UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI Facoltà di Scienze Corso di Laurea in Fisica Principi fisici della termoelettricità Relatore: Prof. Luciano Colombo Tesi di laurea di Cristiano Malica Anno Accademico 2014-2015 A chie bene mi cheret Presentazione Il presente lavoro di tesi è suddiviso in quattro parti. L'introduzione, di carattere storico, verte sulla analisi dei possibili pionieri della termoelettricità. Il primo capitolo vuole presentare la termoelettricità come teoria fenomenologica, provvisto delle cognizioni fisiche necessarie a comprenderla. Nella terza parte viene trattata in maniera formale la base della teoria del trasporto elettronico, fondata sulla equazione di Boltzmann, che permette una spiegazione sistematica dei parametri termoelettrici fondamentali. Infine, nel terzo capitolo, vengono presentate alcune applicazioni della termoelettricità di notevole importanza tecnologia. Il tutto è completato da due appendici di approfondimento; nello specifico, l'appendice A, vuole proporre una verifica matematica delle relazioni fisiche (quelle indicate in rosso) adoperate nel primo capitolo. Indice Introduzione Sulla scoperta della termoelettricità 1. Teoria fenomenologia della termoelettricità 1.1 1.2 1.3 1.4 2. Effetto Volta Seebeck e Peltier Equazione fondamentale della termoelettricità Proprietà degli elettroni nei solidi 1.4.1 Il modello di Drude 5 5 5 10 10 1.4.2 Distribuzione di Boltzmann e Fermi-Dirac 12 1.4.3 Modello a bande e semiconduttori 16 1.5 Fisica degli effetti termoelettrici 20 1.6 Le relazioni di Lord Kelvin 22 1.7 Stima dei parametri termoelettrici 1.7.1 Metalli 1.7.2 Semiconduttori 25 26 27 Non equilibrio ed equazione di Boltzmann 2.1 L'equazione di Boltzmann 3. 1 29 Applicazioni della termoelettricità 3.1 3.2 3.3 3.4 Generatore di potenza termoelettrico Modulo termoelettrico Caratterizzazione di una cella Peltier Tipologie di generatori termoelettrici 3.4.1 Generatore termoelettrico solare (STEG) Appendice A Appendice B Giustificazione matematica delle relazioni fisiche più rilevanti Sul coefficiente di Seebeck 35 36 40 42 43 45 53 Bibliografia 55 Ringraziamenti 57 Introduzione SULLA SCOPERTA DELLA TERMOELETTRICITÀ È ancora molto diffusa l'opinione che la termoelettricità sia stata scoperta dal fisico estone Seebeck. Ricerche storiche più approfondite scartano questa ipotesi e stabiliscono che lo scopritore indiscusso sia il comasco Alessandro Volta. La termoelettricità allude, in estrema sintesi, alla conversione di energia termica in elettricità. Seebeck non condusse nessuna ricerca intenzionale in questo campo ma bensì indagava sulle possibili cause generatrici del campo magnetico terrestre. Egli era convinto che quest'ultimo fosse connesso ad anomalie di temperatura sulla superficie terrestre. I suoi esperimenti vertevano sulla creazione di differenze di temperatura in diversi materiali e, con l'ausilio di un ago magnetico, verificava la possibile e conseguente instaurazione di un campo magnetico; egli rivelò quest'ultimo quando due conduttori diversi venivano disposti a contatto a formare un circuito chiuso (figura 1, figura 4a). Nel 1821 Seebeck sottoscrisse la sua scoperta alla accademia delle scienze di Berlino e chiamò l'effetto da lui osservato, termomagnetismo [1]. Fig. 1. Dispositivo di Seebeck per osservare l'effetto termomagnetico. Seebeck ricercava il possibile legame tra calore e magnetismo; ipotizzava che il campo magnetico terrestre potesse essere dovuto alla distribuzione non omogenea della temperatura sulla superficie della Terra e ricercava le possibili giustificazioni. 1 Fig. 2. Generatore termoelettrico di Oersted e Fourier. Nei bicchieri 1 è presente il ghiaccio fondente. I 2 rappresentano delle fonti di calore. Le giunzioni tra i due diversi conduttori sono quindi mantenute a temperature diverse, il dislivello termico genera elettricità. Il fisico danese Oersted, avendo ben studiato gli esperimenti di Seebeck, ne stabilì la natura elettrica anziché magnetica. Assieme al francese Fourier costruì il primo generatore termoelettrico (figura 2). Nel 1823 presentò i sui lavori al convegno dell'Accademia delle scienze francese ([2], [3]) e propose altresì un nome più adeguato al fenomeno, termoelettricità. Nel suo libro “ Storia della Fisica” M. Laue [4] osserva che nel periodo iniziale dello sviluppo della fisica, gli scienziati annunciavano e presentavano le proprie scoperte e descrizioni nei loro libri o nelle loro lettere rivolte ad altri studiosi. Fu così che successe con gli esperimenti di Alessandro Volta. Egli, nel 1794-1795 scrisse all'Abate Anton Maria Vassali professore di fisica nella R. Università di Turino (Torino) tre lettere intitolate “ Nuova memoria sulla termoelettricità animale” [4]. Nella prima delle tre lettere Volta descrive la seguente esperienza: “ Fatto dunque un arco di un grosso filo di ferro crudo ed elastico, provava se intingendo i suoi due capi ne' due bicchieri d'acqua, in cui pescava una rana puntualmente e di fresco preparata*, cioè colle gambe posteriori in uno, col dorso o colla spina vertebrale (se questa sola era rimasta) nell'altro, mi riuscisse di farla *scorticata e sventrata (come Volta stesso spiega all'inizio della lettera). 2 convellere e saltare; e sulle prime per lo più mi riusciva infatti, cioè per due, tre, quattro volte; a capo però di qualche minuto non più; e debbo dire anche che procuratimi diversi archi di ferro, ne incontrai più d'uno, che non facea niente neppur da principio. Lo stesso mi avvenne con alcuni archi d'argento, e con alcuni d'ottone, che trovai inefficaci ad ogni prova. V'è dunque tutta la ragione di credere, che questi inetti riuscissero, giusto per essere in ambe l'estremità perfettamente eguali di tempera, e in tutto; e perciò equipollenti: il che non era degli altri; siccome cosa che difficilmente e rare volte accader dee, che incontrisi cioè un eguaglianza veramente e di tutto punto compita. Or dunque trovato, con saggiarne molti, uno di tali archi di ferro, che non facesse nulla neppur da principio, ed altre volte aspettato che fosse indebolita la rana, e resa non più eccitabile da uno di quegli altri valevoli sulle prime a commoverla (il che succede ben presto), tuffava nell'acqua bollente un capo di tal arco per qualche mezzo minuto, indi trattolo fuori, e senza darli temo di raffreddarsi, ritornava all'esperienza sopra i due bicchieri d'acqua fresca: ed ecco la rana a bagno si convelleva; e ciò anche due, tre, quattro volte, ripetendo la prova; finchè raffreddata per tali immersioni più o meno durevoli e ripetute, o per una più lunga esposizione all'aria, l'estremità del ferro intinta già nell'acqua calda, ritornava codesto arco inetto del tutto ad eccitare le convulsioni dell'animale” . L'analisi della descrizione di questo esperimento (e del prosieguo del documento [4]) conduce alle seguenti importanti conclusioni: • A. Volta organizzò i suoi esperimenti deliberatamente tenendo ben presente la comparsa di elettricità derivante da differenze di temperatura. Questo differenzia gli esperimenti di Volta da quelli di Seebeck il quale addirittura rigettò, in prima battuta, la natura elettrica dell'effetto termomagnetico da lui scoperto. • A. Volta scoprì immediatamente e direttamente l'origine della termoelettricità a differenza di Seebeck, il quale osservò gli effetti magnetici prodotti dalla corrente termoelettrica. • Le osservazioni di Volta hanno luogo 27 anni prima di quelle che Sebeeck fece per il termomagnetismo. Alla luce delle considerazioni fatte Volta ha, a tutti gli effetti, assoluta priorità nell'essere considerato pioniere della termoelettricità. Inoltre, si conosce esattamente la data della lettera, di cui l'estratto di 3 (a) (b) Fig. 3. (a) Schema dell'esperimento di Alessandro Volta che condusse alla scoperta della termoelettricità. Due bicchieri B sono riempiti di acqua dove sono immerse le estremità di un arco in ferro; C e D rappresentano le parti anteriore e posteriore della rana. (b) Placca commemorativa affissa nel Tempio Voltiano a Como (2005). sopra, inviata all'Abate Vassali: 10 Febbraio 1797, che può essere considerata come la data della scoperta della termoelettricità. Nel 2003 al Dipartimento di Termoelettricità dell'Università Nazionale di Chernivtdi (Ucraina) sono stati realizzati gli esperimenti di Volta riproducendo, quanto più possibile, le medesime condizioni da lui descritte. Naturalmente la rana di fresco preparata è stata sostituita da un voltmetro molto sensibile (risoluzione 10−7 V); i risultati ottenuti sono conformi alle descrizioni di Volta [5]. Gli esperimenti di Volta e le altre opere pubblicate su questi sono state presentate all' XI Forum Internazionale sulla Termoelettricità; successivamente l'Accademia Internazionale di Termoelettricità ha raccomandato alla comunità termoelettrica mondiale di riconoscere ufficialmente lo scienziato italiano Alessandro Volta come lo scopritore della termoelettricità. 4 Teoria fenomenologica della termoelettricità 1.1 1 EFFETTO VOLTA Alcune celebri esperienze di Alessandro Volta mostrarono che fra due metalli diversi posti a contatto esiste una differenza di potenziale che non dipende dalla forma e dall'area della zona di contatto ma solo dalla natura dei conduttori. Il fenomeno fisico per il quale si origina questa differenza di potenziale di contatto è chiamato effetto Volta la cui scoperta è da collocarsi temporalmente nella seconda metà del 1700. Questi esperimenti determinarono inoltre che: nel caso di una catena di conduttori diversi, la differenza di potenziale ai suoi estremi dipende esclusivamente dalla natura dei metalli terminali, in particolare se i due metalli sono uguali non si manifesta alcuna differenza di potenziale; un circuito chiuso formato da due distinti conduttori e mantenuto a temperatura uniforme si trova in equilibrio elettrico ovvero non è possibile utilizzare la differenza di potenziale dovuta all'effetto Volta per farvi passare una corrente, le stesse proprietà continuano a valere per un circuito isotermo costituito da più di due metalli. La situazione cambia quando viene rotto o l'equilibrio termico, stabilendo una differenza di temperatura fra due punti, oppure l'equilibrio elettrico forzando una corrente attraverso il circuito; tali condizioni di non equilibrio portano alla comparsa di particolari effetti termoelettrici. 