LE NUOVE LEGGI CIVILI COMMENTATE Le nuove leggi civili commentate - N. I - 2006 2 N. 1 ANNO XXIX GENNAIO - FEBBRAIO 2006 LE NUOVE LEGGI CIVILI COMMENTATE IV Indice - Sommario del fascicolo I Le attualità La tutela giurisdizionale della proprietà industriale (artt. 117-146 d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 « Codice della proprietà industriale, a norma dell’art. 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273 »). di GINA GIOIA. SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Tutela dei diritti di privativa. – 3. La Commissione ricorsi. – 4. Le azioni a tutela del diritto industriale e le relative sentenze. – 5. In particolare, la rivendica e la nullità. – 6. Competenza, rito e giurisdizione. – 7. In tema di prova. La discovery. La funzione probatoria della descrizione e del sequestro. – 8. La tutela cautelare. In particolare l’inibitoria. – 9. Le regole della procedura. – 10. La pubblicità della privativa. – 11. Esecuzione forzata. Espropriazione per pubblica utilità. – 12. Misure contro la pirateria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 3 La posta elettronica certificata (d.p.r. 11 febbraio 2005, n. 68). di SERGIO BRESCIA SOMMARIO: 1. L’indirizzo dichiarato e il momento di perfezionamento della notifica. – 2. Le modalità del servizio. – 3. L’albo dei certificatori. – 4. Norme transitorie e finali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 37 VI Indice-sommario del fascicolo I La legge n. 49/05 riforma la normativa sulla pubblicità ingannevole e comparativa: maggiori poteri sanzionatori e istruttori all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (l. 6 aprile 2005, n. 49). di LORENZA GIRONE. SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La definizione di pubblicità commerciale ingannevole. – 3. La pubblicità di prodotti pericolosi. – 4. Tutela dei bambini ed adolescenti. – 5. Gli organismi di tutela della normativa sulla pubblicità ingannevole e comparativa. Un accenno al contesto internazionale. – 6. I rimedi attualmente esperibili: i nuovi poteri sanzionatori attribuiti all’Autorità garante della concorrenza e del mercato . . . . . . pag. 49 La Corte Costituzionale « chiude i conti » con la vexata quaestio della forma del contratto di autotrasporto (Corte cost. 14 gennaio 2005, n. 7). di ANDREA GENTILI. SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Analisi della evoluzione normativa in materia. – 3. Precedenti ordinanze di rimessione e conseguenti decisioni della Corte. – 4. Esame della sentenza n. 7 del 2005 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 61 Il riparto costituzionale delle competenze e la disciplina sul mercato del lavoro e sull’occupazione (cd. riforma « Biagi »): chiariti molti dubbi all’esito dello scrutinio della Corte costituzionale (Corte cost. 28 gennaio 2005, n. 50). di ENZO VINCENTI. SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Le linee essenziali del thema decidendum. – 3. La problematica più generale sulla delegazione legislativa. – 4. Gli argomenti della Corte sulle singole censure. – 5. La centralità della materia « ordinamento civile »: il contesto giurisprudenziale e dottrinale di riferimento. – 6. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 79 Indice-sommario del fascicolo I VII I commentari Codice dei beni culturali e del paesaggio (Seconda parte) (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42). Commentario a cura di GAETANO TROTTA, GIUSEPPE CAIA e NICOLA AICARDI PARTE TERZA - Beni paesaggistici. TITOLO I - Tutela e valorizzazione. CAPO I - Disposizioni generali. Art. 131. - Salvaguardia dei valori del paesaggio. Commento di PAOLO CARPENTIERI. SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La nozione culturale di paesaggio. – 3. La nozione giuridica di paesaggio nella giurisprudenza. – 4. Le competenze nel rapporto Stato-regioni. – 5. La nozione di valorizzazione del paesaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 124 Art. 132. - Cooperazione tra amministrazioni pubbliche. Commento di PAOLO CARPENTIERI. SOMMARIO: 1. La cooperazione tra amministrazioni pubbliche in materia di paesaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 133 Art. 133. - Convenzioni internazionali. Commento di PAOLO CARPENTIERI. SOMMARIO: 1. Adeguamento alle convenzioni internazionali sul paesaggio . Art. 134. - Beni paesaggistici. pag. 135 VIII Indice-sommario del fascicolo I Commento di PAOLO CARPENTIERI. SOMMARIO: 1. La nozione di beni paesaggistici attraverso il rinvio alle tipologie di legge: la nuova tipologia dei beni oggetto dei vincoli creati dalla pianificazione paesaggistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 137 Art. 135. - Pianificazione paesaggistica. Commento di PAOLO CARPENTIERI. SOMMARIO: 1. La nuova pianificazione paesaggistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 138 CAPO II - Individuazione dei beni paesaggistici. Art. 136. - Immobili ed aree di notevole interesse pubblico. Commento di PAOLO CARPENTIERI. SOMMARIO: 1. L’individuazione e il criterio territorialista della pianificazione. – 2. Le novità principali del capo II. – 3. La natura giuridica dell’atto di individuazione e la peculiare connotazione della discrezionalità esercitata dall’amministrazione. – 4. L’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 136 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 142 Art. 137. - Commissioni provinciali. Commento di PAOLO CARPENTIERI. SOMMARIO: 1. Le commissioni provinciali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 148 Art. 138. - Proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico. Commento di PAOLO CARPENTIERI. SOMMARIO: 1. La proposta di dichiarazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 149 Art. 139. - Partecipazione al procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico. Commento di PAOLO CARPENTIERI. SOMMARIO: 1. L’unificazione del regime procedimentale. – 2. La partecipazione degli enti locali e delle associazioni. 3. – La partecipazione individuale al procedimento. – 4. La fase della pubblicazione e la decorrenza degli effetti di vincolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 152 Indice-sommario del fascicolo I IX Art. 140. - Dichiarazione di notevole interesse pubblico e relative misure di conoscenza Commento di PAOLO CARPENTIERI. SOMMARIO: 1. L’atto di dichiarazione e la relativa pubblicazione . . . . . . . . . pag. 157 Art. 141. - Provvedimenti ministeriali. Commento di PAOLO CARPENTIERI. SOMMARIO: 1. I poteri ministeriali: sostitutivi o concorrenti? . . . . . . . . . . . . pag. 159 Art. 142. - Aree tutelate per legge. Commento di PAOLO CARPENTIERI. SOMMARIO: 1. Il futuro regime delle aree tutelate ex lege. – 2. La tutela ope legis in funzione di misura di salvaguardia. – 3. Le modifiche alle singole tipologie di aree ex lege . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 163 CAPO III - Pianificazione paesaggistica. Art. 143. - Piano paesaggistico. Commento di PAOLO CARPENTIERI. SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Gli ambiti omogenei. – 3. I contenuti minimi obbligatori del piano. – 4. I contenuti facoltativi sulle aree « Galasso ». – 5. La procedura per l’elaborazione d’intesa dei piani paesaggistici. – 6. Il principio del minor consumo di territorio. – 7. Altri contenuti. – 8. Considerazioni conclusive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 168 Art. 144. - Pubblicità e partecipazione. Commento di PAOLO CARPENTIERI. SOMMARIO: 1. La partecipazione ai procedimenti di pianificazione paesaggistica e la pubblicità degli atti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 173 Art. 145. - Coordinamento della pianificazione paesaggistica con altri strumenti di pianificazione. Commento di PAOLO CARPENTIERI. SOMMARIO: 1. Il coordinamento della pianificazione paesaggistica con altri strumenti di pianificazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 176 X Indice-sommario del fascicolo I CAPO IV - Controllo e gestione dei beni soggetti a tutela. Art. 146. - Autorizzazione. I Commento di PIERFRANCESCO UNGARI. SOMMARIO: 1. Disciplina a regime e disciplina transitoria del procedimento autorizzatorio. – 2. I caratteri generali dell’autorizzazione paesaggistica. – 3. Attribuzione dei poteri di gestione del vincolo. – 4. L’obbligo di autorizzazione. – 5. Oneri del richiedente l’autorizzazione e natura della valutazione. – 6. L’intervento del Ministero. – 7. Aspetti procedimentali. – 8. Rapporti con il procedimento edilizio. – 9. L’intervento sostitutivo. – 10. Il divieto di autorizzazione ex post. – 11. Procedimenti speciali per cave e miniere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 184 II Commento di FABRIZIO FIGORILLI. SOMMARIO: 1. Il comma 11°: i soggetti legittimati ad impugnare l’autorizzazione paesaggistica. – 2. La tendenziale oggettivizzazione del giudizio in tale materia. – 3. Segue: l’appellabilità delle sentenze ed ordinanze emanate dal giudice amministrativo da parte di chi non ha partecipato al processo di primo grado . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 198 Art. 147. - Autorizzazione per opere da eseguirsi da parte di amministrazioni statali. Commento di PIERFRANCESCO UNGARI. SOMMARIO: 1. La valutazione di compatibilità paesaggistica delle opere statali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 202 Art. 148. - Commissione per il paesaggio. Commento di PIERFRANCESCO UNGARI. SOMMARIO: 1. La commissione per il paesaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 204 Art. 149. - Interventi non soggetti ad autorizzazione. Commento di PIERFRANCESCO UNGARI. SOMMARIO: 1. Gli interventi non soggetti ad autorizzazione . . . . . . . . . . . . . Art. 150. - Inibizione o sospensione dei lavori. pag. 206 Indice-sommario del fascicolo I XI Commento di PIERFRANCESCO UNGARI. SOMMARIO: Le misure cautelari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 208 Art. 151. - Rimborso spese a seguito della sospensione dei lavori. Commento di PIERFRANCESCO UNGARI. SOMMARIO: 1. Il rimborso spese per la sospensione lavori su beni non vincolati non preceduta da tempestiva diffida . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 211 Art. 152. - Interventi soggetti a particolari prescrizioni. Commento di PIERFRANCESCO UNGARI. SOMMARIO: 1. Prescrizioni particolari per l’apertura di strade e cave e la realizzazione di condotte e palificazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 212 Art. 153. - Cartelli pubblicitari. Commento di PIERFRANCESCO UNGARI SOMMARIO: 1. La collocazione di cartelli e altri mezzi pubblicitari . . . . . . . . pag. 213 Art. 154. - Colore delle facciate dei fabbricati. Commento di PIERFRANCESCO UNGARI. SOMMARIO: 1. Colore delle facciate e dei fabbricati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 215 Art. 155. - Vigilanza. Commento di PIERFRANCESCO UNGARI. SOMMARIO: 1. Le funzioni di vigilanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 216 CAPO V - Disposizioni di prima applicazione e transitorie. Art. 156. - Verifica e adeguamento dei piani paesaggistici. Commento di PAOLO CARPENTIERI. SOMMARIO: 1. Adeguamenti dei piani e omogeneità di ricognizione territoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 218 XII Indice-sommario del fascicolo I Art. 157. - Notifiche eseguite, elenchi compilati, provvedimenti e atti emessi ai sensi della normativa previgente. Commento di PAOLO CARPENTIERI. SOMMARIO: 1. La continuità del sistema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 219 Art. 158. - Disposizioni regionali di attuazione. Commento di PIERFRANCESCO UNGARI SOMMARIO: 1. La potestà normativa regionale di attuazione . . . . . . . . . . . . . pag. 222 Art. 159. - Procedimento di autorizzazione in via transitoria. Commento di PIERFRANCESCO UNGARI. SOMMARIO: 1. Il procedimento autorizzatorio nella fase transitoria. – 2. Applicabilità nella fase transitoria di alcune disposizioni dell’art. 146; in particolare, del divieto di autorizzazione ex post . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 224 PARTE QUARTA - Sanzioni. TITOLO I - Sanzioni amministrative. CAPO I - Sanzioni relative alla Parte seconda. Art. 160. - Ordine di reintegrazione. Art. 161. - Danno a cose ritrovate. Commento di PAOLA CAPUTI JAMBRENGHI. SOMMARIO (artt. 160, 161): 1. Le sanzioni ripristinatorie per danni ai beni culturali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 232 Art. 162. - Violazioni in materia di affissione. Commento di FAUSTO BALDI. SOMMARIO: 1. Le sanzioni per violazioni in materia di affissioni (beni culturali) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Art. 163. - Perdita di beni culturali. Commento di PAOLA CAPUTI JAMBRENGHI. pag. 234 Indice-sommario del fascicolo I SOMMARIO: 1. La sanzione per la perdita di beni culturali . . . . . . . . . . . . . . . XIII pag. 235 Art. 164. - Violazioni in atti giuridici. Commento di MASSIMILIANO PALMERI. SOMMARIO: 1. La « nullità » per le violazioni in atti giuridici concernenti i beni culturali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 236 Art. 165. - Violazione di disposizioni in materia di circolazione internazionale Commento di FABIO SAITTA. SOMMARIO: 1. Premesse. – 2. Natura giuridica e presupposti della sanzione pag. 239 Art. 166. - Omessa restituzione di documenti per l’esportazione. Commento di ALESSANDRA LANCIOTTI. SOMMARIO: 1. Omessa restituzione di documenti per l’esportazione . . . . . . pag. 241 CAPO II - Sanzioni relative alla Parte terza. Art. 167. - Ordine di rimessione in pristino o di versamento di indennità pecuniaria) Commento di PIERFRANCESCO UNGARI. SOMMARIO: 1. Le innovazioni. – 2. La scelta tra sanzioni alternative. – 3. Natura e funzione della misura pecuniaria. – 4. Destinazione delle somme. – 5. Rapporti tra sanzioni paesaggistiche e sanzioni edilizie . . . . . . . pag. 242 Art. 168. - Violazione in materia di affissione. Commento di PIERFRANCESCO UNGARI. SOMMARIO: 1. Le sanzioni per violazioni in materia di affissioni (beni paesaggistici) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . TITOLO II - Sanzioni penali. CAPO I - Sanzioni relative alla Parte seconda. Art. 169. - Opere illecite. pag. 253 XIV Indice-sommario del fascicolo I Art. 170. - Uso illecito. Art. 171. - Collocazione e rimozione illecita. Commento di FAUSTO BALDI SOMMARIO (artt. 169-171): 1. Considerazioni generali. – 2. I reati di danneggiamento previsti dal codice penale. – 3. Le opere illecite (art. 169): a) demolizione, rimozione, modificazione e restauro abusivi; b) distacco; c) i lavori urgenti; d) la violazione dell’ordine di sospensione. – 4. L’uso illecito (art. 170). – 5. Collocazione e rimozione illecita (art. 171) . . . . . . pag. 255 Art. 172. - Inosservanza delle prescrizioni di tutela indiretta. Art. 173. - Violazioni in materia di alienazione. Commento di ALBERTO MORBIDELLI. SOMMARIO: 1. Le sanzioni per violazioni in materia di alienazione . . . . . . . . pag. 270 Art. 174. - Uscita o esportazione illecite. Commento di FABIO SAITTA SOMMARIO: 1. Premesse. – 2. La pregressa disciplina del reato di esportazione illecita. – 3. Presupposti e natura giuridica della sanzione. – 4. La confisca delle cose illecitamente esportate. – 5. L’interdizione dall’arte o professione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 271 Art. 175. - Violazioni in materia di ricerche archeologiche. Art. 176. - Impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato. Commento di GIORGIO CALDERONI. SOMMARIO (artt. 175-176): 1. Premessa comune: (principio di) duplice protezione ed « abrogatio sine abolitione ». – 2. Le due ipotesi di reato, in materia di ricerche archeologiche, di cui all’art. 175. – 3. L’illecito impossessamento di beni culturali appartenenti allo Stato (art. 176). – 4. Segue: e la controversa presunzione (giurisprudenziale) di possesso illegittimo di cose di interesse culturale. – 5. L’accertamento del requisito della « culturalità » del bene. – 6. Il tentativo di reato . . . . . . . . . . . . . . . pag. 275 Art. 177. - Collaborazione per il recupero di beni culturali. Commento di RICCARDO FUZIO. SOMMARIO: 1. La circostanza attenuante speciale per collaborazione . . . . . . pag. 280 Indice-sommario del fascicolo I XV Art. 178. - Contraffazione di opere d’arte. Art. 179. - Casi di non punibilità. Commento di RICCARDO FUZIO. SOMMARIO (artt. 178, 179): 1. Il contenuto non innovativo. – 2. Le nuove questioni: a) la tutela delle opere contemporanee. – 3. Segue: b) L’elemento soggettivo del reato. – 4. Circostanza aggravante, pene accessorie e confisca. – 5. I casi di non punibilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 282 Art. 180. - Inosservanza dei provvedimenti amministrativi. Commento di RICCARDO FUZIO. SOMMARIO: 1. Inosservanza di provvedimenti amministrativi . . . . . . . . . . . . pag. 285 CAPO II - Sanzioni relative alla Parte terza. Art. 181. - Opere eseguite in assenza di autorizzazione o in difformità da essa. Commento di RICCARDO FUZIO. SOMMARIO: 1. La tutela penale del paesaggio: le origini e l’art. 163 del testo unico dei beni culturali e ambientali. – 2. L’art. 181 del Codice nella versione originaria. – 3. Il nuovo art. 181 del Codice, così come modificato dall’art. 1, comma 36°, lett. c), della l. 15 dicembre 2004, n. 308. – 4. La nuova fattispecie di reato: il delitto paesaggistico. – 5. La fattispecie originaria della contravvenzione dell’art. 181, comma 1°: la contravvenzione di opere abusive su beni paesaggistici. – 6. Il delitto paesaggistico come figura autonoma di reato e non come reato circostanziato del reato-base dell’art. 181, comma 1°. – 7. La natura dei reati. – 8. Gli effetti del nuovo sistema sanzionatorio: la distinzione tra tutela provvedimentale e tutela per legge ed i dubbi di costituzionalità. – 9. L’accertamento di compatibilità paesaggistica (art. 181, comma 1°-ter). – 10. La rimessione in pristino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . PARTE V - Disposizioni transitorie, abrogazioni ed entrata in vigore. Art. 182. - Disposizioni transitorie. I Commento di BENEDETTA LUBRANO. SOMMARIO: 1. La disciplina transitoriamente applicabile a coloro che pur pag. 287 XVI Indice-sommario del fascicolo I non possedendo gli speciali requisiti di qualificazione previsti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio abbiano requisiti formativi, teorici e/o pratici, tali da renderli idonei ad acquisire la qualifica di restauratore di beni culturali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 306 II Commento di DIEGO VAIANO. SOMMARIO: 1. Rinvio all’art. 103 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 307 Art. 183. - Disposizioni finali. Commento di LIVIA MERCATI SOMMARIO: 1. L’esclusione del controllo preventivo di legittimità. – 2. Il divieto di nuovi e maggiori oneri per la finanza pubblica. – 3. Le garanzie prestate dallo Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 308 Art. 184. - Norme abrogate. Commento di BENEDETTA LUBRANO. SOMMARIO: 1. Le dichiarazioni espresse relativamente ad eventuali deroghe ed alla entrata in vigore del Codice dei beni culturali e del paesaggio. – 2. Le norme abrogate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Allegato A pag. 312 Le attualità 1) La tutela giurisdizionale della proprietà industriale (artt. 117146 d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 2) La posta elettronica certificata (d.p.r. 11 febbraio 2005, n. 68). 3 pag. 37 3) La legge n. 49/05 riforma la normativa sulla pubblicità ingannevole e comparativa: maggiori poteri sanzionatori e istruttori all’autorità garante della concorrenza e del mercato (l. 6 aprile 2005, n. 49) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 49 4) La Corte costituzionale « chiude i conti » con la vexata quaestio della forma del contratto di autotraporto (Corte cost. 14 gennaio 2005, n. 7) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 61 5) Il riparto costituzionale delle competenze e la disciplina sul mercato del lavoro e sull’occupazione (cd. riforma « Biagi »): chiariti molti dubbi al’’esito dello scrutinio della Corte costituzionale (Corte cost. 28 gennaio 2005, n. 50) . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 79 LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE (artt. 117-146 d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 « Codice della proprietà industriale, a norma dell’art. 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273 », in G.U. n. 52 del 4 marzo 2005, s.o. n. 28) di GINA GIOIA (ricercatore dell’Università di Padova) LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE di GINA GIOIA SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Tutela dei diritti di privativa. – 3. La Commissione ricorsi. – 4. Le azioni a tutela del diritto industriale e le relative sentenze. – 5. In particolare, la rivendica e la nullità. – 6. Competenza, rito e giurisdizione. – 7. In tema di prova. La discovery. La funzione probatoria della descrizione e del sequestro. – 8. La tutela cautelare. In particolare l’inibitoria. – 9. Le regole della procedura. – 10. La pubblicità della privativa. – 11. Esecuzione forzata. Espropriazione per pubblica utilità. – 12. Misure contro la pirateria. 1. – Dopo oltre due anni dalla approvazione della legge delega, il Governo ha emanato, con la tecnica del decreto legislativo e con ambizione giustinianea (1), il codice della proprietà industriale. L’obiettivo dichiarato è quello di assicurare un riordino ed una semplificazione normativa in una materia, quella della proprietà industriale, caratterizzata dalla sovrapposizione di norme contenute in provvedimenti di rango diverso (2). La considerazione che il legislatore riserva alla materia è, indubbiamente riguardosa del ruolo che la stessa riveste nella più generale disciplina del mercato, e costituisce da un lato il tentativo di porre un argine ai falsi (1) L’espressione è di MANSANI, Le disposizioni in materia di marchi nella bozza del codice dei diritti della proprietà industriale, in AA.VV., Il Codice della Proprietà industriale, a cura di Ubertazzi, Milano, 2004, p. 69. L’autore considera una fatica inutile l’ambizione di dar vita ad un testo unico essendo quel testo destinato ad essere affiancato in breve tempo da altre norme eterogenee, che richiederebbero suoi continui aggiornamenti, adattamenti e modifiche. In verità, negli ultimi anni è sempre più diffusa l’esigenza di raccogliere organicamente una stessa materia, e si tende a passare dall’idea regolativa del codice a quella di diversi codici organizzati per materia. Lo strumento dei testi unici misti di riordino (basti pensare a quello sull’edilizia n. 380/01; sulla espropriazione n. 327/01; sulle spese di giustizia n. 115/02) è stato soppresso dalla l. n. 229/03 – Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione « Legge di semplificazione 2001 » – che prevede decreti legge di riassetto o codici, in luogo dei testi unici. La distinzione concettuale tra testi unici e codici è data dalla capacità meramente ricognitiva dei primi, anche se, come si è visto, anche in questi non mancano cambiamenti, e dalla capacità innovativa dei secondi. (2) Il termine proprietà industriale, per espressa previsione dell’art. 1 del d.lgs. n. 30 del 10 febbraio 2005, comprende marchi, altri segni distintivi, indicazioni geografiche, denominazioni di origine, disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità, topografie di prodotti e semiconduttori, informazioni aziendali riservate e nuove varietà vegetali. Indubbiamente la scelta di una terminologia unitaria rappresenta una operazione culturalmente significativa perché è espressione dell’apprezzabile tentativo di ricostruire i tratti comuni di singoli istituti caratterizzati comunque da una loro autonomia concettuale. 4 Le attualità e alla concorrenza sleale, dall’altro uno sforzo per rilanciare la innovazione e la competitività. Per il perseguimento di tali finalità, è proprio sul terreno della tutela giurisdizionale dei diritti (cui dedica l’intero capo III, gli artt. 117-146) che il legislatore gioca buona parte di questa partita. LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE di GINA GIOIA 2. – I diritti inerenti alla proprietà industriale sono costituiti a seguito di un procedimento amministrativo, promosso ad istanza di parte, che ha luogo dinanzi all’Ufficio italiano brevetti e marchi (3), e che è preordinato, appunto, al rilascio della brevettazione o della registrazione. Si tratta di un procedimento amministrativo, definito giustamente dall’art. 2 codice prop. ind., di accertamento-costitutivo, perché finalizzato ad accertare la sussistenza dei requisiti di brevettabilità o di registrazione e a costituirne, all’esito dell’accertamento, una situazione giuridica nuova, rappresentata dal diritto di proprietà industriale: uno ius escludendi alios con potestà esclusive su beni cui il diritto si riferisce e con efficacia erga omnes, almeno di regola nei limiti territoriali dell’ordinamento statale (4). Al procedimento amministrativo si accompagna la tutela giurisdizionale che si ripartisce tra la Commissione ricorsi e il giudice ordinario (5). Alla prima sono affidate le controversie che possono insorgere circa il diritto ad ottenere il brevetto o la registrazione; il relativo giudizio avrà come contraddittore l’UIBM (6). Al secondo, invece, sono riservate le controversie che insorgono tra privati circa lo sfruttamento della proprietà industriale, per cui questi risulta essere giudice dell’esistenza e della permanenza della privativa (7). 3. – La tutela del richiedente il brevetto o la registrazione, a fronte di un provvedimento di diniego (allorché risulti respinta totalmente o parzial- (3) Sono oggetto di registrazione i marchi i disegni e modelli, le topografie dei prodotti a semiconduttori. Inoltre, lo sono le invenzioni, i modelli di utilità, le nuove varietà vegetali. Sono esclusi i nomi a dominio. (4) L’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi non sindaca l’esattezza sostanziale della designazione, né ha il potere di verificare la legittimazione del richiedente la registrazione, che è presunta in capo al richiedente. Del resto l’UIBM non verifica nemmeno la novità (si vedano le problematiche connesse in SERPIERI, Note in tema di brevettazione del non avente diritto, in Riv. dir. ind., II, 2003, p. 215). È previsto, tuttavia, che nel corso del procedimento di registrazione del marchio (d.lgs. 8 ottobre 1999, n. 447) possa istaurarsi una fase incidentale di opposizione (anche solo mediante osservazioni), che costringe a una verifica l’anteriorità. (5) Anche ove il procedimento amministrativo non sia concluso, può essere proposta l’azione giurisdizionale davanti al giudice ordinario, a condizione che il riconoscimento della privativa intervenga prima della fase di decisione della causa. In caso di mancata conclusione del procedimento, la domanda è improcedibile, fino alla rimozione dell’ostacolo. Tale limite, invece, non si riscontra ove sia stata richiesta un’azione cautelare. (6) A seguito del d.lgs. n. 447/99, la Commissione può essere adita anche dall’opposizione del terzo al procedimento di registrazione, ma si ritiene comunemente che ciò non incida sulla non interferenza tra i giudizi emessi dai due diversi organi giurisdizionali, cfr. in tal senso SCUFFI, Sub artt. 117 ss., in SCUFFI, FRANZOSI e FITTANTE, Il codice della proprietà industriale, Milano, 2005, p. 498. (7) La diversità di soggetti coinvolti, nonché dell’oggetto stesso del giudizio (la Commissione decide sul diritto soggettivo ad ottenere la privativa, mentre il giudice ordinario si occupa del diritto di esclusiva), impediscono una sovrapposizione di giudicati. Le attualità 5 mente una domanda o un’istanza, oppure che impediscono il riconoscimento di un diritto e negli altri casi espressamente previsti) viene attivata, invece, con un ricorso alla Commissione ricorsi (8), come previsto dall’art. 135, da proporsi entro il termine decadenziale di 60 giorni dalla comunicazione della decisione di rigetto (9). Siffatto rimedio (10) è esperibile, in verità, non solo per reagire ad un provvedimento dell’UIBM di rigetto, anche parziale, della istanza di brevetto o registrazione, ma più in generale per opporsi ad un provvedimento, sempre dell’UIBM, che impedisce il riconoscimento di un diritto di proprietà industriale (11). La tutela è accordata in presenza di un provvedimento definitivo e non semplicemente interlocutorio (vale a dire che, ad es., conceda un termine per osservazioni), a meno che quest’ultimo sia in grado di compromettere già l’esercizio di un diritto di proprietà industriale (12). Il procedimento dinanzi alla Commissione ricorsi è informato al principio del contraddittorio, della discussione pubblica del ricorso. Il ricorso va notificato, non solo all’UIBM ma anche ad eventuali controinteressati, e nei trenta giorni successivi depositato presso la segreteria della Commissione ricorsi. Non è necessario il patrocinio di un legale, potendo la parte stare in giudizio anche personalmente. La Commissione procede all’eventuale attività istruttoria, sempre nel rispetto dei principi generali in materia di prova. Nel caso di accoglimento della opposizione la Commissione non può condannare l’UIBM ad un facere, ma dovrà accertare il diritto del ricorrente all’ottenimento del titolo. Questa decisione, in caso di mancata esecuzione dell’UIBM è suscettibile di costituire oggetto di giudizio di ottemperanza. Il neo codice prevede la possibilità che la Commissione emetta una misura cautelare che appaia più idonea ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione definitiva. Presupposto per l’adozione della misura cautelare è il grave pregiudizio che potrebbe derivare dall’esecuzione dell’atto impugnato, o dall’inerzia dell’UIBM, unitamente al periculum in mora. (8) La Commissione ricorsi, istituita nel lontano 1939 con r.d. n. 1127, è un organo, sostanzialmente giurisdizionale, composta da magistrati con il grado di consiglieri della Corte di appello, da docenti universitari o di istituti giuridici superiori; possono essere aggregati anche esperti tecnici, privi di potere deliberativo. La natura di organo giurisdizionale (le sue sentenze possono essere impugnate davanti alla Corte di cassazione) speciale della Commissione è stata riconosciuta dalla Corte cost. nella sentenza n. 158 del 10 maggio 1995, nella quale è stato escluso il contrasto costituzionale con l’art. 102 comma 2° Cost. preesistendo tale organo alla entrata in vigore della Costituzione e al disposto di cui all’art. 102, comma 2°, Cost. La Commissione non opera solo in funzione giurisdizionale, ma anche in funzione consultiva, allorquando il Ministero delle attività produttive, ne richieda parere non vincolante, in materia di marchi e brevetti. La ley organica ha accentuato la terzietà dell’organo, attraverso l’esclusione del direttore dell’UIBM dalla composizione della Commissione, prevista in precedenza senza voto deliberativo. (9) In precedenza il termine era di trenta giorni. (10) Il ricorso deve essere motivato. Nel caso di incompletezza la Commissione concede un termine per l’integrazione. (11) Si pensi alla richiesta di trascrizione di un atto di revoca della cessione unilaterale non irrevocabile di un marchio prima che detta cessione venga accettata dall’acquirente. (12) La Commissione ricorsi conosce anche in materia di interessi legittimi. In tal senso Comm. Ric., 3 ottobre 2003, n. 2044, in Dir. ind., 2003, p. 503, con nota di LAMANDINI. LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE di GINA GIOIA 6 LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE di GINA GIOIA Le attualità La lettera della norma è praticamente identica all’art. 21, comma 8°, prima parte, l. n. 1034/71, per cui risulta chiaro che l’istanza cautelare possa proporsi solo unitamente all’impugnazione del provvedimento dell’UIBM, anche perché il termine di 60 giorni per l’impugnazione del provvedimento, lascia presumere che, per non incorrere in decadenza, tale istanza debba essere contenuta nel ricorso diretto all’impugnazione del provvedimento, benché si discuta il più delle volte di diritti soggettivi e non di interessi legittimi. La forma che assume il provvedimento cautelare è quella del decreto se emesso inaudita altera parte o quella della ordinanza in camera di consiglio se emesso a contraddittorio integro. Naturalmente, il provvedimento cautelare è soggetto a revoca e/o a modifica per fatti sopravvenuti. La decisione definitiva, invece, prende la forma della sentenza di rito o di merito, di accoglimento o di rigetto, ed è dotata di carattere decisorio e definitivo. La decisione di merito di accoglimento non condannerà l’UIBM ad un facere, ma accerterà il diritto all’ottenimento del titolo, alla quale l’amministrazione dovrà conformarsi, altrimenti non resta che attivare il giudizio di ottemperanza. Da tutto quanto detto (ricorso impugnatorio di un provvedimento di diniego, termini per impugnare, contenuto della sentenza e sua esecuzione) emerge che il processo che si svolge davanti alla Commissione è più assimilabile al processo amministrativo che a quello civile, e ciò nonostante essa si occupi anche dei diritti soggettivi (non estranei nemmeno alla cognizione dei giudici amministrativi). Accettata questa posizione, perciò, laddove ci siano lacune nel rito sopperirà il rito previsto per i giudici amministrativi. A prescindere dalla natura che si voglia attribuire al giudice e al relativo procedimento, per il solo fatto che ci troviamo davanti ad un giudice speciale, quale esso è, è possibile esperire il regolamento preventivo di giurisdizione, ormai inquadrato come mezzo generale azionabile per controversie relative a tutte le giurisdizioni. Non è ammesso l’appello ma, stante il carattere decisorio e definitivo del provvedimento della Commissione, è ammesso il ricorso straordinario per cassazione, ex art. 111 Cost., comma 7°. Infine, generalmente si ammette l’esperibilità della revocazione ex art. 395 c.p.c. avverso la decisione della Commissione ricorsi. 