LA FRAMMENTAZIONE E L’ARCHITETTURA: OSSERVAZIONI SU ASPETTI RICORRENTI NELLA RAPPRESENTAZIONE E NELLO SPAZIO ARCHITETTONICO ABSTRACT* Marco Pompili Maki Fumihiko scrive a proposito dell’edificio Spiral: “la metropoli contemporanea è un ambiente frammentato che rinnova costantemente la sua vitalità proprio grazie al suo stato di frammentazione”. Senza dubbio quello dello sviluppo per frammenti è divenuto nel corso degli ultimi dieci anni il modo di trasformarsi della maggior parte dei grandi centri urbani. Questo fenomeno, dovuto al graduale abbandono dei grandi piani urbanistici a favore di interventi puntuali ha reso più evidente in molte grandi città la tensione al modello policentrico. La città tende cioè a configurarsi come un insieme di eventi piuttosto che di forme stabili, mettendo in crisi di conseguenza molti di quei parametri conoscitivi ed estetici dell’architettura consolidatisi in Europa. Nel caso della città giapponese, e di Tokyo in particolare, questa dinamica non costituisce però un elemento di novità. L’analogia con quanto avviene in molte città europee e quanto già avvenuto e consolidatosi a Tokyo rende l’approfondimento della forma urbana giapponese assai più interessante poiché in primo luogo quello giapponese sembra essere un modello urbano sempre più convincente e che di conseguenza assume un ruolo di caso urbano esemplare. L’affermazione di Maki è utile per dare evidenza a come anche all’interno della città giapponese sia possibile rintracciare relazioni specifiche tra morfologia urbana e architettura. Lo scopo della relazione è quello di mostrare attraverso una serie di architetture di progettisti giapponesi realizzate tra il 1987 e il 2003 come lo stato di frammentazione dello spazio urbano produca non solo valori estetici di riferimento, trasformando così l’accezione negativa del termine frammentazione in qualità peculiare, ma informi le scelte metodologiche del progetto architettonico. È questo il caso del già citato edificio Spiral di Maki Fumihiko (1987), della Centennial Hall di Shinohara Kazuo (1987) o della casa unifamiliare di Sejima Kazuyo costruita recente a Tokyo (2003). *Abstract della proposta di paper presentato al XXVIII Convegno Aistugia di Studi Giapponesi tenutosi presso l’università Statale di Milano nel 2004. FRAGMENTATION AND ARCHITECTURE: OBSERVATIONS ON RECURRENT ASPECTS IN ARCHITECTURAL SPACE AND REPRESENTATION ABSTRACT Marco Pompili Fragmentation is a distinguished feature of Japanese visual arts that maybe revealed in both figurative and spatial terms. In this work fragmentation is observed as a diachronic phenomenon, neglecting the negative acceptation that term is endowed with in the Italian language as well as in most of the western languages. Fragmentation is in fact seen in this essay as a structural aesthetic value to which well definable compositional aspects are connected. These aspects are found with recurrence within works belonging to various periods. This allows us to see fragmentation as a persistent phenomenon through the history of Japanese architecture and art, from Sesshū’s landscape painting to the Museum of the XXI century built by architect Sejima Kazuyo in Kanazawa. 細分化と建築: 表現と建築空間における回帰性外観に関する観察 アブストラクト マルコ ポンピリ Marco Pompili 日本の視覚芸術における細分化は、造形的そして空間的に、弁別的で単一的な特徴を 形成している。この働きに関して細分化は、イタリア語におけるこの言葉の持つ否定 的な語義を無視して、通時的な現象として観察されている。事実、細分化はここでは 構造上の美的価値として、そして構成上の非常に明確な外観が結びつくカテゴリーと して見なされている。このような外観は回帰性を持ち、様々な時代に属する作品の内 部に発見することができる。この事実は、この現象の持続性を強調し、一種の歴史的 な不変性と見なすのに十分値する。 LA FRAMMENTAZIONE E L’ARCHITETTURA: OSSERVAZIONI SU ASPETTI RICORRENTI NELLA RAPPRESENTAZIONE E NELLO SPAZIO ARCHITETTONICO Marco Pompili La frammentazione figurativa e spaziale costituisce un tratto distintivo e singolare nelle arti visive giapponesi. In questo lavoro la frammentazione è osservata come fenomeno diacronico, trascurando l’accezione negativa che il termine contiene nella lingua italiana. La frammentazione, infatti, è qui considerata come un valore estetico strutturale, una categoria alla quale sono legati aspetti compositivi ben definiti. Questi aspetti sono ricorrenti e possono essere rintracciati all’interno di opere appartenenti a periodi diversi, tanto da mettere in evidenza la persistenza del fenomeno e da far pensare a esso come a una sorta di invariante storica. L’avvio di questo lavoro trova origine in alcuni studi da me condotti in Giappone sulla relazione tra lo spazio architettonico e lo spazio urbano. I testi di Maki Fumihiko hanno rivestito un ruolo molto importante e, nella specificità del tema che affronto in questo articolo, ho trovato di grande stimolo l’affermazione dell’architetto circa l’edificio Spiral (che verrà discusso più avanti) che mette in relazione questa sua opera con lo spazio urbano di Tōkyō; dice Maki: “[…] Spiral simbolizza l’immagine contemporanea della città, un ambiente che è frammentato ma che costantemente rinnova la sua vitalità esattamente attraverso questo suo stato di frammentazione.”1 Inoltre, alcune considerazioni sulla lingua giapponese fatte da Roland Barthes e da Günther Nitschke hanno destato ulteriore curiosità nonché la necessità di approfondire il tema della frammentazione. Barthes, identifica