1.2 SEEBECK E PELTIER Si supponga di realizzare un circuito bimetallico e di mantenere le giunzioni fra i metalli ad una differenza di temperatura Δ T (figura 4a): è possibile osservare, per esempio ponendo nelle vicinanze un ago magnetico, che una corrente termoelettrica è “ spinta” nel circuito da una forza elettromotrice dovuta al gradiente termico più propriamente detta forza termoelettromotrice; il fenomeno viene chiamato effetto Seebeck (1821). Determinazioni quantitative possono essere fatte disponendo le 5 Fig. 4. Circuiti termoelettrici basilari. (a) Circuito chiuso. Se 1 e 2 sono differenti metalli conduttori allora nel circuito fluisce una corrente termoelettrica. (b) Circuito aperto. Se 1 e 2 sono due distinti metalli la differenza di potenziale tra i punti A e D è proporzionale a Δ T se Δ T / T ≪ 1 . (c) Catena termoelettrica. La differenza di potenziale V A − V D fra gli estremi aperti della catena definisce la forza elettromotrice termoelettrica θ12 di Seebeck. cose come in figura 4b, inserendo fra i punti A, B del circuito originario un misuratore di forza elettromotrice (si noti che, in base alle osservazioni fatte al paragrafo 1.1, se i due metalli terminali del dispositivo sono gli stessi e se i punti A e B si trovano alla stessa temperatura, nessuna nuova forza elettromotrice viene introdotta dal misuratore nel circuito). In maniera più generale dati due conduttori metallici 1, 2 le cui giunzioni si trovano ad una differenza di temperatura ΔT , si definisce forza termoelettromotrice o forza elettromotrice di Seebeck θ la differenza di potenziale ( V A − V D ) fra gli estremi aperti della catena tenuti alla stessa 6 temperatura T 0 ; tale valore è indipendente da T 0 (figura 4c). Per piccole variazioni di temperatura dT la corrispondente variazione di forza elettromotrice dθ soddisfa la seguente relazione: dθ = S(T ) dT ; (1) il coefficiente S(T ) , la cui dipendenza dalla temperatura è resa esplicita, esprime la forza elettromotrice di Seebeck per grado di differenza di temperatura ed è anche chiamato potere termoelettrico. Un oggetto del tipo schematizzato in figura 4b e 4c è chiamato termocoppia o coppia termoelettrica. La termocoppia può ad esempio essere utilizzata per effettuare misure di temperatura a condizione che sia nota la relazione che lega la forza elettromotrice di Seebeck alla temperatura. La relazione (1) verrà sviluppata nell'appendice B ove sarà inoltre presentata la procedura sperimentale per la taratura di una termocoppia ferro-rame in vista del suo utilizzo come misuratore di temperatura. Nel 1834 Peltier, orologiaio francese, scoprì che facendo passare una corrente attraverso la giunzione di due distinti conduttori tenuta a temperatura costante viene assorbito o liberato, secondo il verso della corrente, del calore in aggiunta a quello prodotto per effetto Joule. Questo processo termico è chiamato effetto Peltier (figura 5) e deve essere distinto con attenzione dall'effetto Joule. Quest'ultimo avviene in tutti i conduttori (eccetto i superconduttori) quando in essi fluisce una corrente elettrica e dipende dal quadrato della densità di corrente (vedi appendice, equazione 3): questo significa che il calore legato all'effetto Joule è indipendentemente dal verso della corrente sempre ceduto dal sistemaconduttore all'ambiente; l'effetto Joule è quindi un fenomeno irreversibile. Per descrivere quantitativamente l'effetto Peltier si può misurare la potenza termica, cioè la quantità di calore scambiata in un secondo ad una giunzione; si trova che essa è proporzionale all'intensità di corrente I e può porsi nella forma: Pt = ΔQ Δt = π 12 I , (2) dove π rappresenta il coefficiente di Peltier relativo alla coppia di metalli; esso dipende dalla temperatura della giunzione e dai materiali ma non 7 Fig. 5. Effetto Peltier. Sono mostrati due conduttori 1 e 2 interconnessi mediate una giunzione. Se in questa viene forzata una corrente elettrica allora si ha uno sviluppo od assorbimento di calore a seconda della direzione di I. La quantità di calore scambiata nel tempo è proporzionale ad I e dipende altresì dalla temperatura della giunzione. dalle caratteristiche geometriche del contatto e dall'intensità di corrente. Si osservi che il coefficiente di Peltier ha le dimensioni di una forza elettromotrice, spesso è anche indicato come forza elettromotrice Peltier. Se il verso della corrente viene invertito la potenza non varia in modulo ma cambia segno ovvero π12 = − π 21 : l'effetto Peltier è un fenomeno reversibile. Le forze elettromotrici di Peltier sono in genere dell'ordine del mV. 1.3 EQUAZIONE FONDAMENTALE DELLA TERMOELETTRICITÀ William Thomson tentò inizialmente di mettere in relazione le grandezze definite nelle formule (1) e (2) ma con risultati deludenti, non in accordo con le evidenze sperimentali. Successivamente (1851) egli concluse che doveva esistere un ulteriore effetto termoelettrico non ancora preso in considerazione il quale fu postulato con considerazioni termodinamiche, oggi chiamato effetto Thomson. Si consideri un qualsiasi conduttore attraversato da una corrente elettrica che non si trovi all'equilibrio termico, sia ad esempio instaurato in esso un gradiente di temperatura (figura 6). Si hanno due effetti termici: il primo, effetto Joule, non dipende dal verso della corrente e corrisponde sempre ad energia dissipata, cioè a quantità di calore sviluppata con conseguente aumento della temperatura dei punti intermedi del conduttore. Il secondo è dovuto alla presenza del gradiente di temperatura e dipende dal particolare conduttore. Nei conduttori Thomson-positivi questo secondo effetto corrisponde a calore assorbito (negativo) se la corrente ha lo stesso 8 Fig. 6. Calore di Thomson. Una corrente elettrica di densità J x fluisce in un conduttore caratterizzato da un gradiente di temperatura. In aggiunta al riscaldamento per effetto Joule si ha assorbimento o liberazione di calore attraverso il conduttore in dipendenza dalla relativa direzione di J x e dT / dx . Il calore di Thomson assorbito o liberato è direttamente proporzionale in modulo al prodotto J x (dT / dx ) e dipende dalla temperatura del conduttore. Se il conduttore considerato ha μ(T ) > 0 l'immagine caratterizza un assorbimento di calore. verso del gradiente termico, altrimenti corrisponde a energia termica liberata nell'ambiente (calore positivo). Si supponga per semplicità che il vettore densità di corrente abbia solo la componente x non nulla e che il gradiente di temperatura sia lungo tale direzione e abbia verso concorde a quello della corrente (figura 6), allora il calore netto prodotto nel conduttore per unità di volume e per unità di tempo è dato da: Q̇ 1 = j x2 σ − μ (T ) j x dT dx . (3) L'equazione (3) può considerarsi come la equazione fondamentale della termoelettricità. Il primo termine a secondo membro, dipendente dal quadrato della densità di corrente, si riconduce all'effetto Joule (vedi appendice, equazione 3) mentre il secondo termine, segno compreso, dipendente linearmente dalla densità di corrente e dal gradiente di temperatura, è direttamente dovuto all'effetto Thomson. Il coefficiente μ (T ) , la cui dipendenza dalla temperatura del conduttore è resa esplicita, ha le dimensioni di una differenza di potenziale su temperatura ed è chiamato coefficiente di Thomson; i conduttori che abbiamo chiamato 9 Thomson-positivi hanno μ (T ) positivo (figura 6). D'altra parte chiameremo conduttori Thomson-negativi quelli caratterizzati da un μ (T ) negativo. Risulta particolarmente istruttivo e interessante scrivere la (3) in termini della carica complessiva q trasportata nel tempo t attraverso una sezione di un conduttore di resistenza R sotto una piccola differenza di temperatura Δ T . Ciò che si ottiene è (vedere appendice, equazione 4): Q = q2 R t − μ (T ) q Δ T (4) dove Q è il calore scambiato nei pressi di questa sezione nel tempo t. Quindi se della carica elettrica q si muove attraverso il circuito, la quantità di calore Q, liberato o assorbito, dipende dalla velocità con la quale q è trasportata. Infatti per t sufficientemente grandi il termine di Joule a secondo membro diverrà trascurabile rispetto al termine di Thomson. La relazione (4) ci permette altresì di definire il coefficiente di Thomson in una maniera più elegante: esso rappresenta il calore assorbito per unità di carica positiva, sotto una differenza di temperatura unitaria quando tale carica sia trasportata in maniera sufficientemente lenta nella direzione di aumento della temperatura. In riferimento a questa definizione chiameremo alternativamente il coefficiente di Thomson μ (T ) , calore di Thomson (in ossequio a D. K. C. MacDonald [6]). 1.4 PROPRIETÀ DEGLI ELETRONI NEI SOLIDI Questo paragrafo vuole disporre le basi fisiche essenziali per la spiegazione degli effetti termoelettrici descritti nei primi paragrafi attraverso il riassunto dei concetti fondamentali riguardanti le proprietà degli elettroni nei solidi. 1.4.1 IL MODELLO DI DRUDE Prima di procedere con la presentazione di tale modello fisico è doveroso introdurre due grandezze fondamentali alle quali la teoria di Drude rende piena giustificazione. Esistono due metodi, concettualmente molto semplici, per investigare le proprietà elettriche dei conduttori. 10 Possiamo applicare un campo elettrico e misurare la corrente risultante in assenza di gradienti termici, sotto siffatte condizioni il rapporto fra densità di corrente e campo elettrico definisce la conduttività elettrica σ del particolare conduttore (esattamente la stessa che compare nell'equazione (3) nel termine di Joule). D'altra parte si potrebbe applicare un gradiente di temperatura e misurare il flusso di calore risultante in assenza di campi elettrici, allora il rapporto tra flusso di calore (quantità di calore trasmessa per unità di tempo nell'unità di superficie) e gradiente di temperatura definisce la conducibilità termica κ del materiale. Nel 1900, tre anni dopo la scoperta dell'elettrone, Drude pubblicò la sua teoria della conduzione elettrica il cui assunto base rappresenta il metallo conduttore come costituito da una assemblea tridimensionale ordinata di atomi fissi (reticolo cristallino) permeata da un “ gas di elettroni liberi” . Egli assunse che gli elettroni si muovono nel metallo in modo completamente disordinato interagendo con gli atomi del reticolo: tra un urto e il successivo il moto è libero e la traiettoria rettilinea, cosicché la traiettoria di ciascun elettrone è costituita da una successione di segmenti rettilinei, con direzione e lunghezza variabili. Lo spazio percorso dall'elettrone tra un urto e quello successivo è chiamato cammino libero medio elettronico e indicato con λ . L'insieme delle traiettorie è completamente casuale e non si ha un flusso netto di carica, cioè una corrente, in nessuna direzione. Drude assunse inoltre che se viene applicato un campo elettrico E l'elettrone fra due urti successivi obbedisce all'equazione del moto di Newton: m dv dt = −eE (5) dove − e ed m e v sono rispettivamente la carica, la massa e la velocità (casuale) dell'elettrone. Dalle assunzioni fatte si ricava la seguente espressione per la conduttività elettrica: σ = n0 e 2 λ mv (6) dove n0 rappresenta la densità di elettroni e v il modulo della velocità casuale dell'elettrone nel metallo subito dopo un urto (appendice, 11 equazione 6). Corrispondentemente Drude ricavò la seguente relazione per la conducibilità termica κ del gas di elettroni: 2 κ = Cel λ v 3 (7) dove con C el si denota la capacità termica classica a volume costante per unità di volume attribuita agli elettroni [7] (si noti che il fattore 2 tiene conto del principio di esclusione di Pauli). Dalle precedenti relazioni e assumendo che il gas di elettroni si comporti come un gas ideale, Drude ricavò la predizione teorica del cosiddetto numero di Lorenz L: L = κ σT = 3 KB ( ) 2 = 2.23 × 10 e −8 V 2 ( ) K (8) Questo risultato (appendice, equazione 8) trova ottimo accordo con l'esperienza per un numero consistente di metalli quando la temperatura è prossima a quella ambientale. Concludiamo con le parole di Lorentz: “ In a theory which has given results like these, there must certainly be a great deal of truth” . 