4. – Nel diritto industriale, come nel diritto comune, la tutela si realizza nel processo di cognizione, in quello cautelare ed in quello esecutivo. Abbiamo così anche nel diritto industriale la tripartizione in azione di cognizione, cautelari ed esecutive. La tutela di cognizione si sostanzia nella tutela di accertamento condanna, e costitutiva. Con l’azione di accertamento si richiede al giudice di superare una situazione di incertezza (13); con l’azione di condanna si richiede una sentenza (13) L’azione di accertamento è azione a carattere generale nel nostro ordinamento esperibile anche al di fuori delle ipotesi tipiche previste, sia nel settore dei diritti assoluti ma Le attualità 7 che soddisfi un diritto di credito (14), almeno nell’an (condanna generica); con l’azione costitutiva, infine, si chiede al giudice di costituire, modificare od estinguere una rapporto giuridico (15). Rientra nella categoria delle azioni di accertamento quella diretta ad ottenere l’accertamento della validità del titolo, l’azione di accertamento, positivo o negativo, della contraffazione. L’azione di nullità o di decadenza della validità del titolo di proprietà industriale, invece, almeno secondo parte della dottrina (16), è più propriamente costitutiva dal momento che il suo accoglimento travolge con efficacia ex nunc gli effetti della registrazione del marchio o ne elimina il provvedimento amministrativo di concessione della privativa, venendo così a modificare una situazione esistente e produttiva di effetti giuridici. Oltre alla ipotesi controversa della azione di nullità o decadenza del titolo, alla categoria delle azioni costitutive vanno ricondotte, senza alcun dubbio, quelle esercitate dall’avente diritto contro l’usurpatore per ottenere il trasferimento a proprio nome del titolo da altri richiesto indebitamente. Nel genus delle azioni di condanna, infine, vanno annoverate le azioni di contraffazione dirette ad ottenere, previo l’accertamento della violazione e della sua imputabilità, le misure ripristinatorie-riparatorie previste dall’ordinamento. L’azione di condanna come si è visto può essere esercitata anche nelle forme della condanna generica, con una separazione dell’an dal quantum, e può essere integrata o sostituita da azioni equivalenti contemplate dalla normativa codicistica sulla concorrenza sleale (artt. 2598-2601 c.c.) (17). La tutela cautelare, azionabile in presenza dei requisiti generali del fumus boni iuris e del periculum in mora, e diretta ad evitare che nel tempo occorrente per ottenere un provvedimento definitivo il diritto possa essere pregiudicato, caratterizza il diritto industriale. Accanto alle azioni cautelari tipiche (descrizione, inibitoria, sequestro indicate negli artt. 128, 129 e 131), e fuori dall’ambito di operatività delle stesse sono proponibili anche rimedi atipici (art. 700 c.p.c.). Frequente è il ricorso ai rimedi innominati per l’accertamento negativo di una contraffazione in vista del pregiudizio che dal ritardo ne possa derivare nella produzione e negli investimenti. L’area di operatività delle azioni esecutive non subisce limitazioni e sono tutte proponibili nel diritto industriale. Queste sono dirette alla espropriazione mobiliare, immobiliare e presso terzi, dalla consegna o rilascio, anche in quello del diritto relativo. In questo senso VERDE, Profili del processo civile, I, Padova, 2002, p. 153. (14) Ogni azione di condanna beninteso contiene un accertamento (l’esistenza del credito e dei suoi presupposti) ed un quid pluris caratterizzato dalla condanna ad un facere o ad una somma di denaro. (15) L’azione costitutiva è tipica. Dispone infatti l’art. 2908 c.c. che nei casi previsti dalla legge, l’autorità giudiziaria può costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici. (16) In tal senso MANGINI, Il marchio e gli altri segni distintivi, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. ec. diretto da Galgano, V, Padova, 1982, p. 331; SPADA, Studi in onore di Franceschelli, Milano, 1983, p. 344. (17) Il sistema sanzionatorio previsto dal codice sulla concorrenza sleale conosce l’azione di condanna - risarcimento del danno, pubblicazione della sentenza, inibitorie ed ordini di facere. LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE di GINA GIOIA 8 LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE di GINA GIOIA Le attualità o dirette alla trasformazione forzata se ed in quanto esercitatile nelle forme della esecuzione degli obblighi di fare. Anche nel processo industriale sulla sentenza non più soggetta a mezzi di impugnazione scende il giudicato ed è efficace solo fra le parti (18), eredi ed aventi causa, non solo sulle questioni espressamente dedotte (giudicato esplicito), ma anche su quelle che ne costituiscono un presupposto logico indefettibile della decisione (giudicato implicito). Ciò vale per le sentenze di accertamento positivo della validità del titolo della privativa, di accertamento positivo o negativo della contraffazione. Viceversa, ed in deroga ai limiti soggettivi del giudicato, le sentenze che dichiarano la nullità o la decadenza di una privativa, per espressa previsione dell’art. 123 del codice, sono dotate di una efficacia aggiunta erga omnes, e sono annotate nel registro tenuto dall’UIBM, determinandone così una radiazione vera e propria. Dal giudicato ne discende la improponibilità della medesima questione, in altri giudizi (19). Infine una deroga al normale effetto ripetitivo che discende dalla nullità, per espressa previsione dell’art. 77 del codice, in tema di invenzione: a) gli atti di esecuzione già compiuti in forza di sentenze di contraffazione passate in giudicato; b) i contratti già eseguiti aventi ad oggetto l’invenzione del cui giudicato di nullità trattasi e conclusi anteriormente con possibilità per il giudice di accordare un equo rimborso per gli importi già versati; c) i pagamenti già effettuati a titolo di equo premio, canone o prezzo per le invenzioni dei dipendenti. La sentenza di condanna può atteggiarsi in una inibitoria definitiva, come previsto dal nuovo rito societario. Il giudice che accerta la contraffazione, infatti, può ordinare all’autore della stessa e/o a chiunque abbia partecipato di astenersi in futuro dalla condotta vietata, a prescindere dallo stato soggettivo di dolo o colpa dell’autore. La inibitoria ha, così una funzione di tutela preventiva e durevole, e completa la tutela risarcitoria o riparatoria. Si è inteso generalizzare una misura che il codice civile già la prevedeva per la concorrenza sleale (art. 2599 c.c.) (20). Quale mezzo di esecuzione indiretta dell’inibitoria, il diritto industriale conosce la così detta penalità di mora, per le violazioni (21) successive. Il contenuto della sentenza di condanna può consistere nell’ordine di distruzione di tutte le cose costituenti la violazione. Il necessario contemperamento con i superiori inte- (18) L’improponibilità che può essere fatta valere con il rimedio straordinario della revocazione ex art. 395 c.p.c., semprechè la relativa eccezione di giudicato non sia stata già sollevata e decisa. (19) Il giudice che accerta la concorrenza sleale, che è una ipotesi di contraffazione, poteva già inibire la continuazione e dava gli opportuni provvedimenti per eliminare gli effetti. (20) La penalità di mora persegue la stessa finalità preventiva e dissuasiva delle astreintes. Anche l’art. 11 della dir. 48/04/CE, con analoga finalità prevede una pena pecuniaria in caso di mancato rispetto di una ingiunzione. (21) La distruzione, in precedenza era espressamente prevista solo per i marchi, ma la si ammetteva anche per le invenzioni. Le attualità 9 ressi di economia nazionale, protetti costituzionalmente, limita il potere del giudice di condannare alla distruzione. Infatti ove dalla distruzione della cosa possa derivarne un pregiudizio all’economia nazionale (22) è dato al giudice di condannare solo al risarcimento del danno. Un ulteriore limite alla distruzione è costituito dall’uso personale delle cose. La distruzione e la rimozione costituiscono così una sostanziazione di quei provvedimenti che il giudice ex art. 2599 c.c. poteva prendere per eliminare gli effetti di una concorrenza sleale (23). L’assegnazione in proprietà ha natura restitutoria, anche questa era prevista per le sole invenzioni e non anche per i marchi, ora il codice invece ha generalizzato il rimedio. Sempre su richiesta di parte il giudice può ordinare il sequestro a spese dell’autore della violazione fino alla estinzione del titolo degli oggetti e dei mezzi di produzione, ed il titolare della proprietà industriale può richiedere che gli oggetti sequestrati siano aggiudicati ad un prezzo che verrà stabilito dal giudice in mancanza di accordo fra le parti. Relative contestazioni decide il giudice con ordinanza non soggetta a gravame. Nel processo di contraffazione il risarcimento del danno, liquidato secondo le disposizioni di cui agli artt. 1223, 1226 e 1227, c.c. costituisce una componente ineludibile, con una chiara funzione di reintegrazione del patrimonio del danneggiato (art. 125) (24). Le componenti di danno sono quelle tradizionali del danno patrimoniale (danno emergente e lucro cessante) e del danno non patrimoniale (danno morale), nella nuova accezione non più limitata alle sole ipotesi di reato ma collegato alla violazione di interessi costituzionalmente protetti. La ricostruzione del lucro cessante è sintetizzabile in diversi orientamenti: a) decremento del fatturato del titolare della privativa con perdita di profitto; b) riversamento o utile tratto dal contraffattore; c) giusto prezzo del consenso o royalty che il contraffattore avrebbe corrisposto se avesse chiesto ed ottenuto un contratto di licenza. La liquidazione del danno può avvenire anche in via equitativa ex art. 1226 c.c., ove non sia possibile determinarne il preciso ammontare. Da ultimo con la sentenza che accerta la violazione dei diritti di proprietà industriali, il giudice può ordinare la pubblicazione della sentenza o di una sua parte, ponendo le spese a carico del soccombente. Si tratta di una misura prevista già dall’art. 2600 c.c. in tema di concorrenza sleale e in via generale dall’art. 120 c.p.c. La sua funzione è prevalentemente preventiva rispetto a situazioni che potrebbero verificarsi in futuro, più che sanzionatoria (25). (22) In ossequio al principio della domanda di cui all’art. 212 c.p.c. tanto l’inibitoria quanto la distruzione sono adottate dal giudice su istanza di parte. (23) Il risarcimento del danno ha come precisa funzione la ricostituzione del patrimonio del danneggiato nell’ammontare che avrebbe avuto se non si fosse verificata la contraffazione, e non ha pertanto la funzione di deterrente. (24) Sulla funzione della pubblicazione del provvedimento giudiziale, non solo risarcitoria ma anche di informativa ai soggetti che operano sul mercato si veda Trib. Torino, ord. 18 febbraio 2004, in Le Sezioni Specializzate Italiane della proprietà industriale. Rassegna di giurisprudenza, I, 2004, p. 263. (25) I diritti oggetto di registrazione sono: i marchi, i disegni, i modelli, le topografie dei LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE di GINA GIOIA 10 Le attualità Completano la tutela sanzionatoria la previsione di sanzioni penali ed amministrative, ex art. 127. LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE di GINA GIOIA 5. – Tutela è apprestata anche contro i terzi che contestino o sfruttino il diritto industriale (26) dell’avente diritto (27). Questa volta, come detto, la cognizione appartiene al giudice ordinario. Il codice della proprietà industriale (come anche la normativa previgente), prevede alcune azioni che possono essere proposte da chi assume essere titolare dello sfruttamento del brevetto o del marchio. In particolare, la rivendica è l’azione concessa al titolare avente diritto per ottenere l’intestazione a proprio nome del titolo costitutivo del diritto di proprietà industriale (28). La rivendica è ammissibile solo se i diritti siano già incorporati in un titolo costitutivo o sia in corso il relativo procedimento amministrativo, perché diversamente non è configurabile né l’intestazione né il trasferimento in capo all’avente diritto. L’azione di rivendica opera diversamente a seconda che il titolo di proprietà industriale sia stato già rilasciato o meno all’usurpatore. Se il titolo di proprietà industriale, pur domandato, non sia stato ancora rilasciato, nei tre mesi dal passaggio in giudicato (29) della sentenza che accerti il diritto di registrazione o di brevetto, è dato a chi abbia con successo esperito l’azione giudiziaria, di assumere a proprio nome la domanda di brevetto o di registrazione, subentrando al richiedente, o alternativamente di depositare una nuova domanda di brevetto o di registrazione (registrazione o brevettazione a proprio nome). A una prima fase giudiziale di accertamento del diritto alla registrazione o al brevetto (rivendica), ne segue un’altra amministrativa di domanda all’UIBM. Gli effetti temporali della prima domanda restano salvi in entrambi i casi a condizione che, nel caso di presentazione di nuova domanda, il contenuto di questa non ecceda quello della prima domanda e si riferisca ad un oggetto sostanzialmente identico. Se, invece, il brevetto è già stato rilasciato o la registrazione effettuata in capo all’usurpatore, all’avente diritto è dato di rivendicare il suo diritto attraverso la richiesta di una sentenza che disponga il trasferimento a suo prodotti a semiconduttori, mentre quelli oggetto di brevettazione: le invenzioni, i modelli di utilità, le nuove varietà industriali. (26) Che è l’inventore per il brevetto e nel caso di riserva di registrazione, il soggetto creatore del diritto esclusivo. (27) Si vedano, in particolare: SPADA, Descrizione del trovato e rivendicazione di priorità unionista, in Riv. dir. impr., 1989, p. 489; DI CERBO, Brevetto (europeo) d’uso: modifica delle rivendicazioni e novità del trovato, in Foro it., IV, 1990, c. 311; SANDRI, Creazione del segno ed azione di rivendica di marchio, in Riv. dir. ind., II, 1988, p. 82. (28) L’esecutività della sentenza di primo grado, infatti, riguarda solo la condanna, per cui le sentenze di accertamento, come la revindica, per essere attuate devono attendere il passaggio in giudicato: cfr. CONSOLO, Commento alla riforma del processo civile, in CONSOLO, LUISO e SASSANI (a cura di), Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996, p. 266, secondo cui solo una previsione espressa di legge potrebbe superare questa interpretazione restrittiva, ed ivi anche i contrasti interpretativi sul punto. (29) La presenza solo eventuale del pm nelle cause di nullità contribuisce a stemperare il carattere pubblicistico del processo industriale. Le attualità 11 nome del brevetto oppure dell’attestato di registrazione sempre a far data dal deposito (trasferimento a proprio favore della registrazione o della brevettazione). In tal caso l’azione di rivendicazione (seguita naturalmente da una sentenza di accoglimento) è da sola sufficiente a soddisfare le esigenze dell’avente diritto, che non deve seguire un ulteriore procedimento amministrativo. Per cui, mentre nel primo caso ci troviamo di fronte a una sentenza di mero accertamento, in questa ipotesi il giudice sarà chiamato ad emanare una vera e propria sentenza costitutiva. La rivendicazione (fatta eccezione per i marchi, i disegni e i modelli) deve avvenire, a pena di decadenza, entro due anni dalla pubblicazione della concessione del brevetto o della concessione di registrazione. La tutela dell’avente diritto è completata dalla possibilità di ottenere, in via amministrativa, pendente il procedimento per il rilascio del brevetto o della registrazione, semplicemente il rigetto della domanda, o, se la privativa già concessa, ottenere, in via giurisdizionale, la nullità del brevetto o della registrazione concessi a nome di chi non ne ha diritto, o la sua decadenza. Dopo due anni dalla data di concessione del brevetto per invenzione, per modello di utilità per una nuova varietà vegetale, oppure dalla pubblicazione della concessione della registrazione della topografia dei prodotti a semiconduttori, se l’avente diritto non ha richiesto l’assunzione il trasferimento a suo nome del brevetto oppure dell’attestato di registrazione la nullità può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse. Lo stesso pubblico ministero è legittimato di ufficio a proporre la azione di nullità solo dopo due anni, ed il suo intervento, nella causa proposta da altri, non è più considerato come obbligatorio (30). Ciò significa che la mancata partecipazione dell’organo pubblico non impone al giudice di ordinarne la integrazione ex art. 102 c.p.c., e al giudice di appello di rimettere la causa al primo giudice ex art. 354 c.p.c. (31), con evidenti vantaggi per l’economia processuale. La legittimazione assoluta contraddistingue l’azione di nullità, sia pure solo dopo il decorso del biennio dalla pubblicazione della concessione del brevetto per invenzione, per modello di utilità, per nuova varietà vegetale. Al contrario la legittimazione relativa, tipica della annullabilità, informa (30) La sentenza emessa a contraddittorio non integro è nulla e/o inutiliter data. (31) Le ipotesi di nullità del marchio sono indicate nell’art. 25 del codice ed individuate nella mancanza di uno dei requisiti di cui all’art. 7, o in presenza di un impedimento di cui all’art. 12, se vi è contrasto con il disposto degli artt. 9, 10, 13, 14, comma 1°, e 19, comma 2°, se è in contrasto con l’art. 8 e nella ipotesi di cui all’art. 118, comma 3°, lett. b). I casi sono pertanto tipici e non suscettibili di interpretazione analogica. Le ipotesi di nullità cd. relativa, perché a legittimazione limitata, contestate in dottrina, si sono col tempo ampliate considerevolmente in conseguenza della sempre più estesa utilizzazione della nullità come rimedio a protezione dei contraenti deboli, basti pensare alla tutela del cliente nei contratti bancari o nei contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento artt. 117 e 124 d.lgs. 1 settembre 1993 n. 385, e gli artt. 23 e 24 d.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58, agli artt. 1469 quinques c.c. Queste ipotesi definite dalla dottrina nullità di protezione (GIOIA, Nuove nullità relative, in Contr. e impr., 1999, p. 1332) si distaccano spesso dal modello codicistico della nullità senza però che la relatività cancelli i profili ed i tratti della nullità. LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE di GINA GIOIA 12 LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE di GINA GIOIA Le attualità l’azione diretta ad ottenere la nullità di un marchio (32), di un disegno o modello, perché l’uso del marchio o del modello costituirebbe violazione di un diritto d’autore altrui. Queste azioni sono infatti proponibili solo dal titolare del diritto anteriore e non da chiunque ne abbia interesse. L’azione per far accertare la decadenza (33) è ricalcata sulla nullità relativa. In ogni caso, l’azione di nullità va proposta nel contraddittorio di tutti coloro che risultano annotati quali aventi diritto nella raccolta degli originali dei brevetti e nell’attestato originale di registrazione del marchio. Il contraddittorio va dunque integrato anche nei confronti dei titolari di diritti derivati (34) purché annotati nel relativo registro. Ad ogni modo, la sentenza che dichiari una decadenza o una nullità ha efficacia erga omnes, a prescindere dalla partecipazione al giudizio (art. 123). È, infine, prevista una peculiare formalità procedimentale costituita dall’invio, a cura di chi promuove il giudizio, di una copia dell’atto di citazione all’UIBM. Non si tratta di una integrazione del contraddittorio perché in questi giudizi l’UIBM non è parte; la formalità assolve una funzione di pubblicità: la conoscibilità ai terzi della pendenza della lite. L’omissione della formalità, tuttavia, non si traduce nella mera inopponibilità a terzi del giudizio, ma impedisce al giudice la decisione nel merito, operando a guisa di condizione di procedibilità (35). La funzione di pubblicità è completata dalla trasmissione all’UIBM della sentenza. L’obbligo della trasmissione dovrebbe riguardare ogni sentenza che, sia pure soltanto incidentalmente, riguarda la materia dei diritti industriali. Infine, al giudice ordinario è demandata la decisione ove sorga contestazione circa la titolarità del diritto e la legittimazione del richiedente la registrazione o la brevettazione (paternità, ex art. 119, anche in tal caso azione di accertamento) (36). 6. – La competenza a decidere su tutte le controversie in materia di diritto industriale è stata già affidata, in via esclusiva e funzionale, alle sezioni specializzate istituite – in attuazione della l. 12 dicembre 2002, n. 273 – dal d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168 (espressamente richiamato dall’art. 120 cod. propr. ind.) presso i Tribunali e le Corti Appello di Bari, Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia (37). (32) Le ipotesi di decadenza del marchio sono fissate tassativamente e coincidono con la volgarizzazione, per illiceità sopravvenuta e per non uso. Il brevetto per invenzione decade nel caso di mancato pagamento del diritto. (33) Si pensi ai titolari di un diritto di usufrutto o pegno oppure ai titolari di diritti meramente obbligatori, quali i licenziatari. (34) Non è detto quale sia il termine ultimo per il compimento della formalità, e si ritiene che non soggiaccia a termini preclusivi per l’istruttoria o le allegazioni, potendo essere svolta in qualsiasi momento precedente la decisione. (35) Come già visto, infatti, l’UIBM non verifica l’esattezza della designazione dell’inventore o dell’autore, né la legittimazione del richiedente. (36) In Francia ed in Germania è già stata sperimentata da anni l’istituzione di Corti distrettuali, con competenza a decidere in materia di proprietà industriale, che prevedono la partecipazione anche di esperti non togati. (37) L’art. 2 del d.lgs. n. 168/03 ha previsto che le sezioni – composte da un numero di giu- Le attualità 13 Si è voluto creare un giudice specializzato e qualificato – evitando al tempo stesso una competenza diffusa su tutto il territorio nazionale – a tutto vantaggio di una maggiore uniformità di indirizzi ermeneutici (38). In passato la gestione di siffatte liti era di competenza del Tribunale ordinario, in composizione collegiale o monocratica (a seconda che fosse necessaria o meno la presenza del p.m.) e per evitare un aggravio di lavoro, è stata mantenuta la competenza del giudice ordinario, nei procedimenti già pendenti alla data di entrata in vigore della legge (39). Sono attratte alla competenza funzionale (40) delle sezioni specializzate tutte le controversie di diritto industriale relative a titoli nazionali (brevetti, marchi, modelli di utilità ed ornamentali, disegni e varietà vegetali), titoli internazionali (marchio internazionale, brevetto internazionale, e brevetto europeo) titoli comunitari (marchi, modelli, disegni, privative vegetali comunitarie), le controversie riguardanti il diritto di autore, nonché le controversie aventi ad oggetto le topografie dei prodotti e semiconduttori, le indicazioni geografiche, le informazioni aziendali riservate (know-how), le controversie in materia di invenzioni dei dipendenti e dei ricercatori, ed infine le controversie in materia di indennità di espropriazione dei diritti di proprietà industriale (ove non rientrino nella giurisdizione del giudice amministrativo). Si dubita infine se siano devolute alla cognizione delle sezioni specializzate anche le controversie autonome in tema di ditta, emblema, ed altri segni distintivi. L’interpretazione estensiva pare preferirsi anche in considerazione dell’intento sistematico della previsione unitaria di tutti i diritti di proprietà industriale (41), contenuta nell’art. 1 del codice e che non può essere limitato all’aspetto sostanziale senza investire anche quello processuale. dici non inferiore a sei – decidano sempre in composizione collegiale ai sensi dell’art. 50 bis c.p.c. L’istruttoria è assegnata ad un magistrato componente il collegio. I componenti sono tutti togati, assegnati mediante concorsi interni, in funzione di specifiche attitudini; è stato respinto l’emendamento che voleva una composizione mista anche con membri laici, così come previsto in altri Paesi europei come in Germania, Svezia e Gran Bretagna, Svizzera. (38) Il termine giudizio non è da intendersi unitariamente fino al passaggio in giudicato, perché l’art. 245 norme transitorie del codice preveda la devoluzione alle sezioni specializzate dell’eventuale appello ad una decisione resa dal giudice ordinario. (39) La competenza funzionale implica che nel caso di cumulo di domande prevarrà il rito speciale rispetto a quello ordinario, ex art. 40, comma 5°, c.p.c. A proposito dell’ordine di prevalenza del rito: cfr. anche GIOIA, Sub Art. 1, in Processo societario, a cura di Sassani, Torino, 2003, p. 15 ss. La domanda proposta al giudice secondo il rito ordinario implica la trasmissione degli atti da parte di questi al Presidente del Tribunale, che provvederà a trasmetterli alla sezione specializzata. Se però presso quella sede di Tribunale non vi è una sezione specializzata, può essere esclusivamente sollevato il difetto di competenza nei termini di cui all’art. 183 c.p.c., decorsi i quali senza che l’eccezione venga rilevata, il vizio è definitivamente sanato. (40) Per una interpretazione estensiva fondata sulla ricostruzione sistematica e costituzionalmente orientata del d.lgs. n. 168/03 volta a ricomprendere tutte le materie e gli istituti di diritto industriale Trib. Napoli, ord. 26 marzo 2004, in Sez spec. P.I., I, 2004, p. 204; ibidem Trib. Roma, ord. 26 luglio 2004. A favore di una interpretazione restrittiva, invece, Trib. Milano, ord. 14 aprile 2004, in Sez. spec. P.I., 2004, p. 82 esclude che le azioni di concorrenza sleale per confusione, con riferimento alla imitazione servile di prodotti e alla violazione della correttezza professionale siano attratte alla competenza delle sezioni specializzate. (41) In questo senso Trib. Venezia, ord. 4 dicembre 2003, in Sez. spec. P.I., I, 2004, p. 161; Trib. Milano, ord. 14 aprile 2004, cit. LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE di GINA GIOIA 14 LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE di GINA GIOIA Le attualità La competenza delle sezioni specializzate si estende anche alle controversie connesse e, quindi, alle azioni in garanzia propria o impropria, alle domande riconvenzionali, alle azioni accessorie dipendenti dalla causa principale, che andranno attratte tutte alla competenza funzionale delle sezioni specializzate. In realtà i maggiori dubbi circa la competenza funzionale delle sezioni specializzate riguardano la concorrenza sleale. Sulla premessa che l’art. 3 d.lgs. n. 168/03 è norma di stretta interpretazione perché incidente sulle regole comuni di ripartizione degli affari tra gli organi giurisdizionali, si è ritenuto che la materia della concorrenza sleale sia attratta alla competenza delle sezioni specializzate solo ove si faccia contemporaneamente questione dei relativi strumenti di tutela riservati dall’ordinamento alla categoria della proprietà industriale. È stato aggiunto che è contraria alla volontà del legislatore equiparare la tutela reale della proprietà industriale alla tutela personale assicurata dalle norme della concorrenza sleale stante la diversità degli istituti suscettibili di concorrere solo quando la violazione