nella frammentazione un elemento caratteristico della lingua giapponese: “In giapponese la proliferazione dei suffissi funzionali e la complessità delle enclitiche implicano il fatto che il soggetto avanzi nell’enunciazione grazie a precauzioni, riprese, ritardi e insistenze, il cui volume finale […] fa appunto del soggetto un grande involucro vuoto della parola, e non quel nucleo pieno che si presume diriga le nostre frasi […]; di modo che ciò che ci appariva come eccesso di soggettività (il giapponese, suol dirsi, enuncia 1 Maki Fumihiko, “Spiral”, the Japan Architect, Shinkenchiku-sha, Tōkyō marzo 1987; pag.33. delle impressioni, non delle constatazioni) è invece piuttosto un modo di diluizione, di emorragia del soggetto, in un linguaggio frazionato, parcellizzato diffratto sino al vuoto.” 2 L’architetto tedesco Günter Nitschke scrive: “In the Japanese language and thus in society, a person is conceived of as a flexible and easy linkable dividuum, that is, as a part split from and belonging to a larger whole.”3 Le due considerazioni contengono senza dubbio una certa forza evocativa, attraverso la quale ho potuto istantaneamente visualizzare i contatti tra fenomeni linguistici e fenomeni spaziali. La prima osservazione infatti pone enfasi su come nella lingua giapponese il periodo tenda a frazionarsi attraverso l’uso delle enclitiche e delle posposizioni; il periodo, un intero, tende cioè a frammentarsi in modo quasi parossistico producendo un risultato di senso vago. La seconda suggerisce l’idea che in un insieme la componente più piccola, finita, sia comunque divisibile. All’individuum, unità indivisibile definita nelle culture occidentali, si sostituisce un dividuum, cioè un’unità divisibile nella cultura giapponese. Il frammento è cioè la componente di base all’interno di un insieme. Volendo tradurre queste suggestioni in termini di spazio costruito dall’uomo possiamo dire che la struttura dell’abitazione tradizionale giapponese potrebbe esserne una perfetta metafora. L’unità abitativa non è infatti costituita da elementi rigidamente finiti; l’elemento più piccolo, la stanza, è uno spazio flessibile e trasformabile, caratterizzato dalla possibilità di svolgervi temporaneamente un numero indefinito di funzioni. Ho detto precedentemente che la frammentazione è vista come una categoria alla quale sono legate peculiarità ricorrenti. La concentrazione quasi ossessiva sul dettaglio,ad esempio, produce configurazioni caratterizzate dall’asimmetria, dall’accidentalità e dalla giustapposizione a scapito di un principio omogeneo globale. Questi aspetti, come vedremo, possono essere definiti come delle vere e proprie tecniche compositive, sedimentatesi nel tempo.4 Il pensiero taoista, le scuole zen giapponesi, nonché gli aspetti dello scintoismo legati all’apprezzamento della natura, hanno svolto un ruolo di primaria importanza nella formazione dei valori estetici legati alla frammentazione. Giangiorgio Pasqualotto mette in evidenza come nelle scuole buddiste zen giapponesi la corrispondenza tra corpo particolare e corpo universale, fondata sull’intrinseca unità metafisica di parte e intero, di finito e infinito, di individuale e di universale, siano state nozioni che hanno esercitato una particolare influenza sul modo di rappresentare lo spazio. Unitamente a quanto detto di certa importanza è il valore dato all’insostanzialità e all’impermanenza.5 Molte di queste nozioni, come vedremo, hanno un 2 Roland Barthes, L’Impero dei segni, Giulio Einaudi editore, Torino 1970, pag.12. 3 Günter Nitschke, From Shintō to Andō, Academy editions – Ernst & Sohn London 1993, pag. 58. 4 A tale proposito vedi Monnai Teruyuki, “Un glossario di concetti spaziali”, in Casabella numero 608/609, Elemond, Milano 1994. 5 Giangiorgio Pasqualotto, Yohaku, forme di ascesi nell’esperienza estetica orientale, Esedra editrice, Padova 2001, pag.59. diretto contatto con la pittura del paesaggio che in Giappone è legata all’ambiente del buddismo zen. Dall’osservazione del dipinto di Sesshū che ritrae il paesaggio di Amanohashidate 天橋立 e da quello di Gakuō Zōkyū conosciuto con il titolo di Paesaggio, possiamo dedurre una serie di elementi che trovano rispondenza concreta con quanto finora presentato.6 Sesshū (雪舟, 1420-1506) è un pittore di grande importanza, un esponente di rilievo della pittura suiboku 水墨画 (pittura ad inchiostro), famoso per il suo stile vigoroso e per essere progettista di giardini, cosa che può far vedere l’autore come un architetto del paesaggio ante litteram. Durante il periodo in cui i due pittori sono attivi (XV-XVI secolo), la prospettiva non era in uso e nello spazio pittorico non prospettico, l’immagine risulta piatta e schiacciata. Gli elementi in primo piano non differiscono per dimensione e in maniera proporzionale da quelli posti sullo sfondo, come accade invece in una rappresentazione composta attraverso la prospettiva. Il paesaggio è rappresentato secondo una concezione di spazio isometrico, all’interno del quale il fruitore è chiamato a navigare attraversandone le sue parti.7 Questo mette in evidenza come la composizione del dipinto sia organizzata attraverso una struttura definibile