Tesi di Laurea 2015

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI
Facoltà di Scienze
Corso di Laurea in Fisica
Principi fisici della termoelettricità
Relatore:
Prof. Luciano Colombo
Tesi di laurea di
Cristiano Malica
Anno Accademico 2014-2015
A chie bene mi cheret
Presentazione
Il presente lavoro di tesi è suddiviso in quattro parti. L'introduzione, di
carattere storico, verte sulla analisi dei possibili pionieri della
termoelettricità. Il primo capitolo vuole presentare la termoelettricità
come teoria fenomenologica, provvisto delle cognizioni fisiche necessarie a
comprenderla. Nella terza parte viene trattata in maniera formale la base
della teoria del trasporto elettronico, fondata sulla equazione di
Boltzmann, che permette una spiegazione sistematica dei parametri
termoelettrici fondamentali. Infine, nel terzo capitolo, vengono presentate
alcune applicazioni della termoelettricità di notevole importanza
tecnologia. Il tutto è completato da due appendici di approfondimento;
nello specifico, l'appendice A, vuole proporre una verifica matematica delle
relazioni fisiche (quelle indicate in rosso) adoperate nel primo capitolo.
Indice
Introduzione
Sulla scoperta della termoelettricità
1.
Teoria fenomenologia della termoelettricità
1.1
1.2
1.3
1.4
2.
Effetto Volta
Seebeck e Peltier
Equazione fondamentale della termoelettricità
Proprietà degli elettroni nei solidi
1.4.1 Il modello di Drude
5
5
5
10
10
1.4.2 Distribuzione di Boltzmann e Fermi-Dirac
12
1.4.3 Modello a bande e semiconduttori
16
1.5 Fisica degli effetti termoelettrici
20
1.6 Le relazioni di Lord Kelvin
22
1.7 Stima dei parametri termoelettrici
1.7.1 Metalli
1.7.2 Semiconduttori
25
26
27
Non equilibrio ed equazione di Boltzmann
2.1 L'equazione di Boltzmann
3.
1
29
Applicazioni della termoelettricità
3.1
3.2
3.3
3.4
Generatore di potenza termoelettrico
Modulo termoelettrico
Caratterizzazione di una cella Peltier
Tipologie di generatori termoelettrici
3.4.1 Generatore termoelettrico solare (STEG)
Appendice A
Appendice B
Giustificazione matematica delle relazioni
fisiche più rilevanti
Sul coefficiente di Seebeck
35
36
40
42
43
45
53
Bibliografia
55
Ringraziamenti
57
Introduzione
SULLA SCOPERTA DELLA TERMOELETTRICITÀ
È ancora molto diffusa l'opinione che la termoelettricità sia stata
scoperta dal fisico estone Seebeck. Ricerche storiche più approfondite
scartano questa ipotesi e stabiliscono che lo scopritore indiscusso sia il
comasco Alessandro Volta.
La termoelettricità allude, in estrema sintesi, alla conversione di
energia termica in elettricità. Seebeck non condusse nessuna ricerca
intenzionale in questo campo ma bensì indagava sulle possibili cause
generatrici del campo magnetico terrestre. Egli era convinto che
quest'ultimo fosse connesso ad anomalie di temperatura sulla superficie
terrestre. I suoi esperimenti vertevano sulla creazione di differenze di
temperatura in diversi materiali e, con l'ausilio di un ago magnetico,
verificava la possibile e conseguente instaurazione di un campo magnetico;
egli rivelò quest'ultimo quando due conduttori diversi venivano disposti a
contatto a formare un circuito chiuso (figura 1, figura 4a). Nel 1821
Seebeck sottoscrisse la sua scoperta alla accademia delle scienze di
Berlino e chiamò l'effetto da lui osservato, termomagnetismo [1].
Fig. 1. Dispositivo di Seebeck per osservare l'effetto termomagnetico. Seebeck ricercava il
possibile legame tra calore e magnetismo; ipotizzava che il campo magnetico terrestre
potesse essere dovuto alla distribuzione non omogenea della temperatura sulla superficie
della Terra e ricercava le possibili giustificazioni.
1
Fig. 2. Generatore termoelettrico di Oersted e Fourier. Nei bicchieri 1 è presente il
ghiaccio fondente. I 2 rappresentano delle fonti di calore. Le giunzioni tra i due diversi
conduttori sono quindi mantenute a temperature diverse, il dislivello termico genera
elettricità.
Il fisico danese Oersted, avendo ben studiato gli esperimenti di
Seebeck, ne stabilì la natura elettrica anziché magnetica. Assieme al
francese Fourier costruì il primo generatore termoelettrico (figura 2). Nel
1823 presentò i sui lavori al convegno dell'Accademia delle scienze francese
([2], [3]) e propose altresì un nome più adeguato al fenomeno,
termoelettricità.
Nel suo libro “ Storia della Fisica” M. Laue [4] osserva che nel
periodo iniziale dello sviluppo della fisica, gli scienziati annunciavano e
presentavano le proprie scoperte e descrizioni nei loro libri o nelle loro
lettere rivolte ad altri studiosi. Fu così che successe con gli esperimenti di
Alessandro Volta. Egli, nel 1794-1795 scrisse all'Abate Anton Maria
Vassali professore di fisica nella R. Università di Turino (Torino) tre
lettere intitolate “ Nuova memoria sulla termoelettricità animale” [4].
Nella prima delle tre lettere Volta descrive la seguente esperienza:
“ Fatto dunque un arco di un grosso filo di ferro crudo ed elastico, provava se
intingendo i suoi due capi ne' due bicchieri d'acqua, in cui pescava una rana
puntualmente e di fresco preparata*, cioè colle gambe posteriori in uno, col dorso
o colla spina vertebrale (se questa sola era rimasta) nell'altro, mi riuscisse di farla
*scorticata e sventrata (come Volta stesso spiega all'inizio della lettera).
2
convellere e saltare; e sulle prime per lo più mi riusciva infatti, cioè per due, tre,
quattro volte; a capo però di qualche minuto non più; e debbo dire anche che
procuratimi diversi archi di ferro, ne incontrai più d'uno, che non facea niente
neppur da principio. Lo stesso mi avvenne con alcuni archi d'argento, e con alcuni
d'ottone, che trovai inefficaci ad ogni prova. V'è dunque tutta la ragione di
credere, che questi inetti riuscissero, giusto per essere in ambe l'estremità
perfettamente eguali di tempera, e in tutto; e perciò equipollenti: il che non era
degli altri; siccome cosa che difficilmente e rare volte accader dee, che incontrisi
cioè un eguaglianza veramente e di tutto punto compita. Or dunque trovato, con
saggiarne molti, uno di tali archi di ferro, che non facesse nulla neppur da
principio, ed altre volte aspettato che fosse indebolita la rana, e resa non più
eccitabile da uno di quegli altri valevoli sulle prime a commoverla (il che succede
ben presto), tuffava nell'acqua bollente un capo di tal arco per qualche mezzo
minuto, indi trattolo fuori, e senza darli temo di raffreddarsi, ritornava
all'esperienza sopra i due bicchieri d'acqua fresca: ed ecco la rana a bagno si
convelleva; e ciò anche due, tre, quattro volte, ripetendo la prova; finchè
raffreddata per tali immersioni più o meno durevoli e ripetute, o per una più
lunga esposizione all'aria, l'estremità del ferro intinta già nell'acqua calda,
ritornava codesto arco inetto del tutto ad eccitare le convulsioni dell'animale” .
L'analisi della descrizione di questo esperimento (e del prosieguo del
documento [4]) conduce alle seguenti importanti conclusioni:
•
A. Volta organizzò i suoi esperimenti deliberatamente tenendo ben
presente la comparsa di elettricità derivante da differenze di
temperatura. Questo differenzia gli esperimenti di Volta da quelli di
Seebeck il quale addirittura rigettò, in prima battuta, la natura
elettrica dell'effetto termomagnetico da lui scoperto.
•
A. Volta scoprì immediatamente e direttamente l'origine della
termoelettricità a differenza di Seebeck, il quale osservò gli effetti
magnetici prodotti dalla corrente termoelettrica.
•
Le osservazioni di Volta hanno luogo 27 anni prima di quelle che
Sebeeck fece per il termomagnetismo.
Alla luce delle considerazioni fatte Volta ha, a tutti gli effetti,
assoluta priorità nell'essere considerato pioniere della termoelettricità.
Inoltre, si conosce esattamente la data della lettera, di cui l'estratto di
3
(a)
(b)
Fig. 3. (a) Schema dell'esperimento di Alessandro Volta che condusse alla scoperta della
termoelettricità. Due bicchieri B sono riempiti di acqua dove sono immerse le estremità di
un arco in ferro; C e D rappresentano le parti anteriore e posteriore della rana. (b) Placca
commemorativa affissa nel Tempio Voltiano a Como (2005).
sopra, inviata all'Abate Vassali: 10 Febbraio 1797, che può essere
considerata come la data della scoperta della termoelettricità.
Nel 2003 al Dipartimento di Termoelettricità dell'Università
Nazionale di Chernivtdi (Ucraina) sono stati realizzati gli esperimenti di
Volta riproducendo, quanto più possibile, le medesime condizioni da lui
descritte. Naturalmente la rana di fresco preparata è stata sostituita da
un voltmetro molto sensibile (risoluzione 10−7 V); i risultati ottenuti sono
conformi alle descrizioni di Volta [5].
Gli esperimenti di Volta e le altre opere pubblicate su questi sono
state presentate all' XI Forum Internazionale sulla Termoelettricità;
successivamente l'Accademia Internazionale di Termoelettricità ha
raccomandato alla comunità termoelettrica mondiale di riconoscere
ufficialmente lo scienziato italiano Alessandro Volta come lo scopritore
della termoelettricità.
4
Teoria fenomenologica
della termoelettricità
1.1
1
EFFETTO VOLTA
Alcune celebri esperienze di Alessandro Volta mostrarono che fra due
metalli diversi posti a contatto esiste una differenza di potenziale che non
dipende dalla forma e dall'area della zona di contatto ma solo dalla natura
dei conduttori. Il fenomeno fisico per il quale si origina questa differenza
di potenziale di contatto è chiamato effetto Volta la cui scoperta è da
collocarsi temporalmente nella seconda metà del 1700. Questi esperimenti
determinarono inoltre che: nel caso di una catena di conduttori diversi, la
differenza di potenziale ai suoi estremi dipende esclusivamente dalla
natura dei metalli terminali, in particolare se i due metalli sono uguali
non si manifesta alcuna differenza di potenziale; un circuito chiuso
formato da due distinti conduttori e mantenuto a temperatura uniforme si
trova in equilibrio elettrico ovvero non è possibile utilizzare la differenza
di potenziale dovuta all'effetto Volta per farvi passare una corrente, le
stesse proprietà continuano a valere per un circuito isotermo costituito da
più di due metalli.
La situazione cambia quando viene rotto o l'equilibrio termico,
stabilendo una differenza di temperatura fra due punti, oppure l'equilibrio
elettrico forzando una corrente attraverso il circuito; tali condizioni di non
equilibrio portano alla comparsa di particolari effetti termoelettrici.
1.2
SEEBECK E PELTIER
Si supponga di realizzare un circuito bimetallico e di mantenere le
giunzioni fra i metalli ad una differenza di temperatura Δ T (figura 4a):
è possibile osservare, per esempio ponendo nelle vicinanze un ago
magnetico, che una corrente termoelettrica è “ spinta” nel circuito da una
forza elettromotrice dovuta al gradiente termico più propriamente detta
forza termoelettromotrice; il fenomeno viene chiamato effetto Seebeck
(1821). Determinazioni quantitative possono essere fatte disponendo le
5
Fig. 4. Circuiti termoelettrici basilari. (a) Circuito chiuso. Se 1 e 2 sono differenti metalli
conduttori allora nel circuito fluisce una corrente termoelettrica. (b) Circuito aperto. Se 1
e 2 sono due distinti metalli la differenza di potenziale tra i punti A e D è proporzionale a
Δ T se Δ T / T ≪ 1 . (c) Catena termoelettrica. La differenza di potenziale V A − V D
fra gli estremi aperti della catena definisce la forza elettromotrice termoelettrica θ12 di
Seebeck.
cose come in figura 4b, inserendo fra i punti A, B
del
circuito
originario un misuratore di forza elettromotrice (si noti che, in base
alle osservazioni fatte al paragrafo 1.1, se i due metalli terminali del
dispositivo sono gli stessi e se i punti A e B si trovano alla stessa
temperatura, nessuna nuova forza elettromotrice viene introdotta dal
misuratore nel circuito). In maniera più generale dati due conduttori
metallici 1, 2 le cui giunzioni si trovano ad una differenza di temperatura
ΔT , si definisce forza termoelettromotrice o forza elettromotrice di
Seebeck θ la differenza di potenziale ( V A − V D ) fra gli estremi aperti
della
catena
tenuti
alla
stessa
6
temperatura T 0 ; tale
valore
è
indipendente da T 0 (figura 4c).