dell’una sia ricollegabile all’altra. In breve in mancanza del coinvolgimento di uno specifico titolo di proprietà industriale si è escluso che si possa parlare di interferenza della concorrenza sleale con la materia della proprietà industriale e se ne è radicata la competenza in capo al giudice ordinario (42). In posizione diametralmente opposta si è invece osservato come la concorrenza sleale non è cosa diversa dalla proprietà industriale ed intellettuale, come depongono numerose convenzioni internazionali, tra cui la Convenzione dell’Unione di Parigi del 14 luglio 1957, il cui art. 1.2 recita che la protezione della proprietà industriale ha per oggetto anche la repressione della concorrenza sleale (43). Su questa premessa si è propugnata una interpretazione analogico-sistematica, costituzionalmente orientata, per estendere tendenzialmente alle sezioni specializzate la cognizione su tutte le materie e gli istituti industrialistici pur se non espressamente richiamati dalla legge istitutiva. Si è detto infatti che l’art. 3 d.lgs. n. 168/03 è norma suscettibile di applicazione analogica da interpretare in senso conforme alla Costituzione e alle norme sopranazionali. In verità non vi sono ragioni fondate per escludere dalla competenza delle sezioni specializzate l’intera materia della concorrenza sleale le cui fattispecie illecite ricomprendono, secondo la elencazione dell’art. 2598 c.c. l’uso di segni distintivi altrui, l’imitazione servile dei prodotti del concorrente, la denigrazione e l’appropriazione di pregi, la commissione di atti non conformi alla correttezza professionale, utilizzate in funzione di completamento delle azioni di contraffazione o in loro sostituzione. L’interpretazione estensiva è del resto confermata dalla lettera dell’art. (42) La tesi è di UBERTAZZI, Le sezioni specializzate in materia di proprietà industriale, in Riv. dir. ind., I, 2003, p. 219. Nella stessa direzione SCUFFI, Il codice della proprietà industriale, cit., p. 528. In giurisprudenza l’estensione della competenza delle sezioni specializzate all’intera concorrenza sleale è affermata da Trib. Roma 26 luglio 2004 cit. e Trib. Napoli 26 marzo 2004 cit. (43) Resta la cognizione della Corte di appello a sanzionare le intese restrittive e gli abusi di posizione dominante ex art. 2 l. 10 ottobre 1990, n. 287. Le attualità 15 134 del codice, che esclude dalla competenza delle sezioni le sole fattispecie che non interferiscano neppure indirettamente con l’esercizio della proprietà industriale, e ne include invece le controversie in materia di illeciti ai sensi della legge antitrust, l. n. 287/90, e delle regole comunitarie afferenti l’esercizio dei diritti di proprietà industriale (44). La violazione delle regole sulla competenza per materia porta a diverse conseguenze, a seconda che sia stato erroneamente adito il Tribunale ordinario presso cui è istituita una sezione specializzata o un Tribunale ordinario privo della sezione specializzata. Nel primo caso il giudice adito può limitarsi a trasmettere gli atti al Presidente del Tribunale per l’assegnazione alla sezione specializzata, previo mutamento del rito, trattandosi di una questione di distribuzione interna ad un medesimo ufficio giudiziario, del quale la sezione è una semplice articolazione. Nella seconda ipotesi, invece, l’errore opera come difetto di competenza ed inevitabilmente dovrà essere rilevato, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza di trattazione ex art. 38 c.p.c., dopodichè si consoliderà definitivamente e non potrà essere più dedotto il vizio in appello. Per ciò che attiene, invece, alla competenza territoriale sono previsti alternativamente 4 fori generali concorrenti a scelta dell’attore: residenza, domicilio del convenuto, dimora (ove sconosciuti i primi due), domicilio eletto prevalente su tutti; due fori successivamente concorrenti: domicilio e residenza dell’attore che operano in assenza di quelli generali; un foro generale (Roma) in assenza dei primi due. Il legislatore delegato ha uniformato anche il rito della privativa a quello societario, ex art. 134, comma 1° e 2°. Nel passato, per materie identiche coesistevano due riti: quello della decisione collegiale in ogni caso in cui fosse obbligatorio l’intervento del pm, vale a dire nelle ipotesi di azioni di nullità o decadenza della privativa, ex art. 50 bis c.p.c.; quello dell’ex rito pretoriale, negli altri casi in cui la decisione era affidata al Tribunale in composizione monocratica. Nei rapporti di giurisdizione tra vari Stati l’autorità giudiziaria italiana conosce di tutte le azioni in materia di proprietà industriale, qualunque sia la cittadinanza, il domicilio e la residenza delle parti. A norma dell’art. 22 reg. n. 44/01, che regola la giurisdizione e l’esecuzione delle decisioni nei rapporti tra i Paesi dell’Unione europea, la giurisdizione in materia di registrazione o validità del brevetto, marchi, disegni, modelli, ed altri analoghi diritti, per i quali è previsto il deposito ovvero la registrazione, compete all’autorità giudiziaria dello Stato in cui è stato richiesto od effettuato il deposito o la registrazione (principio della territorialità) (45). Sui titoli comunitari la giurisdizione appartiene al Tribunale di I grado e alla Corte di giustizia europea – come prevedono i regolamenti istitutivi (46) – che vengono investiti per effetto dell’impugnazione delle decisio(44) Proprio in base a tale principio il Trib. di Milano con sentenza emessa il 26 ottobre 2000 ha respinto le cd. Torpedo attivate con azione di accertamento negativo della contraffazione del brevetto europeo in altri paesi. (45) Reg. CE 40/94 e reg. CE 6/02. (46) La giurisprudenza intende arginare, così, il fenomeno del forum shopping, sul punto GIOIA, L’emersione del domicilio dell’autore quale « forum commisi delitis » nella lesione di diritti assoluti « delocalizzati », in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2004, p. 231. LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE di GINA GIOIA 16 LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE di GINA GIOIA Le attualità ni emesse dalle Commissioni ricorso dell’UAMI di Alicante (ufficio comunitario per l’armonizzazione del mercato interno). Sui titoli internazionali, invece, la giurisdizione appartiene al giudice nel cui Stato esplicano gli effetti che si invocano, per cui il giudice italiano conoscerà della frazione nazionale della privativa. Diversamente dalle azioni di nullità e decadenza che involgono questioni di validità del marchio e del brevetto, le azioni di contraffazione possono essere proposte sia dinanzi l’autorità giudiziaria del convenuto (forum rei), sia dinanzi quella del forum commissi delicti (inteso secondo le interpretazioni più recenti, come il luogo in cui la condotta dannosa è stata posta in essere (47)). Naturalmente, si tratta di un foro alternativo con quello dello Stato in cui il convenuto ha il domicilio o la sua stabile organizzazione, in mancanza del foro dove l’attore ha il domicilio o la sua stabile organizzazione, in mancanza del foro dove ha sede l’UAMI, così come stabilito dai reg. 40/94 e 6/02, che rinviano alle convenzioni di Bruxelles e di Lugano. Il reg. CE 44/01 attribuisce la giurisdizione al giudice del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire (legittimando le azioni in prevenzione), ed esclude il criterio del forum commissi delicti per le azioni di accertamento negativo della contraffazione (48). L’art. 28 reg., infine, prevede che, qualora più cause di contraffazione siano pendenti dinanzi ad autorità giudiziarie di Stati contraenti diversi, su istanza di parte, il giudice successivamente adito può sospendere la causa, a condizione che la legge interna consenta la riunione dei procedimenti e che il giudice preventivamente adito sia competente a conoscere di entrambe le domande (49). Dinanzi ad un unico giudice nazionale è possibile che siano proposte più frazioni di uno stesso titolo destinati a produrre effetti in diversi Paesi con valenza, cd. cross border, in più Stati europei (50). L’art. 31 reg. sembrerebbe attribuire la decisione sui procedimenti cautelari a qualunque giudice dell’Unione, anche se il merito sia di competenza di altro giudice. L’interpretazione restrittivo-correttiva della Corte (47) In senso contrario la Suprema Corte ha statuito che la domanda di accertamento negativo non risente della deroga alla giurisdizione del giudice del luogo del danno, non presupponendo essa un evento dannoso e quindi non essendo funzionale all’accertamento del danno: Cass., sez. un., 19 dicembre 2003, n. 19550, in Dir. ind., 2004, p. 429, con nota di FRANZOSI. (48) Sulla litispendenza internazionale: GIOIA, Regolamento di giurisdizione per far dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice italiano chiesto dal cittadino italiano, in Int’lis, in corso di pubblicazione. (49) I provvedimenti transfrontalieri cd. cross-border sono espressione di un potere inibitorio esercitato sul territorio di ciascuno Stato membro che trova il loro precedente nelle proihibitory injunctions emesse dai giudici olandesi a tutela dei brevetti europei. L’esigenza sottesa è quella di evitare tanti procedimenti quanti erano gli Stati coinvolti da tale contraffazione. L’unico precedente adesivo della giurisprudenza italiana è dato dal Tribunale di Bolzano del 22 aprile 1998 che, in tema di protezione della indicazione geografica Speck del Sud Tirolo, ha emesso inibitoria ex art. 700 c.p.c. nei confronti del produttore italiano e del distributore austriaco con efficacia in Austria ed in Germania. La giurisprudenza pressoché unanime, invece, ritiene che ogni atto di contraffazione del brevetto europeo – non essendo un titolo unitario – va valutato alla stregua della legislazione interna cui resta soggetta ciascuna frazione trattandosi di autonomo illecito che si verifica nel momento e nel luogo in cui è prodotto: App. Milano, 23 ottobre 2003. (50) Corte giust. CE, 17 novembre 1998, C 3917-95, in Racc., I, 1998, p. 7091. Le attualità 17 di giustizia aveva già riguardato la Convenzione di Bruxelles, tanto è vero che per radicare la competenza cautelare richiede l’esistenza di un effettivo nesso di collegamento con il provvedimento richiesto (51). 7. – Il diritto industriale si informa alla regola iuris di cui all’art. 2697 c.c. Il codice in parte qua riprende il brocardo dell’onus probandi incumbit qui dicit. Infatti è chi impugna il brevetto o il marchio onerato di provare la nullità o la decadenza, mentre l’onere di provare la contraffazione grava sul titolare del diritto. Risultano invocabili le presunzioni sempre che siano assistite dai caratteri della precisione, gravità e della concordanza. La novità istruttoria sembra, invece, riguardare il recepimento della discovery che assolve una duplice funzione, probatoria e repressiva. L’istituto, di importazione anglosassone, in funzione squisitamente probatoria, consente alla parte di richiedere al giudice di ordinare all’altra parte l’esibizione, ovvero rendere l’interrogatorio per fornire le informazioni richieste, ed utili ai fini del processo. Tale strumento è azionabile a condizione che la parte richiedente fornisca al giudice seri indizi di fondatezza della domanda e indichi utili elementi in possesso della controparte. L’analisi della disciplina positiva e la comparazione con altri istituti già presenti nel nostro ordinamento, a ben vedere, riducono il novum della discovery. Così come tradotta nel nostro ordinamento, infatti, l’istituto è ricalcato sull’ordine di esibizione o di richiesta di informazione di cui agli artt. 210-213 c.p.c. Il metodo di acquisizione probatoria non si discosta da quello dell’art. 210 c.p.c., ovvero dell’interrogatorio. Nessuna sanzione è prevista per l’inosservanza dell’ordine del giudice, né l’ordine è suscettibile di esecuzione coattiva. L’ingiustificato rifiuto di rendere le informazioni può, al più, costituire argomento di prova ex art. 116 c.p.c., ma non costituisce ammissione dei fatti (52). Le esigenze istruttorie e di giustizia sottese all’istituto devono contemperarsi con la necessità di tutelare la riservatezza. Nell’assolvimento della funzione probatoria, pertanto, l’elemento innovativo appare essere terminologico più che sostanziale. Diversamente la portata innovativa va riconosciuta nell’utilizzo della discovery in funzione repressiva. Si tratta di uno strumento per acquisire conoscenze sulla contraffazione utilizzabili dal titolare dell’esclusiva anche al di fuori del processo in cui siano stati raccolti al fine di perseguire terzi responsabili di ulteriori condotte, con possibilità di ottenere la chiamata in corresponsabilità. Tale congegno appare, tuttavia, di difficile praticabilità e si scontra con il rito societario, che vede precluso ogni ulteriore impulso istruttorio dopo la notificazione dell’istanza di fissazione dell’udienza davanti al giudice (art. 10 d.lgs. n. 5/03), laddove, invece, sif- (51) L’interrogatorio previsto non è infatti assimilabile a quello formale ma piuttosto al libero interrogatorio. (52) Né pare invocabile l’istituto della rimessione in termini di cui all’art. 184 bis c.p.c. posto che non c’è da riparare ad una decadenza intervenuta. LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE di GINA GIOIA 18 LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE di GINA GIOIA Le attualità fatte chiamate in corresponsabilità presuppongono uno stato avanzato dell’istruttoria (53). Dubbi sono stati posti sull’applicabilità al rito cautelare della discovery, soprattutto in considerazione dei seri indizi di fondatezza della domanda, che costituiscono un quid pluris rispetto a quel fumus su cui la cautela è delibata (54). Una importante deroga al rigido sistema preclusivo proprio del rito societario è rappresentato dalla possibilità rimessa al CTU di ricevere nuovi documenti, inerenti ai quesiti posti dal giudice, per il tramite del CTU. Il temperamento normativo probabilmente accoglie l’indirizzo giurisprudenziale, da ultimo mutato (55) che consentiva la produzione di nuovi documenti anche in appello. Una riflessione sull’attività giurisdizionale e sui mezzi istruttori previsti nel codice della proprietà industriale non può prescindere dalla descrizione e dal sequestro disciplinati rispettivamente dagli artt. 128 e 129. Si tratta di misure con una spiccata finalità probatoria, anche se nel sequestro risalta ictu oculi una finalità interdettale, dal momento che non si limita ad acquisire elementi di prova relativi alla violazione, ma impedisce anche la circolazione degli oggetti su cui la misura incide (56). Entrambi i rimedi sono espressioni del principio di protezione delle prove posto dall’art. 7, dir. CEE 2004/98. Su richiesta delle parti, gli Stati membri devono assicurare celeri misure giudiziarie per la protezione provvisoria di prove pertinenti l’asserita violazione. La descrizione si avvicina molto all’accertamento tecnico preventivo, il sequestro, invece, alla misura di cui all’art. 670 c.p.c., vale a dire al sequestro giudiziario (57). Gli effetti della descrizione sono, però, molto più invasivi rispetto all’accertamento tecnico preventivo. Questa si attua con una esecuzione coattiva con potere di accesso dell’ufficiale giudiziario nei luoghi in cui (53) In questi termini SALAFIA, Osservazioni conclusive, in Adeguamento della legislazione nazionale agli accordi TRIPs e procedimenti cautelari in materia di proprietà industriale, p. 44, così anche Trib. Torino, ord. 26 novembre 2003, in Dir. ind., III, 2004, p. 228 in cui è stata esclusa l’applicabilità della discovery nel giudizio cautelare proprio perché quest’ultimo è caratterizzato da una pregnanza probatoria più sfumata. (54) Le Sezioni unite, con le decisioni n. 8202/05 e 8203/05, con un revirement giurisprudenziale, hanno statuito il divieto di produrre nuovi documenti in appello, con una equiparazione, sotto tale aspetto, tra le prove costituite e quelle costituende. (55) Il sequestro è un mezzo ablativo volto a congelare i prodotti contraffatti e le macchine, che impedisce la vendita e al tempo stesso assicura la prova del loro impiego in assunta violazione della privativa. (56) In verità, la funzione probatoria comunque insita nel sequestro sembrerebbe avvicinarlo a quella sottospecie del sequestro giudiziario che è il sequestro di prove di cui all’art. 670 c.p.c. (57) Gli elementi di prova che possono essere acquisiti riguardano la documentazione tecnica, ma anche contabile. L’ufficiale giudiziario, affiancato dal consulente d’ufficio si recherà nei luoghi ove si trovano i documenti e li deterrà per il tempo necessario ad estrarne copia. Il tutto, naturalmente, nel rispetto del principio di riservatezza, anche attraverso la segregazione dei documenti ottenuti. Le attualità 19 si trovano gli oggetti da descrivere e, quindi, una irruzione nella sfera giuridica altrui (58) che l’ATP non conosce. Il procedimento si introduce con ricorso al Presidente della sezione specializzata (59), il quale fissa con decreto l’udienza di comparizione ed i termini per la notifica del ricorso e del pedissequo decreto. Assunte sommarie informazioni, lo stesso Presidente provvede con ordinanza non impugnabile al rigetto della misura o al suo accoglimento. In questo ultimo caso, indica anche le misure per tutelare le informazioni riservate ed autorizza l’eventuale prelevamento di campioni degli oggetti controversi. Il Presidente quando la convocazione della controparte può pregiudicare l’attuazione del provvedimento può provvedere anche inaudita altera parte. Il procedimento è funzionalmente connesso al merito della causa, tant’è che, diversamente da quanto previsto per l’ATP, nel caso di accoglimento della domanda, l’ordinanza presidenziale deve fissare un termine per l’inizio del merito (qualora questo non sia ancora iniziato), non rispettato il quale l’ordinanza diviene inefficace (60). Probabilmente (61), è proprio la previsione di un’attività invasiva della sfera giuridica altrui, costituita dall’accesso dell’ufficiale giudiziario sui luoghi in cui si trovano i beni, a giustificare l’obbligatoria fase di merito (62). Il procedimento di sequestro degli oggetti costituenti violazione del diritto di proprietà industriale è, per espressa previsione di rinvio, quello del cautelare uniforme art. 669 bis ss. c.p.c. Il sequestro, tuttavia, è non solo uno strumento con finalità probatorie, ma è connotato da forti caratteristiche cautelari, in quanto blocca gli oggetti che producono l’illecito e ne impedisce la perpetuazione (63). Tale misura, inoltre, assume valere definitivo (e non più cautelare), ove si accompagni alla sentenza che accoglie la domanda (64). Disposizioni comuni sono, infine, dettate dall’art. 130 per la fase attuativa della descrizione e del sequestro, che avviene tramite ufficiale giudiziario, che può avvalersi di periti e degli opportuni mezzi tecnici di accer- (58) Vi è così una deroga alla regola della competenza ante causam del cautelare che invece appartiene sempre al giudice competente per il merito. (59) L’inefficacia consegue anche alla mancata esecuzione del provvedimento nel termine ex art. 675 c.p.c., vale a dire entro trenta giorni dalla pronuncia. (60) In tal senso SCUFFI, in Commentario al Codice della proprietà Industriale, a cura di Scuffi, Franzoni, Fittante, Milano, 2005, p. 590. (61) La norma, sempre in questa ottica, prevede che il giudice possa affiancare al provvedimento di accoglimento una cauzione, ex art. 669 undecies c.p.c. (62) La dir. 2004/98 ha demandato agli Stati membri la previsione di una misura cautelare che possa garantire il recupero del credito risarcitorio del titolare della privativa, violata a livello comunitario da chi si riveli insolvibile, attraverso il sequestro conservativo di beni mobili o immobili del presunto autore della violazione compreso il blocco dei suoi conti bancari e di altri averi. (63) Il sequestro trova un limite e non può involgere oggetti che si trovino presso una esposizione ufficiale, i quali possono essere solo sottoposti a descrizione. (64) L’art. 124, a proposito dell’esecuzione delle sanzioni civili inflitte con la sentenza che accerti la violazione della privativa, affida al giudice che ha emesso la sentenza la decisione sulle contestazioni che sorgono nell’esecuzione delle misure inflitte. LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE di GINA GIOIA 20 LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE di GINA GIOIA Le attualità tamento, nel rispetto del contraddittorio, ma l’attività deve compiersi entro trenta giorni dal provvedimento. Ad ogni modo, anche per l’attuazione, almeno per il sequestro, opera anche il rinvio espresso all’art. 669 duodecies c.p.c., laddove le regole dettate dall’art. 130 non siano esaustive (65). La descrizione e il sequestro possono riguardare anche oggetti appartenenti a soggetti non identificati nel ricorso. La necessità di assicurare a questi terzi una tutela piena, impone in tal caso di notificare loro il ricorso, il provvedimento del giudice ed il verbale delle operazioni di descrizione e di sequestro, nei 15 giorni successivi all’emissione del provvedimento, pena l’inefficacia della misura. Al terzo sarà consentito di reagire con la revoca e/o modifica prevista dagli art. 669 decies c.p.c., o con il reclamo previsto dall’art. 669 terdecies c.p.c., a seconda della doglianza che intenda muovere. 8. – La tipica misura cautelare del diritto industriale è l’inibitoria, caratterizzata da una finalità squisitamente preventiva tesa ad evitare la reiterazione di attività illecite. La differenza rispetto alla inibitoria definitiva è strutturale. L’inibitoria cautelare è accordata per congelare una situazione nelle more del processo; l’altra, di merito, è un provvedimento di cessazione definitiva, che viene adottato a conclusione della cognizione piena, onde prevenire il prodursi dell’ulteriore danno (66). L’inibitoria cautelare si sostanzia in un ordine negativo di non facere, eventualmente accompagnata, come del resto quella di merito, da una penalità di mora per il ritardo nell’attuazione del provvedimento (67). La inibitoria assume la forma della ordinanza e segue il rito cautelare uniforme, ex art. 669 bis c.p.c., ss. Oltre alla inibitoria dell’uso del nome a dominio aziendale illegittimamente registrato, l’autorità giudiziaria può disporre, in via cautelare, anche il loro trasferimento provvisorio (art. 133). All’inibitoria cautelare può accompagnarsi una vera e propria astreinte, piuttosto estranea al nostro ordinamento. Il giudice, infatti, può sta- (65) Tale inibitoria è espressamente prevista dall’art. 124, che la inquadra nelle sanzioni civili che si accompagnano alla sentenza che accerti la violazione di un diritto di proprietà industriale, quali (oltre all’inibitoria), l’astreinte, la distruzione (o rimozione) delle cose costituenti la violazione (ove ciò non rechi pregiudizio all’economia nazionale), l’assegnazione in proprietà al titolare del diritto degli oggetti prodotti importati o venduti in violazione e dei mezzi specifici che servono a produrli, il sequestro degli stessi (con consegna alla scadenza dell’esclusiva). (66) La funzione della penalità di mora non è risarcitoria ma dissuasiva dal ripetere condotte violate dalla legge, avvicinabile alle astreintes francesi o al contemp of court anglosassone. (67) In verità il principio di estendere la legittimazione alla misura cautelare anche in capo a chi vantasse una aspettativa qualificata era già previsto dall’art. 83 bis introdotto con d.p.r. n. 338/79. Il d.lgs. n. 480/92 aveva ulteriormente ampliato la tutela provvisoria, ricomprendendovi oltre al marchio registrato quello in via di registrazione. Le attualità 21 bilire una somma dovuta per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata e per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Questa somma non rappresenta, infatti, la liquidazione preventiva del danno (alla stregua di una penale), ma un modo di coazione all’adempimento. Lo spazio del residuale rimedio di cui all’art. 700 c.p.c., in presenza di un rimedio come la inibitoria (tipica) a contenuto adattabile, ex art. 131, e del provvedimento cautelare di cui all’art. 133, è sicuramente ridotto ma non soppresso, soprattutto per ordini a contenuto positivo in funzione ripristinatoria-restitutoria, non tipicamente previsti. La tutela cautelare, che si completa con gli istituti della descrizione e del sequestro di cui ci siamo occupati in funzione probatoria, ha una particolarità assoluta nel nostro ordinamento, perché è invocabile non solo a tutela di diritti di proprietà industriale già concessi, ma anche a tutela provvisoria, pendente la domanda amministrativa, vale a dire prima del rilascio dell’attestato (art. 132). Ciò significa che la protezione cautelare non è limitata al solo diritto soggettivo incorporato nella privativa, ma si estende anche ad una situazione di semplice interesse, una chance, seppure prodromica al rilascio di tale diritto (68). Come già accennato, i mezzi cautelari possono essere chiesti al giudice italiano per tutelare i titoli comunitari e europei, con efficacia extraterritoriale. 9. – Alle controversie in materia di proprietà industriale e di concorrenza sleale si applica il rito societario, quand’anche le fattispecie interferiscano solo indirettamente con l’esercizio dei diritti di proprietà industriale, e la cognizione è devoluta, come si è visto, alle sezioni specializzate, anche quando attiene alla indennità di esproprio dei diritti di proprietà industriale, di cui conosce il giudice secondo il rito ordinario. Del pari alla competenza delle sezioni specializzate e, quindi, con il rito societario sono trattate le invenzioni dei dipendenti, ivi comprese quelle del lavoro pubblico privatizzato (69). Il processo consta pertanto di tre fasi. Una dedicata allo scambio degli atti introduttivi, che sono costituiti dall’atto di citazione (privo della comparizione ad udienza fissa) e dalla comparsa di costituzione, e dalle eventuali repliche. La seconda fase, preparatoria dell’udienza, inizia con il deposito della istanza di fissazione dell’udienza, che segna la maturazione delle preclusioni, e si conclude con la fissazione della udienza collegiale con decreto del Presidente. Il contenuto del decreto non è limitato alla fissazione della comparizione delle parti, ma contiene anche l’indicazione delle questioni di merito e di rito non rilevabili di ufficio, quelle relative alla integrità del contraddittorio, la rinnovazione della notificazione dell’atto di citazione, l’ammissione dei mezzi istruttori e la eventuale compa- (68) Nel passato si riteneva che la competenza sulle invenzioni dei dipendenti fosse del giudice del lavoro e seguisse il rito di cui all’art. 409 c.p.c. (69) Si veda in proposito anche la modifica al codice di procedura civile ad opera della l. n. 80/05, che introduce i provvedimenti anticipatori ad effetti stabili. LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE di GINA GIOIA 22 LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE di GINA GIOIA Le attualità rizione delle parti, la fissazione di un termine per le memorie conclusionali. La terza fase, istruttoria-decisionale, è caratterizzata dalla udienza collegiale, in cui la causa è discussa e decisa. Il modello decisorio è quello dell’art. 281 sexies c.p.c. con lettura del dispositivo in udienza, in alternativa la decisione non è immediata ma procrastinata a 30 gg. in caso di particolare complessità. Il giudizio di appello non differisce da quello ordinario. La citazione è a udienza fissa, il termine per impugnare è di 30 giorni, e viene recepito a livello legislativo l’orientamento giurisprudenziale prevalente secondo cui alla mancata espressa indicazione di specifiche censure consegue la inammissibilità dell’appello. La struttura del giudizio è collegiale. Il rito cautelare, a differenza del rito ordinario, non si contrappone al procedimento uniforme voluto dal codice di procedura civile. Permane l’impianto bifasico, è ammessa la revoca, la modifica, e il reclamo al collegio. Di particolare importanza è la previsione all’udienza di comparizione del cautelare della possibilità per il giudice di definire con sentenza ex art. 281 sexies anche il merito della causa, previo invito alla precisazione delle conclusioni e discussione della causa. Ma l’innovazione più significativa riguarda l’allentamento del nesso di strumentalità tra cautelare e merito. È stata esclusa l’applicabilità dell’art. 669 octies c.p.c. per cui si consente al cautelare di mantenere gli effetti, ancorché non definitivi, a prescindere dalla instaurazione del merito. In altri termini, la misura cautelare non esige più che debba seguire un processo a cognizione piena, ma il provvedimento conserva i suoi effetti, salvo il reclamo, la revoca e/o la modifica, fino a quando una delle parti non intenda proseguire la lite instaurando il relativo giudizio. La resistenza autonoma del cautelare riguarda però il provvedimento di urgenza, le inibitorie ex art. 131 (70), ma non anche quelli conservativi come la descrizione. 10. – Il diritto industriale conosce la pubblicità dichiarativa e quella costituiva. La pubblicità dichiarativa, che ha la funzione di dichiarare il fatto o il negozio giuridico per renderlo opponibile ai terzi, si attua con il sistema della trascrizione, gestita dall’UIBM. Il regime giuridico è modellato sul sistema della trascrizione immobiliare ex art. 2643 ss. c.c. In buona sostanza, tutti gli atti costitutivi, modificativi ed estintivi, tanto in materia di invenzioni brevettate quanto sui marchi registrati sono soggetti a trascrizione. La legge sul diritto d’autore, invece, non prevede la trascrizione per cui il conflitto tra più aventi causa resta regolato secondo le regole dettate dal codice civile in materia di beni mobili e contratti (artt. 1155 e 1380 c.c.) (71). (70) Per quanto attiene alla forma degli atti traslativi, eccezion fatta per i titoli comunitari per i quali l’art. 17.23 del regolamento prevede la forma scritta ad substantiam, vige il principio della libertà delle forme per cui il negozio traslativo del diritto o di cessione in godimento dello stesso può essere concluso anche per facta concludentia. (71) Il provvedimento ablatorio può essere adottato anche in pendenza della procedura di registrazione e brevettazione. Le attualità 23 La trascrizione quindi non ha una funzione costitutiva del diritto che si perfeziona, invece, con la brevettazione e la registrazione, ma si limita a rendere opponibile a terzi l’atto trascritto per dirimere i conflitti tra più acquirenti dello stesso diritto di privativa aventi causa dal medesimo autore. 