come un circuito narrativo. L’autore cioè, attraverso la sua opera, non fornisce un’immagine regolata da un chiaro principio di senso, ma piuttosto sembra dare struttura a un racconto di cui non si può cogliere una visione simultanea. Sesshū è influenzato dalla pittura cinese, trascorre tre anni in Cina per apprendere le tecniche pittoriche. Percorso che farà più tardi anche Gakuō Zōkyū (岳翁蔵丘, attivo tra il 1504 e il 1520) che successivamente studierà al tempio Tōfuku-ji東福寺 di Kyōto presso il quale diventerà monaco zen. Il dipinto di Gakuō, a differenza di quello di Sesshū, ritrae un paesaggio di invenzione. Avvicinando il dipinto di Gakuō al dipinto di Li Zai (李在, - 1431) conosciuto col titolo di Landscape in the manner of Kuo Hsi, appaiono in modo chiaro due cose.8 Una riguarda il modo in cui lo sfondo e il primo piano vengono trattati. Nel suo dipinto Gakuō separa gli elementi posti in primo piano e quelli 6 Il dipinto di Sesshū che ritrae il paesaggio di Amanohashidate è conservato presso il Museo Nazionale di Kyōto (京都国 立博物館), mentre quello di Gakuō Zokyu è conservato presso la Freer Gallery of Art, Washington D.C. La riproduzione attraverso la quale il dipinto di Sesshū è stato analizzato è contenuta nel catalogo: Sesshū, master of ink and brush:500th anniversary exhibition, the Mainichi Newspapers, Tōkyō 2002; quella del paesaggio di Gakuō Zokyu è contenuta nel catalogo: Japanese ink paintings, Princeton University press, Princeton N.J. 1976. A tale proposito è interessante notare quanto affermato da Tange Kenzo nel saggio “Tradition and creation in Japanese architecture” contenuto in Walter Gropius, Tange Kenzo, Katsura, Yale University Press, New Haven 1960: “[…] Japanese builders have as a rule meekly accepted the space that nature has bequeathed them. Instead of defying gravity, they have preferred to seek space in which to spread out horizontally. Thus, in the Japanese concept of architectural space the organization and balance forces is reduced to two dimension; what one has is a succession of planes. The proportions of structural members are governed not by physical principles but simply by aesthetic sensibility.” 7 Il dipinto di Li Tsai dal titolo Landscape in the manner of Kuo Hsi (rotolo verticale) è conservato presso il Museo Nazionale di Tōkyō (東京国立博物館). La riproduzione attraverso la quale il dipinto di Li Tsai è stato analizzato è 8 contenuta in James Cahill, Parting at the shore, Weatherhill, Tōkyō-New York 1978. chinese painting of the early and middle Ming dynasty (1368-1580), posti sullo sfondo attraverso un uso esagerato della foschia. La seconda cosa riguarda il fatto che Gakuō sposta l’asse della composizione in posizione del tutto asimmetrica rispetto all’insieme. Gli elementi del dipinto (lo sfondo e il primo piano), la cui divisione è estremizzata dall’autore, sembrano essere de-composti e ri-assemblati quasi accidentalmente, nella loro traduzione dal modello cinese. L’effetto di giustapposizione è chiaro anche grazie alla presenza di un vuoto rappresentato dalla foschia. Questo vuoto è usato come uno strumento per creare pause e interruzioni, e trova coerenza con l’intenzione di attivare un percorso mentale, un procedimento di connessione soggettiva da parte del fruitore, all’interno del quale il vuoto assume il ruolo di un dispositivo ambivalente che separa e pone al contempo le parti del dipinto in relazione reciproca. Nell’importazione dei modelli cinesi la manipolazione compositiva agita sia da Sesshū che da Gakuō produce evidenti peculiarità di stilizzazione, irregolarità e asimmetria, risultando in uno spazio pittorico frammentario. Mentre nella pittura cinese la forma di ogni elemento del paesaggio è descritto con chiarezza attraverso tratti di pennello decisi e attraverso una coerente successione degli elementi di sfondo (come ad esempio le montagne), nella pittura del paesaggio ad inchiostro in Giappone lo spazio pittorico è pervasivamente atmosferico a discapito di una chiarezza di tipo logico. L’attenzione alla definizione esplicita non è una preoccupazione dell’artista giapponese che al contrario è molto più interessato a presentare un paesaggio mentale immaginario, uno spazio ambiguo che non costringa l’occhio alla forma degli elementi rappresentati, ma che consenta invece di scivolare in maniera impercettibile dal pieno al vuoto. L’essenza di questo tipo di spazio non è definibile nelle forme in esso rappresentate ma nell’enigmatica fluidità di ciò che non è chiaramente descritto. In che modo queste peculiarità, cruciali nell’estetica giapponese, possono essere applicate all’architettura e all’architettura classica innanzitutto? Un momento determinante in questo senso è quello del graduale passaggio dallo stile kara 唐, di stretta emulazione dei modelli cinesi, ad uno stile più genuinamente autoctono, avviatosi già durante il periodo Momoyama (1570-1616) e che mostrerà forme più chiare durante i primi cinquanta anni del periodo Edo (1603-1868). Le traformazioni edilizie apportate all’interno del complesso monastico del Nishi Honganji西本願寺 di Kyōto , volute da Hideyoshi e realizzate durante tutta la prima metà del XVII secolo, possono spiegare il