le nuove leggi civili commentate

LE NUOVE LEGGI CIVILI COMMENTATE
Le nuove leggi civili commentate - N. I - 2006
2
N. 1
ANNO XXIX
GENNAIO - FEBBRAIO 2006
LE NUOVE
LEGGI CIVILI
COMMENTATE
IV
Indice - Sommario del fascicolo I
Le attualità
La tutela giurisdizionale della proprietà industriale (artt. 117-146 d.lgs.
10 febbraio 2005, n. 30 « Codice della proprietà industriale, a norma
dell’art. 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273 »).
di GINA GIOIA.
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Tutela dei diritti di privativa. – 3. La Commissione ricorsi. – 4. Le azioni a tutela del diritto industriale e le relative
sentenze. – 5. In particolare, la rivendica e la nullità. – 6. Competenza,
rito e giurisdizione. – 7. In tema di prova. La discovery. La funzione probatoria della descrizione e del sequestro. – 8. La tutela cautelare. In particolare l’inibitoria. – 9. Le regole della procedura. – 10. La pubblicità
della privativa. – 11. Esecuzione forzata. Espropriazione per pubblica
utilità. – 12. Misure contro la pirateria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag.
3
La posta elettronica certificata (d.p.r. 11 febbraio 2005, n. 68).
di SERGIO BRESCIA
SOMMARIO: 1. L’indirizzo dichiarato e il momento di perfezionamento della
notifica. – 2. Le modalità del servizio. – 3. L’albo dei certificatori. – 4.
Norme transitorie e finali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 37
VI
Indice-sommario del fascicolo I
La legge n. 49/05 riforma la normativa sulla pubblicità ingannevole e
comparativa: maggiori poteri sanzionatori e istruttori all’Autorità
garante della concorrenza e del mercato (l. 6 aprile 2005, n. 49).
di LORENZA GIRONE.
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La definizione di pubblicità commerciale
ingannevole. – 3. La pubblicità di prodotti pericolosi. – 4. Tutela dei
bambini ed adolescenti. – 5. Gli organismi di tutela della normativa sulla pubblicità ingannevole e comparativa. Un accenno al contesto internazionale. – 6. I rimedi attualmente esperibili: i nuovi poteri sanzionatori attribuiti all’Autorità garante della concorrenza e del mercato . . . . . .
pag. 49
La Corte Costituzionale « chiude i conti » con la vexata quaestio della
forma del contratto di autotrasporto (Corte cost. 14 gennaio 2005, n. 7).
di ANDREA GENTILI.
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Analisi della evoluzione normativa in materia.
– 3. Precedenti ordinanze di rimessione e conseguenti decisioni della
Corte. – 4. Esame della sentenza n. 7 del 2005 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 61
Il riparto costituzionale delle competenze e la disciplina sul mercato del
lavoro e sull’occupazione (cd. riforma « Biagi »): chiariti molti dubbi
all’esito dello scrutinio della Corte costituzionale (Corte cost. 28 gennaio 2005, n. 50).
di ENZO VINCENTI.
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Le linee essenziali del thema decidendum. – 3.
La problematica più generale sulla delegazione legislativa. – 4. Gli argomenti della Corte sulle singole censure. – 5. La centralità della materia
« ordinamento civile »: il contesto giurisprudenziale e dottrinale di riferimento. – 6. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 79
Indice-sommario del fascicolo I
VII
I commentari
Codice dei beni culturali e del paesaggio (Seconda parte) (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42).
Commentario a cura di GAETANO TROTTA, GIUSEPPE CAIA e NICOLA
AICARDI
PARTE TERZA - Beni paesaggistici.
TITOLO I - Tutela e valorizzazione.
CAPO I - Disposizioni generali.
Art. 131. - Salvaguardia dei valori del paesaggio.
Commento di PAOLO CARPENTIERI.
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La nozione culturale di paesaggio. – 3. La
nozione giuridica di paesaggio nella giurisprudenza. – 4. Le competenze
nel rapporto Stato-regioni. – 5. La nozione di valorizzazione del paesaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 124
Art. 132. - Cooperazione tra amministrazioni pubbliche.
Commento di PAOLO CARPENTIERI.
SOMMARIO: 1. La cooperazione tra amministrazioni pubbliche in materia di
paesaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 133
Art. 133. - Convenzioni internazionali.
Commento di PAOLO CARPENTIERI.
SOMMARIO: 1. Adeguamento alle convenzioni internazionali sul paesaggio .
Art. 134. - Beni paesaggistici.
pag. 135
VIII
Indice-sommario del fascicolo I
Commento di PAOLO CARPENTIERI.
SOMMARIO: 1. La nozione di beni paesaggistici attraverso il rinvio alle tipologie di legge: la nuova tipologia dei beni oggetto dei vincoli creati dalla
pianificazione paesaggistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 137
Art. 135. - Pianificazione paesaggistica.
Commento di PAOLO CARPENTIERI.
SOMMARIO: 1. La nuova pianificazione paesaggistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 138
CAPO II - Individuazione dei beni paesaggistici.
Art. 136. - Immobili ed aree di notevole interesse pubblico.
Commento di PAOLO CARPENTIERI.
SOMMARIO: 1. L’individuazione e il criterio territorialista della pianificazione. – 2. Le novità principali del capo II. – 3. La natura giuridica dell’atto di individuazione e la peculiare connotazione della discrezionalità
esercitata dall’amministrazione. – 4. L’ambito oggettivo di applicazione
dell’art. 136 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 142
Art. 137. - Commissioni provinciali.
Commento di PAOLO CARPENTIERI.
SOMMARIO: 1. Le commissioni provinciali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 148
Art. 138. - Proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico.
Commento di PAOLO CARPENTIERI.
SOMMARIO: 1. La proposta di dichiarazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 149
Art. 139. - Partecipazione al procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico.
Commento di PAOLO CARPENTIERI.
SOMMARIO: 1. L’unificazione del regime procedimentale. – 2. La partecipazione degli enti locali e delle associazioni. 3. – La partecipazione individuale al procedimento. – 4. La fase della pubblicazione e la decorrenza
degli effetti di vincolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 152
Indice-sommario del fascicolo I
IX
Art. 140. - Dichiarazione di notevole interesse pubblico e relative misure di
conoscenza
Commento di PAOLO CARPENTIERI.
SOMMARIO: 1. L’atto di dichiarazione e la relativa pubblicazione . . . . . . . . .
pag. 157
Art. 141. - Provvedimenti ministeriali.
Commento di PAOLO CARPENTIERI.
SOMMARIO: 1. I poteri ministeriali: sostitutivi o concorrenti? . . . . . . . . . . . .
pag. 159
Art. 142. - Aree tutelate per legge.
Commento di PAOLO CARPENTIERI.
SOMMARIO: 1. Il futuro regime delle aree tutelate ex lege. – 2. La tutela ope
legis in funzione di misura di salvaguardia. – 3. Le modifiche alle singole tipologie di aree ex lege . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 163
CAPO III - Pianificazione paesaggistica.
Art. 143. - Piano paesaggistico.
Commento di PAOLO CARPENTIERI.
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Gli ambiti omogenei. – 3. I contenuti minimi
obbligatori del piano. – 4. I contenuti facoltativi sulle aree « Galasso ».
– 5. La procedura per l’elaborazione d’intesa dei piani paesaggistici. – 6.
Il principio del minor consumo di territorio. – 7. Altri contenuti. – 8.
Considerazioni conclusive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 168
Art. 144. - Pubblicità e partecipazione.
Commento di PAOLO CARPENTIERI.
SOMMARIO: 1. La partecipazione ai procedimenti di pianificazione paesaggistica e la pubblicità degli atti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 173
Art. 145. - Coordinamento della pianificazione paesaggistica con altri strumenti di pianificazione.
Commento di PAOLO CARPENTIERI.
SOMMARIO: 1. Il coordinamento della pianificazione paesaggistica con altri
strumenti di pianificazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 176
X
Indice-sommario del fascicolo I
CAPO IV - Controllo e gestione dei beni soggetti a tutela.
Art. 146. - Autorizzazione.
I
Commento di PIERFRANCESCO UNGARI.
SOMMARIO: 1. Disciplina a regime e disciplina transitoria del procedimento
autorizzatorio. – 2. I caratteri generali dell’autorizzazione paesaggistica.
– 3. Attribuzione dei poteri di gestione del vincolo. – 4. L’obbligo di
autorizzazione. – 5. Oneri del richiedente l’autorizzazione e natura della valutazione. – 6. L’intervento del Ministero. – 7. Aspetti procedimentali. – 8. Rapporti con il procedimento edilizio. – 9. L’intervento sostitutivo. – 10. Il divieto di autorizzazione ex post. – 11. Procedimenti speciali per cave e miniere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 184
II
Commento di FABRIZIO FIGORILLI.
SOMMARIO: 1. Il comma 11°: i soggetti legittimati ad impugnare l’autorizzazione paesaggistica. – 2. La tendenziale oggettivizzazione del giudizio in
tale materia. – 3. Segue: l’appellabilità delle sentenze ed ordinanze emanate dal giudice amministrativo da parte di chi non ha partecipato al
processo di primo grado . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 198
Art. 147. - Autorizzazione per opere da eseguirsi da parte di amministrazioni
statali.
Commento di PIERFRANCESCO UNGARI.
SOMMARIO: 1. La valutazione di compatibilità paesaggistica delle opere statali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 202
Art. 148. - Commissione per il paesaggio.
Commento di PIERFRANCESCO UNGARI.
SOMMARIO: 1. La commissione per il paesaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 204
Art. 149. - Interventi non soggetti ad autorizzazione.
Commento di PIERFRANCESCO UNGARI.
SOMMARIO: 1. Gli interventi non soggetti ad autorizzazione . . . . . . . . . . . . .
Art. 150. - Inibizione o sospensione dei lavori.
pag. 206
Indice-sommario del fascicolo I
XI
Commento di PIERFRANCESCO UNGARI.
SOMMARIO: Le misure cautelari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 208
Art. 151. - Rimborso spese a seguito della sospensione dei lavori.
Commento di PIERFRANCESCO UNGARI.
SOMMARIO: 1. Il rimborso spese per la sospensione lavori su beni non vincolati non preceduta da tempestiva diffida . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 211
Art. 152. - Interventi soggetti a particolari prescrizioni.
Commento di PIERFRANCESCO UNGARI.
SOMMARIO: 1. Prescrizioni particolari per l’apertura di strade e cave e la realizzazione di condotte e palificazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 212
Art. 153. - Cartelli pubblicitari.
Commento di PIERFRANCESCO UNGARI
SOMMARIO: 1. La collocazione di cartelli e altri mezzi pubblicitari . . . . . . . .
pag. 213
Art. 154. - Colore delle facciate dei fabbricati.
Commento di PIERFRANCESCO UNGARI.
SOMMARIO: 1. Colore delle facciate e dei fabbricati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 215
Art. 155. - Vigilanza.
Commento di PIERFRANCESCO UNGARI.
SOMMARIO: 1. Le funzioni di vigilanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 216
CAPO V - Disposizioni di prima applicazione e transitorie.
Art. 156. - Verifica e adeguamento dei piani paesaggistici.
Commento di PAOLO CARPENTIERI.
SOMMARIO: 1. Adeguamenti dei piani e omogeneità di ricognizione territoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 218
XII
Indice-sommario del fascicolo I
Art. 157. - Notifiche eseguite, elenchi compilati, provvedimenti e atti emessi
ai sensi della normativa previgente.
Commento di PAOLO CARPENTIERI.
SOMMARIO: 1. La continuità del sistema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 219
Art. 158. - Disposizioni regionali di attuazione.
Commento di PIERFRANCESCO UNGARI
SOMMARIO: 1. La potestà normativa regionale di attuazione . . . . . . . . . . . . .
pag. 222
Art. 159. - Procedimento di autorizzazione in via transitoria.
Commento di PIERFRANCESCO UNGARI.
SOMMARIO: 1. Il procedimento autorizzatorio nella fase transitoria. – 2.
Applicabilità nella fase transitoria di alcune disposizioni dell’art. 146; in
particolare, del divieto di autorizzazione ex post . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 224
PARTE QUARTA - Sanzioni.
TITOLO I - Sanzioni amministrative.
CAPO I - Sanzioni relative alla Parte seconda.
Art. 160. - Ordine di reintegrazione.
Art. 161. - Danno a cose ritrovate.
Commento di PAOLA CAPUTI JAMBRENGHI.
SOMMARIO (artt. 160, 161): 1. Le sanzioni ripristinatorie per danni ai beni
culturali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 232
Art. 162. - Violazioni in materia di affissione.
Commento di FAUSTO BALDI.
SOMMARIO: 1. Le sanzioni per violazioni in materia di affissioni (beni culturali) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Art. 163. - Perdita di beni culturali.
Commento di PAOLA CAPUTI JAMBRENGHI.
pag. 234
Indice-sommario del fascicolo I
SOMMARIO: 1. La sanzione per la perdita di beni culturali . . . . . . . . . . . . . . .
XIII
pag. 235
Art. 164. - Violazioni in atti giuridici.
Commento di MASSIMILIANO PALMERI.
SOMMARIO: 1. La « nullità » per le violazioni in atti giuridici concernenti i
beni culturali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 236
Art. 165. - Violazione di disposizioni in materia di circolazione internazionale
Commento di FABIO SAITTA.
SOMMARIO: 1. Premesse. – 2. Natura giuridica e presupposti della sanzione
pag. 239
Art. 166. - Omessa restituzione di documenti per l’esportazione.
Commento di ALESSANDRA LANCIOTTI.
SOMMARIO: 1. Omessa restituzione di documenti per l’esportazione . . . . . .
pag. 241
CAPO II - Sanzioni relative alla Parte terza.
Art. 167. - Ordine di rimessione in pristino o di versamento di indennità
pecuniaria)
Commento di PIERFRANCESCO UNGARI.
SOMMARIO: 1. Le innovazioni. – 2. La scelta tra sanzioni alternative. – 3.
Natura e funzione della misura pecuniaria. – 4. Destinazione delle somme. – 5. Rapporti tra sanzioni paesaggistiche e sanzioni edilizie . . . . . . .
pag. 242
Art. 168. - Violazione in materia di affissione.
Commento di PIERFRANCESCO UNGARI.
SOMMARIO: 1. Le sanzioni per violazioni in materia di affissioni (beni paesaggistici) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
TITOLO II - Sanzioni penali.
CAPO I - Sanzioni relative alla Parte seconda.
Art. 169. - Opere illecite.
pag. 253
XIV
Indice-sommario del fascicolo I
Art. 170. - Uso illecito.
Art. 171. - Collocazione e rimozione illecita.
Commento di FAUSTO BALDI
SOMMARIO (artt. 169-171): 1. Considerazioni generali. – 2. I reati di danneggiamento previsti dal codice penale. – 3. Le opere illecite (art. 169):
a) demolizione, rimozione, modificazione e restauro abusivi; b) distacco;
c) i lavori urgenti; d) la violazione dell’ordine di sospensione. – 4. L’uso
illecito (art. 170). – 5. Collocazione e rimozione illecita (art. 171) . . . . . .
pag. 255
Art. 172. - Inosservanza delle prescrizioni di tutela indiretta.
Art. 173. - Violazioni in materia di alienazione.
Commento di ALBERTO MORBIDELLI.
SOMMARIO: 1. Le sanzioni per violazioni in materia di alienazione . . . . . . . .
pag. 270
Art. 174. - Uscita o esportazione illecite.
Commento di FABIO SAITTA
SOMMARIO: 1. Premesse. – 2. La pregressa disciplina del reato di esportazione illecita. – 3. Presupposti e natura giuridica della sanzione. – 4. La
confisca delle cose illecitamente esportate. – 5. L’interdizione dall’arte o
professione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 271
Art. 175. - Violazioni in materia di ricerche archeologiche.
Art. 176. - Impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato.
Commento di GIORGIO CALDERONI.
SOMMARIO (artt. 175-176): 1. Premessa comune: (principio di) duplice protezione ed « abrogatio sine abolitione ». – 2. Le due ipotesi di reato, in
materia di ricerche archeologiche, di cui all’art. 175. – 3. L’illecito
impossessamento di beni culturali appartenenti allo Stato (art. 176). – 4.
Segue: e la controversa presunzione (giurisprudenziale) di possesso illegittimo di cose di interesse culturale. – 5. L’accertamento del requisito
della « culturalità » del bene. – 6. Il tentativo di reato . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 275
Art. 177. - Collaborazione per il recupero di beni culturali.
Commento di RICCARDO FUZIO.
SOMMARIO: 1. La circostanza attenuante speciale per collaborazione . . . . . .
pag. 280
Indice-sommario del fascicolo I
XV
Art. 178. - Contraffazione di opere d’arte.
Art. 179. - Casi di non punibilità.
Commento di RICCARDO FUZIO.
SOMMARIO (artt. 178, 179): 1. Il contenuto non innovativo. – 2. Le nuove
questioni: a) la tutela delle opere contemporanee. – 3. Segue: b) L’elemento soggettivo del reato. – 4. Circostanza aggravante, pene accessorie
e confisca. – 5. I casi di non punibilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 282
Art. 180. - Inosservanza dei provvedimenti amministrativi.
Commento di RICCARDO FUZIO.
SOMMARIO: 1. Inosservanza di provvedimenti amministrativi . . . . . . . . . . . .
pag. 285
CAPO II - Sanzioni relative alla Parte terza.
Art. 181. - Opere eseguite in assenza di autorizzazione o in difformità da essa.
Commento di RICCARDO FUZIO.
SOMMARIO: 1. La tutela penale del paesaggio: le origini e l’art. 163 del testo
unico dei beni culturali e ambientali. – 2. L’art. 181 del Codice nella versione originaria. – 3. Il nuovo art. 181 del Codice, così come modificato
dall’art. 1, comma 36°, lett. c), della l. 15 dicembre 2004, n. 308. – 4. La
nuova fattispecie di reato: il delitto paesaggistico. – 5. La fattispecie originaria della contravvenzione dell’art. 181, comma 1°: la contravvenzione di opere abusive su beni paesaggistici. – 6. Il delitto paesaggistico
come figura autonoma di reato e non come reato circostanziato del reato-base dell’art. 181, comma 1°. – 7. La natura dei reati. – 8. Gli effetti
del nuovo sistema sanzionatorio: la distinzione tra tutela provvedimentale e tutela per legge ed i dubbi di costituzionalità. – 9. L’accertamento
di compatibilità paesaggistica (art. 181, comma 1°-ter). – 10. La rimessione in pristino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
PARTE V - Disposizioni transitorie, abrogazioni ed entrata in vigore.
Art. 182. - Disposizioni transitorie.
I
Commento di BENEDETTA LUBRANO.
SOMMARIO: 1. La disciplina transitoriamente applicabile a coloro che pur
pag. 287
XVI
Indice-sommario del fascicolo I
non possedendo gli speciali requisiti di qualificazione previsti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio abbiano requisiti formativi, teorici
e/o pratici, tali da renderli idonei ad acquisire la qualifica di restauratore di beni culturali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 306
II
Commento di DIEGO VAIANO.
SOMMARIO: 1. Rinvio all’art. 103 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 307
Art. 183. - Disposizioni finali.
Commento di LIVIA MERCATI
SOMMARIO: 1. L’esclusione del controllo preventivo di legittimità. – 2. Il
divieto di nuovi e maggiori oneri per la finanza pubblica. – 3. Le garanzie prestate dallo Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 308
Art. 184. - Norme abrogate.
Commento di BENEDETTA LUBRANO.
SOMMARIO: 1. Le dichiarazioni espresse relativamente ad eventuali deroghe
ed alla entrata in vigore del Codice dei beni culturali e del paesaggio. –
2. Le norme abrogate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Allegato A
pag. 312
Le attualità
1) La tutela giurisdizionale della proprietà industriale (artt. 117146 d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
2) La posta elettronica certificata (d.p.r. 11 febbraio 2005, n. 68).
3
pag.
37
3) La legge n. 49/05 riforma la normativa sulla pubblicità ingannevole e comparativa: maggiori poteri sanzionatori e istruttori
all’autorità garante della concorrenza e del mercato (l. 6 aprile
2005, n. 49) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
49
4) La Corte costituzionale « chiude i conti » con la vexata quaestio
della forma del contratto di autotraporto (Corte cost. 14 gennaio
2005, n. 7) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
61
5) Il riparto costituzionale delle competenze e la disciplina sul
mercato del lavoro e sull’occupazione (cd. riforma « Biagi »):
chiariti molti dubbi al’’esito dello scrutinio della Corte costituzionale (Corte cost. 28 gennaio 2005, n. 50) . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
79
LA TUTELA GIURISDIZIONALE
DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE
(artt. 117-146 d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 « Codice della proprietà
industriale, a norma dell’art. 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273 »,
in G.U. n. 52 del 4 marzo 2005, s.o. n. 28)
di
GINA GIOIA
(ricercatore dell’Università di Padova)
LA TUTELA
GIURISDIZIONALE
DELLA PROPRIETÀ
INDUSTRIALE
di
GINA GIOIA
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Tutela dei diritti di privativa. – 3. La Commissione ricorsi. – 4. Le
azioni a tutela del diritto industriale e le relative sentenze. – 5. In particolare, la rivendica e
la nullità. – 6. Competenza, rito e giurisdizione. – 7. In tema di prova. La discovery. La funzione probatoria della descrizione e del sequestro. – 8. La tutela cautelare. In particolare
l’inibitoria. – 9. Le regole della procedura. – 10. La pubblicità della privativa. – 11. Esecuzione forzata. Espropriazione per pubblica utilità. – 12. Misure contro la pirateria.
1. – Dopo oltre due anni dalla approvazione della legge delega, il Governo ha emanato, con la tecnica del decreto legislativo e con ambizione giustinianea (1), il codice della proprietà industriale.
L’obiettivo dichiarato è quello di assicurare un riordino ed una semplificazione normativa in una materia, quella della proprietà industriale,
caratterizzata dalla sovrapposizione di norme contenute in provvedimenti di rango diverso (2).
La considerazione che il legislatore riserva alla materia è, indubbiamente riguardosa del ruolo che la stessa riveste nella più generale disciplina
del mercato, e costituisce da un lato il tentativo di porre un argine ai falsi
(1) L’espressione è di MANSANI, Le disposizioni in materia di marchi nella bozza del codice
dei diritti della proprietà industriale, in AA.VV., Il Codice della Proprietà industriale, a cura
di Ubertazzi, Milano, 2004, p. 69. L’autore considera una fatica inutile l’ambizione di dar
vita ad un testo unico essendo quel testo destinato ad essere affiancato in breve tempo da
altre norme eterogenee, che richiederebbero suoi continui aggiornamenti, adattamenti e
modifiche. In verità, negli ultimi anni è sempre più diffusa l’esigenza di raccogliere organicamente una stessa materia, e si tende a passare dall’idea regolativa del codice a quella
di diversi codici organizzati per materia. Lo strumento dei testi unici misti di riordino
(basti pensare a quello sull’edilizia n. 380/01; sulla espropriazione n. 327/01; sulle spese di
giustizia n. 115/02) è stato soppresso dalla l. n. 229/03 – Interventi in materia di qualità
della regolazione, riassetto normativo e codificazione « Legge di semplificazione 2001 » –
che prevede decreti legge di riassetto o codici, in luogo dei testi unici. La distinzione concettuale tra testi unici e codici è data dalla capacità meramente ricognitiva dei primi, anche
se, come si è visto, anche in questi non mancano cambiamenti, e dalla capacità innovativa
dei secondi.
(2) Il termine proprietà industriale, per espressa previsione dell’art. 1 del d.lgs. n. 30 del
10 febbraio 2005, comprende marchi, altri segni distintivi, indicazioni geografiche, denominazioni di origine, disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità, topografie di prodotti
e semiconduttori, informazioni aziendali riservate e nuove varietà vegetali. Indubbiamente la scelta di una terminologia unitaria rappresenta una operazione culturalmente significativa perché è espressione dell’apprezzabile tentativo di ricostruire i tratti comuni di singoli istituti caratterizzati comunque da una loro autonomia concettuale.
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e alla concorrenza sleale, dall’altro uno sforzo per rilanciare la innovazione e la competitività.
Per il perseguimento di tali finalità, è proprio sul terreno della tutela giurisdizionale dei diritti (cui dedica l’intero capo III, gli artt. 117-146) che il
legislatore gioca buona parte di questa partita.
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2. – I diritti inerenti alla proprietà industriale sono costituiti a seguito di
un procedimento amministrativo, promosso ad istanza di parte, che ha
luogo dinanzi all’Ufficio italiano brevetti e marchi (3), e che è preordinato, appunto, al rilascio della brevettazione o della registrazione. Si tratta di
un procedimento amministrativo, definito giustamente dall’art. 2 codice
prop. ind., di accertamento-costitutivo, perché finalizzato ad accertare la
sussistenza dei requisiti di brevettabilità o di registrazione e a costituirne,
all’esito dell’accertamento, una situazione giuridica nuova, rappresentata
dal diritto di proprietà industriale: uno ius escludendi alios con potestà
esclusive su beni cui il diritto si riferisce e con efficacia erga omnes, almeno di regola nei limiti territoriali dell’ordinamento statale (4).
Al procedimento amministrativo si accompagna la tutela giurisdizionale
che si ripartisce tra la Commissione ricorsi e il giudice ordinario (5). Alla prima sono affidate le controversie che possono insorgere circa il diritto ad ottenere il brevetto o la registrazione; il relativo giudizio avrà come contraddittore l’UIBM (6). Al secondo, invece, sono riservate le controversie che insorgono tra privati circa lo sfruttamento della proprietà industriale, per cui questi risulta essere giudice dell’esistenza e della permanenza della privativa (7).
3. – La tutela del richiedente il brevetto o la registrazione, a fronte di un
provvedimento di diniego (allorché risulti respinta totalmente o parzial-
(3) Sono oggetto di registrazione i marchi i disegni e modelli, le topografie dei prodotti
a semiconduttori. Inoltre, lo sono le invenzioni, i modelli di utilità, le nuove varietà vegetali. Sono esclusi i nomi a dominio.
(4) L’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi non sindaca l’esattezza sostanziale della designazione, né ha il potere di verificare la legittimazione del richiedente la registrazione, che è
presunta in capo al richiedente.
Del resto l’UIBM non verifica nemmeno la novità (si vedano le problematiche connesse
in SERPIERI, Note in tema di brevettazione del non avente diritto, in Riv. dir. ind., II, 2003, p.
215). È previsto, tuttavia, che nel corso del procedimento di registrazione del marchio
(d.lgs. 8 ottobre 1999, n. 447) possa istaurarsi una fase incidentale di opposizione (anche
solo mediante osservazioni), che costringe a una verifica l’anteriorità.
(5) Anche ove il procedimento amministrativo non sia concluso, può essere proposta l’azione giurisdizionale davanti al giudice ordinario, a condizione che il riconoscimento della privativa intervenga prima della fase di decisione della causa. In caso di mancata conclusione del procedimento, la domanda è improcedibile, fino alla rimozione dell’ostacolo.
Tale limite, invece, non si riscontra ove sia stata richiesta un’azione cautelare.
(6) A seguito del d.lgs. n. 447/99, la Commissione può essere adita anche dall’opposizione del terzo al procedimento di registrazione, ma si ritiene comunemente che ciò non
incida sulla non interferenza tra i giudizi emessi dai due diversi organi giurisdizionali, cfr.
in tal senso SCUFFI, Sub artt. 117 ss., in SCUFFI, FRANZOSI e FITTANTE, Il codice della proprietà
industriale, Milano, 2005, p. 498.
(7) La diversità di soggetti coinvolti, nonché dell’oggetto stesso del giudizio (la Commissione decide sul diritto soggettivo ad ottenere la privativa, mentre il giudice ordinario
si occupa del diritto di esclusiva), impediscono una sovrapposizione di giudicati.
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mente una domanda o un’istanza, oppure che impediscono il riconoscimento di un diritto e negli altri casi espressamente previsti) viene attivata,
invece, con un ricorso alla Commissione ricorsi (8), come previsto dall’art.
135, da proporsi entro il termine decadenziale di 60 giorni dalla comunicazione della decisione di rigetto (9).
Siffatto rimedio (10) è esperibile, in verità, non solo per reagire ad un
provvedimento dell’UIBM di rigetto, anche parziale, della istanza di brevetto o registrazione, ma più in generale per opporsi ad un provvedimento, sempre dell’UIBM, che impedisce il riconoscimento di un diritto di
proprietà industriale (11).
La tutela è accordata in presenza di un provvedimento definitivo e non
semplicemente interlocutorio (vale a dire che, ad es., conceda un termine
per osservazioni), a meno che quest’ultimo sia in grado di compromettere
già l’esercizio di un diritto di proprietà industriale (12).
Il procedimento dinanzi alla Commissione ricorsi è informato al principio del contraddittorio, della discussione pubblica del ricorso.
Il ricorso va notificato, non solo all’UIBM ma anche ad eventuali controinteressati, e nei trenta giorni successivi depositato presso la segreteria della Commissione ricorsi. Non è necessario il patrocinio di un legale, potendo la parte
stare in giudizio anche personalmente. La Commissione procede all’eventuale
attività istruttoria, sempre nel rispetto dei principi generali in materia di prova.
Nel caso di accoglimento della opposizione la Commissione non può condannare l’UIBM ad un facere, ma dovrà accertare il diritto del ricorrente
all’ottenimento del titolo. Questa decisione, in caso di mancata esecuzione
dell’UIBM è suscettibile di costituire oggetto di giudizio di ottemperanza.
Il neo codice prevede la possibilità che la Commissione emetta una
misura cautelare che appaia più idonea ad assicurare interinalmente gli
effetti della decisione definitiva.
Presupposto per l’adozione della misura cautelare è il grave pregiudizio
che potrebbe derivare dall’esecuzione dell’atto impugnato, o dall’inerzia
dell’UIBM, unitamente al periculum in mora.
(8) La Commissione ricorsi, istituita nel lontano 1939 con r.d. n. 1127, è un organo,
sostanzialmente giurisdizionale, composta da magistrati con il grado di consiglieri della
Corte di appello, da docenti universitari o di istituti giuridici superiori; possono essere
aggregati anche esperti tecnici, privi di potere deliberativo. La natura di organo giurisdizionale (le sue sentenze possono essere impugnate davanti alla Corte di cassazione) speciale della Commissione è stata riconosciuta dalla Corte cost. nella sentenza n. 158 del 10
maggio 1995, nella quale è stato escluso il contrasto costituzionale con l’art. 102 comma 2°
Cost. preesistendo tale organo alla entrata in vigore della Costituzione e al disposto di cui
all’art. 102, comma 2°, Cost. La Commissione non opera solo in funzione giurisdizionale,
ma anche in funzione consultiva, allorquando il Ministero delle attività produttive, ne
richieda parere non vincolante, in materia di marchi e brevetti. La ley organica ha accentuato la terzietà dell’organo, attraverso l’esclusione del direttore dell’UIBM dalla composizione della Commissione, prevista in precedenza senza voto deliberativo.
(9) In precedenza il termine era di trenta giorni.
(10) Il ricorso deve essere motivato. Nel caso di incompletezza la Commissione concede
un termine per l’integrazione.
(11) Si pensi alla richiesta di trascrizione di un atto di revoca della cessione unilaterale
non irrevocabile di un marchio prima che detta cessione venga accettata dall’acquirente.
(12) La Commissione ricorsi conosce anche in materia di interessi legittimi. In tal senso
Comm. Ric., 3 ottobre 2003, n. 2044, in Dir. ind., 2003, p. 503, con nota di LAMANDINI.
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La lettera della norma è praticamente identica all’art. 21, comma 8°, prima parte, l. n. 1034/71, per cui risulta chiaro che l’istanza cautelare possa
proporsi solo unitamente all’impugnazione del provvedimento dell’UIBM, anche perché il termine di 60 giorni per l’impugnazione del provvedimento, lascia presumere che, per non incorrere in decadenza, tale
istanza debba essere contenuta nel ricorso diretto all’impugnazione del
provvedimento, benché si discuta il più delle volte di diritti soggettivi e
non di interessi legittimi.
La forma che assume il provvedimento cautelare è quella del decreto se
emesso inaudita altera parte o quella della ordinanza in camera di consiglio se emesso a contraddittorio integro. Naturalmente, il provvedimento
cautelare è soggetto a revoca e/o a modifica per fatti sopravvenuti.
La decisione definitiva, invece, prende la forma della sentenza di rito o
di merito, di accoglimento o di rigetto, ed è dotata di carattere decisorio
e definitivo.
La decisione di merito di accoglimento non condannerà l’UIBM ad un
facere, ma accerterà il diritto all’ottenimento del titolo, alla quale l’amministrazione dovrà conformarsi, altrimenti non resta che attivare il giudizio
di ottemperanza.
Da tutto quanto detto (ricorso impugnatorio di un provvedimento di
diniego, termini per impugnare, contenuto della sentenza e sua esecuzione) emerge che il processo che si svolge davanti alla Commissione è più
assimilabile al processo amministrativo che a quello civile, e ciò nonostante essa si occupi anche dei diritti soggettivi (non estranei nemmeno
alla cognizione dei giudici amministrativi). Accettata questa posizione,
perciò, laddove ci siano lacune nel rito sopperirà il rito previsto per i giudici amministrativi.
