UPTER LADISPOLI – VISITA GUIDATA 4 GIUGNO 2016 Il Celio e più precisamente il Parco Celimontana e le chiese di Santo Stefano Rotondo e Santa Maria in Domnica (alla Navicella) sono le mete della prossima visita guidata che l’Upter Ladispoli propone il 4 giugno. Questi luoghi se pur modificati, ci parlano ancora di antico, allo sguardo attento appaiono i resti di un passato medievale ancora intatto mentre presenze nascoste ci raccontano di sontuose ville dei Valeri, della caserma della V coorte dei vigiles e soprattutto dei Castra Peregrina edifici su cui si sono edificate le due chiese sopra citate. Appuntamento alla stazione ferroviaria di Ladispoli sabato 4 giugno alle 8,15. Questo il percorso: Treno 8,25 > 9,05 stazione Ostiense > metropolitana discesa Colosseo > a piedi fino a via Claudia > autobus 673 o 81 per due fermate (oppure a piedi) > discesa davanti alla chiesa e alla Navicella. La visita è aperta a tutti occorre però la PRENOTAZIONE al 320.0375861 o con email al seguente indirizzo: [email protected] entro giovedì 2 giugno. Santa Maria in Domnica Santa Maria in Domnica, anche nota come Santa Maria alla navicella, Sorge sulla sommità del colle Celio, nell'attuale piazza della Navicella. È sede del Titulus S. Mariae in Domnica, istituito nel 678 da papa Agatone L'attributo "in Domnica" è stato oggetto di differenti interpretazioni. Una lo fa derivare da dominicum, "del Signore". Un'altra fa riferimento al nome di Ciriaca, una donna che sarebbe vissuta nei pressi della chiesa, ed il cui nome avrebbe significato "appartenente al Signore". L'attributo alternativo "alla navicella" fa riferimento alla scultura romana di una nave posta già in antichità nella piazzetta di fronte alla chiesa, e trasformata in una fontana da papa Leone X. Una prima chiesa fu costruita qui in antichità, nei pressi della caserma della V coorte dei Vigiles di Roma. La chiesa è ricordata negli atti del sinodo di papa Simmaco, nel 499. Papa Pasquale I, il cui papato coincise con un'epoca di rinnovamento e splendore artistico che coinvolse la Roma dell'inizio del IX secolo, ricostruì la basilica nell'818-822, dotandola di un notevole apparato musivo. L'assetto interno, invece, è opera dei vari restauri condotti fra il XVI e il XIX secolo. I restauri del XVI secolo, ai quali si deve l'aspetto che la chiesa mantiene ancor oggi, la legano strettamente ai Medici, cardinali titolari della basilica lungo tutto il secolo: Il primo titolare della famiglia (1492-1513) fu Giovanni di Lorenzo de' Medici, futuro papa Leone X, che nei primi anni del Cinquecento, affidò ad Andrea Sansovino la costruzione della nuova facciata e l'antistante fontana; seguì (1513-1517) Giulio di Giuliano de' Medici, futuro papa Clemente VII. Dopo qualche decennio, il titolo tornò ai Medici, con Giovanni di Cosimo I de' Medici, nominato cardinale a 17 anni, ma che lo tenne per due soli anni (1560-1562), morendo giovanissimo di tubercolosi; la diaconia passò così (1565-1585) a Ferdinando, sesto figlio di Cosimo I de' Medici e fratello del precedente, creato cardinale a 14 anni e divenuto poi, a 38, Granduca di Toscana. A lui si deve la realizzazione del soffitto della basilica. L'interno, seppur rimaneggiato più volte, conserva ancora immutata l'originaria pianta basilicale del IX secolo, costituita da tre navate di uguale lunghezza separate fra di loro da due file di nove colonne di spoglio ciascuna, terminanti con tre absidi, di cui la maggiore è più ampia. La navata centrale, affrescata lungo le pareti da Lazzaro Baldi, conserva il soffitto a cassettoni commissionato nel 1566 da Ferdinando de' Medici e ridipinto nel XIX secolo. Il soffitto, che porta al centro lo stemma mediceo, presenta negli altri due riquadri principali la navicella di Leone X, rappresentata come arca di Noè e come tempietto eucaristico. Sia il catino dell'abside maggiore, sia l'arco absidale sono riccamente decorati da mosaici dell'epoca di Pasquale I (papa dall'817 all'824). Il mosaico dell'abside raffigura la Madonna in Trono fra due schiere di Angeli, soggetto probabilmente ripreso da un'antica icona. Sopra l'arco, invece, vi è il Salvatore fra due teorie di apostoli; più in basso, invece, sono raffigurati Mosè ed Elia. Nella cripta, a cui si accede tramite la moderna confessione semianulare, vi sono dei sarcofagi antichi. La foto: Di user:Lalupa - Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=541054 Santo Stefano Rotondo La basilica di Santo Stefano Rotondo al Celio è un luogo di culto cattolico del V secolo che sorge a Roma sul Celio, nel rione Monti. Gestita fino al 1580 dai paolini ungheresi, la chiesa da allora appartiene al Pontificio collegio germanico-ungarico in Roma. È stata eretta basilica minore ed è la chiesa nazionale di Ungheria. Le preesistenze di epoca romana La chiesa venne edificata su di una parte della caserma romana dei Castra peregrina, alloggi delle truppe