11. – I marchi e brevetti sono beni mobili registrati assoggettabili ad esecuzione forzata. L’esecuzione, disciplinata dal codice, richiama la disciplina della esecuzione mobiliare presso il debitore, integrato dalla previsione della trascrizione del pignoramento. L’esecuzione forzata è diretta dal giudice dell’esecuzione e dinanzi a tale organo sono proponibili le opposizioni di cui agli artt. 615, 617 e 619 c.p.c. Per la vendita e l’aggiudicazione dei diritti non vi sono deroghe alla disciplina ordinaria, e l’aggiudicatario del diritto acquista il diritto di ottenere la cancellazione delle trascrizioni dei diritti di garanzia. I diritti di proprietà industriale possono, inoltre, essere espropriati per pubblica utilità, ad eccezione dei diritti sui marchi (72). L’esproprio può essere giustificato solo da un interesse di difesa militare o più in generale da un pubblico interesse. L’espropriazione è adottata con d.p.r., su proposta del Ministro competente, e nel decreto è fissata l’indennità di esproprio. La giurisdizione esclusiva avverso il decreto di esproprio è del Tar con il rito di cui all’art. 23 bis l. n. 1034/71. Le controversie relative alle indennità di esproprio sono invece devolute alla cognizione delle sezioni specializzate, per espressa previsione dell’art. 134. Di particolare interesse è la previsione della determinazione, nel decreto, della indennità, individuata nel valore di mercato della invenzione. Il decreto è, infine, soggetto a una forma di pubblicità tramite l’annotazione nel UIBM. 12. – Nell’evidente finalità repressiva e preventiva è stata istituzionalizzata, nell’art. 144, una forma di contraffazione aggravata e continuata (cd. pirateria). La terminologia è mutuata dalla proprietà industriale, nello specifico settore audiovisivo e di internet. Gli atti di pirateria sono definiti come le contraffazioni, le usurpazioni di altrui diritti industriali, perpetrate dolosamente in modo sistematico. La fattispecie è integrata solo dalla coscienza e volontà di compiere in modo sistematico, vale a dire continuato nel tempo, atti di contraffazione e di usurpazione di diritti di proprietà industriale altrui. Nella delimitazione legislativa dell’istituto, pertanto, l’elemento soggettivo, dovrà informare non solo la singola condotta di contraffazione, ma riguardare gli atti nella complessità e nella sistematicità. Ciò significa che la coscienza di compiere un unico atto contraffattivo non integra la pirateria. (72) Nel passato l’indennità, sempre necessaria ex art. 42, comma 3°, Cost., poteva essere determinata in un secondo momento. LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE di GINA GIOIA 24 Le attualità L’impianto sanzionatorio nella stesura del codice prevede, agli artt. 147-153 misure contro la pirateria, in attuazione del reg. CE n. 1383/03. In verità le misure cd. di frontiera, più di ogni altra, rappresentano metodi di protezione e di lotta al fenomeno, soprattutto in considerazione delle dimensioni sopranazionali assunte dal fenomeno (73). GINA GIOIA LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE di GINA GIOIA (73) Tali misure sono state espunte dal codice e trovano collocazione nel diritto doganale e nei regolamenti CE. Le vicende relative al passaggio alla frontiera di merci contraffatte possono investire la cognizione del giudice ordinario, civile o penale, del giudice amministrativo, e sia pure, incidentalmente anche delle Commissioni tributarie, cui è stata affidata la giurisdizione su ogni tributo dal riformulato art. 2 d.lgs. n. 547/92. L’Autorità doganale può di ufficio iniziare la procedura di sorveglianza in occasione del controllo delle merci alla frontiera, dandone immediata comunicazione al titolare del diritto contraffatto per consentirgli di attivare il procedimento. Il procedimento è finalizzato al blocco. DECRETO LEGISLATIVO 10 FEBBRAIO 2005, N. 30, “Codice della proprietà industriale, a norma dell’articolo 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273” pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 52 del 4 marzo 2005 - Supplemento Ordinario n. 28 Omissis Capo III TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI DI PROPRIETÀ INDUSTRIALE Sezione I DISPOSIZIONI PROCESSUALI Art. 117. Validità ed appartenenza 1. La registrazione e la brevettazione non pregiudicano l’esercizio delle azioni circa la validità e l’appartenenza dei diritti di proprietà industriale. Art. 118. Rivendica 1. Chiunque ne abbia diritto ai sensi del presente codice può presentare una do- manda di registrazione oppure una domanda di brevetto. 2. Qualora con sentenza passata in giudicato si accerti che il diritto alla registrazione oppure al brevetto spetta ad un soggetto diverso da chi abbia depositato la domanda, questi può, se il titolo di proprietà industriale non è stato ancora rilasciato ed entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza: a) assumere a proprio nome la domanda di brevetto o la domanda di registrazione, rivestendo a tutti gli effetti la qualità di richiedente; b) depositare una nuova domanda di brevetto oppure di registrazione la cui decorrenza, nei limiti in cui il contenuto di essa non ecceda quello della prima domanda o si riferisca ad un oggetto sostanzialmente identico a quello della prima domanda, risale alla data di deposito o di priorità della domanda iniziale, la quale cessa comunque di avere effetti; depositare, nel caso del marchio, una nuova domanda di registrazione la cui decorrenza, nei limiti in cui il marchio contenuto in essa sia sostanzialmente identico a quello della prima domanda, risale alla data di deposito o di priorità della domanda iniziale, la quale cessa comunque di avere effetti; c) ottenere il rigetto della domanda. 3. Se il brevetto è stato rilasciato oppure 25 Le attualità la registrazione è stata effettuata a nome di persona diversa dall’avente diritto, questi può in alternativa: a) ottenere con sentenza il trasferimento a suo nome del brevetto oppure dell’attestato di registrazione a far data dal momento del deposito; b) far valere la nullità del brevetto o della registrazione concessi a nome di chi non ne aveva diritto. 4. Decorso il termine di due anni dalla data di pubblicazione della concessione del brevetto per invenzione, per modello di utilità, per una nuova varietà vegetale, oppure dalla pubblicazione della concessione della registrazione della topografia dei prodotti a semiconduttori, senza che l’avente diritto si sia valso di una delle facoltà di cui al comma 3, la nullità può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse. 5. La norma del comma 4 non si applica alle registrazioni di marchio e di disegni e modelli. 6. Salvo l’applicazione di ogni altra tutela, la registrazione di nome a dominio aziendale concessa in violazione dell’articolo 22 o richiesta in mala fede, può essere, su domanda dell’avente diritto, revocata oppure a lui trasferita da parte dell’autorità di registrazione. Art. 119. Paternità 1. L’Ufficio italiano brevetti e marchi non verifica l’esattezza della designazione dell’inventore o dell’autore, né la legittimazione del richiedente, fatte salve le verifiche previste dalla legge o dalle convenzioni internazionali. Dinnanzi l’Ufficio italiano brevetti e marchi si presume che il richiedente sia titolare del diritto alla registrazione oppure al brevetto e sia legittimato ad esercitarlo. 2. Una designazione incompleta od errata può essere rettificata solanto su istanza corredata da una dichiarazione di consenso della persona precedentemente designata e, qualora l’istanza non sia presentata dal richiedente o dal titolare del brevetto o della registrazione, anche da una dichiarazione di consenso di quest’ultimo. 3. Se un terzo presenta all’Ufficio italiano brevetti e marchi una sentenza esecutiva in base alla quale il richiedente o il titolare del brevetto o della registrazio- ne è tenuto a designarlo come inventore o come autore l’Ufficio, lo annota sul registro e ne dà notizia nel Bollettino Ufficiale. Art. 120. Giurisdizione e competenza 1. Le azioni in materia di proprietà industriale i cui titoli sono concessi o in corso di concessione si propongono dinnanzi l’autorità giudiziaria dello Stato, qualunque sia la cittadinanza, il domicilio e la residenza delle parti. Se l’azione di nullità è proposta quando il titolo non è stato ancora concesso, la sentenza può essere pronunciata solo dopo che l’Ufficio italiano brevetti e marchi ha provveduto sulla domanda, esaminandola con precedenza rispetto a domande presentate in data anteriore. 2. Le azioni previste al comma 1 si propongono davanti all’autorità giudiziaria del luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio e, se questi sono sconosciuti, del luogo in cui il convenuto ha la dimora, salvo quanto previsto nel comma 3. Quando il convenuto non ha residenza, né domicilio né dimora nel territorio dello Stato, le azioni sono proposte davanti all’autorità giudiziaria del luogo in cui l’attore ha la residenza o il domicilio. Qualora né l’attore, né il convenuto abbiano nel territorio dello Stato residenza, domicilio o dimora è competente l’autorità giudiziaria di Roma. 3. L’indicazione di domicilio effettuata con la domanda di registrazione o di brevettazione e annotata nel registro vale come elezione di domicilio esclusivo, ai fini della determinazione della competenza e di ogni notificazione di atti di procedimenti davanti ad autorità giurisdizionali ordinarie o amministrative. Il domicilio così eletto può essere modificato soltanto con apposita istanza di sostituzione da annotarsi sul registro a cura dell’Ufficio italiano brevetti e marchi. 4. La competenza in materia di diritti di proprietà industriale appartiene ai tribunali espressamente indicati a tale scopo dal decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168. 5. Per tribunali dei marchi e dei disegni e modelli comunitari ai sensi dell’articolo 91 del regolamento (CE) n. 40/94 e dell’articolo 80 del regolamento (CE) n. 2002/6 si intendono quelli di cui al comma 4. 26 Le attualità 6. Le azioni fondate su fatti che si assumono lesivi del diritto dell’attore possono essere proposte anche dinanzi all’autorità giudiziaria dotata ci sezione specializzata nella cui circoscrizione i fatti sono stati commessi. Art. 121. Ripartizione dell’onere della prova 1. L’onere di provare la nullità o la decadenza del titolo di proprietà industriale incombe in ogni caso a chi impugna il titolo. Salvo il disposto dell’articolo 67 l’onere di provare la contraffazione incombe al titolare. La prova della decadenza del marchio per non uso può essere fornita con qualsiasi mezzo comprese le presunzioni semplici. 2. Qualora una parte abbia fornito seri indizi della fondatezza delle proprie domande ed abbia individuato documenti, elementi o informazioni detenuti dalla controparte che confermino tali indizi, essa può ottenere che il giudice ne disponga l’esibizione oppure che richieda le informazioni alla controparte. Può ottenere altresì che il giudice ordini di fornire gli elementi per l’identificazione dei soggetti implicati nella produzione e distribuzione dei prodotti o dei servizi che costituiscono violazione dei diritti di proprietà industriale. 3. Il giudice, nell’assumere i provvedimenti di cui sopra, adotta le misure idonee a garantire la tutela delle informazioni riservate, sentita la controparte. 4. Il giudice desume argomenti di prova dalle risposte che le parti danno e di rifiuto ingiustificato di ottemperare agli ordini. 5. Nella materia di cui al presente codice il consulente tecnico d’ufficio può ricevere i documenti inerenti ai quesiti posti dal giudice anche se non ancora prodotti in causa, rendendoli noti a tutte le parti. Ciascuna parte può nominare più di un consulente. Art. 122. Legittimazione all’azione di nullità e di decadenza 1. Fatto salvo il disposto dell’articolo 188, comma 4, l’azione diretta ad ottenere la dichiarazione di decadenza o di nullità di un titolo di proprietà industriale può essere esercitata da chiunque vi abbia interesse e promossa d’ufficio dal pubblico ministero. In deroga all’articolo 70 del codice di procedura civile, l’intervento del pubblico ministero non è obbligatorio. 2 L’azione diretta ad ottenere la dichiarazione di nullità di un marchio per la sussistenza di diritti anteriori oppure perché l’uso del marchio costituirebbe violazione di un altrui diritto di autore, di proprietà industriale o altro diritto esclusivo di terzi, oppure perché il marchio costituisce violazione del diritto al nome oppure al ritratto oppure perché la registrazione del marchio è stata effettuata a nome del non avente diritto, può essere esercitata soltanto dal titolare dei diritti anteriori e dal suo avente causa o dall’avente diritto. 3. L’azione diretta ad ottenere la dichiarazione di nullità di un disegno o modello per la sussistenza dei diritti anteriori di cui all’articolo 43, comma 1, lettera d) ed e), oppure perché la registrazione è stata effettuata a nome del non avente diritto oppure perché il disegno o modello costituisce utilizzazione impropria di uno degli elementi elencati nell’articolo 6-ter della Convenzione di Unione di Parigi per la protezione della proprietà industriale - testo di Stoccolma del 14 luglio 1967, ratificata con legge 28 aprile 1976, n. 424, o di disegni, emblemi e stemmi che rivestano un particolare interesse pubblico nello Stato, può essere rispettivamente esercitata soltanto dal titolare dei diritti anteriori e dal suo avente causa o dall’avente diritto oppure da chi abbia interesse all’utilizzazione. 4. L’azione di decadenza o di nullità di un titolo di proprietà industriale è esercitata in contraddittorio di tutti coloro che risultano annotati nel registro quali aventi diritto. 5. Le sentenze che dichiarano la nullità o la decadenza di un titolo di proprietà industriale sono annotate nel registro a cura dell’Ufficio italiano brevetti e marchi. 6. Una copia dell’atto introduttivo di ogni giudizio civile in materia di diritti di proprietà industriale deve essere comunicata all’Ufficio italiano brevetti e marchi, a cura di chi promuove il giudizio. 7. Ove alla comunicazione anzidetta non si sia provveduto, l’autorità giudiziaria, in qualunque grado del giudizio, prima di decidere nel merito, dispone che 27 Le attualità tale comunicazione venga effettuata. 8. Il cancelliere deve trasmettere all’Ufficio italiano brevetti e marchi copia di ogni sentenza in materia di diritti di proprietà industriale. Art. 123. Efficacia erga omnes 1. Le decadenze o le nullità anche parziali di un titolo di proprietà industriale hanno efficacia nei confronti di tutti quando siano dichiarate con sentenza passata in giudicato. Art. 124. Sanzioni civili 1. Con la sentenza che accerta la violazione di un diritto di proprietà industriale può essere disposta l’inibitoria della fabbricazione, del commercio e dell’uso di quanto costituisce violazione del diritto. 2. Pronunciando l’inibitoria, il giudice può fissare una somma dovuta per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata e per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento. 3. Con la sentenza che accerta la violazione di un diritto di proprietà industriale può essere ordinata la distruzione di tutte le cose costituenti la violazione. Non può essere ordinata la distruzione della cosa e l’avente diritto può conseguire solo il risarcimento dei danni, se la distruzione della cosa è di pregiudizio all’economia nazionale. Nel caso della violazione di diritti di marchio, la distruzione concerne il marchio ma può comprendere le confezioni e, quando l’autorità giudiziaria lo ritenga opportuno, anche i prodotti o i materiali inerenti alla prestazione dei servizi, se ciò sia necessario per eliminare gli effetti della violazione del diritto. 4. Con la sentenza che accerta la violazione dei diritti di proprietà industriale, può essere ordinato che gli oggetti prodotti importati o venduti in violazione del diritto e i mezzi specifici che servono univocamente a produrli o ad attuare il metodo o processo tutelato siano assegnati in proprietà al titolare del diritto stesso, fermo restando il diritto al risarcimento del danno. 5. È altresì in facoltà del giudice, su richiesta del proprietario degli oggetti o dei mezzi di produzione di cui al comma 4, tenuto conto della residua durata del titolo di proprietà industriale o delle particolari circostanze del caso, ordinare il sequestro, a spese dell’autore della violazione, fino all’estinzione del titolo, degli oggetti e dei mezzi di produzione. In quest’ultimo caso, il titolare del diritto di proprietà industriale può chiedere che gli oggetti sequestrati gli siano aggiudicati al prezzo che, in mancanza di accordo tra le parti, verrà stabilito dal giudice dell’esecuzione, sentito, occorrendo, un perito. 6. Delle cose costituenti violazione del diritto di proprietà industriale non si può disporre la rimozione o la distruzione, né può esserne interdetto l’uso quando appartengono a chi ne fa uso personale o domestico. 7. Sulle contestazioni che sorgono nell’eseguire le misure menzionate in questo articolo decide, con ordinanza non soggetta a gravame, sentite le parti, assunte informazioni sommarie, il giudice che ha emesso la sentenza recante le misure anzidette. Art. 125. Risarcimento del danno 1. Il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 del codice civile. Il lucro cessante è valutato dal giudice anche tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto e dei compensi che l’autore della violazione avrebbe dovuto pagare qualora avesse ottenuto licenza dal titolare del diritto. 2. La sentenza che provvede sul risarcimento dei danni può farne, ad istanza di parte, la liquidazione in una somma globale stabilita in base agli atti della causa e alle presunzioni che ne derivano. Art. 126. Pubblicazione della sentenza 1. L’autorità giudiziaria può ordinare che l’ordinanza cautelare o la sentenza che accerta la violazione dei diritti di proprietà industriale sia pubblicata integralmente o in sunto o nella sola parte dispositiva, tenuto conto della gravità dei fatti, in uno o più giornali da essa indicati, a spese del soccombente. 28 Le attualità Art. 127. Sanzioni penali e amministrative 1. Salva l’applicazione degli articoli 473, 474 e 517 del codice penale, chiunque fabbrica, vende, espone, adopera industrialmente, introduce nello Stato oggetti in violazione di un titolo di proprietà industriale valido ai sensi delle norme del presente codice, è punito, a querela di parte, con la multa fino a 1.032,91 euro. 2. Chiunque appone, su un oggetto, parole o indicazioni non corrispondenti al vero, tendenti a far credere che l’oggetto sia protetto da brevetto, disegno o modello oppure topografia o a far credere che il marchio che lo contraddistingue sia stato registrato, è punito con la sanzione amministrativa da 51,65 euro a 516,46 euro. 3. Salvo che il fatto costituisca reato, è punito con la sanzione amministrativa fino a 2.065,83 euro, anche quando non vi sia danno al terzo, chiunque faccia uso di un marchio registrato, dopo che la relativa registrazione è stata dichiarata nulla, quando la causa di nullità comporta la illiceità dell’uso del marchio, oppure sopprima il marchio del produttore o del commerciante da cui abbia ricevuto i prodotti o le merci a fini commerciali. Art. 128. Descrizione 1. Il titolare di un diritto industriale può chiedere che sia disposta la descrizione degli oggetti costituenti violazione di tale diritto, nonché dei mezzi adibiti alla produzione dei medesimi e degli elementi di prova concernenti la denunciata violazione e la sua entità. 2. L’istanza si propone con ricorso al Presidente della sezione specializzata del tribunale competente per il giudizio di merito, ai sensi dell’articolo 120. 3. Il Presidente della sezione specializzata fissa con decreto l’udienza di comparizione e stabilisce il termine perentorio per la notificazione del decreto. 4. Lo stesso giudice, sentite le parti e assunte, quando occorre, sommarie informazioni, provvede con ordinanza non impugnabile e, se dispone la descrizione, indica le misure necessarie da adottare per garantire la tutela delle informazioni riservate e autorizza l’eventuale preleva- mento di campioni degli oggetti di cui al comma 1. Quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento, provvede sull’istanza con decreto, motivato, in deroga a quanto previsto al comma 3. 5. L’ordinanza di accoglimento, ove la domanda sia stata proposta prima dell’inizio della causa di merito, deve fissare un termine perentorio non superiore a trenta giorni per l’inizio del giudizio di merito. 6. Il provvedimento perde di efficacia se non è eseguito nel termine di cui all’articolo 675 del codice di procedura civile. 7. Si applica anche alla descrizione il disposto dell’articolo 669-undicies del codice di procedura civile. Art. 129. Sequestro 1. Il titolare di un diritto di proprietà industriale può chiedere il sequestro di alcuni o di tutti gli oggetti costituenti violazione di tale diritto, nonché dei mezzi adibiti alla produzione dei medesimi e degli elementi di prova concernenti la denunciata violazione. Sono adottate in quest’ultimo caso le misure idonee a garantire la tutela delle informazioni riservate. 2. Il procedimento di sequestro è disciplinato dalle norme del codice di procedura civile, concernenti i procedimenti cautelari. 3. Salve le esigenze della giustizia penale non possono essere sequestrati, ma soltanto descritti, gli oggetti nei quali si ravvisi la violazione di un diritto di proprietà industriale, finché figurino nel recinto di un esposizione, ufficiale o ufficialmente riconosciuta, tenuta nel territorio dello Stato, o siano in transito da o per la medesima. Art. 130. Disposizioni comuni 1. La descrizione e il sequestro vengono eseguiti a mezzo di ufficiale giudiziario, con l’assistenza, ove occorra, di uno o più periti ed anche con l’impiego di mezzi tecnici di accertamento, fotografici o di altra natura. 2. Gli interessati possono essere auto- 29 Le attualità rizzati ad assistere alle operazioni anche a mezzo di loro rappresentanti e ad essere assistiti da tecnici di loro fiducia. 3. Decorso il termine dell’articolo 675 del codice di procedura civile, possono essere completate le operazioni di descrizione e di sequestro già iniziate, ma non possono esserne iniziate altre fondate sullo stesso provvedimento. Resta salva la facoltà di chiedere al giudice di disporre ulteriori provvedimenti di descrizione o sequestro nel corso del procedimento di merito. 4. La descrizione e il sequestro possono concernere oggetti appartenenti a soggetti anche non identificati nel ricorso, purché si tratti di oggetti prodotti, offerti, importati, esportati o messi in commercio dalla parte nei cui confronti siano stati emessi i suddetti provvedimenti e purché tali oggetti non siano adibiti ad uso personale. 5. Il verbale delle operazioni di sequestro e di descrizione, con il ricorso ed il provvedimento, deve essere notificato al terzo cui appartengono gli oggetti sui quali descrizione o sequestro sono stati eseguiti, entro quindici giorni dalla data di conclusione delle operazioni stesse a pena di inefficacia. Art. 131 Inibitoria 1. Il titolare di un diritto di proprietà industriale può chiedere che sia disposta l’inibitoria della fabbricazione, del commercio e dell’uso di quanto costituisce violazione del diritto, secondo le norme del codice di procedura civile concernenti i procedimenti cautelari. 2. Pronunciando l’inibitoria, il giudice può fissare una somma dovuta per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata e per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Art. 132. Anticipazione della tutela cautelare 1. I provvedimenti di cui agli articoli 128, 129 e 131 possono essere concessi anche in corso di brevettazione o di registrazione, purché la domanda sia stata resa accessibile al pubblico oppure nei confronti delle persone a cui la domanda sia stata notificata. Art. 133. Tutela cautelare dei nomi a dominio 1. L’Autorità giudiziaria può disporre, in via cautelare, oltre all’inibitoria dell’uso del nome a dominio aziendale illegittimamente registrato, anche il suo trasferimento provvisorio, subordinandolo, se ritenuto opportuno, alla prestazione di idonea cauzione da parte del beneficiario del provvedimento. Art. 134. Norme di procedura 1. Nei procedimenti giudiziari in materia di proprietà industriale e di concorrenza sleale, con esclusione delle sole fattispecie che non interferiscono neppure indirettamente con l’esercizio dei diritti di proprietà industriale, nonché in materia di illeciti afferenti all’esercizio di diritti di proprietà industriale ai sensi della legge 10 ottobre 1990, n. 287, e degli articoli 81 e 82 del Trattato UE, la cui cognizione è del giudice ordinario, ed in generale in materie di competenza delle sezioni specializzate quivi comprese quelle che presentano ragioni di connessione anche impropria si applicano le norme dei capi I e IV del titolo II e quelle del titolo III del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e, per quanto non disciplinato dalle norme suddette, si applicano le disposizioni del codice di procedura civile in quanto compatibili, salva in ogni caso l’applicabilità dell’articolo 121, comma 5. 2. Negli arbitrati sulle materie di cui al comma 1 si applicano le norme degli articoli 35 e 36 del titolo V del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5. 3. Tutte le controversie nelle materie di cui al comma 1, quivi comprese quelle disciplinate dagli articoli 64 e 65 e dagli articoli 98 e 99, sono devolute alla cognizione delle sezioni specializzate previste dall’articolo 16 della legge 12 dicembre 2002, n. 273, come integrato dall’articolo 120. Rientrano nella competenza delle sezioni specializzate anche le controversie in materia di indennità di espropriazione dei diritti di proprietà industriale, di cui conosce il giudice ordinario. Art. 135. Commissione dei ricorsi 1. Contro i provvedimenti dell’Ufficio 30 Le attualità italiano brevetti e marchi che respingono totalmente o parzialmente una domanda o istanza che rifiutano la trascrizione oppure che impediscono il riconoscimento di un diritto e negli alti casi previsti dal presente codice, è ammesso ricorso entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data di ricevimento della comunicazione del provvedimento alla Commissione dei ricorsi. 2. La Commissione dei ricorsi, istituita con regio decreto 29 giugno 1939, n. 1127, è composta di un presidente, un presidente aggiunto e di otto membri scelti fra i magistrati di grado non inferiore a quello di consigliere d’appello, sentito il Consiglio superiore della magistratura, o tra i professori di materie giuridiche delle università o degli istituti superiori dello Stato. 3. La Commissione si articola in due sezioni, presiedute dal presidente e dal presidente aggiunto. Il presidente, il presidente aggiunto ed i membri della Commissione sono nominati con decreto del Ministro delle attività produttive, durano in carica due anni. L’incarico è rinnovabile. 4. Alla Commissione di cui al comma 2 possono essere aggregati tecnici scelti dal presidente tra i professori delle università e degli istituti superiori e tra i consulenti in proprietà industriale, iscritti all’Ordine aventi una comprovata esperienza come consulenti tecnici d’ufficio, per riferire su singole questioni ad essa sottoposte. I tecnici aggregati non hanno voto deliberativo. 5. La scelta dei componenti la Commissione anzidetta, nonché dei tecnici, può cadere sia su funzionari in attività di servizio, sia su funzionari a riposo, ferme le categorie di funzionari entro le quali la scelta deve essere effettuata. 6. La Commissione dei ricorsi è assistita da una segreteria i cui componenti sono nominati con lo stesso decreto di costituzione della Commissione, o con decreto a parte. I componenti della segreteria debbono essere scelti fra i funzionari dell’Ufficio italiano brevetti e marchi ed il trattamento economico è quello stabilito dalla vigente normativa legislativa, regolamentare o contrattuale. 7. La Commissione dei ricorsi ha funzione consultiva del Ministero delle attività produttive nella materia della proprietà industriale. Tale funzione viene esercitata su richiesta del Ministero delle attività produttive. Le sedute della Commissione in sede consultiva non sono valide se non sia presente la maggioranza assoluta dei suoi membri aventi voto deliberativo. 8. I compensi per i componenti la Commissione, i componenti la segreteria della Commissione ed i tecnici aggregati alla Commissione, sono determinati con decreto del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Art. 136. Procedura avanti la Commissione dei Ricorsi 1. Il ricorso deve essere notificato tanto all’Ufficio italiano brevetti e marchi quanto ai controinteressati ai quali l’atto direttamente si riferisce entro il termine di sessanta giorni da quello in cui l’interessato ne abbia ricevuto la comunicazione, o ne abbia avuto conoscenza, o, per gli atti di cui non sia richiesta la comunicazione individuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione, se questa sia prevista da disposizioni di legge o di regolamento, salvo l’obbligo di integrare con le ulteriori notifiche agli altri controinteressati, che siano ordinate dalla Commissione dei ricorsi. Il ricorso, con la prova delle avvenute notifiche, con copia del provvedimento impugnato ove in possesso del ricorrente e con i documenti di cui il ricorrente intenda avvalersi in giudizio, deve essere depositato, entro il termine di trenta giorni dall’ultima notifica, presso gli uffici di cui all’articolo 147 o inviato direttamente, per raccomandata postale, alla segreteria della Commissione dei ricorsi, presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi. 2. Insieme al ricorso, deve presentarsi la prova del pagamento del contributo unificato di cui all’articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115. 3. All’originale del ricorso devono essere unite tante copie in carta libera quanti sono i componenti della Commissione e le controparti, salva, tuttavia, la facoltà del Presidente della Commissione di richiedere agli interessati un numero maggiore di copie. 4. La mancata produzione della copia del provvedimento impugnato e della documentazione a sostegno del ricorso Le attualità non implica decadenza. L’Ufficio italiano brevetti e marchi, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di deposito del ricorso, deve produrre, mediante inserimento in apposito fascicolo tenuto dalla segreteria della Commissione, l’eventuale provvedimento impugnato nonché gli atti ed i documenti in base ai quali l’atto è stato emanato, quelli in esso citati, e quelli che l’ufficio ritiene utili al giudizio. 