A prescindere dalla natura che si voglia attribuire al giudice e al relativo
procedimento, per il solo fatto che ci troviamo davanti ad un giudice speciale, quale esso è, è possibile esperire il regolamento preventivo di giurisdizione, ormai inquadrato come mezzo generale azionabile per controversie relative a tutte le giurisdizioni.
Non è ammesso l’appello ma, stante il carattere decisorio e definitivo del
provvedimento della Commissione, è ammesso il ricorso straordinario per
cassazione, ex art. 111 Cost., comma 7°.
Infine, generalmente si ammette l’esperibilità della revocazione ex art.
395 c.p.c. avverso la decisione della Commissione ricorsi.
4. – Nel diritto industriale, come nel diritto comune, la tutela si realizza
nel processo di cognizione, in quello cautelare ed in quello esecutivo.
Abbiamo così anche nel diritto industriale la tripartizione in azione di
cognizione, cautelari ed esecutive.
La tutela di cognizione si sostanzia nella tutela di accertamento condanna, e costitutiva.
Con l’azione di accertamento si richiede al giudice di superare una situazione di incertezza (13); con l’azione di condanna si richiede una sentenza
(13) L’azione di accertamento è azione a carattere generale nel nostro ordinamento esperibile anche al di fuori delle ipotesi tipiche previste, sia nel settore dei diritti assoluti ma
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che soddisfi un diritto di credito (14), almeno nell’an (condanna generica);
con l’azione costitutiva, infine, si chiede al giudice di costituire, modificare od estinguere una rapporto giuridico (15).
Rientra nella categoria delle azioni di accertamento quella diretta ad
ottenere l’accertamento della validità del titolo, l’azione di accertamento,
positivo o negativo, della contraffazione.
L’azione di nullità o di decadenza della validità del titolo di proprietà
industriale, invece, almeno secondo parte della dottrina (16), è più propriamente costitutiva dal momento che il suo accoglimento travolge con
efficacia ex nunc gli effetti della registrazione del marchio o ne elimina il
provvedimento amministrativo di concessione della privativa, venendo
così a modificare una situazione esistente e produttiva di effetti giuridici.
Oltre alla ipotesi controversa della azione di nullità o decadenza del
titolo, alla categoria delle azioni costitutive vanno ricondotte, senza
alcun dubbio, quelle esercitate dall’avente diritto contro l’usurpatore
per ottenere il trasferimento a proprio nome del titolo da altri richiesto
indebitamente.
Nel genus delle azioni di condanna, infine, vanno annoverate le azioni di
contraffazione dirette ad ottenere, previo l’accertamento della violazione
e della sua imputabilità, le misure ripristinatorie-riparatorie previste dall’ordinamento.
L’azione di condanna come si è visto può essere esercitata anche nelle
forme della condanna generica, con una separazione dell’an dal quantum,
e può essere integrata o sostituita da azioni equivalenti contemplate dalla
normativa codicistica sulla concorrenza sleale (artt. 2598-2601 c.c.) (17).
La tutela cautelare, azionabile in presenza dei requisiti generali del
fumus boni iuris e del periculum in mora, e diretta ad evitare che nel tempo occorrente per ottenere un provvedimento definitivo il diritto possa
essere pregiudicato, caratterizza il diritto industriale.
Accanto alle azioni cautelari tipiche (descrizione, inibitoria, sequestro
indicate negli artt. 128, 129 e 131), e fuori dall’ambito di operatività delle
stesse sono proponibili anche rimedi atipici (art. 700 c.p.c.).
Frequente è il ricorso ai rimedi innominati per l’accertamento negativo
di una contraffazione in vista del pregiudizio che dal ritardo ne possa derivare nella produzione e negli investimenti.
L’area di operatività delle azioni esecutive non subisce limitazioni e sono
tutte proponibili nel diritto industriale. Queste sono dirette alla espropriazione mobiliare, immobiliare e presso terzi, dalla consegna o rilascio,
anche in quello del diritto relativo. In questo senso VERDE, Profili del processo civile, I,
Padova, 2002, p. 153.
(14) Ogni azione di condanna beninteso contiene un accertamento (l’esistenza del credito e dei suoi presupposti) ed un quid pluris caratterizzato dalla condanna ad un facere o ad
una somma di denaro.
(15) L’azione costitutiva è tipica. Dispone infatti l’art. 2908 c.c. che nei casi previsti dalla legge, l’autorità giudiziaria può costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici.
(16) In tal senso MANGINI, Il marchio e gli altri segni distintivi, in Tratt. dir. comm. e dir.
pubbl. ec. diretto da Galgano, V, Padova, 1982, p. 331; SPADA, Studi in onore di Franceschelli, Milano, 1983, p. 344.
(17) Il sistema sanzionatorio previsto dal codice sulla concorrenza sleale conosce l’azione di
condanna - risarcimento del danno, pubblicazione della sentenza, inibitorie ed ordini di facere.
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o dirette alla trasformazione forzata se ed in quanto esercitatile nelle forme della esecuzione degli obblighi di fare.
Anche nel processo industriale sulla sentenza non più soggetta a mezzi
di impugnazione scende il giudicato ed è efficace solo fra le parti (18), eredi ed aventi causa, non solo sulle questioni espressamente dedotte (giudicato esplicito), ma anche su quelle che ne costituiscono un presupposto
logico indefettibile della decisione (giudicato implicito).
Ciò vale per le sentenze di accertamento positivo della validità del titolo della privativa, di accertamento positivo o negativo della contraffazione.
Viceversa, ed in deroga ai limiti soggettivi del giudicato, le sentenze che
dichiarano la nullità o la decadenza di una privativa, per espressa previsione dell’art. 123 del codice, sono dotate di una efficacia aggiunta erga
omnes, e sono annotate nel registro tenuto dall’UIBM, determinandone
così una radiazione vera e propria.
Dal giudicato ne discende la improponibilità della medesima questione, in altri giudizi (19). Infine una deroga al normale effetto ripetitivo
che discende dalla nullità, per espressa previsione dell’art. 77 del codice, in tema di invenzione: a) gli atti di esecuzione già compiuti in forza
di sentenze di contraffazione passate in giudicato; b) i contratti già eseguiti aventi ad oggetto l’invenzione del cui giudicato di nullità trattasi e
conclusi anteriormente con possibilità per il giudice di accordare
un equo rimborso per gli importi già versati; c) i pagamenti già effettuati a titolo di equo premio, canone o prezzo per le invenzioni dei dipendenti.
La sentenza di condanna può atteggiarsi in una inibitoria definitiva,
come previsto dal nuovo rito societario. Il giudice che accerta la contraffazione, infatti, può ordinare all’autore della stessa e/o a chiunque abbia
partecipato di astenersi in futuro dalla condotta vietata, a prescindere dallo stato soggettivo di dolo o colpa dell’autore. La inibitoria ha, così una
funzione di tutela preventiva e durevole, e completa la tutela risarcitoria o
riparatoria.
Si è inteso generalizzare una misura che il codice civile già la prevedeva
per la concorrenza sleale (art. 2599 c.c.) (20). Quale mezzo di esecuzione
indiretta dell’inibitoria, il diritto industriale conosce la così detta penalità
di mora, per le violazioni (21) successive. Il contenuto della sentenza di
condanna può consistere nell’ordine di distruzione di tutte le cose costituenti la violazione. Il necessario contemperamento con i superiori inte-
(18) L’improponibilità che può essere fatta valere con il rimedio straordinario della revocazione ex art. 395 c.p.c., semprechè la relativa eccezione di giudicato non sia stata già sollevata e decisa.
(19) Il giudice che accerta la concorrenza sleale, che è una ipotesi di contraffazione, poteva già inibire la continuazione e dava gli opportuni provvedimenti per eliminare gli effetti.
(20) La penalità di mora persegue la stessa finalità preventiva e dissuasiva delle astreintes. Anche l’art. 11 della dir. 48/04/CE, con analoga finalità prevede una pena pecuniaria
in caso di mancato rispetto di una ingiunzione.
(21) La distruzione, in precedenza era espressamente prevista solo per i marchi, ma la si
ammetteva anche per le invenzioni.
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ressi di economia nazionale, protetti costituzionalmente, limita il potere
del giudice di condannare alla distruzione.
Infatti ove dalla distruzione della cosa possa derivarne un pregiudizio
all’economia nazionale (22) è dato al giudice di condannare solo al risarcimento del danno. Un ulteriore limite alla distruzione è costituito dall’uso
personale delle cose.
La distruzione e la rimozione costituiscono così una sostanziazione di
quei provvedimenti che il giudice ex art. 2599 c.c. poteva prendere per eliminare gli effetti di una concorrenza sleale (23).
L’assegnazione in proprietà ha natura restitutoria, anche questa era prevista per le sole invenzioni e non anche per i marchi, ora il codice invece
ha generalizzato il rimedio.
Sempre su richiesta di parte il giudice può ordinare il sequestro a spese
dell’autore della violazione fino alla estinzione del titolo degli oggetti e dei
mezzi di produzione, ed il titolare della proprietà industriale può richiedere che gli oggetti sequestrati siano aggiudicati ad un prezzo che verrà
stabilito dal giudice in mancanza di accordo fra le parti.
Relative contestazioni decide il giudice con ordinanza non soggetta a
gravame.
Nel processo di contraffazione il risarcimento del danno, liquidato secondo le disposizioni di cui agli artt. 1223, 1226 e 1227, c.c. costituisce una componente ineludibile, con una chiara funzione di reintegrazione del patrimonio del danneggiato (art. 125) (24). Le componenti di danno sono quelle
tradizionali del danno patrimoniale (danno emergente e lucro cessante) e
del danno non patrimoniale (danno morale), nella nuova accezione non più
limitata alle sole ipotesi di reato ma collegato alla violazione di interessi costituzionalmente protetti. La ricostruzione del lucro cessante è sintetizzabile
in diversi orientamenti: a) decremento del fatturato del titolare della privativa con perdita di profitto; b) riversamento o utile tratto dal contraffattore; c) giusto prezzo del consenso o royalty che il contraffattore avrebbe corrisposto se avesse chiesto ed ottenuto un contratto di licenza. La liquidazione del danno può avvenire anche in via equitativa ex art. 1226 c.c., ove
non sia possibile determinarne il preciso ammontare.
Da ultimo con la sentenza che accerta la violazione dei diritti di proprietà
industriali, il giudice può ordinare la pubblicazione della sentenza o di una
sua parte, ponendo le spese a carico del soccombente. Si tratta di una misura prevista già dall’art. 2600 c.c. in tema di concorrenza sleale e in via generale dall’art. 120 c.p.c. La sua funzione è prevalentemente preventiva rispetto a situazioni che potrebbero verificarsi in futuro, più che sanzionatoria (25).
(22) In ossequio al principio della domanda di cui all’art. 212 c.p.c. tanto l’inibitoria
quanto la distruzione sono adottate dal giudice su istanza di parte.
(23) Il risarcimento del danno ha come precisa funzione la ricostituzione del patrimonio
del danneggiato nell’ammontare che avrebbe avuto se non si fosse verificata la contraffazione, e non ha pertanto la funzione di deterrente.
(24) Sulla funzione della pubblicazione del provvedimento giudiziale, non solo risarcitoria ma anche di informativa ai soggetti che operano sul mercato si veda Trib. Torino, ord.
18 febbraio 2004, in Le Sezioni Specializzate Italiane della proprietà industriale. Rassegna di
giurisprudenza, I, 2004, p. 263.
(25) I diritti oggetto di registrazione sono: i marchi, i disegni, i modelli, le topografie dei
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Completano la tutela sanzionatoria la previsione di sanzioni penali ed
amministrative, ex art. 127.
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5. – Tutela è apprestata anche contro i terzi che contestino o sfruttino il
diritto industriale (26) dell’avente diritto (27). Questa volta, come detto, la
cognizione appartiene al giudice ordinario. Il codice della proprietà industriale (come anche la normativa previgente), prevede alcune azioni che
possono essere proposte da chi assume essere titolare dello sfruttamento
del brevetto o del marchio.
In particolare, la rivendica è l’azione concessa al titolare avente diritto
per ottenere l’intestazione a proprio nome del titolo costitutivo del diritto
di proprietà industriale (28).
La rivendica è ammissibile solo se i diritti siano già incorporati in un
titolo costitutivo o sia in corso il relativo procedimento amministrativo,
perché diversamente non è configurabile né l’intestazione né il trasferimento in capo all’avente diritto.
L’azione di rivendica opera diversamente a seconda che il titolo di proprietà industriale sia stato già rilasciato o meno all’usurpatore. Se il titolo
di proprietà industriale, pur domandato, non sia stato ancora rilasciato,
nei tre mesi dal passaggio in giudicato (29) della sentenza che accerti il
diritto di registrazione o di brevetto, è dato a chi abbia con successo esperito l’azione giudiziaria, di assumere a proprio nome la domanda di brevetto o di registrazione, subentrando al richiedente, o alternativamente di
depositare una nuova domanda di brevetto o di registrazione (registrazione o brevettazione a proprio nome). A una prima fase giudiziale di accertamento del diritto alla registrazione o al brevetto (rivendica), ne segue
un’altra amministrativa di domanda all’UIBM.
Gli effetti temporali della prima domanda restano salvi in entrambi i casi
a condizione che, nel caso di presentazione di nuova domanda, il contenuto di questa non ecceda quello della prima domanda e si riferisca ad un
oggetto sostanzialmente identico.
Se, invece, il brevetto è già stato rilasciato o la registrazione effettuata in
capo all’usurpatore, all’avente diritto è dato di rivendicare il suo diritto
attraverso la richiesta di una sentenza che disponga il trasferimento a suo
prodotti a semiconduttori, mentre quelli oggetto di brevettazione: le invenzioni, i modelli
di utilità, le nuove varietà industriali.
(26) Che è l’inventore per il brevetto e nel caso di riserva di registrazione, il soggetto creatore del diritto esclusivo.
(27) Si vedano, in particolare: SPADA, Descrizione del trovato e rivendicazione di priorità
unionista, in Riv. dir. impr., 1989, p. 489; DI CERBO, Brevetto (europeo) d’uso: modifica delle rivendicazioni e novità del trovato, in Foro it., IV, 1990, c. 311; SANDRI, Creazione del
segno ed azione di rivendica di marchio, in Riv. dir. ind., II, 1988, p. 82.
(28) L’esecutività della sentenza di primo grado, infatti, riguarda solo la condanna, per
cui le sentenze di accertamento, come la revindica, per essere attuate devono attendere il
passaggio in giudicato: cfr. CONSOLO, Commento alla riforma del processo civile, in CONSOLO, LUISO e SASSANI (a cura di), Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996,
p. 266, secondo cui solo una previsione espressa di legge potrebbe superare questa interpretazione restrittiva, ed ivi anche i contrasti interpretativi sul punto.
(29) La presenza solo eventuale del pm nelle cause di nullità contribuisce a stemperare il
carattere pubblicistico del processo industriale.
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nome del brevetto oppure dell’attestato di registrazione sempre a far data
dal deposito (trasferimento a proprio favore della registrazione o della
brevettazione). In tal caso l’azione di rivendicazione (seguita naturalmente da una sentenza di accoglimento) è da sola sufficiente a soddisfare le
esigenze dell’avente diritto, che non deve seguire un ulteriore procedimento amministrativo. Per cui, mentre nel primo caso ci troviamo di fronte a una sentenza di mero accertamento, in questa ipotesi il giudice sarà
chiamato ad emanare una vera e propria sentenza costitutiva.
La rivendicazione (fatta eccezione per i marchi, i disegni e i modelli)
deve avvenire, a pena di decadenza, entro due anni dalla pubblicazione
della concessione del brevetto o della concessione di registrazione.
La tutela dell’avente diritto è completata dalla possibilità di ottenere, in
via amministrativa, pendente il procedimento per il rilascio del brevetto o
della registrazione, semplicemente il rigetto della domanda, o, se la privativa già concessa, ottenere, in via giurisdizionale, la nullità del brevetto o
della registrazione concessi a nome di chi non ne ha diritto, o la sua decadenza.
Dopo due anni dalla data di concessione del brevetto per invenzione,
per modello di utilità per una nuova varietà vegetale, oppure dalla pubblicazione della concessione della registrazione della topografia dei prodotti a semiconduttori, se l’avente diritto non ha richiesto l’assunzione il
trasferimento a suo nome del brevetto oppure dell’attestato di registrazione la nullità può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse.
Lo stesso pubblico ministero è legittimato di ufficio a proporre la azione di nullità solo dopo due anni, ed il suo intervento, nella causa proposta da altri, non è più considerato come obbligatorio (30).
Ciò significa che la mancata partecipazione dell’organo pubblico non
impone al giudice di ordinarne la integrazione ex art. 102 c.p.c., e al giudice di appello di rimettere la causa al primo giudice ex art. 354 c.p.c. (31),
con evidenti vantaggi per l’economia processuale.
La legittimazione assoluta contraddistingue l’azione di nullità, sia pure
solo dopo il decorso del biennio dalla pubblicazione della concessione del
brevetto per invenzione, per modello di utilità, per nuova varietà vegetale.
Al contrario la legittimazione relativa, tipica della annullabilità, informa
(30) La sentenza emessa a contraddittorio non integro è nulla e/o inutiliter data.
(31) Le ipotesi di nullità del marchio sono indicate nell’art. 25 del codice ed individuate
nella mancanza di uno dei requisiti di cui all’art. 7, o in presenza di un impedimento di cui
all’art. 12, se vi è contrasto con il disposto degli artt. 9, 10, 13, 14, comma 1°, e 19, comma 2°, se è in contrasto con l’art. 8 e nella ipotesi di cui all’art. 118, comma 3°, lett. b). I
casi sono pertanto tipici e non suscettibili di interpretazione analogica. Le ipotesi di nullità cd. relativa, perché a legittimazione limitata, contestate in dottrina, si sono col tempo
ampliate considerevolmente in conseguenza della sempre più estesa utilizzazione della nullità come rimedio a protezione dei contraenti deboli, basti pensare alla tutela del cliente
nei contratti bancari o nei contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento artt.
117 e 124 d.lgs. 1 settembre 1993 n. 385, e gli artt. 23 e 24 d.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58,
agli artt. 1469 quinques c.c. Queste ipotesi definite dalla dottrina nullità di protezione
(GIOIA, Nuove nullità relative, in Contr. e impr., 1999, p. 1332) si distaccano spesso dal
modello codicistico della nullità senza però che la relatività cancelli i profili ed i tratti della nullità.
LA TUTELA
GIURISDIZIONALE
DELLA PROPRIETÀ
INDUSTRIALE
di
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LA TUTELA
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INDUSTRIALE
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Le attualità
l’azione diretta ad ottenere la nullità di un marchio (32), di un disegno o
modello, perché l’uso del marchio o del modello costituirebbe violazione
di un diritto d’autore altrui. Queste azioni sono infatti proponibili solo dal
titolare del diritto anteriore e non da chiunque ne abbia interesse.
L’azione per far accertare la decadenza (33) è ricalcata sulla nullità relativa.
In ogni caso, l’azione di nullità va proposta nel contraddittorio di tutti
coloro che risultano annotati quali aventi diritto nella raccolta degli originali dei brevetti e nell’attestato originale di registrazione del marchio. Il
contraddittorio va dunque integrato anche nei confronti dei titolari di
diritti derivati (34) purché annotati nel relativo registro. Ad ogni modo, la
sentenza che dichiari una decadenza o una nullità ha efficacia erga omnes,
a prescindere dalla partecipazione al giudizio (art. 123).
È, infine, prevista una peculiare formalità procedimentale costituita dall’invio, a cura di chi promuove il giudizio, di una copia dell’atto di citazione all’UIBM. Non si tratta di una integrazione del contraddittorio perché in questi giudizi l’UIBM non è parte; la formalità assolve una funzione di pubblicità: la conoscibilità ai terzi della pendenza della lite. L’omissione della formalità, tuttavia, non si traduce nella mera inopponibilità a
terzi del giudizio, ma impedisce al giudice la decisione nel merito, operando a guisa di condizione di procedibilità (35).
La funzione di pubblicità è completata dalla trasmissione all’UIBM della sentenza. L’obbligo della trasmissione dovrebbe riguardare ogni sentenza che, sia pure soltanto incidentalmente, riguarda la materia dei diritti industriali.
Infine, al giudice ordinario è demandata la decisione ove sorga contestazione circa la titolarità del diritto e la legittimazione del richiedente la
registrazione o la brevettazione (paternità, ex art. 119, anche in tal caso
azione di accertamento) (36).
6. – La competenza a decidere su tutte le controversie in materia di diritto industriale è stata già affidata, in via esclusiva e funzionale, alle sezioni
specializzate istituite – in attuazione della l. 12 dicembre 2002, n. 273 – dal
d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168 (espressamente richiamato dall’art. 120 cod.
propr. ind.) presso i Tribunali e le Corti Appello di Bari, Bologna, Firenze,
Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia (37).
(32) Le ipotesi di decadenza del marchio sono fissate tassativamente e coincidono con la
volgarizzazione, per illiceità sopravvenuta e per non uso. Il brevetto per invenzione decade nel caso di mancato pagamento del diritto.
(33) Si pensi ai titolari di un diritto di usufrutto o pegno oppure ai titolari di diritti meramente obbligatori, quali i licenziatari.
(34) Non è detto quale sia il termine ultimo per il compimento della formalità, e si ritiene che non soggiaccia a termini preclusivi per l’istruttoria o le allegazioni, potendo essere
svolta in qualsiasi momento precedente la decisione.
(35) Come già visto, infatti, l’UIBM non verifica l’esattezza della designazione dell’inventore o dell’autore, né la legittimazione del richiedente.
(36) In Francia ed in Germania è già stata sperimentata da anni l’istituzione di Corti
distrettuali, con competenza a decidere in materia di proprietà industriale, che prevedono
la partecipazione anche di esperti non togati.
(37) L’art. 2 del d.lgs. n. 168/03 ha previsto che le sezioni – composte da un numero di giu-
Le attualità
13
Si è voluto creare un giudice specializzato e qualificato – evitando al
tempo stesso una competenza diffusa su tutto il territorio nazionale – a
tutto vantaggio di una maggiore uniformità di indirizzi ermeneutici (38).
In passato la gestione di siffatte liti era di competenza del Tribunale
ordinario, in composizione collegiale o monocratica (a seconda che fosse
necessaria o meno la presenza del p.m.) e per evitare un aggravio di lavoro, è stata mantenuta la competenza del giudice ordinario, nei procedimenti già pendenti alla data di entrata in vigore della legge (39).
Sono attratte alla competenza funzionale (40) delle sezioni specializzate
tutte le controversie di diritto industriale relative a titoli nazionali (brevetti, marchi, modelli di utilità ed ornamentali, disegni e varietà vegetali),
titoli internazionali (marchio internazionale, brevetto internazionale, e
brevetto europeo) titoli comunitari (marchi, modelli, disegni, privative
vegetali comunitarie), le controversie riguardanti il diritto di autore, nonché le controversie aventi ad oggetto le topografie dei prodotti e semiconduttori, le indicazioni geografiche, le informazioni aziendali riservate
(know-how), le controversie in materia di invenzioni dei dipendenti e dei
ricercatori, ed infine le controversie in materia di indennità di espropriazione dei diritti di proprietà industriale (ove non rientrino nella giurisdizione del giudice amministrativo).
Si dubita infine se siano devolute alla cognizione delle sezioni specializzate anche le controversie autonome in tema di ditta, emblema, ed altri segni
distintivi. L’interpretazione estensiva pare preferirsi anche in considerazione dell’intento sistematico della previsione unitaria di tutti i diritti di proprietà industriale (41), contenuta nell’art. 1 del codice e che non può essere
limitato all’aspetto sostanziale senza investire anche quello processuale.
dici non inferiore a sei – decidano sempre in composizione collegiale ai sensi dell’art. 50 bis
c.p.c. L’istruttoria è assegnata ad un magistrato componente il collegio. I componenti sono
tutti togati, assegnati mediante concorsi interni, in funzione di specifiche attitudini; è stato
respinto l’emendamento che voleva una composizione mista anche con membri laici, così
come previsto in altri Paesi europei come in Germania, Svezia e Gran Bretagna, Svizzera.
(38) Il termine giudizio non è da intendersi unitariamente fino al passaggio in giudicato,
perché l’art. 245 norme transitorie del codice preveda la devoluzione alle sezioni specializzate dell’eventuale appello ad una decisione resa dal giudice ordinario.
(39) La competenza funzionale implica che nel caso di cumulo di domande prevarrà il
rito speciale rispetto a quello ordinario, ex art. 40, comma 5°, c.p.c. A proposito dell’ordine di prevalenza del rito: cfr. anche GIOIA, Sub Art. 1, in Processo societario, a cura di Sassani, Torino, 2003, p. 15 ss. La domanda proposta al giudice secondo il rito ordinario
implica la trasmissione degli atti da parte di questi al Presidente del Tribunale, che provvederà a trasmetterli alla sezione specializzata. Se però presso quella sede di Tribunale non
vi è una sezione specializzata, può essere esclusivamente sollevato il difetto di competenza
nei termini di cui all’art. 183 c.p.c., decorsi i quali senza che l’eccezione venga rilevata, il
vizio è definitivamente sanato.
(40) Per una interpretazione estensiva fondata sulla ricostruzione sistematica e costituzionalmente orientata del d.lgs. n. 168/03 volta a ricomprendere tutte le materie e gli istituti di
diritto industriale Trib. Napoli, ord. 26 marzo 2004, in Sez spec. P.I., I, 2004, p. 204; ibidem
Trib. Roma, ord. 26 luglio 2004. A favore di una interpretazione restrittiva, invece, Trib. Milano, ord. 14 aprile 2004, in Sez. spec. P.I., 2004, p. 82 esclude che le azioni di concorrenza sleale per confusione, con riferimento alla imitazione servile di prodotti e alla violazione della
correttezza professionale siano attratte alla competenza delle sezioni specializzate.
(41) In questo senso Trib. Venezia, ord. 4 dicembre 2003, in Sez. spec. P.I., I, 2004, p. 161;
Trib. Milano, ord. 14 aprile 2004, cit.
LA TUTELA
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DELLA PROPRIETÀ
INDUSTRIALE
di
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Le attualità
La competenza delle sezioni specializzate si estende anche alle controversie connesse e, quindi, alle azioni in garanzia propria o impropria, alle
domande riconvenzionali, alle azioni accessorie dipendenti dalla causa
principale, che andranno attratte tutte alla competenza funzionale delle
sezioni specializzate.
In realtà i maggiori dubbi circa la competenza funzionale delle sezioni
specializzate riguardano la concorrenza sleale. Sulla premessa che l’art. 3
d.lgs. n. 168/03 è norma di stretta interpretazione perché incidente sulle
regole comuni di ripartizione degli affari tra gli organi giurisdizionali, si è
ritenuto che la materia della concorrenza sleale sia attratta alla competenza delle sezioni specializzate solo ove si faccia contemporaneamente questione dei relativi strumenti di tutela riservati dall’ordinamento alla categoria della proprietà industriale.
È stato aggiunto che è contraria alla volontà del legislatore equiparare la
tutela reale della proprietà industriale alla tutela personale assicurata dalle norme della concorrenza sleale stante la diversità degli istituti suscettibili di concorrere solo quando la violazione dell’una sia ricollegabile all’altra. In breve in mancanza del coinvolgimento di uno specifico titolo di
proprietà industriale si è escluso che si possa parlare di interferenza della
concorrenza sleale con la materia della proprietà industriale e se ne è radicata la competenza in capo al giudice ordinario (42).
In posizione diametralmente opposta si è invece osservato come la concorrenza sleale non è cosa diversa dalla proprietà industriale ed intellettuale, come depongono numerose convenzioni internazionali, tra cui la
Convenzione dell’Unione di Parigi del 14 luglio 1957, il cui art. 1.2 recita
che la protezione della proprietà industriale ha per oggetto anche la
repressione della concorrenza sleale (43). Su questa premessa si è propugnata una interpretazione analogico-sistematica, costituzionalmente
orientata, per estendere tendenzialmente alle sezioni specializzate la cognizione su tutte le materie e gli istituti industrialistici pur se non espressamente richiamati dalla legge istitutiva. Si è detto infatti che l’art. 3 d.lgs.
n. 168/03 è norma suscettibile di applicazione analogica da interpretare in
senso conforme alla Costituzione e alle norme sopranazionali.
In verità non vi sono ragioni fondate per escludere dalla competenza
delle sezioni specializzate l’intera materia della concorrenza sleale le cui
fattispecie illecite ricomprendono, secondo la elencazione dell’art. 2598
c.c. l’uso di segni distintivi altrui, l’imitazione servile dei prodotti del
concorrente, la denigrazione e l’appropriazione di pregi, la commissione di atti non conformi alla correttezza professionale, utilizzate in funzione di completamento delle azioni di contraffazione o in loro sostituzione.
L’interpretazione estensiva è del resto confermata dalla lettera dell’art.
(42) La tesi è di UBERTAZZI, Le sezioni specializzate in materia di proprietà industriale, in
Riv. dir. ind., I, 2003, p. 219. Nella stessa direzione SCUFFI, Il codice della proprietà industriale, cit., p. 528. In giurisprudenza l’estensione della competenza delle sezioni specializzate all’intera concorrenza sleale è affermata da Trib. Roma 26 luglio 2004 cit. e Trib.
Napoli 26 marzo 2004 cit.
(43) Resta la cognizione della Corte di appello a sanzionare le intese restrittive e gli abusi di posizione dominante ex art. 2 l. 10 ottobre 1990, n. 287.
Le attualità
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134 del codice, che esclude dalla competenza delle sezioni le sole fattispecie che non interferiscano neppure indirettamente con l’esercizio della proprietà industriale, e ne include invece le controversie in materia di
illeciti ai sensi della legge antitrust, l. n. 287/90, e delle regole comunitarie
afferenti l’esercizio dei diritti di proprietà industriale (44).
La violazione delle regole sulla competenza per materia porta a diverse
conseguenze, a seconda che sia stato erroneamente adito il Tribunale ordinario presso cui è istituita una sezione specializzata o un Tribunale ordinario privo della sezione specializzata. Nel primo caso il giudice adito può
limitarsi a trasmettere gli atti al Presidente del Tribunale per l’assegnazione alla sezione specializzata, previo mutamento del rito, trattandosi di una
questione di distribuzione interna ad un medesimo ufficio giudiziario, del
quale la sezione è una semplice articolazione. Nella seconda ipotesi, invece, l’errore opera come difetto di competenza ed inevitabilmente dovrà
essere rilevato, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza di trattazione
ex art. 38 c.p.c., dopodichè si consoliderà definitivamente e non potrà
essere più dedotto il vizio in appello.
Per ciò che attiene, invece, alla competenza territoriale sono previsti
alternativamente 4 fori generali concorrenti a scelta dell’attore: residenza,
domicilio del convenuto, dimora (ove sconosciuti i primi due), domicilio
eletto prevalente su tutti; due fori successivamente concorrenti: domicilio
e residenza dell’attore che operano in assenza di quelli generali; un foro
generale (Roma) in assenza dei primi due.
Il legislatore delegato ha uniformato anche il rito della privativa a quello societario, ex art. 134, comma 1° e 2°. Nel passato, per materie identiche coesistevano due riti: quello della decisione collegiale in ogni caso in
cui fosse obbligatorio l’intervento del pm, vale a dire nelle ipotesi di azioni di nullità o decadenza della privativa, ex art. 50 bis c.p.c.; quello dell’ex
rito pretoriale, negli altri casi in cui la decisione era affidata al Tribunale
in composizione monocratica.
Nei rapporti di giurisdizione tra vari Stati l’autorità giudiziaria italiana
conosce di tutte le azioni in materia di proprietà industriale, qualunque sia
la cittadinanza, il domicilio e la residenza delle parti.
A norma dell’art. 22 reg. n. 44/01, che regola la giurisdizione e l’esecuzione delle decisioni nei rapporti tra i Paesi dell’Unione europea, la giurisdizione in materia di registrazione o validità del brevetto, marchi, disegni, modelli, ed altri analoghi diritti, per i quali è previsto il deposito ovvero la registrazione, compete all’autorità giudiziaria dello Stato in cui è stato richiesto od
effettuato il deposito o la registrazione (principio della territorialità) (45).
Sui titoli comunitari la giurisdizione appartiene al Tribunale di I grado
e alla Corte di giustizia europea – come prevedono i regolamenti istitutivi (46) – che vengono investiti per effetto dell’impugnazione delle decisio(44) Proprio in base a tale principio il Trib. di Milano con sentenza emessa il 26 ottobre
2000 ha respinto le cd. Torpedo attivate con azione di accertamento negativo della contraffazione del brevetto europeo in altri paesi.
(45) Reg. CE 40/94 e reg. CE 6/02.
(46) La giurisprudenza intende arginare, così, il fenomeno del forum shopping, sul punto
GIOIA, L’emersione del domicilio dell’autore quale « forum commisi delitis » nella lesione di
diritti assoluti « delocalizzati », in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2004, p. 231.
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INDUSTRIALE
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Le attualità
ni emesse dalle Commissioni ricorso dell’UAMI di Alicante (ufficio comunitario per l’armonizzazione del mercato interno).