1.4.2 DISTRIBUZIONE DI BOLTZMANN E FERMI-DIRAC Nel 1905 Lorentz integrò il modello di Drude col concetto di distribuzione di probabilità prendendo spunto dal recente lavoro sulla teoria cinetica dei gas di Maxwell e Boltzmann. Secondo Lorentz la probabilità che a temperatura T un elettrone di conduzione abbia energia E è tale da soddisfare [8]: p B ( E) = 1 kB T E ( ) exp − kB T . (9) Questo ulteriore sviluppo dispone una prima solida base per l'analisi unificata di qualsiasi proprietà fisica legata al trasporto degli elettroni come ad esempio i coefficienti termoelettrici che stimeremo nel paragrafo 12 1.6. Il modello di Drude e Lorentz è stato sviluppato senza considerare gli effetti di quantizzazione sullo spettro di energie accessibili agli elettroni di conduzione, né il principio di esclusione di Pauli. Da questo punto di vista esso rappresenta un modello approssimato che necessita di essere ulteriormente sviluppato [9]. Un metallo, in migliore approssimazione, può essere quantisticamente modellizzato attraverso una buca di potenziale tridimensionale di profondità infinita al cui interno sia presente un gas di elettroni liberi (elettroni di valenza degli atomi che ne costituiscono il reticolo). La soluzione dell'equazione di Schrödinger fornisce l'espressione analitica dello spettro discreto delle energie elettroniche permesse per un tale sistema (appendice, equazione 10): ℏ2 2 ℏ 2 π2 E = k = ( n2x + n2y + n2z ) ; 2 2m 2mL (10) dove m e k sono rispettivamente la massa ed il vettore d'onda dell'elettrone, L è la dimensione della buca (supposta cubica) e n x , n y , nz = 1, 2, 3, ... . Dalla precedente relazione può essere ricavata una grandezza di fondamentale importanza (appendice, equazione 11) detta densità elettronica che indicheremo con g(E): g( E) = dn dE = 8π h 3 ( 2m3 ) 1/2 E 1/ 2 ; (11) dove dn rappresenta il numero totale (inglobando il fattore 2 dovuto al principio di Pauli) di stati quantistici elettronici per unità di volume compresi fra le energie E ed E + dE . Il passaggio a grandezze continue è giustificato dal fatto che quando la buca di potenziale (cioè il pezzo di metallo considerato) ha dimensioni macroscopiche (L molto molto maggiore della distanza inter-atomica tra gli ioni del cristallo) allora i livelli energetici sono così fitti da poter considerare l'energia come una funzione continua (formula 10). In base alla (11), l'integrale E ∫ g( E) dE 0 rappresenta il numero n di elettroni per unità di volume che è possibile accomodare sui diversi livelli energetici fino all'energia E. Poiché il 13 numero totale di elettroni per unità di volume n0 presenti nel cristallo è univocamente determinato allora questi possono essere sistemati fino a raggiungere un valore massimo di energia E F ,0 (energia di Fermi) che corrisponde al cosiddetto livello di Fermi. Si dimostra che (appendice, equazione 12) E F alla temperatura di 0 K è definito dalla seguente espressione: E F ,0 = h2 8 me 3 n0 ( ) 2 3 π ; (12) La dipendenza da n0 esprime il fatto che metalli diversi hanno livelli di Fermi diversi. La statistica dei livelli elettronici alla temperatura dello zero assoluto è semplice: è certo che ogni livello sia doppiamente occupato (da due elettroni con spin antiparallelo) per energie inferiori a E F ,0 ( p( E) = 1 se E ≤ E F ,0 ) ; è impossibile che un livello con energia maggiore a E F ,0 sia ( p( E) = 0 se E > E F ,0 ) . Per occupato temperature diverse dallo zero assoluto gli elettroni incorrono al fenomeno della eccitazione termica e possono transire a livelli di energia superiore. La probabilità che un livello elettronico di energia E sia occupato quando la temperatura è T vale: 1 p( E) = 1 + exp ( E − EF kBT ) ; (13) che rappresenta la legge quantistica di distribuzione statistica di FermiDirac. La quantità E F (potenziale chimico) corrisponde a E F ,0 quando T=0 K. La (13) permette di definire univocamente l'energia di Fermi E F come quella per cui si ha p( E)= 1/2 . Si noti che per valori grandi dell'energia ( E − E F ≫ k B T ) si (E F −E ) / k B T ha p( E) ≈ e ovvero ci si riconduce alla distribuzione di Boltzmann (formula 9). È di fondamentale importanza per l'interpretazione fisica degli effetti termoelettrici sottolineare il fatto che il potenziale chimico vari con la temperatura. Una stima approssimativa di come E F vari con la temperatura è data dalla 14 Fig. 7. Distribuzione energetica degli elettroni di conduzione in un metallo. La curva con l'estensione tratteggiata rappresenta la densità elettronica g(E) nonché gli stati elettronici disponibili. Allo zero assoluto la distribuzione degli stati occupati si interrompe improvvisamente a E F ,0 . In un tipico metallo, per temperature T ≪ E F ,0 / k B , E F differisce di poco dal potenziale chimico E F ,0 . seguente relazione (valida per un gas perfetto) [10]: E F = E F ,0 [ 2 1 − π 12 kB T ( ) E F ,0 2 + ... ] (14) Dalla relazione è evidente che se E F ,0 ≫ k B T (come si ha per un generico metallo) E F rimane sempre molto prossimo a E F ,0 . In definitiva la distribuzione energetica effettiva degli elettroni di conduzione in un metallo (figura 7) è data dal prodotto della funzione di Fermi-Dirac p(E) per la densità elettronica g(E). Si vuole ora esprimere l'energia interna del gas di elettroni la quale, poiché questi non interagiscono fra loro, coincide con l'energia cinetica complessiva del sistema. Si calcoli per semplicità l'energia interna U 0 allo zero assoluto (appendice, equazione 15): U0 = 3 5 n0 E F ,0 ; (15) dove n0 è il numero di elettroni contenuti nell'unità di volume (si osservi che è immediato ricavare l'energia media per elettrone dividendo la (15) 15 per n0 ) . Quindi possiamo indicativamente dire che gli elettroni che si trovano in metalli con una energia di Fermi maggiore (o equivalentemente metalli con un maggior numero di elettroni per unità di volume) sono in media più veloci. Ulteriori sviluppi permettono il calcolo dell'energia interna U del sistema gas di elettroni liberi a temperature diverse dallo zero assoluto e quindi l'espressione quantistica per la capacità di un gas di elettroni [11]: C el = 2 kB T = π N kB ∂T 2 E F ,0 ( ) ∂U ; (16) dove N è il numero totale di particelle costituenti il sistema. Si precisa che questa relazione è valida per temperature T ≪ E F ,0 / kB . Si noti che il termine kB T / E F ,0 rappresenta una stima indicativa della (piccola) frazione di elettroni che possono scambiare energia termica (figura 4): gli effetti quantistici (e nello specifico il principio di esclusione) riducono notevolmente il valore della capacità termica. Abbiamo finora trattato gli elettroni in un metallo come a delle particelle contenute in una scatola assumendo implicitamente che queste non possano abbandonare il metallo; tuttavia gli elettroni possono in determinate circostanze abbandonare il metallo ad esempio passando da un conduttore ad un altro posto con questo a contatto. All'interno del metallo la funzione potenziale è in prima approssimazione costante e cresce rapidamente nei pressi dei suoi bordi dove raggiunge il valore massimo corrispondente all'energia potenziale dell'elettrone fuori dal metallo (livello di ionizzazione). Ponendo a zero l'energia potenziale elettronica sul livello di ionizzazione possiamo indicare con −V 0 la profondità in energia della buca di potenziale. Allora l'energia che l'elettrone deve acquistare per poter fuoriuscire dal metallo è (allo zero assoluto) pari a ϕ = V 0 − E F ,0 (funzione lavoro). 1.4.3 MODELLO A BANDE E SEMICONDUTTORI Quando abbiamo un sistema di N' atomi interagenti, come quelli che costituiscono il reticolo cristallino di un solido, ogni singolo livello atomico origina N' livelli distinti. Questi livelli sono raggruppati in bande permesse, separate da intervalli proibiti (le gap). I livelli energetici delle 16 bande permesse vengono riempiti in accordo al principio di Pauli. In condizioni di temperatura assoluta nulla si danno due soli possibili schemi di riempimento delle bande: riempimento parziale della banda (il livello di Fermi cade all'interno della banda permessa) e riempimento completo della banda (il livello di Fermi è disposto esattamente a metà tra il fondo della banda di conduzione e la cima della banda di valenza); il primo caso corrisponde ai metalli, il secondo agli isolanti. In quest'ultima categoria il prossimo livello energetico si trova al di là di una gap proibita, cioè molto distante in energia (valori tipici vanno da circa 2,5 eV per il solfuro di cadmio a 9 eV per l'ossido di silicio). Se la temperatura viene portata ad un valore finito T > 0 K, allora la distribuzione di Fermi-Dirac consente che vengano popolati dei livelli oltre E F . In un metallo, essi si trovano appena sopra il livello di Fermi e verranno effettivamente occupati; in un isolante la eccitazione termica non è sufficiente a promuovere gli elettroni dagli stati occupati a quelli vuoti, infatti, a temperatura ambiente T = 300 K, l'energia di eccitazione termica vale circa K B T ≈ 0,026 eV , molto più piccola della gap. Una volta che gli elettroni sono stati eccitati termicamente essi acquistano libertà di moto che assicura la conduzione elettrica. I semiconduttori sono degli isolanti a piccola gap ovvero in questa tipologia di conduttori l'ultima banda totalmente riempita, chiamata banda di valenza, è separata da un piccolo intervallo di energia E g dalla prima banda totalmente vuota, detta banda di conduzione (valori tipici di E g sono 0,43 eV per l'arseniuro di indio, 1,15 eV per il silicio e 0,67 eV per il germanio). Si consideri un semiconduttore ideale, senza alcun difetto reticolare o impurezza al suo interno: esso viene chiamato semiconduttore intrinseco. L'eccitazione termica può promuovere elettroni dalla banda di valenza a quella di conduzione: alcuni stati di conduzione saranno popolati mentre alcuni stati di valenza saranno svuotati. Gli stati di valenza vuoti corrispondono ad una mancanza di elettrone che viene propriamente detta lacuna, del tutto equivalente ad una particella carica positivamente. Applicando un campo elettrico esterno ad un semiconduttore termicamente eccitato, si genera un flusso di elettroni in direzione opposta al campo e un flusso di lacune nella direzione del campo. Questi due contributi concorrono ambedue alla densità di corrente totale. Ad ogni temperatura al di sopra dello zero assoluto un piccolo numero di elettroni sarà presente nella banda di conduzione ed un piccolo e uguale 17 numero di lacune nella banda inferiore. Per ragioni strettamente legate alla simmetria della P(E), il livello di Fermi in un semiconduttore intrinseco cade esattamente a metà della gap proibita. Si dimostra che in tali condizioni la funzione di distribuzione statistica degli elettroni di conduzione è bene approssimata dalla versione classica di Boltzmann p B ( E) (equazione 9). Con tale assunzione si può calcolare anche per i semiconduttori la dipendenza dell'energia di Fermi E F dalla temperatura: E F = k B T ln [ 1 2 n 0 h 3 2 π m kB T ( −3/ 2 ) ] ; (17) dove n0 è il numero di elettroni per unità di volume. Infine il numero di portatori intrinseci N i (ovvero numero di elettroni presenti in banda di conduzione o equivalentemente numero di lacune in banda di valenza) è descritto da: N i ∝ exp (−E g / 2 k B T ) . (18) Il successo tecnologico dei semiconduttori sarebbe molto più limitato di quanto non sia in realtà se essi potessero essere usati solo come materiali intrinseci. I semiconduttori, infatti, si prestano facilmente ad una manipolazione “ chimica” chiamata comunemente drogaggio, il cui effetto è quello di creare portatori in concentrazione voluta. Il processo di drogaggio consiste nel sostituire atomi del reticolo cristallino con atomi droganti appartenenti a specie chimiche differenti. Gli atomi droganti sono classificati in atomi donatori e atomi accettori di elettroni. Sostituendo, ad esempio, un atomo di germanio intrinseco con un atomo di As (arsenico, donatore), si ottiene l'effetto di introdurre nel semiconduttore un elettrone in eccesso. Al contrario, inserendo un atomo di Ga (gallio, accettore) nel medesimo reticolo ci si trova ad avere la mancanza di un elettrone, ovvero si viene a creare una lacuna. La giustificazione di tutto ciò è da ricercarsi nella struttura elettronica degli atomi considerati: il germanio è tetravalente mentre gli atomi donatori e accettori sono rispettivamente pentavalenti e trivalenti. Se un semiconduttore viene drogato con una specie donatrice si introducono dei nuovi livelli energetici localizzati (figura 8a), assenti nel semiconduttore intrinseco, 18 (a) (b) Fig. 8. Bande energetiche di un semiconduttore estrinseco. (a) Semiconduttore drogato N (As in Ge). (b) Semiconduttore drogato P (Ga in Ge). nella gap proibita, molto vicini alla banda di conduzione. Tali livelli sono popolati dagli elettroni in eccesso introdotti dagli atomi donatori. L'eccitazione termica può facilmente promuovere in banda di conduzione questi elettroni in eccesso, popolando il gas di portatori (negativi) di carica. Al contrario, se droghiamo lo stesso materiale intrinseco con specie accettori, creiamo dei nuovi livelli localizzati molto prossimi alla banda di valenza. Questi livelli non sono popolati a T = 0 K, visto che in questo caso abbiamo una deficienza di elettroni rispetto al caso intrinseco. Tuttavia, questi livelli verranno facilmente occupati da elettroni promossi dalla banda di valenza per eccitazione termica. La cosa tecnologicamente fondamentale e vincente è che il processo di drogaggio risulta perfettamente controllabile. È possibile cioè drogare in modo controllato un semiconduttore in modo da creare un materiale con quella concentrazione dominante di elettroni (semiconduttore drogato N) oppure di lacune (semiconduttore drogato P) utile per le applicazioni di interesse. Alcune di queste sono legate alla termoelettricità e verranno discusse nel capito 3. Un semiconduttore drogato è chiamato semiconduttore estrinseco. 