5. Il Presidente della Commissione assegna il ricorso alla sezione competente. Il Presidente o il Presidente aggiunto nomina un relatore tra i componenti assegnati alla sezione e, ove si tratti di questioni di natura tecnica, può nominare anche uno o più relatori aggiunti, scelti tra i tecnici aggregati. 6. Il Presidente, o il relatore da lui delegato, fissa i termini, non superiori in ogni caso a sessanta giorni, per la presentazione delle memorie e delle repliche delle controparti e per il deposito dei relativi documenti. 7. Scaduti i termini di cui al comma 6, la Commissione può disporre i mezzi istruttori che ritiene opportuni, stabilendo le modalità della loro assunzione. Il Presidente, o il relatore da lui delegato, durante il corso dell’istruttoria, può sentire le parti per eventuali chiarimenti. Ove i mezzi istruttori non siano necessari, o, comunque, dopo l’espletamento di essi, il Presidente fissa la data per la discussione dinanzi alla Commissione. 8. Le sezioni della Commissione, quando decidono sui ricorsi, giudicano con l’intervento di un Presidente e di due membri aventi voto deliberativo. 9. La Commissione ha facoltà di chiedere all’Ufficio italiano brevetti e marchi chiarimenti e documenti. 10. Il ricorrente, o il suo mandatario se vi sia, che ne faccia domanda in tempo utile e comunque almeno due giorni prima della discussione ha diritto di essere ammesso ad esporre oralmente le sue ragioni. Il ricorrente può stare in giudizio personalmente o può farsi assistere da un legale ed anche da un tecnico. L’Ufficio può costituirsi in giudizio come Amministrazione resistente con un proprio funzionario. Aperta la seduta, il relatore riferisce sul ricorso. Successivamente le parti, od i loro incaricati, espongono le loro ragioni e, nel caso di richiesta dei membri della Commissione, il direttore dell’Ufficio italiano brevetti e marchi o il funzionario dello stesso ufficio, da lui 31 designato a rappresentarlo, fornisce le notizie ed i documenti richiesti. 11. Ogni interessato, prima della chiusura della discussione del ricorso, può presentare alla Commissione memorie esplicative. Se, durante la discussione, emergono fatti nuovi influenti sulla decisione essi devono essere contestati alle parti. 12. La Commissione ha sempre facoltà di disporre i mezzi istruttori che creda opportuni ed ha altresì facoltà, in ogni caso, di ordinare il differimento della decisione, o anche della discussione, ad altra seduta. 13. La Commissione decide dopo che le parti si sono allontanate. 14. La Commissione dei ricorsi, ove ritenga irricevibile o inammissibile il ricorso, lo dichiara con sentenza; se riconosce che il ricorso è infondato, lo rigetta con sentenza; se accoglie il ricorso annulla l’atto in tutto o in parte. 15. Il relatore, od un altro membro della Commissione, è incaricato di redigere la sentenza esponendo i motivi della decisione. 16. La sentenza è notificata, per raccomandata postale, a cura della segreteria della Commissione, all’interessato od al suo mandatario, se nominato, ed è pubblicata nel Bollettino ufficiale, nella sola parte dispositiva, salva la facoltà della Commissione di disporre che le sentenze vengano pubblicate integralmente nel detto bollettino quando riguardino questioni di massima e quando la pubblicazione non possa recare pregiudizio. 17. Se il ricorrente, allegando un pregiudizio grave ed irreparabile derivante dall’esecuzione dell’atto impugnato, ovvero dal comportamento inerte dell’Ufficio italiano brevetti e marchi, durante il tempo necessario a giungere ad una decisione sul ricorso, chiede l’emanazione di misure cautelari che appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso, la Commissione dei ricorsi si pronuncia sull’istanza con ordinanza emessa in Camera di Consiglio. Prima della trattazione della domanda cautelare, in caso di estrema gravità e urgenza, tale da non consentire neppure la dilazione fino alla data della Camera di Consiglio, il ricorrente può, contestualmente alla domanda cautelare o con separata istanza notificata alle controparti, chiedere al Presidente della Commis- 32 Le attualità sione dei ricorsi, o alla sezione cui il ricorso è assegnato, di disporre misure cautelari provvisorie. Il Presidente provvede con decreto motivato, anche in assenza di contraddittorio. Il decreto è efficace sino alla pronuncia del Collegio, a cui l’istanza cautelare è sottoposta nella prima Camera di Consiglio utile. In sede di decisione della domanda cautelare, la Commissione dei ricorsi, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria e dove ne ricorrono i presupposti, sentite sul punto le parti costituite, può definire il giudizio nel merito a norma dei precedenti commi. 18. La domanda di revoca o modificazione delle misure cautelari concesse e la riproposizione della domanda cautelare respinta sono ammissibili solo se motivate con riferimento a fatti sopravvenuti. 19. Nel caso in cui l’amministrazione non abbia prestato ottemperanza alle misure cautelari concesse, o vi abbia adempiuto solo parzialmente, la parte interessata può, con istanza motivata e notificata alle altre parti, chiedere alla Commissione dei ricorsi le opportune disposizioni attuative. La Commissione dei ricorsi esercita i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza al giudicato, di cui all’articolo 27, primo comma, n. 4), del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, e successive modificazioni, e dispone l’esecuzione dell’ordinanza cautelare indicandone le modalità e, ove occorra, il soggetto che deve provvedere. Art. 137. Esecuzione forzata e sequestro dei titoli di proprietà industriale 1. I diritti patrimoniali di proprietà industriale possono formare oggetto di esecuzione forzata. 2. All’esecuzione si applicano le norme stabilite dal codice di procedura civile per l’esecuzione sui beni mobili. 3. Il pignoramento del titolo di proprietà industriale si esegue con atto notificato al debitore, a mezzo di ufficiale giudiziario. L’atto deve contenere: a) la dichiarazione di pignoramento del titolo di proprietà industriale, previa menzione degli elementi atti ad identificarlo; b) la data del titolo e della sua spedizione in forma esecutiva; c) la somma per cui si procede all’esecuzione; d) il cognome, nome e domicilio, o residenza, del creditore e del debitore; e) il cognome e nome dell’ufficiale giudiziario. 4. Il debitore, dalla data della notificazione, assume gli obblighi del sequestratario giudiziale del titolo di proprietà industriale, anche per quanto riguarda gli eventuali frutti. I frutti, maturati dopo la data della notificazione, derivanti dalla concessione d’uso del diritto di proprietà industriale, si cumulano con il ricavato della vendita, ai fini della successiva attribuzione. 5. Si osservano, nei riguardi della notificazione dell’atto di pignoramento, le norme contenute nel codice di procedura civile per la notificazione delle citazioni. Se colui al quale l’atto di pignoramento deve essere notificato non abbia domicilio o residenza nello Stato, né abbia in questo eletto domicilio, la notificazione è eseguita presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi. In quest’ultimo caso, copia dell’atto è affissa nell’Albo dell’Ufficio ed inserita nel Bollettino ufficiale. 6. L’atto di pignoramento del diritto di proprietà industriale deve essere trascritto, a pena di inefficacia, entro otto giorni dalla notifica. Avvenuta la trascrizione dell’atto di pignoramento del diritto di proprietà industriale, e finché il pignoramento stesso spiega effetto, i pignoramenti successivamente trascritti valgono come opposizione sul prezzo di vendita, quando siano notificati al creditore procedente. 7. La vendita e l’aggiudicazione dei diritti di proprietà industriale pignorati sono fatte con le corrispondenti norme stabilite dal codice di procedura civile in quanto applicabili, salve le disposizioni particolari del presente codice. 8. La vendita del diritto di proprietà industriale non può farsi se non siano trascorsi almeno trenta giorni dal pignoramento. Un termine di venti giorni deve decorrere, per la vendita, dal decreto di fissazione del giorno della vendita stessa. Il giudice, per la vendita e l’aggiudicazione dei diritti di proprietà industriale, dispone le forme speciali che ritiene opportune nei singoli casi, provvedendo altresì per l’annunzio della vendita al pubblico, anche in deroga alle norme del codice di procedura civile. All’uopo il 33 Le attualità giudice può stabilire che l’annunzio sia affisso nei locali della Camera di commercio ed in quelli dell’Ufficio italiano brevetti e marchi e pubblicato nel Bollettino dei diritti di proprietà industriale. 9. Il verbale di aggiudicazione deve contenere gli estremi del diritto di proprietà industriale giuste le risultanze dei relativi titoli. 10. Il creditore istante, nell’esecuzione forzata sui diritti di proprietà industriale, deve notificare almeno dieci giorni prima della vendita, ai creditori titolari dei diritti di garanzia, trascritti, l’atto di pignoramento e il decreto di fissazione del giorno della vendita. Questi ultimi creditori devono depositare, nella cancelleria dell’autorità giudiziaria competente, le loro domande di collocazione con i documenti giustificativi entro quindici giorni dalla vendita. Chiunque vi abbia interesse può esaminare dette domande e i documenti. 11. Trascorso il termine di quindici giorni, previsto nel comma 8, il giudice, su istanza di una delle parti, fissa l’udienza nella quale proporrà lo stato di graduazione e di ripartizione del prezzo ricavato dalla vendita e dagli eventuali frutti. Il giudice, nell’udienza, accertata l’osservanza delle disposizioni del comma 8, ove le parti non si siano accordate sulla distribuzione del ricavato dei frutti, procede alla graduazione fra i creditori ed alla distribuzione di tale ricavato dei frutti stessi, secondo le relative norme stabilite nel codice di procedura civile per l’esecuzione mobiliare. I crediti con mora, eventuali o condizionati, diventano esigibili secondo le norme del codice civile. 12. L’aggiudicatario del diritto di proprietà industriale ha diritto di ottenere che siano cancellate le trascrizioni dei diritti di garanzia sul titolo corrispondente, depositando, presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi, copia del verbale di aggiudicazione e attestato del cancelliere dell’avvenuto versamento del prezzo di aggiudicazione, osservate le norme per la cancellazione delle trascrizioni. 13. I diritti di proprietà industriale, ancorché in corso di concessione o di registrazione, possono essere oggetto di sequestro. Alla procedura del sequestro si applicano le disposizioni in materia di esecuzione forzata stabilite dal presente articolo ed altresì quelle sul sequestro, stabilite dal codice di procedura civile. 14. Le controversie in materia di esecuzione forzata e di sequestro dei diritti di proprietà industriale si propongono davanti all’autorità giudiziaria dello Stato competente a norma dell’articolo 120. Art. 138. Trascrizione 1. Debbono essere resi pubblici mediante trascrizione presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi: a) gli atti fra vivi, a titolo oneroso o gratuito, che trasferiscono in tutto o in parte, i diritti su titoli di proprietà industriale; b) gli atti fra vivi, a titolo oneroso o gratuito, che costituiscono, modificano o trasferiscono diritti personali o reali di godimento privilegi speciali o diritti di garanzia, costituiti ai sensi dell’articolo 140 concernenti i titoli anzidetti; c) gli atti di divisione, di società, di transazione, di rinuncia, relativi ai diritti enunciati nelle lettere a) e b); d) il verbale di pignoramento; e) il verbale di aggiudicazione in seguito a vendita forzata; f) il verbale di sospensione della vendita di parte dei diritti di proprietà industriale pignorati per essere restituiti al debitore, a norma del codice di procedura civile; g) i decreti di espropriazione per causa di pubblica utilità; h) le sentenze che dichiarano l’esistenza degli atti indicati nelle lettere a), b) e c), quando tali atti non siano stati precedentemente trascritti. Le sentenze che pronunciano la nullità, l’annullamento, la risoluzione, la rescissione, la revocazione di un atto trascritto devono essere annotate in margine alla trascrizione dell’atto al quale si riferiscono. Possono inoltre essere trascritte le domande giudiziali dirette ad ottenere le sentenze di cui al presente articolo. In tale caso gli effetti della trascrizione della sentenza risalgono alla data della trascrizione della domanda giudiziale; i) i testamenti e gli atti che provano l’avvenuta successione legittima e le sentenze relative; l) le sentenze di rivendicazione di diritti di proprietà industriale e le relative domande giudiziali; m) le sentenze che dispongono la con- 34 Le attualità versione di titoli di proprietà industriale nulli e le relative domande giudiziali; n) le domande giudiziali dirette ad ottenere le sentenze di cui al presente articolo. In tal caso gli effetti della trascrizione della sentenza risalgono alla data della trascrizione della domanda giudiziale. 2. La trascrizione è soggetta al pagamento del diritto prescritto. 3. Per ottenere la trascrizione, il richiedente deve presentare apposita nota di trascrizione, sotto forma di domanda, allegando copia autentica dell’atto pubblico ovvero l’originale o la copia autentica della scrittura privata autenticata ovvero qualsiasi altra documentazione prevista dall’articolo 195. 4. L’Ufficio italiano brevetti e marchi, esaminata la regolarità formale degli atti, procede, senza ritardo, alla trascrizione con la data di presentazione della domanda. 5. L’ordine delle trascrizioni è determinato dall’ordine di presentazione delle domande. 6. Le omissioni o le inesattezze che non inducano incertezza assoluta sull’atto che si intende trascrivere o sul titolo di proprietà industriale a cui l’atto si riferisce non comportano l’invalidità della trascrizione. Art. 139. Effetti della trascrizione 1. Gli atti e le sentenze, tranne i testamenti e gli altri atti e sentenze indicati alle lettere d), i) ed l) dell’articolo 138, finché non siano trascritti, non hanno effetto di fronte ai terzi che a qualunque titolo hanno acquistato e legalmente conservato diritti sul titolo di proprietà industriale. 2. Nel conflitto di più acquirenti dello stesso diritto di proprietà industriale dal medesimo titolare, è preferito chi ha trascritto per primo il suo titolo di acquisto. 3. La trascrizione del verbale di pignoramento, finché dura la sua efficacia, sospende gli effetti delle trascrizioni ulteriori degli atti e delle sentenze anzidetti. Gli effetti di tali trascrizioni vengono meno dopo la trascrizione del verbale di aggiudicazione, purché avvenga entro tre mesi dalla data della aggiudicazione stessa. 4. I testamenti e gli atti che provano l’avvenuta legittima successione e le sentenze relative sono trascritti solo per stabilire la continuità dei trasferimenti. 5. Sono opponibili ai terzi gli atti che trasferiscono, in tutto o in parte, ovvero modificano i diritti inerenti ad una domanda o ad un brevetto europeo, a condizione che siano stati trascritti nel Registro italiano dei brevetti europei. Art. 140. Diritti di garanzia 1. I diritti di garanzia sui titoli di proprietà industriale devono essere costituiti per crediti di denaro. 2. Nel concorso di più diritti di garanzia, il grado è determinato dall’ordine delle trascrizioni. 3. La cancellazione delle trascrizioni dei diritti di garanzia è eseguita in seguito alla produzione dell’atto di consenso del creditore con sottoscrizione autenticata ovvero quando la cancellazione sia ordinata con sentenza passata in giudicato ovvero in seguito al soddisfacimento dei diritti assistiti da garanzia a seguito di esecuzione forzata. 4. Per la cancellazione è dovuto lo stesso diritto prescritto per la trascrizione. Art. 141. Espropriazione 1. Con esclusione dei diritti sui marchi, i diritti di proprietà industriale, ancorché in corso di registrazione o di brevettazione, possono essere espropriati dallo Stato nell’interesse della difesa militare del Paese o per altre ragioni di pubblica utilità. 2. L’espropriazione può essere limitata al diritto di uso per i bisogni dello Stato, fatte salve le previsioni in materia di licenze obbligatorie in quanto compatibili. 3. Con l’espropriazione anzidetta, quando sia effettuata nell’interesse della difesa militare del Paese e riguardi titoli di proprietà industriale di titolari italiani, è trasferito all’amministrazione espropriante anche il diritto di chiedere titoli di proprietà industriale all’estero. Art. 142. Decreto di espropriazione 1. L’espropriazione viene disposta per decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro competente, di concerto con i Ministri delle attività pro- 35 Le attualità duttive e dell’economia e delle finanze, sentito il Consiglio dei ministri, se il provvedimento interessa la difesa militare del Paese o, negli altri casi, la Commissione dei ricorsi. 2. Il decreto di espropriazione nell’interesse della difesa militare del Paese, quando viene emanato prima della stampa dell’attestato di brevettazione o di registrazione, può contenere l’obbligo e stabilire la durata del segreto sull’oggetto del titolo di proprietà industriale. 3. La violazione del segreto è punita ai sensi dell’articolo 262 del codice penale. 4. Nel decreto di espropriazione è fissata l’indennità spettante al titolare del diritto di proprietà industriale, determinata sulla base del valore di mercato dell’invenzione, sentita la Commissione dei ricorsi. 5. Contro i decreti di espropriazione per causa di pubblica utilità è ammesso il ricorso al Tribunale amministrativo regionale competente per territorio il quale provvede con giurisdizione esclusiva e con applicazione del rito speciale di cui all’articolo 23-bis, legge 6 dicembre 1971, n. 1034. Art. 143. Indennità di espropriazione 1. Ove il titolare del diritto espropriato non accetti l’indennità fissata ai sensi dell’articolo 142 ed in mancanza di accordo fra il titolare e l’amministrazione procedente, l’indennità è determinata da un collegio di arbitratori. 2. All’inventore o all’autore, il quale provi di avere perduto il diritto di priorità all’estero per il ritardo della decisione negativa del Ministero in merito all’espropriazione, è concesso un equo indennizzo, osservate le norme relative all’indennità di espropriazione. 3. I decreti di espropriazione devono essere annotati nel Registro dei titoli di proprietà industriale a cura dell’Ufficio italiano brevetti e marchi. MISURE Sezione II CONTRO LA PIRATERIA Art. 144. Atti di pirateria 1. Agli effetti delle norme contenute nella presente sezione sono atti di pirateria le contraffazioni e le usurpazioni di altrui diritti di proprietà industriale, realizzate dolosamente in modo sistematico. Art. 145. Comitato Nazionale Anti contraffazione 1. Presso il Ministero delle attività produttive è costituito il Comitato Nazionale Anticontraffazione con funzioni di monitoraggio dei fenomeni in materia di violazione dei diritti di proprietà industriale, nonché di proprietà intellettuale limitatamente ai disegni e modelli, di coordinamento e di studio delle misure volte ad contrastarli, nonché di assistenza alle imprese per la tutela contro le pratiche commerciali sleali. 2. Le modalità di composizione e di funzionamento del Comitato di cui al comma 1 sono definite con decreto del Ministro delle attività produttive, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze, degli affari esteri, delle politiche agricole e forestali, dell’interno, della giustizia e per i beni e le attività culturali, in modo da garantire la rappresentanza degli interessi pubblici e privati. 3. Il funzionamento del Comitato di cui al comma 1 non comporta oneri per la finanza pubblica. Art. 146. Interventi contro la pirateria 1. Qualora ne abbia notizia, il Ministero delle attività produttive segnala alla Procura della Repubblica, competente per territorio, per le iniziative di sua competenza, i casi di pirateria. 2. Fatta salva la repressione dei reati e l’applicazione della normativa nazionale e comunitaria vigente in materia, di competenza dell’autorità doganale, il Ministero delle attività produttive, per il tramite del Prefetto della provincia interessata e i sindaci, limitatamente al territorio comunale, possono disporre anche d’ufficio, il sequestro amministrativo della merce contraffatta e, decorsi tre mesi, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria di cui al comma 3, procedere alla sua distruzione, a spese del contravventore. È fatta salva la facoltà di conservare i campioni da utilizzare a fini giudiziari. 36 Le attualità 3. Competente ad autorizzare la distruzione è il presidente della sezione specializzata di cui all’articolo 120, nel cui territorio è compiuto l’atto di pirateria, su richiesta dell’amministrazione statale o comunale che ha disposto il sequestro. 4. L’opposizione avverso il provvedimento di distruzione di cui al comma 2 è proposta nelle forme di cui agli artico- li 22 e 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni. Il termine per ricorrere decorre dalla data di notificazione del provvedimento o da quella della sua pubblicazione, per estratto, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Omissis. LA CORTE COSTITUZIONALE « CHIUDE I CONTI » CON LA VEXATA QUAESTIO DELLA FORMA DEL CONTRATTO DI AUTOTRASPORTO (Corte cost. 14 gennaio 2005, n. 7, pubblicata in Gazzetta Ufficiale, 1a s.s., n. 3, del 19 gennaio 2005) di ANDREA GENTILI (magistrato) SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Analisi della evoluzione normativa in materia. – 3. Precedenti ordinanze di rimessione e conseguenti decisioni della Corte. – 4. Esame della sentenza n. 7 del 2005. 1. – Verrebbe da dire: « Tanto tuonò che piovve ». Infatti con la sentenza n. 7/05 la Corte costituzionale è, finalmente, intervenuta in via definitiva sulla controversa materia della forma del contratto di autotrasporto di cose per conto terzi. La attesa della sentenza era giustificata dal fatto che, nel breve volgere di circa due anni, la Consulta in altre tre occasioni si era occupata dell’argomento trattato dal provvedimento ora commentato, sebbene in tali occasioni, tutte risolte ora con la dichiarazione di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale per come sollevata ora con la dichiarazione di infondatezza della medesima, le norme indubbiate non fossero le medesime oggetto della presente questione e, comunque, il « verso », se così si può dire, delle questioni allora sollevate fosse stato decisamente divergente da quello che caratterizza la decisione ora assunta dalla Consulta. Infatti nelle precedenti occasioni la questione di costituzionalità era stata sollevata, sia pure con riferimento a molteplici e non sempre coincidenti parametri costituzionali, con riguardo esclusivamente all’art. 3 del d.l. 3 luglio 2001, n. 256 (« Interventi urgenti nel settore dei trasporti ») convertito, con modificazioni (che non hanno tuttavia interessato l’art. 3), dalla l. 20 agosto 2001, n. 334, mentre nella presente occasione il Tribunale di Latina ha sottoposto al vaglio della Consulta non solo il citato art. 3 del d.l. n. 256/01, ma anche (e, come vedremo, forse soprattutto) l’art. 26, ultimo comma, della l. 6 giugno 1974, n. 298 (« Istituzione dell’albo nazionale degli autotrasportatori di cose e istituzione di un sistema di tariffe a forcella per i trasporti di merci su strada »). Norme le due sopra indicate legate da un’intima connessione essendo la prima, l’art. 3, stata emanata al fine di dettare una interpretazione autentica dell’ultimo comma della seconda, l’art. 26. Ma oltre a rimarcare tale differenza di oggetto, vi è da dire che nelle precedenti occasioni la Corte era stata chiamata a giudicare, in sostanza, la razionalità della disciplina della forma del contratto di autotrasporto per FORMA DI CONTRATTO DI AUTOTRASPORTO di ANDREA GENTILI 62 Le attualità conto terzi nella parte in cui essa non prevedeva come esclusiva forma del contratto la forma scritta, mentre adesso la questione attiene alla razionalità di una disciplina che, data per scontata la possibilità di concludere il contratto di autotrasporto anche in forma libera, obbliga – laddove le parti abbiano inteso, invece, concluderlo non in forma orale ma consacrando l’accordo in un documento – le parti stesse ad indicare espressamente determinate caratteristiche del vettore nel documento medesimo (o come meglio vedremo in una delle copie del documento in questione), sanzionando l’inottemperanza a tale obbligo con la nullità del contratto. FORMA DI CONTRATTO DI AUTOTRASPORTO di ANDREA GENTILI 2. – Giova, a questo punto, ripercorrere per grandi linee la evoluzione della normativa che ha riguardato la materia, evidenziando, altresì, i motivi che tale evoluzione hanno determinato. Quando, intervenendo con la ricordata l. n. 298/74, il legislatore istituì l’Albo nazionale degli autotrasportatori, aveva il dichiarato scopo di porre ordine in un settore giustamente ritenuto nevralgico della nostra economia, fino ad allora frequente campo di azione di numerosi operatori privi di un’adeguata professionalità, i quali, tuttavia, riuscendo a praticare, o, comunque, ad accettare, condizioni di maggior favore economico per il committente, si ponevano come evidente elemento di inquinamento della trasparenza del mercato, agendo, in sostanza, quali costanti perturbatori della concorrenza. Al detto fine il legislatore previde, all’art. 1, comma 3°, della citata l. n. 298/74, che la iscrizione all’Albo nazionale degli autotrasportatori, subordinata al possesso di determinati e specifici requisiti, fosse condizione necessaria per l’esercizio dell’autotrasporto di cose per conto terzi; a tale condizione corrispondeva, altresì, la applicazione di tariffe inderogabili, autoritativamente determinate in un minimo ed in una massimo, le cosiddette « tariffe a forcella » alla cui disciplina di rango primario era dedicato l’intero titolo III, artt. da 50 a 59, della ricordata legge. A garanzia della effettività di tale disciplina il legislatore pose – oltre ad una serie di norme che prevedevano sanzioni di tipo disciplinare od amministrativo a carico del vettore che avesse eluso le tariffe ovvero violato disposizioni sulla sicurezza del trasporto o a tutela dei lavoratori (art. 21), che avesse omesso comunicazioni previste per legge (art. 27) ovvero avesse omesso la compilazione della documentazione relativa alla merce viaggiante (artt. 47 e 58) – in principalità gli artt. 26 e 46 i quali, rispettivamente, sanzionavano la condotta di chi, senza essere iscritto all’Albo degli autotrasportatori, esercitava la relativa attività, prevedendo, nell’impianto originale, persino la sanzione penale connessa alla violazione dell’art. 348 c.p. (si tratta della norma che punisce appunto l’esercizio abusivo di una professione) e quella di chi disponeva l’esecuzione di trasporti con autoveicoli privi di licenza od autorizzazione; anche in questo secondo caso, integrando la fattispecie un delitto, la sanzione era di carattere penale. La singolare gravità della considerazione legislativa dell’autotrasporto abusivo fu, successivamente, mitigata per effetto del d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507 (« Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’art. 1 della l. 25 giugno 1999, n. 205 »), il qua- Le attualità 63 le, all’art. 18, degradò la fattispecie da illecito penale ad illecito amministrativo sia con riguardo a quanto previsto dall’art. 26 della l. n. 298/74 sia riguardo a quanto previsto dal successivo art. 46. Vi è, tuttavia da dire che, medio tempore – e qui incominciamo ad entrare nel cuore della normativa implicata dalle diverse questioni di costituzionalità che, come detto, si sono avvicendate in questi ultimi anni – il legislatore, certamente consapevole del fatto che attraverso la minaccia della sanzione penale non si era riusciti a debellare il fenomeno dell’abusivismo, aveva novellato l’art. 26 della l. n. 298, aggiungendo, con l’art. 1 del d.l. 29 marzo 1993, n. 82 (« Misure urgenti per il settore dell’autotrasporto di cose per conto di terzi »), convertito con modificazioni con la l. 27 maggio 1993, n. 162 (1), ad esso due commi; con l’uno, aveva previsto la applicazione della sanzione amministrativa anche a carico del committente che si fosse affidato ad un autotrasportatore non iscritto all’Albo, con l’altro aveva previsto che, a pena di nullità del contratto, fosse necessario, al momento della conclusione del contratto di autotrasporto di cose per conto terzi, annotare, a cura del vettore, sulla copia del contratto da consegnare al committente, i dati relativi agli estremi della attestazione di iscrizione all’Albo e dell’autorizzazione al trasporto di cose rilasciati dai competenti comitati provinciali. Tale ultima disposizione, che, come di seguito vedremo, non può dirsi un modello di corretta tecnica legislativa, aveva fatto sorgere un copiosissimo contenzioso giudiziario, ordinato sostanzialmente su due filoni, cioè: a) la necessità o meno della forma scritta per la conclusione del contratto di autotrasporto; b) la possibilità per il committente, laddove si fosse stipulato il contratto oralmente e risultando conseguentemente omesse le indicazioni scritte relative alla iscrizione del vettore nell’Albo degli autotrasportatori e sulla sua autorizzazione all’esercizio della relativa attività, di opporre al vettore stesso il rifiuto al pagamento del prezzo concordato, stante la nullità del titolo che giustificava l’obbligazione di pagamento, o, persino di chiedere in restituzione, trattandosi di indebiti solutio (2), quanto già versato quale corrispettivo del servizio ricevuto. Anche in questo caso non si fece attendere a lungo un nuovo intervento del legislatore che, dapprima, tentò di inserire in quella che poi sarebbe divenuta la l. 7 dicembre 1999, n. 472 (« Interventi nel settore dei trasporti »), una disposizione che, chiarendo la non esclusività della forma scritta ai fini della conclusione del contratto di autotrasporto, avrebbe risolto il complesso contenzioso esistente (3), quindi, in occasione della (1) A riprova del travaglio normativo che ha contraddistinto la materia è ancora il caso di segnalare che, prima della novella introdotta con il d.l. n. 82/93, il legislatore era già intervenuto con altri due decreti legge, rispettivamente contraddistinti dal n. 463/92 e dal n. 19/93, ambedue non convertiti entro i termini costituzionalmente previsti, i quali prevedevano la sanzione penale anche a carico di chi avessero commissionato l’attività di autotrasporto al vettore non iscritto all’Albo. (2) Cfr. Trib. Torino, 17 novembre 1999, in Giust. civ., 2000, I, p. 2109, con nota di SARZINA, Il contratto nullo e la logica del diritto. (3) La disposizione, pur approvata in Senato, fu però espunta dal disegno di legge in occasione