Sui titoli internazionali, invece, la giurisdizione appartiene al giudice nel
cui Stato esplicano gli effetti che si invocano, per cui il giudice italiano
conoscerà della frazione nazionale della privativa.
Diversamente dalle azioni di nullità e decadenza che involgono questioni
di validità del marchio e del brevetto, le azioni di contraffazione possono
essere proposte sia dinanzi l’autorità giudiziaria del convenuto (forum rei),
sia dinanzi quella del forum commissi delicti (inteso secondo le interpretazioni più recenti, come il luogo in cui la condotta dannosa è stata posta in
essere (47)). Naturalmente, si tratta di un foro alternativo con quello dello
Stato in cui il convenuto ha il domicilio o la sua stabile organizzazione, in
mancanza del foro dove l’attore ha il domicilio o la sua stabile organizzazione, in mancanza del foro dove ha sede l’UAMI, così come stabilito dai
reg. 40/94 e 6/02, che rinviano alle convenzioni di Bruxelles e di Lugano.
Il reg. CE 44/01 attribuisce la giurisdizione al giudice del luogo in cui
l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire (legittimando le azioni in prevenzione), ed esclude il criterio del forum commissi delicti per le azioni di
accertamento negativo della contraffazione (48).
L’art. 28 reg., infine, prevede che, qualora più cause di contraffazione
siano pendenti dinanzi ad autorità giudiziarie di Stati contraenti diversi,
su istanza di parte, il giudice successivamente adito può sospendere la
causa, a condizione che la legge interna consenta la riunione dei procedimenti e che il giudice preventivamente adito sia competente a conoscere
di entrambe le domande (49).
Dinanzi ad un unico giudice nazionale è possibile che siano proposte
più frazioni di uno stesso titolo destinati a produrre effetti in diversi Paesi con valenza, cd. cross border, in più Stati europei (50).
L’art. 31 reg. sembrerebbe attribuire la decisione sui procedimenti cautelari a qualunque giudice dell’Unione, anche se il merito sia di competenza di altro giudice. L’interpretazione restrittivo-correttiva della Corte
(47) In senso contrario la Suprema Corte ha statuito che la domanda di accertamento negativo non risente della deroga alla giurisdizione del giudice del luogo del danno, non presupponendo essa un evento dannoso e quindi non essendo funzionale all’accertamento del danno:
Cass., sez. un., 19 dicembre 2003, n. 19550, in Dir. ind., 2004, p. 429, con nota di FRANZOSI.
(48) Sulla litispendenza internazionale: GIOIA, Regolamento di giurisdizione per far dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice italiano chiesto dal cittadino italiano, in Int’lis, in
corso di pubblicazione.
(49) I provvedimenti transfrontalieri cd. cross-border sono espressione di un potere inibitorio esercitato sul territorio di ciascuno Stato membro che trova il loro precedente nelle proihibitory injunctions emesse dai giudici olandesi a tutela dei brevetti europei. L’esigenza sottesa è
quella di evitare tanti procedimenti quanti erano gli Stati coinvolti da tale contraffazione. L’unico precedente adesivo della giurisprudenza italiana è dato dal Tribunale di Bolzano del 22
aprile 1998 che, in tema di protezione della indicazione geografica Speck del Sud Tirolo, ha
emesso inibitoria ex art. 700 c.p.c. nei confronti del produttore italiano e del distributore
austriaco con efficacia in Austria ed in Germania. La giurisprudenza pressoché unanime, invece, ritiene che ogni atto di contraffazione del brevetto europeo – non essendo un titolo unitario – va valutato alla stregua della legislazione interna cui resta soggetta ciascuna frazione trattandosi di autonomo illecito che si verifica nel momento e nel luogo in cui è prodotto: App.
Milano, 23 ottobre 2003.
(50) Corte giust. CE, 17 novembre 1998, C 3917-95, in Racc., I, 1998, p. 7091.
Le attualità
17
di giustizia aveva già riguardato la Convenzione di Bruxelles, tanto è vero
che per radicare la competenza cautelare richiede l’esistenza di un effettivo nesso di collegamento con il provvedimento richiesto (51).
7. – Il diritto industriale si informa alla regola iuris di cui all’art. 2697
c.c. Il codice in parte qua riprende il brocardo dell’onus probandi incumbit qui dicit. Infatti è chi impugna il brevetto o il marchio onerato di provare la nullità o la decadenza, mentre l’onere di provare la contraffazione grava sul titolare del diritto. Risultano invocabili le presunzioni sempre che siano assistite dai caratteri della precisione, gravità e della concordanza.
La novità istruttoria sembra, invece, riguardare il recepimento della
discovery che assolve una duplice funzione, probatoria e repressiva. L’istituto, di importazione anglosassone, in funzione squisitamente probatoria, consente alla parte di richiedere al giudice di ordinare all’altra parte l’esibizione, ovvero rendere l’interrogatorio per fornire le informazioni richieste, ed utili ai fini del processo. Tale strumento è azionabile a
condizione che la parte richiedente fornisca al giudice seri indizi di fondatezza della domanda e indichi utili elementi in possesso della controparte. L’analisi della disciplina positiva e la comparazione con altri istituti già presenti nel nostro ordinamento, a ben vedere, riducono il novum
della discovery.
Così come tradotta nel nostro ordinamento, infatti, l’istituto è ricalcato sull’ordine di esibizione o di richiesta di informazione di cui agli
artt. 210-213 c.p.c. Il metodo di acquisizione probatoria non si discosta da quello dell’art. 210 c.p.c., ovvero dell’interrogatorio. Nessuna
sanzione è prevista per l’inosservanza dell’ordine del giudice, né l’ordine è suscettibile di esecuzione coattiva. L’ingiustificato rifiuto di rendere le informazioni può, al più, costituire argomento di prova ex art.
116 c.p.c., ma non costituisce ammissione dei fatti (52). Le esigenze
istruttorie e di giustizia sottese all’istituto devono contemperarsi con
la necessità di tutelare la riservatezza. Nell’assolvimento della funzione probatoria, pertanto, l’elemento innovativo appare essere terminologico più che sostanziale.
Diversamente la portata innovativa va riconosciuta nell’utilizzo della
discovery in funzione repressiva. Si tratta di uno strumento per acquisire
conoscenze sulla contraffazione utilizzabili dal titolare dell’esclusiva
anche al di fuori del processo in cui siano stati raccolti al fine di perseguire terzi responsabili di ulteriori condotte, con possibilità di ottenere la
chiamata in corresponsabilità. Tale congegno appare, tuttavia, di difficile
praticabilità e si scontra con il rito societario, che vede precluso ogni ulteriore impulso istruttorio dopo la notificazione dell’istanza di fissazione
dell’udienza davanti al giudice (art. 10 d.lgs. n. 5/03), laddove, invece, sif-
(51) L’interrogatorio previsto non è infatti assimilabile a quello formale ma piuttosto al
libero interrogatorio.
(52) Né pare invocabile l’istituto della rimessione in termini di cui all’art. 184 bis c.p.c.
posto che non c’è da riparare ad una decadenza intervenuta.
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Le attualità
fatte chiamate in corresponsabilità presuppongono uno stato avanzato
dell’istruttoria (53).
Dubbi sono stati posti sull’applicabilità al rito cautelare della discovery,
soprattutto in considerazione dei seri indizi di fondatezza della domanda,
che costituiscono un quid pluris rispetto a quel fumus su cui la cautela è
delibata (54).
Una importante deroga al rigido sistema preclusivo proprio del rito
societario è rappresentato dalla possibilità rimessa al CTU di ricevere nuovi documenti, inerenti ai quesiti posti dal giudice, per il tramite del CTU.
Il temperamento normativo probabilmente accoglie l’indirizzo giurisprudenziale, da ultimo mutato (55) che consentiva la produzione di nuovi
documenti anche in appello.
Una riflessione sull’attività giurisdizionale e sui mezzi istruttori previsti nel codice della proprietà industriale non può prescindere dalla
descrizione e dal sequestro disciplinati rispettivamente dagli artt. 128 e
129.
Si tratta di misure con una spiccata finalità probatoria, anche se
nel sequestro risalta ictu oculi una finalità interdettale, dal momento
che non si limita ad acquisire elementi di prova relativi alla violazione,
ma impedisce anche la circolazione degli oggetti su cui la misura incide (56).
Entrambi i rimedi sono espressioni del principio di protezione delle
prove posto dall’art. 7, dir. CEE 2004/98. Su richiesta delle parti, gli Stati membri devono assicurare celeri misure giudiziarie per la protezione
provvisoria di prove pertinenti l’asserita violazione.
La descrizione si avvicina molto all’accertamento tecnico preventivo, il
sequestro, invece, alla misura di cui all’art. 670 c.p.c., vale a dire al sequestro giudiziario (57).
Gli effetti della descrizione sono, però, molto più invasivi rispetto
all’accertamento tecnico preventivo. Questa si attua con una esecuzione
coattiva con potere di accesso dell’ufficiale giudiziario nei luoghi in cui
(53) In questi termini SALAFIA, Osservazioni conclusive, in Adeguamento della legislazione
nazionale agli accordi TRIPs e procedimenti cautelari in materia di proprietà industriale, p.
44, così anche Trib. Torino, ord. 26 novembre 2003, in Dir. ind., III, 2004, p. 228 in cui è
stata esclusa l’applicabilità della discovery nel giudizio cautelare proprio perché quest’ultimo è caratterizzato da una pregnanza probatoria più sfumata.
(54) Le Sezioni unite, con le decisioni n. 8202/05 e 8203/05, con un revirement giurisprudenziale, hanno statuito il divieto di produrre nuovi documenti in appello, con una
equiparazione, sotto tale aspetto, tra le prove costituite e quelle costituende.
(55) Il sequestro è un mezzo ablativo volto a congelare i prodotti contraffatti e le macchine, che impedisce la vendita e al tempo stesso assicura la prova del loro impiego in
assunta violazione della privativa.
(56) In verità, la funzione probatoria comunque insita nel sequestro sembrerebbe avvicinarlo a quella sottospecie del sequestro giudiziario che è il sequestro di prove di cui all’art.
670 c.p.c.
(57) Gli elementi di prova che possono essere acquisiti riguardano la documentazione
tecnica, ma anche contabile. L’ufficiale giudiziario, affiancato dal consulente d’ufficio si
recherà nei luoghi ove si trovano i documenti e li deterrà per il tempo necessario ad estrarne copia. Il tutto, naturalmente, nel rispetto del principio di riservatezza, anche attraverso
la segregazione dei documenti ottenuti.
Le attualità
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si trovano gli oggetti da descrivere e, quindi, una irruzione nella sfera
giuridica altrui (58) che l’ATP non conosce. Il procedimento si introduce con ricorso al Presidente della sezione specializzata (59), il quale fissa con decreto l’udienza di comparizione ed i termini per la notifica
del ricorso e del pedissequo decreto. Assunte sommarie informazioni,
lo stesso Presidente provvede con ordinanza non impugnabile al rigetto della misura o al suo accoglimento. In questo ultimo caso, indica
anche le misure per tutelare le informazioni riservate ed autorizza l’eventuale prelevamento di campioni degli oggetti controversi. Il Presidente quando la convocazione della controparte può pregiudicare l’attuazione del provvedimento può provvedere anche inaudita altera parte. Il procedimento è funzionalmente connesso al merito della causa,
tant’è che, diversamente da quanto previsto per l’ATP, nel caso di
accoglimento della domanda, l’ordinanza presidenziale deve fissare un
termine per l’inizio del merito (qualora questo non sia ancora iniziato), non rispettato il quale l’ordinanza diviene inefficace (60). Probabilmente (61), è proprio la previsione di un’attività invasiva della sfera
giuridica altrui, costituita dall’accesso dell’ufficiale giudiziario sui
luoghi in cui si trovano i beni, a giustificare l’obbligatoria fase di merito (62).
Il procedimento di sequestro degli oggetti costituenti violazione del
diritto di proprietà industriale è, per espressa previsione di rinvio, quello del cautelare uniforme art. 669 bis ss. c.p.c.
Il sequestro, tuttavia, è non solo uno strumento con finalità probatorie, ma è connotato da forti caratteristiche cautelari, in quanto blocca gli oggetti che producono l’illecito e ne impedisce la perpetuazione (63). Tale misura, inoltre, assume valere definitivo (e non più
cautelare), ove si accompagni alla sentenza che accoglie la domanda (64).
Disposizioni comuni sono, infine, dettate dall’art. 130 per la fase attuativa della descrizione e del sequestro, che avviene tramite ufficiale giudiziario, che può avvalersi di periti e degli opportuni mezzi tecnici di accer-
(58) Vi è così una deroga alla regola della competenza ante causam del cautelare che invece appartiene sempre al giudice competente per il merito.
(59) L’inefficacia consegue anche alla mancata esecuzione del provvedimento nel termine ex art. 675 c.p.c., vale a dire entro trenta giorni dalla pronuncia.
(60) In tal senso SCUFFI, in Commentario al Codice della proprietà Industriale, a cura di
Scuffi, Franzoni, Fittante, Milano, 2005, p. 590.
(61) La norma, sempre in questa ottica, prevede che il giudice possa affiancare al provvedimento di accoglimento una cauzione, ex art. 669 undecies c.p.c.
(62) La dir. 2004/98 ha demandato agli Stati membri la previsione di una misura cautelare che possa garantire il recupero del credito risarcitorio del titolare della privativa, violata a livello comunitario da chi si riveli insolvibile, attraverso il sequestro conservativo di
beni mobili o immobili del presunto autore della violazione compreso il blocco dei suoi
conti bancari e di altri averi.
(63) Il sequestro trova un limite e non può involgere oggetti che si trovino presso una
esposizione ufficiale, i quali possono essere solo sottoposti a descrizione.
(64) L’art. 124, a proposito dell’esecuzione delle sanzioni civili inflitte con la sentenza che
accerti la violazione della privativa, affida al giudice che ha emesso la sentenza la decisione sulle contestazioni che sorgono nell’esecuzione delle misure inflitte.
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LA TUTELA
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Le attualità
tamento, nel rispetto del contraddittorio, ma l’attività deve compiersi
entro trenta giorni dal provvedimento. Ad ogni modo, anche per l’attuazione, almeno per il sequestro, opera anche il rinvio espresso all’art. 669
duodecies c.p.c., laddove le regole dettate dall’art. 130 non siano esaustive (65).
La descrizione e il sequestro possono riguardare anche oggetti appartenenti a soggetti non identificati nel ricorso. La necessità di assicurare a
questi terzi una tutela piena, impone in tal caso di notificare loro il ricorso, il provvedimento del giudice ed il verbale delle operazioni di descrizione e di sequestro, nei 15 giorni successivi all’emissione del provvedimento, pena l’inefficacia della misura. Al terzo sarà consentito di reagire
con la revoca e/o modifica prevista dagli art. 669 decies c.p.c., o con il
reclamo previsto dall’art. 669 terdecies c.p.c., a seconda della doglianza
che intenda muovere.
8. – La tipica misura cautelare del diritto industriale è l’inibitoria,
caratterizzata da una finalità squisitamente preventiva tesa ad evitare la
reiterazione di attività illecite.
La differenza rispetto alla inibitoria definitiva è strutturale. L’inibitoria cautelare è accordata per congelare una situazione nelle more del
processo; l’altra, di merito, è un provvedimento di cessazione definitiva,
che viene adottato a conclusione della cognizione piena, onde prevenire
il prodursi dell’ulteriore danno (66).
L’inibitoria cautelare si sostanzia in un ordine negativo di non facere, eventualmente accompagnata, come del resto quella di merito,
da una penalità di mora per il ritardo nell’attuazione del provvedimento (67).
La inibitoria assume la forma della ordinanza e segue il rito cautelare
uniforme, ex art. 669 bis c.p.c., ss.
Oltre alla inibitoria dell’uso del nome a dominio aziendale illegittimamente registrato, l’autorità giudiziaria può disporre, in via cautelare,
anche il loro trasferimento provvisorio (art. 133).
All’inibitoria cautelare può accompagnarsi una vera e propria astreinte, piuttosto estranea al nostro ordinamento. Il giudice, infatti, può sta-
(65) Tale inibitoria è espressamente prevista dall’art. 124, che la inquadra nelle sanzioni
civili che si accompagnano alla sentenza che accerti la violazione di un diritto di proprietà
industriale, quali (oltre all’inibitoria), l’astreinte, la distruzione (o rimozione) delle cose
costituenti la violazione (ove ciò non rechi pregiudizio all’economia nazionale), l’assegnazione in proprietà al titolare del diritto degli oggetti prodotti importati o venduti in violazione e dei mezzi specifici che servono a produrli, il sequestro degli stessi (con consegna
alla scadenza dell’esclusiva).
(66) La funzione della penalità di mora non è risarcitoria ma dissuasiva dal ripetere condotte violate dalla legge, avvicinabile alle astreintes francesi o al contemp of court anglosassone.
(67) In verità il principio di estendere la legittimazione alla misura cautelare anche
in capo a chi vantasse una aspettativa qualificata era già previsto dall’art. 83 bis introdotto con d.p.r. n. 338/79. Il d.lgs. n. 480/92 aveva ulteriormente ampliato la tutela
provvisoria, ricomprendendovi oltre al marchio registrato quello in via di registrazione.
Le attualità
21
bilire una somma dovuta per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata e per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento.
Questa somma non rappresenta, infatti, la liquidazione preventiva del
danno (alla stregua di una penale), ma un modo di coazione all’adempimento.
Lo spazio del residuale rimedio di cui all’art. 700 c.p.c., in presenza di un rimedio come la inibitoria (tipica) a contenuto adattabile, ex
art. 131, e del provvedimento cautelare di cui all’art. 133, è sicuramente ridotto ma non soppresso, soprattutto per ordini a contenuto
positivo in funzione ripristinatoria-restitutoria, non tipicamente previsti.
La tutela cautelare, che si completa con gli istituti della descrizione e
del sequestro di cui ci siamo occupati in funzione probatoria, ha una particolarità assoluta nel nostro ordinamento, perché è invocabile non solo a
tutela di diritti di proprietà industriale già concessi, ma anche a tutela
provvisoria, pendente la domanda amministrativa, vale a dire prima del
rilascio dell’attestato (art. 132). Ciò significa che la protezione cautelare
non è limitata al solo diritto soggettivo incorporato nella privativa, ma si
estende anche ad una situazione di semplice interesse, una chance, seppure prodromica al rilascio di tale diritto (68).
Come già accennato, i mezzi cautelari possono essere chiesti al giudice
italiano per tutelare i titoli comunitari e europei, con efficacia extraterritoriale.
9. – Alle controversie in materia di proprietà industriale e di concorrenza sleale si applica il rito societario, quand’anche le fattispecie interferiscano solo indirettamente con l’esercizio dei diritti di proprietà industriale, e la cognizione è devoluta, come si è visto, alle sezioni specializzate,
anche quando attiene alla indennità di esproprio dei diritti di proprietà
industriale, di cui conosce il giudice secondo il rito ordinario. Del pari alla
competenza delle sezioni specializzate e, quindi, con il rito societario sono
trattate le invenzioni dei dipendenti, ivi comprese quelle del lavoro pubblico privatizzato (69).
Il processo consta pertanto di tre fasi. Una dedicata allo scambio degli
atti introduttivi, che sono costituiti dall’atto di citazione (privo della comparizione ad udienza fissa) e dalla comparsa di costituzione, e dalle eventuali repliche. La seconda fase, preparatoria dell’udienza, inizia con il
deposito della istanza di fissazione dell’udienza, che segna la maturazione
delle preclusioni, e si conclude con la fissazione della udienza collegiale
con decreto del Presidente. Il contenuto del decreto non è limitato alla fissazione della comparizione delle parti, ma contiene anche l’indicazione
delle questioni di merito e di rito non rilevabili di ufficio, quelle relative
alla integrità del contraddittorio, la rinnovazione della notificazione dell’atto di citazione, l’ammissione dei mezzi istruttori e la eventuale compa-
(68) Nel passato si riteneva che la competenza sulle invenzioni dei dipendenti fosse del
giudice del lavoro e seguisse il rito di cui all’art. 409 c.p.c.
(69) Si veda in proposito anche la modifica al codice di procedura civile ad opera della
l. n. 80/05, che introduce i provvedimenti anticipatori ad effetti stabili.
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LA TUTELA
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Le attualità
rizione delle parti, la fissazione di un termine per le memorie conclusionali. La terza fase, istruttoria-decisionale, è caratterizzata dalla udienza
collegiale, in cui la causa è discussa e decisa. Il modello decisorio è quello
dell’art. 281 sexies c.p.c. con lettura del dispositivo in udienza, in alternativa la decisione non è immediata ma procrastinata a 30 gg. in caso di particolare complessità.
Il giudizio di appello non differisce da quello ordinario. La citazione
è a udienza fissa, il termine per impugnare è di 30 giorni, e viene recepito a livello legislativo l’orientamento giurisprudenziale prevalente
secondo cui alla mancata espressa indicazione di specifiche censure consegue la inammissibilità dell’appello. La struttura del giudizio è collegiale.
Il rito cautelare, a differenza del rito ordinario, non si contrappone al
procedimento uniforme voluto dal codice di procedura civile. Permane
l’impianto bifasico, è ammessa la revoca, la modifica, e il reclamo al collegio. Di particolare importanza è la previsione all’udienza di comparizione
del cautelare della possibilità per il giudice di definire con sentenza ex art.
281 sexies anche il merito della causa, previo invito alla precisazione delle
conclusioni e discussione della causa. Ma l’innovazione più significativa
riguarda l’allentamento del nesso di strumentalità tra cautelare e merito.
È stata esclusa l’applicabilità dell’art. 669 octies c.p.c. per cui si consente
al cautelare di mantenere gli effetti, ancorché non definitivi, a prescindere dalla instaurazione del merito.
In altri termini, la misura cautelare non esige più che debba seguire un
processo a cognizione piena, ma il provvedimento conserva i suoi effetti,
salvo il reclamo, la revoca e/o la modifica, fino a quando una delle parti
non intenda proseguire la lite instaurando il relativo giudizio. La resistenza autonoma del cautelare riguarda però il provvedimento di urgenza, le
inibitorie ex art. 131 (70), ma non anche quelli conservativi come la descrizione.
10. – Il diritto industriale conosce la pubblicità dichiarativa e quella
costituiva. La pubblicità dichiarativa, che ha la funzione di dichiarare il
fatto o il negozio giuridico per renderlo opponibile ai terzi, si attua con il
sistema della trascrizione, gestita dall’UIBM. Il regime giuridico è modellato sul sistema della trascrizione immobiliare ex art. 2643 ss. c.c. In buona sostanza, tutti gli atti costitutivi, modificativi ed estintivi, tanto in materia di invenzioni brevettate quanto sui marchi registrati sono soggetti a trascrizione. La legge sul diritto d’autore, invece, non prevede la trascrizione
per cui il conflitto tra più aventi causa resta regolato secondo le regole dettate dal codice civile in materia di beni mobili e contratti (artt. 1155 e 1380
c.c.) (71).
(70) Per quanto attiene alla forma degli atti traslativi, eccezion fatta per i titoli comunitari per i quali l’art. 17.23 del regolamento prevede la forma scritta ad substantiam, vige il
principio della libertà delle forme per cui il negozio traslativo del diritto o di cessione in
godimento dello stesso può essere concluso anche per facta concludentia.
(71) Il provvedimento ablatorio può essere adottato anche in pendenza della procedura
di registrazione e brevettazione.
Le attualità
23
La trascrizione quindi non ha una funzione costitutiva del diritto che si
perfeziona, invece, con la brevettazione e la registrazione, ma si limita a
rendere opponibile a terzi l’atto trascritto per dirimere i conflitti tra più
acquirenti dello stesso diritto di privativa aventi causa dal medesimo autore.
11. – I marchi e brevetti sono beni mobili registrati assoggettabili ad esecuzione forzata. L’esecuzione, disciplinata dal codice, richiama la disciplina della esecuzione mobiliare presso il debitore, integrato dalla previsione
della trascrizione del pignoramento. L’esecuzione forzata è diretta dal giudice dell’esecuzione e dinanzi a tale organo sono proponibili le opposizioni di cui agli artt. 615, 617 e 619 c.p.c.
Per la vendita e l’aggiudicazione dei diritti non vi sono deroghe alla disciplina ordinaria, e l’aggiudicatario del diritto acquista il diritto di ottenere la cancellazione delle trascrizioni dei diritti di garanzia.
I diritti di proprietà industriale possono, inoltre, essere espropriati per
pubblica utilità, ad eccezione dei diritti sui marchi (72). L’esproprio può
essere giustificato solo da un interesse di difesa militare o più in generale da un pubblico interesse.
L’espropriazione è adottata con d.p.r., su proposta del Ministro competente, e nel decreto è fissata l’indennità di esproprio.
La giurisdizione esclusiva avverso il decreto di esproprio è del Tar
con il rito di cui all’art. 23 bis l. n. 1034/71. Le controversie relative
alle indennità di esproprio sono invece devolute alla cognizione delle
sezioni specializzate, per espressa previsione dell’art. 134. Di particolare interesse è la previsione della determinazione, nel decreto, della
indennità, individuata nel valore di mercato della invenzione. Il decreto è, infine, soggetto a una forma di pubblicità tramite l’annotazione
nel UIBM.
12. – Nell’evidente finalità repressiva e preventiva è stata istituzionalizzata, nell’art. 144, una forma di contraffazione aggravata e continuata
(cd. pirateria). La terminologia è mutuata dalla proprietà industriale,
nello specifico settore audiovisivo e di internet.
Gli atti di pirateria sono definiti come le contraffazioni, le usurpazioni di altrui diritti industriali, perpetrate dolosamente in modo sistematico.
La fattispecie è integrata solo dalla coscienza e volontà di compiere in
modo sistematico, vale a dire continuato nel tempo, atti di contraffazione e di usurpazione di diritti di proprietà industriale altrui. Nella delimitazione legislativa dell’istituto, pertanto, l’elemento soggettivo, dovrà
informare non solo la singola condotta di contraffazione, ma riguardare
gli atti nella complessità e nella sistematicità. Ciò significa che la coscienza di compiere un unico atto contraffattivo non integra la pirateria.
(72) Nel passato l’indennità, sempre necessaria ex art. 42, comma 3°, Cost., poteva essere determinata in un secondo momento.
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Le attualità
L’impianto sanzionatorio nella stesura del codice prevede, agli artt.
147-153 misure contro la pirateria, in attuazione del reg. CE n. 1383/03.
In verità le misure cd. di frontiera, più di ogni altra, rappresentano metodi di protezione e di lotta al fenomeno, soprattutto in considerazione delle dimensioni sopranazionali assunte dal fenomeno (73).
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(73) Tali misure sono state espunte dal codice e trovano collocazione nel diritto doganale e nei regolamenti CE. Le vicende relative al passaggio alla frontiera di merci contraffatte possono investire la cognizione del giudice ordinario, civile o penale, del giudice amministrativo, e sia pure, incidentalmente anche delle Commissioni tributarie, cui è
stata affidata la giurisdizione su ogni tributo dal riformulato art. 2 d.lgs. n. 547/92. L’Autorità doganale può di ufficio iniziare la procedura di sorveglianza in occasione del controllo delle merci alla frontiera, dandone immediata comunicazione al titolare del diritto contraffatto per consentirgli di attivare il procedimento. Il procedimento è finalizzato al blocco.
DECRETO LEGISLATIVO 10 FEBBRAIO 2005, N. 30, “Codice della proprietà industriale, a norma dell’articolo
15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273”
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 52
del 4 marzo 2005 - Supplemento Ordinario n. 28
Omissis
Capo III
TUTELA GIURISDIZIONALE
DEI DIRITTI DI PROPRIETÀ
INDUSTRIALE
Sezione I
DISPOSIZIONI PROCESSUALI
Art. 117.
Validità ed appartenenza
1. La registrazione e la brevettazione non
pregiudicano l’esercizio delle azioni circa la
validità e l’appartenenza dei diritti di proprietà industriale.
Art. 118.
Rivendica
1. Chiunque ne abbia diritto ai sensi del
presente codice può presentare una do-
manda di registrazione oppure una domanda di brevetto.
2. Qualora con sentenza passata in giudicato si accerti che il diritto alla registrazione oppure al brevetto spetta ad un soggetto diverso da chi abbia depositato la
domanda, questi può, se il titolo di proprietà industriale non è stato ancora rilasciato ed entro tre mesi dal passaggio in
giudicato della sentenza:
a) assumere a proprio nome la domanda
di brevetto o la domanda di registrazione,
rivestendo a tutti gli effetti la qualità di
richiedente;
b) depositare una nuova domanda di
brevetto oppure di registrazione la cui
decorrenza, nei limiti in cui il contenuto di
essa non ecceda quello della prima domanda o si riferisca ad un oggetto sostanzialmente identico a quello della prima
domanda, risale alla data di deposito o di
priorità della domanda iniziale, la quale
cessa comunque di avere effetti; depositare, nel caso del marchio, una nuova domanda di registrazione la cui decorrenza, nei
limiti in cui il marchio contenuto in essa sia
sostanzialmente identico a quello della prima domanda, risale alla data di deposito o
di priorità della domanda iniziale, la quale
cessa comunque di avere effetti;
c) ottenere il rigetto della domanda.
3. Se il brevetto è stato rilasciato oppure
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Le attualità
la registrazione è stata effettuata a nome
di persona diversa dall’avente diritto,
questi può in alternativa:
a) ottenere con sentenza il trasferimento a suo nome del brevetto oppure dell’attestato di registrazione a far data dal
momento del deposito;
b) far valere la nullità del brevetto o
della registrazione concessi a nome di chi
non ne aveva diritto.
4. Decorso il termine di due anni dalla data di pubblicazione della concessione del brevetto per invenzione, per
modello di utilità, per una nuova varietà
vegetale, oppure dalla pubblicazione della concessione della registrazione della
topografia dei prodotti a semiconduttori,
senza che l’avente diritto si sia valso di
una delle facoltà di cui al comma 3, la
nullità può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse.
5. La norma del comma 4 non si applica alle registrazioni di marchio e di disegni e modelli.
6. Salvo l’applicazione di ogni altra
tutela, la registrazione di nome a dominio aziendale concessa in violazione dell’articolo 22 o richiesta in mala fede, può
essere, su domanda dell’avente diritto,
revocata oppure a lui trasferita da parte
dell’autorità di registrazione.
Art. 119.
Paternità
1. L’Ufficio italiano brevetti e marchi
non verifica l’esattezza della designazione
dell’inventore o dell’autore, né la legittimazione del richiedente, fatte salve le
verifiche previste dalla legge o dalle convenzioni internazionali. Dinnanzi l’Ufficio italiano brevetti e marchi si presume
che il richiedente sia titolare del diritto
alla registrazione oppure al brevetto e sia
legittimato ad esercitarlo.
2. Una designazione incompleta od
errata può essere rettificata solanto su
istanza corredata da una dichiarazione di
consenso della persona precedentemente
designata e, qualora l’istanza non sia presentata dal richiedente o dal titolare del
brevetto o della registrazione, anche da
una dichiarazione di consenso di quest’ultimo.
3. Se un terzo presenta all’Ufficio italiano brevetti e marchi una sentenza esecutiva in base alla quale il richiedente o
il titolare del brevetto o della registrazio-
ne è tenuto a designarlo come inventore
o come autore l’Ufficio, lo annota sul
registro e ne dà notizia nel Bollettino
Ufficiale.
Art. 120.
Giurisdizione e competenza
1. Le azioni in materia di proprietà
industriale i cui titoli sono concessi o in
corso di concessione si propongono dinnanzi l’autorità giudiziaria dello Stato,
qualunque sia la cittadinanza, il domicilio e la residenza delle parti. Se l’azione
di nullità è proposta quando il titolo non
è stato ancora concesso, la sentenza può
essere pronunciata solo dopo che l’Ufficio italiano brevetti e marchi ha provveduto sulla domanda, esaminandola con
precedenza rispetto a domande presentate in data anteriore.
2. Le azioni previste al comma 1 si propongono davanti all’autorità giudiziaria
del luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio e, se questi sono sconosciuti, del luogo in cui il convenuto ha
la dimora, salvo quanto previsto nel comma 3. Quando il convenuto non ha residenza, né domicilio né dimora nel territorio dello Stato, le azioni sono proposte
davanti all’autorità giudiziaria del luogo
in cui l’attore ha la residenza o il domicilio. Qualora né l’attore, né il convenuto abbiano nel territorio dello Stato residenza, domicilio o dimora è competente
l’autorità giudiziaria di Roma.
3. L’indicazione di domicilio effettuata
con la domanda di registrazione o di brevettazione e annotata nel registro vale
come elezione di domicilio esclusivo, ai
fini della determinazione della competenza e di ogni notificazione di atti di procedimenti davanti ad autorità giurisdizionali ordinarie o amministrative. Il domicilio così eletto può essere modificato
soltanto con apposita istanza di sostituzione da annotarsi sul registro a cura dell’Ufficio italiano brevetti e marchi.
4. La competenza in materia di diritti
di proprietà industriale appartiene ai tribunali espressamente indicati a tale scopo dal decreto legislativo 27 giugno 2003,
n. 168.