19 1.5 FISICA DEGLI EFFETTI TERMOELETTRICI Ogni qualvolta si vuole costruire un sistema, ideale o no, per indagare gli effetti termoelettrici ci si imbatte inevitabilmente nell'effetto Volta che si origina sempre quando due generici e distinti conduttori vengono posti a contatto. L'effetto Volta è essenzialmente dovuto alla differenza dei livelli di Fermi nei sistemi isolati, dei metalli posti a contatto. Siano 1 e 2 metalli inizialmente non posti a contatto (figura 9a). Il livello di ionizzazione è lo stesso per entrambi i metalli. Il livello di Fermi del metallo 1 (corrispondente all'energia E F1 ) si trova sotto il livello di ionizzazione di una quantità pari a ϕ1 mentre il livello di Fermi del metallo 2 (corrispondente all'energia E F2 ) si trova sotto il livello di ionizzazione di una quantità pari a ϕ2 . Consideriamo il caso in cui ϕ2 > ϕ1 quindi il livello di Fermi del metallo 1 è più alto di quello del metallo 2. Se i metalli si connettono (figura 9b) gli elettroni più energetici del metallo 1 passano al metallo 2 disponendosi nei livelli energetici subito sopra E F2 . Il processo si protrae fino al raggiungimento dell'equilibrio per il quale il livello di Fermi risulta essere uguale in tutto il sistema. Il risultato finale è che il metallo 1 si carica positivamente (carenza di cariche negative) e il metallo 2 si carica negativamente (eccesso di cariche negative). In definitiva si può dire che quando due metalli sono elettricamente connessi si instaura fra questi una differenza di potenziale che ha la forma: V 12 = (ϕ2 − ϕ1 ) e 1 = 2 (EF − EF) e (19) Le osservazioni derivanti dall'esperienza esposte del paragrafo 1.1 sono presto giustificate. Nel caso di una catena di conduttori diversi, la differenza di potenziale fra gli estremi dipende esclusivamente dalla natura dei metalli terminali in quanto le differenze di potenziale dovute ai metalli interni si compensano esattamente in base alla formula (19). Inoltre in un circuito multimetallico isotermo chiuso non può esserci un passaggio di corrente in quanto una volta posti a contatto i livelli di Fermi dei metalli si uguagliano, l'equilibrio si stabilisce e non vi può essere successivamente un moto preferenziale per gli elettroni. 20 Fig. 9. Spiegazione dell'effetto Volta. (a) Metalli disgiunti. I metalli 1 e 2 sono isolati, si trovano alla stessa temperatura e allo stesso potenziale e presentano diversi valori per l'energia di Fermi. (b) Metalli a contatto. Collegando elettricamente i conduttori il sistema completo sarà caratterizzato da un unico livello di Fermi, il raggiungimento di tale equilibrio è dovuto ad una redistribuzione della carica che genera la differenza di potenziale di contatto. Se ad esempio consideriamo le due giunzioni fra i metalli di figura 4c ma stessa temperatura (figura 4c con Δ T = 0 e T = T 0 ) , le due forze elettromotrici di contatto fra metallo 2 – metallo 1 e metallo 1 – si equilibrano perfettamente, ovvero V 12 =− V 21 . metallo 2 Se invece le giunzioni fra i metalli 1 e 2 non sono alla stessa temperatura (figura 4c) l'equilibrio viene rotto e si origina la forza elettromotrice di Seebeck. L'approssimazione lineare nelle formule della statistica di Fermi (livello di Fermi costante con la temperatura) non è sufficiente a spiegare il fenomeno ed occorre considerare i termini del secondo ordine (formula 14). Per ciascun metallo il livello di Fermi varia con la temperatura e quindi non è più vero che V 12 =− V 21 . Per quanto riguarda l'effetto Peltier è possibile ragionare nella maniera seguente. Due distinti metalli isolati possiedono differenti livelli di Fermi; gli elettroni in uno o nell'altro metallo nei pressi di tale livello avranno energie cinetiche in generale diverse (si noti che l'energia cinetica media del gas di elettroni dipende da E F come mostra l'equazione 15) ed 21 hanno altresì concentrazioni diverse (maggiore è l'energia disponibile, più elettroni possono essere accomodati). Se i metalli vengono posti a contatto il livello di Fermi diviene unico nel sistema; questo è ottenuto variando solamente la energia potenziale dei livelli di uno dei due metalli (figura 9), di conseguenza gli elettroni al livello di Fermi nei due metalli mantengo energie cinetiche e concentrazioni diverse. Quindi il passaggio di un elettrone da uno all'altro metallo è accompagnato dalla liberazione (o assorbimento) alla interfaccia di una certa quantità di energia. Per quanto riguarda l'effetto Thomson consideriamo la figura 6. L'estremità B della sbarra si trova ad una temperatura superiore della estremità A. In B le velocità termiche elettroniche sono maggiori; gli elettroni che migrano dall'estremo B all'estremo A sono in numero maggiore rispetto a quelli che diffondono per verso contrario. Questo moto crea in definitiva uno sbilanciamento di carica (eccesso di elettroni in A) il quale determina un campo elettrico che ostacola l'ulteriore fluire di carica. Per due punti del conduttore la cui temperatura differisce della quantità infinitesima dT vale la relazione: dV = μ(T ) dT (20) dove dV è la differenza di potenziale fra i punti la cui temperatura differisce di dT e μ (T ) è il coefficiente di Thomson. In conduttori Thomson-positivi il campo termoelettrico dovuto all'effetto Thomson è diretto dalla porzione calda del circuito a quella fredda ovvero la forza elettromotrice di Thomson (equazione 20) ha verso opposto al gradiente termico (figura 6). L'effetto termico è dovuto quindi alla presenza della forza elettromotrice di temperatura di Thomson. 1.6 LE RELAZIONI DI LORD KELVIN Attraverso argomentazioni di termodinamica Kelvin (Thomson) trovò alcune relazioni che legano i parametri termoelettrici discussi: μ (coefficiente do Thomson o calore di Thomson), π (coefficiente di Peltier) ed S (forza elettromotrice di Seebeck): μ = T 22 dS dT ; (21) π = TS . (22) Le relazioni di Kelvin sono di capitale importanza: esse mostrano come derivare una completa conoscenza di tutte le proprietà termoelettriche di un conduttore dalla sola conoscenza di S, che rappresenta la “ quantità termoelettrica” più facilmente misurabile con buona accuratezza. Thomson stesso riconobbe che la teoria da lui utilizzata non era completamente rigorosa ma le sue argomentazioni sono convincenti e i risultati ottenuti vengono altresì confermati da considerazioni di termodinamica più avanzate [12]. Alla luce di questo, si ricaveranno le relazioni di Lord Kelvin con le sue stesse semplici argomentazioni di termodinamica elementare. Si considerino i consueti conduttori 1 e 2, collegati come mostrato in figura 10; si assuma inoltre che siano Thomson-positivi. Il filo che collega gli estremi A-D sia un conduttore caratterizzato da una resistenza molto elevata: con tale scelta si vuole fare in modo che il passaggio della carica elettrica avvenga tanto lentamente da rendere trascurabile il termine di Joule dell'equazione 4 (primo addendo a secondo membro). Sia Δ T > 0 e T 0 > T . Si consideri il passaggio della carica elettrica unitaria positiva nel circuito: dal punto di vista della termodinamica questo può essere considerato un processo ciclico reversibile (i fenomeni termoelettrici sono intrinsecamente reversibili, l'effetto Joule è intrinsecamente irreversibile ma “ reso” reversibile dalla scelta opportuna del sistema fisico). Il primo principio della termodinamica vuole che la variazione di energia interna in una trasformazione ciclica sia nulla, allora la somma fra il lavoro esterno compiuto per far muovere la carica unitaria positiva e quantità di calore prodotte deve essere nulla [13]. Si noti che tale lavoro è per definizione la forza elettromotrice di Seebeck θ12 mentre il calore prodotto per effetto Peltier alle giunzioni è π (T 1 ) − π(T 2 ) . Il calore prodotto per effetto Thomson (formula 4) nel T +ΔT conduttore 2 è − T +Δ T ∫ T ∫ T μ 2 dT e quello prodotto nel conduttore 1 è μ 1 dT . 23 Fig. 10. Effetto termoelettrico globale. All'istante iniziale, quando Δ T = 0 e T =T 0 , le forze elettromotrici di Seebeck e di Thomson non sono presenti in quanto non è presente alcun gradiente di temperatura; non essendoci correnti, non sussiste neppure l'effetto Peltier. Riscaldando la saldatura A, tra A e B si crea una piccola differenza di temperatura; si manifesta una piccola forza elettromotrice che permette il passaggio di una corrente. Quest'ultima, attraversando le giunzioni, dissipa per effetto Peltier potenze termiche che tende a ripristinare l'equilibrio (raffredda la saldatura A e riscalda la B). Eliminando la sorgente di riscaldamento della saldatura A, in pochi attimi si restaura l'equilibrio. In definitiva si ottiene: T +Δ T θ12 + π12 (T 1 ) − π12 (T 2 ) + ∫ T μ1 −μ2 dT = 0 . (23) Inoltre possiamo osservare che la variazione totale di entropia in un ciclo reversibile è nulla, si ha quindi: π(T 1 ) T1 − π(T 2 ) T2 T + ΔT + ∫ T μ1 − μ2 T dT = 0 ; (24) dove si è esplicitamente indicato che le quantità di calore dovute all'affetto Peltier alle giunzioni sono cedute o prese alle temperature T 1 e T 2 ; si noti inoltre che quelle dovute all'effetto Thomson sono prese o cedute a temperature T intermedie. Se si considera T 1 costante e sostituendo T 2 con T , differenziando la (23) e la (24) si ha rispettivamente: 24 dθ dT − d dπ + μ1 − μ 2 = 0 ; dT ( ) π = dT T μ1 − μ2 T . (25) (26) Combinando le precedenti relazioni si ha: π = T dθ dT = TS ; (27) dove si è fatto uso della formula (1); la (27) rappresenta la seconda relazione di Thomson. Per ottenere la prima sostituiamo la (27) nella (26): T dS dT = μ1 − μ 2 = μ ; (28) avendo posto μ = μ1 − μ 2 . 