Per piccole variazioni di temperatura dT la corrispondente
variazione di forza elettromotrice dθ soddisfa la seguente relazione:
dθ = S(T ) dT ;
(1)
il coefficiente S(T ) , la cui dipendenza dalla temperatura è resa
esplicita, esprime la forza elettromotrice di Seebeck per grado di differenza
di temperatura ed è anche chiamato potere termoelettrico.
Un oggetto del tipo schematizzato in figura 4b e 4c è chiamato
termocoppia o coppia termoelettrica. La termocoppia può ad esempio essere
utilizzata per effettuare misure di temperatura a condizione che sia nota
la relazione che lega la forza elettromotrice di Seebeck alla temperatura.
La relazione (1) verrà sviluppata nell'appendice B ove sarà inoltre
presentata la procedura sperimentale per la taratura di una termocoppia
ferro-rame in vista del suo utilizzo come misuratore di temperatura.
Nel 1834 Peltier, orologiaio francese, scoprì che facendo passare una
corrente attraverso la giunzione di due distinti conduttori tenuta a
temperatura costante viene assorbito o liberato, secondo il verso della
corrente, del calore in aggiunta a quello prodotto per effetto Joule. Questo
processo termico è chiamato effetto Peltier (figura 5) e deve essere distinto
con attenzione dall'effetto Joule. Quest'ultimo avviene in tutti i conduttori
(eccetto i superconduttori) quando in essi fluisce una corrente elettrica e
dipende dal quadrato della densità di corrente (vedi appendice, equazione
3): questo significa che il calore legato all'effetto Joule è
indipendentemente dal verso della corrente sempre ceduto dal sistemaconduttore all'ambiente; l'effetto Joule è quindi un fenomeno irreversibile.
Per descrivere quantitativamente l'effetto Peltier si può misurare la
potenza termica, cioè la quantità di calore scambiata in un secondo ad una
giunzione; si trova che essa è proporzionale all'intensità di corrente I e può
porsi nella forma:
Pt =
ΔQ
Δt
= π 12 I ,
(2)
dove π rappresenta il coefficiente di Peltier relativo alla coppia di metalli;
esso dipende dalla temperatura della giunzione e dai materiali ma non
7
Fig. 5. Effetto Peltier. Sono mostrati due conduttori 1 e 2 interconnessi mediate una
giunzione. Se in questa viene forzata una corrente elettrica allora si ha uno sviluppo od
assorbimento di calore a seconda della direzione di I. La quantità di calore scambiata nel
tempo è proporzionale ad I e dipende altresì dalla temperatura della giunzione.
dalle caratteristiche geometriche del contatto e dall'intensità di corrente.
Si osservi che il coefficiente di Peltier ha le dimensioni di una forza
elettromotrice, spesso è anche indicato come forza elettromotrice Peltier. Se
il verso della corrente viene invertito la potenza non varia in modulo ma
cambia segno ovvero π12 = − π 21 : l'effetto Peltier è un fenomeno
reversibile. Le forze elettromotrici di Peltier sono in genere dell'ordine del
mV.
1.3 EQUAZIONE FONDAMENTALE DELLA TERMOELETTRICITÀ
William Thomson tentò inizialmente di mettere in relazione le
grandezze definite nelle formule (1) e (2) ma con risultati deludenti, non in
accordo con le evidenze sperimentali. Successivamente (1851) egli concluse
che doveva esistere un ulteriore effetto termoelettrico non ancora preso in
considerazione il quale fu postulato con considerazioni termodinamiche,
oggi chiamato effetto Thomson.
Si consideri un qualsiasi conduttore attraversato da una corrente
elettrica che non si trovi all'equilibrio termico, sia ad esempio instaurato
in esso un gradiente di temperatura (figura 6). Si hanno due effetti
termici: il primo, effetto Joule, non dipende dal verso della corrente e
corrisponde sempre ad energia dissipata, cioè a quantità di calore
sviluppata con conseguente aumento della temperatura dei punti
intermedi del conduttore. Il secondo è dovuto alla presenza del gradiente
di temperatura e dipende dal particolare conduttore. Nei conduttori
Thomson-positivi questo secondo effetto corrisponde a calore assorbito
(negativo) se la corrente ha lo stesso
8
Fig. 6. Calore di Thomson. Una corrente elettrica di densità J x fluisce in un conduttore
caratterizzato da un gradiente di temperatura. In aggiunta al riscaldamento per effetto
Joule si ha assorbimento o liberazione di calore attraverso il conduttore in dipendenza
dalla relativa direzione di J x e dT / dx . Il calore di Thomson assorbito o liberato è
direttamente proporzionale in modulo al prodotto J x (dT / dx ) e dipende dalla
temperatura del conduttore. Se il conduttore considerato ha μ(T ) > 0 l'immagine
caratterizza un assorbimento di calore.
verso del gradiente termico, altrimenti corrisponde a energia termica
liberata nell'ambiente (calore positivo).
Si supponga per semplicità che il vettore densità di corrente abbia
solo la componente x non nulla e che il gradiente di temperatura sia lungo
tale direzione e abbia verso concorde a quello della corrente (figura 6),
allora il calore netto prodotto nel conduttore per unità di volume e per
unità di tempo è dato da:
Q̇ 1 =
j x2
σ
− μ (T ) j x
dT
dx
.
(3)
L'equazione (3) può considerarsi come la equazione fondamentale della
termoelettricità. Il primo termine a secondo membro, dipendente dal
quadrato della densità di corrente, si riconduce all'effetto Joule (vedi
appendice, equazione 3) mentre il secondo termine, segno compreso,
dipendente linearmente dalla densità di corrente e dal gradiente di
temperatura, è direttamente dovuto all'effetto Thomson. Il coefficiente
μ (T ) , la cui dipendenza dalla temperatura del conduttore è resa
esplicita, ha le dimensioni di una differenza di potenziale su temperatura
ed è chiamato coefficiente di Thomson; i conduttori che abbiamo chiamato
9
Thomson-positivi hanno μ (T ) positivo (figura 6). D'altra parte
chiameremo conduttori Thomson-negativi quelli caratterizzati da un
μ (T ) negativo.
Risulta particolarmente istruttivo e interessante scrivere la (3) in
termini della carica complessiva q trasportata nel tempo t attraverso una
sezione di un conduttore di resistenza R sotto una piccola differenza di
temperatura Δ T . Ciò che si ottiene è (vedere appendice, equazione 4):
Q =
q2 R
t
− μ (T ) q Δ T
(4)
dove Q è il calore scambiato nei pressi di questa sezione nel tempo t.
Quindi se della carica elettrica q si muove attraverso il circuito, la
quantità di calore Q, liberato o assorbito, dipende dalla velocità con la
quale q è trasportata. Infatti per t sufficientemente grandi il termine di
Joule a secondo membro diverrà trascurabile rispetto al termine di
Thomson. La relazione (4) ci permette altresì di definire il coefficiente di
Thomson in una maniera più elegante: esso rappresenta il calore assorbito
per unità di carica positiva, sotto una differenza di temperatura unitaria
quando tale carica sia trasportata in maniera sufficientemente lenta nella
direzione di aumento della temperatura. In riferimento a questa
definizione chiameremo alternativamente il coefficiente di Thomson
μ (T ) , calore di Thomson (in ossequio a D. K. C. MacDonald [6]).
1.4 PROPRIETÀ DEGLI ELETRONI NEI SOLIDI
Questo paragrafo vuole disporre le basi fisiche essenziali per la
spiegazione degli effetti termoelettrici descritti nei primi paragrafi
attraverso il riassunto dei concetti fondamentali riguardanti le proprietà
degli elettroni nei solidi.
1.4.1 IL MODELLO DI DRUDE
Prima di procedere con la presentazione di tale modello fisico è
doveroso introdurre due grandezze fondamentali alle quali la teoria di
Drude rende piena giustificazione. Esistono due metodi, concettualmente
molto semplici, per investigare le proprietà elettriche dei conduttori.
10
Possiamo applicare un campo elettrico e misurare la corrente risultante in
assenza di gradienti termici, sotto siffatte condizioni il rapporto fra
densità di corrente e campo elettrico definisce la conduttività elettrica σ
del particolare conduttore (esattamente la stessa che compare
nell'equazione (3) nel termine di Joule). D'altra parte si potrebbe applicare
un gradiente di temperatura e misurare il flusso di calore risultante in
assenza di campi elettrici, allora il rapporto tra flusso di calore (quantità
di calore trasmessa per unità di tempo nell'unità di superficie) e gradiente
di temperatura definisce la conducibilità termica κ del materiale.
Nel 1900, tre anni dopo la scoperta dell'elettrone, Drude pubblicò la
sua teoria della conduzione elettrica il cui assunto base rappresenta il
metallo conduttore come costituito da una assemblea tridimensionale
ordinata di atomi fissi (reticolo cristallino) permeata da un “ gas di
elettroni liberi” . Egli assunse che gli elettroni si muovono nel metallo in
modo completamente disordinato interagendo con gli atomi del reticolo:
tra un urto e il successivo il moto è libero e la traiettoria rettilinea,
cosicché la traiettoria di ciascun elettrone è costituita da una successione
di segmenti rettilinei, con direzione e lunghezza variabili. Lo spazio
percorso dall'elettrone tra un urto e quello successivo è chiamato cammino
libero medio elettronico e indicato con λ . L'insieme delle traiettorie è
completamente casuale e non si ha un flusso netto di carica, cioè una
corrente, in nessuna direzione. Drude assunse inoltre che se viene
applicato un campo elettrico E l'elettrone fra due urti successivi obbedisce
all'equazione del moto di Newton:
m
dv
dt
= −eE
(5)
dove − e ed m e v sono rispettivamente la carica, la massa e la
velocità (casuale) dell'elettrone. Dalle assunzioni fatte si ricava la
seguente espressione per la conduttività elettrica:
σ =
n0 e 2 λ
mv
(6)
dove n0 rappresenta la densità di elettroni e v il modulo della velocità
casuale dell'elettrone nel metallo subito dopo un urto (appendice,
11
equazione 6). Corrispondentemente Drude ricavò la seguente relazione per
la conducibilità termica κ del gas di elettroni:
2
κ =
Cel λ v
3
(7)
dove con C el si denota la capacità termica classica a volume costante per
unità di volume attribuita agli elettroni [7] (si noti che il fattore 2 tiene
conto del principio di esclusione di Pauli). Dalle precedenti relazioni e
assumendo che il gas di elettroni si comporti come un gas ideale, Drude
ricavò la predizione teorica del cosiddetto numero di Lorenz L:
L =
κ
σT
= 3
KB
( )
2
= 2.23 × 10
e
−8
V
2
( )
K
(8)
Questo risultato (appendice, equazione 8) trova ottimo accordo con
l'esperienza per un numero consistente di metalli quando la temperatura è
prossima a quella ambientale. Concludiamo con le parole di Lorentz:
“ In a theory which has given results like these, there must certainly
be a great deal of truth” .
1.4.2
DISTRIBUZIONE DI BOLTZMANN E FERMI-DIRAC
Nel 1905 Lorentz integrò il modello di Drude col concetto di
distribuzione di probabilità prendendo spunto dal recente lavoro sulla
teoria cinetica dei gas di Maxwell e Boltzmann. Secondo Lorentz la
probabilità che a temperatura T un elettrone di conduzione abbia energia
E è tale da soddisfare [8]:
p B ( E) =
1
kB T
E
( )
exp −
kB T
.
(9)
Questo ulteriore sviluppo dispone una prima solida base per l'analisi
unificata di qualsiasi proprietà fisica legata al trasporto degli elettroni
come ad esempio i coefficienti termoelettrici che stimeremo nel paragrafo
12
1.6.
Il modello di Drude e Lorentz è stato sviluppato senza considerare
gli effetti di quantizzazione sullo spettro di energie accessibili agli
elettroni di conduzione, né il principio di esclusione di Pauli. Da questo
punto di vista esso rappresenta un modello approssimato che necessita di
essere ulteriormente sviluppato [9].
