Random Note 1/2015
OUTLOOK 2015 : VERSO LA NORMALIZZAZIONE?
La domanda a cui, con la nostra analisi di inizio anno, cerchiamo di dare una risposta è se nel
2015 assisteremo ad un ritorno alla normalizzazione del sistema economico finanziaria, ovvero
una situazione di crescita economica in linea con le medie storiche, in cui le autorità monetarie
ritornino a politiche cosidette ordinarie e con una ripresa della politica fiscale riprenda nel
governo dell’economia.
Qui di seguito le nostre principali assunzioni relativamente agli scenari macroeconomici:
1. Riteniamo che la crescita economica negli Stati Uniti si avvicinerà ai livelli storici del 4%
in un regime di piena occupazione. Una possibile ripresa dell’inflazione indurrà la FED
ad avere un atteggiamento aggressivo che può essere molto più rapido di quello che
sconta la curva dei tassi Usa al momento. Questo dovrebbe favorire le Azioni rispetto alle
Obbligazioni, con la variabile inflazione fonte di volatilità. Sul fronte dei cambi non
riteniamo che la svalutazione competitiva del Dollaro sia una priorità nella politica della
Fed: pertanto l’indirizzo del mercato dei cambi dipenderà dalle divergenze delle
politiche monetarie tra le principali banche centrali.
2. Il prezzo del petrolio si consoliderà sugli attuali livelli.
3. In Europa, la BCE darà esecuzione al più volte annunciato programma di acquisto di
titoli di stato nel mercato secondario. Rimangono incerte le modalità di esecuzione,
nonché gli effetti di lungo termine sull’economia reale oltre che sui mercati finanziari; in
ogni caso riteniamo che i mercati azionari europei potranno beneficiare della
stabilizzazione al ribasso dei tassi conseguente al QE, con una potenziale sovra
performance nei confronti degli Stati Uniti. Il rapporto di cambio Euro Dollaro è
destinato ad indebolirsi in funzione delle differenti politiche monetarie delle rispettive
banche centrali, almeno finchè non vi saranno segni di ripresa in Europa.
4. Per i Paesi Emergenti la parola chiave è divergenza e selezione: Russia e Brasile
soffriranno della discesa dei prezzi delle materie prima e dalla mancanza di una
capacità manifatturiera competitiva. L’effetto dovrebbe essere contrario in paesi di
trasformazione e a forte sviluppo quale Turchia e la stessa Cina.
Passiamo ora ad analizzare in dettaglio le principali aree economiche mondiali
USA
Sul fatto che gli Stati Uniti siano robustamente sulla strada della normalizzazione e quindi di una
crescita ai livelli storici del 4% con piena occupazione vi sono pochi dubbi. Resta da analizzare
come si possa evolvere il quadro inflattivo e, qualora l’inflazione cominci a farsi sentire, che tipo
di reazione potrà avere la FED e quale effetto vi possa essere sui mercati azionari.
Cominciamo col dire che la FED considera una discesa dei prezzi legata ai prezzi del petrolio
come una tantum per cui non c’è da aspettarsi un atteggiamento di attesa legato alla
trasmissione dei prezzi dipendente dallo shock petrolifero. E’ noto anche che la FED guarda al
deflattore PCE (Personal Consumption Expenditure), che al momento si attesta a 1.4%. Anche in
presenza di un basso livello di crescita dei prezzi a livello mondiale e sopratutto Europea,
derivante dal relativo lento ciclo economico oltre che dalla discesa dei prezzi dell’energia,
riteniamo che tale effetto non si propaghi negli Stati Uniti, mentre vale il contrario a causa del
diverso livello di apertura dei vari sistemi economici (vedi grafico 1)
Grafico 1 - Analisi comparata tra blocchi economici – 2012
Fonte : Wikipedia su dati World Bank e BCE
Alla luce dei recenti dati macro su PIL, piena occupazione a livelli salariali bassi e rilevando che
l’indicatore dell’utilizzo della capacità produttiva ha toccato il massimo di 80,1% (un valore che
non si osservava dal 2008), c’è da aspettarsi un’accelerazione dell’inflazione. Una ripresa
dell’inflazione indurrà la FED ad avere un atteggiamento aggressivo che può essere molto più
rapido di quello che sconta la curva del Treasury al momento.