1.7 STIMA DEI PARAMETRI TERMOELETTRICI Fino ad ora si è discusso dei fenomeni termoelettrici considerando la equivalenza fra metalli e conduttori. D'ora in poi parleremo più in generale di conduttori volendo includere in tale classe non solo i metalli ma anche i semiconduttori le cui proprietà principali sono state precedentemente discusse. Come prima analisi consideriamo il conduttore come una rigida scatola la quale contiene un gas di elettroni liberi che segue le leggi della statistica classica (modello di Drude). Assumiamo quindi che il calore di Thomson μ non sia altro che la capacità termica relativa al singolo elettrone c el per unità di carica: μ ≈ − c el e ; (29) dove il segno meno dipende dalla carica dell'elettrone. Usando la statistica 25 classica di Maxwell si ricava che: μ ≈ − 3 kB 2 e . (30) Dove kB = 1.4 × 10−23 J / K (costante di Boltzmann) ed e = 1,6×10−19 C. Sostituendo alla (30) dovremmo aspettarci: μ ≈ − 1,3 × 10−4 V = − 130 K μV K . (31) 1.6.1 METALLI I risultati empirici trovati per i metalli si discostano parecchio dal precedente valore (tabella 1). Il motivo di questa divergenza è essenzialmente dovuto al fatto che gli elettroni non obbediscono alla statistica classica ma a quella di Fermi-Dirac per la quale la capacità termica del singolo elettrone è data dalla relazione (16). Il calore di Thomson per un metallo è meglio espresso dalla relazione: μ (T ) ≈ − π2 k B k B T 2 e ( ) EF ; (32) questa è una quantità piccola rispetto al valore previsto dalla teoria classica perché kB T è piccolo rispetto a E F . In tabella 1 sono stai riportati i valori di μ conformi all'equazione 32; i valori ottenuti rappresentano sicuramente una stima migliore di μ . Infine, notiamo come i parametri termoelettrici possano dare delle rilevantissime indicazioni di natura fisica. Ad esempio la notevole discrepanza per i valori empirici e teorici di μ per il litio ma anche per il cesio significa probabilmente che la descrizione di tali metalli attraverso il modello ad elettroni liberi non corrisponde a realtà fisica. I valori teorici di μ per gli altri metalli appartenenti al medesimo gruppo (Na, K e Rb) si discostano dal valore empirico solamente per un fattore due. È curioso invece notare che i metalli appartenenti al secondo gruppo della tabella 1 (nonché appartenenti al Gruppo IB della tavola periodica) siano tutti 26 Tabella 1 Calore di Thomson: μ (T) ( μ V / K ) sperimentalmente metalli Thomson-positivi e teoricamente Thomsonnegativi, ancorché i valori assoluti di μ siano in buon accordo. I metalli del terzo gruppo della tabella (metalli di transizione) mostrano nel complesso valori di μ , sia sperimentali che teorici, maggiori rispetto a quelli precedentemente considerati per i metalli monovalenti (Gruppo IA e Gruppo IB); il buon accordo fra esperienza e teoria è ora ancor più significativo se ricordiamo che i metalli di transizione hanno strutture elettroniche piuttosto complesse. 1.6.2 SEMICONDUTTORI Il modulo dei coefficienti di Thomson di questa classe di conduttori ha un buon accordo con la teoria classica (equazioni 30 e 31); come prima 27 Tabella 2 Calore di Thomson: μ (T) ( μ V / K ) approssimazione è infatti possibile descrivere i pochi elettroni (rispetto ai metalli) presenti nella banda di conduzione di un semiconduttore attraverso la statistica di Boltzmann. La tabella 2 riporta alcuni risultati sperimentali per ZnSb e PbTe, per quest'ultimo vi è inoltre una importante dipendenza dalla temperatura. La teoria classica esprime un calore di Thomson negativo mentre le evidenze empiriche dicono che questo sia positivo. Tale teoria risulta comunque essere incompleta per un semiconduttore in quanto non vi è nessun riferimento alle lacune, prodotte per eccitazione termica nella banda di valenza o nei livelli donatori, il cui contributo alla conduzione potrebbe non essere trascurabile. Tale situazione può sorgere quando si consideri ad esempio un semiconduttore drogato P, la eccitazione termica porta alla promozione degli elettroni dalla banda di valenza ai siti accettori il raggiungimento dei quali richiede una energia molto minore di quanto ne fosse necessaria per raggiungere la banda di conduzione (figura 8b). In siffatte circostanze la conduzione è attribuibile con buona approssimazione interamente alle lacune il che varierebbe nella (31) il segno della carica. I dati riportati in tabella 2 dicono presumibilmente che in tali semiconduttori la conduzione dovuta alle lacune è predominante. Nel nostro modello si è inoltre ipotizzato un numero fisso di cariche di conduzione: tale assunzione è corretta per i metalli ma non per i semiconduttori. Tenendo conto della equazione (18) la formula (30) può essere corretta nel seguente modo: μ (T ) ≈ − kB e ( 3 2 − Eg 2 kB T ) ; (33) dove questo secondo termine contribuisce in maniera sostanziosa al calore di Thomson. 28 Non equilibrio ed equazione di Boltzmann 2.1 2 L'EQUAZIONE DI BOLTZMANN Per analizzare le proprietà legate all'energetica del trasporto elettronico, come i coefficienti termoelettrici, risulta necessario quantificare come le velocità siano distribuite fra i portatori di carica che determinano la conduzione. Questo proposito è del tutto ragionevole se ricordiamo ad esempio che nel modello del gas di elettroni liberi l'energia interna del sistema è interamente energia cinetica. Quando un conduttore è in equilibrio alla temperatura costante T in assenza di forze esterne (dovute ad esempio all'accensione di campi perturbatori elettrici o magnetici) e/o gradienti termici la funzione di distribuzione f è stabile al suo valore di “ equilibrio” f 0 . Esempi di tali funzioni di equilibrio f 0 sono le distribuzioni di Fermi-Dirac e di Boltzmann, già annoverate nel primo capitolo; la chiara dipendenza di tali distribuzioni dalla temperatura T del sistema ne esprime lo stato di equilibrio. Se invece una forza viene fatta agire sulle cariche di conduzione di un conduttore chiuso, applicando ad esempio a questo un campo elettrico, la corrente elettrica risultante rappresenta un bilancio dinamico fra la deviazione dall'equilibrio della funzione di distribuzione elettronica causata dal campo elettrico e la tendenza al restauro dell'equilibrio ad opera delle collisioni (resistenza elettrica). Se il campo elettrico viene rimosso la corrente si annulla: le collisioni ristorano lo stato iniziale di equilibrio. Nel generico conduttore sotto generiche condizioni si assume che la distribuzione degli elettroni in ogni punto sia determinata da: dN = f (v x , v y , v z , x , y , z , t) d τ d η 29 (34) dove dN è il numero di elettroni al tempo t, nell'elemento di volume d τ = dx dy dz che hanno velocità comprese nel range d η = dv x dv y dv z . Si noti che la densità volumica di elettroni al tempo t nell'elemento di volume d τ centrato nel punto x, y, z è pari a: ∭f Siano ( a x , a y , a z ) le d η = n( x , y , z ,t) componenti, ipotizzate costanti, (35) del vettore accelerazione dell'elettrone fra due collisioni successive. Consideriamo un intervallo di tempo dt nel quale, per ora, l'elettrone non incorra ad urti. Dopo tale lasso di tempo l'elettrone che occupava la posizione identificata da ( x , y , z ) si troverà nel punto ( x + v x dt , y + v y dt , z + v z dt ) con velocità avente componenti ( v x + a x dt , v y + a y dt , v z + a z dt ) . Anche gli elettroni che erano nel volume infinitesimo d τ con velocità comprese in d η si troveranno dopo il tempo dt nel nuovo elemento di volume d τ ' con velocità comprese in d η' . Ma dal momento che le velocità e le accelerazioni di tutti questi elettroni sono approssimativamente le stesse dobbiamo avere che d τ = d τ ' e d η = d η' *. Le particelle possono essere anche trasferite dentro o fuori d τ d η attraverso qualunque processo di collisione o scattering. Definiamo ( df / dt )coll. dt d τ d η come la variazione del numero netto di elettroni in d τ d η nel tempo dt dovuta alle collisioni. In definitiva si ha la seguente espressione: f ( v x + a x dt , v y + a y dt , v z + a z dt , x + v x dt , y + v y dt , z + v z dt , t+ dt) = = f (v x , v y , v z , x , y , z ,t) + df ( ) dt dt coll. da cui si ricava l'equazione di Boltzmann [14]: * Seppur il valore di d τ è assunto uguale d τ' essi corrispondono a due punti distinti dello spazio ordinario, lo stesso discorso deve essere fatto per d η , quando si consideri uno spazio analogo e astratto per le velocità. 30 ∂f ∂t + ax ∂f ∂v x + ay ∂f ∂vy + az ∂f ∂v z + vx ∂f ∂x + vy ∂f ∂y + vy ∂f ∂y = df ( ) dt ; (36) coll ovvero: ∂f ∂t + a⋅∇ v f + v⋅∇ r f = df ( ) dt . (37) coll I simboli ∇ v , ∇ r si riferiscono all'operatore gradiente rispettivamente nello spazio delle velocità e nello spazio ordinario. L'equazione (37) è del tutto generale. Scriviamola ora per un sistema-conduttore sul quale sia applicato un campo elettrico e un gradiente di temperatura lungo una stessa direzione x: −e E x ∂ f ( ) m + vx ∂ vx ∂ f dT ∂T dx = df ( ) dt (38) coll. Si noti che si è posto ∂ f /∂t = 0 in quanto lo stato di non equilibrio instaurato nel sistema è stazionario. Per quanto riguarda il termine dipendente dalle collisioni, le assunzioni più semplici che possono essere fatte sono le seguenti: 1) le collisioni tendono sempre a restaurare la funzione distribuzione elettronica d'equilibrio f 0 ; di 2) la velocità di restaurazione è sempre proporzionale linearmente alla “ variazione dall'equilibrio” f − f 0 ; 3) la velocità di restaurazione dell'equilibrio è determinata da un tempo caratteristico τ , assunto costante per tutti i tipi di deviazione dall'equilibrio. Queste condizioni possono essere facilmente riassunte da: df ( ) dt =− coll. 31 f − f0 τ (39) La soluzione alla (38) la si ottiene ponendo nella stessa f = f 0 a primo membro: f = f0 − −e E x ∂ f 0 ( ) m ∂ vx τ + vx ∂ f 0 dT ∂T dx τ . (40) Si supponga ora che nel nostro sistema dT/dx = 0. La componente x della densità di corrente elettrica può essere scritta in termini di f come: j x = − e ∭ vx f d η . (41) Sviluppando i conti si ricava che: jx = e2 E x τ m ∭ f 0 dη = e2 E x τ n , m (42) in cui per la seconda uguaglianza si è fatto uso della (35). Quindi la conduttività elettrica è data da: σ = jx ( ) Ex = dT / dx=0 n e2 τ . m (43) L'ultima relazione aderisce perfettamente con la formula di Drude (6) se definiamo il tempo di rilassamento come τ = λ / v . Al fine di ottenere il coefficiente di Seebeck dobbiamo preliminarmente determinare il campo elettrico prodotto nel conduttore in presenza di un gradiente di temperatura quando non è permesso il passaggio di corrente (circuito aperto, figura 4b). Può essere mostrato che il potere termoelettrico assoluto di Seebeck di un conduttore è dato da [15]: S= ( Ex dT / dx ) − j x=0 dg dT ; (44) dove g è l'energia termodinamica libera (Gibbs) per unità di carica positiva 32 delle cariche di conduzione del materiale considerato. Se la conduzione è dovuta agli elettroni, l'equazione (44) può essere scritta come: ( S = Ex dT /dx ) + j x =0 1 dE F e dT ; (45) dove l'energia libera di Gibbs non è altri che l'energia di Fermi. L'equazione (44) ci dice che la differenza di potenziale di Seebeck è essenzialmente determinata da due termini: il campo elettrico omogeneo instaurato lungo ciascun conduttore dovuto al gradiente di temperatura e la differenza di potenziale dovuta al contatto isotermo fra i conduttori che varia con la temperatura (si confronti questo secondo termine con l'equazione 19). Quando è presente sia un gradiente di temperatura sia una campo elettrico ricaviamo dalle equazioni (40) e (41) la seguente espressione: jx = − e2 E x m ∭ τ vx ∂f0 ∂v x dη −e dT dx ∭ τ v2x ∂ f0 ∂T dη ; (46) Richiediamo ora j x = 0 (circuito aperto) e sempre con l'assunzione che τ sia costante troviamo che: ( Ex dT /dx ) =− j x=0 =− m m ne d n e dT ∭ v2x df 0 dT ∭ v2x f 0 d η dη ; . (47a) (47b) Se abbiamo a che fare con un gas di elettroni liberi per il quale 2 E = 1/2 m < v > , allora dalla equazione (47b): ( Ex dT /dx ) =− j x=0 33 2 c el 3 e , (48) indipendente da qualsiasi particolare assunzione circa la statistica degli elettroni. Dalla equazione (44): S = − 2 c el 1 dE F + 3 e e dT . (49) Se ora consideriamo un metallo con elettroni liberi che obbediscono alla statistica di Fermi-Dirac e applichiamo quindi le equazioni (16) e (14) alla precedente si ottiene per il coefficiente di Seebeck: 2 S = − 2 π kB T 2 E F ,0 e . (50) Se, d'altra parte, consideriamo un semiconduttore i cui elettroni di conduzione obbediscono alla statistica maxwelliana, allora applicando l'equazione (17) otteniamo per il coefficiente di Seebeck: S = − ( 5 kB 2 e − EF eT ) . (51) Le equazioni (50) e (51) rappresentano il risultato cruciale che andavamo cercando: la completa caratterizzazione della componente del coefficiente di Seebeck legata ai processi generici interni di scattering elettronico. Lo stato termoelettrico globale del sistema è conseguentemente determinato dalle relazioni di Kelvin (21) e (22). Il formalismo di Boltzmann può essere ulteriormente sviluppato abbandonando l'ipotesi di tempo di rilassamento τ costante per tutti i tipi di perturbazioni; in tal caso sarà necessario esaminare con minuzia di particolari la precisa forma del termine ( df / dt )coll. nella equazione di Boltzmann originale. 