Un
metallo,
in
migliore
approssimazione,
può
essere
quantisticamente modellizzato attraverso una buca di potenziale
tridimensionale di profondità infinita al cui interno sia presente un gas di
elettroni liberi (elettroni di valenza degli atomi che ne costituiscono il
reticolo). La soluzione dell'equazione di Schrödinger fornisce l'espressione
analitica dello spettro discreto delle energie elettroniche permesse per un
tale sistema (appendice, equazione 10):
ℏ2 2
ℏ 2 π2
E =
k =
( n2x + n2y + n2z ) ;
2
2m
2mL
(10)
dove m e k sono rispettivamente la massa ed il vettore d'onda
dell'elettrone, L
è la dimensione della buca (supposta cubica) e
n x , n y , nz = 1, 2, 3, ... . Dalla precedente relazione può essere ricavata
una grandezza di fondamentale importanza (appendice, equazione 11)
detta densità elettronica che indicheremo con g(E):
g( E) =
dn
dE
=
8π
h
3
( 2m3 ) 1/2 E 1/ 2
;
(11)
dove dn rappresenta il numero totale (inglobando il fattore 2 dovuto al
principio di Pauli) di stati quantistici elettronici per unità di volume
compresi fra le energie E ed E + dE . Il passaggio a grandezze
continue è giustificato dal fatto che quando la buca di potenziale (cioè il
pezzo di metallo considerato) ha dimensioni macroscopiche (L molto molto
maggiore della distanza inter-atomica tra gli ioni del cristallo) allora i
livelli energetici sono così fitti da poter considerare l'energia come una
funzione continua (formula 10). In base alla (11), l'integrale
E
∫ g( E) dE
0
rappresenta il numero n di elettroni per unità di volume che è possibile
accomodare sui diversi livelli energetici fino all'energia E. Poiché il
13
numero totale di elettroni per unità di volume n0 presenti nel cristallo è
univocamente determinato allora questi possono essere sistemati fino a
raggiungere un valore massimo di energia E F ,0 (energia di Fermi) che
corrisponde al cosiddetto livello di Fermi. Si dimostra che (appendice,
equazione 12) E F alla temperatura di 0 K è definito dalla seguente
espressione:
E F ,0 =
h2
8 me
3 n0
( )
2
3
π
;
(12)
La dipendenza da n0 esprime il fatto che metalli diversi hanno livelli di
Fermi diversi. La statistica dei livelli elettronici alla temperatura dello
zero assoluto è semplice: è certo che ogni livello sia doppiamente occupato
(da due elettroni con spin antiparallelo) per energie inferiori a E F ,0
( p( E) = 1 se E ≤ E F ,0 ) ; è impossibile che un livello con energia
maggiore
a E F ,0 sia
( p( E) = 0 se E > E F ,0 ) . Per
occupato
temperature diverse dallo zero assoluto gli elettroni incorrono al fenomeno
della eccitazione termica e possono transire a livelli di energia superiore.
La probabilità che un livello elettronico di energia E sia occupato quando
la temperatura è T vale:
1
p( E) =
1 + exp
(
E − EF
kBT
)
;
(13)
che rappresenta la legge quantistica di distribuzione statistica di FermiDirac. La quantità E F (potenziale chimico) corrisponde a E F ,0 quando
T=0 K. La (13) permette di definire univocamente l'energia di Fermi E F
come quella per cui si ha p( E)= 1/2 . Si noti che per valori grandi
dell'energia
( E − E F ≫ k B T ) si
(E F −E ) / k B T
ha p( E) ≈ e
ovvero
ci
si
riconduce alla distribuzione di Boltzmann (formula 9). È di fondamentale
importanza per l'interpretazione fisica degli effetti termoelettrici
sottolineare il fatto che il potenziale chimico vari con la temperatura. Una
stima approssimativa di come E F vari con la temperatura è data dalla
14
Fig. 7. Distribuzione energetica degli elettroni di conduzione in un metallo. La curva con
l'estensione tratteggiata rappresenta la densità elettronica g(E) nonché gli stati
elettronici disponibili. Allo zero assoluto la distribuzione degli stati occupati si
interrompe improvvisamente a E F ,0 . In un tipico metallo, per temperature
T ≪ E F ,0 / k B ,
E F differisce di poco dal potenziale chimico E F ,0 .
seguente relazione (valida per un gas perfetto) [10]:
E F = E F ,0
[
2
1 − π
12
kB T
( )
E F ,0
2
+ ...
]
(14)
Dalla relazione è evidente che se E F ,0 ≫ k B T (come si ha per un generico
metallo) E F rimane sempre molto prossimo a E F ,0 . In definitiva la
distribuzione energetica effettiva degli elettroni di conduzione in un
metallo (figura 7) è data dal prodotto della funzione di Fermi-Dirac p(E)
per la densità elettronica g(E). Si vuole ora esprimere l'energia interna del
gas di elettroni la quale, poiché questi non interagiscono fra loro, coincide
con l'energia cinetica complessiva del sistema. Si calcoli per semplicità
l'energia interna U 0 allo zero assoluto (appendice, equazione 15):
U0 =
3
5
n0 E F ,0 ;
(15)
dove n0 è il numero di elettroni contenuti nell'unità di volume (si osservi
che è immediato ricavare l'energia media per elettrone dividendo la (15)
15
per n0 ) . Quindi possiamo indicativamente dire che gli elettroni che si
trovano in metalli con una energia di Fermi maggiore (o equivalentemente
metalli con un maggior numero di elettroni per unità di volume) sono in
media più veloci. Ulteriori sviluppi permettono il calcolo dell'energia
interna U del sistema gas di elettroni liberi a temperature diverse dallo
zero assoluto e quindi l'espressione quantistica per la capacità di un gas di
elettroni [11]:
C el =
2
kB T
= π N kB
∂T
2
E F ,0
( )
∂U
;
(16)
dove N è il numero totale di particelle costituenti il sistema. Si precisa che
questa relazione è valida per temperature T ≪ E F ,0 / kB . Si noti che il
termine kB T / E F ,0 rappresenta una stima indicativa della (piccola)
frazione di elettroni che possono scambiare energia termica (figura 4): gli
effetti quantistici (e nello specifico il principio di esclusione) riducono
notevolmente il valore della capacità termica.
Abbiamo finora trattato gli elettroni in un metallo come a delle
particelle contenute in una scatola assumendo implicitamente che queste
non possano abbandonare il metallo; tuttavia gli elettroni possono in
determinate circostanze abbandonare il metallo ad esempio passando da
un conduttore ad un altro posto con questo a contatto. All'interno del
metallo la funzione potenziale è in prima approssimazione costante e
cresce rapidamente nei pressi dei suoi bordi dove raggiunge il valore
massimo corrispondente all'energia potenziale dell'elettrone fuori dal
metallo (livello di ionizzazione). Ponendo a zero l'energia potenziale
elettronica sul livello di ionizzazione possiamo indicare con −V 0 la
profondità in energia della buca di potenziale. Allora l'energia che
l'elettrone deve acquistare per poter fuoriuscire dal metallo è (allo zero
assoluto) pari a ϕ = V 0 − E F ,0 (funzione lavoro).
1.4.3
MODELLO A BANDE E SEMICONDUTTORI
Quando abbiamo un sistema di N' atomi interagenti, come quelli
che costituiscono il reticolo cristallino di un solido, ogni singolo livello
atomico origina N' livelli distinti. Questi livelli sono raggruppati in bande
permesse, separate da intervalli proibiti (le gap). I livelli energetici delle
16
bande permesse vengono riempiti in accordo al principio di Pauli. In
condizioni di temperatura assoluta nulla si danno due soli possibili schemi
di riempimento delle bande: riempimento parziale della banda (il livello di
Fermi cade all'interno della banda permessa) e riempimento completo
della banda (il livello di Fermi è disposto esattamente a metà tra il fondo
della banda di conduzione e la cima della banda di valenza); il primo caso
corrisponde ai metalli, il secondo agli isolanti. In quest'ultima categoria il
prossimo livello energetico si trova al di là di una gap proibita, cioè molto
distante in energia (valori tipici vanno da circa 2,5 eV per il solfuro di
cadmio a 9 eV per l'ossido di silicio). Se la temperatura viene portata ad un
valore finito T > 0 K, allora la distribuzione di Fermi-Dirac consente che
vengano popolati dei livelli oltre E F . In un metallo, essi si trovano
appena sopra il livello di Fermi e verranno effettivamente occupati; in un
isolante la eccitazione termica non è sufficiente a promuovere gli elettroni
dagli stati occupati a quelli vuoti, infatti, a temperatura ambiente T = 300
K, l'energia di eccitazione termica vale circa K B T ≈ 0,026 eV , molto più
piccola della gap. Una volta che gli elettroni sono stati eccitati
termicamente essi acquistano libertà di moto che assicura la conduzione
elettrica.
I semiconduttori sono degli isolanti a piccola gap ovvero in questa
tipologia di conduttori l'ultima banda totalmente riempita, chiamata
banda di valenza, è separata da un piccolo intervallo di energia E g dalla
prima banda totalmente vuota, detta banda di conduzione (valori tipici di
E g sono 0,43 eV per l'arseniuro di indio, 1,15 eV per il silicio e 0,67 eV
per il germanio). Si consideri un semiconduttore ideale, senza alcun
difetto reticolare o impurezza al suo interno: esso viene chiamato
semiconduttore intrinseco. L'eccitazione termica può promuovere elettroni
dalla banda di valenza a quella di conduzione: alcuni stati di conduzione
saranno popolati mentre alcuni stati di valenza saranno svuotati. Gli stati
di valenza vuoti corrispondono ad una mancanza di elettrone che viene
propriamente detta lacuna, del tutto equivalente ad una particella carica
positivamente. Applicando un campo elettrico esterno ad un
semiconduttore termicamente eccitato, si genera un flusso di elettroni in
direzione opposta al campo e un flusso di lacune nella direzione del campo.
Questi due contributi concorrono ambedue alla densità di corrente totale.
Ad ogni temperatura al di sopra dello zero assoluto un piccolo numero di
elettroni sarà presente nella banda di conduzione ed un piccolo e uguale
17
numero di lacune nella banda inferiore. Per ragioni strettamente legate
alla simmetria della P(E), il livello di Fermi in un semiconduttore
intrinseco cade esattamente a metà della gap proibita. Si dimostra che in
tali condizioni la funzione di distribuzione statistica degli elettroni di
conduzione è bene approssimata dalla versione classica di Boltzmann
p B ( E) (equazione 9). Con tale assunzione si può calcolare anche per i
semiconduttori la dipendenza dell'energia di Fermi E F dalla temperatura:
E F = k B T ln
[
1
2
n 0 h 3 2 π m kB T
(
−3/ 2
)
]
;
(17)
dove n0 è il numero di elettroni per unità di volume. Infine il numero di
portatori intrinseci N i (ovvero numero di elettroni presenti in banda di
conduzione o equivalentemente numero di lacune in banda di valenza) è
descritto da:
N i ∝ exp (−E g / 2 k B T ) .
(18)
Il successo tecnologico dei semiconduttori sarebbe molto più
limitato di quanto non sia in realtà se essi potessero essere usati solo come
materiali intrinseci. I semiconduttori, infatti, si prestano facilmente ad
una manipolazione “ chimica” chiamata comunemente drogaggio, il cui
effetto è quello di creare portatori in concentrazione voluta. Il processo di
drogaggio consiste nel sostituire atomi del reticolo cristallino con atomi
droganti appartenenti a specie chimiche differenti. Gli atomi droganti
sono classificati in atomi donatori e atomi accettori di elettroni.
Sostituendo, ad esempio, un atomo di germanio intrinseco con un atomo di
As (arsenico, donatore), si ottiene l'effetto di introdurre nel semiconduttore
un elettrone in eccesso. Al contrario, inserendo un atomo di Ga (gallio,
accettore) nel medesimo reticolo ci si trova ad avere la mancanza di un
elettrone, ovvero si viene a creare una lacuna. La giustificazione di tutto
ciò è da ricercarsi nella struttura elettronica degli atomi considerati: il
germanio è tetravalente mentre gli atomi donatori e accettori sono
rispettivamente pentavalenti e trivalenti. Se un semiconduttore viene
drogato con una specie donatrice si introducono dei nuovi
livelli
energetici localizzati (figura 8a), assenti nel semiconduttore intrinseco,
18
(a)
(b)
Fig. 8. Bande energetiche di un semiconduttore estrinseco. (a) Semiconduttore drogato N
(As in Ge). (b) Semiconduttore drogato P (Ga in Ge).
nella gap proibita, molto vicini alla banda di conduzione. Tali livelli sono
popolati dagli elettroni in eccesso introdotti dagli atomi donatori.