Un tema quindi del 2015 sarà la dinamica dei prezzi, terzo elemento, insieme a crescita del PIL
e occupazione osservato dalla FED per un rialzo dei tassi verso livelli storicamente più normali.
Un leggero, anche se progressivo, innalzamento dei numeri del deflattore PCE seguito da un
atteggiamento sempre cauto della FED lascia margini per ulteriori rialzi dei mercati azionari. Nel
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grafico 2 riportiamo i livelli di Utili/Prezzo azioni dell’indice S&P500 comparati con i rendimenti
del Treasury a 10 anni; l’andamento della differenza che altro non è che il premio per detenere
investimenti azionari. L’ipotesi sottostante è che fino a quando i livelli di Utili/Prezzi esprimono
rendimenti superiori a quelli del Treasury, in un contesto di robusta crescita economica e quindi
di utili attesi al rialzo, gli investimenti azionari saranno preferiti a quelli obbligazionari,
considerando il Treasury una buona proxy degli andamenti futuri dei tassi di interesse. Il grafico
evidenzia come la forbice è ancora abbastanza ampia da assorbire sia rialzi di tassi di interesse
che di prezzo delle azioni.
Grafico 2. U/P e rendimento US treasury decennale
Fonte: Elaborazione interna su dati Bloomberg
In conclusione comprare azioni vendere obbligazioni denominate in USD e monitorare i dati
sull’inflazione che potrebbero essere fonte di volatilità.
Sul cambio, la FED non ha nessun interesse ad una svalutazione della divisa e anche il cronico
disavanzo commerciale degli USA, che beneficerà anche della diminuzione dei prezzi
dell’energia1, poco potrà in confronto all’appeal dei ritorni prospettici dell’economia americana
nelle sue variegate possibilità di investimento. Vale anche in questo caso il fatto che gli USA sono
un’economia basata principalmente sui consumi e sulla produzione domestica.
EUROPA
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Gli USA importato al 06/2014 211 Miliardi di USD su base annua di petrolio e derivati a fronte di un deficit
commerciale totale annuo di 460 BN USD.
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La BCE si appresta a varare il piano di acquisto dei titoli di stato. Sia che esso si realizzi
ritirando titoli dalle banche che dagli altri investitori istituzionali non vi sono certezze che nel
primo caso le banche accettino di cederle agli attuali prezzi, in mancanza di alternative di
investimento con la stessa tipologia di rischio e con lo stesso assorbimento di capitale. L’auspicio
della BCE è che le banche riequilibrino il loro portafoglio di attività scambiando titoli di stato,
quindi titoli a basso rendimento ma anche a basso rischio e con poco assorbimento di capitale,
con attivi (crediti) con un rendimento superiore ma con un superiore rischio ed assorbimento di
capitale. Altro elemento da sottolineare è che, mentre i titoli di stato in portafoglio sono
facilmente finanziabili presso la stessa BCE, gli altri attivi richiedono fondamentalmente il ricorso
ai depositi o alle emissioni obbligazionarie, garantite o meno dagli stessi attività. Se questo
scambio si realizzasse, le economie, in presenza di progetti sopratutto di investimento ma anche
di consumo che domandano e meritano credito, potrebbero entrare in un circolo virtuoso di
crescita. Qualora a cedere i titoli di stato fossero gli investitori professionali, quali fondi di
investimento, compagnie di assicurazione, che in qualità di intermediari del risparmio privati
effettuerebbero una macro revisione dell’allocazione di portafogli, a beneficiarne potrebbero
essee i mercati azionari piuttosto che prodotti simili per rischio come ad esempio i corporate
bonds che andrebbero a sostituire i titoli di stato a rendimento quasi - zero nei portafogli dei
suddetti investitori istituzionali.
Non conosciamo, come detto, le modalità di esecuzione del QE da parte della BCE ma se come
si suppone, avverrà tramite l’acquisto pro-rata, sulla base del GDP o al limite del debito totale,
dei singoli paesi emittenti dell’area Euro si potrebbero avere effetti significativi anche sui
rendimenti oltre che sugli spread dei titoli governativi.
Un acquisto di 500 Miliardi di Euro di titoli su base GDP (28,6% su totale Eurozona)
significherebbe un acquisto di circa 150 miliardi di titoli tedeschi, un ammontare da QE
“giapponese” visto che il debito che matura nel 2015 è di 183 miliardi di Euro (dati
Bloomberg). Molto probabilmente si porranno delle regole di acquisto tali da ridurre la quota di
titoli tedeschi rispetto al pro-rata.