5. Per tribunali dei marchi e dei disegni
e modelli comunitari ai sensi dell’articolo
91 del regolamento (CE) n. 40/94 e dell’articolo 80 del regolamento (CE) n. 2002/6 si
intendono quelli di cui al comma 4.
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Le attualità
6. Le azioni fondate su fatti che si assumono lesivi del diritto dell’attore possono essere proposte anche dinanzi all’autorità giudiziaria dotata ci sezione specializzata nella cui circoscrizione i fatti sono
stati commessi.
Art. 121.
Ripartizione dell’onere della prova
1. L’onere di provare la nullità o la
decadenza del titolo di proprietà industriale incombe in ogni caso a chi impugna il titolo. Salvo il disposto dell’articolo 67 l’onere di provare la contraffazione
incombe al titolare. La prova della decadenza del marchio per non uso può essere fornita con qualsiasi mezzo comprese
le presunzioni semplici.
2. Qualora una parte abbia fornito seri
indizi della fondatezza delle proprie
domande ed abbia individuato documenti, elementi o informazioni detenuti dalla
controparte che confermino tali indizi,
essa può ottenere che il giudice ne
disponga l’esibizione oppure che richieda
le informazioni alla controparte. Può
ottenere altresì che il giudice ordini di
fornire gli elementi per l’identificazione
dei soggetti implicati nella produzione e
distribuzione dei prodotti o dei servizi
che costituiscono violazione dei diritti di
proprietà industriale.
3. Il giudice, nell’assumere i provvedimenti di cui sopra, adotta le misure idonee a garantire la tutela delle informazioni riservate, sentita la controparte.
4. Il giudice desume argomenti di prova dalle risposte che le parti danno e di
rifiuto ingiustificato di ottemperare agli
ordini.
5. Nella materia di cui al presente codice il consulente tecnico d’ufficio può
ricevere i documenti inerenti ai quesiti
posti dal giudice anche se non ancora
prodotti in causa, rendendoli noti a tutte
le parti. Ciascuna parte può nominare
più di un consulente.
Art. 122.
Legittimazione all’azione di nullità
e di decadenza
1. Fatto salvo il disposto dell’articolo
188, comma 4, l’azione diretta ad ottenere la dichiarazione di decadenza o di nullità di un titolo di proprietà industriale
può essere esercitata da chiunque vi
abbia interesse e promossa d’ufficio dal
pubblico ministero. In deroga all’articolo
70 del codice di procedura civile, l’intervento del pubblico ministero non è
obbligatorio.
2 L’azione diretta ad ottenere la dichiarazione di nullità di un marchio per la
sussistenza di diritti anteriori oppure perché l’uso del marchio costituirebbe violazione di un altrui diritto di autore, di
proprietà industriale o altro diritto esclusivo di terzi, oppure perché il marchio
costituisce violazione del diritto al nome
oppure al ritratto oppure perché la registrazione del marchio è stata effettuata a
nome del non avente diritto, può essere
esercitata soltanto dal titolare dei diritti
anteriori e dal suo avente causa o dall’avente diritto.
3. L’azione diretta ad ottenere la
dichiarazione di nullità di un disegno o
modello per la sussistenza dei diritti anteriori di cui all’articolo 43, comma 1, lettera d) ed e), oppure perché la registrazione è stata effettuata a nome del non
avente diritto oppure perché il disegno o
modello costituisce utilizzazione impropria di uno degli elementi elencati nell’articolo 6-ter della Convenzione di
Unione di Parigi per la protezione della
proprietà industriale - testo di Stoccolma
del 14 luglio 1967, ratificata con legge 28
aprile 1976, n. 424, o di disegni, emblemi e stemmi che rivestano un particolare
interesse pubblico nello Stato, può essere rispettivamente esercitata soltanto dal
titolare dei diritti anteriori e dal suo
avente causa o dall’avente diritto oppure
da chi abbia interesse all’utilizzazione.
4. L’azione di decadenza o di nullità di
un titolo di proprietà industriale è esercitata in contraddittorio di tutti coloro
che risultano annotati nel registro quali
aventi diritto.
5. Le sentenze che dichiarano la nullità
o la decadenza di un titolo di proprietà
industriale sono annotate nel registro a
cura dell’Ufficio italiano brevetti e marchi.
6. Una copia dell’atto introduttivo di
ogni giudizio civile in materia di diritti di
proprietà industriale deve essere comunicata all’Ufficio italiano brevetti e marchi,
a cura di chi promuove il giudizio.
7. Ove alla comunicazione anzidetta
non si sia provveduto, l’autorità giudiziaria, in qualunque grado del giudizio, prima di decidere nel merito, dispone che
27
Le attualità
tale comunicazione venga effettuata.
8. Il cancelliere deve trasmettere all’Ufficio italiano brevetti e marchi copia di
ogni sentenza in materia di diritti di proprietà industriale.
Art. 123.
Efficacia erga omnes
1. Le decadenze o le nullità anche parziali di un titolo di proprietà industriale
hanno efficacia nei confronti di tutti
quando siano dichiarate con sentenza
passata in giudicato.
Art. 124.
Sanzioni civili
1. Con la sentenza che accerta la violazione di un diritto di proprietà industriale può essere disposta l’inibitoria della fabbricazione, del commercio e dell’uso di quanto costituisce violazione del
diritto.
2. Pronunciando l’inibitoria, il giudice
può fissare una somma dovuta per ogni
violazione o inosservanza successivamente constatata e per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento.
3. Con la sentenza che accerta la violazione di un diritto di proprietà industriale può essere ordinata la distruzione
di tutte le cose costituenti la violazione.
Non può essere ordinata la distruzione
della cosa e l’avente diritto può conseguire solo il risarcimento dei danni, se la
distruzione della cosa è di pregiudizio
all’economia nazionale. Nel caso della
violazione di diritti di marchio, la distruzione concerne il marchio ma può comprendere le confezioni e, quando l’autorità giudiziaria lo ritenga opportuno,
anche i prodotti o i materiali inerenti alla
prestazione dei servizi, se ciò sia necessario per eliminare gli effetti della violazione del diritto.
4. Con la sentenza che accerta la violazione dei diritti di proprietà industriale, può essere ordinato che gli oggetti
prodotti importati o venduti in violazione del diritto e i mezzi specifici che servono univocamente a produrli o ad attuare il metodo o processo tutelato siano
assegnati in proprietà al titolare del diritto stesso, fermo restando il diritto al
risarcimento del danno.
5. È altresì in facoltà del giudice, su
richiesta del proprietario degli oggetti o
dei mezzi di produzione di cui al comma
4, tenuto conto della residua durata del
titolo di proprietà industriale o delle particolari circostanze del caso, ordinare il
sequestro, a spese dell’autore della violazione, fino all’estinzione del titolo, degli
oggetti e dei mezzi di produzione. In
quest’ultimo caso, il titolare del diritto di
proprietà industriale può chiedere che gli
oggetti sequestrati gli siano aggiudicati al
prezzo che, in mancanza di accordo tra
le parti, verrà stabilito dal giudice dell’esecuzione, sentito, occorrendo, un perito.
6. Delle cose costituenti violazione del
diritto di proprietà industriale non si può
disporre la rimozione o la distruzione, né
può esserne interdetto l’uso quando
appartengono a chi ne fa uso personale o
domestico.
7. Sulle contestazioni che sorgono nell’eseguire le misure menzionate in questo
articolo decide, con ordinanza non soggetta a gravame, sentite le parti, assunte
informazioni sommarie, il giudice che ha
emesso la sentenza recante le misure
anzidette.
Art. 125.
Risarcimento del danno
1. Il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni
degli articoli 1223, 1226 e 1227 del codice civile. Il lucro cessante è valutato dal
giudice anche tenendo conto degli utili
realizzati in violazione del diritto e dei
compensi che l’autore della violazione
avrebbe dovuto pagare qualora avesse
ottenuto licenza dal titolare del diritto.
2. La sentenza che provvede sul risarcimento dei danni può farne, ad istanza
di parte, la liquidazione in una somma
globale stabilita in base agli atti della
causa e alle presunzioni che ne derivano.
Art. 126.
Pubblicazione della sentenza
1. L’autorità giudiziaria può ordinare
che l’ordinanza cautelare o la sentenza
che accerta la violazione dei diritti di
proprietà industriale sia pubblicata integralmente o in sunto o nella sola parte
dispositiva, tenuto conto della gravità dei
fatti, in uno o più giornali da essa indicati, a spese del soccombente.
28
Le attualità
Art. 127.
Sanzioni penali e amministrative
1. Salva l’applicazione degli articoli
473, 474 e 517 del codice penale, chiunque fabbrica, vende, espone, adopera
industrialmente, introduce nello Stato
oggetti in violazione di un titolo di proprietà industriale valido ai sensi delle
norme del presente codice, è punito, a
querela di parte, con la multa fino a
1.032,91 euro.
2. Chiunque appone, su un oggetto,
parole o indicazioni non corrispondenti
al vero, tendenti a far credere che l’oggetto sia protetto da brevetto, disegno o
modello oppure topografia o a far credere che il marchio che lo contraddistingue
sia stato registrato, è punito con la sanzione amministrativa da 51,65 euro a
516,46 euro.
3. Salvo che il fatto costituisca reato, è
punito con la sanzione amministrativa
fino a 2.065,83 euro, anche quando non
vi sia danno al terzo, chiunque faccia uso
di un marchio registrato, dopo che la
relativa registrazione è stata dichiarata
nulla, quando la causa di nullità comporta la illiceità dell’uso del marchio, oppure sopprima il marchio del produttore o
del commerciante da cui abbia ricevuto i
prodotti o le merci a fini commerciali.
Art. 128.
Descrizione
1. Il titolare di un diritto industriale
può chiedere che sia disposta la descrizione degli oggetti costituenti violazione
di tale diritto, nonché dei mezzi adibiti
alla produzione dei medesimi e degli elementi di prova concernenti la denunciata
violazione e la sua entità.
2. L’istanza si propone con ricorso al
Presidente della sezione specializzata del
tribunale competente per il giudizio di
merito, ai sensi dell’articolo 120.
3. Il Presidente della sezione specializzata fissa con decreto l’udienza di comparizione e stabilisce il termine perentorio per la notificazione del decreto.
4. Lo stesso giudice, sentite le parti e
assunte, quando occorre, sommarie informazioni, provvede con ordinanza non
impugnabile e, se dispone la descrizione,
indica le misure necessarie da adottare
per garantire la tutela delle informazioni
riservate e autorizza l’eventuale preleva-
mento di campioni degli oggetti di cui al
comma 1. Quando la convocazione della
controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento, provvede
sull’istanza con decreto, motivato, in
deroga a quanto previsto al comma 3.
5. L’ordinanza di accoglimento, ove la
domanda sia stata proposta prima dell’inizio della causa di merito, deve fissare
un termine perentorio non superiore a
trenta giorni per l’inizio del giudizio di
merito.
6. Il provvedimento perde di efficacia
se non è eseguito nel termine di cui
all’articolo 675 del codice di procedura
civile.
7. Si applica anche alla descrizione il
disposto dell’articolo 669-undicies del
codice di procedura civile.
Art. 129.
Sequestro
1. Il titolare di un diritto di proprietà
industriale può chiedere il sequestro di
alcuni o di tutti gli oggetti costituenti violazione di tale diritto, nonché dei mezzi
adibiti alla produzione dei medesimi e
degli elementi di prova concernenti la
denunciata violazione. Sono adottate in
quest’ultimo caso le misure idonee a
garantire la tutela delle informazioni
riservate.
2. Il procedimento di sequestro è disciplinato dalle norme del codice di procedura civile, concernenti i procedimenti
cautelari.
3. Salve le esigenze della giustizia penale non possono essere sequestrati, ma soltanto descritti, gli oggetti nei quali si ravvisi la violazione di un diritto di proprietà industriale, finché figurino nel
recinto di un esposizione, ufficiale o ufficialmente riconosciuta, tenuta nel territorio dello Stato, o siano in transito da o
per la medesima.
Art. 130.
Disposizioni comuni
1. La descrizione e il sequestro vengono eseguiti a mezzo di ufficiale giudiziario, con l’assistenza, ove occorra, di uno
o più periti ed anche con l’impiego di
mezzi tecnici di accertamento, fotografici
o di altra natura.
2. Gli interessati possono essere auto-
29
Le attualità
rizzati ad assistere alle operazioni anche
a mezzo di loro rappresentanti e ad essere assistiti da tecnici di loro fiducia.
3. Decorso il termine dell’articolo 675
del codice di procedura civile, possono
essere completate le operazioni di descrizione e di sequestro già iniziate, ma non
possono esserne iniziate altre fondate sullo stesso provvedimento. Resta salva la
facoltà di chiedere al giudice di disporre
ulteriori provvedimenti di descrizione o
sequestro nel corso del procedimento di
merito.
4. La descrizione e il sequestro possono concernere oggetti appartenenti a soggetti anche non identificati nel ricorso,
purché si tratti di oggetti prodotti, offerti, importati, esportati o messi in commercio dalla parte nei cui confronti siano
stati emessi i suddetti provvedimenti e
purché tali oggetti non siano adibiti ad
uso personale.
5. Il verbale delle operazioni di sequestro e di descrizione, con il ricorso ed il
provvedimento, deve essere notificato al
terzo cui appartengono gli oggetti sui
quali descrizione o sequestro sono stati
eseguiti, entro quindici giorni dalla data
di conclusione delle operazioni stesse a
pena di inefficacia.
Art. 131
Inibitoria
1. Il titolare di un diritto di proprietà
industriale può chiedere che sia disposta
l’inibitoria della fabbricazione, del commercio e dell’uso di quanto costituisce
violazione del diritto, secondo le norme
del codice di procedura civile concernenti i procedimenti cautelari.
2. Pronunciando l’inibitoria, il giudice
può fissare una somma dovuta per ogni
violazione o inosservanza successivamente constatata e per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento.
Art. 132.
Anticipazione della tutela cautelare
1. I provvedimenti di cui agli articoli
128, 129 e 131 possono essere concessi
anche in corso di brevettazione o di registrazione, purché la domanda sia stata
resa accessibile al pubblico oppure nei
confronti delle persone a cui la domanda
sia stata notificata.
Art. 133.
Tutela cautelare dei nomi a dominio
1. L’Autorità giudiziaria può disporre,
in via cautelare, oltre all’inibitoria dell’uso del nome a dominio aziendale illegittimamente registrato, anche il suo trasferimento provvisorio, subordinandolo, se
ritenuto opportuno, alla prestazione di
idonea cauzione da parte del beneficiario
del provvedimento.
Art. 134.
Norme di procedura
1. Nei procedimenti giudiziari in materia di proprietà industriale e di concorrenza sleale, con esclusione delle sole fattispecie che non interferiscono neppure
indirettamente con l’esercizio dei diritti di
proprietà industriale, nonché in materia di
illeciti afferenti all’esercizio di diritti di
proprietà industriale ai sensi della legge 10
ottobre 1990, n. 287, e degli articoli 81 e
82 del Trattato UE, la cui cognizione è del
giudice ordinario, ed in generale in materie di competenza delle sezioni specializzate quivi comprese quelle che presentano
ragioni di connessione anche impropria si
applicano le norme dei capi I e IV del
titolo II e quelle del titolo III del decreto
legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e, per
quanto non disciplinato dalle norme suddette, si applicano le disposizioni del codice di procedura civile in quanto compatibili, salva in ogni caso l’applicabilità dell’articolo 121, comma 5.
2. Negli arbitrati sulle materie di cui al
comma 1 si applicano le norme degli articoli 35 e 36 del titolo V del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5.
3. Tutte le controversie nelle materie di
cui al comma 1, quivi comprese quelle
disciplinate dagli articoli 64 e 65 e dagli
articoli 98 e 99, sono devolute alla cognizione delle sezioni specializzate previste
dall’articolo 16 della legge 12 dicembre
2002, n. 273, come integrato dall’articolo
120. Rientrano nella competenza delle
sezioni specializzate anche le controversie
in materia di indennità di espropriazione
dei diritti di proprietà industriale, di cui
conosce il giudice ordinario.
Art. 135.
Commissione dei ricorsi
1. Contro i provvedimenti dell’Ufficio
30
Le attualità
italiano brevetti e marchi che respingono
totalmente o parzialmente una domanda
o istanza che rifiutano la trascrizione
oppure che impediscono il riconoscimento di un diritto e negli alti casi previsti
dal presente codice, è ammesso ricorso
entro il termine perentorio di sessanta
giorni dalla data di ricevimento della
comunicazione del provvedimento alla
Commissione dei ricorsi.
2. La Commissione dei ricorsi, istituita
con regio decreto 29 giugno 1939, n.
1127, è composta di un presidente, un
presidente aggiunto e di otto membri
scelti fra i magistrati di grado non inferiore a quello di consigliere d’appello,
sentito il Consiglio superiore della magistratura, o tra i professori di materie giuridiche delle università o degli istituti
superiori dello Stato.
3. La Commissione si articola in due
sezioni, presiedute dal presidente e dal
presidente aggiunto. Il presidente, il presidente aggiunto ed i membri della Commissione sono nominati con decreto del
Ministro delle attività produttive, durano
in carica due anni. L’incarico è rinnovabile.
4. Alla Commissione di cui al comma
2 possono essere aggregati tecnici scelti
dal presidente tra i professori delle università e degli istituti superiori e tra i
consulenti in proprietà industriale, iscritti all’Ordine aventi una comprovata esperienza come consulenti tecnici d’ufficio,
per riferire su singole questioni ad essa
sottoposte. I tecnici aggregati non hanno
voto deliberativo.
5. La scelta dei componenti la Commissione anzidetta, nonché dei tecnici,
può cadere sia su funzionari in attività di
servizio, sia su funzionari a riposo, ferme
le categorie di funzionari entro le quali la
scelta deve essere effettuata.
6. La Commissione dei ricorsi è assistita da una segreteria i cui componenti
sono nominati con lo stesso decreto di
costituzione della Commissione, o con
decreto a parte. I componenti della
segreteria debbono essere scelti fra i funzionari dell’Ufficio italiano brevetti e
marchi ed il trattamento economico è
quello stabilito dalla vigente normativa
legislativa, regolamentare o contrattuale.
7. La Commissione dei ricorsi ha funzione consultiva del Ministero delle attività produttive nella materia della proprietà industriale. Tale funzione viene
esercitata su richiesta del Ministero delle
attività produttive. Le sedute della Commissione in sede consultiva non sono
valide se non sia presente la maggioranza assoluta dei suoi membri aventi voto
deliberativo.
8. I compensi per i componenti la
Commissione, i componenti la segreteria
della Commissione ed i tecnici aggregati
alla Commissione, sono determinati con
decreto del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.
Art. 136.
Procedura avanti la Commissione
dei Ricorsi
1. Il ricorso deve essere notificato tanto all’Ufficio italiano brevetti e marchi
quanto ai controinteressati ai quali l’atto
direttamente si riferisce entro il termine
di sessanta giorni da quello in cui l’interessato ne abbia ricevuto la comunicazione, o ne abbia avuto conoscenza, o, per
gli atti di cui non sia richiesta la comunicazione individuale, dal giorno in cui
sia scaduto il termine della pubblicazione, se questa sia prevista da disposizioni
di legge o di regolamento, salvo l’obbligo di integrare con le ulteriori notifiche
agli altri controinteressati, che siano ordinate dalla Commissione dei ricorsi. Il
ricorso, con la prova delle avvenute notifiche, con copia del provvedimento
impugnato ove in possesso del ricorrente
e con i documenti di cui il ricorrente
intenda avvalersi in giudizio, deve essere
depositato, entro il termine di trenta
giorni dall’ultima notifica, presso gli uffici di cui all’articolo 147 o inviato direttamente, per raccomandata postale, alla
segreteria della Commissione dei ricorsi,
presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi.
2. Insieme al ricorso, deve presentarsi
la prova del pagamento del contributo
unificato di cui all’articolo 9 del decreto
del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115.
3. All’originale del ricorso devono essere unite tante copie in carta libera quanti sono i componenti della Commissione
e le controparti, salva, tuttavia, la facoltà
del Presidente della Commissione di
richiedere agli interessati un numero
maggiore di copie.
4. La mancata produzione della copia
del provvedimento impugnato e della
documentazione a sostegno del ricorso
Le attualità
non implica decadenza. L’Ufficio italiano
brevetti e marchi, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di deposito del
ricorso, deve produrre, mediante inserimento in apposito fascicolo tenuto dalla
segreteria della Commissione, l’eventuale
provvedimento impugnato nonché gli atti
ed i documenti in base ai quali l’atto è
stato emanato, quelli in esso citati, e
quelli che l’ufficio ritiene utili al giudizio.
5. Il Presidente della Commissione
assegna il ricorso alla sezione competente. Il Presidente o il Presidente aggiunto
nomina un relatore tra i componenti
assegnati alla sezione e, ove si tratti di
questioni di natura tecnica, può nominare anche uno o più relatori aggiunti, scelti tra i tecnici aggregati.
6. Il Presidente, o il relatore da lui
delegato, fissa i termini, non superiori in
ogni caso a sessanta giorni, per la presentazione delle memorie e delle repliche
delle controparti e per il deposito dei
relativi documenti.
7. Scaduti i termini di cui al comma 6,
la Commissione può disporre i mezzi
istruttori che ritiene opportuni, stabilendo le modalità della loro assunzione. Il
Presidente, o il relatore da lui delegato,
durante il corso dell’istruttoria, può sentire le parti per eventuali chiarimenti.
Ove i mezzi istruttori non siano necessari, o, comunque, dopo l’espletamento di
essi, il Presidente fissa la data per la
discussione dinanzi alla Commissione.
8. Le sezioni della Commissione, quando decidono sui ricorsi, giudicano con
l’intervento di un Presidente e di due
membri aventi voto deliberativo.
9. La Commissione ha facoltà di chiedere all’Ufficio italiano brevetti e marchi
chiarimenti e documenti.
10. Il ricorrente, o il suo mandatario se
vi sia, che ne faccia domanda in tempo
utile e comunque almeno due giorni prima della discussione ha diritto di essere
ammesso ad esporre oralmente le sue
ragioni. Il ricorrente può stare in giudizio personalmente o può farsi assistere da
un legale ed anche da un tecnico. L’Ufficio può costituirsi in giudizio come
Amministrazione resistente con un proprio funzionario. Aperta la seduta, il relatore riferisce sul ricorso. Successivamente le parti, od i loro incaricati, espongono le loro ragioni e, nel caso di richiesta
dei membri della Commissione, il direttore dell’Ufficio italiano brevetti e marchi
o il funzionario dello stesso ufficio, da lui
31
designato a rappresentarlo, fornisce le
notizie ed i documenti richiesti.
11. Ogni interessato, prima della chiusura della discussione del ricorso, può
presentare alla Commissione memorie
esplicative. Se, durante la discussione,
emergono fatti nuovi influenti sulla decisione essi devono essere contestati alle
parti.
12. La Commissione ha sempre facoltà
di disporre i mezzi istruttori che creda
opportuni ed ha altresì facoltà, in ogni
caso, di ordinare il differimento della
decisione, o anche della discussione, ad
altra seduta.
13. La Commissione decide dopo che
le parti si sono allontanate.
14. La Commissione dei ricorsi, ove
ritenga irricevibile o inammissibile il
ricorso, lo dichiara con sentenza; se riconosce che il ricorso è infondato, lo rigetta con sentenza; se accoglie il ricorso
annulla l’atto in tutto o in parte.
15. Il relatore, od un altro membro
della Commissione, è incaricato di redigere la sentenza esponendo i motivi della decisione.
16. La sentenza è notificata, per raccomandata postale, a cura della segreteria
della Commissione, all’interessato od al
suo mandatario, se nominato, ed è pubblicata nel Bollettino ufficiale, nella sola
parte dispositiva, salva la facoltà della
Commissione di disporre che le sentenze
vengano pubblicate integralmente nel
detto bollettino quando riguardino questioni di massima e quando la pubblicazione non possa recare pregiudizio.
17. Se il ricorrente, allegando un pregiudizio grave ed irreparabile derivante
dall’esecuzione
dell’atto
impugnato,
ovvero dal comportamento inerte dell’Ufficio italiano brevetti e marchi,
durante il tempo necessario a giungere ad
una decisione sul ricorso, chiede l’emanazione di misure cautelari che appaiono,
secondo le circostanze, più idonee ad
assicurare interinalmente gli effetti della
decisione sul ricorso, la Commissione dei
ricorsi si pronuncia sull’istanza con ordinanza emessa in Camera di Consiglio.
Prima della trattazione della domanda
cautelare, in caso di estrema gravità e
urgenza, tale da non consentire neppure
la dilazione fino alla data della Camera di
Consiglio, il ricorrente può, contestualmente alla domanda cautelare o con
separata istanza notificata alle controparti, chiedere al Presidente della Commis-
32
Le attualità
sione dei ricorsi, o alla sezione cui il
ricorso è assegnato, di disporre misure
cautelari provvisorie. Il Presidente provvede con decreto motivato, anche in
assenza di contraddittorio. Il decreto è
efficace sino alla pronuncia del Collegio,
a cui l’istanza cautelare è sottoposta nella prima Camera di Consiglio utile. In
sede di decisione della domanda cautelare, la Commissione dei ricorsi, accertata
la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria e dove ne ricorrono i presupposti, sentite sul punto le parti costituite, può definire il giudizio nel merito
a norma dei precedenti commi.
18. La domanda di revoca o modificazione delle misure cautelari concesse e la
riproposizione della domanda cautelare
respinta sono ammissibili solo se motivate con riferimento a fatti sopravvenuti.
19. Nel caso in cui l’amministrazione
non abbia prestato ottemperanza alle
misure cautelari concesse, o vi abbia
adempiuto solo parzialmente, la parte
interessata può, con istanza motivata e
notificata alle altre parti, chiedere alla
Commissione dei ricorsi le opportune
disposizioni attuative. La Commissione
dei ricorsi esercita i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza al giudicato, di cui
all’articolo 27, primo comma, n. 4), del
testo unico delle leggi sul Consiglio di
Stato, approvato con regio decreto 26
giugno 1924, n. 1054, e successive modificazioni, e dispone l’esecuzione dell’ordinanza cautelare indicandone le modalità e, ove occorra, il soggetto che deve
provvedere.
Art. 137.
Esecuzione forzata e sequestro
dei titoli di proprietà industriale
1. I diritti patrimoniali di proprietà
industriale possono formare oggetto di
esecuzione forzata.
2. All’esecuzione si applicano le norme
stabilite dal codice di procedura civile
per l’esecuzione sui beni mobili.
3. Il pignoramento del titolo di proprietà industriale si esegue con atto notificato al debitore, a mezzo di ufficiale
giudiziario. L’atto deve contenere:
a) la dichiarazione di pignoramento del
titolo di proprietà industriale, previa menzione degli elementi atti ad identificarlo;
b) la data del titolo e della sua spedizione in forma esecutiva;
c) la somma per cui si procede all’esecuzione;
d) il cognome, nome e domicilio, o
residenza, del creditore e del debitore;
e) il cognome e nome dell’ufficiale giudiziario.
4. Il debitore, dalla data della notificazione, assume gli obblighi del sequestratario giudiziale del titolo di proprietà
industriale, anche per quanto riguarda gli
eventuali frutti. I frutti, maturati dopo la
data della notificazione, derivanti dalla
concessione d’uso del diritto di proprietà
industriale, si cumulano con il ricavato
della vendita, ai fini della successiva attribuzione.
5. Si osservano, nei riguardi della notificazione dell’atto di pignoramento, le
norme contenute nel codice di procedura civile per la notificazione delle citazioni. Se colui al quale l’atto di pignoramento deve essere notificato non abbia
domicilio o residenza nello Stato, né
abbia in questo eletto domicilio, la notificazione è eseguita presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi. In quest’ultimo
caso, copia dell’atto è affissa nell’Albo
dell’Ufficio ed inserita nel Bollettino ufficiale.
6. L’atto di pignoramento del diritto di
proprietà industriale deve essere trascritto, a pena di inefficacia, entro otto giorni dalla notifica. Avvenuta la trascrizione
dell’atto di pignoramento del diritto di
proprietà industriale, e finché il pignoramento stesso spiega effetto, i pignoramenti successivamente trascritti valgono
come opposizione sul prezzo di vendita,
quando siano notificati al creditore procedente.
7. La vendita e l’aggiudicazione dei
diritti di proprietà industriale pignorati
sono fatte con le corrispondenti norme
stabilite dal codice di procedura civile in
quanto applicabili, salve le disposizioni
particolari del presente codice.
8. La vendita del diritto di proprietà
industriale non può farsi se non siano
trascorsi almeno trenta giorni dal pignoramento. Un termine di venti giorni deve
decorrere, per la vendita, dal decreto di
fissazione del giorno della vendita stessa.
Il giudice, per la vendita e l’aggiudicazione dei diritti di proprietà industriale,
dispone le forme speciali che ritiene
opportune nei singoli casi, provvedendo
altresì per l’annunzio della vendita al
pubblico, anche in deroga alle norme del
codice di procedura civile. All’uopo il
33
Le attualità
giudice può stabilire che l’annunzio sia
affisso nei locali della Camera di commercio ed in quelli dell’Ufficio italiano
brevetti e marchi e pubblicato nel Bollettino dei diritti di proprietà industriale.
9. Il verbale di aggiudicazione deve
contenere gli estremi del diritto di proprietà industriale giuste le risultanze dei
relativi titoli.
10. Il creditore istante, nell’esecuzione
forzata sui diritti di proprietà industriale,
deve notificare almeno dieci giorni prima
della vendita, ai creditori titolari dei
diritti di garanzia, trascritti, l’atto di
pignoramento e il decreto di fissazione
del giorno della vendita. Questi ultimi
creditori devono depositare, nella cancelleria dell’autorità giudiziaria competente,
le loro domande di collocazione con i
documenti giustificativi entro quindici
giorni dalla vendita. Chiunque vi abbia
interesse può esaminare dette domande e
i documenti.
11. Trascorso il termine di quindici
giorni, previsto nel comma 8, il giudice,
su istanza di una delle parti, fissa l’udienza nella quale proporrà lo stato di
graduazione e di ripartizione del prezzo
ricavato dalla vendita e dagli eventuali
frutti. Il giudice, nell’udienza, accertata
l’osservanza delle disposizioni del comma
8, ove le parti non si siano accordate sulla distribuzione del ricavato dei frutti,
procede alla graduazione fra i creditori
ed alla distribuzione di tale ricavato dei
frutti stessi, secondo le relative norme
stabilite nel codice di procedura civile
per l’esecuzione mobiliare. I crediti con
mora, eventuali o condizionati, diventano
esigibili secondo le norme del codice
civile.
12. L’aggiudicatario del diritto di proprietà industriale ha diritto di ottenere
che siano cancellate le trascrizioni dei
diritti di garanzia sul titolo corrispondente, depositando, presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi, copia del verbale di aggiudicazione e attestato del cancelliere dell’avvenuto versamento del
prezzo di aggiudicazione, osservate le
norme per la cancellazione delle trascrizioni.
13. I diritti di proprietà industriale,
ancorché in corso di concessione o di
registrazione, possono essere oggetto di
sequestro. Alla procedura del sequestro
si applicano le disposizioni in materia di
esecuzione forzata stabilite dal presente
articolo ed altresì quelle sul sequestro,
stabilite dal codice di procedura civile.
14. Le controversie in materia di esecuzione forzata e di sequestro dei diritti
di proprietà industriale si propongono
davanti all’autorità giudiziaria dello Stato
competente a norma dell’articolo 120.
Art. 138.
Trascrizione
1. Debbono essere resi pubblici
mediante trascrizione presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi:
a) gli atti fra vivi, a titolo oneroso o
gratuito, che trasferiscono in tutto o in
parte, i diritti su titoli di proprietà industriale;
b) gli atti fra vivi, a titolo oneroso o
gratuito, che costituiscono, modificano o
trasferiscono diritti personali o reali di
godimento privilegi speciali o diritti di
garanzia, costituiti ai sensi dell’articolo
140 concernenti i titoli anzidetti;
c) gli atti di divisione, di società, di
transazione, di rinuncia, relativi ai diritti
enunciati nelle lettere a) e b);
d) il verbale di pignoramento;
e) il verbale di aggiudicazione in seguito a vendita forzata;
f) il verbale di sospensione della vendita di parte dei diritti di proprietà industriale pignorati per essere restituiti al
debitore, a norma del codice di procedura civile;
g) i decreti di espropriazione per causa di pubblica utilità;
h) le sentenze che dichiarano l’esistenza degli atti indicati nelle lettere a), b) e
c), quando tali atti non siano stati precedentemente trascritti. Le sentenze che
pronunciano la nullità, l’annullamento, la
risoluzione, la rescissione, la revocazione
di un atto trascritto devono essere annotate in margine alla trascrizione dell’atto
al quale si riferiscono. Possono inoltre
essere trascritte le domande giudiziali
dirette ad ottenere le sentenze di cui al
presente articolo. In tale caso gli effetti
della trascrizione della sentenza risalgono
alla data della trascrizione della domanda giudiziale;
i) i testamenti e gli atti che provano
l’avvenuta successione legittima e le sentenze relative;
l) le sentenze di rivendicazione di diritti di proprietà industriale e le relative
domande giudiziali;
m) le sentenze che dispongono la con-
34
Le attualità
versione di titoli di proprietà industriale
nulli e le relative domande giudiziali;
n) le domande giudiziali dirette ad
ottenere le sentenze di cui al presente
articolo. In tal caso gli effetti della trascrizione della sentenza risalgono alla
data della trascrizione della domanda
giudiziale.
