I mercati finanziari sono in fibrillazione e la maggior parte degli osservatori si interroga se la causa sia da ricercarsi nei dubbi che avvolgono la Fed o nelle aspettative di rialzi dei tassi di interesse USA che affosserebbero prima di tutto lo sviluppo dei paesi emergenti, oppure nella crisi cinese a sua volta scatenata dalla bolla immobiliare e finanziaria del drago asiatico, oppure ancora nella instabilità valutaria o nelle varie emergenze politiche correlate ai vari conflitti regionali – e qualcuno ovviamente dà la colpa al Bilderberg o alla Trilaterale (o perfino ai rettilliani...). Teorie complottiste a parte, ognuno dei motivi citati ha un suo fondamento. Sicuramente la Fed non sta brillando in quanto a comunicazioni ai mercati ed è altrettanto certo che in attesa delle mosse della Fed si stia assistendo a una riallocazione globale dei portafogli a detrimento dei paesi emergenti. Nè si può ignorare il peso che una caduta di circa il 30% della borsa cinese può aver avuto nella recente volatilità dei mercati. Ma in realtà queste cause hanno una radice comune, che è in qualche modo alla base anche dei conflitti regionali. La radice è il rallentamento della crescita “potenziale” dell’economia globale e soprattutto dei paesi avanzati, un fenomeno sotto gli occhi di tutti da almeno un paio di decenni ma sottovalutato nella fretta di guardare agli avvenimenti contingenti. Perfino la crisi del 2008, addebitata dai più al dilagare senza controllo dei mutui subprime e dei derivati ad essi collegati collocati in tutto il mondo, deriva in realtà dalla volontà politica del governo USA di spingere su una crescita domestica insostenibile, senza che si rendesse conto delle debolezze strutturali del sistema economico. I fondamentali economici che dovrebbero suonare come campanello d’allarme vengono da una combinazione di fattori di offerta e di domanda. Due sono i principali: il calo della produttività totale e l’invecchiamento della popolazione che porta con sè un eccesso di risparmio. Come si vede dal grafico 1, la produttività totale dei fattori nei paesi avanzati è in diminuzione almeno dalla fine degli anni ’70 e la crisi del 2008 ha di poco accelerato la tendenza di fondo. Quello che manca ormai da qualche decennio è la spinta alla produttività totale proveniente dal progresso tecnico. Dopo un lunghissimo periodo di diffusione delle applicazioni derivanti dalle grandi invenzioni del 1800 (motore a scoppio, elettricità, telefono, acqua corrente, tanto per citare i più ovvi) la nuova tecnologia non è più in grado di generare grandi investimenti, pur nell’ambito di un progresso tecnico molto veloce. In altre parole, i nuovi prodotti come l’elettronica, i telefoni cellulari, i personal computer o i tablet, non richiedono nè promuovono la stessa domanda di investimento e consumi che invece erano stati caratteristici della ferrovia, degli aerei, delle auto, delle abitazioni moderne dotate di tubature, illuminazione e riscaldamento. Grafico 1 L’altro fattore fondamentale che ha fatto venir meno quote importanti di domanda è l’invecchiamento della popolazione. Come si vede dal grafico 2, anche l’invecchiamento della popolazione nei paesi avanzati è un fenomeno che viene da lontano, e peraltro noto da tempo. Una popolazione che invecchia tende a utilizzare di meno le nuove tecnologie, a consumare di meno e risparmiare di più. La conseguenza è duplice: da un lato ne risente la domanda di beni di consumo (non durevoli ma soprattutto durevoli), dall’altro l’eccesso di risparmio rende difficile la sua allocazione verso investimenti produttivi, anche a tassi di interesse bassissimi quali quelli conseguenti alle politiche monetarie espansive come il “quantitative easing”. Purtroppo questi fattori non sono destinati a scomparire rapidamente, anzi continueranno ad essere presenti per almeno altri dieci anni o forse anche due, quando nuove tecnologie come robotica, genomica, stampanti 3D, ecc. consentiranno un nuovo salto di produttività. Nel frattempo sarebbe bene che tutti ci rendessimo conto che vivremo ancora a lungo in un mondo meno capace di creare ricchezza – il rischio è di richiedere ai governanti di adottare politiche economiche e monetarie troppo espansive rispetto alle potenzialità reali, creando le premesse per pericolosissime bolle sia finanziarie che di capacità produttiva. Grafico 2 Emilio Rossi EconPartners Oxford Economics