34 Applicazioni della termoelettricità 3.1 3 GENERATORE DI POTENZA TERMOELETTRICO Il generatore di potenza termoelettrico (TEG) fa parte di quei dispositivi allo stato solido che convertono il calore in elettricità oppure, viceversa, che trasformano l'energia elettrica in potenze termiche per scaldare o raffreddare. Il funzionamento dei dispositivi di questa specie è interamente basato sugli effetti termoelettrici. Tutti i generatori di potenza termoelettrici hanno la stessa configurazione di base, mostrata in figura 11. Una sorgente di calore si trova ad alta temperatura, il calore fluisce attraverso un convertitore termoelettrico verso un dissipatore mantenuto a temperatura inferiore a quello della sorgente. La differenza di temperatura instauratasi nel convertitore produce una corrente continua I ed alimenta un carico R L , ai cui capi è presente una differenza di potenziale V. Non ci sono processi di scambio di energia intermedi d'altro tipo, per questa ragione i TEG sono classificati come convertitori diretti di potenza. L'ammontare della potenza elettrica generata è V I = I 2 R L . L'aspetto unico del TEG è che la conversione di energia è completamente reversibile. Chiameremo modalità di funzionamento Seebeck del generatore quella appena descritta. È inoltre possibile invocare la conversione invertita di energia utilizzando una opportuna alimentazione elettrica per generare calore da una parte e quindi produrre refrigerazione dall'altra, chiameremo questa: modalità di funzionamento Peltier. Tale reversibilità distingue i convertitori termoelettrici da molti altri dispositivi di conversione. Ciascun dispositivo termoelettrico può essere utilizzato in entrambi i modi operativi anche se il design del particolare TEG è ottimizzato per lo specifico scopo e specifica destinazione. Nel 1910 il fisico tedesco Edmund Altenkirch calcolò l'efficienza dei generatori termoelettrici e delineò i parametri necessari dei materiali atti a costruire dispositivi pratici. Sfortunatamente gli unici materiali 35 Fig. 11. Componenti di un generatore termoelettrico. Il dispositivo genera, a causa del ΔT, per effetto Seebeck, una forza elettromotrice θ che va ad alimentare un carico R L ai capi del quale si stabilisce una differenza di potenziale V. Se il funzionamento viene invertito, forzando il passaggio di corrente attraverso un generatore esterno, si ha sviluppo nell'una e assorbimento di calore nell'altra interfaccia dipendentemente dal verso della corrente. La prima è detta modalità di funzionamento Seebeck, la seconda modalità di funzionamento Peltier. disponibili al tempo erano i conduttori metallici, i quali sono caratterizzati da una efficienza di conversione molto bassa, solo lo 0,5% dell'energia termica veniva trasformato in elettricità. Nel 1940 fu ideato un dispositivo a semiconduttore con efficienza pari al 4%. Dopo il 1950, nonostante lo sviluppo della ricerca, i miglioramenti sull'efficienza dei TEG risultano abbastanza ridotti, raggiungendo poco più del 10% alla fine degli anni '80. Gli studi devono quindi vertere sulla ricerca di nuovi materiali termoelettrici al fine di raggiungere livelli di prestazione nettamente superiori. Tuttavia alcune varietà di TEG a bassa potenza si rivelano di notevole importanza pratica [16]. 3.2 MODULO TERMOELETTRICO L'unità di base di un TEG è una sorta di “ termocoppia” mostrata schematicamente in figura 12. Consiste di due termoelementi semiconduttori, l'uno di tipo P e l'altro di tipo N connessi elettricamente in 36 Fig. 12. Configurazioni di base di un modulo termoelettrico. Il modulo termoelettrico è costituito da diverse termocoppie poste elettricamente in serie e termicamente in parallelo. Quando si utilizza in modalità di funzionamento Seebeck una delle due lastre di ceramica viene riscaldata da una opportuna sorgente di calore esterna, si crea una differenza di temperatura con l'altra lastra e viene generata una corrente, vice versa con la modalità di funzionamento Peltier. serie da un lembo conduttore, solitamente di rame. Sempre la figura 12 mostra schematicamente un modulo termoelettrico costituito da un certo numero di unità di base connesse elettricamente in serie e termicamente in parallelo, incluse tra due lastre di ceramica. I moduli termoelettrici convertono calore in elettricità quando operano nella modalità di funzionamento Seebeck. La potenza elettrica generata dai moduli dipende dal numero di termocoppie per modulo, dalla configurazione dei termoelementi, dalle proprietà termoelettriche e termiche dei materiali che costituiscono i termoelementi, dalle proprietà elettriche dei contatti e dalla differenza di temperatura tra la parte superiore e inferiore del modulo. Basandoci su una tipica configurazione di un modulo termoelettrico rappresentato in figura 12, e includendo le resistenze elettrica e termica del contatto, può essere mostrato che quando il modulo opera su determinato carico i valori della tensione V e della intensità di corrente I (figura 11) sono dati da [17]: 37 N S ( Th − Tc) V = 1 + , 2 r lc (52) l σ A S (T h − T c ) I = ( 2( n + l ) 1 + 2 r lc l ; ) (53) dove N è il numero di termocoppie contenute entro un modulo, S il coefficiente di Seebeck della unità base, T h e T c sono rispettivamente le temperature del lato caldo e di quello freddo, A ed l sono rispettivamente l'area della sezione trasversale e la lunghezza di ciascun termoelemento, lc rappresenta lo spessore dello strato di contatto, n = 2 σ /σc ed r = κ/κc sono di solito denominati come rispettivamente parametro di contatto elettrico e parametro di contatto termico (dove σ c è la conduttività elettrica di contatto, κ c la conduttività termica del contatto e κ la conducibilità termica dei materiali costituenti i termoelementi). La differenza di potenziale V cresce con la lunghezza dei termoelementi mentre la corrente I ha un massimo in una regione che corrisponde a piccoli valori di l. In base al particolare uso a cui il dispositivo è destinato tali parametri vengono ottimizzati. Per completezza riportiamo gli altri due parametri identificativi, ovvero la potenza in uscita P e l'efficienza di conversione ϕ . P = 2 A N (T h − T c ) 2 2ρ 2 r lc S ( (n+l) 1 + l 2 ) , (54) Th− Tc ( ) ) [ ( ) ( )( )] Th ϕ = ( 1 + 2r lc l 2 2− 1 T h−T c 2 Th 38 + 4 l+ n Z Th l+ 2rl c , (55) dove Z = S 2 σ /λ è la figura di merito termoelettrica dei materiali che sintetizza in un valore le proprietà più importanti del materiale di interesse. Si può notare che per ottenere un coefficiente di conversione grande il modulo deve essere progettato con termoelementi lunghi. Se invece è richiesta una considerevole potenza per unità di area, la lunghezza dei termoelementi deve essere ottimizzata a valori relativamente piccoli. È chiaro quindi che il design ideale per un modulo termoelettrico è dettato dal compromesso tra la richiesta di un elevato coefficiente di conversione e/o elevata potenza in uscita. I parametri che compaiono nelle equazioni trattate possono essere raggruppati in tre categorie: • Specifiche: le temperature di lavoro T h e T c , la differenza di potenziale V, la corrente I e la potenza P in uscita. • Parametri dei materiali: le proprietà elettriche, termiche e termoelettriche σ , κ , S e le proprietà di contatto del modulo termoelettrico n ed r. • Parametri di design: la lunghezza l del singolo termoelemento, la loro sezione trasversale A ed il numero N di termocoppie. Le specifiche sono solitamente fornite dai committenti in funzione delle particolari richieste d'applicazione. I parametri dei materiali sono limitati dai materiali stessi correntemente disponibili e dalle tecnologie di fabbricazione. D'altro canto l'obbiettivo principale del design dei moduli termoelettrici è quello di determinare un set di parametri che rispondano alle specifiche, minimizzando al contempo i costi. Infine, come già fatto presente, notiamo che i moduli termoelettrici possono ad esmpio produrre refrigerazione quando questi siano utilizzati in modalità di funzionamento Peltier. Approfondiremo nel successivo paragrafo, attraverso una piccola indagine sperimentale, alcuni aspetti di tale modalità di funzionamento, riallacciandoci alla fisica di base delineata nel capitolo 1. 39 3.3 CARATTERIZZAZIONE DI UNA CELLA PELTIER Presenteremo in questo paragrafo una piccola indagine sperimentale il cui scopo è quello di determinare il coefficiente di Peltier π definito dalla equazione (2) del primo capitolo per un generatore termoelettrico adoperato nella modalità di funzionamento Peltier (cella ad effetto Peltier o CP). La struttura della CP è del tipo rappresentato in figura 7. La CP viene collegata ad un generatore di corrente costante, per effetto Peltier si ha sviluppo di calore ad una estremità mentre l'altra estremità si raffredda. Le piastre di ceramica comunicano direttamente con piastre più grosse di rame; in queste ultime opera il sistema informatico di acquisizione della temperatura attraverso dei rivelatori. In particolare, la estremità della CP che si riscalda è collegata ad un dissipatore con abbondante superficie di esposizione provvisto di una piccola ventola. Per la legge della calorimetria la (2) può essere scritta come*: Pt = dQ dt = π 12 I = c m dT dt , (56) dove c ed m sono il calore specifico e la massa delle piastre in rame, rispettivamente. Risolvendo la (56) si ha: T = T0 + π 12 I cm t . (57) Dalla (57) si evince che π può essere ricavato dalla pendenza della funzione che lega la temperatura al tempo. I dati sono stati raccolti per diversi valori di I. I risultati sperimentali sono riassunti nella figura 13. L'andamento lineare non è costante ma vale solo per i primi istanti. Ciò è attribuibile allo scambio termico fra rame e ambiente circostante. Siccome l'effetto Peltier è reversibile, l'analisi della parte calda o della parte fredda della cella è equivalente; analizzeremo perciò la seconda. * Si noti che la relazione (2) è valida se e solo se tutta la potenza prodotta dal sistema di termocoppie viene trasferita dalle lastre di ceramica a quelle di rame. 40 (a) (b) Fig. 13. Risultati sperimentali per la caratterizzazione della cella ad affetto Peltier. (a) Andamento della temperatura in funzione del tempo alla estremità calda e fredda della cella, con corrente pari a 1A. Quando la cella non è ancora alimentata (istanti iniziali) la temperatura delle due fasce coincide: è tutto in equilibrio termico (le linee orizzontali rosse e blu sono pressoché sovrapposte). Quando i blocchetti di rame si riscaldano o raffreddano per effetto Peltier, questi iniziano anche a scambiare calore con l'ambiente fin quando non raggiungono con esso l'equilibrio. La “ curva calda” si stabilizza prima di quella fredda; questo è dovuto alla conformazione del dissipatore stesso, costituito da molte lastrine di rame piane e parallele con superfici affacciate all'aria. (b) Andamento della temperatura in funzione del tempo alla estremità fredda della cella per valori diversi di I. Le curve corrispondenti a I = 4 e 5 A si stabilizzano a temperature maggiori di quelle attese confrontando le altre curve; questo può essere essenzialmente dovuto all'influenza del dissipatore. Quindi utilizzando unicamente i tratti lineari delle curve di figura 13b ricaviamo i valori di π (si indica a pedice il valore della intensità di corrente)*: π1A =9,145 V , π 2A=8,784 V , π3A = 7,419 V , π 4A = 6,596 V e π5A = 5,827 V . Il coefficiente di Peltier diminuisce al crescere della corrente. Questo non è conforme in linea di principio a quanto affermato nel capitolo 1. Questa circostanza è giustificata dal fatto che i rivelatori non prelevano temperature dovute unicamente all'effetto Peltier. * I coefficienti di Peltier riportati non sono provvisti di errori sperimentali in quanto, come si comprenderà a breve, costituiscono stime approssimative nelle quali è altresì presente il contributo dell'irreversibile Joule. 