2. La trascrizione è soggetta al pagamento del diritto prescritto.
3. Per ottenere la trascrizione, il richiedente deve presentare apposita nota di
trascrizione, sotto forma di domanda,
allegando copia autentica dell’atto pubblico ovvero l’originale o la copia autentica della scrittura privata autenticata
ovvero qualsiasi altra documentazione
prevista dall’articolo 195.
4. L’Ufficio italiano brevetti e marchi,
esaminata la regolarità formale degli atti,
procede, senza ritardo, alla trascrizione con
la data di presentazione della domanda.
5. L’ordine delle trascrizioni è determinato dall’ordine di presentazione delle
domande.
6. Le omissioni o le inesattezze che
non inducano incertezza assoluta sull’atto che si intende trascrivere o sul titolo
di proprietà industriale a cui l’atto si riferisce non comportano l’invalidità della
trascrizione.
Art. 139.
Effetti della trascrizione
1. Gli atti e le sentenze, tranne i testamenti e gli altri atti e sentenze indicati alle
lettere d), i) ed l) dell’articolo 138, finché
non siano trascritti, non hanno effetto di
fronte ai terzi che a qualunque titolo hanno acquistato e legalmente conservato
diritti sul titolo di proprietà industriale.
2. Nel conflitto di più acquirenti dello
stesso diritto di proprietà industriale dal
medesimo titolare, è preferito chi ha trascritto per primo il suo titolo di acquisto.
3. La trascrizione del verbale di pignoramento, finché dura la sua efficacia, sospende gli effetti delle trascrizioni ulteriori degli
atti e delle sentenze anzidetti. Gli effetti di
tali trascrizioni vengono meno dopo la trascrizione del verbale di aggiudicazione,
purché avvenga entro tre mesi dalla data
della aggiudicazione stessa.
4. I testamenti e gli atti che provano
l’avvenuta legittima successione e le sentenze relative sono trascritti solo per stabilire la continuità dei trasferimenti.
5. Sono opponibili ai terzi gli atti che
trasferiscono, in tutto o in parte, ovvero
modificano i diritti inerenti ad una
domanda o ad un brevetto europeo, a
condizione che siano stati trascritti nel
Registro italiano dei brevetti europei.
Art. 140.
Diritti di garanzia
1. I diritti di garanzia sui titoli di proprietà industriale devono essere costituiti
per crediti di denaro.
2. Nel concorso di più diritti di garanzia, il grado è determinato dall’ordine
delle trascrizioni.
3. La cancellazione delle trascrizioni
dei diritti di garanzia è eseguita in seguito alla produzione dell’atto di consenso
del creditore con sottoscrizione autenticata ovvero quando la cancellazione sia
ordinata con sentenza passata in giudicato ovvero in seguito al soddisfacimento
dei diritti assistiti da garanzia a seguito di
esecuzione forzata.
4. Per la cancellazione è dovuto lo stesso diritto prescritto per la trascrizione.
Art. 141.
Espropriazione
1. Con esclusione dei diritti sui marchi, i
diritti di proprietà industriale, ancorché in
corso di registrazione o di brevettazione, possono essere espropriati dallo Stato nell’interesse della difesa militare del
Paese o per altre ragioni di pubblica utilità.
2. L’espropriazione può essere limitata
al diritto di uso per i bisogni dello Stato,
fatte salve le previsioni in materia di licenze obbligatorie in quanto compatibili.
3. Con l’espropriazione anzidetta,
quando sia effettuata nell’interesse della
difesa militare del Paese e riguardi titoli
di proprietà industriale di titolari italiani,
è trasferito all’amministrazione espropriante anche il diritto di chiedere titoli
di proprietà industriale all’estero.
Art. 142.
Decreto di espropriazione
1. L’espropriazione viene disposta per
decreto del Presidente della Repubblica,
su proposta del Ministro competente, di
concerto con i Ministri delle attività pro-
35
Le attualità
duttive e dell’economia e delle finanze,
sentito il Consiglio dei ministri, se il
provvedimento interessa la difesa militare del Paese o, negli altri casi, la Commissione dei ricorsi.
2. Il decreto di espropriazione nell’interesse della difesa militare del Paese,
quando viene emanato prima della stampa dell’attestato di brevettazione o di
registrazione, può contenere l’obbligo e
stabilire la durata del segreto sull’oggetto del titolo di proprietà industriale.
3. La violazione del segreto è punita
ai sensi dell’articolo 262 del codice penale.
4. Nel decreto di espropriazione è fissata
l’indennità spettante al titolare del diritto
di proprietà industriale, determinata sulla
base del valore di mercato dell’invenzione,
sentita la Commissione dei ricorsi.
5. Contro i decreti di espropriazione
per causa di pubblica utilità è ammesso
il ricorso al Tribunale amministrativo
regionale competente per territorio il
quale provvede con giurisdizione esclusiva e con applicazione del rito speciale di
cui all’articolo 23-bis, legge 6 dicembre
1971, n. 1034.
Art. 143.
Indennità di espropriazione
1. Ove il titolare del diritto espropriato non accetti l’indennità fissata ai sensi
dell’articolo 142 ed in mancanza di
accordo fra il titolare e l’amministrazione
procedente, l’indennità è determinata da
un collegio di arbitratori.
2. All’inventore o all’autore, il quale
provi di avere perduto il diritto di priorità all’estero per il ritardo della decisione negativa del Ministero in merito all’espropriazione, è concesso un equo indennizzo, osservate le norme relative all’indennità di espropriazione.
3. I decreti di espropriazione devono
essere annotati nel Registro dei titoli di
proprietà industriale a cura dell’Ufficio
italiano brevetti e marchi.
MISURE
Sezione II
CONTRO LA PIRATERIA
Art. 144.
Atti di pirateria
1. Agli effetti delle norme contenute
nella presente sezione sono atti di pirateria le contraffazioni e le usurpazioni di
altrui diritti di proprietà industriale, realizzate dolosamente in modo sistematico.
Art. 145.
Comitato Nazionale Anti contraffazione
1. Presso il Ministero delle attività produttive è costituito il Comitato Nazionale Anticontraffazione con funzioni di
monitoraggio dei fenomeni in materia di
violazione dei diritti di proprietà industriale, nonché di proprietà intellettuale
limitatamente ai disegni e modelli, di
coordinamento e di studio delle misure
volte ad contrastarli, nonché di assistenza alle imprese per la tutela contro le pratiche commerciali sleali.
2. Le modalità di composizione e di
funzionamento del Comitato di cui al
comma 1 sono definite con decreto del
Ministro delle attività produttive, di concerto con i Ministri dell’economia e delle
finanze, degli affari esteri, delle politiche
agricole e forestali, dell’interno, della giustizia e per i beni e le attività culturali, in
modo da garantire la rappresentanza degli
interessi pubblici e privati.
3. Il funzionamento del Comitato di
cui al comma 1 non comporta oneri per
la finanza pubblica.
Art. 146.
Interventi contro la pirateria
1. Qualora ne abbia notizia, il Ministero delle attività produttive segnala alla
Procura della Repubblica, competente
per territorio, per le iniziative di sua
competenza, i casi di pirateria.
2. Fatta salva la repressione dei reati e
l’applicazione della normativa nazionale e
comunitaria vigente in materia, di competenza dell’autorità doganale, il Ministero delle attività produttive, per il tramite
del Prefetto della provincia interessata e
i sindaci, limitatamente al territorio
comunale, possono disporre anche d’ufficio, il sequestro amministrativo della
merce contraffatta e, decorsi tre mesi,
previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria di cui al comma 3, procedere alla
sua distruzione, a spese del contravventore. È fatta salva la facoltà di conservare i campioni da utilizzare a fini giudiziari.
36
Le attualità
3. Competente ad autorizzare la distruzione è il presidente della sezione specializzata di cui all’articolo 120, nel
cui territorio è compiuto l’atto di pirateria,
su richiesta dell’amministrazione statale o
comunale che ha disposto il sequestro.
4. L’opposizione avverso il provvedimento di distruzione di cui al comma 2
è proposta nelle forme di cui agli artico-
li 22 e 23 della legge 24 novembre 1981,
n. 689, e successive modificazioni. Il termine per ricorrere decorre dalla data di
notificazione del provvedimento o da
quella della sua pubblicazione, per estratto, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
Omissis.
LA CORTE COSTITUZIONALE
« CHIUDE I CONTI » CON LA VEXATA
QUAESTIO DELLA FORMA DEL CONTRATTO
DI AUTOTRASPORTO
(Corte cost. 14 gennaio 2005, n. 7, pubblicata in Gazzetta Ufficiale,
1a s.s., n. 3, del 19 gennaio 2005)
di
ANDREA GENTILI
(magistrato)
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Analisi della evoluzione normativa in materia. – 3. Precedenti
ordinanze di rimessione e conseguenti decisioni della Corte. – 4. Esame della sentenza
n. 7 del 2005.
1. – Verrebbe da dire: « Tanto tuonò che piovve ». Infatti con la sentenza
n. 7/05 la Corte costituzionale è, finalmente, intervenuta in via definitiva
sulla controversa materia della forma del contratto di autotrasporto di
cose per conto terzi.
La attesa della sentenza era giustificata dal fatto che, nel breve volgere
di circa due anni, la Consulta in altre tre occasioni si era occupata dell’argomento trattato dal provvedimento ora commentato, sebbene in tali
occasioni, tutte risolte ora con la dichiarazione di inammissibilità della
questione di legittimità costituzionale per come sollevata ora con la dichiarazione di infondatezza della medesima, le norme indubbiate non fossero
le medesime oggetto della presente questione e, comunque, il « verso », se
così si può dire, delle questioni allora sollevate fosse stato decisamente
divergente da quello che caratterizza la decisione ora assunta dalla Consulta.
Infatti nelle precedenti occasioni la questione di costituzionalità era stata sollevata, sia pure con riferimento a molteplici e non sempre coincidenti
parametri costituzionali, con riguardo esclusivamente all’art. 3 del d.l. 3
luglio 2001, n. 256 (« Interventi urgenti nel settore dei trasporti ») convertito, con modificazioni (che non hanno tuttavia interessato l’art. 3), dalla l. 20 agosto 2001, n. 334, mentre nella presente occasione il Tribunale
di Latina ha sottoposto al vaglio della Consulta non solo il citato art. 3 del
d.l. n. 256/01, ma anche (e, come vedremo, forse soprattutto) l’art. 26,
ultimo comma, della l. 6 giugno 1974, n. 298 (« Istituzione dell’albo nazionale degli autotrasportatori di cose e istituzione di un sistema di tariffe a
forcella per i trasporti di merci su strada »).
Norme le due sopra indicate legate da un’intima connessione essendo la
prima, l’art. 3, stata emanata al fine di dettare una interpretazione autentica dell’ultimo comma della seconda, l’art. 26.
Ma oltre a rimarcare tale differenza di oggetto, vi è da dire che nelle precedenti occasioni la Corte era stata chiamata a giudicare, in sostanza, la
razionalità della disciplina della forma del contratto di autotrasporto per
FORMA
DI CONTRATTO
DI AUTOTRASPORTO
di
ANDREA GENTILI
62
Le attualità
conto terzi nella parte in cui essa non prevedeva come esclusiva forma del
contratto la forma scritta, mentre adesso la questione attiene alla razionalità di una disciplina che, data per scontata la possibilità di concludere il
contratto di autotrasporto anche in forma libera, obbliga – laddove le parti abbiano inteso, invece, concluderlo non in forma orale ma consacrando
l’accordo in un documento – le parti stesse ad indicare espressamente
determinate caratteristiche del vettore nel documento medesimo (o come
meglio vedremo in una delle copie del documento in questione), sanzionando l’inottemperanza a tale obbligo con la nullità del contratto.
FORMA
DI CONTRATTO
DI AUTOTRASPORTO
di
ANDREA GENTILI
2. – Giova, a questo punto, ripercorrere per grandi linee la evoluzione
della normativa che ha riguardato la materia, evidenziando, altresì, i motivi che tale evoluzione hanno determinato.
Quando, intervenendo con la ricordata l. n. 298/74, il legislatore istituì
l’Albo nazionale degli autotrasportatori, aveva il dichiarato scopo di porre ordine in un settore giustamente ritenuto nevralgico della nostra economia, fino ad allora frequente campo di azione di numerosi operatori
privi di un’adeguata professionalità, i quali, tuttavia, riuscendo a praticare, o, comunque, ad accettare, condizioni di maggior favore economico
per il committente, si ponevano come evidente elemento di inquinamento della trasparenza del mercato, agendo, in sostanza, quali costanti perturbatori della concorrenza.
Al detto fine il legislatore previde, all’art. 1, comma 3°, della citata l. n.
298/74, che la iscrizione all’Albo nazionale degli autotrasportatori, subordinata al possesso di determinati e specifici requisiti, fosse condizione
necessaria per l’esercizio dell’autotrasporto di cose per conto terzi; a tale
condizione corrispondeva, altresì, la applicazione di tariffe inderogabili,
autoritativamente determinate in un minimo ed in una massimo, le cosiddette « tariffe a forcella » alla cui disciplina di rango primario era dedicato l’intero titolo III, artt. da 50 a 59, della ricordata legge.
A garanzia della effettività di tale disciplina il legislatore pose – oltre ad
una serie di norme che prevedevano sanzioni di tipo disciplinare od
amministrativo a carico del vettore che avesse eluso le tariffe ovvero violato disposizioni sulla sicurezza del trasporto o a tutela dei lavoratori (art.
21), che avesse omesso comunicazioni previste per legge (art. 27) ovvero
avesse omesso la compilazione della documentazione relativa alla merce
viaggiante (artt. 47 e 58) – in principalità gli artt. 26 e 46 i quali, rispettivamente, sanzionavano la condotta di chi, senza essere iscritto all’Albo
degli autotrasportatori, esercitava la relativa attività, prevedendo, nell’impianto originale, persino la sanzione penale connessa alla violazione dell’art. 348 c.p. (si tratta della norma che punisce appunto l’esercizio abusivo di una professione) e quella di chi disponeva l’esecuzione di trasporti
con autoveicoli privi di licenza od autorizzazione; anche in questo secondo caso, integrando la fattispecie un delitto, la sanzione era di carattere
penale.
La singolare gravità della considerazione legislativa dell’autotrasporto
abusivo fu, successivamente, mitigata per effetto del d.lgs. 30 dicembre
1999, n. 507 (« Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema
sanzionatorio, ai sensi dell’art. 1 della l. 25 giugno 1999, n. 205 »), il qua-
Le attualità
63
le, all’art. 18, degradò la fattispecie da illecito penale ad illecito amministrativo sia con riguardo a quanto previsto dall’art. 26 della l. n. 298/74 sia
riguardo a quanto previsto dal successivo art. 46.
Vi è, tuttavia da dire che, medio tempore – e qui incominciamo ad entrare nel cuore della normativa implicata dalle diverse questioni di costituzionalità che, come detto, si sono avvicendate in questi ultimi anni – il legislatore, certamente consapevole del fatto che attraverso la minaccia della
sanzione penale non si era riusciti a debellare il fenomeno dell’abusivismo,
aveva novellato l’art. 26 della l. n. 298, aggiungendo, con l’art. 1 del d.l. 29
marzo 1993, n. 82 (« Misure urgenti per il settore dell’autotrasporto di
cose per conto di terzi »), convertito con modificazioni con la l. 27 maggio 1993, n. 162 (1), ad esso due commi; con l’uno, aveva previsto la applicazione della sanzione amministrativa anche a carico del committente che
si fosse affidato ad un autotrasportatore non iscritto all’Albo, con l’altro
aveva previsto che, a pena di nullità del contratto, fosse necessario, al
momento della conclusione del contratto di autotrasporto di cose per conto terzi, annotare, a cura del vettore, sulla copia del contratto da consegnare al committente, i dati relativi agli estremi della attestazione di iscrizione all’Albo e dell’autorizzazione al trasporto di cose rilasciati dai competenti comitati provinciali.
Tale ultima disposizione, che, come di seguito vedremo, non può dirsi
un modello di corretta tecnica legislativa, aveva fatto sorgere un copiosissimo contenzioso giudiziario, ordinato sostanzialmente su due filoni, cioè:
a) la necessità o meno della forma scritta per la conclusione del contratto
di autotrasporto; b) la possibilità per il committente, laddove si fosse stipulato il contratto oralmente e risultando conseguentemente omesse le
indicazioni scritte relative alla iscrizione del vettore nell’Albo degli autotrasportatori e sulla sua autorizzazione all’esercizio della relativa attività,
di opporre al vettore stesso il rifiuto al pagamento del prezzo concordato,
stante la nullità del titolo che giustificava l’obbligazione di pagamento, o,
persino di chiedere in restituzione, trattandosi di indebiti solutio (2), quanto già versato quale corrispettivo del servizio ricevuto.
Anche in questo caso non si fece attendere a lungo un nuovo intervento del legislatore che, dapprima, tentò di inserire in quella che poi sarebbe divenuta la l. 7 dicembre 1999, n. 472 (« Interventi nel settore dei trasporti »), una disposizione che, chiarendo la non esclusività della forma
scritta ai fini della conclusione del contratto di autotrasporto, avrebbe
risolto il complesso contenzioso esistente (3), quindi, in occasione della
(1) A riprova del travaglio normativo che ha contraddistinto la materia è ancora il caso
di segnalare che, prima della novella introdotta con il d.l. n. 82/93, il legislatore era già
intervenuto con altri due decreti legge, rispettivamente contraddistinti dal n. 463/92 e dal
n. 19/93, ambedue non convertiti entro i termini costituzionalmente previsti, i quali prevedevano la sanzione penale anche a carico di chi avessero commissionato l’attività di autotrasporto al vettore non iscritto all’Albo.
(2) Cfr. Trib. Torino, 17 novembre 1999, in Giust. civ., 2000, I, p. 2109, con nota di SARZINA, Il contratto nullo e la logica del diritto.
(3) La disposizione, pur approvata in Senato, fu però espunta dal disegno di legge in
occasione della lettura che ne fece la Camera dei deputati, sicché essa non trovò spazio nella citata l. n. 472/99.
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DI CONTRATTO
DI AUTOTRASPORTO
di
ANDREA GENTILI
64
Le attualità
emanazione del d.l. 3 luglio 2001, n. 256, riprendendo nei suoi precisi termini la disposizione sopra ricordata, previde, appunto, che la disposizione di cui all’ultimo comma dell’art. 26 della l. n. 298/74 deve essere interpretata nel senso che la annotazione delle prescritte indicazioni sulla copia
del contratto da consegnare al committente e la previsione di nullità del
contratto in caso di omissione di tali indicazioni, non comportano la
obbligatorietà della forma contrattuale scritta, ma rilevano solo nel caso in
cui le parti abbiano scelto siffatta forma.
FORMA
DI CONTRATTO
DI AUTOTRASPORTO
di
ANDREA GENTILI
3. – È questo, pertanto, il contesto normativo nell’ambito del quale sono
intervenute le ordinanze di rimessione che hanno costituito il fomite delle quattro decisioni assunte negli ultimi due anni dalla Consulta sulla
materia.
La prima delle dette decisioni, assunta con ordinanza n. 409/02 (4), origina da una ordinanza di rimessione del Tribunale di Torino, il quale, nel
censurare il solo art. 3 del d.l. n. 256/01, osservava che la disposizione,
avente come detto carattere interpretativo, sarebbe stata in contrasto sia
con l’art. 77 Cost., in quanto sarebbero mancati i presupposti di necessità
ed urgenza tali da legittimare l’adozione dello strumento legislativo del
decreto legge (5), sia con l’art. 3 della stessa Carta costituzionale in quanto la disposizione succitata avrebbe realizzato una ingiustificata disparità
di trattamento fra quanti, avendo stipulato il contratto verbalmente, non
hanno fatto le annotazioni previste dall’ultimo comma dell’art. 26 della l.
n. 298/74 e quanti, non avendo parimenti fatto le annotazione in questione, hanno, invece, redatto il contratto per iscritto; la disparità di trattamento consisterebbe, ovviamente, nel fatto che solo i secondi sarebbero
sanzionati dalla nullità del contratto.
Aggiunge il Tribunale subalpino che la norma impugnata sarebbe anche
intimamente irragionevole, poiché rivelerebbe una ratio antitetica con la
norma interpretata; questa, infatti, intende perseguire, attraverso l’aggravamento formale costituito dall’obbligo di indicazione sia degli estremi
della iscrizione del vettore nell’albo degli autostraportatori che di quelli
della sua autorizzazione, la repressione dell’abusivismo, l’altra, invece,
consentendo ad libitum la forma orale del contratto (senza evidentemente
bisogno di indicazione alcuna), di fatto facilita il fenomeno che la prima
intende giustamente reprimere.
La questione fu dalla Corte dichiarata inammissibile per difetto di rile(4) Corte cost. n. 409/02, in Foro it., 2002, I, c. 2545, con breve commento redazionale
di contenuto piuttosto critico.
(5) Sotto tale profilo la questione investe evidentemente un tema i cui confini trascendono di gran lunga l’economia (nonché l’oggetto specifico) del presente lavoro; basti sul
punto, perciò, qui osservare che, secondo il costante orientamento della Corte cost. il vizio
in tale occasione dedotto sarebbe (verosimilmente) comunque stato assorbito dalla avvenuta conversione in legge del decreto de quo; si vedano, infatti, in tal senso, fra le più
recenti decisioni della Corte cost. le sentenze n. 341/03, in Foro it., 2004, I, c. 357; n.
29/02, ibidem, 2002, I, c. 933. Unico limite di tale assorbimento è, sempre secondo la giurisprudenza della Corte, il caso della evidente e macroscopica mancanza dei presupposti
che potrebbe ridondare anche sull’eventuale legge di conversione come vizio del procedimento di formazione della legge: cfr. Corte cost. n. 285/04, in Foro it., 2005, I, c. 1657;
idem, n. 16/02, ibidem, 2002, I, c. 625.
Le attualità
65
vanza; il rimettente, infatti, aveva omesso di precisare sia se il rapporto
contrattuale dedotto nel giudizio a quo si era protratto oltre il 29 marzo
1993 (data di entrata in vigore del d.l. n. 82/93 che, come dianzi ricordato, aveva inserito nell’art. 26 della l. n. 298/74 l’ultimo comma) sia, più in
generale, quale fosse la specifica qualificazione giuridica del rapporto stesso, sicché non era possibile per la Corte verificare, sia ratione temporis sia
ratione causae, se la norma censurata era effettivamente applicabile nel
giudizio a quo.
Il secondo arresto della Corte è costituito dalla sentenza n. 26/03 (6);
l’occasione fu fornita da due ordinanze di rimessione rispettivamente del
Tribunale di Vallo della Lucania e di quello di Genova, in ambedue i casi
la questione involgeva esclusivamente l’art. 3 del d.l. n. 256/01, cioè la
norma con la quale è stato autenticamente interpretato l’ultimo comma
dell’art. 26 della l. n. 298/74; secondo i due Tribunali rimettenti la disposizione impugnata avrebbe violato gli artt. 3, 24, 101 e 102 Cost.; nel sostenere ciò essi sono partiti dalla premessa che la disposizione interpretata
fosse suscettibile di una sola ermeneusi, peraltro a loro dire condivisa dalla univoca giurisprudenza formatasi su di essa, in base alla quale il contratto di autotrasporto di cose per conto terzi esigesse, ad substantiam, la
forma scritta; da tale premessa essi fanno discendere la natura effettivamente innovativa e non interpretativa della disposizione da loro impugnata.
Pertanto la efficacia retroattiva attribuita dal legislatore a detta disposizione, attraverso la « abusiva » qualificazione della stessa come norma
interpretativa, minerebbe il principio di certezza dei rapporti giuridici e,
imponendo la definizione dei numerosi giudizi pendenti in materia in termini opposti a quelli che la piana applicazione della disposizione interpretata giustificherebbe, realizzerebbe una indebita interferenza nelle
numerose controversie già sottoposte alla autorità giudiziaria.
La interpretazione autentica, peraltro, sarebbe in sé contraddittoria ed
irragionevole, poiché, al dichiarato fine di reprimere l’abusivismo nel settore dell’autotrasporto, imporrebbe la nullità del contratto laddove non
siano fornite le indicazioni strumentali al perseguimento del detto fine; ma
ciò non sempre, ma solo allorché le parti abbiano adottato per la conclusione del contratto la forma scritta, già di per sé idonea a tutelare gli interessi delle parti.
Analoga sanzione non è, invece, prevista nel caso della adozione della,
meno « garantista », forma orale.
La Corte, nel dichiarare non fondata la questione, ha, per prima cosa
confutato la premessa da cui prendeva le mosse il ragionamento dei rimettenti, cioè che l’art. 26, ultimo comma, della l. n. 298/74 non fosse suscettibile di altra interpretazione se non che quella che, per il contratto di
autotrasporto, imponeva la forma scritta.
Precisa la Corte che ad escludere tale rigida corrispondenza militano
due argomenti: l’uno dato dal fatto che, sebbene la prevalente giurisprudenza formatasi su detta norma avallasse la tesi dei rimettenti (7), non era(6) Corte cost. n. 26/03, in Foro it., 2003, I, c. 681.
(7) Cfr. in questo senso Trib. Macerata, 8 gennaio 2001, in Arch. circolaz., 2001, p. 483;
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DI CONTRATTO
DI AUTOTRASPORTO
di
ANDREA GENTILI
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DI CONTRATTO
DI AUTOTRASPORTO
di
ANDREA GENTILI
Le attualità
no mancate interpretazioni di senso diverso (8) anche da parte della stessa Corte di cassazione (9); l’altro dato dal fatto che, se fosse vera la premessa, la disposizione ultima citata, la cui indiscussa finalità è, come concordemente ritenuto, quella di contribuire alla repressione dell’abusivismo nel settore dell’autotrasporto, travolgerebbe non soltanto i contratti
stipulati con chi non sia iscritto all’Albo, ma anche quelli conclusi, sia pur
in forma orale, da un vettore regolarmente in possesso della prescritta
iscrizione, e ciò a causa di un vizio formale non correlato ad alcuna effettiva esigenza di tutela né dell’interesse generale (come detto garantito dalla regolare iscrizione del vettore nell’apposito albo) né di quello particolare del committente; aggiunge la Corte – con una significativa espressione – che, se fosse vero quanto postulato dai rimettenti, un tale risultato
sarebbe indice del fatto che il legislatore, nel perseguire il ricordato scopo, avrebbe « ecceduto nel mezzo », come sarebbe dimostrato dalla circostanza, evidenziabile dalla fattispecie all’esame dei giudici a quibus, che
nelle ipotesi sub iudice non vi era dubbio sul fatto che i vettori in questione erano regolarmente iscritti nell’albo degli autotrasportatori.
Caduta la premessa fondante il ragionamento dei rimettenti, vengono,
evidentemente meno anche le conseguenze che essi ne traggono: nessun
dubbio sulla legittimità dell’intervento interpretativo del legislatore; laddove sia possibile enucleare uno « scarto » fra una delle possibili varianti
Trib. Torino, 21 giugno 2001 (ined.); Trib. Torino, 1 giugno 2000, in Riv. giur. circ. e trasp., 2000, p. 783, con nota di SARZINA, Tariffe di trasporto e ordine pubblico: utopia e realtà;
Trib. Torino, 17 novembre 1999, cit.; Trib. Monza, 22 gennaio 1999, in Giust. civ., 1999, I,
p. 1853, con nota di SARZINA, Le tariffe di trasporto tra prescrizione e nullità; Pret. Torino,
30 dicembre 1997, in Giur. piemontese, 1998, p. 394; Trib. Alba, 30 novembre 1995, in Dir.
trasp., 1997, p. 163, con nota di RIGUZZI, Brevi considerazioni sulla nuova forma ad substantiam del contratto di trasporto merci su strada; Pret. Firenze, 6 novembre 1997, in Riv.
giur. circ. e trasp., 1998, p. 747; Trib. Milano, 3 luglio 1997, in Riv. giur. circ. e trasp., 1998,
p. 519, con nota di SARZINA, Le tariffe inutili anzi dannose.
(8) Cfr., infatti, Trib. Bari, 22 novembre 2000, in Foro it., 2001, I, c. 345; Pret. Pistoia,
22 febbraio 1999, in Foro it., 1999, I, c. 2758; Trib. Roma, 30 settembre 1998 (ined.); Pret.
Matera, 30 settembre 1998, in Corti di Bari, Lecce e Potenza, 2001, I, p. 501.
(9) Il riferimento, esplicito nella sentenza, è a Cass. 6 giugno 2002, n. 8256, in Giust. civ.,
2002, I, p. 2121 ed anche in Dir. trasp., 2003, p. 219, con nota di ROSAFIO, Sulla forma del
contratto di autotrasporto di merci su strada. Sembra in ogni caso opportuno segnalare che
la sentenza della Corte regolatrice, che pur contiene la lapidaria frase: « È incontestabile
che (…) la disposizione in questione (il più volte citato art. 26, ultimo comma, della l. n.
298/74 n.d.r.) non prescrive espressamente il requisito della forma scritta per la conclusione del contratto di autotrasporto », in effetti poi « giuoca » il ragionamento motivazionale, che la porta a cassare la sentenza gravata di ricorso la quale aveva affermato la nullità
del contratto di autotrasporto dedotto in giudizio in quanto concluso oralmente, più che
su di una originaria validità del contratto in questione, sul fatto che, intervenuta la legge di
interpretazione autentica, i cui effetti naturalmente retroattivi vanno ovviamente ad incidere anche sul rapporto, e sull’atto, oggetto di giudizio da parte della Corte di cassazione,
poco senso ha, in sede di giudizio ordinario, di fronte al chiaro tenore testuale della legge
di interpretazione, domandarsi se il contratto di autotrasporto sia o meno a forma vincolata. Evidente è che, se questo è stato il ragionamento seguito dalla Corte di cassazione,
diventa meno significativo il riferimento che a tale sentenza fa la Consulta. Esso, infatti,
avrebbe avuto ben altro peso laddove la decisione della Corte avesse richiamato, per escludere la necessità della forma contrattuale scritta, il testo dell’art. 26 cit. a prescindere dall’intervento interpretativo del legislatore.
Le attualità
67
di senso di un testo normativo, tanto più nel caso in cui tale variante di
senso incontri un così evidente favore giurisprudenziale, e la ratio del testo
stesso, ben può il legislatore ricorrere ad una legge di interpretazione
autentica che cristallizzi, di fatto imponendola, quella interpretazione che
meglio, secondo i « correnti » indirizzi di politica legislativa, risponda alla
ratio sottesa alla disposizione controversa.
Quanto alla censura relativa alla violazione del principio di affidamento
sulla certezza dei rapporti giuridici, la Corte osserva, per un verso, che il
lamentato fenomeno è connesso alla adozione di qualsiasi legge di interpretazione autentica, la quale, operando retroattivamente, detta una disciplina inderogabilmente applicabile a rapporti pregressi (10) e, per altro
verso, riguardo al caso specifico, che non appare degna di tutela costituzionale la posizione di chi, facendo consapevolmente affidamento sulla
nullità di un contratto per difetto di forma, voglia sottrarsi all’adempimento delle obbligazioni che da quel contratto scaturirebbero.
Anche con la sentenza n. 341/03 (11) la Corte costituzionale ha ribadito
che, sussistendo una situazione di incertezza interpretativa in ordine alla
reale portata dell’art. 26, ultimo comma, della l. n. 298/74, pienamente
legittimo doveva essere considerato l’intervento interpretativo operato dal
legislatore con l’art. 3 del d.l. n. 256/01; così come non censurabile era il
fatto che detto intervento era stato compiuto attraverso lo strumento della decretazione d’urgenza; ciò sotto il duplice profilo sia dell’assorbimento dell’eventuale mancanza originaria dei requisiti della necessità ed
urgenza per effetto della avvenuta conversione in legge del decreto legge,
sia della non ricorrenza nella specie della ipotesi della macroscopica mancanza dei presupposti che, sola, giustificherebbe la possibilità di un perdurante sindacato di legittimità costituzionale sul decreto legge dopo la
sua conversione.
Più interessante, anche perché scopertamente foriera di possibili ulteriori sviluppi (12), è la motivazione con la quale la Corte ha rigettato la
questione di costituzionalità, sollevata dai Tribunali di Prato, Roma e Sassari (13) in relazione all’art. 3 Cost. e, solamente dal primo rimettente, in
relazione anche all’art. 41 Cost.; sostenevano, infatti, i rimettenti che la
disposizione interpretativa creava una situazione di disparità di trattamento fra quanti concludevano il contratto in forma orale e quanti lo redigevano per iscritto, posto che solamente questi ultimi potevano incorrere
(10) Interessante notare che in altra occasione la Corte, questa volta dichiarando la incostituzionalità di una disposizione legislativa che sanciva una generalizzata sanatoria di
determinate clausole contenute in contratti già in essere – si trattava della clausole apposte ai contratti bancari e che prevedevano la capitalizzazione anatocistica degli interessi
dovuti in favore degli istituti di credito – e che, invece, la giurisprudenza formatasi sul punto considerava nulle, ebbe testualmente a chiarire che la disposizione in questione, dotata
di efficacia retroattiva e, anche per questo, dichiarata incostituzionale, non aveva natura
interpretativa: Corte cost. n. 425/2000, in questa Rivista, 2000, p. 1312, con nota di
D’ALESSANDRO, La Corte costituzionale interviene sulla vicenda degli interessi bancari anatocistici.