L'eccitazione termica può facilmente promuovere in banda di conduzione
questi elettroni in eccesso, popolando il gas di portatori (negativi) di
carica. Al contrario, se droghiamo lo stesso materiale intrinseco con specie
accettori, creiamo dei nuovi livelli localizzati molto prossimi alla banda di
valenza. Questi livelli non sono popolati a T = 0 K, visto che in questo caso
abbiamo una deficienza di elettroni rispetto al caso intrinseco. Tuttavia,
questi livelli verranno facilmente occupati da elettroni promossi dalla
banda di valenza per eccitazione termica.
La cosa tecnologicamente fondamentale e vincente è che il processo
di drogaggio risulta perfettamente controllabile. È possibile cioè drogare
in modo controllato un semiconduttore in modo da creare un materiale con
quella concentrazione dominante di elettroni (semiconduttore drogato N)
oppure di lacune (semiconduttore drogato P) utile per le applicazioni di
interesse. Alcune di queste sono legate alla termoelettricità e verranno
discusse nel capito 3. Un semiconduttore drogato è chiamato
semiconduttore estrinseco.
19
1.5 FISICA DEGLI EFFETTI TERMOELETTRICI
Ogni qualvolta si vuole costruire un sistema, ideale o no, per
indagare gli effetti termoelettrici ci si imbatte inevitabilmente nell'effetto
Volta che si origina sempre quando due generici e distinti conduttori
vengono posti a contatto. L'effetto Volta è essenzialmente dovuto alla
differenza dei livelli di Fermi nei sistemi isolati, dei metalli posti a
contatto. Siano 1 e 2 metalli inizialmente non posti a contatto (figura 9a).
Il livello di ionizzazione è lo stesso per entrambi i metalli. Il livello di
Fermi del metallo 1 (corrispondente all'energia E F1 ) si trova sotto il
livello di ionizzazione di una quantità pari a ϕ1 mentre il livello di Fermi
del metallo 2 (corrispondente all'energia E F2 ) si trova sotto il livello di
ionizzazione di una quantità pari a ϕ2 . Consideriamo il caso in cui
ϕ2 > ϕ1 quindi il livello di Fermi del metallo 1 è più alto di quello del
metallo 2. Se i metalli si connettono (figura 9b) gli elettroni più energetici
del metallo 1 passano al metallo 2 disponendosi nei livelli energetici subito
sopra E F2 . Il processo si protrae fino al raggiungimento dell'equilibrio
per il quale il livello di Fermi risulta essere uguale in tutto il sistema. Il
risultato finale è che il metallo 1 si carica positivamente (carenza di
cariche negative) e il metallo 2 si carica negativamente (eccesso di cariche
negative). In definitiva si può dire che
quando due metalli sono
elettricamente connessi si instaura fra questi una differenza di potenziale
che ha la forma:
V 12 =
(ϕ2 − ϕ1 )
e
1
=
2
(EF − EF)
e
(19)
Le osservazioni derivanti dall'esperienza esposte del paragrafo 1.1 sono
presto giustificate. Nel caso di una catena di conduttori diversi, la
differenza di potenziale fra gli estremi dipende esclusivamente dalla
natura dei metalli terminali in quanto le differenze di potenziale dovute ai
metalli interni si compensano esattamente in base alla formula (19).
Inoltre in un circuito multimetallico isotermo chiuso non può esserci un
passaggio di corrente in quanto una volta posti a contatto i livelli di Fermi
dei metalli si uguagliano, l'equilibrio si stabilisce e non vi può essere
successivamente un moto preferenziale per gli elettroni.
20
Fig. 9. Spiegazione dell'effetto Volta. (a) Metalli disgiunti. I metalli 1 e 2 sono isolati, si
trovano alla stessa temperatura e allo stesso potenziale e presentano diversi valori per
l'energia di Fermi. (b) Metalli a contatto. Collegando elettricamente i conduttori il
sistema completo sarà caratterizzato da un unico livello di Fermi, il raggiungimento di
tale equilibrio è dovuto ad una redistribuzione della carica che genera la differenza di
potenziale di contatto.
Se ad esempio consideriamo le due giunzioni fra i metalli di figura 4c ma
stessa temperatura (figura 4c con Δ T = 0 e T = T 0 ) , le due forze
elettromotrici di contatto fra metallo 2 – metallo 1 e metallo 1 –
si equilibrano perfettamente, ovvero V 12 =− V 21 .
metallo 2
Se invece le giunzioni fra i metalli 1 e 2 non sono alla stessa
temperatura (figura 4c) l'equilibrio viene rotto e si origina la forza
elettromotrice di Seebeck. L'approssimazione lineare nelle formule della
statistica di Fermi (livello di Fermi costante con la temperatura) non è
sufficiente a spiegare il fenomeno ed occorre considerare i termini del
secondo ordine (formula 14). Per ciascun metallo il livello di Fermi varia
con la temperatura e quindi non è più vero che V 12 =− V 21 .
Per quanto riguarda l'effetto Peltier è possibile ragionare nella
maniera seguente. Due distinti metalli isolati possiedono differenti livelli
di Fermi; gli elettroni in uno o nell'altro metallo nei pressi di tale livello
avranno energie cinetiche in generale diverse (si noti che l'energia cinetica
media del gas di elettroni dipende da E F come mostra l'equazione 15) ed
21
hanno altresì concentrazioni diverse (maggiore è l'energia disponibile, più
elettroni possono essere accomodati). Se i metalli vengono posti a contatto
il livello di Fermi diviene unico nel sistema; questo è ottenuto variando
solamente la energia potenziale dei livelli di uno dei due metalli (figura 9),
di conseguenza gli elettroni al livello di Fermi nei due metalli mantengo
energie cinetiche e concentrazioni diverse. Quindi il passaggio di un
elettrone da uno all'altro metallo è accompagnato dalla liberazione (o
assorbimento) alla interfaccia di una certa quantità di energia.
Per quanto riguarda l'effetto Thomson consideriamo la figura 6.
L'estremità B della sbarra si trova ad una temperatura superiore della
estremità A. In B le velocità termiche elettroniche sono maggiori; gli
elettroni che migrano dall'estremo B all'estremo A sono in numero
maggiore rispetto a quelli che diffondono per verso contrario. Questo moto
crea in definitiva uno sbilanciamento di carica (eccesso di elettroni in A) il
quale determina un campo elettrico che ostacola l'ulteriore fluire di carica.
Per due punti del conduttore la cui temperatura differisce della quantità
infinitesima dT vale la relazione:
dV = μ(T ) dT
(20)
dove dV è la differenza di potenziale fra i punti la cui temperatura
differisce di dT e μ (T ) è il coefficiente di Thomson. In conduttori
Thomson-positivi il campo termoelettrico dovuto all'effetto Thomson è
diretto dalla porzione calda del circuito a quella fredda ovvero la forza
elettromotrice di Thomson (equazione 20) ha verso opposto al gradiente
termico (figura 6). L'effetto termico è dovuto quindi alla presenza della
forza elettromotrice di temperatura di Thomson.
1.6 LE RELAZIONI DI LORD KELVIN
Attraverso argomentazioni di termodinamica Kelvin (Thomson)
trovò alcune relazioni che legano i parametri termoelettrici discussi: μ
(coefficiente do Thomson o calore di Thomson), π (coefficiente di Peltier)
ed S (forza elettromotrice di Seebeck):
μ = T
22
dS
dT
;
(21)
π = TS .
(22)
Le relazioni di Kelvin sono di capitale importanza: esse mostrano come
derivare una completa conoscenza di tutte le proprietà termoelettriche di
un conduttore dalla sola conoscenza di S, che rappresenta la “ quantità
termoelettrica” più facilmente misurabile con buona accuratezza.
Thomson stesso riconobbe che la teoria da lui utilizzata non era
completamente rigorosa ma le sue argomentazioni sono convincenti e i
risultati ottenuti vengono altresì confermati da considerazioni di
termodinamica più avanzate [12]. Alla luce di questo, si ricaveranno le
relazioni di Lord Kelvin con le sue stesse semplici argomentazioni di
termodinamica elementare.
Si considerino i consueti conduttori 1 e 2, collegati come mostrato
in figura 10; si assuma inoltre che siano Thomson-positivi. Il filo che
collega gli estremi A-D sia un conduttore caratterizzato da una resistenza
molto elevata: con tale scelta si vuole fare in modo che il passaggio della
carica elettrica avvenga tanto lentamente da rendere trascurabile il
termine di Joule dell'equazione 4 (primo addendo a secondo membro). Sia
Δ T > 0 e T 0 > T . Si consideri il passaggio della carica elettrica
unitaria positiva nel circuito: dal punto di vista della termodinamica
questo può essere considerato un processo ciclico reversibile (i fenomeni
termoelettrici sono intrinsecamente reversibili, l'effetto Joule è
intrinsecamente irreversibile ma “ reso” reversibile dalla scelta opportuna
del sistema fisico). Il primo principio della termodinamica vuole che la
variazione di energia interna in una trasformazione ciclica sia nulla,
allora la somma fra il lavoro esterno compiuto per far muovere la carica
unitaria positiva e quantità di calore prodotte deve essere nulla [13]. Si
noti che tale lavoro è per definizione la forza elettromotrice di Seebeck
θ12 mentre il calore prodotto per effetto Peltier alle giunzioni è
π (T 1 ) − π(T 2 ) . Il calore prodotto per effetto Thomson (formula 4) nel
T +ΔT
conduttore 2 è −
T +Δ T
∫
T
∫
T
μ 2 dT e quello prodotto nel conduttore 1 è
μ 1 dT .
23
Fig. 10. Effetto termoelettrico globale. All'istante iniziale, quando Δ T = 0 e T =T 0 , le
forze elettromotrici di Seebeck e di Thomson non sono presenti in quanto non è presente
alcun gradiente di temperatura; non essendoci correnti, non sussiste neppure l'effetto
Peltier. Riscaldando la saldatura A, tra A e B si crea una piccola differenza di
temperatura; si manifesta una piccola forza elettromotrice che permette il passaggio di
una corrente. Quest'ultima, attraversando le giunzioni, dissipa per effetto Peltier potenze
termiche che tende a ripristinare l'equilibrio (raffredda la saldatura A e riscalda la B).
Eliminando la sorgente di riscaldamento della saldatura A, in pochi attimi si restaura
l'equilibrio.
In definitiva si ottiene:
T +Δ T
θ12 + π12 (T 1 ) − π12 (T 2 ) +
∫
T
μ1 −μ2 dT = 0 .
(23)
Inoltre possiamo osservare che la variazione totale di entropia in un ciclo
reversibile è nulla, si ha quindi:
π(T 1 )
T1
−
π(T 2 )
T2
T + ΔT
+
∫
T
μ1 − μ2
T
dT = 0 ;
(24)
dove si è esplicitamente indicato che le quantità di calore dovute all'affetto
Peltier alle giunzioni sono cedute o prese alle temperature T 1 e T 2 ; si
noti inoltre che quelle dovute all'effetto Thomson sono prese o cedute a
temperature T intermedie. Se si considera T 1 costante e sostituendo
T 2 con T , differenziando la (23) e la (24) si ha rispettivamente:
24
dθ
dT
−
d
dπ
+ μ1 − μ 2 = 0 ;
dT
( )
π
=
dT T
μ1 − μ2
T
.
(25)
(26)
Combinando le precedenti relazioni si ha:
π = T
dθ
dT
= TS ;
(27)
dove si è fatto uso della formula (1); la (27) rappresenta la seconda
relazione di Thomson. Per ottenere la prima sostituiamo la (27) nella (26):
T
dS
dT
= μ1 − μ 2 = μ ;
(28)
avendo posto μ = μ1 − μ 2 .
1.7 STIMA DEI PARAMETRI TERMOELETTRICI
Fino ad ora si è discusso dei fenomeni termoelettrici considerando la
equivalenza fra metalli e conduttori. D'ora in poi parleremo più in
generale di conduttori volendo includere in tale classe non solo i metalli
ma anche i semiconduttori le cui proprietà principali sono state
precedentemente discusse.
Come prima analisi consideriamo il conduttore come una rigida
scatola la quale contiene un gas di elettroni liberi che segue le leggi della
statistica classica (modello di Drude). Assumiamo quindi che il calore di
Thomson μ non sia altro che la capacità termica relativa al singolo
elettrone c el per unità di carica:
μ ≈ −
c el
e
;
(29)
dove il segno meno dipende dalla carica dell'elettrone. Usando la statistica
25
classica di Maxwell si ricava che:
μ ≈ −
3 kB
2 e
.
(30)
Dove kB = 1.4 × 10−23 J / K (costante di Boltzmann) ed e = 1,6×10−19 C.
Sostituendo alla (30) dovremmo aspettarci:
μ ≈ − 1,3 × 10−4
V
= − 130
K
μV
K
.