senso e le modalità con cui avviene questa transizione. Tra il 1615 e il 1624 viene costruito lo Hiunkaku 飛曇閣, conosciuto anche come flying cloud pavilion. Lo Hiunkaku si sviluppa con una pianta di forma irregolare in prossimità del lago del tempio. Una parte dell’edificio è organizzato su tre piani, secondo la tradizione a belvedere, e sebbene siano ancora riconoscibili in esso alcuni tratti di origine cinese, questi riferimenti classici vengono sopraffatti da una generale tendenza alla irregolarità. Il padiglione è infatti caratterizzato da continui aggetti e rotture visibili ad esempio nel profilo delle strutture di copertura. Nel layout del padiglione sono inclusi gli shoin e una chashitsu, la stanza per il tè. Più tardi, nel 1657, viene completato il Kuroshoin 黒書院. Si tratta di una sala ad un piano aggiunta agli shoin di nord est del tempio, all’interno della quale vengono ripristinate l’attenzione alle proporzioni dello spazio, più vicine alla scala umana, e una generale riduzione e semplificazione delle forme, virtù queste trascurate negli edifici preesistenti. In entrambi i casi (Hiunkaku e Kuroshoin) le strutture lignee usate per la costruzione del padiglione sono tutte di straordinaria leggerezza e prive di decoro. La loro semplice eleganza mostra l’influenza della filosofia della chanoyu, verso la quale Hideyoshi aveva un particolare interesse, fatto questo che spiega la sua devozione al maestro Sen Rikyu (1520-1591). In breve, il fenomeno di novità che si registra in questo periodo e al quale questi edifici sono legati, è quello del graduale abbandono dello shindenzukuri 神殿造り, lo stile impiegato per la maggior parte dei templi buddisti. Come accennato, questo implicava una crescente distanza dai modelli cinesi dello stile kara a favore di una rinnovata semplicità e rusticità nell’impiego dei materiali, unita contemporaneamente ad una notevole sofisticazione dei dettagli, elemento quest’ultimo proprio delle chashitsu. Il blend, la miscela, tra lo stile shoinzukuri 書院造り e lo stile proprio dei piccoli spazi per la cerimonia del tè, dà luogo a quello che è ritenuto essere lo stile più genuinamente giapponese ovvero lo stile sukiyazukuri数奇屋造り. Come generalmente accettato dagli storici dell’architettura giapponese, lo Hiunkaku e il Kuroshoin costituiscono i primi, anche se già sapientemente sofisticati esempi, di stile sukiya. Sukiya significa letteralmente art-less building, costruzione priva di artificio. 9 Il capolavoro dello stile sukiya è la villa imperiale Katsura 桂離宮 a Kyōto , costruita a partire dal 1616. La storia di una parte dell’edificio è legato a Hideyoshi che volle la costruzione di quelle sezioni del palazzo, conosciute come Vecchio Shoin 古書院 e Gepparō 月波楼, per il principe Tomohito; il resto dell’edificio è attribuito a Kobori Enshū (小堀遠州, 1579-1647). Osservando la pianta dell’edificio risulta chiaro che l’impianto è organizzato attraverso modalità quasi spontanee. Katsura è formata da una serie di ambienti adiacenti, giustapposti e tra loro comunicanti. Nel suo Das Japanische Haus Bruno Taut scrive: “[...] L’intero complesso, da qualsiasi parte lo si osservasse obbediva in maniera assolutamente flessibile in tutte le sue parti allo scopo che ciascuna delle parti, così come l’insieme, era destinata a soddisfare [...] Le singole parti tra loro molto diverse non sono dunque caratterizzate e connesse da un ordine precostituito basato sulla simmetria [...]”.10 9 A tale proposito vedi: Robert T. Paine, Alexander Soper, The art and architecture of Japan, Penguin Books, London 1981, pagg. 422-424; Tange Kenzo “Tradition and creation in Japanese architecture”, in Walter Gropius, Tange Kenzo, Katsura, Yale University Press, New Haven 1960, pag.30. Il brano tratto dal testo di Bruno Taut dal titolo “Il mio punto di vista sull’architettura giapponese” del 1933, è contenuto in: Manfred Spiedel, “Neues Bauen in Japan. B.Taut Lektion der japanischen Architektur”, Casabella 676, Milano 2000, pagg.11-12. 10 Nel processo di definizione dello stile sukiya è stato certamente influente il riapprezzamento della natura avvenuto secondo modalità autoctone. La sacralizzazione scintoista degli spazi di passaggio per esempio risulta in questo senso avere un evidente riflesso nell’organizzazione spaziale degli edifici.11 Lo spazio è concepito come un elemento dinamico, in movimento. Costruire non implica isolare rigidamente uno spazio interno. Al contrario significa predisporre un sistema sofisticato di meccanismi che siano in grado di lasciare scorrere lo spazio e, con esso, la vista e i percorsi. La stessa definizione verbale di spazio, kūkan 空間, non è priva di una componente temporale (ma,間), essa incorpora sempre una componente di cambiamento e di instabilità.12 Come nel dipinto di Sesshū e in quello di Gakuō non si può cogliere una visione simultanea, così nel caso della villa imperiale di Katsura non si distingue una gerarchia globale. Come osserva Alexander Soper a Katsura l’enfasi è tutta sulla flessibilità, sull’irregolarità. 