(11) Corte cost. n. 341/03, in Foro it., 2004, I, c. 357.
(12) Puntualmente verificatisi con la sentenza ora in commento.
(13) Le tre ordinanze di rimessione sono, rispettivamente, pubblicate in Gazzetta Ufficiale, n. 45, 1a s.s., 2002; n. 5, 1a s.s., 2003; e n. 7, 1a s.s., 2003.
FORMA
DI CONTRATTO
DI AUTOTRASPORTO
di
ANDREA GENTILI
68
FORMA
DI CONTRATTO
DI AUTOTRASPORTO
di
ANDREA GENTILI
Le attualità
nella sanzione della nullità per difetto di « indicazioni necessarie » e che,
quanto al Tribunale di Prato, era possibile, attraverso la mancata annotazione dei dati relativi alla « abilitazione » del vettore, realizzare, per il tramite della nullità del contratto, la elusione della obbligatorietà delle tariffe a forcella.
Riguardo al primo aspetto la Corte, precisato che nei suoi esatti termini,
la questione avrebbe avuto ad oggetto il deteriore trattamento gravante su
chi aveva prescelto la forma scritta, sicché la eventuale reductio ad aequitatem avrebbe dovuto concernere la parte di norma che stigmatizza con la
nullità l’omessa annotazione sulla copia del contratto redatto per iscritto i
dati relativi ad iscrizione del vettore nell’albo, rileva che, essendo stati, tuttavia, i contratti di cui ai giudizi a quibus conclusi, come si suol dire, verbis, la questione, come sopra chiarita era irrilevante, così come lo era la
questione sotto il profilo riguardante l’asserita violazione dell’art. 41
Cost., con la importante precisazione che l’aspetto problematico messo in
evidenza dal Tribunale di Prato deporrebbe semmai per la illegittimità
costituzionale della disposizione – non oggetto di applicazione di fronte a
quel rimettente stante la modalità di conclusione del contratto utilizzata
dalle parti ivi litiganti – che determina la nullità del contratto redatto per
iscritto in mancanza delle più volte ricordate indicazioni.
4. – Non è possibile dire se sia stata una singolare coincidenza di date
ovvero se il Tribunale di Latina abbia tempestivamente raccolto la discreta sollecitazione della Consulta (14), fatto si è che a poco meno di un mese
da questa ultima decisione il Tribunale pontino ha impugnato di fronte al
giudice delle leggi non (e, dovrebbe dirsi, non tanto) solo l’art. 3 del d.l.
n. 256/01 ma anche (e dovrebbe, invece, dirsi, quanto) l’art. 26, ultimo
comma, della l. n. 298/74.
Il combinato disposto delle predette norme viene impugnato nella parte in cui da esso deriverebbe una irragionevole disparità di trattamento fra
contraenti (ma forse, meglio, fra vettori) che abbiano scelto la forma orale e contraenti (vettori), i quali, regolarmente iscritti nell’apposito albo,
abbiano scelto la forma scritta ma abbiano omesso di effettuare le annotazioni di legge nella copia da consegnare al committente.
La Corte, ricostruita, con metodica precisione ed accurato scrupolo, la
articolata vicenda legislativa che ha condotto all’attuale stato normativo, ed
evidenziatene le già ricordate finalità di repressione dell’abusivismo e di
garanzia della libertà e trasparenza del mercato, rileva come gli strumenti
normativi adottati, anteriormente alla emanazione della disposizione di
interpretazione autentica di cui all’art. 3 del d.l. n. 256/01, abbiano, in
sostanza, fallito il loro scopo posto che, secondo la giurisprudenza preva(14) La sentenza n. 341/03 della Corte cost. è stata depositata in data 13 novembre 2003,
l’ordinanza di rimessione del Tribunale di Latina è, a sua volta, datata 17 dicembre 2003.
Va, d’altra parte, detto che già all’indomani del deposito della sentenza n. 26/03, ci fu chi,
immediatamente, rilevò che sul nuovo orizzonte della tematica si profilava la dubbia costituzionalità non della norma interpretativa, ma di quella interpretata: così, infatti FIORINI, in
Guida al dir., 2003, n. 9, p. 41, nonché SQUERI, Legittimità costituzionale della norma di
interpretazione autentica sulla forma libera dei contratti di autotrasporto terrestre, in Dir.
maritt., 2003, p. 430.
Le attualità
69
lente, la nullità del contratto era dichiarata sia in caso di contratto stipulato oralmente sia in caso di contratto concluso per iscritto ma in assenza delle prescritte annotazioni, con la conseguenza che in tali casi, a prescindere
dalla circostanza che il vettore fosse o meno in possesso della necessaria abilitazione e fosse autorizzato all’esercizio della attività di autotrasporto (unici requisiti, in realtà, rilevanti ai fini della repressione dell’abusivismo e della derivante tutela della concorrenza), il committente poteva non solo sottrarsi all’obbligo di rispettare le tariffe a forcella ma anche, secondo un certo orientamento giurisprudenziale, ottenere in restituzione, ex art. 2033 c.c.,
in danno dell’autotrasportatore quanto versato a titolo di corrispettivo.
Pertanto, a fronte di questa situazione, icasticamente definita « paradossale », il legislatore, onde limitare gli effetti distorti dell’art. 26, ultimo
comma, della l. n. 298/74, quantomeno della applicazione giurisprudenziale che pretendeva di ricavare da esso la necessità della forma contrattuale scritta ad substantiam, è intervenuto chiarendo, con il più volte
richiamato art. 3 del d.l. n. 256/01, che il contratto di autotrasporto può,
in linea di principio, anche essere concluso in forma libera.
Tale chiarimento, tuttavia, prosegue la Corte, ha evidenziato ancor più
la irragionevolezza dell’ultimo comma dell’art. 26 della l. n. 298/74.
Poco senso ha infatti, imporre – addirittura a pena di nullità – la presenza di determinate annotazioni nei contratti (15) redatti per iscritto, laddove poi si consente di concludere il contratto anche oralmente, tanto più
ove tale sanzione si riveli un facile mezzo, se utilizzato da un committente
scaltro, per potersi sottrarre, anche nel caso di rapporto intercorso con un
vettore « in regola », al vincolo dell’applicazione delle, diversamente inderogabili, tariffe a forcella.
La sentenza è decisamente da condividersi; con essa, infatti, oltre a correggersi la palese disparità di trattamento esistente fra quanti, a parità delle altre condizioni rilevanti, abbiano, in ambedue i casi legittimamente,
concluso il contratto in un caso verbis in altro caso scriptis, si è rimossa
una singolare fattispecie di nullità caratterizzata dall’essere determinata da
un vizio formale connesso ad un elemento del tutto estrinseco sia al contenuto del contratto che al suo oggetto.
(15) In realtà, e qui si evidenzia anche la peculiarità lessicale adottata dal legislatore, la
novella del 1993, che come dianzi ricordato ha integrato con l’ultimo comma il preesistente art. 26, impone a chi effettua il trasporto di eseguire le prescritte annotazioni nella
« copia del contratto di trasporto da consegnare al committente ». Ciò induce almeno due
considerazioni: la prima è che, essendo la copia del contratto cosa diversa dal contratto
(evidentemente l’una riproduce qualche cosa che già esiste), dovremmo pensare che,
secondo la visione del legislatore, la mancata annotazione di quanto prescritto avrebbe
dovuto integrare una ipotesi di nullità sopravvenuta: il contratto nasce valido ma « si
vizia » se, al momento in cui il committente ne riceve una copia, in questa non sono eseguite le ricordate annotazioni. La tesi sembra smentita dal fatto che il legislatore espressamente richiama come momento di esecuzione delle annotazioni quello della « conclusione
del contratto », sicché, fintantoché le annotazioni non sono fatte, il contratto non è concluso. E allora dovrebbe ritenersi che la redazione della annotazioni non è momento estrinseco alla conclusione del contratto, che la copia del contratto da consegnarsi al committente non è affatto una copia (posto che essa ha un contenuto necessariamente diverso dal
preteso originale) ma è, semmai, un secondo originale per il quale il legislatore ha (aveva)
prescritto a pena di nullità un contenuto diverso, più ricco, di quello del primo originale.
FORMA
DI CONTRATTO
DI AUTOTRASPORTO
di
ANDREA GENTILI
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FORMA
DI CONTRATTO
DI AUTOTRASPORTO
di
ANDREA GENTILI
Le attualità
La disposizione che tale fattispecie prevedeva non trovava, d’altro canto, alcun fondamento di razionalità nell’essere in qualche modo necessaria, dato che la nullità da essa prevista (che – come è vero – è posta a presidio della possibilità per i soli vettori abilitati a svolgere la attività di autotrasporto di merci per conto terzi) ben poteva essere fatta derivare, ove il
rapporto contrattuale fosse sorto con soggetto non abilitato, dalla rigida
prescrizione contenuta nell’art. 1 della l. n. 298/74 – il quale prevede, fra
l’altro, che: « L’iscrizione nell’albo è condizione necessaria per l’esercizio
dell’autotrasporto di cose per conto di terzi » – trattandosi di contratto
concluso in violazione di norma imperativa; violazione cui, tuttora, consegue la applicazione di pesanti sanzioni (non più penali, ma pur sempre)
amministrative a carico sia di chi svolge l’attività illegittimamente sia a
carico di chi, a vario titolo, adibisce costui a tale attività.
ANDREA GENTILI
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Valerio
ONIDA; Giudici: Carlo MEZZANOTTE, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE,
Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale
dell’art. 26, ultimo comma, della legge 6 giugno 1974, n. 298 (Istituzione dell’albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto di terzi, disciplina degli autotrasportatori
di cose e istituzione di un sistema di tariffe a
forcella per i trasporti di merci su strada),
modificato dall’art. 1 del decreto-legge 29
marzo 1993, n. 82 (Misure urgenti per il settore dell’autotrasporto di cose per conto di
terzi), convertito nella legge 27 maggio 1993,
n. 162, e dell’art. 3 del decreto-legge 3 luglio
2001, n. 256 (Interventi urgenti nel settore
dei trasporti), convertito in legge 20 agosto
2001, n. 334, promosso con ordinanza del 17
dicembre 2003 dal Tribunale di Latina nel
procedimento civile vertente tra Italcalce
s.r.l. e Autotrasporti Anxur di Francesca Pio
& C. s.n.c., iscritta al n. 253 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2004.
Visto l’atto di intervento del Presidente
del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 17
novembre 2004 il Giudice relatore Romano
Vaccarella.
Ritenuto in fatto
1. – Il Tribunale di Latina – adito dalla
committente Italcalce s.r.l. in sede di opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dal
vettore Autotrasporti Anxur s.n.c., ricorrente in via monitoria per conseguire il
pagamento, con gli interessi, del corrispettivo pari alla differenza tra quanto dovuto
in applicazione delle c.d. « tariffe a forcella » e quanto effettivamente corrisposto
per attività di trasporto di cose effettuata
nel periodo dal 1° aprile 1993 al gennaio
2000 – con ordinanza del 17 dicembre
2003, solleva d’ufficio questione di legittimità costituzionale, per asserito contrasto
con l’art. 3 della Costituzione, dell’ultimo
comma dell’art. 26 della legge 6 giugno
1974, n. 298 (Istituzione dell’albo nazionale degli autotrasportatori di cose per
conto di terzi, disciplina degli autotrasportatori di cose e istituzione di un sistema di tariffe a forcella per i trasporti di
merci su strada), come modificato dall’art.
1 del decreto-legge 29 marzo 1993, n. 82
(Misure urgenti per il settore dell’autotrasporto di cose per conto di terzi), convertito, con modificazioni, dalla legge 27
maggio 1993, n. 162, e della norma di
interpretazione autentica di cui all’art. 3
del decreto-legge 3 luglio 2001, n. 256
(Interventi urgenti nel settore dei trasporti), convertito, con modificazioni, dalla
legge 20 agosto 2001, n. 334.
Le attualità
1.1. – In punto di fatto, il giudice a quo
riferisce che la opponente, Italcalce s.r.l.,
aveva lamentato, tra le altre cose, la insufficienza della documentazione posta a
base della pronuncia monitoria, nonché la
derogabilità, alla luce della sua natura
proibitiva e non imperativa, del sistema
tariffario c.d. a forcella, regolato dalla legge n. 298 del 1974, di per sé comunque
confliggente con il regolamento CE n.
4058 del 1989; che l’opposta, Autotrasporti Anxur s.n.c., aveva respinto le
deduzioni avverse, ribadendo, tra l’altro,
il carattere obbligatorio del sistema tariffario « a forcella », comportante la sostituzione di diritto delle clausole difformi,
nonché la sua conformità alla normativa
europea, verificata positivamente sia dalla
Corte di giustizia che dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 386 del 1996; che
il giudizio era già stato sospeso in attesa
della definizione della questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale di Torino con ordinanza del 10
novembre 2001 e poi decisa dalla Corte
costituzionale, nel senso della manifesta
inammissibilità, con ordinanza n. 492 del
2002.
1.2. – In ordine alla rilevanza, il rimettente ritiene di sicura applicazione al caso
in esame l’ultimo comma dell’art. 26 della legge n. 298 del 1974 (modificato dall’art. 1 del decreto-legge n. 82 del 1993,
convertito dalla legge n. 162 del 1993), il
quale dispone che « ai fini del presente
articolo, al momento della conclusione
del contratto di autotrasporto di cose per
conto terzi a cura di chi effettua il trasporto sono annotati nella copia del contratto di trasporto da consegnare al committente, pena la nullità del contratto
stesso, i dati relativi agli estremi dell’attestazione di iscrizione all’albo e dell’autorizzazione al trasporto di cose per conto
di terzi rilasciati dai competenti comitati
provinciali dell’Albo nazionale degli autotrasportatori di cui alla presente legge »,
come interpretato autenticamente dall’art.
3 del decreto-legge n. 256 del 2001 (convertito dalla legge n. 334 del 2001) « nel
senso che la prevista annotazione sulla
copia del contratto di trasporto dei dati
relativi agli estremi dell’iscrizione all’albo
e dell’autorizzazione al trasporto di cose
per conto terzi possedute dal vettore,
nonché la conseguente nullità del contratto privo di tali annotazioni, non comportano l’obbligatorietà della forma scrit-
71
ta del contratto di trasporto previsto dall’art. 1678 del codice civile, ma rilevano
soltanto nel caso in cui per la stipula di
tale contratto le parti abbiano scelto la
forma scritta ».
Infatti, il giudice a quo riferisce che
l’Autotrasporti Anxur s.n.c., benché
iscritta all’Albo nazionale degli autotrasportatori e debitamente autorizzata, ha
prodotto in giudizio la copia in suo possesso del contratto di trasporto del 24
maggio 1993 priva delle annotazioni prescritte dalla legge a pena di nullità; ciò
che le impedirebbe di conseguire giudizialmente le differenze tariffarie per le
prestazioni effettuate dopo quella data e
fermo restando, invece, per il periodo dal
1° aprile 1993 alla stipula, la validità del
contratto concluso oralmente.
Né, ad avviso del rimettente, viene
meno la rilevanza della questione di costituzionalità in conseguenza del fatto che
nel giudizio a quo è stata prodotta la sola
copia in possesso del trasportatore in luogo di quella, indicata dalla legge, « da
consegnare al committente », tenuto conto che, comunque, incombe sul trasportatore, attore sostanziale nel processo monitorio, l’onere probatorio circa la validità
del contratto posto a base della domanda
giudiziale.
1.3. – Con riguardo alla non manifesta
infondatezza il rimettente, ribadita l’obbligatorietà del sistema tariffario « a forcella », nonché la sua conformità alla normativa europea, accertata sia dalla Corte
di giustizia (sentenze 5 ottobre 1995, C
96/94 e 1° ottobre 1998, C 38/97) che
dalla Corte costituzionale (sentenza n.
386 del 1996), deduce la irragionevolezza
della disparità di trattamento realizzata
dalle disposizioni impugnate, in relazione
alla sanzione della nullità contrattuale, tra
contraenti che abbiano scelto la forma
orale e contraenti che siano invece ricorsi alla forma scritta senza effettuare le
annotazioni di legge.
In particolare, il contrasto con l’art. 3
della Costituzione risulterebbe evidente
laddove le norme censurate ricollegano la
nullità del contratto all’adempimento di
obblighi meramente formali, con la previsione di quello che la stessa Corte costituzionale (sentenza n. 26 del 2003) ha
rilevato essere un eccesso del mezzo
rispetto al fine dichiarato della repressione dell’abusivismo, di per sé già adeguatamente assicurato dalla previsione, pro-
72
Le attualità
prio ad opera dell’art. 26 cit., dell’illecito
amministrativo dell’affidamento del trasporto ad un vettore abusivo; e ciò senza
contare che il contratto così concluso
sarebbe già di per sé nullo per contrarietà
a norme imperative.
La discriminazione in parola, ad avviso
del rimettente, sarebbe inoltre tanto più
macroscopica nel giudizio a quo, dove
il contratto risulterebbe validamente
regolare i soli trasporti effettuati tra il 1°
aprile ed il 23 maggio 1993, nel periodo
cioè in cui esso aveva rivestito la forma
orale.
2. – È intervenuto, con la rappresentanza dell’Avvocatura dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri il quale ha eccepito l’inammissibilità e comunque l’infondatezza della questione sulla
considerazione che « la limitazione degli
effetti della disposizione ai soli contratti
di trasporto stipulati nella forma scritta
[…] sia del tutto conforme alla ratio ed
allo spirito dell’originaria previsione di
legge ». Osserva in proposito la difesa
erariale che « il problema affrontato non
era, infatti, quello di stabilire quando fosse stato stipulato dalle parti un valido
contratto di trasporto, ai sensi del codice
civile, quanto piuttosto di valutare quando il trasporto per conto terzi, ancorché stipulato nella forma scritta e da
un soggetto iscritto all’albo, potesse considerarsi conforme alle regole dirette a
reprimere le esistenti forme di abusivismo ».
3. – In prossimità della camera di consiglio, la difesa erariale ha ribadito con
una memoria le proprie richieste osservando, in primo luogo, che l’ordinanza di
rimessione non conterrebbe una sufficiente motivazione sulla rilevanza, tenuto
conto che il giudice a quo, una volta riconosciuto che il rapporto contrattuale è
validamente sorto il 1° aprile 1993 in forma orale, avrebbe omesso di dar conto
della valenza novativa della successiva
pattuizione, intervenuta per iscritto tra le
parti il 24 maggio 1993, di modo che non
potrebbe escludersi che la nullità della
fonte scritta risulti ininfluente nella regolamentazione del rapporto, ove retta dall’originario contratto verbale.
Proprio questo percorso argomentativo
offrirebbe l’ulteriore spunto, a detta della difesa erariale, per cogliere l’infondatezza della questione sotto il profilo che il
negozio nullo per difetto di forma, derivante dalle mancate annotazioni prescritte dalla legge, si convertirebbe ai sensi
dell’art. 1424 cod. civ. in un valido contratto di trasporto concluso in forma orale, soprattutto se la prestazione richiesta
sia stata concretamente effettuata.
Ad ogni buon conto, soggiunge la difesa erariale che, ove pure fosse riscontrabile la disparità di trattamento lamentata
dal giudice rimettente, questa non
potrebbe che essere l’effetto, meramente
fattuale, di una scelta dei contraenti cui
è incondizionatamente offerta, proprio
dalla normativa impugnata, la possibilità
di sottrarsi al « rischio della nullità » stipulando il contratto in forma orale.
Da ultimo, osserva l’Avvocatura dello
Stato come la circostanza che il divieto di
corrispondere competenze inferiori a
quelle fissate nelle « tariffe a forcella »
inerisce alla prestazione « trasporto » e
non anche al contratto nella sua interezza
(così Cassazione, 6 dicembre 1996, n.
10894) « contribuisca al realizzarsi di un
effettivo
gioco
concorrenziale
nel
settore », dirigendosi essenzialmente la
sanzione di nullità a colpire quei « patti
in deroga » che talune imprese, comunque tenute a documentare per iscritto il
rapporto, utilizzano per l’affidamento di
trasporti a vettori non autorizzati o a
prezzi fuori tariffa.
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale di Latina dubita della legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dell’art.
26, ultimo comma, della legge 6 giugno
1974, n. 298, come modificato dall’art. 1
del decreto-legge 29 marzo 1993, n. 82,
convertito, con modificazioni, dalla legge
27 maggio 1993, n. 162, in combinato
disposto con l’art. 3 del decreto-legge 3
luglio 2001, n. 256, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 agosto 2001, n.
334, nella parte in cui dette norme realizzano una irragionevole disparità di
trattamento, in relazione alla sanzione
della nullità del contratto, tra contraenti
che abbiano scelto la forma orale e contraenti che, pur essendo regolarmente
iscritti all’albo degli autotrasportatori e
debitamente autorizzati, abbiano invece
fatto ricorso alla forma scritta senza effettuare, sulla copia del contratto da consegnare al committente, le annotazioni di
legge.
Le attualità
2. – Le eccezioni di inammissibilità della questione, per carente motivazione della sua rilevanza nel giudizio a quo, sono
infondate.
Nell’ordinanza di rimessione il Tribunale di Latina riferisce che le parti, dopo
aver governato i loro rapporti con un
contratto stipulato oralmente, avevano
successivamente affidato alla forma scritta le loro intese contrattuali: sicché, ad
avviso dell’Avvocatura dello Stato, il Tribunale avrebbe dovuto esplicitamente
escludere che si fosse trattato, nella specie, d’un unico rapporto contrattuale
avente la sua fonte esclusiva nel contratto orale (« ripetuto » successivamente per
iscritto) ovvero anche escludere che il
contratto scritto, viziato, si fosse convertito in un valido contratto concluso oralmente.
Osserva la Corte che correttamente il
Tribunale rimettente si è astenuto dall’esplorare la praticabilità di entrambe le
soluzioni appena ricordate, dal momento
che la norma, nella parte in cui prevede
che l’adozione della forma scritta impone, a pena di nullità del contratto, l’osservanza di certi requisiti formali, è certamente – secondo l’interpretazione
dominante – di natura imperativa: sicché
il ritenere che il giudice – nonostante il
rapporto fosse regolato, da un certo
momento in poi, da un contratto scritto
privo dei requisiti formali prescritti a
pena di nullità – potesse far riferimento,
come regolatore del rapporto, al preesistente contratto orale ovvero ad un valido contratto in forma libera (nel quale
si sarebbe convertito quello scritto) equivale a privare la norma (della cui costituzionalità si dubita) di qualsiasi efficacia: la irrilevanza del contratto scritto
– o perché « riproduttivo » di quello
orale precedente o perché convertito in
un diverso e valido contratto scritto ma
in forma libera – postula l’abrogazione
della norma sospettata di incostituzionalità.
3. – La questione è fondata.
3.1. – La norma sospettata di illegittimità costituzionale è frutto di ripetuti
interventi legislativi che si sono innestati
sulla disciplina originaria del 1974 e, in
particolare, sull’art. 26 della legge 6 giugno 1974, n. 298, istitutiva dell’albo
nazionale degli autotrasportatori di cose
per conto di terzi.
73
3.1.1. – Il fine perseguito da tale legge
– oltre quello, indiretto, di rendere più
sicuri i trasporti e la circolazione stradale
– era, trasparentemente, quello di impedire situazioni di concorrenza sleale in un
settore vitale dell’economia nel contempo
evitando che la differente forza contrattuale delle parti si traducesse, nei singoli
rapporti, in una « svendita » delle prestazioni offerte dagli autotrasportatori: di qui
la previsione che « l’iscrizione nell’albo è
condizione necessaria per l’esercizio dell’autotrasporto di cose per conto di terzi »
(art. 1, comma terzo), la necessità di
« apposita autorizzazione » per ciascun
autoveicolo (art. 41), l’istituzione di un
sistema di tariffe obbligatorie c.d. a forcella (art. 50 segg).
L’efficacia di tale disciplina era affidata,
oltre che ad una nutrita serie di norme che
prevedevano sanzioni di vario genere (articoli 21, 27, 47, 48, 58), soprattutto all’art.
26 – a tenore del quale « chiunque esercita l’attività di cui all’articolo 1 senza
essere iscritto nell’albo, ovvero continua
ad esercitare l’attività durante il periodo
di sospensione o dopo la radiazione o la
cancellazione dall’albo, è punito a norma
dell’art. 348 del codice penale. In caso di
flagranza di reato, si procede al sequestro
del veicolo » – ed all’art. 46, a norma del
quale, « fermo quanto previsto dall’articolo 26, chiunque disponga l’esecuzione di
trasporto di cose con autoveicoli o motoveicoli, senza licenza o senza autorizzazione oppure violando le condizioni o i limiti stabiliti nella licenza o nell’autorizzazione, è punito con la reclusione da uno a sei
mesi o con la multa da lire 100.000 a lire
300.000 ».
Nonostante l’autotrasportatore non
iscritto fosse soggetto al regime penalistico dell’esercente abusivo di « una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato », la giurisprudenza, di merito e di legittimità, ritenne
che l’inosservanza del precetto per cui
« l’iscrizione nell’albo è condizione necessaria per l’esercizio dell’autotrasporto di
cose per conto di terzi » incidesse sul contratto esclusivamente nel senso di rendere
inapplicabili le (altrimenti obbligatorie)
tariffe a forcella, potendo queste essere
invocate esclusivamente dal trasportatore
iscritto nell’albo nazionale e munito della
prescritta autorizzazione.
3.1.2. – Con decreto-legge 27 novembre
1992, n. 463, all’art. 26 fu aggiunto un ter-
74
Le attualità
zo comma che puniva con la reclusione
fino a quattro mesi o con la multa da
100.000 a 800.000 lire « chiunque affida
l’effettuazione di un autotrasporto
di cose per conto di terzi a chi eserciti abusivamente l’attività di cui all’art.
1 » e prevedeva, inoltre, il sequestro e la
successiva confisca della merce trasportata.
Tale decreto non fu convertito in legge,
e così pure l’identico decreto-legge 26
gennaio 1993, n. 19.
3.1.3. – Alla scadenza del periodo utile
per la conversione del decreto-legge n. 19
del 1993, fu emanato il decreto-legge 29
marzo 1993, n. 82, il cui art. 1 aggiunse
al testo originario dell’art. 26 i seguenti,
due commi:
« Chiunque affida l’effettuazione di un
autotrasporto di cose per conto di terzi a
chi esercita abusivamente l’attività di cui
all’articolo 1 o ai soggetti di cui all’articolo 46 della presente legge, è punito con
l’ammenda da lire cinquantamila a lire un
milione. Si procede altresì al sequestro
della merce trasportata, di cui può essere
disposta la confisca con la sentenza di
condanna.
« Ai fini di cui al presente articolo, al
momento della conclusione del contratto
di autotrasporto di cose per conto di terzi, a cura di chi effettua il trasporto, sono
annotati nella copia del contratto di trasporto da consegnare al committente,
pena la nullità del contratto stesso, i dati
relativi agli estremi dell’attestazione di
iscrizione all’Albo e dell’autorizzazione al
trasporto di cose per conto di terzi rilasciati dai competenti comitati provinciali
dell’Albo nazionale degli autotrasportatori di cui alla presente legge, da cui risulti
il possesso dei prescritti requisiti di legge ».
La relazione illustrativa del disegno di
legge di conversione (27 maggio 1993, n.
162) – con la quale si facevano salvi gli
effetti prodottisi ed i rapporti giuridici
sorti sulla base dei decreti-legge n. 463
del 1992 e n. 19 del 1993 – esponeva che
« l’articolo 1 è necessitato dalla circostanza che nel settore vi sono numerosissimi operatori abusivi, e ciò nonostante i
controlli sull’iscrizione all’albo e sul sistema autorizzativo messi in opera dalle
amministrazioni deputate allo scopo. Prevedere il coinvolgimento dei committenti
nelle responsabilità connesse a tali trasporti abusivi è l’unico deterrente per
scongiurare il lamentato fenomeno ».
3.1.4. – Nell’iter parlamentare del disegno di legge governativo n. 2935, comunicato alla Presidenza del Senato il 10
dicembre 1997, la VIII Commissione permanente del Senato approvò una norma
(art. 30) a tenore della quale « l’ultimo
comma dell’art. 26 della legge 6 giugno
1974, n. 298, come modificato dall’articolo 1 del decreto-legge 29 marzo 1993, n.
82, convertito, con modificazioni, dalla
legge 27 maggio 1993, n. 162, si interpreta nel senso che la prevista annotazione
sulla copia del contratto di trasporto dei
dati relativi agli estremi dell’iscrizione
all’albo e dell’autorizzazione al trasporto
di cose per conto di terzi possedute dal
vettore, nonché la conseguente nullità del
contratto privo di tali annotazioni, non
comportano l’obbligatorietà della forma
scritta del contratto di trasporto previsto
dall’art. 1678 del codice civile ma rilevano soltanto nel caso in cui per la stipula
di tale contratto le parti abbiano scelto la
forma scritta ».
La Camera dei deputati stralciò, insieme con altre, la norma da quella che
sarebbe divenuta la legge 7 dicembre
1999, n. 472 (Interventi nel settore dei
trasporti).
3.1.5. – Il decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 – attuativo della leggedelega 25 giugno 1999, n. 205, sulla depenalizzazione dei reati minori – provvide a:
a) sostituire il primo comma dell’art. 26
prevedendo per il trasportatore abusivo,
in luogo di quella penale, la sanzione
amministrativa del pagamento di una
somma da lire quattro milioni a lire ventiquattro milioni, aumentata in caso di
recidiva infraquinquennale;
b) sopprimere il secondo comma, relativo al sequestro del veicolo;
c) portare ad una somma da lire tre
milioni a lire diciotto milioni la sanzione per chi affida l’effettuazione dell’autotrasporto ad un abusivo, sopprimendo la previsione del sequestro e della
successiva confisca della merce trasportata;
d) inserire un comma (terzo) per cui
« alle violazioni di cui al primo comma
consegue la sanzione accessoria del fermo
amministrativo del veicolo per un periodo di tre mesi ovvero, in caso di reiterazione delle violazioni, la sanzione accessoria della confisca amministrativa del
veicolo, con l’osservanza delle norme di
cui al capo I, sezione II, del titolo VI del
Le attualità
decreto legislativo 30 aprile 1992, n.
285 ».
3.1.6. – L’art. 3 del decreto-legge 3
luglio 2001, n. 256, riproduce esattamente la norma che, inserita dal Senato, fu
poi espunta dalla Camera nell’iter di
approvazione della legge n. 472 del 1999
(v. sub 3.1.4.); norma recepita integralmente dalla legge (n. 256 del 2001) di
conversione e giustificata, nella relazione
illustrativa, come « una necessaria precisazione, in linea con lo spirito del legislatore della legge n. 162 del 1993, che aveva come obiettivo la lotta all’abusivismo e
che ha invece fatto sorgere situazioni di
non omogenea applicazione sul territorio
nazionale, provocando un contenzioso di
notevolissima portata ».
È il caso di rilevare che i numerosi
interventi critici svolti in sede parlamentare investivano l’idoneità dello strumento a tal fine individuato (decreto-legge di
interpretazione autentica), ma riconoscevano tutti l’esigenza di superare la giurisprudenza prevalente formatasi sull’art.
26, come modificato dal decreto-legge n.
82 del 1993: sicché gli emendamenti sostitutivi dell’art. 3 erano nel senso di consentire in futuro la forma orale del contratto e di prevedere anche, per il passato, che la violazione del requisito formale
dell’annotazione dei dati non potesse mai
giustificare l’azione di ripetizione di indebito oggettivo di cui all’art. 2033 cod. civ.
e che fossero dovuti i compensi pattuiti
tra le parti a condizione che l’autotrasportatore fosse iscritto nell’albo nazionale e fosse munito della prescritta autorizzazione.
4. – La lunga e complessa vicenda legislativa appena ricordata mostra chiaramente come il legislatore abbia tentato,
attraverso un progressivo aggiustamento
degli strumenti utilizzati, di conseguire il
duplice obiettivo di contrastare il fenomeno dell’abusivismo e di realizzare, in
tal modo, una situazione di leale concorrenza nel settore dei trasporti di merci
per conto terzi.
4.1. – Il ricorso alla sanzione penale nei
confronti del solo autotrasportatore abusivo (e dell’intermediario che « dispone
l’esecuzione del trasporto … senza licenza o senza autorizzazione ») si rivelò del
tutto inefficace, non soltanto perché nessuna sanzione era prevista a carico del
75
committente, ma anche perché il contratto concluso con l’autotrasportatore abusivo veniva – secondo la giurisprudenza
pacifica – « sanzionato » esclusivamente
con l’esclusione dell’applicabilità delle
tariffe a forcella, e quindi, ancora una volta, a carico del solo autotrasportatore e,
per giunta, con vantaggio per il committente.
