello spettro EPR), oltre alla condizione di risonanza dev’essere verificata anche la condizione richiesta dalla regola di selezione ∆ms = ±1. Per poter dare uno spettro EPR, una sostanza deve possedere uno o Figura 1.13: Aumento di ∆E per un elettrone spaiato all’aumentare del campo magnetico più elettroni spaiati. Le applicazioni principali della spettroscopia EPR riguardano lo studio di radicali liberi in soluzione o ioni paramagnetici in solidi cristallini. Di particolare interesse è la tecnica detta di spin labelling, nella quale una molecola organica con un elettrone spaiato viene legata chimicamente ad una molecola oggetto di indagine. L’analisi dello spettro consente di ottenere informazioni molto accurate sull’intorno chimico della sonda paramagnetico e quindi sulla struttura (e dinamica) della molecola ospite. L’interpretazione di uno spettro EPR può essere complessa. In linea di principio, il segnale è presente sotto forma di picchi dovuti all’accoppiamento con alcuni nuclei (quelli a momento nucleare maggiore) presenti nell’intorno dell’elettrone spaiato; per sempio nel caso dello spettro in soluzione del TEMPO, un radicale libero stabile molto usato in studi EPR, la presenza di un tripletto è dovuta all’accoppiamento con il nucleo di azoto 14 N, con I = 1: i tre possibili stati dello spin nuucleare schermano in modo diverso l’elettrone. In pratica però, la forma complessiva di uno spettro EPR può dipendenre in modo significativo dalla temperatura e da altri fattori, legati in modo complesso alla dinamica molecolare dell’intorno. 1.7. RISONANZA ELETTRONICA (CENNI) 19 Figura 1.14: Spettri EPR di TEMPO in etanolo assorbito su allumina porosa a varie temperature. 20 CAPITOLO 1. SPETTROSCOPIE Capitolo 2 Meccanica statistica In questo capitolo discuteremo i principi base per collegare le proprietà della materia a livello macroscopico con le caratteristiche delle molecole (o degli atomi) costituenti. Questa operazione consente di legare i risultati ottenuti per i livelli energetici, la dinamica etc. a livello molecolare con le proprietà macroscopiche direttamente misurabili (funzioni termodinamiche, costanti di velocità, osservabili spettroscopici). Il ’linguaggio’ necessario è quello della meccanica statistica. Nei limiti del possibile, saranno limitati il più possibile i dettagli formali. Lo studente deve però comprendere che per la complessità della materia sarà qualche volta inevitabile il ricorso a considerazioni matematiche, peraltro mantenuto ad un livello elementare. 2.1 Un singolo sistema Iniziamo la nostra esposizione considerando il caso di N molecole, in un sistema isolato. Nel seguito consideremo le seguenti ipotesi e definizioni, che introducono una serie di limitazioni a questa prima trattazione • la distribuzione delle molecole sui diversi stati energetici è definita in termini di popolazioni: un livello energetico ²i ha una popolazione di ni molecole • consideriamo trascurabili le interazioni intermolecolari; assumiamo inoltre che le molecole siano identiche, ma comunque distinguibili l’una dall’altra • in un dato stato complessivo, il sistema (l’insieme di tutte le molecole) ha un’energia totale E, che è ottenuta sommando le energia di n0 molecole con energia ²0 , n1 con energia ²1 etc.; ogni configurazione (n0 , n1 , . . .)ha la stessa probabilità di esistere (principio dell’uguaglianza delle probabilità a priori ) Una configurazione generale (n0 , n1 , . . .), ha un peso dato dall’espressione W = N! n0 !n1 ! . . . (2.1) dove n! = 1 × 2 × . . . (n − 1) × n è il fattoriale dell’intero n (ricordate che 0! = 1 per definizione). La precedente espressione è semplicemente il numero di modi diversi di riempire con un certo numero di 21 22 CAPITOLO 2. MECCANICA STATISTICA ’scatole’ (le molecole con energia ²0 , le molecole con energia ²1 etc.) con n0 , n1 , etc. oggetti, e si ottiene dal calcolo combinatorio. È utile definire il logaritmo del