13 Lo spazio che ne risulta è dinamico e trasformabile, continuo, fluido e frammentario. Shinohara Kazuo篠原和男afferma che la creazione dello spazio architettonico implica l’invenzione di volumi, concepiti indipendentemente da una forma globale, e conseguemente la necessità di innescare condizioni di mutua relazione tra essi.14 David B. Stewart mette in evidenza alcuni punti della teoria sulla spazialità giapponese di Shinohara: “ According to Shinohara European architectural composition links successive spaces; by contrast Japanese architecture exhibits a process of spatial division that involves subdividing an embracing void into smaller, relatively unstable units […] similarly gardens (like the one in which Katsura detached palace is set) were composed of a series of viewpoints, with little attempt to coordinate or integrate these by means of an overall view of the surroundings […] Angles of view dictated by the work itself produce a discontinuous series of separate viewing points, enforcing a notion of frontality.” 15 Se nel caso del dipinto di Gakuō la composizione unitaria del modello è abbandonata a favore del privilegiare le singole parti (lo sfondo e il primo piano, ad esempio) tra loro giustapposte e disposte fuori asse, in Katsura l’asimmetria e la giustapposizione sono funzionali a creare un organismo architettonico la cui tensione spaziale si sviluppa a partire dalle “[…] La sacralizzazione degli spazi di passaggio risulta determinante anche nell’organizzazione degli spazi architettonici, caratterizzata da un’attenzione ad evitare il più possibile le chiusure derivanti da ogni definizione troppo netta di aree e volumi ed intenzionata invece ad enfatizzare le aperture proprie dei luoghi di passaggio (verande, spazi di confine, soglie, etc.)”. Pasqualotto, Yohaku, forme di ascesi nell’esperienza estetica orientale, cit., pag. 67. 11 Vedi anche Nitschke, From Shintō to Andō, cit., pag.49-61; Fabrizio Fuccello, Spazio e architettura in Giappone, Cadmo, Firenze 1996. 12 13 Robert T. Paine, Alexander Soper, The art and architecture of Japan, cit. 14 “The method [is made out of a ] process of designing independent volumes and then confirming the mutual interactions of the juxtaposed forms.” Shinohara Kazuo, “A program for the fourth space”, in The Japan Architect n°4, Tōkyō 1986. 15 D.B.Stewart, The making of a modern Japanese architecture, Kodansha, Tōkyō-New York 1987. caratteristiche del singolo elemento piuttosto che da quelle della configurazione globale. Monnai Teruyuki osserva sempre a proposito di Katsura: “[in Katsura] non esiste una gerarchia globale ma esistono varie gerarchie locali e frammentarie [...]”.16 Abbiamo visto come già nel periodo Momoyama gli aspetti di cui si è parlato all’inizio di questo lavoro, ossia l’asimmetria, la giustapposizione, l’accidentalità, l’attenzione al dettaglio, costituiscono i tratti del cambiamento e della caratterizzazione di un insieme di valori estetici genuinamente giapponesi. Quest’ultima osservazione di Monnai rimanda alle modalità legate all’incorporazione nelle arti giapponesi dei modelli esogeni, a cui ho fatto già riferimento. Queste modalità caratterizzano anche l’architettura giapponese fino e oltre il periodo della sua occidentalizzazione. Mi riferisco, in particolare al sovvertimento delle regole contenute nei modelli, e alla tendenza a organizzare le forme in maniera antigerarchica. Gli aspetti finora messi in evidenza e legati al fenomeno della frammentazione non trovano solo riscontro a livello estetico ma, soprattutto in architettura, possono essere rintracciati ad un livello anche funzionale. Significativamente rivelatori, in questo senso, sono stati i risultati delle ricerche sullo sviluppo della casa collettiva moderna in Giappone, da me svolte a partire dal 1995, con particolare riferimento alle caratteristiche organizzative degli insediamenti residenziali costruiti dall’Associazione Dōjunkai (1924-1934).17 I Dōjunkai Apartments sono stati progettati sulla base dei modelli di residenze urbane a corte realizzati in Europa e in America nei primi venti anni del XX secolo. Le peculiarità di questi edifici sono state riscontrate proprio nelle modalità di adozione dei tipi a corte. Questi insediamenti che sono canonicamente di forma quadrangolare regolare, risultano, nel caso dei Dōjunkai Apartments, quasi sempre organizzati secondo configurazioni asimmetriche e mai centrali, come invece la matrice formale di base suggerirebbe. Dal punto di vista figurativo, l’asimmetria e l‘irregolarità mettono in evidenza lo spostarsi del tipo centrale, adottato originalmente come modello, verso un tipo lineare. Questo aspetto che sembrerebbe avere un importanza meramente formale, ha invece un preciso rapporto con gli aspetti della spazialità autoctona. Infatti la linearizzazione, o meglio la segmentazione, è il principio attraverso il quale viene concepito l’insediamento nei suoi due componenti: l’organismo costruito e lo spazio aperto. Nel mio studio ho stabilito un limite di omogeneità delle caratteristiche funzionali (sia dell’edificio che dello spazio aperto) che non va oltre la scala del solo segmento di un insediamento a forma quadrangolare (poligonale). Questo significa che scelte funzionali (come ad esempio: disposizioni degli accessi pubblici e privati, la disposizione degli spazi aperti privati e semiprivati), vengono applicate in maniera omogenea 16 Monnai Teruyuki, “Un glossario di concetti spaziali”, in Casabella, cit. Marco Pompili, Dōjunkai Apartments: Tōkyō 1924-1934. L’abitazione collettiva giapponese e la città moderna, Editrice Librerie Dedalo, Roma 2001. 