In sostanza, il committente che si valeva dell’autotrasportatore abusivo non soltanto era esente da qualsiasi sanzione, ma
era « premiato » dalla possibilità di concordare compensi ben inferiori a quelli,
altrimenti, obbligatoriamente previsti dalla legge: sicché si pervenne al risultato di
incoraggiare, con il ricorso all’abusivismo,
anche pratiche di concorrenza sleale da
parte di taluni committenti a danno di
altri.
4.2. – I decreti-legge emanati tra la fine
del 1992 e l’inizio del 1993 miravano
a porre termine al singolare effetto prodotto dalla legge del 1974 ma utilizzavano, a tal fine, esclusivamente l’estensione
al committente della sanzione penale;
non a caso del successivo decreto-legge
n. 82 del 1993 la relazione al disegno
di legge di conversione sottolineava esclusivamente (come si è ricordato
sub 3.1.3.) il profilo del « coinvolgimento dei committenti nelle responsabilità
connesse a tali rapporti abusivi » nonostante, contestualmente, il legislatore fosse altresì intervenuto sulla disciplina del
contratto « ai fini di cui al presente articolo ».
Ed infatti, la disciplina « formale »
introdotta poneva a carico del solo trasportatore l’onere di fornire al committente « i dati … da cui risulti il possesso
dei prescritti requisiti di legge » (implicitamente escludendo che il committente
dovesse in qualsiasi modo attivarsi per
verificare che la controparte fosse iscritta
all’albo) e sanzionava con la nullità del
contratto l’inosservanza non solo dell’onere, ma anche della forma (annotazione
nella copia del contratto da consegnare al
committente) prescritta per l’osservanza
dell’onere stesso.
Se, infatti, numerosi giudici di merito
esclusero che la norma in questione comportasse la nullità del contratto privo della forma scritta, attribuendo all’annotazione dei dati in questione la natura di
mero adempimento di tipo amministrativo (in quanto certificativi della affidabilità
76
Le attualità
del vettore), la giurisprudenza di gran
lunga prevalente ritenne che la norma
sanzionasse con la nullità sia l’assenza della forma scritta sia quella delle prescritte
annotazioni, con la conseguente sottrazione del committente all’obbligo di rispettare le tariffe a forcella, pur quando l’autotrasportatore era in possesso dei requisiti di legge.
4.3. – La paradossale situazione in tal
modo creatasi spiega perché, già in occasione dell’approvazione del disegno di
legge governativo poi sfociato nella legge
n. 472 del 1999, il Senato approvò una
norma di interpretazione autentica del
comma introdotto dall’art. 1 del decretolegge n. 82 del 1993 che escludeva la nullità del contratto stipulato in forma libera; così come spiega perché, reintrodotta
tale norma con il decreto-legge n. 256 del
2001, in sede di conversione fu contestato soltanto il ricorso allo strumento della
decretazione d’urgenza (e l’antinomia che
in tal modo si creava tra norma interpretativa e norma interpretata), ma fu proposto di escludere in ogni caso l’azione
di ripetizione ex art. 2033 cod. civ.
(ammessa da alcune pronunce in danno
dell’autotrasportatore) e di consentire,
per il futuro, la forma libera per il contratto.
Peraltro già in precedenza (d.lgs. n.
507 del 1999) il legislatore aveva provveduto a sostituire alla sanzione penale un
sistema di sanzioni amministrative che
continuava ad essere più gravoso per
l’autotrasportatore che per il committente.
5. – Questa Corte, investita della questione di legittimità costituzionale dell’art.
3 del decreto-legge n. 256 del 2001 sotto
il (solo) profilo della efficacia retroattiva
di tale norma, ha rilevato l’infondatezza
in fatto della premessa – essere assolutamente univoca l’interpretazione consentita dalla lettera e dalla ratio dell’art. 26,
ultimo comma, della legge n. 298 del
1974 (come modificato dall’art. 1 del
decreto-legge n. 82 del 1993) – dalla quale muovevano i rimettenti per contestare
la legittimità del ricorso ad una norma di
interpretazione autentica: ed ha rilevato
che non soltanto una minoritaria ma consistente giurisprudenza di merito aveva
escluso la nullità del contratto non concluso in forma scritta (e, quindi, senza
l’osservanza dei requisiti formali previsti
dalla norma interpretata) in aderenza ad
una ratio per la quale « la sanzione della
nullità avrebbe abnormemente colpito il
contratto, anche se stipulato con vettore
iscritto all’albo, per un vizio di forma non
correlato ad una reale esigenza di tutela
(neanche) della controparte contrattuale », ma anche che, in ragione della medesima ratio, la giurisprudenza (sia di merito che di legittimità) aveva ex postea ritenuto giustificata l’interpretazione autentica fornita dal legislatore (sentenza n. 26
del 2003).
Con la medesima sentenza questa Corte ha escluso che la norma censurata
recasse vulnus di sorta al principio dell’affidamento sulla certezza dei rapporti
giuridici, essendo « improponibile un tale
argomento a tutela di chi, pur avendo
concluso il contratto con vettore iscritto
all’albo, pretende di sottrarsi alle conseguenti obbligazioni assumendo di aver
fatto affidamento (e cioè scientemente) su
un difetto di forma del contratto stesso ».
Nel ribadire tali considerazioni con la
sentenza n. 341 del 2003, questa Corte ha
dichiarato non fondata la censura che
investiva lo strumento (non nuovo in questa materia: cfr. 3.1.2. e 3.1.3.) del decreto-legge adottato per introdurre una norma di interpretazione autentica ed ha
osservato – dichiarando infondata la questione sollevata in riferimento all’art. 41
Cost. – che « la circostanza che la mancata annotazione dei dati relativi all’iscrizione all’albo consentirebbe, grazie alla
nullità del contratto, la facile elusione delle tariffe obbligatorie deporrebbe, semmai, per l’illegittimità costituzionale di
quella parte della norma che, attesa la forma orale del contratto stipulato nel caso
di specie, non è applicabile nel giudizio a
quo ».
6. – La questione ora sottoposta all’esame della Corte investe, in riferimento
all’art. 3 della Costituzione, quella parte
della norma – introdotta dall’art. 1 del
decreto-legge n. 82 del 1993 – che, in
combinato disposto con quanto previsto
dall’art. 3 del decreto-legge n. 256 del
2001, prescrive, ove gli stipulanti abbiano
scelto la forma scritta del contratto, l’annotazione, a pena di nullità del contratto
stesso, dei dati relativi al possesso dei
requisiti di legge da parte dell’autotrasportatore sulla copia da consegnare al
committente.
L’irragionevolezza della norma è di tut-
77
Le attualità
ta evidenza ove si consideri non soltanto
che – a seguito del decreto-legge n. 256
del 2001, ed anche a prescindere dalla sua
efficacia retroattiva – è privo di senso
consentire alle parti di stipulare oralmente un contratto che, se stipulato in forma
scritta, incorre in una radicale nullità per
l’assenza (per giunta, in una copia) di certe, estrinseche annotazioni, ma anche che
la sanzione della nullità prevista per l’assenza di quelle estrinseche annotazioni
non è correlata ad alcun apprezzabile
fine, ma costituisce « un eccesso del mezzo utilizzato rispetto al fine dichiarato
della repressione dell’abusivismo » (sentenza n. 26 del 2003).
In altri termini, l’intento – dichiaratamente posto alla base dell’intervento legislativo del 1993 – di combattere l’abusivismo, e con esso gravi distorsioni della
concorrenza in un vitale settore dell’economia nazionale attraverso il « coinvolgimento » del committente, era vanificato
da una disciplina che, di fatto, esentava
sostanzialmente il committente da responsabilità e, anzi, gli consentiva, anche
quando contraeva con un autotrasportatore in possesso dei requisiti di legge, di
sottrarsi agevolmente all’applicazione di
quella tariffa a forcella che, viceversa,
costituiva l’unico strumento idoneo ad
assicurare, contestualmente, una adeguata
remunerazione all’autotrasportatore e
uniformi condizioni di mercato.
La libertà di forma contrattuale introdotta nel 2001, in sintesi, ha soltanto reso
ancor più evidente l’originaria, manifesta
irragionevolezza della norma del 1993, e
la conseguente violazione dell’art. 3 della
Costituzione: è chiaro, infatti, che il legislatore ben può, nella sua discrezionalità,
prevedere requisiti formali del contratto
se reputati idonei a contribuire al raggiungimento del fine perseguito, ma è
altresì chiaro che il limite della non irragionevolezza è valicato quando viene dettata una disciplina che non solo non contribuisce a combattere il fenomeno
dell’abusivismo, ma favorisce pratiche
distorsive della concorrenza consentendo agevoli elusioni delle tariffe obbligatorie.
La sanzione della nullità è certamente
adeguata quando si tratta di colpire il
contratto concluso con un autotrasportatore non iscritto all’albo e privo della prevista autorizzazione, ma essa è priva di
qualsiasi ragionevole presupposto se
applicata al contratto concluso con l’au-
totrasportatore in regola (con la certa
esclusione delle tariffe obbligatorie e il
dubbio, addirittura, sull’applicabilità dell’art. 2033 cod. civ.) solo perché una
copia del contratto è carente di talune
indicazioni.
L’intrinseca, manifesta irragionevolezza
della norma determina altresì, come ovvia
conseguenza, l’irragionevolezza della
disparità di trattamento tra autotrasportatore che stipuli oralmente il contratto ed
autotrasportatore che adotti la forma
scritta, pur essendo entrambi in possesso
dei requisiti abilitanti all’esercizio di attività di autotrasporto di cose per conto di
terzi.
7. – Conclusivamente, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 26, ultimo comma, della legge 6 giugno 1974, n. 298, come modificato dall’art. 1 del decreto-legge 29 marzo 1993,
n. 82, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1993, n. 162, in combinato disposto con l’art. 3 del decretolegge 3 luglio 2001, n. 256, convertito,
con modificazioni, dalla legge 20 agosto
2001, n. 334, nella parte in cui prevede
la nullità del contratto di autotrasporto,
concluso per iscritto, per ciò solo che
nella copia del contratto da consegnare al
committente non siano stati annotati gli
estremi dell’iscrizione all’albo e dell’autorizzazione al trasporto di cose per conto
di terzi possedute dal vettore.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 26, ultimo comma, della legge 6 giugno 1974, n. 298 (Istituzione dell’albo
nazionale degli autotrasportatori di cose
per conto di terzi, disciplina degli autotrasportatori di cose e istituzione di un sistema di tariffe a forcella per i trasporti di
merci su strada), come modificato dall’art.
1 del decreto-legge 29 marzo 1993, n. 82
(Misure urgenti per il settore dell’autotrasporto di cose per conto di terzi), convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1993, n. 162, in combinato disposto
con l’art. 3 del decreto-legge 3 luglio 2001,
n. 256 (Interventi urgenti nel settore dei
trasporti), convertito, con modificazioni,
dalla legge 20 agosto 2001, n. 334, nella
78
Le attualità
parte in cui prevede, ove le parti abbiano
scelto per la stipula la forma scritta, la nullità del contratto di autotrasporto per la
mancata annotazione sulla copia del con-
tratto dei dati relativi agli estremi dell’iscrizione all’albo e dell’autorizzazione al
trasporto di cose per conto di terzi possedute dal vettore.
CODICE DEI BENI CULTURALI E DEL PAESAGGIO
Seconda parte (*)
(d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (**), pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 45, del 24 febbraio 2004,
suppl. ord. n. 28/L, come modificato dalla l. 15 dicembre 2004, n. 308, in Gazzetta Ufficiale n. 302,
del 27 dicembre 2004, suppl. ord. n. 187)
Commentario a cura di GAETANO TROTTA, presidente di Sezione del Consiglio
di Stato, GIUSEPPE CAIA, professore nell’Università di Bologna;
NICOLA AICARDI, professore nell’Università di Bologna
Con la collaborazione di: FAUSTO BALDI, avvocato dello Stato; GIORGIO CALDERONI, consigliere di Tar;
ERMINIA CAMASSA, prof. nell’Univ. di Trento; PAOLA CAPUTI JAMBRENGHI, prof. nell’Univ. di Bari; PAOLO CARPENTIERI, consigliere di Tar; FABRIZIO FIGORILLI, prof. nell’Univ. di Perugia; RICCARDO FUZIO,
consigliere di Cassazione; GIUSEPPE GARZIA, dell’Univ. di Bologna; ALESSANDRA LANCIOTTI, prof. nell’Univ. di Perugia; BENEDETTA LUBRANO, dottoranda di ricerca; LIVIA MERCATI, prof. nell’Univ. di
Perugia; ALBERTO MORBIDELLI, dottore di ricerca; MASSIMILIANO PALMERI, notaio in Bologna; FABIO
SAITTA, prof. nell’Univ. di Catanzaro; PIER FRANCESCO UNGARI, consigliere di Tar; DIEGO VAIANO,
prof. nell’Univ. della Tuscia.
PARTE TERZA
Beni paesaggistici
TITOLO I
Tutela e valorizzazione
CAPO I
Disposizioni generali
Art. 131.
(Salvaguardia dei valori del paesaggio)
1. Ai fini del presente codice per paesaggio si intende una parte omogenea di territorio i cui
caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni.
2. La tutela e la valorizzazione del paesaggio salvaguardano i valori che esso esprime quali
manifestazioni identitarie percepibili.
(*) Si segnala al Lettore che la prima parte del Commentario relativa agli artt. 1-130 è stata pubblicata nel
numero 5-6/2005 della Rivista.
(**) Così rettificato con comunicato del 26 febbraio 2004 (in Gazzetta Ufficiale n. 47, del 26 febbraio 2004).
124
d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La nozione culturale di paesaggio. – 3. La nozione giuridica di paesaggio nella
giurisprudenza. – 4. Le competenze nel rapporto Stato-regioni. – 5. La nozione di valorizzazione del paesaggio.
1. – La parte III del Codice si presenta fortemente innovativa rispetto al previgente assetto
della materia. Si tratta di novità che vanno al di
là della mera modifica di singoli istituti, poiché
investono in parte la stessa collocazione sistematica della materia e la sua struttura logica
portante.
Questo alto grado di innovazione è dipeso
dalla pressione convergente esercitata da diversi fattori di cambiamento, tra loro strettamente
interrelati, che si possono per sintesi compendiare nel seguente (parziale) elenco: la necessità
di operare una sintesi sostanziale tra i due blocchi legislativi ereditati dal secolo XX, la legge
« Bottai » del 1939 e la legge « Galasso » del
1985, espressione di due diverse « filosofie »
della tutela del paesaggio (blocchi legislativi
solo formalmente contestualizzati in un unico
documento normativo dal testo unico del 1999,
ma non realmente armonizzati); la dialettica
insuperata tra modello urbanistico-ambientale e
modello estetico-culturale, con la connessa esigenza di chiarificazione circa la nozione giuridica di paesaggio, tra ambiente e urbanistica, a
fronte delle indicazioni unificatrici (« governo
del territorio ») provenienti dai « tecnici »
(architetti urbanisti pianificatori e ingegneri),
nella perdurante ambiguità delle leggi (dal d.p.r.
n. 616/77 al d.lgs. n. 112/98, attraverso la l. n.
431/85, fino al testo unico del 1999); la tensione sulla linea della sussidiarietà verticale, nella
ricerca di un livello di adeguatezza nel riparto di
funzioni (normative e amministrative) tra Stato,
regioni ed enti locali, alimentata in diritto dall’insoddisfacente testo del nuovo titolo V della
parte II della Costituzione introdotto nel 2001,
e in fatto dalla fallimentare prova della gestione
della tutela affidata in subdelega ai comuni; la
Convenzione europea del paesaggio aperta alla
firma a Firenze il 20 ottobre 2000 (con le sue
contraddizioni tra modello sudeuropeo di paesaggio storico e modello nordeuropeo e anglosassone della Landscape ecology); l’accordo quadro Stato-regioni sull’esercizio dei poteri in
materia di paesaggio, concluso il 19 aprile 2001
e pubblicato nella G.U. n. 114, del 18 maggio
2001, finalizzato al coordinamento dell’eserci-
[Art. 131]
zio delle competenze statali e regionali, con l’irrisolta ambiguità del doppio modello pianificatorio ereditato dalla legge « Galasso » del 1985;
la contraddizione tra una visione selettiva della
tutela del paesaggio (imperniata sulla individuazione di beni di notevole interesse pubblico) e
una visione territorialista onnicomprensiva,
imperniata sul modello della pianificazione
generale regionale estesa a ricomprendere
anche i paesaggi compromessi e degradati,
urbani e periurbani, e non solo i luoghi di eccellenza, in buono stato di conservazione; la connessa ambiguità dell’idea della valorizzazione
del paesaggio, legata all’ingresso, nella materia,
del concetto ambientalista di « sviluppo sostenibile », nonché (ancorché impropriamente) all’idea di un’urbanistica di trasformazione e non
più di espansione (sullo sfondo dell’idea, condivisa e condivisibile nella sua genericità, secondo
cui la conservazione e la valorizzazione paesaggistiche devono puntare ad assicurare un paesaggio di qualità che, al di là dei luoghi di eccellenza, costituiti dagli specifici siti storici e naturalistici, sappia promuovere un miglioramento
complessivo e diffuso della qualità estetica e
funzionale del territorio).
Come si vede, un coacervo di forze e di spinte verso il cambiamento si affollavano all’atto
della elaborazione della nuova disciplina, sollecitate dalla maggiore ampiezza della delega
riformatrice conferita al Governo dall’art. 10
della l. 6 luglio 2002, n. 137, rispetto a quella di
cui alla l. 8 ottobre 1997, n. 352, che aveva condotto al testo unico emanato con il d.lgs. n.
490/99.
La parte III del Codice tenta di fornire una
risposta ai quesiti e ai dubbi sopra in estrema
sintesi elencati, ma non è riuscita a sciogliere
(né avrebbe potuto) tutti i nodi e le contraddizioni presenti nella materia e reca in sé i « segni » della inevitabile (e peraltro, per certi versi, proficua) mediazione tra tesi più conservatrici e stataliste e tesi più regionaliste e innovatrici.
Il risultato è un testo sicuramente ricco di
novità, anche molto positive, ma caratterizzato
anche da non poche contraddizioni e da previsioni di dubbia lettura e comprensione.
2. – Una prima novità, di grande importanza,
è costituita dalla stessa rubrica della parte III,
intitolata ai « Beni paesaggistici ». Il Codice ha
[Art. 131]
Codice dei beni culturali e del paesaggio
abolito l’ambigua formula « beni ambientali »,
propria della passata normativa (1), che recava
in sé tutte le incertezze derivanti dalla mancata
delimitazione della materia paesaggistica rispetto a quella del diritto dell’ambiente. La definizione di « beni paesaggistici » è data dall’art. 2,
comma 3°, del Codice (« gli immobili e le aree
indicati all’articolo 134, costituenti espressione
dei valori storici, culturali, naturali, morfologici
ed estetici del territorio, e gli altri beni individuati dalla legge o in base alla legge »; per il
relativo commento si rinvia all’art. 3). L’art. 2
del Codice, inoltre, stabilisce che il « patrimonio culturale » « è costituito dai beni culturali e
dai beni paesaggistici ».
Un primo « nodo », e di centrale importanza,
dunque, il Codice l’ha sciolto: la materia del
paesaggio si colloca sotto l’egida dell’art. 9
Cost. (2), in quanto il paesaggio, come del resto
voluto dalla Carta fondamentale, è prima di tutto un bene culturale: è un aspetto del territorio
rilevante giuridicamente in quanto fenomeno
della cultura. Il Codice conferma, dunque, la
tradizione giuridica italiana che ab initio ha
impostato la tutela dei beni paesaggistici sulla
falsariga della tutela delle cose d’arte (così la l.
n. 411/05 sulla tutela della pineta di Ravenna, la
successiva legge « Croce » n. 778/22 sulla difesa delle bellezze naturali, fino alla legge « Bottai » n. 1497/39 sulle bellezze panoramiche,
« gemella » della l. n. 1089 sulle « cose d’arte ») (3).
L’art. 131, che inaugura la parte III, introduce subito un’altra importante novità: la definizione di « paesaggio », esplicitata per la prima
volta nella normativa italiana. La definizione è
derivata dalla Convenzione europea del paesaggio elaborata dal Consiglio d’Europa e fatta a
Firenze il 20 ottobre 2000 (« una determinata
parte di territorio, così come è percepita dalle
popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di
fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni ») (4). La suggestione di questa novità ha
avuto un’eco nella stessa intitolazione del Codice, che nell’ultima versione approvata dal Consiglio dei ministri da « codice dei beni culturali e
paesaggistici » è divenuta « codice di beni culturali e del paesaggio ». Derivata dalla Convenzione europea (benché già adoperata dall’art. 1 bis
della l. n. 431/85 e dall’art. 149 del d.lgs. n.
490/99) è altresì la nozione di « salvaguardia »
del paesaggio inserita nella rubrica dell’articolo
125
(1) L. 29 gennaio 1975, n. 5, di conversione, con
modifiche, del d.-l. 14 dicembre 1974, n. 657, istitutiva del Ministero per i beni culturali e ambientali,
nonché il conseguente regolamento di cui al d.p.r. 3
dicembre 1975, n. 805; art. 82 del d.p.r. 24 luglio
1977, n. 616, intitolato « beni ambientali »; d.-l. 27
giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni,
dalla l. 8 agosto 1985, n. 431 (cd. « legge Galasso »),
recante « disposizioni urgenti per la tutela delle zone
di particolare interesse ambientale »; art. 149 del d.lgs.
31 marzo 1998, n. 112 (che usava la locuzione « beni
ambientali » includendola, peraltro, nel capo V,
rubricato « beni e attività culturali », e non sotto il
titolo III rubricato « territorio, ambiente e infrastrutture », dove pure, nella sezione II del capo II, erano
menzionate le « bellezze naturali »). Il testo unico di
cui al d.lgs. 29 ottobre 1999 n. 490 presentava la
rubrica del titolo II intestata ai « beni paesaggistici e
ambientali », mentre l’art. 138 era rubricato « beni
ambientali ». Sembra svalutare la portata concettuale
innovativa di questo mutamento terminologico introdotto dal Codice, riducendolo a una mera variante
lessicale, CIVITARESE MATTEUCCI, in CAMMELLI (a cura
di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio. Commento al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42,
con il coordinamento di Barbati e Sciullo, Bologna,
2004, sub art. 131, p. 507.
(2) Sull’art. 9 Cost. cfr. SANDULLI, La tutela del paesaggio nella Costituzione, in Riv. giur. edil., 1967, II,
p. 70 ss.; SANTORO PASSARELLI, I beni della cultura
secondo la Costituzione, in Studi per il XX anniversario dell’Assemblea costituente, II, Milano, 1969, p.
139; MERUSI, Art. 9, in Commentario alla Costituzione, a cura di Branca, I, Bologna, 1975; MARINI, Profili costituzionali della tutela dei beni culturali, in Nuova rass., 1999, p. 633 ss.; ID., Lo statuto costituzionale
dei beni culturali, Milano, 2002, passim; CARTEI, La
disciplina del paesaggio tra conservazione e fruizione
programmata, Torino, 1995, p. 2 ss., nonché, ID., Il
paesaggio, in Trattato di diritto amministrativo, a cura
di Cassese, Diritto amministrativo speciale, Milano,
2003, tomo II, p. 2110 ss.
(3) Evidenziano lo stretto legame genetico tra le
due leggi del 1939, tra gli altri, ALIBRANDI, voce
« Beni culturali I) beni culturali e ambientali », in
Enc. giur. Treccani, V, Roma, 1988, p. 2; CARTEI, op.
ult. cit., p. 2110, nt. 2; MANTINI, I beni e le attività culturali, in Trattato di diritto amministrativo diretto da
Santaniello, XXXIII, Padova, 2002, p. 432. L’unitarietà dei due complessi normativi era stata del resto
recepita già nel testo unico di cui al d.lgs. n. 490/99.
Può al riguardo ricordarsi, inoltre, che il disegno di
legge presentato alla Camera dall’on. Gullotti nel
luglio del 1974, recante « Nuove norme per la tutela
e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali »,
già presentava una definizione unitaria dei beni culturali e dei beni (allora detti) ambientali.
(4) Il disegno di legge di ratifica è stato presentato
126
d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42
[nozione definita dalla lett. d) dell’art. 1 della
Convenzione (5)).
La definizione di « paesaggio », contenuta
nell’art. 131, si completa con quella di « beni
paesaggistici », data dall’art. 2, comma 3°, del
Codice: l’una è la forma sintetica dell’altra; la
definizione di beni paesaggistici è l’espressione
analitica della prima. « Paesaggio » è il carattere
(o la forma) impressa al territorio dalla presenza di beni paesaggistici e che deriva dalla natura e dalla storia umana e dalle reciproche interrelazioni. « Beni paesaggistici » sono i singoli
immobili o aree che esprimono valori storici,
culturali, naturali, morfologici ed estetici del
territorio. È da sottolineare la scelta terminologica fatta dal testo della rubrica e del comma 2°
dell’art. 131: salvaguardia dei valori del paesaggio. Il paesaggio « esprime » « valori », valori
che sono, per l’appunto, quelli propri dei beni
paesaggistici, come indicati dall’art. 2, comma
3° (valori storici, culturali, naturali, morfologici
ed estetici del territorio). In tal modo (come si
puntualizzerà oltre) il Codice raccoglie le
migliori indicazioni, provenienti dalla dottrina
(urbanistica e giuridica), nella direzione della
polisemia e della intrinseca complessità del
fenomeno paesaggistico, e dei beni-interessi in
esso racchiusi. La definizione di « paesaggio » si
precisa ulteriormente negli artt. 134, 136 e 142,
che riprendono le tradizionali definizioni della
legge del 1939 e della legge « Galasso » del
1985, rispettivamente per gli immobili e le aree
individuati con vincoli provvedimentali e per le
aree sottoposte a vincolo ope legis. Il raffronto
dialettico tra queste due definizioni complementari pone però in luce un primo elemento di
contraddizione insito nel Codice, tra una concezione tradizionale, fondata su un criterio
selettivo di beni di pregio meritevoli di tutela,
ereditata dal modello della legge del 1939, e una
concezione di tipo più « ambientale », o territorialista, rivolta alla tutela e alla valorizzazione di
vaste aree definite in base a criteri aprioristici
morfologico ubicazionali, di tipo geografico
(legge « Galasso »), oppure, addirittura, dell’intero territorio (Convenzione europea, artt. 134
e 143 del Codice). Questa contraddizione si
riproduce conseguentemente negli strumenti di
tutela, tra metodo provvedimentale individuativo e metodo della pianificazione territoriale
estesa a tutto il territorio, ivi incluso quello
urbano e quello compromesso o degradato.
[Art. 131]
Questa tensione dialettica è testimoniata dal
raffronto degli artt. 2, comma 3°, 131, 134, 135
e 143 del Codice. L’una linea metodologica si
raccorda al modello tradizionale culturale; l’altra spinge inevitabilmente verso la convergenza
con le confinanti materie urbanistica e ambientale.
La parte III del Codice, se da un lato ha il suo
« cuore » e la sua parte più innovativa nella
profonda riforma contenutistica e nel rilancio
della pianificazione paesaggistica, potenzialmente estesa a tutto il territorio regionale, dall’altro conserva intatta la visione tradizionale
basata sulla scelta individuante di specifici beni
paesaggistici, come si evince dalla stessa intitolazione del capo II, dedicato alla « individuazione » dei beni paesaggistici, che si concreta nella
dichiarazione di « notevole » interesse pubblico. D’altra parte se è vero che la Convenzione
europea del paesaggio « si applica a tutto il territorio delle Parti e riguarda gli spazi naturali,
rurali, urbani e periurbani » e comprende sia i
paesaggi « eccezionali », che quelli « della vita
quotidiana » e « degradati » (art. 2), è anche
vero che la stessa Convenzione prevede che il
paesaggio designi « una determinata parte di territorio » (art. 1) e include tra le misure specifiche
(art. 6, lett. c), la identificazione dei paesaggi. Il
Codice conseguentemente intende per « paesaggio » una « parte omogenea » di territorio,
suscettibile di identificazione e di individuazione. Il riferimento alla parte omogenea del territorio come unità logica di disciplina deriva dall’idea di zonizzazione propria della pianificazio-
in Parlamento il 22 ottobre 2004 ed è in corso di esame (cfr. A.C. n. C-5373). Su tale convenzione si veda,
qui, il commento dell’art. 133.
(5) La definizione è la seguente: « le azioni di conservazione e di mantenimento degli aspetti significativi o caratteristici di un paesaggio, giustificate dal
suo valore di patrimonio derivante dalla sua configurazione naturale e/o dal tipo d’intervento umano ».
Non sembra, dunque, che questa nozione di « salvaguardia » si discosti significativamente da quella di
« tutela ». Osserva invece CIVITARESE MATTEUCCI, op.
cit., p. 510, che la definizione di salvaguardia si articolerebbe nelle due nozioni di tutela e valorizzazione
del paesaggio, che costituirebbero, nella parte III del
Codice, un continuum indistinto, come si evince dal
fatto che tale parte consta di un solo titolo, rubricato
per l’appunto « Tutela e valorizzazione ».
[Art. 131]
Codice dei beni culturali e del paesaggio
ne territoriale (6) ed è mutuata da un’analoga
impostazione contenuta nel citato accordo quadro Stato-regioni sull’esercizio dei poteri in
materia di paesaggio del 2001.
La spinta « panterritorialista » prosegue sull’abbrivio della normativa degli anni ’70 e ’80
del secolo scorso, ed ha avuto un suo momento
di forte propulsione nello sforzo di accorpamento delle materie compiuto in occasione della realizzazione del pluralismo autonomistico
regionale. Il già citato d.p.r. n. 616/77, attuando
il principio sancito dall’art. 1 dalla l. delega n.
382/75, ha tentato, come è noto, al fine di razionalizzare la ripartizione dei trasferimenti e delle
deleghe regionali, di raggruppare le funzioni
amministrative in « settori organici » (7). In tal
modo la materia dei « beni ambientali » finì per
essere collocata nel settore organico dell’« assetto ed utilizzazione del territorio » (così la rubrica del titolo V del d.p.r. n. 616). È da notare che
negli anni ’70 non era ancora nato il Ministero
dell’ambiente (l. n. 349/86) e non era ancora
maturata la consapevolezza dell’autonomia del
diritto dell’ambiente. Inoltre l’art. 80 del d.p.r.
n. 616/77 ha forgiato, in questo contesto, la
nota nozione estesa di « urbanistica » come
inclusiva delle funzioni amministrative relative
alla « disciplina dell’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e
gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell’ambiente » (8). La legge « Galasso »
del 1985, soprattutto con la scelta di puntare sui
piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, collegati
geneticamente al modello dei piani territoriali
di coordinamento regionali previsto dall’art. 5
della legge urbanistica del 1942, oltre che con la
nota introduzione del criterio « geografico » di
protezione del paesaggio, aggravò la tendenza
unificatrice. Un altro « formante » di notevole
rilievo nella linea territorialista è costituito dal
contributo dei « tecnici » (gli urbanisti, architetti e ingegneri), che hanno sempre posto al
centro della loro riflessione l’idea per cui il territorio è uno e unica deve essere la sua disciplina (9).
L’indirizzo « classico » ha invece ricevuto un
forte sostegno, sul piano metagiuridico, da
importanti acquisizioni derivanti dagli sviluppi
interdisciplinari più innovativi e fecondi della
stessa disciplina della pianificazione urbanisti-
127
ca, con approcci metodologici estesi nei più
ampi settori della geografia, della storia, della
semiotica (10).
(6) URBANI, La pianificazione paesaggistica, relazione al Convegno su La disciplina del paesaggio nel
Codice dei beni culturali e del paesaggio, Firenze, 1°
luglio 2004, in Giust. amm., al sito http://www.giustamm.it.
(7) In tema cfr. ABBAMONTE, Programmazione e
amministrazione per settori organici, Napoli, 1984, p.
88 ss., nonché in Trattato di diritto amministrativo,
diretto da Santaniello, Padova, 1990, VIII; ID.,
Attualità e prospettive di riforma del processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2/2004, p. 320.
(8) La razionalità dell’accorpamento delle materie
in settori organici, se può apparire evidente a fini
classificatori, scolastici o anche organizzatori (riparto di funzioni e compiti tra diversi livelli di governo
nella sede dell’attuazione del regionalismo), risulta
meno incisiva e condivisibile a livello di comprensione delle ragioni sostanziali dei valori, dei beni e degli
interessi sottesi alle singole materie e meritevoli di
autonoma e distinta considerazione e disciplina. In
quest’ottica va svalutata la rilevanza del « rilancio »
della nozione onnicomprensiva di « urbanistica »
forgiata dal d.p.r. n. 616/77 ad opera dell’art. 34 del
d.lgs. n. 80/98, allo specifico fine di ampliare le nuove attribuzioni di giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo. Sul tema cfr., comunque, per una
completa informazione, CARINGELLA, Corso di diritto
processuale amministrativo, Milano, 2003, p. 473 ss.