della lettura che ne fece la Camera dei deputati, sicché essa non trovò spazio nella citata l. n. 472/99. FORMA DI CONTRATTO DI AUTOTRASPORTO di ANDREA GENTILI 64 Le attualità emanazione del d.l. 3 luglio 2001, n. 256, riprendendo nei suoi precisi termini la disposizione sopra ricordata, previde, appunto, che la disposizione di cui all’ultimo comma dell’art. 26 della l. n. 298/74 deve essere interpretata nel senso che la annotazione delle prescritte indicazioni sulla copia del contratto da consegnare al committente e la previsione di nullità del contratto in caso di omissione di tali indicazioni, non comportano la obbligatorietà della forma contrattuale scritta, ma rilevano solo nel caso in cui le parti abbiano scelto siffatta forma. FORMA DI CONTRATTO DI AUTOTRASPORTO di ANDREA GENTILI 3. – È questo, pertanto, il contesto normativo nell’ambito del quale sono intervenute le ordinanze di rimessione che hanno costituito il fomite delle quattro decisioni assunte negli ultimi due anni dalla Consulta sulla materia. La prima delle dette decisioni, assunta con ordinanza n. 409/02 (4), origina da una ordinanza di rimessione del Tribunale di Torino, il quale, nel censurare il solo art. 3 del d.l. n. 256/01, osservava che la disposizione, avente come detto carattere interpretativo, sarebbe stata in contrasto sia con l’art. 77 Cost., in quanto sarebbero mancati i presupposti di necessità ed urgenza tali da legittimare l’adozione dello strumento legislativo del decreto legge (5), sia con l’art. 3 della stessa Carta costituzionale in quanto la disposizione succitata avrebbe realizzato una ingiustificata disparità di trattamento fra quanti, avendo stipulato il contratto verbalmente, non hanno fatto le annotazioni previste dall’ultimo comma dell’art. 26 della l. n. 298/74 e quanti, non avendo parimenti fatto le annotazione in questione, hanno, invece, redatto il contratto per iscritto; la disparità di trattamento consisterebbe, ovviamente, nel fatto che solo i secondi sarebbero sanzionati dalla nullità del contratto. Aggiunge il Tribunale subalpino che la norma impugnata sarebbe anche intimamente irragionevole, poiché rivelerebbe una ratio antitetica con la norma interpretata; questa, infatti, intende perseguire, attraverso l’aggravamento formale costituito dall’obbligo di indicazione sia degli estremi della iscrizione del vettore nell’albo degli autostraportatori che di quelli della sua autorizzazione, la repressione dell’abusivismo, l’altra, invece, consentendo ad libitum la forma orale del contratto (senza evidentemente bisogno di indicazione alcuna), di fatto facilita il fenomeno che la prima intende giustamente reprimere. La questione fu dalla Corte dichiarata inammissibile per difetto di rile(4) Corte cost. n. 409/02, in Foro it., 2002, I, c. 2545, con breve commento redazionale di contenuto piuttosto critico. (5) Sotto tale profilo la questione investe evidentemente un tema i cui confini trascendono di gran lunga l’economia (nonché l’oggetto specifico) del presente lavoro; basti sul punto, perciò, qui osservare che, secondo il costante orientamento della Corte cost. il vizio in tale occasione dedotto sarebbe (verosimilmente) comunque stato assorbito dalla avvenuta conversione in legge del decreto de quo; si vedano, infatti, in tal senso, fra le più recenti decisioni della Corte cost. le sentenze n. 341/03, in Foro it., 2004, I, c. 357; n. 29/02, ibidem, 2002, I, c. 933. Unico limite di tale assorbimento è, sempre secondo la giurisprudenza della Corte, il caso della evidente e macroscopica mancanza dei presupposti che potrebbe ridondare anche sull’eventuale legge di conversione come vizio del procedimento di formazione della legge: cfr. Corte cost. n. 285/04, in Foro it., 2005, I, c. 1657; idem, n. 16/02, ibidem, 2002, I, c. 625. Le attualità 65 vanza; il rimettente, infatti, aveva omesso di precisare sia se il rapporto contrattuale dedotto nel giudizio a quo si era protratto oltre il 29 marzo 1993 (data di entrata in vigore del d.l. n. 82/93 che, come dianzi ricordato, aveva inserito nell’art. 26 della l. n. 298/74 l’ultimo comma) sia, più in generale, quale fosse la specifica qualificazione giuridica del rapporto stesso, sicché non era possibile per la Corte verificare, sia ratione temporis sia ratione causae, se la norma censurata era effettivamente applicabile nel giudizio a quo. Il secondo arresto della Corte è costituito dalla sentenza n. 26/03 (6); l’occasione fu fornita da due ordinanze di rimessione rispettivamente del Tribunale di Vallo della Lucania e di quello di Genova, in ambedue i casi la questione involgeva esclusivamente l’art. 3 del d.l. n. 256/01, cioè la norma con la quale è stato autenticamente interpretato l’ultimo comma dell’art. 26 della l. n. 298/74; secondo i due Tribunali rimettenti la disposizione impugnata avrebbe violato gli artt. 3, 24, 101 e 102 Cost.; nel sostenere ciò essi sono partiti dalla premessa che la disposizione interpretata fosse suscettibile di una sola ermeneusi, peraltro a loro dire condivisa dalla univoca giurisprudenza formatasi su di essa, in base alla quale il contratto di autotrasporto di cose per conto terzi esigesse, ad substantiam, la forma scritta; da tale premessa essi fanno discendere la natura effettivamente innovativa e non interpretativa della disposizione da loro impugnata. Pertanto la efficacia retroattiva attribuita dal legislatore a detta disposizione, attraverso la « abusiva » qualificazione della stessa come norma interpretativa, minerebbe il principio di certezza dei rapporti giuridici e, imponendo la definizione dei numerosi giudizi pendenti in materia in termini opposti a quelli che la piana applicazione della disposizione interpretata giustificherebbe, realizzerebbe una indebita interferenza nelle numerose controversie già sottoposte alla autorità giudiziaria. La interpretazione autentica, peraltro, sarebbe in sé contraddittoria ed irragionevole, poiché, al dichiarato fine di reprimere l’abusivismo nel settore dell’autotrasporto, imporrebbe la nullità del contratto laddove non siano fornite le indicazioni strumentali al perseguimento del detto fine; ma ciò non sempre, ma solo allorché le parti abbiano adottato per la conclusione del contratto la forma scritta, già di per sé idonea a tutelare gli interessi delle parti. Analoga sanzione non è, invece, prevista nel caso della adozione della, meno « garantista », forma orale. La Corte, nel dichiarare non fondata la questione, ha, per prima cosa confutato la premessa da cui prendeva le mosse il ragionamento dei rimettenti, cioè che l’art. 26, ultimo comma, della l. n. 298/74 non fosse suscettibile di altra interpretazione se non che quella che, per il contratto di autotrasporto, imponeva la forma scritta. Precisa la Corte che ad escludere tale rigida corrispondenza militano due argomenti: l’uno dato dal fatto che, sebbene la prevalente giurisprudenza formatasi su detta norma avallasse la tesi dei rimettenti (7), non era(6) Corte cost. n. 26/03, in Foro it., 2003, I, c. 681. (7) Cfr. in questo senso Trib. Macerata, 8 gennaio 2001, in Arch. circolaz., 2001, p. 483; FORMA DI CONTRATTO DI AUTOTRASPORTO di ANDREA GENTILI 66 FORMA DI CONTRATTO DI AUTOTRASPORTO di ANDREA GENTILI Le attualità no mancate interpretazioni di senso diverso (8) anche da parte della stessa Corte di cassazione (9); l’altro dato dal fatto che, se fosse vera la premessa, la disposizione ultima citata, la cui indiscussa finalità è, come concordemente ritenuto, quella di contribuire alla repressione dell’abusivismo nel settore dell’autotrasporto, travolgerebbe non soltanto i contratti stipulati con chi non sia iscritto all’Albo, ma anche quelli conclusi, sia pur in forma orale, da un vettore regolarmente in possesso della prescritta iscrizione, e ciò a causa di un vizio formale non correlato ad alcuna effettiva esigenza di tutela né dell’interesse generale (come detto garantito dalla regolare iscrizione del vettore nell’apposito albo) né di quello particolare del committente; aggiunge la Corte – con una significativa espressione – che, se fosse vero quanto postulato dai rimettenti, un tale risultato sarebbe indice del fatto che il legislatore, nel perseguire il ricordato scopo, avrebbe « ecceduto nel mezzo », come sarebbe dimostrato dalla circostanza, evidenziabile dalla fattispecie all’esame dei giudici a quibus, che nelle ipotesi sub iudice non vi era dubbio sul fatto che i vettori in questione erano regolarmente iscritti nell’albo degli autotrasportatori. Caduta la premessa fondante il ragionamento dei rimettenti, vengono, evidentemente meno anche le conseguenze che essi ne traggono: nessun dubbio sulla legittimità dell’intervento interpretativo del legislatore; laddove sia possibile enucleare uno « scarto » fra una delle possibili varianti Trib. Torino, 21 giugno 2001 (ined.); Trib. Torino, 1 giugno 2000, in Riv. giur. circ. e trasp., 2000, p. 783, con nota di SARZINA, Tariffe di trasporto e ordine pubblico: utopia e realtà; Trib. Torino, 17 novembre 1999, cit.; Trib. Monza, 22 gennaio 1999, in Giust. civ., 1999, I, p. 1853, con nota di SARZINA, Le tariffe di trasporto tra prescrizione e nullità; Pret. Torino, 30 dicembre 1997, in Giur. piemontese, 1998, p. 394; Trib. Alba, 30 novembre 1995, in Dir. trasp., 1997, p. 163, con nota di RIGUZZI, Brevi considerazioni sulla nuova forma ad substantiam del contratto di trasporto merci su strada; Pret. Firenze, 6 novembre 1997, in Riv. giur. circ. e trasp., 1998, p. 747; Trib. Milano, 3 luglio 1997, in Riv. giur. circ. e trasp., 1998, p. 519, con nota di SARZINA, Le tariffe inutili anzi dannose. (8) Cfr., infatti, Trib. Bari, 22 novembre 2000, in Foro it., 2001, I, c. 345; Pret. Pistoia, 22 febbraio 1999, in Foro it., 1999, I, c. 2758; Trib. Roma, 30 settembre 1998 (ined.); Pret. Matera, 30 settembre 1998, in Corti di Bari, Lecce e Potenza, 2001, I, p. 501. (9) Il riferimento, esplicito nella sentenza, è a Cass. 6 giugno 2002, n. 8256, in Giust. civ., 2002, I, p. 2121 ed anche in Dir. trasp., 2003, p. 219, con nota di ROSAFIO, Sulla forma del contratto di autotrasporto di merci su strada. Sembra in ogni caso opportuno segnalare che la sentenza della Corte regolatrice, che pur contiene la lapidaria frase: « È incontestabile che (…) la disposizione in questione (il più volte citato art. 26, ultimo comma, della l. n. 298/74 n.d.r.) non prescrive espressamente il requisito della forma scritta per la conclusione del contratto di autotrasporto », in effetti poi « giuoca » il ragionamento motivazionale, che la porta a cassare la sentenza gravata di ricorso la quale aveva affermato la nullità del contratto di autotrasporto dedotto in giudizio in quanto concluso oralmente, più che su di una originaria validità del contratto in questione, sul fatto che, intervenuta la legge di interpretazione autentica, i cui effetti naturalmente retroattivi vanno ovviamente ad incidere anche sul rapporto, e sull’atto, oggetto di giudizio da parte della Corte di cassazione, poco senso ha, in sede di giudizio ordinario, di fronte al chiaro tenore testuale della legge di interpretazione, domandarsi se il contratto di autotrasporto sia o meno a forma vincolata. Evidente è che, se questo è stato il ragionamento seguito dalla Corte di cassazione, diventa meno significativo il riferimento che a tale sentenza fa la Consulta. Esso, infatti, avrebbe avuto ben altro peso laddove la decisione della Corte avesse richiamato, per escludere la necessità della forma contrattuale scritta, il testo dell’art. 26 cit. a prescindere dall’intervento interpretativo del legislatore. Le attualità 67 di senso di un testo normativo, tanto più nel caso in cui tale variante di senso incontri un così evidente favore giurisprudenziale, e la ratio del testo stesso, ben può il legislatore ricorrere ad una legge di interpretazione autentica che cristallizzi, di fatto imponendola, quella interpretazione che meglio, secondo i « correnti » indirizzi di politica legislativa, risponda alla ratio sottesa alla disposizione controversa. Quanto alla censura relativa alla violazione del principio di affidamento sulla certezza dei rapporti giuridici, la Corte osserva, per un verso, che il lamentato fenomeno è connesso alla adozione di qualsiasi legge di interpretazione autentica, la quale, operando retroattivamente, detta una disciplina inderogabilmente applicabile a rapporti pregressi (10) e, per altro verso, riguardo al caso specifico, che non appare degna di tutela costituzionale la posizione di chi, facendo consapevolmente affidamento sulla nullità di un contratto per difetto di forma, voglia sottrarsi all’adempimento delle obbligazioni che da quel contratto scaturirebbero. Anche con la sentenza n. 341/03 (11) la Corte costituzionale ha ribadito che, sussistendo una situazione di incertezza interpretativa in ordine alla reale portata dell’art. 26, ultimo comma, della l. n. 298/74, pienamente legittimo doveva essere considerato l’intervento interpretativo operato dal legislatore con l’art. 3 del d.l. n. 256/01; così come non censurabile era il fatto che detto intervento era stato compiuto attraverso lo strumento della decretazione d’urgenza; ciò sotto il duplice profilo sia dell’assorbimento dell’eventuale mancanza originaria dei requisiti della necessità ed urgenza per effetto della avvenuta conversione in legge del decreto legge, sia della non ricorrenza nella specie della ipotesi della macroscopica mancanza dei presupposti che, sola, giustificherebbe la possibilità di un perdurante sindacato di legittimità costituzionale sul decreto legge dopo la sua conversione. Più interessante, anche perché scopertamente foriera di possibili ulteriori sviluppi (12), è la motivazione con la quale la Corte ha rigettato la questione di costituzionalità, sollevata dai Tribunali di Prato, Roma e Sassari (13) in relazione all’art. 3 Cost. e, solamente dal primo rimettente, in relazione anche all’art. 41 Cost.; sostenevano, infatti, i rimettenti che la disposizione interpretativa creava una situazione di disparità di trattamento fra quanti concludevano il contratto in forma orale e quanti lo redigevano per iscritto, posto che solamente questi ultimi potevano incorrere (10) Interessante notare che in altra occasione la Corte, questa volta dichiarando la incostituzionalità di una disposizione legislativa che sanciva una generalizzata sanatoria di determinate clausole contenute in contratti già in essere – si trattava della clausole apposte ai contratti bancari e che prevedevano la capitalizzazione anatocistica degli interessi dovuti in favore degli istituti di credito – e che, invece, la giurisprudenza formatasi sul punto considerava nulle, ebbe testualmente a chiarire che la disposizione in questione, dotata di efficacia retroattiva e, anche per questo, dichiarata incostituzionale, non aveva natura interpretativa: Corte cost. n. 425/2000, in questa Rivista, 2000, p. 1312, con nota di D’ALESSANDRO, La Corte costituzionale interviene sulla vicenda degli interessi bancari anatocistici. (11) Corte cost. n. 341/03, in Foro it., 2004, I, c. 357. (12) Puntualmente verificatisi con la sentenza ora in commento. (13) Le tre ordinanze di rimessione sono, rispettivamente, pubblicate in Gazzetta Ufficiale, n. 45, 1a s.s., 2002; n. 5, 1a s.s., 2003; e n. 7, 1a s.s., 2003. FORMA DI CONTRATTO DI AUTOTRASPORTO di ANDREA GENTILI 68 FORMA DI CONTRATTO DI AUTOTRASPORTO di ANDREA GENTILI Le attualità nella sanzione della nullità per difetto di « indicazioni necessarie » e che, quanto al Tribunale di Prato, era possibile, attraverso la mancata annotazione dei dati relativi alla « abilitazione » del vettore, realizzare, per il tramite della nullità del contratto, la elusione della obbligatorietà delle tariffe a forcella. Riguardo al primo aspetto la Corte, precisato che nei suoi esatti termini, la questione avrebbe avuto ad oggetto il deteriore trattamento gravante su chi aveva prescelto la forma scritta, sicché la eventuale reductio ad aequitatem avrebbe dovuto concernere la parte di norma che stigmatizza con la nullità l’omessa annotazione sulla copia del contratto redatto per iscritto i dati relativi ad iscrizione del vettore nell’albo, rileva che, essendo stati, tuttavia, i contratti di cui ai giudizi a quibus conclusi, come si suol dire, verbis, la questione, come sopra chiarita era irrilevante, così come lo era la questione sotto il profilo riguardante l’asserita violazione dell’art. 41 Cost., con la importante precisazione che l’aspetto problematico messo in evidenza dal Tribunale di Prato deporrebbe semmai per la illegittimità costituzionale della disposizione – non oggetto di applicazione di fronte a quel rimettente stante la modalità di conclusione del contratto utilizzata dalle parti ivi litiganti – che determina la nullità del contratto redatto per iscritto in mancanza delle più volte ricordate indicazioni. 4. – Non è possibile dire se sia stata una singolare coincidenza di date ovvero se il Tribunale di Latina abbia tempestivamente raccolto la discreta sollecitazione della Consulta (14), fatto si è che a poco meno di un mese da questa ultima decisione il Tribunale pontino ha impugnato di fronte al giudice delle leggi non (e, dovrebbe dirsi, non tanto) solo l’art. 3 del d.l. n. 256/01 ma anche (e dovrebbe, invece, dirsi, quanto) l’art. 26, ultimo comma, della l. n. 298/74. Il combinato disposto delle predette norme viene impugnato nella parte in cui da esso deriverebbe una irragionevole disparità di trattamento fra contraenti (ma forse, meglio, fra vettori) che abbiano scelto la forma orale e contraenti (vettori), i quali, regolarmente iscritti nell’apposito albo, abbiano scelto la forma scritta ma abbiano omesso di effettuare le annotazioni di legge nella copia da consegnare al committente. La Corte, ricostruita, con metodica precisione ed accurato scrupolo, la articolata vicenda legislativa che ha condotto all’attuale stato normativo, ed evidenziatene le già ricordate finalità di repressione dell’abusivismo e di garanzia della libertà e trasparenza del mercato, rileva come gli strumenti normativi adottati, anteriormente alla emanazione della disposizione di interpretazione autentica di cui all’art. 3 del d.l. n. 256/01, abbiano, in sostanza, fallito il loro scopo posto che, secondo la giurisprudenza preva(14) La sentenza n. 341/03 della Corte cost. è stata depositata in data 13 novembre 2003, l’ordinanza di rimessione del Tribunale di Latina è, a sua volta, datata 17 dicembre 2003. Va, d’altra parte, detto che già all’indomani del deposito della sentenza n. 26/03, ci fu chi, immediatamente, rilevò che sul nuovo orizzonte della tematica si profilava la dubbia costituzionalità non della norma interpretativa, ma di quella interpretata: così, infatti FIORINI, in Guida al dir., 2003, n. 9, p. 41, nonché SQUERI, Legittimità costituzionale della norma di interpretazione autentica sulla forma libera dei contratti di autotrasporto terrestre, in Dir. maritt., 2003, p. 430. Le attualità 69 lente, la nullità del contratto era dichiarata sia in caso di contratto stipulato oralmente sia in caso di contratto concluso per iscritto ma in assenza delle prescritte annotazioni, con la conseguenza che in tali casi, a prescindere dalla circostanza che il vettore fosse o meno in possesso della necessaria abilitazione e fosse autorizzato all’esercizio della attività di autotrasporto (unici requisiti, in realtà, rilevanti ai fini della repressione dell’abusivismo e della derivante tutela della concorrenza), il committente poteva non solo sottrarsi all’obbligo di rispettare le tariffe a forcella ma anche, secondo un certo orientamento giurisprudenziale, ottenere in restituzione, ex art. 2033 c.c., in danno dell’autotrasportatore quanto versato a titolo di corrispettivo. Pertanto, a fronte di questa situazione, icasticamente definita « paradossale », il legislatore, onde limitare gli effetti distorti dell’art. 26, ultimo comma, della l. n. 298/74, quantomeno della applicazione giurisprudenziale che pretendeva di ricavare da esso la necessità della forma contrattuale scritta ad substantiam, è intervenuto chiarendo, con il più volte richiamato art. 3 del d.l. n. 256/01, che il contratto di autotrasporto può, in linea di principio, anche essere concluso in forma libera. Tale chiarimento, tuttavia, prosegue la Corte, ha evidenziato ancor più la irragionevolezza dell’ultimo comma dell’art. 26 della l. n. 298/74. Poco senso ha infatti, imporre – addirittura a pena di nullità – la presenza di determinate annotazioni nei contratti (15) redatti per iscritto, laddove poi si consente di concludere il contratto anche oralmente, tanto più ove tale sanzione si riveli un facile mezzo, se utilizzato da un committente scaltro, per potersi sottrarre, anche nel caso di rapporto intercorso con un vettore « in regola », al vincolo dell’applicazione delle, diversamente inderogabili, tariffe a forcella. La sentenza è decisamente da condividersi; con essa, infatti, oltre a correggersi la palese disparità di trattamento esistente fra quanti, a parità delle altre condizioni rilevanti, abbiano, in ambedue i casi legittimamente, concluso il contratto in un caso verbis in altro caso scriptis, si è rimossa una singolare fattispecie di nullità caratterizzata dall’essere determinata da un vizio formale connesso ad un elemento del tutto estrinseco sia al contenuto del contratto che al suo oggetto. (15) In realtà, e qui si evidenzia anche la peculiarità lessicale adottata dal legislatore, la novella del 1993, che come dianzi ricordato ha integrato con l’ultimo comma il preesistente art. 26, impone a chi effettua il trasporto di eseguire le prescritte annotazioni nella « copia del contratto di trasporto da consegnare al committente ». Ciò induce almeno due considerazioni: la prima è che, essendo la copia del contratto cosa diversa dal contratto (evidentemente l’una riproduce qualche cosa che già esiste), dovremmo pensare che, secondo la visione del legislatore, la mancata annotazione di quanto prescritto avrebbe dovuto integrare una ipotesi di nullità sopravvenuta: il contratto nasce valido ma « si vizia » se, al momento in cui il committente ne riceve una copia, in questa non sono eseguite le ricordate annotazioni. La tesi sembra smentita dal fatto che il legislatore espressamente richiama come momento di esecuzione delle annotazioni quello della « conclusione del contratto », sicché, fintantoché le annotazioni non sono fatte, il contratto non è concluso. E allora dovrebbe ritenersi che la redazione della annotazioni non è momento estrinseco alla conclusione del contratto, che la copia del contratto da consegnarsi al committente non è affatto una copia (posto che essa ha un contenuto necessariamente diverso dal preteso originale) ma è, semmai, un secondo originale per il quale il legislatore ha (aveva) prescritto a pena di nullità un contenuto diverso, più ricco, di quello del primo originale. FORMA DI CONTRATTO DI AUTOTRASPORTO di ANDREA GENTILI 70 FORMA DI CONTRATTO DI AUTOTRASPORTO di ANDREA GENTILI Le attualità La disposizione che tale fattispecie prevedeva non trovava, d’altro canto, alcun fondamento di razionalità nell’essere in qualche modo necessaria, dato che la nullità da essa prevista (che – come è vero – è posta a presidio della possibilità per i soli vettori abilitati a svolgere la attività di autotrasporto di merci per conto terzi) ben poteva essere fatta derivare, ove il rapporto contrattuale fosse sorto con soggetto non abilitato, dalla rigida prescrizione contenuta nell’art. 1 della l. n. 298/74 – il quale prevede, fra l’altro, che: « L’iscrizione nell’albo è condizione necessaria per l’esercizio dell’autotrasporto di cose per conto di terzi » – trattandosi di contratto concluso in violazione di norma imperativa; violazione cui, tuttora, consegue la applicazione di pesanti sanzioni (non più penali, ma pur sempre) amministrative a carico sia di chi svolge l’attività illegittimamente sia a carico di chi, a vario titolo, adibisce costui a tale attività. ANDREA GENTILI LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Valerio ONIDA; Giudici: Carlo MEZZANOTTE, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 26, ultimo comma, della legge 6 giugno 1974, n. 298 (Istituzione dell’albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto di terzi, disciplina degli autotrasportatori di cose e istituzione di un sistema di tariffe a forcella per i trasporti di merci su strada), modificato dall’art. 1 del decreto-legge 29 marzo 1993, n. 82 (Misure urgenti per il settore dell’autotrasporto di cose per conto di terzi), convertito nella legge 27 maggio 1993, n. 162, e dell’art. 3 del decreto-legge 3 luglio 2001, n. 256 (Interventi urgenti nel settore dei trasporti), convertito in legge 20 agosto 2001, n. 334, promosso con ordinanza del 17 dicembre 2003 dal Tribunale di Latina nel procedimento civile vertente tra Italcalce s.r.l. e Autotrasporti Anxur di Francesca Pio & C. s.n.c., iscritta al n. 253 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2004. Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 17 novembre 2004 il Giudice relatore Romano Vaccarella. Ritenuto in fatto 1. – Il Tribunale di Latina – adito dalla committente Italcalce s.r.l. in sede di opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dal vettore Autotrasporti Anxur s.n.c., ricorrente in via monitoria per conseguire il pagamento, con gli interessi, del corrispettivo pari alla differenza tra quanto dovuto in applicazione delle c.d. « tariffe a forcella » e quanto effettivamente corrisposto per attività di trasporto di cose effettuata nel periodo dal 1° aprile 1993 al gennaio 2000 – con ordinanza del 17 dicembre 2003, solleva d’ufficio questione di legittimità costituzionale, per asserito contrasto con l’art. 3 della Costituzione, dell’ultimo comma dell’art. 26 della legge 6 giugno 1974, n. 298 (Istituzione dell’albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto di terzi, disciplina degli autotrasportatori di cose e istituzione di un sistema di tariffe a forcella per i trasporti di merci su strada), come modificato dall’art. 1 del decreto-legge 29 marzo 1993, n. 82 (Misure urgenti per il settore dell’autotrasporto di cose per conto di terzi), convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1993, n. 162, e della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 3 del decreto-legge 3 luglio 2001, n. 256 (Interventi urgenti nel settore dei trasporti), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 agosto 2001, n. 334. Le attualità 1.1. – In punto di fatto, il giudice a quo riferisce che la opponente, Italcalce s.r.l., aveva lamentato, tra le altre cose, la insufficienza della documentazione posta a base della pronuncia monitoria, nonché la derogabilità, alla luce della sua natura proibitiva e non imperativa, del sistema tariffario c.d. a forcella, regolato dalla legge n. 298 del 1974, di per sé comunque confliggente con il regolamento CE n. 4058 del 1989; che l’opposta, Autotrasporti Anxur s.n.c., aveva respinto le deduzioni avverse, ribadendo, tra l’altro, il carattere obbligatorio del sistema tariffario « a forcella », comportante la sostituzione di diritto delle clausole difformi, nonché la sua conformità alla normativa europea, verificata positivamente sia dalla Corte di giustizia che dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 386 del 1996; che il giudizio era già stato sospeso in attesa della definizione della questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale di Torino con ordinanza del 10 novembre 2001 e poi decisa dalla Corte costituzionale, nel senso della manifesta inammissibilità, con ordinanza n. 492 del 2002. 1.2. – In ordine alla rilevanza, il rimettente ritiene di sicura applicazione al caso in esame l’ultimo comma dell’art. 26 della legge n. 298 del 1974 (modificato dall’art. 1 del decreto-legge n. 82 del 1993, convertito dalla legge n. 162 del 1993), il quale dispone che « ai fini del presente articolo, al momento della conclusione del contratto di autotrasporto di cose per conto terzi a cura di chi effettua il trasporto sono annotati nella copia del contratto di trasporto da consegnare al committente, pena la nullità del contratto stesso, i dati relativi agli estremi dell’attestazione di iscrizione all’albo e dell’autorizzazione al trasporto di cose per conto di terzi rilasciati dai competenti comitati provinciali dell’Albo nazionale degli autotrasportatori di cui alla presente legge », come interpretato autenticamente dall’art. 3 del decreto-legge n. 256 del 2001 (convertito dalla legge n. 334 del 2001) « nel senso che la prevista annotazione sulla copia del contratto di trasporto dei dati relativi agli estremi dell’iscrizione all’albo e dell’autorizzazione al trasporto di cose per conto terzi possedute dal vettore, nonché la conseguente nullità del contratto privo di tali annotazioni, non comportano l’obbligatorietà della forma scrit- 71 ta del contratto di trasporto previsto dall’art. 1678 del codice civile, ma rilevano soltanto nel caso in cui per la stipula di tale contratto le parti abbiano scelto la forma scritta ». Infatti, il giudice a quo riferisce che l’Autotrasporti Anxur s.n.c., benché iscritta all’Albo nazionale degli autotrasportatori e debitamente autorizzata, ha prodotto in giudizio la copia in suo possesso del contratto di trasporto del 24 maggio 1993 priva delle annotazioni prescritte dalla legge a pena di nullità; ciò che le impedirebbe di conseguire giudizialmente le differenze tariffarie per le prestazioni effettuate dopo quella data e fermo restando, invece, per il periodo dal 1° aprile 1993 alla stipula, la validità del contratto concluso oralmente. Né, ad avviso del rimettente, viene meno la rilevanza della questione di costituzionalità in conseguenza del fatto che nel giudizio a quo è stata prodotta la sola copia in possesso del trasportatore in luogo di quella, indicata dalla legge, « da consegnare al committente », tenuto conto che, comunque, incombe sul trasportatore, attore sostanziale nel processo monitorio, l’onere probatorio circa la validità del contratto posto a base della domanda giudiziale. 