peso: ln W = ln N ! − X i ln ni ! ≈ N ln N − X ni ln ni (2.2) i dove l’approssimazione introdotta è detta approssimazione di Stirling: per un numero molto maggiore di 1, vale che ln n! ≈ n ln n − n. Il problema della determinazione dello stato complessivo di un sis- Figura 2.1: Popolazioni di livelli energetici tema è ora ridotto allo studio delle possibili configurazioni assunte dal sistema stesso. In particolare, siamo interessati a conoscere quale sia la configurazione che ha la massima probabilità (cioè il massimo peso), perchè a questa configurazione sarà associato il comportamento all’equilibrio del sistema stesso. In pratica ciò deriva dal fatto che, per sistemi macroscopici (cioè formati da un numero di Avogadro di molecole) questa probabilità massima è molto maggiore della probabilità di qualunque altra configurazione. Naturalmente, maggiore è il numero di molecole presenti nel sistema, maggiore è la differenza tra la probabilità che il sistema sia nella configurazione dominante rispetto a tutte le altre: in realtà la necessità di considerare configurazioni diverse da quella principale è assolutamente trascurabile in presenza di 1023 molecole. La determinazione della configurazione dominante si può quindi affrontare calcolando l’insieme di interi n0 , n1 etc. che danno il massimo valore di W ; dobbiamo però specificare le condizioni a cui questa 2.1. UN SINGOLO SISTEMA 23 massimo è cercato. Poichè abbiamo deciso di operare in un sistema chiuso, fissiamo i seguenti vincoli N X = ni (2.3) ni ²i (2.4) i X E = i Il primo vincolo assicura che il numero di molecole sia costante; il secondo vincolo impone che l’energia totale sia fissata. Il calcolo della configurazione dominante in presenza di vincoli si effettua con metodi matematici attinenti al calcolo variazionale (lo studente curioso può approfondire l’argomento su alcuni testi elencati nella bibliografia di queste dispense). Il risultato è la seguente espressione, che ci dice quale relazione esiste tra i coefficienti ni e le energie dei livelli disponibili per la configurazione dominante: ni e−β²i = P −β²j N je (2.5) questa è la famosa distribuzione di Boltzmann; il coefficiente β ha le dimensioni di un’energia e può essere messo in relazione diretta con la temperatura del sistema considerato. Se chiamiamo pi = ni /N la frazione di di molecole nello stato i, possiamo riscrivere l’equazione precedente come pi = e−β²i q (2.6) dove q è la funzione di partizione molecolare q= X e−β²i (2.7) i che rappresenta una somma estesa a tutti i livelli energetici molecolari e contiene quindi tutte le ’informazioni’ energetiche microscopiche del sistema 2.1.1 Funzione di partizione e grandezze macroscopiche L’utilità delle grandezze finora definite, cioè W (che d’ora in avanti è il peso della configurazione dominante, ottenuta sostituendo la (2.5) nella (2.1)), β (l’energia costante che compare nella definizione della funzione di partizione) e q (la funzione di partizione molecolare), discende dalla possibilità di metterle in relazione diretta con osservabili (proprietà) macroscopiche. In particolare, si può verificare che • l’energia interna di un sistema è direttamente collegata a q e β U = U (0) + E = U (0) − N ∂ln q ∂β (2.8) dove U è l’energia interna del sistema temperatura T e U (0) è l’energia interna del sistema a 0 K. • dal confronto diretto con espressioni macroscopiche per l’energia interna di sistemi semplici, discende il valore di β β= 1 kB T (2.9) quindi β è inversamente proporzionale alla temperatura del sistema, dove appare per la prima volta la costante kB = R/N = 1.38065 × 10−23 J K−1 24 CAPITOLO 2. MECCANICA STATISTICA • L’entropia del sistema è data dalla seguente formula di Boltzmann S = kB ln W (2.10) L’equivalente statistico della funzione termodinamica entropia, definito dall’espressione (2.10) lega il peso della configurazione dominante al grado di ordine/disordine del sistema: se T → 0, W → 1 e dunque S → 0 (in accordo con il terzo principio della termodinamica). L’equazione (2.10) si scrive anche U − U (0) + N kB ln q T S= 2.2 (2.11) Un insieme di sistemi Quando si considerino molecole interagenti, vale a dire quando non si vogliano trascurare le interazioni intermolecolari, la descrizione precedente si complica un po’. Il problema nasce dal fatto che non possiamo più considerare il sistema come N oggetti non interagenti; in effetti dobbiamo considerare la totalità delle molecole come un unico ’oggetto’. Per superare questa difficoltà concettuale, si ricorre all’idea di insieme termodinamico, che è definito come una collezione di (un gran numero di) repliche del sistema. In pratica, supporremo di avere a che fare con N̄ repliche dello stesso sistema fisico e assumeremo • che gli N̄ sistemi siano in equilibrio termico fra loro, abbiano lo stesso volume e lo stesso numero di molecole (insieme canonico o NVT, poichè N , V , T sono comuni a tutti i sistemi)1 • che una descrizione statistica sia basata su tutte le configurazioni dell’insieme termodinamico, dove una configurazione corrisponde alla popolazione n̄1 di sistemi aventi energia E1 , n̄2 di sistemi aventi energia E2 . A questo punto si può verificare che esiste una configurazione dominante di sistemi, che ha un peso molto più grande di tutte le altre configurazioni, e si può utilizzare come unica configurazione rappresentativa dell’insieme. In analogia con il caso precedente, troviamo che la configurazione dominante, con un peso W̄ , è data dalla distribuzione canonica n̄i N̄ = e−βEi p̄i = Q Q (2.12) e−βEi (2.13) X Q = i dove Q è la funzione di partizione canonica. Il calcolo delle proprietà termodinamiche è ora analogo al caso precedente, salvo che ora si fa riferimento a grandezze medie rispetto a tutte le repliche del sistema, e nel limite di un grande (al limite infinito) numero di sistemi costituenti l’insieme termodinamico. La media di una proprietà A qualunque viene ad essere P Ā = 1 i ni Ai N = X i p̄i Ai = 1 X Ai e−βEi Q i (2.14) Sono possibili altre scelte: l’insieme grandcanonico (sistemi aperti, cioè µ, V , T comuni) e l’insieme microcanonico (sistemi isolati, cioè N , V , E comuni) 2.2. UN INSIEME DI SISTEMI 25 L’energia interna viene perciò ad essere ∂ln Q 1 X U − U (0) = Ei e−βEi = U (0) − Q i ∂β (2.15) V mentre l’entropia è calcolata a partire dalla formula di Boltzmann, assumendo che il peso medio del sistema nell’insieme sia legato al peso della configurazione dominante dell’insieme dalla relazione semplice W̄ = W N̄ , da cui segue S= U − U (0) + kB ln Q T 2.2.1 (2.16) Dalla funzione q alla funzione Q A questo punto, per mettere veramente in relazione le proprietà macroscopiche (termodinamiche) con le proprietà molecolari di un sistema di molecole interagenti, dobbiamo dare un’espressione operativa (cioè legata ai livelli energetici molecolari) di Q. Questa operazione è relativamente semplice solo per molecole indipendenti, e ci limiteremo a considerare solo questo caso. Possiamo distinguere due casi: il sistema è formato da molecole distinguibili (per esempio chimicamente diverse, o fissate su punti dello spazio definiti, come nei cristalli); in questo caso, scriveremo Q = q1 q2 . . . qN (2.17) che diventa semplicemente, per particelle uguali ma distinguibili (come nella sezione precedente) Q = qN (2.18) Nel caso invece le molecole siano indistinguibili (vale a dire quando scambiando due di loro lo stato microscopico del sistema non cambi), otteniamo, mediante considerazioni non elementari, che una corretta stima di Q è data dall’espressione Q= qN N! (2.19) Un’applicazione delle relazione precedente è data per sempio dalla derivazione dell’energia interna ed entropia di un gas perfetto. Se il gas è monoatomico, possiamo calcolare esplicitamente la funzione di partizione molecolare considerando solo i gradi di libertà traslazionali (vedi la sezione successiva) degli atomi identici, indistinguibili e non interagenti, di massa m ed alla temperatura T , in un recipiente di volume V . Si ottiene, per una mole di gas U = 3 RT 2 Ã S = R ln (2.20) e5/2 V N ∗3 ! , Λ= h (2πmkB T )1/2 (2.21) la prima relazione è ricavabile dalla teoria cinetica elementare dei gas (principio di equipartizione dell’energia) e la seconda relazione è detta equazione di Sackur-Tetrode. 