41 La presenza dell'effetto Joule (che dissipa potenze termiche positive) fa decrescere “ meno facilmente” la temperatura della estremità fredda della CP. Misure precise del coefficiente di Peltier possono essere fatte quando si riescano ad eliminare, in fase di conto, i contributi determinati dall'effetto Joule. Una possibile proposta sarebbe quella di includere il sistema in un apparato calorimetrico: per principio una CP ideale non dovrebbe nel complesso influenzare la temperatura del bagno calorimetrico in quanto tanto una parte si riscalda quanto l'altra si raffredda perciò le variazioni di temperatura generali sarebbero una misura diretta dell'effetto Joule. Questo esempio empirico rimarca la separazione concettuale fra reversibilità dell'effetto termoelettrico e irreversibilità dell'effetto Joule presentata nel capitolo 1 e fa inoltre comprendere come l'azione di quest'ultimo debba essere sempre comunque quantificata: non a caso la figura di merito termoelettrica Z (definita nell'equazione 55) dipende dalla conduttività elettrica σ . 3.4 TIPOLOGIE DI GENERATORI TERMOELETTRICI Durante la seconda guerra mondiale alcune tipologie di generatori termoelettrici venivano adoperate per alimentare i trasmettitori di comunicazione portatili. Tra il 1955 e 1965, gli sviluppi sostanziali prodotti nel campo dei materiali semiconduttori e nell'assetto dei contatti elettrici cominciarono a determinare una larga espansione del range di applicazione dei generatori termoelettrici. Si iniziò a progettare nuovi tipi di generatori basati su differenti metodologie di produzione dell'energia termica da essere convertita in energia elettrica. Oggigiorno si distinguono essenzialmente tre categorie di TEGs: generatori a combustibile fossile, generatori a combustibile nucleare e generatori a sorgente solare. I generatori a combustibile fossile utilizzano gas naturale, propano, butano, kerosene, legno o altri come sorgenti di calore. La potenza prodotta può andare dai 10 ai 100 W. Sono utilizzati in campi remoti di applicazione come ausili alla navigazione (navigational aids), raccolta dati e sistemi di comunicazione e protezione catodica (tecnica che evita la corrosione di metalli costituenti particolari condutture o strutture marine esposti ad ambienti elettrolitici). I generatori a sorgente nucleare utilizzano i prodotti di decadimento di isotopi radiativi per produrre le alte temperature che la sorgente di 42 calore del dispositivo termoelettrico necessita. Tali generatori forniscono una utile sorgente di potenza elettrica per molte applicazioni remote incustodite. I materiali termoelettrici usati in tali dispositivi sono immuni alla radiazione nucleare ed inoltre la sorgente è scelta in modo tale che il sistema permanga in funzione per un notevole periodo di tempo. I TEGs nucleari vengono ad esempio utilizzati in stazioni meteo isolate, per sostentare la raccolta di informazioni negli abissi oceanici, per vari sistemi di allarme e comunicazione e ancora per congegni spaziali. Inoltre, già nel 1970, un dispositivo termoelettrico a radio isotopi è stato sviluppato per alimentare i pacemakers cardiaci. Il range di potenza di tali dispositivi è compreso fra i 10−6 e i 100 W . Dedicheremo ai generatori termoelettrici solari l'intero successivo paragrafo. 3.4.1 GENERATORE TERMOELETTRICO SOLARE (STEG) I generatori a sorgente solare (STEGs) sono stati utilizzati con successo per alimentare piccole pompe di irrigazione in aeree remote e sottosviluppate del mondo, per fornire energia elettrica a veicoli spaziali in orbita. Costituiscono inoltre una parte integrante di sistemi di controllo termico TCS degli stessi veicoli spaziali. Uno STEG è composto da un collettore, da un generatore termoelettrico e da un dissipatore. Il flusso solare viene collimato sul generatore che provvede alla conversione dell'energia termica in elettricità. Esistono diverse tipologie di STEGs differenziate in base alla tipologia di collettore utilizzato. In figura 14 ne riportiamo quattro tipologie. L'efficienza dei sistemi STEG dipende dalla efficienza ottica e termica del collettore e dal fattore di merito Z dei materiali termoelettrici, può essere ottimizzata massimizzando il dislivello termico attraverso il TEG e/o riducendo le perdite di calore dal sistema e disponendo di materiali termoelettrici con un fattore di merito alto (formula 55). Nel 1950 Maria Telkes segnalò il raggiungimento di un importante traguardo sulla efficienza dello STEG, conseguendo il 3,35%. Questi risultati promettenti attrassero molti ricercatori all'utilizzo dei generatori termoelettrici per la conversione dell'energia termica solare. Purtroppo, ad oggi, non si registrano notevoli passi in avanti: il migliore risultato spe- 43 Fig. 14. Tipologie di generatori termoelettrici solari. Essi si differenziano in base al tipo di collettore utilizzato. Il collettore ha la funzione di collimare la luce solare su un estremo del TEG che verrà quindi riscaldato. La differenza di temperatura fra le due estremità determina, per effetto Seebeck, una corrente elettrica. rimentale per uno STEG registra una massima efficienza pari al 5%. La bassa efficienza di conversione rappresenta la barriera commerciale per questi dispositivi: altre tecnologie solar-electricity hanno efficienze molto più elevate (dati aggiornati al 2014 riportano efficienze “ di laboratorio” per le celle solari fotovoltaiche pari al 29%, quelle in commercio presentano invece efficienze comprese tra il 10-20%). I materiali più quotati per questa tecnologia sono leghe di Bi Te (nella fattispecie Bi 2 Te 3 e sue leghe Bi 2 Se 3 e Sb 2 Te 3 ; il bismuto e il tellurio sono elementi pesanti con bassa conducibilità termica e altre caratteristiche ideali per uno Z elevato), leghe di PbTe e PbSe (i composti al selenio crescono di importanza in quanto l'abbondanza di Se sulla terra è pari a 0.5 ppm, contro le 0.001 ppm del tellurio); skutteruditi (caratterizzati da una bassa conducibilità termica legata alla loro complessa struttura cristallina, sono rappresentati da M X 3 con M = Co, Rh o Ir e X = P, As o Sb), leghe di SiGe (possono essere utilizzati ad alte temperatura poiché hanno un bassissimo tasso di degradazione) ed infine leghe half heuslers (indicate talvolta con HH, presentano una elevata stabilità termica e sono caratterizzate da elevati coefficienti di Seebeck). Nonostante le efficienze piuttosto basse, la ricerca sugli STEG sta fiorendo sia dal punto di vista del loro design sia dal punto di vista dei materiali che accordano maggiori prestazioni, acquistando sempre più rilevanza nell'ambito delle risorse rinnovabili solari [18]. 44 Appendice A Giustificazione matematica delle relazioni fisiche più rilevanti POTENZA TRASFERITA AGLI IONI DEL RETICOLO, equazione 3 Si vuole caratterizzare il primo termine a secondo membro di tale equazione. Si consideri un conduttore sul quale viene applicato un campo elettrico E . Si consideri inoltre una carica e in modo in tale conduttore per effetto del campo elettrico. Se la singola carica e compie uno spostamento infinitesimo dl allora il lavoro compiuto dalla forza di Coulomb per tale spostamento è pari a dW = e E⋅ dl . Il lavoro complessivo fatto dalla forza di Coulomb per il trasporto di tutte le cariche contenute nell'unità di volume sarà allora W τ = n ( e E⋅ dl ) , dove n rappresenta appunto il numero di cariche e contenute nell'unità di volume. W τ Ha chiaramente le dimensioni di una densità di energia; per ottenere la densità di potenza P τ dividiamo W τ per l'intervallo di tempo infinitesimo dt nel quale avviene lo spostamento dl . Si ottiene quindi P τ = n ( e E⋅ vd ) = E ⋅ ( n e vd ) = E⋅ j (dove il secondo segno di uguale tiene conto della proprietà di omogeneità del prodotto scalare e il terzo della definizione del vettore densità di corrente); vd è la cosiddetta velocità di deriva dell'elettrone ( dl e dt assumono perciò la valenza di libero cammino medio elettronico e tempo di rilassamento elettronico, vedi appendice equazione 6). Per la legge di Ohm microscopica si ha j = σ E ; sostituendo alla densità di potenza si ottiene 2 P τ = j / σ , dove σ è detta conduttività e rappresenta una grandezza caratteristica del materiale (vedi appendice equazione 6). L'espressione trovata coincide col primo termine a secondo membro della equazione 3. In un conduttore metallico questa potenza viene trasferita tramite gli urti agli ioni del reticolo cristallino e in definitiva si ha una trasformazione di energia elettrica in energia interna del conduttore, con conseguente aumento di temperatura dello stesso e cessione di calore all'ambiente. 45 EFFETTO THOMSON, equazione 4 Partiamo inizialmente dall'equazione 3. Q̇ rappresenta il calore totale per unità di volume scambiato durante il tempo t (vedi equazione 3, qui su ricavata). Esso è costituito da due termini che ora suddividiamo per semplicità: QJ – il calore di Joule Q̇ J = – il calore di Thomson dV t Q̇ T = = QT dV t j x2 , σ = − μ jx dT ; dx dove si è considerato l'elemento di volume d V = dS dx ; applicando la definizione di densità di corrente ( j x = n e v d , vedi equazione 6), la seconda legge di Ohm (R = dx / σ dS) e il fatto che n è il numero di cariche per unità di volume, il calore di Joule diventa: QJ dV t = j x2 σ 2 2 2 d = n e v dS R dx = N2 (dS dx)2 e 2 dx 2 dS R t2 dx N 2 e2 R = dV t2 moltiplicando primo e secondo membro per dV t e definendo q = N 2 e 2 (carica totale che attraversa dS nel temp t) si ha: Q T = q2 R t . Procediamo anche per il calore di Thomson con la sostituzione di j x ed n: QT dV t = − μ jx dT dx = −μ N dV e dx dT t dx ⇒ Q T =−μ q dT Ponendo Q = Q J + QT si ricava la formula 4. CONDUTTIVITÀ ELETTRICA, equazione 6 Quando nel metallo è applicato un campo elettrico E ciascun elettrone acquista una accelerazione a = − e E / m , opposta al campo elettrico. Sia v(t) la velocità vettoriale casuale dell'elettrone subito dopo un urto e v(t + τ ) la velocità subito prima dell'urto successivo (è in questo “ tempo di rilassamento” τ che la forza elettrica manifesta i suoi effetti sull'elettrone). 