1.3. – Con riguardo alla non manifesta infondatezza il rimettente, ribadita l’obbligatorietà del sistema tariffario « a forcella », nonché la sua conformità alla normativa europea, accertata sia dalla Corte di giustizia (sentenze 5 ottobre 1995, C 96/94 e 1° ottobre 1998, C 38/97) che dalla Corte costituzionale (sentenza n. 386 del 1996), deduce la irragionevolezza della disparità di trattamento realizzata dalle disposizioni impugnate, in relazione alla sanzione della nullità contrattuale, tra contraenti che abbiano scelto la forma orale e contraenti che siano invece ricorsi alla forma scritta senza effettuare le annotazioni di legge. In particolare, il contrasto con l’art. 3 della Costituzione risulterebbe evidente laddove le norme censurate ricollegano la nullità del contratto all’adempimento di obblighi meramente formali, con la previsione di quello che la stessa Corte costituzionale (sentenza n. 26 del 2003) ha rilevato essere un eccesso del mezzo rispetto al fine dichiarato della repressione dell’abusivismo, di per sé già adeguatamente assicurato dalla previsione, pro- 72 Le attualità prio ad opera dell’art. 26 cit., dell’illecito amministrativo dell’affidamento del trasporto ad un vettore abusivo; e ciò senza contare che il contratto così concluso sarebbe già di per sé nullo per contrarietà a norme imperative. La discriminazione in parola, ad avviso del rimettente, sarebbe inoltre tanto più macroscopica nel giudizio a quo, dove il contratto risulterebbe validamente regolare i soli trasporti effettuati tra il 1° aprile ed il 23 maggio 1993, nel periodo cioè in cui esso aveva rivestito la forma orale. 2. – È intervenuto, con la rappresentanza dell’Avvocatura dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri il quale ha eccepito l’inammissibilità e comunque l’infondatezza della questione sulla considerazione che « la limitazione degli effetti della disposizione ai soli contratti di trasporto stipulati nella forma scritta […] sia del tutto conforme alla ratio ed allo spirito dell’originaria previsione di legge ». Osserva in proposito la difesa erariale che « il problema affrontato non era, infatti, quello di stabilire quando fosse stato stipulato dalle parti un valido contratto di trasporto, ai sensi del codice civile, quanto piuttosto di valutare quando il trasporto per conto terzi, ancorché stipulato nella forma scritta e da un soggetto iscritto all’albo, potesse considerarsi conforme alle regole dirette a reprimere le esistenti forme di abusivismo ». 3. – In prossimità della camera di consiglio, la difesa erariale ha ribadito con una memoria le proprie richieste osservando, in primo luogo, che l’ordinanza di rimessione non conterrebbe una sufficiente motivazione sulla rilevanza, tenuto conto che il giudice a quo, una volta riconosciuto che il rapporto contrattuale è validamente sorto il 1° aprile 1993 in forma orale, avrebbe omesso di dar conto della valenza novativa della successiva pattuizione, intervenuta per iscritto tra le parti il 24 maggio 1993, di modo che non potrebbe escludersi che la nullità della fonte scritta risulti ininfluente nella regolamentazione del rapporto, ove retta dall’originario contratto verbale. Proprio questo percorso argomentativo offrirebbe l’ulteriore spunto, a detta della difesa erariale, per cogliere l’infondatezza della questione sotto il profilo che il negozio nullo per difetto di forma, derivante dalle mancate annotazioni prescritte dalla legge, si convertirebbe ai sensi dell’art. 1424 cod. civ. in un valido contratto di trasporto concluso in forma orale, soprattutto se la prestazione richiesta sia stata concretamente effettuata. Ad ogni buon conto, soggiunge la difesa erariale che, ove pure fosse riscontrabile la disparità di trattamento lamentata dal giudice rimettente, questa non potrebbe che essere l’effetto, meramente fattuale, di una scelta dei contraenti cui è incondizionatamente offerta, proprio dalla normativa impugnata, la possibilità di sottrarsi al « rischio della nullità » stipulando il contratto in forma orale. Da ultimo, osserva l’Avvocatura dello Stato come la circostanza che il divieto di corrispondere competenze inferiori a quelle fissate nelle « tariffe a forcella » inerisce alla prestazione « trasporto » e non anche al contratto nella sua interezza (così Cassazione, 6 dicembre 1996, n. 10894) « contribuisca al realizzarsi di un effettivo gioco concorrenziale nel settore », dirigendosi essenzialmente la sanzione di nullità a colpire quei « patti in deroga » che talune imprese, comunque tenute a documentare per iscritto il rapporto, utilizzano per l’affidamento di trasporti a vettori non autorizzati o a prezzi fuori tariffa. Considerato in diritto 1. – Il Tribunale di Latina dubita della legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 26, ultimo comma, della legge 6 giugno 1974, n. 298, come modificato dall’art. 1 del decreto-legge 29 marzo 1993, n. 82, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1993, n. 162, in combinato disposto con l’art. 3 del decreto-legge 3 luglio 2001, n. 256, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 agosto 2001, n. 334, nella parte in cui dette norme realizzano una irragionevole disparità di trattamento, in relazione alla sanzione della nullità del contratto, tra contraenti che abbiano scelto la forma orale e contraenti che, pur essendo regolarmente iscritti all’albo degli autotrasportatori e debitamente autorizzati, abbiano invece fatto ricorso alla forma scritta senza effettuare, sulla copia del contratto da consegnare al committente, le annotazioni di legge. Le attualità 2. – Le eccezioni di inammissibilità della questione, per carente motivazione della sua rilevanza nel giudizio a quo, sono infondate. Nell’ordinanza di rimessione il Tribunale di Latina riferisce che le parti, dopo aver governato i loro rapporti con un contratto stipulato oralmente, avevano successivamente affidato alla forma scritta le loro intese contrattuali: sicché, ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, il Tribunale avrebbe dovuto esplicitamente escludere che si fosse trattato, nella specie, d’un unico rapporto contrattuale avente la sua fonte esclusiva nel contratto orale (« ripetuto » successivamente per iscritto) ovvero anche escludere che il contratto scritto, viziato, si fosse convertito in un valido contratto concluso oralmente. Osserva la Corte che correttamente il Tribunale rimettente si è astenuto dall’esplorare la praticabilità di entrambe le soluzioni appena ricordate, dal momento che la norma, nella parte in cui prevede che l’adozione della forma scritta impone, a pena di nullità del contratto, l’osservanza di certi requisiti formali, è certamente – secondo l’interpretazione dominante – di natura imperativa: sicché il ritenere che il giudice – nonostante il rapporto fosse regolato, da un certo momento in poi, da un contratto scritto privo dei requisiti formali prescritti a pena di nullità – potesse far riferimento, come regolatore del rapporto, al preesistente contratto orale ovvero ad un valido contratto in forma libera (nel quale si sarebbe convertito quello scritto) equivale a privare la norma (della cui costituzionalità si dubita) di qualsiasi efficacia: la irrilevanza del contratto scritto – o perché « riproduttivo » di quello orale precedente o perché convertito in un diverso e valido contratto scritto ma in forma libera – postula l’abrogazione della norma sospettata di incostituzionalità. 3. – La questione è fondata. 3.1. – La norma sospettata di illegittimità costituzionale è frutto di ripetuti interventi legislativi che si sono innestati sulla disciplina originaria del 1974 e, in particolare, sull’art. 26 della legge 6 giugno 1974, n. 298, istitutiva dell’albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto di terzi. 73 3.1.1. – Il fine perseguito da tale legge – oltre quello, indiretto, di rendere più sicuri i trasporti e la circolazione stradale – era, trasparentemente, quello di impedire situazioni di concorrenza sleale in un settore vitale dell’economia nel contempo evitando che la differente forza contrattuale delle parti si traducesse, nei singoli rapporti, in una « svendita » delle prestazioni offerte dagli autotrasportatori: di qui la previsione che « l’iscrizione nell’albo è condizione necessaria per l’esercizio dell’autotrasporto di cose per conto di terzi » (art. 1, comma terzo), la necessità di « apposita autorizzazione » per ciascun autoveicolo (art. 41), l’istituzione di un sistema di tariffe obbligatorie c.d. a forcella (art. 50 segg). L’efficacia di tale disciplina era affidata, oltre che ad una nutrita serie di norme che prevedevano sanzioni di vario genere (articoli 21, 27, 47, 48, 58), soprattutto all’art. 26 – a tenore del quale « chiunque esercita l’attività di cui all’articolo 1 senza essere iscritto nell’albo, ovvero continua ad esercitare l’attività durante il periodo di sospensione o dopo la radiazione o la cancellazione dall’albo, è punito a norma dell’art. 348 del codice penale. In caso di flagranza di reato, si procede al sequestro del veicolo » – ed all’art. 46, a norma del quale, « fermo quanto previsto dall’articolo 26, chiunque disponga l’esecuzione di trasporto di cose con autoveicoli o motoveicoli, senza licenza o senza autorizzazione oppure violando le condizioni o i limiti stabiliti nella licenza o nell’autorizzazione, è punito con la reclusione da uno a sei mesi o con la multa da lire 100.000 a lire 300.000 ». Nonostante l’autotrasportatore non iscritto fosse soggetto al regime penalistico dell’esercente abusivo di « una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato », la giurisprudenza, di merito e di legittimità, ritenne che l’inosservanza del precetto per cui « l’iscrizione nell’albo è condizione necessaria per l’esercizio dell’autotrasporto di cose per conto di terzi » incidesse sul contratto esclusivamente nel senso di rendere inapplicabili le (altrimenti obbligatorie) tariffe a forcella, potendo queste essere invocate esclusivamente dal trasportatore iscritto nell’albo nazionale e munito della prescritta autorizzazione. 3.1.2. – Con decreto-legge 27 novembre 1992, n. 463, all’art. 26 fu aggiunto un ter- 74 Le attualità zo comma che puniva con la reclusione fino a quattro mesi o con la multa da 100.000 a 800.000 lire « chiunque affida l’effettuazione di un autotrasporto di cose per conto di terzi a chi eserciti abusivamente l’attività di cui all’art. 1 » e prevedeva, inoltre, il sequestro e la successiva confisca della merce trasportata. Tale decreto non fu convertito in legge, e così pure l’identico decreto-legge 26 gennaio 1993, n. 19. 3.1.3. – Alla scadenza del periodo utile per la conversione del decreto-legge n. 19 del 1993, fu emanato il decreto-legge 29 marzo 1993, n. 82, il cui art. 1 aggiunse al testo originario dell’art. 26 i seguenti, due commi: « Chiunque affida l’effettuazione di un autotrasporto di cose per conto di terzi a chi esercita abusivamente l’attività di cui all’articolo 1 o ai soggetti di cui all’articolo 46 della presente legge, è punito con l’ammenda da lire cinquantamila a lire un milione. Si procede altresì al sequestro della merce trasportata, di cui può essere disposta la confisca con la sentenza di condanna. « Ai fini di cui al presente articolo, al momento della conclusione del contratto di autotrasporto di cose per conto di terzi, a cura di chi effettua il trasporto, sono annotati nella copia del contratto di trasporto da consegnare al committente, pena la nullità del contratto stesso, i dati relativi agli estremi dell’attestazione di iscrizione all’Albo e dell’autorizzazione al trasporto di cose per conto di terzi rilasciati dai competenti comitati provinciali dell’Albo nazionale degli autotrasportatori di cui alla presente legge, da cui risulti il possesso dei prescritti requisiti di legge ». La relazione illustrativa del disegno di legge di conversione (27 maggio 1993, n. 162) – con la quale si facevano salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti-legge n. 463 del 1992 e n. 19 del 1993 – esponeva che « l’articolo 1 è necessitato dalla circostanza che nel settore vi sono numerosissimi operatori abusivi, e ciò nonostante i controlli sull’iscrizione all’albo e sul sistema autorizzativo messi in opera dalle amministrazioni deputate allo scopo. Prevedere il coinvolgimento dei committenti nelle responsabilità connesse a tali trasporti abusivi è l’unico deterrente per scongiurare il lamentato fenomeno ». 3.1.4. – Nell’iter parlamentare del disegno di legge governativo n. 2935, comunicato alla Presidenza del Senato il 10 dicembre 1997, la VIII Commissione permanente del Senato approvò una norma (art. 30) a tenore della quale « l’ultimo comma dell’art. 26 della legge 6 giugno 1974, n. 298, come modificato dall’articolo 1 del decreto-legge 29 marzo 1993, n. 82, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1993, n. 162, si interpreta nel senso che la prevista annotazione sulla copia del contratto di trasporto dei dati relativi agli estremi dell’iscrizione all’albo e dell’autorizzazione al trasporto di cose per conto di terzi possedute dal vettore, nonché la conseguente nullità del contratto privo di tali annotazioni, non comportano l’obbligatorietà della forma scritta del contratto di trasporto previsto dall’art. 1678 del codice civile ma rilevano soltanto nel caso in cui per la stipula di tale contratto le parti abbiano scelto la forma scritta ». La Camera dei deputati stralciò, insieme con altre, la norma da quella che sarebbe divenuta la legge 7 dicembre 1999, n. 472 (Interventi nel settore dei trasporti). 3.1.5. – Il decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 – attuativo della leggedelega 25 giugno 1999, n. 205, sulla depenalizzazione dei reati minori – provvide a: a) sostituire il primo comma dell’art. 26 prevedendo per il trasportatore abusivo, in luogo di quella penale, la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire quattro milioni a lire ventiquattro milioni, aumentata in caso di recidiva infraquinquennale; b) sopprimere il secondo comma, relativo al sequestro del veicolo; c) portare ad una somma da lire tre milioni a lire diciotto milioni la sanzione per chi affida l’effettuazione dell’autotrasporto ad un abusivo, sopprimendo la previsione del sequestro e della successiva confisca della merce trasportata; d) inserire un comma (terzo) per cui « alle violazioni di cui al primo comma consegue la sanzione accessoria del fermo amministrativo del veicolo per un periodo di tre mesi ovvero, in caso di reiterazione delle violazioni, la sanzione accessoria della confisca amministrativa del veicolo, con l’osservanza delle norme di cui al capo I, sezione II, del titolo VI del Le attualità decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 ». 3.1.6. – L’art. 3 del decreto-legge 3 luglio 2001, n. 256, riproduce esattamente la norma che, inserita dal Senato, fu poi espunta dalla Camera nell’iter di approvazione della legge n. 472 del 1999 (v. sub 3.1.4.); norma recepita integralmente dalla legge (n. 256 del 2001) di conversione e giustificata, nella relazione illustrativa, come « una necessaria precisazione, in linea con lo spirito del legislatore della legge n. 162 del 1993, che aveva come obiettivo la lotta all’abusivismo e che ha invece fatto sorgere situazioni di non omogenea applicazione sul territorio nazionale, provocando un contenzioso di notevolissima portata ». È il caso di rilevare che i numerosi interventi critici svolti in sede parlamentare investivano l’idoneità dello strumento a tal fine individuato (decreto-legge di interpretazione autentica), ma riconoscevano tutti l’esigenza di superare la giurisprudenza prevalente formatasi sull’art. 26, come modificato dal decreto-legge n. 82 del 1993: sicché gli emendamenti sostitutivi dell’art. 3 erano nel senso di consentire in futuro la forma orale del contratto e di prevedere anche, per il passato, che la violazione del requisito formale dell’annotazione dei dati non potesse mai giustificare l’azione di ripetizione di indebito oggettivo di cui all’art. 2033 cod. civ. e che fossero dovuti i compensi pattuiti tra le parti a condizione che l’autotrasportatore fosse iscritto nell’albo nazionale e fosse munito della prescritta autorizzazione. 4. – La lunga e complessa vicenda legislativa appena ricordata mostra chiaramente come il legislatore abbia tentato, attraverso un progressivo aggiustamento degli strumenti utilizzati, di conseguire il duplice obiettivo di contrastare il fenomeno dell’abusivismo e di realizzare, in tal modo, una situazione di leale concorrenza nel settore dei trasporti di merci per conto terzi. 4.1. – Il ricorso alla sanzione penale nei confronti del solo autotrasportatore abusivo (e dell’intermediario che « dispone l’esecuzione del trasporto … senza licenza o senza autorizzazione ») si rivelò del tutto inefficace, non soltanto perché nessuna sanzione era prevista a carico del 75 committente, ma anche perché il contratto concluso con l’autotrasportatore abusivo veniva – secondo la giurisprudenza pacifica – « sanzionato » esclusivamente con l’esclusione dell’applicabilità delle tariffe a forcella, e quindi, ancora una volta, a carico del solo autotrasportatore e, per giunta, con vantaggio per il committente. In sostanza, il committente che si valeva dell’autotrasportatore abusivo non soltanto era esente da qualsiasi sanzione, ma era « premiato » dalla possibilità di concordare compensi ben inferiori a quelli, altrimenti, obbligatoriamente previsti dalla legge: sicché si pervenne al risultato di incoraggiare, con il ricorso all’abusivismo, anche pratiche di concorrenza sleale da parte di taluni committenti a danno di altri. 4.2. – I decreti-legge emanati tra la fine del 1992 e l’inizio del 1993 miravano a porre termine al singolare effetto prodotto dalla legge del 1974 ma utilizzavano, a tal fine, esclusivamente l’estensione al committente della sanzione penale; non a caso del successivo decreto-legge n. 82 del 1993 la relazione al disegno di legge di conversione sottolineava esclusivamente (come si è ricordato sub 3.1.3.) il profilo del « coinvolgimento dei committenti nelle responsabilità connesse a tali rapporti abusivi » nonostante, contestualmente, il legislatore fosse altresì intervenuto sulla disciplina del contratto « ai fini di cui al presente articolo ». Ed infatti, la disciplina « formale » introdotta poneva a carico del solo trasportatore l’onere di fornire al committente « i dati … da cui risulti il possesso dei prescritti requisiti di legge » (implicitamente escludendo che il committente dovesse in qualsiasi modo attivarsi per verificare che la controparte fosse iscritta all’albo) e sanzionava con la nullità del contratto l’inosservanza non solo dell’onere, ma anche della forma (annotazione nella copia del contratto da consegnare al committente) prescritta per l’osservanza dell’onere stesso. Se, infatti, numerosi giudici di merito esclusero che la norma in questione comportasse la nullità del contratto privo della forma scritta, attribuendo all’annotazione dei dati in questione la natura di mero adempimento di tipo amministrativo (in quanto certificativi della affidabilità 76 Le attualità del vettore), la giurisprudenza di gran lunga prevalente ritenne che la norma sanzionasse con la nullità sia l’assenza della forma scritta sia quella delle prescritte annotazioni, con la conseguente sottrazione del committente all’obbligo di rispettare le tariffe a forcella, pur quando l’autotrasportatore era in possesso dei requisiti di legge. 4.3. – La paradossale situazione in tal modo creatasi spiega perché, già in occasione dell’approvazione del disegno di legge governativo poi sfociato nella legge n. 472 del 1999, il Senato approvò una norma di interpretazione autentica del comma introdotto dall’art. 1 del decretolegge n. 82 del 1993 che escludeva la nullità del contratto stipulato in forma libera; così come spiega perché, reintrodotta tale norma con il decreto-legge n. 256 del 2001, in sede di conversione fu contestato soltanto il ricorso allo strumento della decretazione d’urgenza (e l’antinomia che in tal modo si creava tra norma interpretativa e norma interpretata), ma fu proposto di escludere in ogni caso l’azione di ripetizione ex art. 2033 cod. civ. (ammessa da alcune pronunce in danno dell’autotrasportatore) e di consentire, per il futuro, la forma libera per il contratto. Peraltro già in precedenza (d.lgs. n. 507 del 1999) il legislatore aveva provveduto a sostituire alla sanzione penale un sistema di sanzioni amministrative che continuava ad essere più gravoso per l’autotrasportatore che per il committente. 5. – Questa Corte, investita della questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto-legge n. 256 del 2001 sotto il (solo) profilo della efficacia retroattiva di tale norma, ha rilevato l’infondatezza in fatto della premessa – essere assolutamente univoca l’interpretazione consentita dalla lettera e dalla ratio dell’art. 26, ultimo comma, della legge n. 298 del 1974 (come modificato dall’art. 1 del decreto-legge n. 82 del 1993) – dalla quale muovevano i rimettenti per contestare la legittimità del ricorso ad una norma di interpretazione autentica: ed ha rilevato che non soltanto una minoritaria ma consistente giurisprudenza di merito aveva escluso la nullità del contratto non concluso in forma scritta (e, quindi, senza l’osservanza dei requisiti formali previsti dalla norma interpretata) in aderenza ad una ratio per la quale « la sanzione della nullità avrebbe abnormemente colpito il contratto, anche se stipulato con vettore iscritto all’albo, per un vizio di forma non correlato ad una reale esigenza di tutela (neanche) della controparte contrattuale », ma anche che, in ragione della medesima ratio, la giurisprudenza (sia di merito che di legittimità) aveva ex postea ritenuto giustificata l’interpretazione autentica fornita dal legislatore (sentenza n. 26 del 2003). Con la medesima sentenza questa Corte ha escluso che la norma censurata recasse vulnus di sorta al principio dell’affidamento sulla certezza dei rapporti giuridici, essendo « improponibile un tale argomento a tutela di chi, pur avendo concluso il contratto con vettore iscritto all’albo, pretende di sottrarsi alle conseguenti obbligazioni assumendo di aver fatto affidamento (e cioè scientemente) su un difetto di forma del contratto stesso ». Nel ribadire tali considerazioni con la sentenza n. 341 del 2003, questa Corte ha dichiarato non fondata la censura che investiva lo strumento (non nuovo in questa materia: cfr. 3.1.2. e 3.1.3.) del decreto-legge adottato per introdurre una norma di interpretazione autentica ed ha osservato – dichiarando infondata la questione sollevata in riferimento all’art. 41 Cost. – che « la circostanza che la mancata annotazione dei dati relativi all’iscrizione all’albo consentirebbe, grazie alla nullità del contratto, la facile elusione delle tariffe obbligatorie deporrebbe, semmai, per l’illegittimità costituzionale di quella parte della norma che, attesa la forma orale del contratto stipulato nel caso di specie, non è applicabile nel giudizio a quo ». 6. – La questione ora sottoposta all’esame della Corte investe, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, quella parte della norma – introdotta dall’art. 1 del decreto-legge n. 82 del 1993 – che, in combinato disposto con quanto previsto dall’art. 3 del decreto-legge n. 256 del 2001, prescrive, ove gli stipulanti abbiano scelto la forma scritta del contratto, l’annotazione, a pena di nullità del contratto stesso, dei dati relativi al possesso dei requisiti di legge da parte dell’autotrasportatore sulla copia da consegnare al committente. L’irragionevolezza della norma è di tut- 77 Le attualità ta evidenza ove si consideri non soltanto che – a seguito del decreto-legge n. 256 del 2001, ed anche a prescindere dalla sua efficacia retroattiva – è privo di senso consentire alle parti di stipulare oralmente un contratto che, se stipulato in forma scritta, incorre in una radicale nullità per l’assenza (per giunta, in una copia) di certe, estrinseche annotazioni, ma anche che la sanzione della nullità prevista per l’assenza di quelle estrinseche annotazioni non è correlata ad alcun apprezzabile fine, ma costituisce « un eccesso del mezzo utilizzato rispetto al fine dichiarato della repressione dell’abusivismo » (sentenza n. 26 del 2003). In altri termini, l’intento – dichiaratamente posto alla base dell’intervento legislativo del 1993 – di combattere l’abusivismo, e con esso gravi distorsioni della concorrenza in un vitale settore dell’economia nazionale attraverso il « coinvolgimento » del committente, era vanificato da una disciplina che, di fatto, esentava sostanzialmente il committente da responsabilità e, anzi, gli consentiva, anche quando contraeva con un autotrasportatore in possesso dei requisiti di legge, di sottrarsi agevolmente all’applicazione di quella tariffa a forcella che, viceversa, costituiva l’unico strumento idoneo ad assicurare, contestualmente, una adeguata remunerazione all’autotrasportatore e uniformi condizioni di mercato. La libertà di forma contrattuale introdotta nel 2001, in sintesi, ha soltanto reso ancor più evidente l’originaria, manifesta irragionevolezza della norma del 1993, e la conseguente violazione dell’art. 3 della Costituzione: è chiaro, infatti, che il legislatore ben può, nella sua discrezionalità, prevedere requisiti formali del contratto se reputati idonei a contribuire al raggiungimento del fine perseguito, ma è altresì chiaro che il limite della non irragionevolezza è valicato quando viene dettata una disciplina che non solo non contribuisce a combattere il fenomeno dell’abusivismo, ma favorisce pratiche distorsive della concorrenza consentendo agevoli elusioni delle tariffe obbligatorie. La sanzione della nullità è certamente adeguata quando si tratta di colpire il contratto concluso con un autotrasportatore non iscritto all’albo e privo della prevista autorizzazione, ma essa è priva di qualsiasi ragionevole presupposto se applicata al contratto concluso con l’au- totrasportatore in regola (con la certa esclusione delle tariffe obbligatorie e il dubbio, addirittura, sull’applicabilità dell’art. 2033 cod. civ.) solo perché una copia del contratto è carente di talune indicazioni. L’intrinseca, manifesta irragionevolezza della norma determina altresì, come ovvia conseguenza, l’irragionevolezza della disparità di trattamento tra autotrasportatore che stipuli oralmente il contratto ed autotrasportatore che adotti la forma scritta, pur essendo entrambi in possesso dei requisiti abilitanti all’esercizio di attività di autotrasporto di cose per conto di terzi. 7. – Conclusivamente, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 26, ultimo comma, della legge 6 giugno 1974, n. 298, come modificato dall’art. 1 del decreto-legge 29 marzo 1993, n. 82, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1993, n. 162, in combinato disposto con l’art. 3 del decretolegge 3 luglio 2001, n. 256, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 agosto 2001, n. 334, nella parte in cui prevede la nullità del contratto di autotrasporto, concluso per iscritto, per ciò solo che nella copia del contratto da consegnare al committente non siano stati annotati gli estremi dell’iscrizione all’albo e dell’autorizzazione al trasporto di cose per conto di terzi possedute dal vettore. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 26, ultimo comma, della legge 6 giugno 1974, n. 298 (Istituzione dell’albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto di terzi, disciplina degli autotrasportatori di cose e istituzione di un sistema di tariffe a forcella per i trasporti di merci su strada), come modificato dall’art. 1 del decreto-legge 29 marzo 1993, n. 82 (Misure urgenti per il settore dell’autotrasporto di cose per conto di terzi), convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1993, n. 162, in combinato disposto con l’art. 3 del decreto-legge 3 luglio 2001, n. 256 (Interventi urgenti nel settore dei trasporti), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 agosto 2001, n. 334, nella 78 Le attualità parte in cui prevede, ove le parti abbiano scelto per la stipula la forma scritta, la nullità del contratto di autotrasporto per la mancata annotazione sulla copia del con- tratto dei dati relativi agli estremi dell’iscrizione all’albo e dell’autorizzazione al trasporto di cose per conto di terzi possedute dal vettore. CODICE DEI BENI CULTURALI E DEL PAESAGGIO Seconda parte (*) (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (**), pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 45, del 24 febbraio 2004, suppl. ord. n. 28/L, come modificato dalla l. 15 dicembre 2004, n. 308, in Gazzetta Ufficiale n. 302, del 27 dicembre 2004, suppl. ord. n. 187) Commentario a cura di GAETANO TROTTA, presidente di Sezione del Consiglio di Stato, GIUSEPPE CAIA, professore nell’Università di Bologna; NICOLA AICARDI, professore nell’Università di Bologna Con la collaborazione di: FAUSTO BALDI, avvocato dello Stato; GIORGIO CALDERONI, consigliere di Tar; ERMINIA CAMASSA, prof. nell’Univ. di Trento; PAOLA CAPUTI JAMBRENGHI, prof. nell’Univ. di Bari; PAOLO CARPENTIERI, consigliere di Tar; FABRIZIO FIGORILLI, prof. nell’Univ. di Perugia; RICCARDO FUZIO, consigliere di Cassazione; GIUSEPPE GARZIA, dell’Univ. di Bologna; ALESSANDRA LANCIOTTI, prof. nell’Univ. di Perugia; BENEDETTA LUBRANO, dottoranda di ricerca; LIVIA MERCATI, prof. nell’Univ. di Perugia; ALBERTO MORBIDELLI, dottore di ricerca; MASSIMILIANO PALMERI, notaio in Bologna; FABIO SAITTA, prof. nell’Univ. di Catanzaro; PIER FRANCESCO UNGARI, consigliere di Tar; DIEGO VAIANO, prof. nell’Univ. della Tuscia. PARTE TERZA Beni paesaggistici TITOLO I Tutela e valorizzazione CAPO I Disposizioni generali Art. 131. (Salvaguardia dei valori del paesaggio) 1. Ai fini del presente codice per paesaggio si intende una parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni. 2. La tutela e la valorizzazione del paesaggio salvaguardano i valori che esso esprime quali manifestazioni identitarie percepibili. (*) Si segnala al Lettore che la prima parte del Commentario relativa agli artt. 1-130 è stata pubblicata nel numero 5-6/2005 della Rivista. (**) Così rettificato con comunicato del 26 febbraio 2004 (in Gazzetta Ufficiale n. 47, del 26 febbraio 2004). 124 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La nozione culturale di paesaggio. – 3. La nozione giuridica di paesaggio nella giurisprudenza. – 4. Le competenze nel rapporto Stato-regioni. – 5. La nozione di valorizzazione del paesaggio. 