26 CAPITOLO 2. MECCANICA STATISTICA Figura 2.2: Gas monoatomico perfetto 2.3 Valuazione di q Grazie alle equazioni (2.15) e (2.16) possiamo finalmente ottenere, in funzione delle proprietà molecolari (cioè di q), almeno nel caso di molecole indipendenti e indistinguibili • stime delle principali funzioni termodinamiche • stime di costanti di equilibrio • stime di costanti cinetiche di reazione prima però è necessario discutere la valutazione di q per una determinata molecola. In generale, l’energia totale2 di una molecola à data dalla somma delle energie traslazionali, rotazionali, vibrazionali ed elettroniche ²i = ²ti + ²ri + ²vi + ²ei (2.22) Accettiamo l’ipotesi che i vari tipi di energia siano indipendenti (traslazioni, rotazioni, vibrazioni e stati elettronici non sono accoppiati, cioè avvengono senza interazioni reciproche: la molecola trasla senza influenzare la sua rotazione etc.). Si può allora scrivere q = qtqr qv qe 2 (2.23) In senso propriamente quantistico: il possibile stato energetico - od autovalore dell’hamiltoniano totale - in cui la molecola si trova 2.3. VALUAZIONE DI Q 27 Descriviamo ora le forme tipiche delle varie funzioni di partizione. Traslazioni Nel caso della funzione traslazionale i livelli energetici sono molto vicini; si può verificare che per una molecola di massa m in un contenitore V qt = V , Λ3 Λ= h (2πmkB T )1/2 (2.24) dove Λ è una lunghezza d’onda termica (p.es. per H2 a 298 K, Λ = 71 pm); l’ordine di grandezza delle funzioni di partizione traslazionali è elevato; per un campione di ossigneo molecolare in 100 cm3 a tempratura ambiente, qt ≈ 1028 Rotazioni Per una molecola non lineare la funzione di partizione è stimata come 1 q = σ r µ kB T hc ¶3/2 µ π ABC ¶1/2 (2.25) dove A, B e C sono le costanti rotazionali della molecola, legate ai momenti di inerzia, che misurano la distribuzione di massa della molecola; σ è il numero di geometrie equivalenti per rotazione di una molecola (numero di simmetria, l’acqua per esempio ha numero di simmetria 2, poichè per pura rotazione attorno ad un asse assume due configurazioni equivalenti); l’ordine di grandezza delle funzioni rotazionali è più piccolo di quelle traslazionali (p.es. per la piridina a temperatura ambiente, qr ≈ 104 Figura 2.3: Assi e piani di simmetria della molecola d’acqua 28 CAPITOLO 2. MECCANICA STATISTICA Vibrazioni Per un singolo grado di libertà vibrazionale di frequenza ν, la funzione di partizione è qv = 1 1 − eβhν (2.26) per una molecola di N atomi si devono naturalmente considerare 3N − 6 o 3N − 5 (per molecole lineari) espressioni di questo tipo, per tutti i modi normali di vibrazione; l’ordine di grandezza della funzione di partizione vibrazionale è piccolo: per l’acqua a temperatura ambiente abbiamo qv ≈ 10 Livelli elettronici Infine, nel caso dei livelli elettronici, dato che le differenze di energia tra i vari livelli sono molto elevati, possiamo porre con una certa tranquillità qe ≈ 1 nella grande maggioranza dei casi. 2.4 Calcolo di grandezze macroscopiche Siamo ora in grado di calcolare le varie funzioni termodinamiche di interesse. Per un sistema formato da N molecole identiche, distinguibili (come in un solido) o indistinguibili (come in un gas o liquido), trascurando le interazioni intermolecolari, avremo Q = q N nel primo caso e Q = q N /N ! nel secondo. Le funzioni termodinamiche sono, raccogliendo anche le precedenti espressioni per U e S U − U (0) = − S = ∂ln Q ∂β (2.27) V 1 ∂ln Q U − U (0) + kB ln Q = − + kB ln Q T T ∂β (2.28) V A − A(0) = kB T ln Q p = kB T ∂ln