17 soltanto per frammenti.18 Un aspetto al quale ho dato rilievo nel corso dello studio è quello relativo alle forme assunte dallo spazio aperto principale, la corte, nei Dōjunkai Apartments. Nei tipi canonici di insediamento a corte lo spazio centrale è solitamente definito in maniera coerente, figurativamente e funzionalmente. Questo significa che un tipo a corte può prevedere per esempio una fascia di giardini privati interni che seguono la forma quadrangolare dell’edificio (delimitando così una porzione di spazio privato continuo) e, nell’area centrale, una grande zona di uso pubblico con funzione solitamente ben definita.19 Nel caso del tipo Dōjunkai , notiamo invece che la fascia di giardini interni non si mantiene costante sui quattro lati della corte ma è disposta in parte all’interno e in parte all’esterno della corte stessa, alternando così i giardini agli ingressi principali degli edifici. Inoltre, alla corte centrale non è data una caratterizzazione funzionale univoca. In questo modo l’insediamento nella sua globalità, viene a caratterizzarsi come un sistema funzionale frammentato composto per segmenti disposti all’interno di uno spazio aperto dai confini ambigui.20 Quanto osservato nei Dōjunkai Apartments, fa riferimento ad una chiara persistenza di quegli aspetti legati al fenomeno della frammentazione che come possono essere riscontrati nel periodo del moderno, così possono essere osservati, in forme diverse, in molte opere di architettura corrente e contemporanea. In quest’ottica ritengo emblematici due edifici che, sebbene siano affetti da una specie di isteria compositiva tipica del periodo della bolla economica e dello zaitech, sono tuttavia da considerarsi opere significative di due maestri dell’architettura contemporanea giapponese e cioè Maki Fumihiko (巻文彦, 1928-) e Shinohara Kazuo (1925-).21 Gli edifici a cui mi riferisco sono lo Spiral (スパイラルホル, Tōkyō 1985) e il Centennial Hall (Tōkyō 1987). Lo Spiral è stato definito una cultural antenna, un contenitore per le arti visive capace di attrarre un gran numero di fruitori. L’edificio è stato concepito con un programma particolarmente complesso rispetto a quanto avviene solitamente per gli spazi espositivi. Tale complessità, oltre che nelle scelte progettuali specifiche, va ricercata evidentemente nell’influenza della Wacoal Corporation, committente e sponsor dell’edificio. Lo Spiral può essere diviso infatti, dal punto di vista delle destinazioni d’uso, in due blocchi: uno pubblico (sale espositive, teatri, spazi per il ristoro e lo shopping, etc.) ed uno privato (lounges private, club, etc.). Il fascino di questa architettura risiede senza dubbio nel modo in cui è articolato lo Marco Pompili, Dōjunkai Apartments: Tōkyō 1924-1934. L’abitazione collettiva giapponese e la città moderna, cit. In particolare vedi pagg. 130-135, 147. 18 Come accade ad esempio negli edifici inclusi all’interno del Piano di Amsterdam, le cui corti interne assumono ora le forme del giardino semiprivato ora quelle della piazza urbana. 19 20 Marco Pompili, Dōjunkai Apartments: Tōkyō 1924-1934. L’abitazione collettiva giapponese e la città moderna, cit. In particolare vedi pagg. 106-113, 122-129. Vedi anche Christopher Knabe, Joerg Rainer Noennig, Shaking the foundations, Japanese architects in dialogue, Prestel, Munich-London-New York 1999, in particolare vedi l’introduzione di Wilhelm Klauser pag. 15. 21 spazio al livello della città. L’accesso alla hall di ingresso, arretrato rispetto alla strada, avviene attraverso una sorta di portico. Pochi gradini conducono dalla hall all’area di ristoro il cui spazio è delimitato da possenti pilastri rivestiti da granito verde scuro e che sostengono il basso solaio del piano mezzanino. Il bar è caratterizzato da una compressione spaziale, accentuata dal modesto apporto di luce artificiale e dall’assenza di luce naturale. Oltre il bar, per contrasto, si apre il grande spazio circolare dominato dalla lunga rampa spiraliforme e leggerissima, abbondantemente illuminato dalla luce naturale condotta attraverso un lucernario di grande superficie. Lo spazio di questa sezione dell’edificio si articola in una serie di dilatazioni e compressioni dovute alla giustapposizione di componenti funzionali dotati di caratteristiche geometriche e spaziali tra loro contrastanti. La facciata dello Spiral, che risalta con particolare forza nel contesto prospettico della Aōyamadōri, è caratterizzata da una forte bidimensionalità, causata dall’accostamento di forme di matrice formale e di scala diversa. Il grande shōji, le piccole bucature, il volume conico, la griglia geometrica secondo la quale è montato il rivestimento, le ampie superfici di vetro, compongono la variegata pelle superficiale dell’edificio. Questa tecnica di assemblaggio di parti a se stanti e eterogenee, poste tra loro in un rapporto di quasi accidentalità, determina nello Spiral un carattere