(31)
1.6.1 METALLI
I risultati empirici trovati per i metalli si discostano parecchio dal
precedente valore (tabella 1). Il motivo di questa divergenza è
essenzialmente dovuto al fatto che gli elettroni non obbediscono alla
statistica classica ma a quella di Fermi-Dirac per la quale la capacità
termica del singolo elettrone è data dalla relazione (16). Il calore di
Thomson per un metallo è meglio espresso dalla relazione:
μ (T ) ≈ −
π2 k B k B T
2
e
( )
EF
;
(32)
questa è una quantità piccola rispetto al valore previsto dalla teoria
classica perché kB T è piccolo rispetto a E F . In tabella 1 sono stai
riportati i valori di μ conformi all'equazione 32; i valori ottenuti
rappresentano sicuramente una stima migliore di μ .
Infine, notiamo come i parametri termoelettrici possano dare delle
rilevantissime indicazioni di natura fisica. Ad esempio la notevole
discrepanza per i valori empirici e teorici di μ per il litio ma anche per il
cesio significa probabilmente che la descrizione di tali metalli attraverso il
modello ad elettroni liberi non corrisponde a realtà fisica. I valori teorici di
μ per gli altri metalli appartenenti al medesimo gruppo (Na, K e Rb) si
discostano dal valore empirico solamente per un fattore due. È curioso
invece notare che i metalli appartenenti al secondo gruppo della tabella 1
(nonché appartenenti al Gruppo IB della tavola periodica) siano tutti
26
Tabella 1
Calore di Thomson: μ (T) ( μ V / K )
sperimentalmente metalli Thomson-positivi e teoricamente Thomsonnegativi, ancorché i valori assoluti di μ siano in buon accordo. I metalli
del terzo gruppo della tabella (metalli di transizione) mostrano nel
complesso valori di μ , sia sperimentali che teorici, maggiori rispetto a
quelli precedentemente considerati per i metalli monovalenti (Gruppo IA e
Gruppo IB); il buon accordo fra esperienza e teoria è ora ancor più
significativo se ricordiamo che i metalli di transizione hanno strutture
elettroniche piuttosto complesse.
1.6.2 SEMICONDUTTORI
Il modulo dei coefficienti di Thomson di questa classe di conduttori
ha un buon accordo con la teoria classica (equazioni 30 e 31); come prima
27
Tabella 2
Calore di Thomson: μ (T) ( μ V / K )
approssimazione è infatti possibile descrivere i pochi elettroni (rispetto ai
metalli) presenti nella banda di conduzione di un semiconduttore
attraverso la statistica di Boltzmann. La tabella 2 riporta alcuni risultati
sperimentali per ZnSb e PbTe, per quest'ultimo vi è inoltre una
importante dipendenza dalla temperatura. La teoria classica esprime un
calore di Thomson negativo mentre le evidenze empiriche dicono che
questo sia positivo. Tale teoria risulta comunque essere incompleta per un
semiconduttore in quanto non vi è nessun riferimento alle lacune, prodotte
per eccitazione termica nella banda di valenza o nei livelli donatori, il cui
contributo alla conduzione potrebbe non essere trascurabile. Tale
situazione può sorgere quando si consideri ad esempio un semiconduttore
drogato P, la eccitazione termica porta alla promozione degli elettroni
dalla banda di valenza ai siti accettori il raggiungimento dei quali richiede
una energia molto minore di quanto ne fosse necessaria per raggiungere la
banda di conduzione (figura 8b). In siffatte circostanze la conduzione è
attribuibile con buona approssimazione interamente alle lacune il che
varierebbe nella (31) il segno della carica. I dati riportati in tabella 2
dicono presumibilmente che in tali semiconduttori la conduzione dovuta
alle lacune è predominante. Nel nostro modello si è inoltre ipotizzato un
numero fisso di cariche di conduzione: tale assunzione è corretta per i
metalli ma non per i semiconduttori. Tenendo conto della equazione (18) la
formula (30) può essere corretta nel seguente modo:
μ (T ) ≈ −
kB
e
(
3
2
−
Eg
2 kB T
)
;
(33)
dove questo secondo termine contribuisce in maniera sostanziosa al calore
di Thomson.
28
Non equilibrio ed equazione
di Boltzmann
2.1
2
L'EQUAZIONE DI BOLTZMANN
Per analizzare le proprietà legate all'energetica del trasporto
elettronico, come i coefficienti termoelettrici, risulta necessario
quantificare come le velocità siano distribuite fra i portatori di carica che
determinano la conduzione. Questo proposito è del tutto ragionevole se
ricordiamo ad esempio che nel modello del gas di elettroni liberi l'energia
interna del sistema è interamente energia cinetica.
Quando un conduttore è in equilibrio alla temperatura costante T in
assenza di forze esterne (dovute ad esempio all'accensione di campi
perturbatori elettrici o magnetici) e/o gradienti termici la funzione di
distribuzione f è stabile al suo valore di “ equilibrio” f 0 . Esempi di tali
funzioni di equilibrio f 0 sono le distribuzioni di Fermi-Dirac e di
Boltzmann, già annoverate nel primo capitolo; la chiara dipendenza di tali
distribuzioni dalla temperatura T del sistema ne esprime lo stato di
equilibrio.
Se invece una forza viene fatta agire sulle cariche di conduzione di
un conduttore chiuso, applicando ad esempio a questo un campo elettrico,
la corrente elettrica risultante rappresenta un bilancio dinamico fra la
deviazione dall'equilibrio della funzione di distribuzione elettronica
causata dal campo elettrico e la tendenza al restauro dell'equilibrio ad
opera delle collisioni (resistenza elettrica). Se il campo elettrico viene
rimosso la corrente si annulla: le collisioni ristorano lo stato iniziale di
equilibrio.
Nel generico conduttore sotto generiche condizioni si assume che la
distribuzione degli elettroni in ogni punto sia determinata da:
dN = f (v x , v y , v z , x , y , z , t) d τ d η
29
(34)
dove dN è il numero di elettroni al tempo t, nell'elemento di volume
d τ = dx dy dz
che
hanno
velocità
comprese
nel
range
d η = dv x dv y dv z . Si noti che la densità volumica di elettroni al tempo t
nell'elemento di volume d τ centrato nel punto x, y, z è pari a:
∭f
Siano ( a x , a y , a z ) le
d η = n( x , y , z ,t)
componenti,
ipotizzate
costanti,
(35)
del
vettore
accelerazione dell'elettrone fra due collisioni successive. Consideriamo un
intervallo di tempo dt nel quale, per ora, l'elettrone non incorra ad urti.
Dopo tale lasso di tempo l'elettrone che occupava la posizione identificata
da ( x , y , z ) si troverà nel punto ( x + v x dt , y + v y dt , z + v z dt ) con
velocità avente componenti ( v x + a x dt , v y + a y dt , v z + a z dt ) . Anche gli
elettroni che erano nel volume infinitesimo d τ con velocità comprese in
d η si troveranno dopo il tempo dt nel nuovo elemento di volume d τ '
con velocità comprese in d η' . Ma dal momento che le velocità e le
accelerazioni di tutti questi elettroni sono approssimativamente le stesse
dobbiamo avere che d τ = d τ ' e d η = d η' *. Le particelle possono
essere anche trasferite dentro o fuori d τ d η attraverso qualunque
processo di collisione o scattering. Definiamo
( df / dt )coll. dt d τ d η
come
la variazione del numero netto di elettroni in d τ d η nel tempo dt dovuta
alle collisioni. In definitiva si ha la seguente espressione:
f ( v x + a x dt , v y + a y dt , v z + a z dt , x + v x dt , y + v y dt , z + v z dt , t+ dt) =
= f (v x , v y , v z , x , y , z ,t) +
df
( )
dt
dt
coll.
da cui si ricava l'equazione di Boltzmann [14]:
* Seppur il valore di d τ è assunto uguale d τ' essi corrispondono a due punti distinti
dello spazio ordinario, lo stesso discorso deve essere fatto per d η , quando si consideri
uno spazio analogo e astratto per le velocità.
30
∂f
∂t
+ ax
∂f
∂v x
+ ay
∂f
∂vy
+ az
∂f
∂v z
+ vx
∂f
∂x
+ vy
∂f
∂y
+ vy
∂f
∂y
=
df
( )
dt
;
(36)
coll
ovvero:
∂f
∂t
+ a⋅∇ v f + v⋅∇ r f =
df
( )
dt
.
(37)
coll
I simboli ∇ v , ∇ r si riferiscono all'operatore gradiente rispettivamente
nello spazio delle velocità e nello spazio ordinario. L'equazione (37) è del
tutto generale. Scriviamola ora per un sistema-conduttore sul quale sia
applicato un campo elettrico e un gradiente di temperatura lungo una
stessa direzione x:
−e E x ∂ f
( )
m
+ vx
∂ vx
∂ f dT
∂T dx
=
df
( )
dt
(38)
coll.
Si noti che si è posto ∂ f /∂t = 0 in quanto lo stato di non equilibrio
instaurato nel sistema è stazionario. Per quanto riguarda il termine
dipendente dalle collisioni, le assunzioni più semplici che possono essere
fatte sono le seguenti:
1)
le collisioni tendono sempre a restaurare la funzione
distribuzione elettronica d'equilibrio f 0 ;
di
2)
la velocità di restaurazione è sempre proporzionale linearmente
alla “ variazione dall'equilibrio” f − f 0 ;
3)
la velocità di restaurazione dell'equilibrio è determinata da un
tempo caratteristico τ , assunto costante per tutti i tipi di
deviazione dall'equilibrio.
Queste condizioni possono essere facilmente riassunte da:
df
( )
dt
=−
coll.
31
f − f0
τ
(39)
La soluzione alla (38) la si ottiene ponendo nella stessa f = f 0 a primo
membro:
f = f0 −
−e E x ∂ f 0
( )
m
∂ vx
τ + vx
∂ f 0 dT
∂T dx
τ .
(40)
Si supponga ora che nel nostro sistema dT/dx = 0. La componente x della
densità di corrente elettrica può essere scritta in termini di f come:
j x = − e ∭ vx f d η .
(41)
Sviluppando i conti si ricava che:
jx =
e2 E x τ
m
∭ f 0 dη
=
e2 E x τ
n ,
m
(42)
in cui per la seconda uguaglianza si è fatto uso della (35). Quindi la
conduttività elettrica è data da:
σ =
jx
( )
Ex
=
dT / dx=0
n e2 τ
.
m
(43)
L'ultima relazione aderisce perfettamente con la formula di Drude (6) se
definiamo il tempo di rilassamento come τ = λ / v .
Al fine di ottenere il coefficiente di Seebeck dobbiamo
preliminarmente determinare il campo elettrico prodotto nel conduttore in
presenza di un gradiente di temperatura quando non è permesso il
passaggio di corrente (circuito aperto, figura 4b). Può essere mostrato che
il potere termoelettrico assoluto di Seebeck di un conduttore è dato da
[15]:
S=
(
Ex
dT / dx
)
−
j x=0
dg
dT
;
(44)
dove g è l'energia termodinamica libera (Gibbs) per unità di carica positiva
32
delle cariche di conduzione del materiale considerato. Se la conduzione è
dovuta agli elettroni, l'equazione (44) può essere scritta come:
(
S =
Ex
dT /dx
)
+
j x =0
1 dE F
e dT
;
(45)
dove l'energia libera di Gibbs non è altri che l'energia di Fermi.
L'equazione (44) ci dice che la differenza di potenziale di Seebeck è
essenzialmente determinata da due termini: il campo elettrico omogeneo
instaurato lungo ciascun conduttore dovuto al gradiente di temperatura e
la differenza di potenziale dovuta al contatto isotermo fra i conduttori che
varia con la temperatura (si confronti questo secondo termine con
l'equazione 19).
Quando è presente sia un gradiente di temperatura sia una campo
elettrico ricaviamo dalle equazioni (40) e (41) la seguente espressione:
jx = −
e2 E x
m
∭ τ vx
∂f0
∂v x
dη −e
dT
dx
∭ τ v2x
∂ f0
∂T
dη ;
(46)
Richiediamo ora j x = 0 (circuito aperto) e sempre con l'assunzione che
τ sia costante troviamo che:
(
Ex
dT /dx
)
=−
j x=0
=−
m
m
ne
d
n e dT
∭ v2x
df 0
dT
∭ v2x f 0 d η
dη ;
.
(47a)
(47b)
Se abbiamo a che fare con un gas di elettroni liberi per il quale
2
E = 1/2 m < v > , allora dalla equazione (47b):
(
Ex
dT /dx
)
=−
j x=0
33
2 c el
3 e
,
(48)
indipendente da qualsiasi particolare assunzione circa la statistica degli
elettroni. Dalla equazione (44):
S = −
2 c el
1 dE F
+
3 e
e dT
.