Q H − H(0) = − ∂V ∂β (2.30) T ∂ln Q (2.29) + kB T V ∂ln Q G − G(0) = −kB T ln Q + kB T ∂V T ∂ln Q ∂V (2.31) (2.32) T Di particolare interesse è l’ultima espressione, che dà l’energia libera del sistema in funzione di proprietà molecolari. Per un sistema di n moli di molecole indistinguibili, la relazione diretta tra la funzione di partizione molecolare e G è G − G(0) = −nRT ln qm N (2.33) dove qm = q/n è la funzione di partizione molecolare. usando la precedente relazione possiamo ora stimare, per esempio, la costante di equilibrio di una reazione chimica. Ricordiamo che per una generica reazione, si ha che ∆Gª = −RT ln K, da cui segue che K = exp(−∆Gª /RT ). La grandezza ∆Gª è la differenza delle energie libere molari standard (cioè a p = pª tra reagenti e prodotti. Per una specie 2.4. CALCOLO DI GRANDEZZE MACROSCOPICHE 29 chimica generica l’energia libera molare standard si ottiene calcolando qm a pressione standard (e quindi, per esempio nel caso di un gas perfetto, per un volume molare Vmª = RT /pª : ª Gª m − Gm (0) = −RT ln ª qm N (2.34) Per una generica reazione rR → pP che coinvolge per semplicità una sola specie R che si trasforma in P , possiamo quindi scrivere ª K = exp(−∆Gª /RT ) = exp[(Gª P,m − GR,m )/RT ] = ª (qP,m /N )p ª (qR,m /N )r e−∆E0 /RT (2.35) dove il termine ∆E0 = pEP,0 − rER,0 è la differenza tra le energie molari degli stati fondamentali delle molecole R e P. Analogamente, impiegando la teoria dello stato di transizione, che mette in relazione la costante di velocità di una reazione bimolecoalre con una pseudo-costante di equilibrio per la formazione dello stato di transizione, è possibile mettere in relazione le funzioni di partizione molecolari con grandezze di tipo cinetico (entalpia ed entropia di attivazione, vedi Parte V di queste dispense). 30 CAPITOLO 2. MECCANICA STATISTICA Bibliografia Storia della scienza [1] AA. VV., Storia della Scienza Moderna e Contemporanea, Ed. UTET; collana in cinque volume diretta da Paolo Rossi, disponibile anche in edizione economica presso la casa editrice T.E.A. [2] Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze, IMSS, sito web con ricerca on-line: http://www.imss.fi.it. Matematica [3] V.I. Smirnov, Corso di Matematica Superiore II (Editori Riuniti, Roma, 1981). [4] C.L. Perrin, Mathematics for Chemists, (Wiley, New York, 1970). [5] M. Abramowitz e I. Stegun, Handbook of Mathematical Functions, (Dover, New York, 1972). [6] H.D. Ikramov, Linear Algebra: Problems Book, (Mir Publishers, Mosca, 1983). [7] S. Lang, Algebra Lineare, (Boringhieri, Torino, 1984). [8] I.S. Gradshtein e I.M. Ryzhik, Table of Integrals, Series and Products (Academic Press, New York, 1972). Principi generali di termodinamica [9] P. Atkins e J. dePaula, Physical Chemistry, VII Ed. (Oxford University Press, 2002). [10] P. Atkins, C.A. Trapp, M.P. Cady e C. Giunta, Student Solutions Manual for Physical Chemistry, VII Ed. (Oxford University Press, 2002). [11] V.V. Sychev, The differential Equations of Thermodynamics (Mir, Mosca, 1983). [12] K. Denbigh, I principi dell’Equilibrio Chimico (Ambrosiana, Milano, 1977). [13] M.W. Zemansky, Calore e Termodinamica (Zanichelli, Bologna, 1970). [14] L.G. Sillen, P.W. Lange, C.O. Gabrielson, Problemi di Chimica Fisica (Piccin, Padova, 1967) 31 32 BIBLIOGRAFIA Meccanica quantistica, spettroscopia, statistica [15] P.W. Atkins, Molecular Quantum Chemistry, (Oxford, 1983). [16] L.D. Landau e E.M. Lifšits, Meccanica Quantistica, (Editori Riuniti, 1982). [17] AA. VV., Modern Theoretical Chemistry voll. 3,4, ed. G.A. Segal (Plenum Press, N.Y. 1977). [18] AA. VV., Modern Theoretical Chemistry voll. 7,8, ed. G.A. Segal (Plenum Press, N.Y. 1977). [19] F.L. Pilar, Elementary Quantum Chemistry 2a edizione, (McGraw-Hill, N.Y. 1990). [20] R.J. Jacob, in Physical Chemistry: an Advanced Treatise, Vol. XI A, Cap. 1. [21] D. Henderson, in Physical Chemistry: an Advanced Treatise, Vol. XI A, Cap. 4.