Nella tabella 3 riportiamo per i principali paesi dell’area Euro la percentuale di PIL relativo,
debito pubblico in scadenza nei prossimi 12 mesi e tasso di copertura tramite un ipotetico QE da
500 miliardi di Euro pro-rata PIL.
Tabella 3 – Dati su Euro zona
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Dati al 2012 Banca Mondiale. Lituania e Lettonia non erano nell’Euro zona
L’effetto rarità per i titoli di stato tedeschi potrà essere importante e ne potranno beneficiare tutti
gli emittenti tedeschi ai vari livelli di rischio. Si potrebbero raggiungere livelli di rendimenti subgiapponesi.
Solo un significativo rialzo dei tassi di interesse in dollari americani potrà compensare questo
effetto e generare un irripidimento della curva dei tassi Europei, a fronte di aspettative di ripresa
dell’inflazione europea nel medio termine quale risultato del QE della BCE, oltre che
dell’importazione di quella americana visto il grado di apertura commerciale dell’area Euro.
Gli indici azionari Europei, anche in presenza di un tasso di crescita più debole, potrebbero
sovra performare quelli Americani, grazie alla svalutazione competitiva dell’Euro, dell’effetto di
riallocazione di portafoglio, di cui abbiamo parlato sopra, ed infine grazie al differenziale di
rendimento delle azioni Euro rispetto alle Obbligazioni Euro, più appetibili rispetto al
differenziale tra azioni e bond Usa. Il grafico 5 mostra come il premio al rischio azionario in
Germania rimane ben al di sopra di quello americano nonostante una dinamica dei tassi di
interesse favorevole.
Un altro elemento di supporto all’economia Europea, e quindi di normalizzazione potrebbe
derivare da una politica fiscale da parte del governo tedesco, che potrebbe approfittare anche
dei tassi negativi per rilanciare un programma di investimento pubblico di stimolo a tutta
l’Europa.
Grafico 4 – U/P su DAX e rendimento Bund decennale tedesco
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Grafico 5 – Differenziale di premio al rischio azionario tra S&P500 e DAX
Fonte: Elaborazione interna su dati Bloomberg
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L’Euro verso il Dollaro continuerà a deprezzarsi sino a quanto la politica monetaria Europea
sarà espansiva e non vi saranno reali segni di ripresa. La velocità e l’ampiezza del
deprezzamento dipenderà dall’aggressività della FED nell’aumento dei tassi d’interesse.
Riteniamo che la Grecia attraverserà un ulteriore periodo di crisi ma ciò non avrà un effetto
rilevante sul resto dell’area Euro; il partito Syriza, nonostante sia in testa ai sondaggi, deve
ancora vincere le elezioni, eventualmente formare un governo di coalizione, e poi trasformare gli
slogan elettorali in azioni reali; di certo il disconoscimento degli impegni assunti dai precedenti
governi potrebbe portare a situazioni di crisi irreversibile per l’economia greca, piuttosto che
generare grandi danni al resto dell’area Euro.
MERCATI EMERGENTI
L’effetto sui vari paesi sarà molto variegato a seconda della struttura economica dei vari paesi.
Mentre paesi come Russia e Brasile soffriranno della discesa dei prezzi delle materie prima e
dalla mancanza di una capacità manifatturiera competitiva con forte impatto sulla bilancia
commerciale e quindi sul cambio e sulla crescita interna e sull’inflazione. L’effetto dovrebbe
essere contrario in paesi di trasformazione e a forte sviluppo quale Turchia e la stessa Cina. Di
conseguenza l’investimento sul comparto Emergenti và fatto in modo selettivo.
CONCLUSIONI
Sin qui abbiamo parlato solo di elementi di normalizzazione e fondamentalmente positivi per
l’economia. Fonti di forte volatilità potranno rivelarsi l’attività della FED e lo sviluppo di tensioni
in Grecia, Ucraina o Russia, oltre ad un’eventuale crescita molto sotto le aspettative della Cina.
Su quest’ultimo paese sopratutto riteniamo che una diminuzione del tasso di crescita al di sotto
del 7%, debba essere razionalmente considerata come un fenomeno di normalizzazione piuttosto
che sorpresa in negativo.
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