(49)
Se ora consideriamo un metallo con elettroni liberi che obbediscono alla
statistica di Fermi-Dirac e applichiamo quindi le equazioni (16) e (14) alla
precedente si ottiene per il coefficiente di Seebeck:
2
S = −
2
π kB T
2 E F ,0 e
.
(50)
Se, d'altra parte, consideriamo un semiconduttore i cui elettroni di
conduzione obbediscono alla statistica maxwelliana, allora applicando
l'equazione (17) otteniamo per il coefficiente di Seebeck:
S = −
(
5 kB
2 e
−
EF
eT
)
.
(51)
Le equazioni (50) e (51) rappresentano il risultato cruciale che andavamo
cercando: la completa caratterizzazione della componente del coefficiente
di Seebeck legata ai processi generici interni di scattering elettronico. Lo
stato termoelettrico globale del sistema è conseguentemente determinato
dalle relazioni di Kelvin (21) e (22). Il formalismo di Boltzmann può essere
ulteriormente sviluppato abbandonando l'ipotesi di tempo di rilassamento
τ costante per tutti i tipi di perturbazioni; in tal caso sarà necessario
esaminare con minuzia di particolari la precisa forma del termine
( df / dt )coll.
nella equazione di Boltzmann originale.
34
Applicazioni della
termoelettricità
3.1
3
GENERATORE DI POTENZA TERMOELETTRICO
Il generatore di potenza termoelettrico (TEG) fa parte di quei
dispositivi allo stato solido che convertono il calore in elettricità oppure,
viceversa, che trasformano l'energia elettrica in potenze termiche per
scaldare o raffreddare. Il funzionamento dei dispositivi di questa specie è
interamente basato sugli effetti termoelettrici.
Tutti i generatori di potenza termoelettrici hanno la stessa
configurazione di base, mostrata in figura 11. Una sorgente di calore si
trova ad alta temperatura, il calore fluisce attraverso un convertitore
termoelettrico verso un dissipatore mantenuto a temperatura inferiore a
quello della sorgente. La differenza di temperatura instauratasi nel
convertitore produce una corrente continua I ed alimenta un carico R L ,
ai cui capi è presente una differenza di potenziale V. Non ci sono processi
di scambio di energia intermedi d'altro tipo, per questa ragione i TEG sono
classificati come convertitori diretti di potenza. L'ammontare della potenza
elettrica generata è V I = I 2 R L .
L'aspetto unico del TEG è che la conversione di energia è
completamente reversibile. Chiameremo modalità di funzionamento
Seebeck del generatore quella appena descritta. È inoltre possibile
invocare la conversione invertita di energia utilizzando una opportuna
alimentazione elettrica per generare calore da una parte e quindi produrre
refrigerazione dall'altra, chiameremo questa: modalità di funzionamento
Peltier.
Tale reversibilità distingue i convertitori termoelettrici da molti
altri dispositivi di conversione. Ciascun dispositivo termoelettrico può
essere utilizzato in entrambi i modi operativi anche se il design del
particolare TEG è ottimizzato per lo specifico scopo e specifica
destinazione.
Nel 1910 il fisico tedesco Edmund Altenkirch calcolò l'efficienza dei
generatori termoelettrici e delineò i parametri necessari dei materiali atti
a costruire dispositivi pratici. Sfortunatamente gli unici materiali
35
Fig. 11. Componenti di un generatore termoelettrico. Il dispositivo genera, a causa del
ΔT, per effetto Seebeck, una forza elettromotrice θ che va ad alimentare un carico R L
ai capi del quale si stabilisce una differenza di potenziale V. Se il funzionamento viene
invertito, forzando il passaggio di corrente attraverso un generatore esterno, si ha
sviluppo nell'una e assorbimento di calore nell'altra interfaccia dipendentemente dal
verso della corrente. La prima è detta modalità di funzionamento Seebeck, la seconda
modalità di funzionamento Peltier.
disponibili al tempo erano i conduttori metallici, i quali sono caratterizzati
da una efficienza di conversione molto bassa, solo lo 0,5% dell'energia
termica veniva trasformato in elettricità. Nel 1940 fu ideato un dispositivo
a semiconduttore con efficienza pari al 4%. Dopo il 1950, nonostante lo
sviluppo della ricerca, i miglioramenti sull'efficienza dei TEG risultano
abbastanza ridotti, raggiungendo poco più del 10% alla fine degli anni '80.
Gli studi devono quindi vertere sulla ricerca di nuovi materiali
termoelettrici al fine di raggiungere livelli di prestazione nettamente
superiori. Tuttavia alcune varietà di TEG a bassa potenza si rivelano di
notevole importanza pratica [16].
3.2
MODULO TERMOELETTRICO
L'unità di base di un TEG è una sorta di “ termocoppia” mostrata
schematicamente in figura 12. Consiste di due termoelementi
semiconduttori, l'uno di tipo P e l'altro di tipo N connessi elettricamente in
36
Fig. 12. Configurazioni di base di un modulo termoelettrico. Il modulo termoelettrico è
costituito da diverse termocoppie poste elettricamente in serie e termicamente in
parallelo. Quando si utilizza in modalità di funzionamento Seebeck una delle due lastre
di ceramica viene riscaldata da una opportuna sorgente di calore esterna, si crea una
differenza di temperatura con l'altra lastra e viene generata una corrente, vice versa con
la modalità di funzionamento Peltier.
serie da un lembo conduttore, solitamente di rame. Sempre la figura 12
mostra schematicamente un modulo termoelettrico costituito da un certo
numero di unità di base connesse elettricamente in serie e termicamente
in parallelo, incluse tra due lastre di ceramica.
I moduli termoelettrici convertono calore in elettricità quando
operano nella modalità di funzionamento Seebeck. La potenza elettrica
generata dai moduli dipende dal numero di termocoppie per modulo, dalla
configurazione dei termoelementi, dalle proprietà termoelettriche e
termiche dei materiali che costituiscono i termoelementi, dalle proprietà
elettriche dei contatti e dalla differenza di temperatura tra la parte
superiore e inferiore del modulo. Basandoci su una tipica configurazione di
un modulo termoelettrico rappresentato in figura 12, e includendo le
resistenze elettrica e termica del contatto, può essere mostrato che quando
il modulo opera su determinato carico i valori della tensione V e della
intensità di corrente I (figura 11) sono dati da [17]:
37
N S ( Th − Tc)
V =
1 +
,
2 r lc
(52)
l
σ A S (T h − T c )
I =
(
2( n + l ) 1 +
2 r lc
l
;
)
(53)
dove N è il numero di termocoppie contenute entro un modulo, S il
coefficiente di Seebeck della unità base, T h e T c sono rispettivamente le
temperature del lato caldo e di quello freddo, A ed l sono rispettivamente
l'area della sezione trasversale e la lunghezza di ciascun termoelemento,
lc rappresenta lo spessore dello strato di contatto, n = 2 σ /σc ed
r = κ/κc sono di solito denominati come rispettivamente parametro di
contatto elettrico e parametro di contatto termico (dove σ c è la
conduttività elettrica di contatto, κ c la conduttività termica del contatto
e κ la conducibilità termica dei materiali costituenti i termoelementi).
La differenza di potenziale V cresce con la lunghezza dei termoelementi
mentre la corrente I ha un massimo in una regione che corrisponde a
piccoli valori di l. In base al particolare uso a cui il dispositivo è destinato
tali parametri vengono ottimizzati. Per completezza riportiamo gli altri
due parametri identificativi, ovvero la potenza in uscita P e l'efficienza di
conversione ϕ .
P =
2
A N (T h − T c ) 2
2ρ
2 r lc
S
(
(n+l) 1 +
l
2
)
,
(54)
Th− Tc
( )
) [ ( ) ( )( )]
Th
ϕ =
(
1 + 2r
lc
l
2
2−
1 T h−T c
2
Th
38
+
4
l+ n
Z Th
l+ 2rl c
,
(55)
dove Z = S 2 σ /λ è la figura di merito termoelettrica dei materiali che
sintetizza in un valore le proprietà più importanti del materiale di
interesse. Si può notare che per ottenere un coefficiente di conversione
grande il modulo deve essere progettato con termoelementi lunghi. Se
invece è richiesta una considerevole potenza per unità di area, la
lunghezza dei termoelementi deve essere ottimizzata a valori
relativamente piccoli. È chiaro quindi che il design ideale per un modulo
termoelettrico è dettato dal compromesso tra la richiesta di un elevato
coefficiente di conversione e/o elevata potenza in uscita.
I parametri che compaiono nelle equazioni trattate possono essere
raggruppati in tre categorie:
• Specifiche: le temperature di lavoro T h e T c , la differenza di
potenziale V, la corrente I e la potenza P in uscita.
• Parametri dei materiali: le proprietà elettriche, termiche e
termoelettriche σ , κ , S e le proprietà di contatto del modulo
termoelettrico n ed r.
• Parametri di design: la lunghezza l del singolo termoelemento, la loro
sezione trasversale A ed il numero N di termocoppie.
Le specifiche sono solitamente fornite dai committenti in funzione delle
particolari richieste d'applicazione. I parametri dei materiali sono limitati
dai materiali stessi correntemente disponibili e dalle tecnologie di
fabbricazione. D'altro canto l'obbiettivo principale del design dei moduli
termoelettrici è quello di determinare un set di parametri che rispondano
alle specifiche, minimizzando al contempo i costi.
Infine, come già fatto presente, notiamo che i moduli termoelettrici
possono ad esmpio produrre refrigerazione quando questi siano utilizzati
in modalità di funzionamento Peltier. Approfondiremo nel successivo
paragrafo, attraverso una piccola indagine sperimentale, alcuni aspetti di
tale modalità di funzionamento, riallacciandoci alla fisica di base
delineata nel capitolo 1.
39
3.3 CARATTERIZZAZIONE DI UNA CELLA PELTIER
Presenteremo in questo paragrafo una piccola indagine
sperimentale il cui scopo è quello di determinare il coefficiente di Peltier
π definito dalla equazione (2) del primo capitolo per un generatore
termoelettrico adoperato nella modalità di funzionamento Peltier (cella
ad effetto Peltier o CP).
La struttura della CP è del tipo rappresentato in figura 7. La CP
viene collegata ad un generatore di corrente costante, per effetto Peltier si
ha sviluppo di calore ad una estremità mentre l'altra estremità si
raffredda. Le piastre di ceramica comunicano direttamente con piastre più
grosse di rame; in queste ultime opera il sistema informatico di
acquisizione della temperatura attraverso dei rivelatori. In particolare, la
estremità della CP che si riscalda è collegata ad un dissipatore con
abbondante superficie di esposizione provvisto di una piccola ventola.
Per la legge della calorimetria la (2) può essere scritta come*:
Pt =
dQ
dt
= π 12 I = c m
dT
dt
,
(56)
dove c ed m sono il calore specifico e la massa delle piastre in rame,
rispettivamente. Risolvendo la (56) si ha:
T = T0 +
π 12 I
cm
t .
(57)
Dalla (57) si evince che π può essere ricavato dalla pendenza della
funzione che lega la temperatura al tempo. I dati sono stati raccolti per
diversi valori di I. I risultati sperimentali sono riassunti nella figura 13.
L'andamento lineare non è costante ma vale solo per i primi istanti. Ciò è
attribuibile allo scambio termico fra rame e ambiente circostante. Siccome
l'effetto Peltier è reversibile, l'analisi della parte calda o della parte fredda
della cella è equivalente; analizzeremo perciò la seconda.
* Si noti che la relazione (2) è valida se e solo se tutta la potenza prodotta dal sistema di
termocoppie viene trasferita dalle lastre di ceramica a quelle di rame.
40
(a)
(b)
Fig. 13. Risultati sperimentali per la caratterizzazione della cella ad affetto Peltier. (a)
Andamento della temperatura in funzione del tempo alla estremità calda e fredda della
cella, con corrente pari a 1A. Quando la cella non è ancora alimentata (istanti iniziali) la
temperatura delle due fasce coincide: è tutto in equilibrio termico (le linee orizzontali
rosse e blu sono pressoché sovrapposte). Quando i blocchetti di rame si riscaldano o
raffreddano per effetto Peltier, questi iniziano anche a scambiare calore con l'ambiente
fin quando non raggiungono con esso l'equilibrio. La “ curva calda” si stabilizza prima di
quella fredda; questo è dovuto alla conformazione del dissipatore stesso, costituito da
molte lastrine di rame piane e parallele con superfici affacciate all'aria. (b) Andamento
della temperatura in funzione del tempo alla estremità fredda della cella per valori diversi
di I. Le curve corrispondenti a I = 4 e 5 A si stabilizzano a temperature maggiori di quelle
attese confrontando le altre curve; questo può essere essenzialmente dovuto all'influenza
del dissipatore.