46 L'accelerazione sarà allora data da: a = v(t + τ )− v(t ) v(t + τ) = v(t ) + a τ = v(t ) − ⇒ τ eE m τ Sia N il numero di urti subito dall'elettrone in un qualunque tempo di osservazione macroscopico (N molto grande). La velocità acquisita in media vd da ciascun elettrone in seguito a tale tempo di osservazione sarà: vd = ∑ v(t + τ) N = 1 N ∑ v(t ) − eE m τ dove la media non cambia il termine contenente il campo elettrico che è uguale per ogni elettrone, inoltre ∑ v( t) = 0 . L'acquisizione da parte di ogni elettrone della velocità di deriva vd determina una corrente elettrica il cui vettore densità di corrente è dato da j = −e n v d = n e2 τ E = σE ; m dove n è il numero di cariche per unità di volume, − e la carica dell'elettrone e l'ultima uguaglianza rappresenta la legge di Ohm microscopica. Osservando che τ = λ/v , si ricava immediatamente l'equazione (6). NUMERO DI LORENZ, equazione 8 Sia la conduttività elettrica σ = 2 n e2 λ mv (equazione 6, qui su ricavata) e Cel λ v la conducibilità termica (equazione 7). Si ricavi λ 3 dall'espressione di κ e si sostituisca nell'espressione di σ : sia κ = σ = n e2 3κ m v 2 C el v = 3 n e2 κ 2 m v2 C el . In un gas perfetto (monoatomico) l'energia interna è data da U = (3/ 2) N K T , dove N è il numero totale di particelle. Il lavoro attuato 47 sul sistema è quantificabile in termini di calore (il volume rimane costante). Il calore Q scambiato col sistema e la conseguente variazione di temperatura Δ T del sistema sono legati alla capacità termica a volume costante CV dalla seguente relazione: CV = Q/Δ T . La variazione di energia interna del sistema sarà Δ U = (3/ 2) N K Δ T = Q , dove l'ultima uguaglianza rappresenta il primo principio della termodinamica. Sostituendo si ha CV = (3 /2) N K . Considerando la capacità termica per unità di volume si ottiene C el = ( 3 / 2) n K , dove ora n rappresenta il numero di elettroni per unità di volume. Inoltre nel modello di gas ideale considerato si ha 2 m v = 3 K T . Sostituendo nell'espressione di σ : σ = n e2 κ 2 3 3KT 3 2 = nK e2 κ 3 T K2 ; Ponendo L = κ /σ T , numero di Lorenz, segue direttamente la formula 8. PROBLEMA DI SCHRÖDINGER PER LA BUCA DI POTENZIALE CUBICA A PARETI INFINITE, equazione 10 Il potenziale V è espresso da: { V ( x , y , z) = 0 se x , y , z sono tutte comprese tra 0 ed L ∞ altrimenti Risolviamo l'equazione di Scrödinger non dipendente dal tempo, all'interno della buca: − ℏ2 2 ∇ ψ + V ψ= E ψ ⇒ 2m − 2 2 2 ℏ2 ∂ ψ ∂ ψ ∂ ψ + + =Eψ 2 m ∂ x2 ∂ y2 ∂ z2 ( ) ψ(x , y , z ) è la funzione d'onda della particella libera, che deve essere nulla fuori dalla buca (in questa approssimazione gli elettroni non possono uscire dal solido). Applichiamo la separazione delle variabili per cui ψ(x , y , z )= 48 = X (x) Y ( y ) Z ( z) e dividiamo primo e secondo membro per 2 −ℏ ψ: 2m 1 ∂2 X 1 ∂2 Y 1 ∂2 Z 2mE + + =− 2 ; 2 2 2 X ∂x Y ∂y Z ∂z ℏ E deve essere necessariamente maggiore o al più uguale a zero [19], allora i tre termini a primo membro (funzioni di variabili distinte) soddisfano l'equazione quando sono costanti negative, ovvero: 2 2 2 − k x − k y − kz = − 2m E ℏ2 2 ⇒ E = ( k x + k 2y + k 2z ) 2 2 m ℏ L'equazione differenziale alle derivate parziali si scompone in un set di tre equazioni alle derivate ordinarie. Ad esempio: d2 X 2 = − k x X ⇒ X ( x) = A x sin(k x x ) + B x cos(k x x ) 2 dx e analogamente per le altre componenti. Imponendo le condizioni al n π contorno: X (0) = X (L)= 0 troviamo che B x = 0 e k x = x (dove L n x = 1,2,3... ) e così anche per le altre componenti. La soluzione dell'equazione e l'espressione per le energie sono: ψ(x , y , z )= A x A y A z sin ( nx π n π n π x sin y y sin z z L L L ) ( ) ( ) 2 E = ℏ π2 2 2 2 k + k y + k z) 2 ( x 2m L ∞ Imponendo la condizione di normalizzazione ricava semplicemente che A = Ax A y Az = 2 L () 2 ∣ψ( x , y , z)∣ dx dy dz ∫ −∞ 3 2 3 /2 = 2 , dove V è il volume V 1 /2 generico della “ scatola” indipendente dalla particolare forma scelta. 49 = 1 si DENSITÀ ELETTRONICA, equazione 11 Partiamo dall'ipotesi (discussa nella equazione 10) che gli elettroni siano confinati entro una “ scatola” quantistica di spigolo L. Le energie a loro disponibili sono date dalla (10). Sia n2 = n2x + n 2y + n 2z e consideriamo che questo sia il modulo quadro di un vettore n definito in uno spazio astratto determinato dalle componenti n x , n y , n z . In tale spazio ogni punto individuato dal vettore n con n x , n y , n z = 1, 2, 3... rappresenta un possibile stato. Allora il numero di stati “ contenuti” in un volume V di tale spazio corrisponde esattamente al valore del volume. Si consideri ora un volume sferico definito da un raggio vettore n generico, calcolandone il volume di un ottante (solo un ottante è caratterizzato da n x , n y , n z = 1, 2, 3...) si ricava il numero di stati compresi tra E(n x =1, n y =1,n z =1) ed E(n x , n y ,n z ) : N (E) = 14 3 π n = π n3 ; 83 6 dalla equazione (10) ricaviamo: n = L ( 2mE 2 2 ℏ π 1/ 2 ) ; sostituendo ad N(E) abbiamo: N (E) = 14 3 2m E π n = π L3 2 2 83 6 ℏ π ( 3/ 2 ) = 8Vπ ( 2m3 )1/ 2 E 3/ 2 ; 3 h3 Differenziando la precedente equazione si trova il numero di stati compresi nell'intervallo energetico (E, E+dE): dN = 4 πV (2 m3 )1/ 2 E 1/ 2 dE . 3 h Per il principio di Pauli è possibile accomodare al massimo due elettroni in ciascun stato con spin antiparallelo. Allora il numero di elettroni per unità di volume aventi energia compresa nell'intervallo (E, E+dE) è: dn = 2 dN 8π = 3 ( 2m3 )1/ 2 E1 /2 dE . V h Da cui discende direttamente la relazione (11) avendo posto la densità elettronica g(E) = dn/dE. 50 ENERGIA DI FERMI ALLO ZERO ASSOLUTO, equazione 12 Siccome il numero totale di elettroni per unità di volume n0 che possono essere accomodati sui diversi livelli è univocamente determinato allora questi potranno essere sistemati fino al raggiungimento di un valore massimo dell'energia E F (energia di Fermi). Sfruttando l'espressione per la densità di elettroni si ha: EF EF 1 /2 2 8π 8π n0 = ∫ g(E)dE = 3 (2m3 )1/ 2 ∫ E 1/ 2 dE = 3 ( 2 m3 ) E3F/2 3 h h 0 0 Ricavando, da questa, E F si ottiene l'equazione (12). ENERGIA INTERNA DI UN GAS QUANTISTICO DI ELETTRONI LIBERI ALLO ZERO ASSOLUTO, equazione 15 L'energia cinetica totale di dn elettroni contenuti nell'unità di volume) aventi energia E è pari a: E dn = 8π (2 m 3)1 /2 E3 /2 dE ; 3 h dove si è fatto uso dell'espressione per dn ricavata per l'equazione 11. Integrando per tutti i possibili valori di energia (ovvero tra 0 ed E F ) si ottiene l'energia cinetica totale del sistema. Essendo gli elettroni liberi, l'energia potenziale è nulla (vedere derivazione equazione 10) perciò l'energia interno coincide U coincide con l'energia cinetica totale: EF EF 8π 3 ∫ E dn = h3 (2 m3 )1/ 2∫ E 3/ 2 dE = 5 n 0 EF ; 0 0 che corrisponde all'equazione 15. STIMA DEL NUMERO DI PORTATORI INTRINSECI IN UN SEMICONDUTTORE, equazione 18 Consideriamo la distribuzione di Fermi Dirac data dall'equazione (13). 51 Sappiamo che il livello di Fermi in un semiconduttore intrinseco è disposto a metà della gap proibita fra banda di valenza e banda di conduzione. Se l'energia degli elettroni promossi in banda di conduzione è sufficientemente distante da E F ovvero E − E F ≫ KT la distribuzione di Fermi Dirac è ben approssimata da quella di Boltzmann e si ha: ( p(E)≈ exp − Eg ; 2kBT ) dove E g = 2(E−EF ) è l'ampiezza in energia della gap proibita. La maggior parte degli elettroni promossi si trovano in un intervallo energetico dell'ordine di 2 k B T sopra l'estremo inferiore della banda di energia. Una buona stima della densità elettronica è, in queste circostanze, g(k B T ). Il numero degli elettroni N i in banda di conduzione (o equivalentemente di lacune in banda di valenza) è dell'ordine di: ( N i ≈ exp − Eg g(k B T ) 2 k B T . 2 k BT ) 52 Appendice B Sul coefficiente di Seebeck Il coefficiente S(T ) della relazione (1) del capitolo 1 rappresenta il potere termoelettrico ovvero la variazione di forza elettromotrice in una coppia termoelettrica per variazione unitaria di temperatura. Per variazione finita di temperatura si ha: T2 θ12 = ∫ S(T ) dT T1 Per il calcolo dell'integrale è necessario conoscere l'espressione funzionale di S(T). Per un buon numero di termocoppie e per intervalli anche abbastanza ampi di temperatura S (T ) è descritta da una semplice relazione lineare del tipo: S(T ) = α + β T Per un'altra classe di termocoppie e per intervalli limitati di temperatura, si ha che il coefficiente β è molto piccolo e il potere termoelettrico può essere considerato costante. Il calcolo dell'integrale, sostituendo S (T ), porta a: θ12 = α (T 2 − T 1 ) + 1 2 β (T 2−T 1 )2 Questo risultato può essere verificato sperimentale con una termocoppia ferro-rame che permette, grazie alle proprietà dei materiali che la costituiscono, la costruzione di una curva θ(Δ T ) completa. Per ricavare i valori di α e β sono necessari almeno due punti sperimentali. Una saldatura della termocoppia va disposta all'interno di un forno che permetta la regolazione graduale della temperatura, l'altra in un dewar con del ghiaccio. Attraverso dei sistemi di misurazione è possibile determinare la forza elettromotrice di Seebeck e rappresentarla quindi in funzione della differenza di temperatura fra le saldature della termocoppia. Vedremo θ 53 inizialmente crescere con Δ T , raggiungere un massimo e successivamente decrescere, il tutto con andamento parabolico. Un modo per determinare in maniera sufficientemente accurata la temperatura è quella di disporre la saldatura “ calda” all'interno di un opportuno crogiolo nel quale siano disposti due metalli (in due diverse nicchie) il cui punto di fusione sia contenuto nel range di temperatura a dominio della curva θ(Δ T ) (ad esempio indio che fonde a 156,60 °C e piombo che fonde a 327,46 °C). La saldatura deve essere disposta in modo tale da essere in equilibrio termico con entrambi i metalli: quando uno dei due elementi inizia a fondere sottrae calore e la temperatura in esso rimane costante (la parabola θ( Δ T ) presenta un tratto orizzontale in quanto non si registra variazione di temperatura) nonostante il riscaldamento continui (calore latente di fusione). Registrando i valori di θ nei pressi di questi tratti orizzontali si ottengono i punti sperimentali che possono essere utilizzati per ricavare α e β . Una volta nota la precisa dipendenza funzionale, la termocoppia potrà essere utilizzata per misure indirette di temperatura. 54 BIBLIOGRAFIA [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7] [8] [9] [10] [11] [12] [13] [14] [15] [16] [17] T. J. Seebeck, Magnetische polarisation of metals and minerals. Abhandlungen der Deutschen Akademie der Wissenschaften zur Berlin, 1825. H. Oersted, “ Notiz von neuen elektrisch-magnetischen verfuchen” , Ann. Phys.Chem., 1823, P.430-432. J.Fourier, H. Oersted, “ Sur quelques nouvelles experiences thermoelectriques” , Ann.Chim. Phys., 1823, P.375-389. Nuova memoria sull’ elettricità animale. Divisa in tre lettere diretta al signor Abate Anton Maria Vassali, proffessore di fisica nella R. Università Torino. 1794-1795. // А. Galvani, А. Volta, Selected works on the animal electricity, Publ. by Institute for Experimental Medicine of Russia, M.-L.: OGIZ, 1937. R.I. Kushnir, Research on the discovery of thermoelectricity by Volta. Diploma paper, Chernivtsi University, 2003. D.K.C MacDonald. Thermoelecricity (Dover Publications, New York, 2006). C. Kittel. Introduction to solid state physics (John Wiley & sons, 5th edition, New York, 1976, pag 143). R. Eisberg, R.Resnick. Quantum physics (John Wiley & sons, 2nd edition, New York, 1985, Appendix C). Luciano Colombo. Elementi di struttura della materia (Hoepli, Milano, 2002). D. Sette Quaderni di fisica II (Libreria eredi Virgilio Veschi, Roma, 1964). C. Kittel. 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Luciano Colombo per avermi seguito durante la stesura della tesi. Ringrazio i miei genitori per tutto il sostegno dedicatomi in questi anni (e per il sicuro finanziamento del viaggio a Milano post-laurea!). Ringrazio i miei cari zii Miranda, Franco e Gabriele per il multiforme supporto datomi. Infine ringrazio la musica e tutte le persone che mi vogliono bene a cui è dedicato il presente lavoro. 57