(9) In tema si vedano la proposta di riforma della
legge urbanistica, estesa a coinvolgere anche i profili
ambientali e paesaggistici, elaborata dall’I.N.U., Istituto Nazionale di Urbanistica, nell’ambito del XXI
congresso nazionale di Bologna, 23-25 novembre
1995, dedicato alla « nuova legge urbanistica » (su
cui MANTINI e OLIVA, La riforma urbanistica in Italia,
Milano, 1996), nonché le proposte dell’Ordine
nazionale degli ingegneri, del 1994-1996, nel senso
dell’inserimento nella pianificazione generale di
quella speciale paesistica (su cui cfr. Linee guida per
la revisione della legislazione in materia urbanistica, a
cura di Sartorio, Milano, 1996; per una sintesi più
recente MONACO, Urbanistica, Ambiente e Territorio2, Napoli, 2003, p. 325 ss. La manualistica di diritto urbanistico registra e riferisce delle diverse tesi in
campo: così, ad es., SALVIA e TERESI, Diritto urbanistico, Padova, 2003, p. 27 ss.
(10) Per una panoramica di queste posizioni cfr.
AA.VV., Interpretazioni di paesaggio, a cura di Clementi, Roma, 2002, che riporta gli studi metodologici per l’applicazione della Convenzione Europea del
Paesaggio elaborati dal gruppo di ricerca previsto
dall’accordo tra Società Italiana Urbanisti (SIU) e il
Ministero per i beni e le attività culturali; AA.VV.,
128
d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42
Queste indicazioni hanno reso chiaro che il
paesaggio è qualcosa che attiene, per così dire,
alla res cogitans, più che alla res extensa, alla
semiosfera, più che alla ecosfera, attenendo alla
comprensione identitaria del contesto, più che
alla tutela delle matrici ambientali. Hanno altresì valorizzato la specificità della realtà del paesaggio italiano, che è soprattutto paesaggio storico, fortemente antropizzato, in cui l’opera dell’uomo si lega indissolubilmente alla natura. Ed
è questo peculiare aspetto che differenzia nettamente l’esperienza del paesaggio italiano rispetto ai modelli ambientali e territorialisti dei paesi nordeuropei e anglosassoni [diversità di
approccio testimoniata dalla stessa « diversa
matrice terminologica neolatina (paesaggio, paysage, paisaje) », dal neolatino pagus, « che sottolinea i caratteri del luogo costruito) e germanico-anglosassone (landscape, landshaft, landscap,
ecc. come luogo in cui una società è insediata e
trae le proprie risorse) » (11)]. In conformità a
questa impostazione, propria del resto anche
della definizione di « paesaggio » fornita dalla
Convenzione europea, il comma 2° dell’art. 131
del Codice sottolinea il profilo della percezione
del carattere proprio della parte omogenea di
territorio paesaggisticamente rilevante, come
insieme di valori « che esso esprime quali manifestazioni identitarie percepibili » (12). Come già
sopra accennato, le definizioni di « paesaggio »
e di « beni paesaggistici » contenute negli artt.
131 e 2 del Codice, incentrate sui valori storici,
culturali, naturali, morfologici ed estetici
espressi dal territorio, mostrano una chiara consapevolezza di queste importanti acquisizioni
degli studi extragiuridici sulla nozione di paesaggio.
La plurisemanticità del termine metagiuridico
di « paesaggio » si riflette nell’irrisolto nodo
concettuale della corrispondente nozione giuridica di paesaggio.
La linea di pensiero « culturalista », oltre alla
tradizionale dottrina legata a un modello « crociano » estetico-vedutistico, esemplato sull’idea
della tutela delle bellezze naturali (13), ha avuto
la sua più acuta tematizzazione nell’elaborazione della commissione « Franceschini » (così
detta dal nome del suo presidente), d’indagine
per la tutela e la valorizzazione del patrimonio
storico, archeologico, artistico e del paesaggio,
istituita con la l. 26 aprile 1964, n. 310. Nella
dichiarazione XXXIX della relazione finale, i
[Art. 131]
beni culturali ambientali venivano definiti come
« le zone corografiche costituenti paesaggi,
naturali o trasformati dall’opera dell’uomo, e le
zone delimitabili costituenti strutture insediative, urbane e non urbane, che, presentando particolare pregio per i loro valori di civiltà, devo-
Politiche e culture del paesaggio (esperienze internazionali a confronto), a cura di Scazzosi, Roma, s.d.,
ma 1999; ECO, La struttura assente, Milano, 1968; ID.,
Trattato di semiotica generale, Milano, 1975; ID., I
Limiti dell’interpretazione, Milano, 1990; BARTHES,
L’avventura semiologica, Torino, 1991; BODEI, Le forme del bello, Bologna, 1995; TURRI, Antropologia del
paesaggio, Milano, 1974; ID., Semiologia del paesaggio
italiano, Milano, 1979; AMADIO, Il paesaggio e l’intervento umano: una lunga storia di possibile convivenza,
in SILVESTRINI e GAMBERALE (a cura di), Eolico: paesaggio e ambiente, Roma, 2004, p. 141 ss. Spunti interessanti in SAPONARO, in ANGIULI e CAPUTI JAMBRENGHI (a cura di), Commentario al codice dei beni culturali e del paesaggio, Torino, 2005, sub commento
degli artt. 1 e 2, p. 35 ss., ed ivi ulteriori richiami. L’idea secondo cui il paesaggio attiene alla semiosfera,
all’ambito delle scienze comprendenti, mentre l’ambiente atterrebbe alla ecosfera e, conseguentemente,
all’area delle scienze descrittive (all’ambito della spiegazione), su cui sia consentito il rinvio a CARPENTIERI,
La nozione giuridica di paesaggio, cit., p. 405 ss., è
altresì prospettata da SAPONARO, loc. cit., con riferimento alla nota teoria dei tre mondi di Popper [rilevabile, tra le altre opere, in POPPER e ECCLES, The Self
and its Brain, New York, 1977 (trad. it. L’io e il suo
cervello, Roma, 1981; ma si veda anche, in sintesi,
HABERMAS, Teorie des kommunikativen Handelns,
Frankfurt am Main, 1981; trad. it. Teoria dell’agire
comunicativo, I. Razionalità e razionalizzazione sociale, Bologna, 1997, p. 145 ss.]: la tematica, pregiuridica, ma anche giuridica, relativa al paesaggio apparterebbe, sotto questo profilo, al « mondo terzo », al
mondo dei contenuti oggettivi di pensiero, piuttosto
che al « mondo primo » (il mondo degli oggetti e
degli stati fisici).
(11) SCAZZOSI, Paesaggio, Paysage, Paisaje, Landscape, Landschaft, Landschap, Kraioraz … politiche e culture del paesaggio in Europa e negli Stati Uniti: una
lettura trasversale, in AA.VV., Politiche e culture del
paesaggio (esperienze internazionali a confronto), cit.,
p. 17 ss.
(12) CIVITARESE MATTEUCCI, op. cit., p. 509, osserva
condivisibilmente che « la parola chiave (…) nel
codice (…) sembra essere proprio “percezione” ».
(13) SANDULLI, La tutela del paesaggio nella Costituzione, in Riv. giur. edil., 1967, II, p. 70 e ss.; CANTUCCI, voce « Bellezze naturali », in Noviss. Digesto it., II,
Torino, 1968, p. 295 ss.
[Art. 131]
Codice dei beni culturali e del paesaggio
no essere conservate al godimento della collettività » (14). A questa ricostruzione si deve peraltro la nozione di beni culturali ambientali, da
cui più recente dottrina ha desunto ulteriori
suddistinzioni (15). Il notissimo contributo del
Giannini (16), pur legando il paesaggio a una
nozione unitaria (ampia e onnicomprensiva) di
« ambiente » (il che si spiega col fatto che i tempi non erano ancora maturi per una distinta
percezione di un autonomo diritto dell’ambiente), aveva il grande merito di differenziare con
chiarezza i tre distinti aspetti in cui tale nozione
si scinde, l’aspetto del paesaggio, quello dell’ambiente ecosfera e quello dell’urbanistica. Il
fondamentale studio del Predieri (17), cui si
deve l’idea del paesaggio come forma del territorio creata dalla comunità umana che vi è insediata, con una continua interazione della natura
e dell’uomo, se da un lato mostra di considerare il paesaggio un fenomeno della cultura (lì
dove per l’appunto il paesaggio è inteso come
forma visibile del territorio, in contrapposizione
all’ambiente come sostanza invisibile), dall’altro
ha fornito le basi concettuali per la linea di pensiero panurbanistica, dominante negli anni ’70
del secolo scorso, attraverso l’idea per cui « la
regolazione del paesaggio e del territorio è
generale e globale ».
In conclusione, la dottrina appare ancora oggi
divaricata. A una tesi che afferma la specificità
culturale del paesaggio e ribadisce la netta
distinzione tra paesaggio, ambiente e urbanistica (18), si contrappone la opposta tesi che sostiene l’unificazione della materia paesaggistica in
quella urbanistica e ambientale (19). Naturalmente la prima tesi spinge verso la difesa delle
attribuzioni statali di tutela, in analogia al sistema delle « cose d’arte » ex lege n. 1089/39,
ponendo, nella manovra dell’art. 118 Cost., l’accento più sul criterio di adeguatezza che su
quello di sussidiarietà verticale; la seconda tesi,
viceversa, propende a ridurre tutto alla competenza regionale di « governo del territorio ».
La « riscoperta » della radice culturale del
(14) FRANCESCHINI, Relazione della commissione
d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio,
in Riv. trim. dir. pubbl., 1966, p. 119.
(15) Ad es., la distinzione tra beni ambientali paesaggistici, beni ambientali urbanistici e beni ambien-
129
tali naturalistici di ALIBRANDI e FERRI, I beni culturali
e ambientali4, Milano, 2001, p. 87 ss., su cui cfr.
anche ZAZA, voce « Bellezze naturali, diritto pubblico », in Enc. giur. Treccani, IV, Roma, 1988.
(16) GIANNINI, « Ambiente »: saggio sui diversi suoi
aspetti giuridici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1973, p. 15.
(17) PREDIERI, Urbanistica, tutela del paesaggio,
espropriazione, Milano, 1969; ID., voce « Paesaggio », in Enc. del dir., XXXI, Milano, 1981, p. 514.
Secondo CIVITARESE MATTEUCCI, op. cit., p. 509, il
Codice avrebbe recepito questa impostazione del
paesaggio come « forma del Paese », affermando una
concezione « storicistico-obiettiva ».
(18) CERULLI IRELLI, Beni culturali, diritti collettivi e
proprietà pubblica, in Scritti in onore di Massimo
Severo Giannini, I, Milano, 1988, p. 138 ss.; SEVERINI, Il concetto di « bene ambientale » nel Testo Unico,
in La nuova tutela dei beni culturali e ambientali, a
cura di Ferri e Pacini, Milano, 2001, p. 237, cui si
deve l’efficace distinzione tra « ambiente-quantità »
e « am-biente-qualità »; TAMIOZZO, La legislazione
dei beni culturali e ambientali2, Milano, 2000, p. 119;
CARPENTIERI, La nozione giuridica di paesaggio, in Riv.
trim. dir. pubbl., 2004, p. 363 ss.; SANDRONI, Sub art.
131, in AA.VV., Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, coord. da Tamiozzo, Milano, 2005, p. 587 ss.;
CAPUTI JAMBRENGHI, in ANGIULI e CAPUTI JAMBRENGHI
(a cura di), Commentario al codice dei beni culturali e
del paesaggio, Torino, 2005, p. 12. Sotto il profilo
penale, nel senso della riconducibilità della fattispecie prevista dell’art. 734 c.p. in prevalenza alla tutela
dell’interesse culturale, FALCONE, La tutela dell’ambiente-biosfera e la tutela del paesaggio (nota a Cass.,
sez. III, 12 dicembre 2002, n. 1359 e Cass, sez. III, 28
novembre 2002, n. 1864), in Ambiente, 8/2003, p.
765 ss.
(19) TORREGROSSA, La tutela del paesaggio nella legge 8 agosto 1985, n. 431, in Riv. giur. edil., 1986, II,
p. 7; CAVALLO, Profili amministrativi della tutela
ambientale: il bene ambientale tra tutela del paesaggio
e gestione del territorio, in Riv. trim. dir. pubbl., 1990,
p. 397; ASSINI, Urbanistica e tutela dell’ambiente nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, in Giur.
cost., 1983, p. 1058; MODUGNO, I « nuovi diritti » nella Giurisprudenza Costituzionale, Torino, 1995, par.
7.1, « Il superamento della distinzione tra competenze
statali e regionali: la tutela del paesaggio come ecologia », p. 51; BERTI, Problemi giuridici della tutela dei
beni culturali nella pianificazione territoriale regionale, in Riv. amm., 1970, I, p. 617 ss.; BERMEJO LATRE,
La Pianificazione del Paesaggio, San Marino, 2002,
soprattutto pp. 112 e 113; DE LEONARDIS, La disciplina dell’ambiente tra Unione Europea e WTO, in Dir.
amm., 2004, p. 513 ss. Mostra, da ultimo, di associare il paesaggio all’ambiente CARBONI, Ambiente, paesaggio e beni culturali, relazione al 50° convegno di
studi amministrativi, Varenna, 16-18 settembre 2004,
in corso di pubblicazione.
130
d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42
valore paesaggistico sembra costituire la linea
ricostruttiva più feconda nella duplice direzione, da un lato, della più profonda comprensione del senso e del carattere proprio del paesaggio italiano nella costante « rilettura » che ne
hanno fatto le arti figurative e letterarie del Paese (20), dall’altro della (conseguente) riaffermazione di regole e tutele « speciali » (anche sul
piano delle competenze) per la gestione del territorio paesaggisticamente rilevante (21).
3. – La giurisprudenza – sia costituzionale che
amministrativa – è netta nel distinguere tra paesaggio e urbanistica, ma è invece molto confusa
nel distinguere tra paesaggio e ambiente (22). Il
che potrebbe spiegarsi con la considerazione
che la maggioranza delle pronunce tendono a
« difendere » attribuzioni statali rispetto a
rivendicazioni di competenza regionali (dinanzi
al giudice delle leggi soprattutto, ma anche
dinanzi al giudice amministrativo, su impugnative di atti ministeriali frutto dell’esercizio dei
poteri concorrenti e di controllo statali).
Così la Consulta, lì dove è stata chiamata a
delimitare i poteri normativi regionali o a giustificare quelli statali, ovvero a chiarire che la
conformazione della proprietà per effetto della sottoposizione a tutela paesaggistica non si
assoggetta al meccanismo espropriativo indennitario proprio dell’urbanistica (23), ha rimarcato in maniera chiara la incomprimibile specificità culturale della tutela del paesaggio, nel
paradigma dell’art. 9 Cost.; quando, invece, è
stata chiamata a riconoscere il ruolo partecipativo degli enti locali, ovvero poteri regionali
di rafforzamento della tutela o di pianificazione territoriale, in specie riguardo alla nuova
figura, voluta dalla legge « Galasso », dei piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, allora ha
forgiato tesi più complesse e discutibili, riassumibili nella massima tralatizia per cui « la
tutela del bene culturale è nel testo costituzionale contemplata insieme a quella del paesaggio e dell’ambiente come espressione di principio fondamentale unitario dell’ambito territoriale in cui si svolge la vita dell’uomo (sentenza n. 85 del 1998) e tali forme di tutela
costituiscono una endiadi unitaria » (24). Questa formula, se analizzata nelle sue componenti semantiche, si mostrerebbe molto declamatoria e poco sostanziale. Essa, a ben vedere,
[Art. 131]
(20) Il paesaggio italiano è costruito dall’arte – si
pensi al tema delle « città ideali » del Rinascimento o
all’architettura del giardino italiano – ed è nel contempo rispecchiato e progettato nelle arti figurative –
si pensi ad es. all’invenzione della prospettiva –
secondo una linea continua che lega tra loro disegno,
progetto e realtà. Su questi spunti si veda BONNEFOY,
L’entroterra, a cura di Caramore, Roma, 2004. È interessante al riguardo riflettere sul fatto che una delle
prime normative di tutela paesaggistica, la legge Rava
– Rosadi n. 411, del 16 luglio 1905, era intitolata
« per la conservazione della Pineta di Ravenna » e si
proponeva, quale suo scopo precipuo, la difesa dei
luoghi cantati da Dante nella Divina Commedia. In
proposito nel volume di BALZANI, Per le antichità e le
belle arti, la legge n. 364 del 20 giugno 1909 e l’Italia
giolittiana, ed. del Senato della Repubblica, Bologna,
2003, pp. 435 e 436, dove è riportata la relazione del
ministro dell’istruzione pubblica Rava sul disegno di
legge per le antichità e le belle arti (poi divenuta l. 20
giugno 1909, n. 364), nella quale il ministro rammentava « che fino da quando nella mia qualità di ministro di agricoltura presentai al Parlamento e feci
approvare la legge per ricostruire e render inalienabile la Pineta di Ravenna, legge che volle sottrarre alla
distruzione la divina foresta spessa e viva da cui l’Alighieri trasse l’ispirazione per il Canto del Paradiso
Terrestre, l’onorevole Brunialti presentò (tornata del
1 luglio 1905), e la Camera approvò, un ordine del
giorno con cui il Governo era invitato a presentare
“un disegno di legge per la conservazione delle bellezze naturali, che si connettono alla letteratura,
all’arte, alla storia d’Italia” ».
(21) Secondo la logica delle tutele parallele per interessi differenziati, su cui cfr. CERULLI IRELLI, Pianificazione urbanistica e interessi differenziati, in Riv. trim.
dir. pubbl., 1985, pp. 389 e 427 ss., nonché URBANI,
Urbanistica, tutela del paesaggio e interessi differenziati, in Regioni, 1986, p. 665; ID., Ordinamenti differenziati e gerarchia degli interessi nell’assetto territoriale
delle aree metropolitane, in Riv. giur. urb., 1990, p. 609.
Si veda, qui, anche sub commento dell’art. 145.
(22) Su questi profili sia consentito il rinvio a CARPENTIERI, La nozione giuridica di paesaggio, cit., p. 379 ss.
(23) Corte cost., 29 maggio 1968, n. 56, in Giur.
cost., 1969, p. 356; ID., 24 luglio 1972, nn. 141 e 142,
entrambe ivi, 1972, p. 63 ss.; 20 febbraio 1973, n. 9,
ivi, 1973, II, p. 101; 4 luglio 1974, n. 203, ivi, 1974, I,
p. 81; 29 dicembre 1982, n. 239; 1 aprile 1985, n. 94,
ivi, 1985, II, p. 1420; 27 giugno 1986, n. 151, ivi,
1986, II, p. 1654; 28 luglio 1995, n. 417, ivi, 1995, II,
p. 1735; 11 luglio 2000, n. 262, ivi, II, p. 2008.
(24) Corte cost., 26 novembre 2002, n. 478 e 27
luglio 2000, n. 378, in Giur. cost., 2000, II, p. 2008;
ID., 29 dicembre 1995, n. 529, ivi, 1995, II, p. 1818;
26 ottobre 1995, n. 463, ivi, 1995, II, p. 1774; 3 ottobre 1990, n. 430, ivi, 1990, p. 1739; 3 marzo 1986, n.
39, ivi, 1986, II, p. 1597.
[Art. 131]
Codice dei beni culturali e del paesaggio
non prende una posizione chiara sul punto
della pluralità-unità dei campi di materie. Alla
stessa stregua del suo omologo ordinamentale,
la nozione di « leale cooperazione », costituisce
una « cerniera », giuridica e culturale, volutamente ambigua e generica, per dare elasticità
al sistema delle competenze e consentire una
ragionevole convivenza tra attribuzioni statali e
regionali.
Il giudice amministrativo, analogamente, nel
sostenere che la tutela paesaggistica è rimasta in
attribuzione normativa statale, all’interno della
previsione della lett. s) del comma 2° dell’art.
117 Cons. Stato, l’ha accomunata alla materia
della tutela dell’ambiente ecologia (25).
4. – In questo difficile equilibrismo tra concetti – e conseguenti ricadute applicative in
tema di collocazione sistematica e di riparto delle competenze – il Codice sembra apportare
forti argomenti in favore della tesi « culturalista » (più « statalista »). In realtà il testo del
2004 non scioglie il nodo dell’art. 117 della
Costituzione (26). Né, del resto, avrebbe potuto
farlo, sia per ragioni formali giuridiche, sia per
ragioni sostanziali politiche (non è un caso che
la Conferenza unificata abbia dato parere favorevole, senza riserve, su tutto il Codice, ivi
inclusa la parte III). In definitiva il « codificatore » del 2004 ha sospeso il giudizio sul punto,
ed ha sostanzialmente confermato il quadro
distributivo antevigente (concorrenza Statoregioni nella potestà di individuazione; trasferimento alle regioni della potestà pianificatoria;
delega di quella gestionale autorizzatoria). A
ben vedere, come si avrà modo di osservare più
analiticamente nel commento dell’art. 141, la
nuova disciplina forse ha incrinato il « vecchio » sistema del concorso statale nell’integrazione degli elenchi dei beni paesaggistici (ove
era ammesso un autonomo potere statale di vincolo). Così come, d’altro canto, il parere endoprocedimentale di merito, che ha sostituito, nell’ambito del procedimento autorizzatorio, l’istituto dell’annullamento ministeriale (cfr. commento dell’art. 146), rischia di modificare il
sistema della delega di tale funzione (proprio
dell’art. 82 del d.p.r. n. 616/77), atteso che mentre l’annullamento è logicamente compatibile
col sistema della delega, assai meno lo è il parere obbligatorio non vincolante introdotto dal
Codice. Peraltro la formula anodina dell’art. 5,
131
(25) Cons. Stato, Ad. plen., 14 dicembre 2001 n. 9,
in Cons. Stato, 2001, I, p. 2585.
(26) L’opinione prevalente, in linea con la pronuncia della « plenaria » del Consiglio di Stato citata alla
nota precedente, colloca la tutela del paesaggio sotto
la dizione della lett. s) del comma 2° dell’art. 117 della Costituzione. Sul punto sia consentito il rinvio a
CARPENTIERI, La nozione giuridica di paesaggio, cit., p.
365 e nt. 4. La forza evocativa del termine « governo
del territorio » [su cui URBANI, voce « Urbanistica
(dir. amm.) », in Enc. del dir., XLV, Milano, 1992, p.
874 ed ivi rinvii, alla nt. 23, nonché MORBIDELLI, voce
« Pianificazione territoriale e urbanistica », in Enc.
giur. Treccani, XXIII, Roma, p. 5 ss.] sembra dunque
stemperata nella riconsiderazione della indefettibilità
di una disciplina differenziata della tutela paesaggistica. Rileva che « la formula “governo del territorio”
(...) rappresenta il punto di massima espansione della visione panurbanistica » MAZZARELLI, L’urbanistica
e la pianificazione territoriale, in Trattato di diritto
amministrativo, a cura di Cassese, parte speciale,
tomo IV, Milano, 2003, p. 3341. Va in proposito evidenziato che il legislatore costituzionale del 2001 ha
mostrato chiaramente di intendere per « tutela dell’ambiente » e per « beni ambientali » essenzialmente
la tutela del paesaggio e i beni paesaggistici, come si
evince dagli stilemi « tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali » e « valorizzazione dei beni
culturali e ambientali » adoperati, rispettivamente,
nella lett. s) del comma 2° dell’art. 117 e nel successivo comma 3°. Il legislatore del 2001 era evidentemente ancora legato al concetto di beni ambientali
nell’accezione della l. 29 gennaio 1975 n. 5, istitutiva
del Ministero per i beni culturali e ambientali. La
distinta menzione della tutela dell’ecosistema si giustifica in relazione alla nozione di ambiente-quantità,
riferita all’ecologia in senso proprio. È peraltro significativo il fatto che la regione Toscana, nell’impugnare dinanzi alla Corte costituzionale l’art. 36, comma
3°, lett. c) della l. n. 308/04 (nella parte in cui prevede il parere vincolante del Soprintendente nell’ambito dello speciale procedimento di accertamento di
compatibilità paesaggistica degli abusi « minori »,
per i quali non si applica la sanzione penale, ai sensi del nuovo comma 1°-quater aggiunto all’art. 181
del Codice), rivendica una sfera di propria competenza normativa nella materia della tutela paesaggistica non già affermandone l’inclusione nell’ambito
del governo del territorio, bensì giocando sulla confusione tra tutela paesaggistica e tutela ambientale/ecologia (in ordine alla quale, come è noto, la
Corte ha riconosciuto spazi alle regioni sul rilievo
del carattere di valore trasversale dell’ambiente, e
non di materia in senso materiale oggettivo: cfr.
Corte cost., sentenze nn. 407/2002; 307/2003,
259/2004, 108/2005, 135/2005; il ricorso regionale
è pubblicato in G.U., 1^ s.s., n. 12, del 23 marzo
2005).
132
d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42
comma 6° (le funzioni amministrative di tutela
dei beni paesaggistici sono conferite alle regioni
secondo le disposizioni di cui alla parte terza
del presente Codice), pur adoperando il termine ambivalente « conferimento » (che, nella l. n.
59/97, art. 1, includeva tanto il trasferimento
che la delega), sembra prestarsi a una lettura più
ampliativa, in specie ove si consideri che la
potestà autorizzatoria, una volta cessato il controllo annullatorio statale, è affidata per intero
(salvo il passaggio consultivo soprintendentizio
endoprocedimentale) alla potestà regionale (o
comunale, a seconda dei singoli ordinamenti
regionali). Non senza considerare, peraltro, che,
nel nuovo sistema allocativo delle competenze
di cui agli artt. 117 e 118 Cost., forse non vi è
più spazio per un sistema di delega legislativa,
del tipo di quello introdotto dalle leggi dei primi anni settanta di avvio del sistema regionalista
(anche se, deve aggiungersi, il comma 7° dell’art. 5 del Codice continua a parlare di potestà
di indirizzo e di vigilanza del Ministero sulle
funzioni di cui ai commi precedenti, ivi incluse
quelle paesaggistiche di cui al comma 6°).
5. – La nozione di valorizzazione del paesaggio, che compare nella rubrica del titolo unico
della parte III, non ha ricevuto un’adeguata
definizione. Il Codice ha benvero dettato, nella
parte I, all’art. 6, una definizione generale della
valorizzazione (come funzione e come attività),
riferita all’intero patrimonio culturale e, quindi,
anche ai beni paesaggistici. Mentre, tuttavia,
nella parte II del Codice (art. 111) viene fornita
un’apposita definizione delle attività di « valorizzazione » dei beni culturali (in senso stretto),
manca, nella parte III, una correlativa definizione analitica espressa della valorizzazione riferita
ai beni paesaggistici. Indubbiamente, in base
all’art. 6, la valorizzazione dei beni paesaggistici
è diretta a promuovere la conoscenza di tali
beni e ad assicurarne le migliori condizioni di
utilizzazione e fruizione, e comprende anche la
promozione e il sostegno degli interventi di conservazione (con il favor per la partecipazione dei
privati). Ma questa nozione, indubbiamente «
tarata » soprattutto sui beni storico-artistici,
archeologici ed etnoantropologici, non spiega
molto di che cosa sia la valorizzazione dei beni
paesaggistici. In specie ove si consideri che le
opinioni tradizionali prevalenti tendevano a
focalizzare questo concetto, per quanto attiene
[Art. 131]
al paesaggio, verso un’idea di « tutela dinamica » del paesaggio, o di sviluppo sostenibile e di
recupero dei paesaggi compromessi e degradati (27). Deve d’altro canto rammentarsi che la
valorizzazione dei beni ambientali è contemplata
addirittura nella Costituzione (il cui nuovo art.
117, comma 3°, introdotto nel 2001, assegna alla
potestà concorrente la materia della valorizzazione dei « beni culturali e ambientali »).
La parte III del Codice si limita alla sola
enunciazione di tale funzione, non aggiungendo
molto alla previsione dell’art. 149 del testo unico del 1999 e a quella dell’art. 1 bis della legge
« Galasso » del 1985, ove si parlava di « specifica normativa d’uso e di valorizzazione ambientale » quale finalità della pianificazione paesistica.
Il termine valorizzazione compare solo negli
artt. 132 e 143, circa i contenuti del piano paesaggistico [comma 3°, lett. a) e comma 9°]. Non
è condivisibile l’identificazione della « valorizzazione » del paesaggio con le attività di recupero e riqualificazione, o con l’idea dello sviluppo sostenibile che, nel Codice, sono menzionate distintamente, come attività diverse e specifiche [cfr. art. 143, comma 2°, lett. b), c), f)].
Inoltre, la valorizzazione, come attività volta ad
assicurare la migliore fruizione del bene, ben
può riferirsi a paesaggi di eccellenza, in ottimo
stato di conservazione, sottoposti a vincolo di
(27) Ad es. ALIBRANDI e FERRI, I beni culturali e
ambientali4, Milano, 2001, pp. 651 e 666, identificano la valorizzazione del paesaggio con le attività di
recupero e riqualificazione; AMOROSINO, Sub artt.
138-165, in La nuova disciplina dei beni culturali e
ambientali, a cura di Cammelli, Bologna, 2000, p.
448, parla di valorizzazione come di « salvaguardia
attiva » del paesaggio. Altri sembrano riferire la valorizzazione alla pianificazione e alla gestione autorizzatoria (così CIVITARESE MATTEUCCI, Il paesaggio nel
nuovo titolo V, parte II, della Costituzione, in Riv.
giur. ambiente, 2003, p. 268), soprattutto con riferimento alle competenze regionali (CARTEI, Il paesaggio, cit., p. 2124). In realtà sia la funzione di pianificazione che quella di controllo autorizzatorio sembrano rispondere soprattutto a finalità di tutela. Più
calzante pare la notazione di CIVITARESE MATTEUCCI,
Il codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., p. 510,
qui già riferita alla nt. 5, circa la sostanziale unitarietà
e continuità, nel Codice, tra le nozioni di tutela e
valorizzazione del paesaggio, notazione che si evincerebbe anche dal fatto che la parte III reca un solo
titolo rubricato « Tutela e valorizzazione ».
[Artt. 131, 132]
Codice dei beni culturali e del paesaggio
immodificabilità assoluta (per i quali, dunque,
non v’è spazio alcuno per attività di recupero e
riqualificazione, o per un problema di sviluppo
sostenibile). Più accettabile è l’idea che lega la
valorizzazione del paesaggio ad interventi di
incentivazione per agevolare il proprietario
all’adempimento dell’obbligo di assicurare una
corretta gestione del bene vincolato (28). Tuttavia il Codice (salvo un fugace accenno nel comma 9° dell’art. 143, ove è previsto che il piano
paesaggistico individua anche gli strumenti di
attuazione, comprese le misure incentivanti) non
si fa carico della disciplina della fiscalità
ambientale e delle esigenze di perequazione e di
compensazione, che pure sono al centro del
dibattito sulla nuova pianificazione urbanistica.
La strada più innovativa per una più compiuta
comprensione della nozione di valorizzazione
riferita al paesaggio sembra indicata dalla Convenzione europea del 2000. Essa non adopera
espressamente il termine « valorizzazione » dei
paesaggi, ma coglie il punto lì dove, nel preambolo motivazionale, chiarisce che « il paesaggio
svolge importanti funzioni di interesse generale
(...) e costituisce una risorsa favorevole dell’attività economica e, se salvaguardato, gestito e pia-
133
nificato in modo adeguato, può contribuire alla
creazione di posti di lavoro », nonché che
« contribuisce al benessere e alla soddisfazione
degli esseri umani e al consolidamento dell’identità europea ». La valorizzazione dei beni
paesaggistici è dunque legata a una particolare
fruizione dei loro valori, che passa attraverso la
maturazione della coscienza (soprattutto) delle
popolazioni residenti verso il raggiungimento
della comprensione lungimirante dei benefici
(prima di tutto spirituali, ma anche economici)
che derivano dalla qualità media, diffusa, del
paesaggio ben pianificato, salvaguardato e gestito, di modo che la rinuncia al consumo immediato del territorio e la scelta di percorsi di sviluppo sostenibile possano, nel medio e lungo
periodo, divenire fattori di arricchimento per
quella collettività.
PAOLO CARPENTIERI
(28) CAVALLO, Profili amministrativi della tutela
ambientale, cit., p. 407.
Art. 132.
(Cooperazione tra amministrazioni pubbliche)
1. Le amministrazioni pubbliche cooperano per la definizione di indirizzi e criteri riguardanti
le attività di tutela, pianificazione, recupero, riqualificazione e valorizzazione del paesaggio e
di gestione dei relativi interventi.
2. Gli indirizzi e i criteri perseguono gli obiettivi della salvaguardia e della reintegrazione dei
valori del paesaggio anche nella prospettiva dello sviluppo sostenibile.
3. Al fine di diffondere ed accrescere la conoscenza del paesaggio le amministrazioni pubbliche intraprendono attività di formazione e di educazione.
4. Il Ministero e le regioni definiscono le politiche di tutela e valorizzazione del paesaggio
tenendo conto anche degli studi, delle analisi e delle proposte formulati dall’Osservatorio
nazionale per la qualità del paesaggio, istituito con decreto del Ministro, nonché dagli Osservatori istituiti in ogni regione con le medesime finalità.
SOMMARIO: 1. La cooperazione tra amministrazioni
pubbliche in materia di paesaggio.
1. – L’art. 132 tenta di dare concretezza al
ripetuto richiamo della Corte costituzionale
(per cui cfr. le pronunce citate nel commento
dell’art. 131) alla leale cooperazione nelle attività (soprattutto) di pianificazione del territorio, nelle quali si pone in maniera forte il pro-