Quindi utilizzando unicamente i tratti lineari delle curve di figura 13b
ricaviamo i valori di π (si indica a pedice il valore della intensità di
corrente)*: π1A =9,145 V , π 2A=8,784 V , π3A = 7,419 V , π 4A = 6,596 V
e π5A = 5,827 V . Il coefficiente di Peltier diminuisce al crescere della
corrente. Questo non è conforme in linea di principio a quanto affermato
nel capitolo 1. Questa circostanza è giustificata dal fatto che i rivelatori
non prelevano temperature dovute unicamente all'effetto Peltier.
* I coefficienti di Peltier riportati non sono provvisti di errori sperimentali in quanto,
come si comprenderà a breve, costituiscono stime approssimative nelle quali è altresì
presente il contributo dell'irreversibile Joule.
41
La presenza dell'effetto Joule (che dissipa potenze termiche positive) fa
decrescere “ meno facilmente” la temperatura della estremità fredda della
CP. Misure precise del coefficiente di Peltier possono essere fatte quando
si riescano ad eliminare, in fase di conto, i contributi determinati
dall'effetto Joule. Una possibile proposta sarebbe quella di includere il
sistema in un apparato calorimetrico: per principio una CP ideale non
dovrebbe nel complesso influenzare la temperatura del bagno
calorimetrico in quanto tanto una parte si riscalda quanto l'altra si
raffredda perciò le variazioni di temperatura generali sarebbero una
misura diretta dell'effetto Joule. Questo esempio empirico rimarca la
separazione concettuale fra reversibilità dell'effetto termoelettrico e
irreversibilità dell'effetto Joule presentata nel capitolo 1 e fa inoltre
comprendere come l'azione di quest'ultimo debba essere sempre
comunque quantificata: non a caso la figura di merito termoelettrica Z
(definita nell'equazione 55) dipende dalla conduttività elettrica σ .
3.4
TIPOLOGIE DI GENERATORI TERMOELETTRICI
Durante la seconda guerra mondiale alcune tipologie di generatori
termoelettrici venivano adoperate per alimentare i trasmettitori di
comunicazione portatili. Tra il 1955 e 1965, gli sviluppi sostanziali
prodotti nel campo dei materiali semiconduttori e nell'assetto dei contatti
elettrici cominciarono a determinare una larga espansione del range di
applicazione dei generatori termoelettrici. Si iniziò a progettare nuovi tipi
di generatori basati su differenti metodologie di produzione dell'energia
termica da essere convertita in energia elettrica. Oggigiorno si distinguono
essenzialmente tre categorie di TEGs: generatori a combustibile fossile,
generatori a combustibile nucleare e generatori a sorgente solare.
I generatori a combustibile fossile utilizzano gas naturale, propano,
butano, kerosene, legno o altri come sorgenti di calore. La potenza
prodotta può andare dai 10 ai 100 W. Sono utilizzati in campi remoti di
applicazione come ausili alla navigazione (navigational aids), raccolta dati
e sistemi di comunicazione e protezione catodica (tecnica che evita la
corrosione di metalli costituenti particolari condutture o strutture marine
esposti ad ambienti elettrolitici).
I generatori a sorgente nucleare utilizzano i prodotti di decadimento
di isotopi radiativi per produrre le alte temperature che la sorgente di
42
calore del dispositivo termoelettrico necessita. Tali generatori forniscono
una utile sorgente di potenza elettrica per molte applicazioni remote
incustodite. I materiali termoelettrici usati in tali dispositivi sono immuni
alla radiazione nucleare ed inoltre la sorgente è scelta in modo tale che il
sistema permanga in funzione per un notevole periodo di tempo. I TEGs
nucleari vengono ad esempio utilizzati in stazioni meteo isolate, per
sostentare la raccolta di informazioni negli abissi oceanici, per vari sistemi
di allarme e comunicazione e ancora per congegni spaziali. Inoltre, già nel
1970, un dispositivo termoelettrico a radio isotopi è stato sviluppato per
alimentare i pacemakers cardiaci. Il range di potenza di tali dispositivi è
compreso fra i 10−6 e i 100 W .
Dedicheremo ai generatori termoelettrici solari l'intero successivo
paragrafo.
3.4.1
GENERATORE TERMOELETTRICO SOLARE (STEG)
I generatori a sorgente solare (STEGs) sono stati utilizzati con
successo per alimentare piccole pompe di irrigazione in aeree remote e
sottosviluppate del mondo, per fornire energia elettrica a veicoli spaziali in
orbita. Costituiscono inoltre una parte integrante di sistemi di controllo
termico TCS degli stessi veicoli spaziali.
Uno STEG è composto da un collettore, da un generatore
termoelettrico e da un dissipatore. Il flusso solare viene collimato sul
generatore che provvede alla conversione dell'energia termica in
elettricità. Esistono diverse tipologie di STEGs differenziate in base alla
tipologia di collettore utilizzato. In figura 14 ne riportiamo quattro
tipologie. L'efficienza dei sistemi STEG dipende dalla efficienza ottica e
termica del collettore e dal fattore di merito Z dei materiali termoelettrici,
può essere ottimizzata massimizzando il dislivello termico attraverso il
TEG e/o riducendo le perdite di calore dal sistema e disponendo di
materiali termoelettrici con un fattore di merito alto (formula 55).
Nel 1950 Maria Telkes segnalò il raggiungimento di un importante
traguardo sulla efficienza dello STEG, conseguendo il 3,35%. Questi
risultati promettenti attrassero molti ricercatori all'utilizzo dei generatori
termoelettrici per la conversione dell'energia termica solare. Purtroppo, ad
oggi, non si registrano notevoli passi in avanti: il migliore risultato spe-
43
Fig. 14. Tipologie di generatori termoelettrici solari. Essi si differenziano in base al tipo
di collettore utilizzato. Il collettore ha la funzione di collimare la luce solare su un
estremo del TEG che verrà quindi riscaldato. La differenza di temperatura fra le due
estremità determina, per effetto Seebeck, una corrente elettrica.
rimentale per uno STEG registra una massima efficienza pari al 5%. La
bassa efficienza di conversione rappresenta la barriera commerciale per
questi dispositivi: altre tecnologie solar-electricity hanno efficienze molto
più elevate (dati aggiornati al 2014 riportano efficienze “ di laboratorio”
per le celle solari fotovoltaiche pari al 29%, quelle in commercio
presentano invece efficienze comprese tra il 10-20%).
I materiali più quotati per questa tecnologia sono leghe di Bi Te
(nella fattispecie Bi 2 Te 3 e sue leghe Bi 2 Se 3 e Sb 2 Te 3 ; il bismuto e il
tellurio sono elementi pesanti con bassa conducibilità termica e altre
caratteristiche ideali per uno Z elevato), leghe di PbTe e PbSe (i composti
al selenio crescono di importanza in quanto l'abbondanza di Se sulla terra
è pari a 0.5 ppm, contro le 0.001 ppm del tellurio); skutteruditi
(caratterizzati da una bassa conducibilità termica legata alla loro
complessa struttura cristallina, sono rappresentati da M X 3 con M = Co,
Rh o Ir e X = P, As o Sb), leghe di SiGe (possono essere utilizzati ad alte
temperatura poiché hanno un bassissimo tasso di degradazione) ed infine
leghe half heuslers (indicate talvolta con HH, presentano una elevata
stabilità termica e sono caratterizzate da elevati coefficienti di Seebeck).
Nonostante le efficienze piuttosto basse, la ricerca sugli STEG sta
fiorendo sia dal punto di vista del loro design sia dal punto di vista dei
materiali che accordano maggiori prestazioni, acquistando sempre più
rilevanza nell'ambito delle risorse rinnovabili solari [18].
44
Appendice A
Giustificazione matematica delle relazioni fisiche
più rilevanti
POTENZA TRASFERITA AGLI IONI DEL RETICOLO, equazione 3
Si vuole caratterizzare il primo termine a secondo membro di tale equazione.
Si consideri un conduttore sul quale viene applicato un campo elettrico E .
Si consideri inoltre una carica e in modo in tale conduttore per effetto del
campo elettrico. Se la singola carica e compie uno spostamento infinitesimo
dl allora il lavoro compiuto dalla forza di Coulomb per tale spostamento è
pari a
dW = e E⋅ dl . Il lavoro complessivo fatto dalla forza di Coulomb
per il trasporto di tutte le cariche contenute nell'unità di volume sarà allora
W τ = n ( e E⋅ dl ) , dove n rappresenta appunto il numero di cariche e
contenute nell'unità di volume. W τ Ha chiaramente le dimensioni di una
densità di energia; per ottenere la densità di potenza P τ dividiamo W τ
per l'intervallo di tempo infinitesimo dt nel quale avviene lo spostamento
dl . Si ottiene quindi P τ = n ( e E⋅ vd ) = E ⋅ ( n e vd ) = E⋅ j (dove il
secondo segno di uguale tiene conto della proprietà di omogeneità del
prodotto scalare e il terzo della definizione del vettore densità di corrente);
vd è la cosiddetta velocità di deriva dell'elettrone ( dl e dt assumono
perciò la valenza di libero cammino medio elettronico e tempo di
rilassamento elettronico, vedi appendice equazione 6). Per la legge di Ohm
microscopica si ha j = σ E ; sostituendo alla densità di potenza si ottiene
2
P τ = j / σ , dove σ è detta conduttività e rappresenta una grandezza
caratteristica del materiale (vedi appendice equazione 6). L'espressione
trovata coincide col primo termine a secondo membro della equazione 3. In
un conduttore metallico questa potenza viene trasferita tramite gli urti agli
ioni del reticolo cristallino e in definitiva si ha una trasformazione di energia
elettrica in energia interna del conduttore, con conseguente aumento di
temperatura dello stesso e cessione di calore all'ambiente.
45
EFFETTO THOMSON, equazione 4
Partiamo inizialmente dall'equazione 3. Q̇ rappresenta il calore totale per
unità di volume scambiato durante il tempo t (vedi equazione 3, qui su
ricavata). Esso è costituito da due termini che ora suddividiamo per
semplicità:
QJ
– il calore di Joule Q̇ J =
– il calore di Thomson
dV t
Q̇ T =
=
QT
dV t
j x2
,
σ
= − μ jx
dT
;
dx
dove si è considerato l'elemento di volume d V = dS dx ; applicando la
definizione di densità di corrente ( j x = n e v d , vedi equazione 6), la seconda
legge di Ohm (R = dx / σ dS) e il fatto che n è il numero di cariche per
unità di volume, il calore di Joule diventa:
QJ
dV t
=
j x2
σ
2 2
2
d
= n e v
dS R
dx
=
N2
(dS dx)2
e
2
dx 2 dS R
t2
dx
N 2 e2 R
=
dV t2
moltiplicando primo e secondo membro per dV t e definendo q = N 2 e 2
(carica totale che attraversa dS nel temp t) si ha: Q T =
q2 R
t
.
Procediamo anche per il calore di Thomson con la sostituzione di j x ed n:
QT
dV t
= − μ jx
dT
dx
= −μ
N
dV
e
dx dT
t
dx
⇒
Q T =−μ q dT
Ponendo Q = Q J + QT si ricava la formula 4.
CONDUTTIVITÀ ELETTRICA, equazione 6
Quando nel metallo è applicato un campo elettrico E ciascun elettrone
acquista una accelerazione a = − e E / m , opposta al campo elettrico. Sia
v(t) la velocità vettoriale casuale dell'elettrone subito dopo un urto e
v(t + τ ) la velocità subito prima dell'urto successivo (è in questo “ tempo di
rilassamento” τ che la forza elettrica manifesta i suoi effetti sull'elettrone).
46
L'accelerazione sarà allora data da:
a =
v(t + τ )− v(t )
v(t + τ) = v(t ) + a τ = v(t ) −
⇒
τ
eE
m
τ
Sia N il numero di urti subito dall'elettrone in un qualunque tempo di
osservazione macroscopico (N molto grande). La velocità acquisita in media
vd da ciascun elettrone in seguito a tale tempo di osservazione sarà:
vd =
∑ v(t + τ)
N
=
1
N
∑ v(t )
−
eE
m
τ
dove la media non cambia il termine contenente il campo elettrico che è
uguale per ogni elettrone, inoltre ∑ v( t) = 0 . L'acquisizione da parte di
ogni elettrone della velocità di deriva vd determina una corrente elettrica il
cui vettore densità di corrente è dato da j = −e n v d =
n e2 τ
E = σE ;
m
dove n è il numero di cariche per unità di volume, − e la carica
dell'elettrone e l'ultima uguaglianza rappresenta la legge di Ohm
microscopica. Osservando che τ = λ/v , si ricava immediatamente
l'equazione (6).