indubbiamente parcellizzato la cui poetica è ben descritta dai due collages, che rappresentano sia il layout planimetrico dell’edificio sia la facciata, eseguiti da Maki durante le prime fasi di elaborazione del progetto. È chiaro come la tecnica stessa del collage risulti essere estremamente significativa nell’ottica dell’estetica della frammentazione analizzata in questo lavoro.22 Il Centennial Hall, costruito da Shinohara per l’Institute of Technology di Tōkyō è stato pensato come un monumento per i cento anni di storia dell’istituto. L’edificio, il cui scopo è quello di raccogliere, conservare e mostrare materiali e documenti relativi alla storia della ricerca scientifica e tecnologica, contiene sia gli spazi per conferenze pubbliche, incontri e seminari di ricerca, sia gli spazi per incontri riservati al corpo accademico delle facoltà. Il Centennial Hall ha un’apparenza possente. I tratti scultorei ottenuti attraverso un procedimento di collisione, piuttosto che di giustapposizione, di volumi puri, conferiscono a quest’opera un aspetto di oggetto diffratto. La forma dell’edificio trova coerenza con l’interesse che Shinohara rivolge alla relazione tra architettura e contesto urbano, caratteristico del suo cosiddetto quarto stile. Il corpo del Centennial Hall, composto da un parallelepido di base e da in volume semicilindrico che si innesta piegandosi sul precedente, a causa dei suoi tratti antropomorfi rimanda all’estetica dei robot degli animè e dei manga giapponesi. Il Centennial Hall sembra essere una sorta di macchina cyber-pop, attraverso la quale oltre a qualche allusione di tipo scientifico o tecnologico, Shinohara ha senza dubbio voluto esprimere la metafora del caos Lo Spiral è stato pubblicato molte volte sulla stampa specializzata, fornisco di seguito solo alcuni dei riferimenti bibliografici più rilevanti: Botond Bognar, The new Japanese architecture, Rizzoli international publications, New York 1990, pagg. 64-67; Jean-Louis Cohen, “The recent work of Fumihiko Maki, Beyond the fragment: time regained”, in the Japan Architect n°16, Shinkenchiku-sha, Tōkyō 1994, pag. 180-185; Christopher Knabe, Joerg Rainer Noennig, Shaking the foundations, Japanese architects in dialogue, cit., pag. 57. L’articolo più esaustivo sullo Spiral è sicuramente quello pubblicato in the Japan Architect, cit., pagg. 14-41. Nello stesso articolo a pag. 30 è pubblicato anche il collage a cui si fa riferimento in questo lavoro. 22 visivo di Tōkyō e di quella che lui stesso definisce l’anarchia progressiva. L’anarchia progressiva allude ad una perdita di stabilità nel rapporto tra edificio e città, alla quale l’architetto sembra essere interessato al fine di esplorarne le nuove potenzialità estetiche. Questo scenario, che prevede un ulteriore strutturarsi in frammenti del tessuto urbano, dà all’architettura un ruolo di evento episodico alla cui sensualità superficiale è delegata la messa in moto delle qualità del luogo.23 Alcune recenti opere di Sejima Kazuyo (妹島和世, 1956 -) permettono di osservare nuove forme del fenomeno della frammentazione all’interno di un percorso basato su una radicalizzazione minimalista, compiuto dall’architetto. Formatasi nell’ambiente della cosiddetta scuola di Shinohara, Sejima sembra affrontare in maniera del tutto inedita alcuni nodi progettuali legati alla tradizione giapponese. La tradizione viene osservata e interpretata dall’architetto attraverso un metodo caratterizzato da una rigorosa sintesi concettuale. Il Museo delle arti del XXI secolo di Kanazawa al quale lo studio di Sejima ha lavorato tra il 2001-2004, sorge su un ampio lotto in una zona centrale della città con funzione prevalentemente residenziale. La configurazione dell’edificio nasce da una condizione di principio posta al progetto dall’architetto e dal curatore del museo, Hasegawa Yuko 長谷川祐子, cioè quella di ottenere un numero particolarmente elevato di spazi espositivi. Principio che stabilisce un’alternativa a un impianto più convenzionale costituito da poche scatole edilizie principali all’interno delle quali gli spazi espositivi sono creati di volta in volta in base alle varie esigenze. Il risultato è quello di un organismo composto da volumi puri di misure tra loro sempre diverse, che accolgono oltre alle zone per le mostre, tutte le altre funzioni del museo. Tra questi volumi quelli destinati alla sola funzione espositiva sono diciotto. La pianta dell’edificio sembra riprodurre un brano di città, inscritto in un sottile segno circolare. All’interno di questa sagoma regolare di 113 metri di diametro, i pieni e i vuoti si articolano in maniera apparentemente caotica. Corpi costruiti autonomi e monofunzionali (sala espositiva, teatro, uffici, auditorium, etc.) si alternano a giardini interni e a corridoi per la circolazione, evocando la struttura spaziale del tessuto di base della città giapponese.24 La House in a Plum Grove (Tōkyō 2003) chiamata così perché sul sito dove è stata costruita insisteva un gruppo di alberi di pruno, ha una pianta di forma trapezoidale e si articola su tre piani collegati da una scala posta quasi nel mezzo della costruzione. Al piano terra trovano posto un soggiorno, uno spazio