provinciali ed in corrispondenza di un mitreo che vi era stato impiantato intorno al 180. Nei pressi si trovava inoltre un'ampia residenza dei Valeri (domus Valerii). La chiesa del V secolo La costruzione fu probabilmente voluta da papa Leone I (440-461), sotto il quale era stata edificata anche un'altra chiesa dedicata a santo Stefano (Santo Stefano sulla via Latina), e dovette essere iniziata negli anni finali del suo pontificato: sono infatti state rinvenute in un tratto delle fondazioni dell'edificio due monete dell'imperatore Libio Severo (461-465); inoltre tramite la dendrocronologia si è appurato che il legno utilizzato nelle travi del tetto era stato tagliato intorno al 455. Dalle fonti sappiamo che tuttavia la chiesa venne consacrata solo successivamente, da papa Simplicio (468483). L'edificio aveva pianta circolare, costituita in origine da tre cerchi concentrici: uno spazio centrale (diametro 22 m) era delimitato da un cerchio di 22 colonne architravate, sulle quali poggia un tamburo (alto 22,16 m); tale parte centrale era circondata da due ambulacri più bassi ad anello: quello più interno (diametro 42 m) era delimitato da un secondo cerchio di colonne collegate da archi, oggi inserite in un muro continuo, mentre quello più esterno (diametro 66 m), scomparso, era chiuso da un basso muro. Nell'anello più esterno dei colonnati radiali sormontati da un muro delimitavano quattro ambienti di maggiore altezza, che iscrivevano nella pianta circolare una croce greca riconoscibile anche all'esterno per la differenza di altezza delle coperture. I tratti intermedi dell'anello più esterno, di altezza inferiore, erano ulteriormente suddivisi in uno stretto corridoio esterno, coperto da una volta a botte anulare, e in uno spazio più interno, probabilmente scoperto. Dai corridoi, a cui si accedeva dall'esterno mediante otto piccole porte, si passava agli ambienti radiali della croce greca, e da qui all'ambulacro interno e allo spazio centrale, coperti probabilmente con volte autoportanti, costituite forse da tubi fittili. Gli interni erano riccamente decorati con lastre di marmo: sono stati rinvenuti tratti del pavimento originale, con lastre in marmo cipollino e fori sulle pareti testimoniano la presenza di un rivestimento parietale nello stesso materiale. Nello spazio centrale si trovava l'altare, inserito in uno spazio recintato. Il colonnato che circonda lo spazio centrale è composto da 22 colonne con fusti e basi di reimpiego (di altezza diversa l'una dall'altra), mentre i capitelli ionici furono appositamente eseguiti nel V secolo per la chiesa. Anche gli architravi sopra le colonne, probabilmente rilavorati da blocchi reimpiegati di diversa origine, hanno altezze leggermente diverse. L'edificio nel contesto dell'architettura paleocristiana L'edificio si inserisce nella "rinascita classica" dell'architettura paleocristiana romana, che raggiunse la sua massima espressione negli anni tra il 430 e il 460 (basilica di Santa Maria Maggiore, basilica di Santa Sabina, rifacimento del Battistero lateranense, mausoleo di Santa Costanza) e fu caratterizzata dal richiamo consapevole all'architettura romana e tardo-antica. La pianta riprende, fondendoli, i due modelli di edifici a pianta centrale, la pianta circolare con deambulatorio e la pianta a croce greca, utilizzate già in epoca costantiniana per gli edifici di culto e in particolare per i martyria, memorie dei martiri. La struttura dell'edificio presenta analogie con la pianta della rotonda (Anastasis) della basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme che, per il suo grande prestigio, rappresentò un modello duraturo per l'architettura occidentale, fino a tutto il medioevo. Gli interventi successivi Tra il 523 e il 529, sotto i papi Giovanni I e Felice IV, sappiamo dalle fonti che la chiesa fu ornata da mosaici e rivestita in marmi preziosi. Nella chiesa aveva predicato il papa Gregorio Magno, al quale viene attribuita una cattedra che tuttora vi è conservata, un sedile in marmo di epoca romana, dal quale vennero eliminati nel XIII secolo la spalliera e i braccioli. Presso la chiesa, ricorda l'Armellini, in Notizie storiche e topografiche delle chiese di Roma vol. II, p. 121, « v'era il monastero e la chiesa di s. Erasmo, dove visse già monaco Adeodato che divenne poi papa. Fra le rovine di quello nel 1554 e 1561 furono rinvenute memorie domestiche degli Aradî Rufini Valerî Proculi del secolo IV, le quali attestano che ivi sorgeva un giorno la loro casa; [...] Quella casa nel secolo VI o nel VII mutata in cenobio col nome di Erasmo, non perdé affatto l antica nomina poiché fu chiamata Xenodochium Valerii. » In questo monastero trovarono rifugio i seguaci di San Benedetto messi in fuga dai monasteri di Subiaco per opera dei Longobardi dopo il 601. La foto: Di MM - Foto propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=767199 fonte: Wikipedia.