NUMERO DI LORENZ, equazione 8
Sia la conduttività elettrica
σ =
2
n e2 λ
mv
(equazione 6, qui su ricavata) e
Cel λ v la conducibilità termica (equazione 7). Si ricavi λ
3
dall'espressione di κ e si sostituisca nell'espressione di σ :
sia κ =
σ =
n e2
3κ
m v 2 C el v
=
3 n e2 κ
2 m v2 C el
.
In un gas perfetto (monoatomico) l'energia interna è data da
U = (3/ 2) N K T , dove N è il numero totale di particelle. Il lavoro attuato
47
sul sistema è quantificabile in termini di calore (il volume rimane costante).
Il calore Q scambiato col sistema e la conseguente variazione di temperatura
Δ T del sistema sono legati alla capacità termica a volume costante CV
dalla seguente relazione: CV = Q/Δ T . La variazione di energia interna
del sistema sarà Δ U = (3/ 2) N K Δ T = Q , dove l'ultima uguaglianza
rappresenta il primo principio della termodinamica. Sostituendo si ha
CV = (3 /2) N K . Considerando la capacità termica per unità di volume si
ottiene C el = ( 3 / 2) n K , dove ora n rappresenta il numero di elettroni per
unità di volume. Inoltre nel modello di gas ideale considerato si ha
2
m v = 3 K T . Sostituendo nell'espressione di σ :
σ =
n e2 κ
2
3
3KT
3
2
=
nK
e2 κ
3 T K2
;
Ponendo L = κ /σ T , numero di Lorenz, segue direttamente la formula 8.
PROBLEMA DI SCHRÖDINGER PER LA BUCA DI POTENZIALE
CUBICA A PARETI INFINITE, equazione 10
Il potenziale V è espresso da:
{
V ( x , y , z) = 0 se x , y , z sono tutte comprese tra 0 ed L
∞
altrimenti
Risolviamo l'equazione di Scrödinger non dipendente dal tempo, all'interno
della buca:
−
ℏ2 2
∇ ψ + V ψ= E ψ ⇒
2m
−
2
2
2
ℏ2 ∂ ψ ∂ ψ ∂ ψ
+
+
=Eψ
2 m ∂ x2 ∂ y2 ∂ z2
(
)
ψ(x , y , z ) è la funzione d'onda della particella libera, che deve essere nulla
fuori dalla buca (in questa approssimazione gli elettroni non possono uscire
dal solido). Applichiamo la separazione delle variabili per cui ψ(x , y , z )=
48
= X (x) Y ( y ) Z ( z) e dividiamo primo e secondo membro per
2
−ℏ
ψ:
2m
1 ∂2 X
1 ∂2 Y
1 ∂2 Z
2mE
+
+
=− 2 ;
2
2
2
X ∂x
Y ∂y
Z ∂z
ℏ
E deve essere necessariamente maggiore o al più uguale a zero [19], allora i
tre termini a primo membro (funzioni di variabili distinte) soddisfano
l'equazione quando sono costanti negative, ovvero:
2
2
2
− k x − k y − kz = −
2m E
ℏ2 2
⇒
E
=
( k x + k 2y + k 2z )
2
2
m
ℏ
L'equazione differenziale alle derivate parziali si scompone in un set di tre
equazioni alle derivate ordinarie. Ad esempio:
d2 X
2
= − k x X ⇒ X ( x) = A x sin(k x x ) + B x cos(k x x )
2
dx
e analogamente per le altre componenti. Imponendo le condizioni al
n π
contorno: X (0) = X (L)= 0 troviamo
che B x = 0 e k x = x
(dove
L
n x = 1,2,3... )
e così anche per le altre componenti. La soluzione
dell'equazione e l'espressione per le energie sono:
ψ(x , y , z )= A x A y A z sin
(
nx π
n π
n π
x sin y y sin z z
L
L
L
) (
) (
)
2
E =
ℏ π2 2
2
2
k + k y + k z)
2 ( x
2m L
∞
Imponendo la condizione di normalizzazione
ricava semplicemente che
A = Ax A y Az =
2
L
()
2
∣ψ( x , y , z)∣ dx dy dz
∫
−∞
3
2
3 /2
=
2
, dove V è il volume
V 1 /2
generico della “ scatola” indipendente dalla particolare forma scelta.
49
= 1 si
DENSITÀ ELETTRONICA, equazione 11
Partiamo dall'ipotesi (discussa nella equazione 10) che gli elettroni siano
confinati entro una “ scatola” quantistica di spigolo L. Le energie a loro
disponibili sono date dalla (10). Sia n2 = n2x + n 2y + n 2z e consideriamo che
questo sia il modulo quadro di un vettore n definito in uno spazio astratto
determinato dalle componenti n x , n y , n z . In tale spazio ogni punto
individuato dal vettore n con n x , n y , n z = 1, 2, 3... rappresenta un possibile
stato. Allora il numero di stati “ contenuti” in un volume V di tale spazio
corrisponde esattamente al valore del volume. Si consideri ora un volume
sferico definito da un raggio vettore n generico, calcolandone il volume di un
ottante (solo un ottante è caratterizzato da n x , n y , n z = 1, 2, 3...) si ricava il
numero di stati compresi tra E(n x =1, n y =1,n z =1) ed E(n x , n y ,n z ) :
N (E) =
14 3
π n = π n3 ;
83
6
dalla equazione (10) ricaviamo: n = L
(
2mE
2 2
ℏ π
1/ 2
)
; sostituendo ad N(E)
abbiamo:
N (E) =
14 3
2m E
π n = π L3 2 2
83
6
ℏ π
(
3/ 2
)
=
8Vπ
( 2m3 )1/ 2 E 3/ 2 ;
3 h3
Differenziando la precedente equazione si trova il numero di stati compresi
nell'intervallo energetico (E, E+dE):
dN =
4 πV
(2 m3 )1/ 2 E 1/ 2 dE .
3
h
Per il principio di Pauli è possibile accomodare al massimo due elettroni in
ciascun stato con spin antiparallelo. Allora il numero di elettroni per unità di
volume aventi energia compresa nell'intervallo (E, E+dE) è:
dn =
2 dN
8π
= 3 ( 2m3 )1/ 2 E1 /2 dE .
V
h
Da cui discende direttamente la relazione (11) avendo posto la densità
elettronica g(E) = dn/dE.
50
ENERGIA DI FERMI ALLO ZERO ASSOLUTO, equazione 12
Siccome il numero totale di elettroni per unità di volume n0 che possono
essere accomodati sui diversi livelli è univocamente determinato allora
questi potranno essere sistemati fino al raggiungimento di un valore
massimo dell'energia E F (energia di Fermi). Sfruttando l'espressione per la
densità di elettroni si ha:
EF
EF
1 /2 2
8π
8π
n0 = ∫ g(E)dE = 3 (2m3 )1/ 2 ∫ E 1/ 2 dE = 3 ( 2 m3 )
E3F/2
3
h
h
0
0
Ricavando, da questa, E F si ottiene l'equazione (12).
ENERGIA INTERNA DI UN GAS QUANTISTICO DI ELETTRONI
LIBERI ALLO ZERO ASSOLUTO, equazione 15
L'energia cinetica totale di dn elettroni contenuti nell'unità di volume) aventi
energia E è pari a:
E dn =
8π
(2 m 3)1 /2 E3 /2 dE ;
3
h
dove si è fatto uso dell'espressione per dn ricavata per l'equazione 11.
Integrando per tutti i possibili valori di energia (ovvero tra 0 ed E F ) si
ottiene l'energia cinetica totale del sistema. Essendo gli elettroni liberi,
l'energia potenziale è nulla (vedere derivazione equazione 10) perciò l'energia
interno coincide U coincide con l'energia cinetica totale:
EF
EF
8π
3
∫ E dn = h3 (2 m3 )1/ 2∫ E 3/ 2 dE = 5 n 0 EF ;
0
0
che corrisponde all'equazione 15.
STIMA DEL NUMERO DI PORTATORI INTRINSECI IN UN SEMICONDUTTORE, equazione 18
Consideriamo la distribuzione di Fermi Dirac data dall'equazione (13).
51
Sappiamo che il livello di Fermi in un semiconduttore intrinseco è disposto a
metà della gap proibita fra banda di valenza e banda di conduzione. Se
l'energia degli elettroni promossi in banda di conduzione è sufficientemente
distante da E F ovvero E − E F ≫ KT la distribuzione di Fermi Dirac è ben
approssimata da quella di Boltzmann e si ha:
(
p(E)≈ exp −
Eg
;
2kBT
)
dove E g = 2(E−EF ) è l'ampiezza in energia della gap proibita. La maggior
parte degli elettroni promossi si trovano in un intervallo energetico
dell'ordine di 2 k B T sopra l'estremo inferiore della banda di energia. Una
buona stima della densità elettronica è, in queste circostanze, g(k B T ). Il
numero degli elettroni N i in banda di conduzione (o equivalentemente di
lacune in banda di valenza) è dell'ordine di:
(
N i ≈ exp −
Eg
g(k B T ) 2 k B T .
2 k BT
)
52
Appendice B
Sul coefficiente di Seebeck
Il coefficiente S(T ) della relazione (1) del capitolo 1 rappresenta il potere
termoelettrico ovvero la variazione di forza elettromotrice in una coppia
termoelettrica per variazione unitaria di temperatura. Per variazione finita
di temperatura si ha:
T2
θ12 =
∫ S(T ) dT
T1
Per il calcolo dell'integrale è necessario conoscere l'espressione funzionale di
S(T). Per un buon numero di termocoppie e per intervalli anche abbastanza
ampi di temperatura S (T ) è descritta da una semplice relazione lineare del
tipo:
S(T ) = α + β T
Per un'altra classe di termocoppie e per intervalli limitati di temperatura, si
ha che il coefficiente β è molto piccolo e il potere termoelettrico può essere
considerato costante. Il calcolo dell'integrale, sostituendo S (T ), porta a:
θ12 = α (T 2 − T 1 ) +
1
2
β (T 2−T 1 )2
Questo risultato può essere verificato sperimentale con una termocoppia
ferro-rame che permette, grazie alle proprietà dei materiali che la
costituiscono, la costruzione di una curva θ(Δ T ) completa. Per ricavare i
valori di α e β sono necessari almeno due punti sperimentali. Una
saldatura della termocoppia va disposta all'interno di un forno che permetta
la regolazione graduale della temperatura, l'altra in un dewar con del
ghiaccio. Attraverso dei sistemi di misurazione è possibile determinare la
forza elettromotrice di Seebeck e rappresentarla quindi in funzione della
differenza di temperatura fra le saldature della termocoppia. Vedremo θ
53
inizialmente crescere con Δ T , raggiungere un massimo e successivamente
decrescere, il tutto con andamento parabolico. Un modo per determinare in
maniera sufficientemente accurata la temperatura è quella di disporre la
saldatura “ calda” all'interno di un opportuno crogiolo nel quale siano disposti
due metalli (in due diverse nicchie) il cui punto di fusione sia contenuto nel
range di temperatura a dominio della curva θ(Δ T ) (ad esempio indio che
fonde a 156,60 °C e piombo che fonde a 327,46 °C). La saldatura deve essere
disposta in modo tale da essere in equilibrio termico con entrambi i metalli:
quando uno dei due elementi inizia a fondere sottrae calore e la temperatura
in esso rimane costante (la parabola θ( Δ T ) presenta un tratto orizzontale
in quanto non si registra variazione di temperatura) nonostante il
riscaldamento continui (calore latente di fusione). Registrando i valori di θ
nei pressi di questi tratti orizzontali si ottengono i punti sperimentali che
possono essere utilizzati per ricavare α e β . Una volta nota la precisa
dipendenza funzionale, la termocoppia potrà essere utilizzata per misure
indirette di temperatura.
54
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David J. Griffiths. Introduzione alla meccanica quantistica. (Casa
Editrice Ambrosiana, Milano, 2015; problema 2.2 pag. 32)
56
Ringraziamenti
Desidero in primis ringraziare il prof. Luciano Colombo per avermi seguito
durante la stesura della tesi.
Ringrazio i miei genitori per tutto il sostegno dedicatomi in questi anni (e
per il sicuro finanziamento del viaggio a Milano post-laurea!).
Ringrazio i miei cari zii Miranda, Franco e Gabriele per il multiforme
supporto datomi.
Infine ringrazio la musica e tutte le persone che mi vogliono bene a cui è
dedicato il presente lavoro.
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