per il tavolo, la cucina, la stanza del figlio, la 23 Non a caso Shinohara, a proposito dell’edificio, afferma: “[The C. Hall is] a cube related to some oblique transformations – like a gun-dam urban robot.” Riguardo alla definizione di anarchia progressiva vedi anche Christopher Knabe, Joerg Rainer Noennig, Shaking the foundations, Japanese architects in dialogue, cit., pag. 143-145. Come per lo Spiral fornisco di seguito solo alcuni dei riferimenti bibliografici più rilevanti sul Centennial Hall: David B. Stewart, Ohashi Tomio, Centennial hall, Axel Menges, Stuttgart 1995; GA Document n°15, A.D.A. Edita, Tōkyō 1986, pagg. 76-81; Botond Bognar, The new Japanese architecture, Rizzoli international publications, New York 1990, pagg. 78-83. Rispetto all’attività teorica di Shinohara Kazuo e ad alcuni aspetti messi in evidenza in questo lavoro si vedano anche: D.B.Stewart, The making of a modern Japanese architecture, cit., pagg. 268-281. Sul museo vedi Joseph Grima, Ota Kayoko, “21st century museum of contemporary art”, in Domus n°876, Editoriale Domus, Milano 2004, pagg. 18-45; Sejima Kazuyo, Nishizawa Ryue, Sanaa works 1995-2003, Toto Shuppan, Tōkyō 2003. 24 stanza della nonna e un bagno; al secondo piano la stanza della figlia, quella dei genitori, uno spazio per i libri, uno studio; al terzo un bagno uno spazio per un tavolo, un giardino, un piccolo vano per sedersi e guardare l’esterno. Se da una parte può sembrare fastidiosamente ossessiva, la descrizione delle funzioni disposte ai singoli piani della casa è importante perché è utile a mettere in evidenza che, in questo edificio le funzioni domestiche canoniche (camera da letto, soggiorno-studio, etc.) vengono ridotte fino alla scala degli oggetti con i quali esse sono connesse (letto, libri, etc.). Le piccole dimensioni dei singoli vani (la stanza del figlio è poco più grande di un letto singolo, lo studio non può contenere altro che una piccola scrivania e una sedia) e la continuità tra essi sono tra le peculiarità di questo insolito spazio abitativo. Gli ambienti sono tra loro comunicanti attraverso aperture praticate sulle partizioni, ora simili a finestre interne, ora simili a alcove, che possono individuare spazi raccolti o mettere in relazione visiva alcune zone della casa.25 In che modo la frammentazione può essere vista in questi due lavori di Sejima come una costante che caratterizza il progetto e informa il suo spazio? Il Museo delle arti del XXI secolo ha una forte relazione con il contesto con il quale interagisce. L’architetto trae la matrice figurativa della pianta dell’edificio dalle caratteristiche di minuta parcellizzazione del tessuto urbano. Il segno denominatore della copertura circolare, del tetto, da’ unità ad un insieme di elementi aggregati secondo un delicatissimo equilibrio di spazi “tra” funzioni specifiche (percorsi e spazi di connessione) e spazi “per” funzioni specifiche (sale espositive, teatro, auditorium, uffici, etc… ). Lo spazio museale canonico viene così frammentato secondo un principio anti-gerarchico. Lo spazio estremamente fluido ideato da Sejima stabilisce delle relazioni di vincolo mai rigide così da lasciare il fruitore libero di creare una sua personale esperienza percettiva all’interno dell’edificio. Afferma Joseph Grima: “[…]Libero dalle costrizioni di un percorso predefinito lungo le collezioni, il visitatore vaga di galleria in galleria, lasciando ai vuoti che intercorrono tra gli spazi occupati dalle diverse opere il compito di sgombrargli la mente[…]”.26 Quanto messo in evidenza da Grima ha grande attinenza con i principi di circuito narrativo e di connessione soggettiva definiti precedentemente a proposito del dipinto di Sesshū. Questo stesso principio consente all’architetto di operare una frammentazione radicale nell’organizzazione funzionale della House in a plum grove. Le possibilità espressive che Sejima intende esplorare in questo piccolo edificio sembrano essere sostanzialmente due. La prima è quella di organizzare l’abitazione tenendo fermo il punto che i membri della famiglia possano essere riuniti in un unico spazio ma nello stesso tempo possano mantenere una distanza 25 Vedi anche Ota Kayoko, Noguchi Rika, “Il nido nel frutteto dei prugni”, in Domus n°866, Editoriale Domus, Milano 2004, pagg. 64-73; Marco Pompili, “Seijima’s nLDK, una casa unifamiliare a Tōkyō di Sejima Kazuyo”, in www.exibart.it, giugno 2004. 26 Joseph Grima, Ota Kayoko, “21st century museum of contemporary art”, cit., pag. 24. adeguata tra loro. La seconda è quella di fare in modo che la parcellizzazione minuta degli spazi e delle attività possa garantire comunque un’esperienza spaziale nuova.27 Sejima crea così uno spazio domestico totale dal punto di vista visivo, e al contempo frammentato dal punto di vista funzionale. Come accennato, la forza concettuale del metodo di Sejima produce un’architettura dai lineamenti ridotti e astratti. È interessante notare come già nella rappresentazione del progetto, in modo del tutto coerente, la vigorosa semplicità dei principi conferisca al disegno un carattere diagrammatico e piatto. 27 In Ota Kayoko, Noguchi Rika, “Il nido nel frutteto dei prugni”, cit., pag.70.