1. – La parte III del Codice si presenta fortemente innovativa rispetto al previgente assetto della materia. Si tratta di novità che vanno al di là della mera modifica di singoli istituti, poiché investono in parte la stessa collocazione sistematica della materia e la sua struttura logica portante. Questo alto grado di innovazione è dipeso dalla pressione convergente esercitata da diversi fattori di cambiamento, tra loro strettamente interrelati, che si possono per sintesi compendiare nel seguente (parziale) elenco: la necessità di operare una sintesi sostanziale tra i due blocchi legislativi ereditati dal secolo XX, la legge « Bottai » del 1939 e la legge « Galasso » del 1985, espressione di due diverse « filosofie » della tutela del paesaggio (blocchi legislativi solo formalmente contestualizzati in un unico documento normativo dal testo unico del 1999, ma non realmente armonizzati); la dialettica insuperata tra modello urbanistico-ambientale e modello estetico-culturale, con la connessa esigenza di chiarificazione circa la nozione giuridica di paesaggio, tra ambiente e urbanistica, a fronte delle indicazioni unificatrici (« governo del territorio ») provenienti dai « tecnici » (architetti urbanisti pianificatori e ingegneri), nella perdurante ambiguità delle leggi (dal d.p.r. n. 616/77 al d.lgs. n. 112/98, attraverso la l. n. 431/85, fino al testo unico del 1999); la tensione sulla linea della sussidiarietà verticale, nella ricerca di un livello di adeguatezza nel riparto di funzioni (normative e amministrative) tra Stato, regioni ed enti locali, alimentata in diritto dall’insoddisfacente testo del nuovo titolo V della parte II della Costituzione introdotto nel 2001, e in fatto dalla fallimentare prova della gestione della tutela affidata in subdelega ai comuni; la Convenzione europea del paesaggio aperta alla firma a Firenze il 20 ottobre 2000 (con le sue contraddizioni tra modello sudeuropeo di paesaggio storico e modello nordeuropeo e anglosassone della Landscape ecology); l’accordo quadro Stato-regioni sull’esercizio dei poteri in materia di paesaggio, concluso il 19 aprile 2001 e pubblicato nella G.U. n. 114, del 18 maggio 2001, finalizzato al coordinamento dell’eserci- [Art. 131] zio delle competenze statali e regionali, con l’irrisolta ambiguità del doppio modello pianificatorio ereditato dalla legge « Galasso » del 1985; la contraddizione tra una visione selettiva della tutela del paesaggio (imperniata sulla individuazione di beni di notevole interesse pubblico) e una visione territorialista onnicomprensiva, imperniata sul modello della pianificazione generale regionale estesa a ricomprendere anche i paesaggi compromessi e degradati, urbani e periurbani, e non solo i luoghi di eccellenza, in buono stato di conservazione; la connessa ambiguità dell’idea della valorizzazione del paesaggio, legata all’ingresso, nella materia, del concetto ambientalista di « sviluppo sostenibile », nonché (ancorché impropriamente) all’idea di un’urbanistica di trasformazione e non più di espansione (sullo sfondo dell’idea, condivisa e condivisibile nella sua genericità, secondo cui la conservazione e la valorizzazione paesaggistiche devono puntare ad assicurare un paesaggio di qualità che, al di là dei luoghi di eccellenza, costituiti dagli specifici siti storici e naturalistici, sappia promuovere un miglioramento complessivo e diffuso della qualità estetica e funzionale del territorio). Come si vede, un coacervo di forze e di spinte verso il cambiamento si affollavano all’atto della elaborazione della nuova disciplina, sollecitate dalla maggiore ampiezza della delega riformatrice conferita al Governo dall’art. 10 della l. 6 luglio 2002, n. 137, rispetto a quella di cui alla l. 8 ottobre 1997, n. 352, che aveva condotto al testo unico emanato con il d.lgs. n. 490/99. La parte III del Codice tenta di fornire una risposta ai quesiti e ai dubbi sopra in estrema sintesi elencati, ma non è riuscita a sciogliere (né avrebbe potuto) tutti i nodi e le contraddizioni presenti nella materia e reca in sé i « segni » della inevitabile (e peraltro, per certi versi, proficua) mediazione tra tesi più conservatrici e stataliste e tesi più regionaliste e innovatrici. Il risultato è un testo sicuramente ricco di novità, anche molto positive, ma caratterizzato anche da non poche contraddizioni e da previsioni di dubbia lettura e comprensione. 2. – Una prima novità, di grande importanza, è costituita dalla stessa rubrica della parte III, intitolata ai « Beni paesaggistici ». Il Codice ha [Art. 131] Codice dei beni culturali e del paesaggio abolito l’ambigua formula « beni ambientali », propria della passata normativa (1), che recava in sé tutte le incertezze derivanti dalla mancata delimitazione della materia paesaggistica rispetto a quella del diritto dell’ambiente. La definizione di « beni paesaggistici » è data dall’art. 2, comma 3°, del Codice (« gli immobili e le aree indicati all’articolo 134, costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio, e gli altri beni individuati dalla legge o in base alla legge »; per il relativo commento si rinvia all’art. 3). L’art. 2 del Codice, inoltre, stabilisce che il « patrimonio culturale » « è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici ». Un primo « nodo », e di centrale importanza, dunque, il Codice l’ha sciolto: la materia del paesaggio si colloca sotto l’egida dell’art. 9 Cost. (2), in quanto il paesaggio, come del resto voluto dalla Carta fondamentale, è prima di tutto un bene culturale: è un aspetto del territorio rilevante giuridicamente in quanto fenomeno della cultura. Il Codice conferma, dunque, la tradizione giuridica italiana che ab initio ha impostato la tutela dei beni paesaggistici sulla falsariga della tutela delle cose d’arte (così la l. n. 411/05 sulla tutela della pineta di Ravenna, la successiva legge « Croce » n. 778/22 sulla difesa delle bellezze naturali, fino alla legge « Bottai » n. 1497/39 sulle bellezze panoramiche, « gemella » della l. n. 1089 sulle « cose d’arte ») (3). L’art. 131, che inaugura la parte III, introduce subito un’altra importante novità: la definizione di « paesaggio », esplicitata per la prima volta nella normativa italiana. La definizione è derivata dalla Convenzione europea del paesaggio elaborata dal Consiglio d’Europa e fatta a Firenze il 20 ottobre 2000 (« una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni ») (4). La suggestione di questa novità ha avuto un’eco nella stessa intitolazione del Codice, che nell’ultima versione approvata dal Consiglio dei ministri da « codice dei beni culturali e paesaggistici » è divenuta « codice di beni culturali e del paesaggio ». Derivata dalla Convenzione europea (benché già adoperata dall’art. 1 bis della l. n. 431/85 e dall’art. 149 del d.lgs. n. 490/99) è altresì la nozione di « salvaguardia » del paesaggio inserita nella rubrica dell’articolo 125 (1) L. 29 gennaio 1975, n. 5, di conversione, con modifiche, del d.-l. 14 dicembre 1974, n. 657, istitutiva del Ministero per i beni culturali e ambientali, nonché il conseguente regolamento di cui al d.p.r. 3 dicembre 1975, n. 805; art. 82 del d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616, intitolato « beni ambientali »; d.-l. 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla l. 8 agosto 1985, n. 431 (cd. « legge Galasso »), recante « disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale »; art. 149 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (che usava la locuzione « beni ambientali » includendola, peraltro, nel capo V, rubricato « beni e attività culturali », e non sotto il titolo III rubricato « territorio, ambiente e infrastrutture », dove pure, nella sezione II del capo II, erano menzionate le « bellezze naturali »). Il testo unico di cui al d.lgs. 29 ottobre 1999 n. 490 presentava la rubrica del titolo II intestata ai « beni paesaggistici e ambientali », mentre l’art. 138 era rubricato « beni ambientali ». Sembra svalutare la portata concettuale innovativa di questo mutamento terminologico introdotto dal Codice, riducendolo a una mera variante lessicale, CIVITARESE MATTEUCCI, in CAMMELLI (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio. Commento al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, con il coordinamento di Barbati e Sciullo, Bologna, 2004, sub art. 131, p. 507. (2) Sull’art. 9 Cost. cfr. SANDULLI, La tutela del paesaggio nella Costituzione, in Riv. giur. edil., 1967, II, p. 70 ss.; SANTORO PASSARELLI, I beni della cultura secondo la Costituzione, in Studi per il XX anniversario dell’Assemblea costituente, II, Milano, 1969, p. 139; MERUSI, Art. 9, in Commentario alla Costituzione, a cura di Branca, I, Bologna, 1975; MARINI, Profili costituzionali della tutela dei beni culturali, in Nuova rass., 1999, p. 633 ss.; ID., Lo statuto costituzionale dei beni culturali, Milano, 2002, passim; CARTEI, La disciplina del paesaggio tra conservazione e fruizione programmata, Torino, 1995, p. 2 ss., nonché, ID., Il paesaggio, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di Cassese, Diritto amministrativo speciale, Milano, 2003, tomo II, p. 2110 ss. (3) Evidenziano lo stretto legame genetico tra le due leggi del 1939, tra gli altri, ALIBRANDI, voce « Beni culturali I) beni culturali e ambientali », in Enc. giur. Treccani, V, Roma, 1988, p. 2; CARTEI, op. ult. cit., p. 2110, nt. 2; MANTINI, I beni e le attività culturali, in Trattato di diritto amministrativo diretto da Santaniello, XXXIII, Padova, 2002, p. 432. L’unitarietà dei due complessi normativi era stata del resto recepita già nel testo unico di cui al d.lgs. n. 490/99. Può al riguardo ricordarsi, inoltre, che il disegno di legge presentato alla Camera dall’on. Gullotti nel luglio del 1974, recante « Nuove norme per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali », già presentava una definizione unitaria dei beni culturali e dei beni (allora detti) ambientali. (4) Il disegno di legge di ratifica è stato presentato 126 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 [nozione definita dalla lett. d) dell’art. 1 della Convenzione (5)). La definizione di « paesaggio », contenuta nell’art. 131, si completa con quella di « beni paesaggistici », data dall’art. 2, comma 3°, del Codice: l’una è la forma sintetica dell’altra; la definizione di beni paesaggistici è l’espressione analitica della prima. « Paesaggio » è il carattere (o la forma) impressa al territorio dalla presenza di beni paesaggistici e che deriva dalla natura e dalla storia umana e dalle reciproche interrelazioni. « Beni paesaggistici » sono i singoli immobili o aree che esprimono valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio. È da sottolineare la scelta terminologica fatta dal testo della rubrica e del comma 2° dell’art. 131: salvaguardia dei valori del paesaggio. Il paesaggio « esprime » « valori », valori che sono, per l’appunto, quelli propri dei beni paesaggistici, come indicati dall’art. 2, comma 3° (valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio). In tal modo (come si puntualizzerà oltre) il Codice raccoglie le migliori indicazioni, provenienti dalla dottrina (urbanistica e giuridica), nella direzione della polisemia e della intrinseca complessità del fenomeno paesaggistico, e dei beni-interessi in esso racchiusi. La definizione di « paesaggio » si precisa ulteriormente negli artt. 134, 136 e 142, che riprendono le tradizionali definizioni della legge del 1939 e della legge « Galasso » del 1985, rispettivamente per gli immobili e le aree individuati con vincoli provvedimentali e per le aree sottoposte a vincolo ope legis. Il raffronto dialettico tra queste due definizioni complementari pone però in luce un primo elemento di contraddizione insito nel Codice, tra una concezione tradizionale, fondata su un criterio selettivo di beni di pregio meritevoli di tutela, ereditata dal modello della legge del 1939, e una concezione di tipo più « ambientale », o territorialista, rivolta alla tutela e alla valorizzazione di vaste aree definite in base a criteri aprioristici morfologico ubicazionali, di tipo geografico (legge « Galasso »), oppure, addirittura, dell’intero territorio (Convenzione europea, artt. 134 e 143 del Codice). Questa contraddizione si riproduce conseguentemente negli strumenti di tutela, tra metodo provvedimentale individuativo e metodo della pianificazione territoriale estesa a tutto il territorio, ivi incluso quello urbano e quello compromesso o degradato. [Art. 131] Questa tensione dialettica è testimoniata dal raffronto degli artt. 2, comma 3°, 131, 134, 135 e 143 del Codice. L’una linea metodologica si raccorda al modello tradizionale culturale; l’altra spinge inevitabilmente verso la convergenza con le confinanti materie urbanistica e ambientale. La parte III del Codice, se da un lato ha il suo « cuore » e la sua parte più innovativa nella profonda riforma contenutistica e nel rilancio della pianificazione paesaggistica, potenzialmente estesa a tutto il territorio regionale, dall’altro conserva intatta la visione tradizionale basata sulla scelta individuante di specifici beni paesaggistici, come si evince dalla stessa intitolazione del capo II, dedicato alla « individuazione » dei beni paesaggistici, che si concreta nella dichiarazione di « notevole » interesse pubblico. D’altra parte se è vero che la Convenzione europea del paesaggio « si applica a tutto il territorio delle Parti e riguarda gli spazi naturali, rurali, urbani e periurbani » e comprende sia i paesaggi « eccezionali », che quelli « della vita quotidiana » e « degradati » (art. 2), è anche vero che la stessa Convenzione prevede che il paesaggio designi « una determinata parte di territorio » (art. 1) e include tra le misure specifiche (art. 6, lett. c), la identificazione dei paesaggi. Il Codice conseguentemente intende per « paesaggio » una « parte omogenea » di territorio, suscettibile di identificazione e di individuazione. Il riferimento alla parte omogenea del territorio come unità logica di disciplina deriva dall’idea di zonizzazione propria della pianificazio- in Parlamento il 22 ottobre 2004 ed è in corso di esame (cfr. A.C. n. C-5373). Su tale convenzione si veda, qui, il commento dell’art. 133. (5) La definizione è la seguente: « le azioni di conservazione e di mantenimento degli aspetti significativi o caratteristici di un paesaggio, giustificate dal suo valore di patrimonio derivante dalla sua configurazione naturale e/o dal tipo d’intervento umano ». Non sembra, dunque, che questa nozione di « salvaguardia » si discosti significativamente da quella di « tutela ». Osserva invece CIVITARESE MATTEUCCI, op. cit., p. 510, che la definizione di salvaguardia si articolerebbe nelle due nozioni di tutela e valorizzazione del paesaggio, che costituirebbero, nella parte III del Codice, un continuum indistinto, come si evince dal fatto che tale parte consta di un solo titolo, rubricato per l’appunto « Tutela e valorizzazione ». [Art. 131] Codice dei beni culturali e del paesaggio ne territoriale (6) ed è mutuata da un’analoga impostazione contenuta nel citato accordo quadro Stato-regioni sull’esercizio dei poteri in materia di paesaggio del 2001. La spinta « panterritorialista » prosegue sull’abbrivio della normativa degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, ed ha avuto un suo momento di forte propulsione nello sforzo di accorpamento delle materie compiuto in occasione della realizzazione del pluralismo autonomistico regionale. Il già citato d.p.r. n. 616/77, attuando il principio sancito dall’art. 1 dalla l. delega n. 382/75, ha tentato, come è noto, al fine di razionalizzare la ripartizione dei trasferimenti e delle deleghe regionali, di raggruppare le funzioni amministrative in « settori organici » (7). In tal modo la materia dei « beni ambientali » finì per essere collocata nel settore organico dell’« assetto ed utilizzazione del territorio » (così la rubrica del titolo V del d.p.r. n. 616). È da notare che negli anni ’70 non era ancora nato il Ministero dell’ambiente (l. n. 349/86) e non era ancora maturata la consapevolezza dell’autonomia del diritto dell’ambiente. Inoltre l’art. 80 del d.p.r. n. 616/77 ha forgiato, in questo contesto, la nota nozione estesa di « urbanistica » come inclusiva delle funzioni amministrative relative alla « disciplina dell’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell’ambiente » (8). La legge « Galasso » del 1985, soprattutto con la scelta di puntare sui piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, collegati geneticamente al modello dei piani territoriali di coordinamento regionali previsto dall’art. 5 della legge urbanistica del 1942, oltre che con la nota introduzione del criterio « geografico » di protezione del paesaggio, aggravò la tendenza unificatrice. Un altro « formante » di notevole rilievo nella linea territorialista è costituito dal contributo dei « tecnici » (gli urbanisti, architetti e ingegneri), che hanno sempre posto al centro della loro riflessione l’idea per cui il territorio è uno e unica deve essere la sua disciplina (9). L’indirizzo « classico » ha invece ricevuto un forte sostegno, sul piano metagiuridico, da importanti acquisizioni derivanti dagli sviluppi interdisciplinari più innovativi e fecondi della stessa disciplina della pianificazione urbanisti- 127 ca, con approcci metodologici estesi nei più ampi settori della geografia, della storia, della semiotica (10). (6) URBANI, La pianificazione paesaggistica, relazione al Convegno su La disciplina del paesaggio nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, Firenze, 1° luglio 2004, in Giust. amm., al sito http://www.giustamm.it. (7) In tema cfr. ABBAMONTE, Programmazione e amministrazione per settori organici, Napoli, 1984, p. 88 ss., nonché in Trattato di diritto amministrativo, diretto da Santaniello, Padova, 1990, VIII; ID., Attualità e prospettive di riforma del processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2/2004, p. 320. (8) La razionalità dell’accorpamento delle materie in settori organici, se può apparire evidente a fini classificatori, scolastici o anche organizzatori (riparto di funzioni e compiti tra diversi livelli di governo nella sede dell’attuazione del regionalismo), risulta meno incisiva e condivisibile a livello di comprensione delle ragioni sostanziali dei valori, dei beni e degli interessi sottesi alle singole materie e meritevoli di autonoma e distinta considerazione e disciplina. In quest’ottica va svalutata la rilevanza del « rilancio » della nozione onnicomprensiva di « urbanistica » forgiata dal d.p.r. n. 616/77 ad opera dell’art. 34 del d.lgs. n. 80/98, allo specifico fine di ampliare le nuove attribuzioni di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Sul tema cfr., comunque, per una completa informazione, CARINGELLA, Corso di diritto processuale amministrativo, Milano, 2003, p. 473 ss. (9) In tema si vedano la proposta di riforma della legge urbanistica, estesa a coinvolgere anche i profili ambientali e paesaggistici, elaborata dall’I.N.U., Istituto Nazionale di Urbanistica, nell’ambito del XXI congresso nazionale di Bologna, 23-25 novembre 1995, dedicato alla « nuova legge urbanistica » (su cui MANTINI e OLIVA, La riforma urbanistica in Italia, Milano, 1996), nonché le proposte dell’Ordine nazionale degli ingegneri, del 1994-1996, nel senso dell’inserimento nella pianificazione generale di quella speciale paesistica (su cui cfr. Linee guida per la revisione della legislazione in materia urbanistica, a cura di Sartorio, Milano, 1996; per una sintesi più recente MONACO, Urbanistica, Ambiente e Territorio2, Napoli, 2003, p. 325 ss. La manualistica di diritto urbanistico registra e riferisce delle diverse tesi in campo: così, ad es., SALVIA e TERESI, Diritto urbanistico, Padova, 2003, p. 27 ss. (10) Per una panoramica di queste posizioni cfr. AA.VV., Interpretazioni di paesaggio, a cura di Clementi, Roma, 2002, che riporta gli studi metodologici per l’applicazione della Convenzione Europea del Paesaggio elaborati dal gruppo di ricerca previsto dall’accordo tra Società Italiana Urbanisti (SIU) e il Ministero per i beni e le attività culturali; AA.VV., 128 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 Queste indicazioni hanno reso chiaro che il paesaggio è qualcosa che attiene, per così dire, alla res cogitans, più che alla res extensa, alla semiosfera, più che alla ecosfera, attenendo alla comprensione identitaria del contesto, più che alla tutela delle matrici ambientali. Hanno altresì valorizzato la specificità della realtà del paesaggio italiano, che è soprattutto paesaggio storico, fortemente antropizzato, in cui l’opera dell’uomo si lega indissolubilmente alla natura. Ed è questo peculiare aspetto che differenzia nettamente l’esperienza del paesaggio italiano rispetto ai modelli ambientali e territorialisti dei paesi nordeuropei e anglosassoni [diversità di approccio testimoniata dalla stessa « diversa matrice terminologica neolatina (paesaggio, paysage, paisaje) », dal neolatino pagus, « che sottolinea i caratteri del luogo costruito) e germanico-anglosassone (landscape, landshaft, landscap, ecc. come luogo in cui una società è insediata e trae le proprie risorse) » (11)]. In conformità a questa impostazione, propria del resto anche della definizione di « paesaggio » fornita dalla Convenzione europea, il comma 2° dell’art. 131 del Codice sottolinea il profilo della percezione del carattere proprio della parte omogenea di territorio paesaggisticamente rilevante, come insieme di valori « che esso esprime quali manifestazioni identitarie percepibili » (12). Come già sopra accennato, le definizioni di « paesaggio » e di « beni paesaggistici » contenute negli artt. 131 e 2 del Codice, incentrate sui valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici espressi dal territorio, mostrano una chiara consapevolezza di queste importanti acquisizioni degli studi extragiuridici sulla nozione di paesaggio. La plurisemanticità del termine metagiuridico di « paesaggio » si riflette nell’irrisolto nodo concettuale della corrispondente nozione giuridica di paesaggio. La linea di pensiero « culturalista », oltre alla tradizionale dottrina legata a un modello « crociano » estetico-vedutistico, esemplato sull’idea della tutela delle bellezze naturali (13), ha avuto la sua più acuta tematizzazione nell’elaborazione della commissione « Franceschini » (così detta dal nome del suo presidente), d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, istituita con la l. 26 aprile 1964, n. 310. Nella dichiarazione XXXIX della relazione finale, i [Art. 131] beni culturali ambientali venivano definiti come « le zone corografiche costituenti paesaggi, naturali o trasformati dall’opera dell’uomo, e le zone delimitabili costituenti strutture insediative, urbane e non urbane, che, presentando particolare pregio per i loro valori di civiltà, devo- Politiche e culture del paesaggio (esperienze internazionali a confronto), a cura di Scazzosi, Roma, s.d., ma 1999; ECO, La struttura assente, Milano, 1968; ID., Trattato di semiotica generale, Milano, 1975; ID., I Limiti dell’interpretazione, Milano, 1990; BARTHES, L’avventura semiologica, Torino, 1991; BODEI, Le forme del bello, Bologna, 1995; TURRI, Antropologia del paesaggio, Milano, 1974; ID., Semiologia del paesaggio italiano, Milano, 1979; AMADIO, Il paesaggio e l’intervento umano: una lunga storia di possibile convivenza, in SILVESTRINI e GAMBERALE (a cura di), Eolico: paesaggio e ambiente, Roma, 2004, p. 141 ss. Spunti interessanti in SAPONARO, in ANGIULI e CAPUTI JAMBRENGHI (a cura di), Commentario al codice dei beni culturali e del paesaggio, Torino, 2005, sub commento degli artt. 1 e 2, p. 35 ss., ed ivi ulteriori richiami. L’idea secondo cui il paesaggio attiene alla semiosfera, all’ambito delle scienze comprendenti, mentre l’ambiente atterrebbe alla ecosfera e, conseguentemente, all’area delle scienze descrittive (all’ambito della spiegazione), su cui sia consentito il rinvio a CARPENTIERI, La nozione giuridica di paesaggio, cit., p. 405 ss., è altresì prospettata da SAPONARO, loc. cit., con riferimento alla nota teoria dei tre mondi di Popper [rilevabile, tra le altre opere, in POPPER e ECCLES, The Self and its Brain, New York, 1977 (trad. it. L’io e il suo cervello, Roma, 1981; ma si veda anche, in sintesi, HABERMAS, Teorie des kommunikativen Handelns, Frankfurt am Main, 1981; trad. it. Teoria dell’agire comunicativo, I. Razionalità e razionalizzazione sociale, Bologna, 1997, p. 145 ss.]: la tematica, pregiuridica, ma anche giuridica, relativa al paesaggio apparterebbe, sotto questo profilo, al « mondo terzo », al mondo dei contenuti oggettivi di pensiero, piuttosto che al « mondo primo » (il mondo degli oggetti e degli stati fisici). (11) SCAZZOSI, Paesaggio, Paysage, Paisaje, Landscape, Landschaft, Landschap, Kraioraz … politiche e culture del paesaggio in Europa e negli Stati Uniti: una lettura trasversale, in AA.VV., Politiche e culture del paesaggio (esperienze internazionali a confronto), cit., p. 17 ss. (12) CIVITARESE MATTEUCCI, op. cit., p. 509, osserva condivisibilmente che « la parola chiave (…) nel codice (…) sembra essere proprio “percezione” ». (13) SANDULLI, La tutela del paesaggio nella Costituzione, in Riv. giur. edil., 1967, II, p. 70 e ss.; CANTUCCI, voce « Bellezze naturali », in Noviss. Digesto it., II, Torino, 1968, p. 295 ss. [Art. 131] Codice dei beni culturali e del paesaggio no essere conservate al godimento della collettività » (14). A questa ricostruzione si deve peraltro la nozione di beni culturali ambientali, da cui più recente dottrina ha desunto ulteriori suddistinzioni (15). Il notissimo contributo del Giannini (16), pur legando il paesaggio a una nozione unitaria (ampia e onnicomprensiva) di « ambiente » (il che si spiega col fatto che i tempi non erano ancora maturi per una distinta percezione di un autonomo diritto dell’ambiente), aveva il grande merito di differenziare con chiarezza i tre distinti aspetti in cui tale nozione si scinde, l’aspetto del paesaggio, quello dell’ambiente ecosfera e quello dell’urbanistica. Il fondamentale studio del Predieri (17), cui si deve l’idea del paesaggio come forma del territorio creata dalla comunità umana che vi è insediata, con una continua interazione della natura e dell’uomo, se da un lato mostra di considerare il paesaggio un fenomeno della cultura (lì dove per l’appunto il paesaggio è inteso come forma visibile del territorio, in contrapposizione all’ambiente come sostanza invisibile), dall’altro ha fornito le basi concettuali per la linea di pensiero panurbanistica, dominante negli anni ’70 del secolo scorso, attraverso l’idea per cui « la regolazione del paesaggio e del territorio è generale e globale ». In conclusione, la dottrina appare ancora oggi divaricata. A una tesi che afferma la specificità culturale del paesaggio e ribadisce la netta distinzione tra paesaggio, ambiente e urbanistica (18), si contrappone la opposta tesi che sostiene l’unificazione della materia paesaggistica in quella urbanistica e ambientale (19). Naturalmente la prima tesi spinge verso la difesa delle attribuzioni statali di tutela, in analogia al sistema delle « cose d’arte » ex lege n. 1089/39, ponendo, nella manovra dell’art. 118 Cost., l’accento più sul criterio di adeguatezza che su quello di sussidiarietà verticale; la seconda tesi, viceversa, propende a ridurre tutto alla competenza regionale di « governo del territorio ». La « riscoperta » della radice culturale del (14) FRANCESCHINI, Relazione della commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, in Riv. trim. dir. pubbl., 1966, p. 119. (15) Ad es., la distinzione tra beni ambientali paesaggistici, beni ambientali urbanistici e beni ambien- 129 tali naturalistici di ALIBRANDI e FERRI, I beni culturali e ambientali4, Milano, 2001, p. 87 ss., su cui cfr. anche ZAZA, voce « Bellezze naturali, diritto pubblico », in Enc. giur. Treccani, IV, Roma, 1988. (16) GIANNINI, « Ambiente »: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1973, p. 15. (17) PREDIERI, Urbanistica, tutela del paesaggio, espropriazione, Milano, 1969; ID., voce « Paesaggio », in Enc. del dir., XXXI, Milano, 1981, p. 514. Secondo CIVITARESE MATTEUCCI, op. cit., p. 509, il Codice avrebbe recepito questa impostazione del paesaggio come « forma del Paese », affermando una concezione « storicistico-obiettiva ». (18) CERULLI IRELLI, Beni culturali, diritti collettivi e proprietà pubblica, in Scritti in onore di Massimo Severo Giannini, I, Milano, 1988, p. 138 ss.; SEVERINI, Il concetto di « bene ambientale » nel Testo Unico, in La nuova tutela dei beni culturali e ambientali, a cura di Ferri e Pacini, Milano, 2001, p. 237, cui si deve l’efficace distinzione tra « ambiente-quantità » e « am-biente-qualità »; TAMIOZZO, La legislazione dei beni culturali e ambientali2, Milano, 2000, p. 119; CARPENTIERI, La nozione giuridica di paesaggio, in Riv. trim. dir. pubbl., 2004, p. 363 ss.; SANDRONI, Sub art. 131, in AA.VV., Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, coord. da Tamiozzo, Milano, 2005, p. 587 ss.; CAPUTI JAMBRENGHI, in ANGIULI e CAPUTI JAMBRENGHI (a cura di), Commentario al codice dei beni culturali e del paesaggio, Torino, 2005, p. 12. Sotto il profilo penale, nel senso della riconducibilità della fattispecie prevista dell’art. 734 c.p. in prevalenza alla tutela dell’interesse culturale, FALCONE, La tutela dell’ambiente-biosfera e la tutela del paesaggio (nota a Cass., sez. III, 12 dicembre 2002, n. 1359 e Cass, sez. III, 28 novembre 2002, n. 1864), in Ambiente, 8/2003, p. 765 ss. (19) TORREGROSSA, La tutela del paesaggio nella legge 8 agosto 1985, n. 431, in Riv. giur. edil., 1986, II, p. 7; CAVALLO, Profili amministrativi della tutela ambientale: il bene ambientale tra tutela del paesaggio e gestione del territorio, in Riv. trim. dir. pubbl., 1990, p. 397; ASSINI, Urbanistica e tutela dell’ambiente nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, in Giur. cost., 1983, p. 1058; MODUGNO, I « nuovi diritti » nella Giurisprudenza Costituzionale, Torino, 1995, par. 7.1, « Il superamento della distinzione tra competenze statali e regionali: la tutela del paesaggio come ecologia », p. 51; BERTI, Problemi giuridici della tutela dei beni culturali nella pianificazione territoriale regionale, in Riv. amm., 1970, I, p. 617 ss.; BERMEJO LATRE, La Pianificazione del Paesaggio, San Marino, 2002, soprattutto pp. 112 e 113; DE LEONARDIS, La disciplina dell’ambiente tra Unione Europea e WTO, in Dir. amm., 2004, p. 513 ss. Mostra, da ultimo, di associare il paesaggio all’ambiente CARBONI, Ambiente, paesaggio e beni culturali, relazione al 50° convegno di studi amministrativi, Varenna, 16-18 settembre 2004, in corso di pubblicazione. 130 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 valore paesaggistico sembra costituire la linea ricostruttiva più feconda nella duplice direzione, da un lato, della più profonda comprensione del senso e del carattere proprio del paesaggio italiano nella costante « rilettura » che ne hanno fatto le arti figurative e letterarie del Paese (20), dall’altro della (conseguente) riaffermazione di regole e tutele « speciali » (anche sul piano delle competenze) per la gestione del territorio paesaggisticamente rilevante (21). 3. – La giurisprudenza – sia costituzionale che amministrativa – è netta nel distinguere tra paesaggio e urbanistica, ma è invece molto confusa nel distinguere tra paesaggio e ambiente (22). Il che potrebbe spiegarsi con la considerazione che la maggioranza delle pronunce tendono a « difendere » attribuzioni statali rispetto a rivendicazioni di competenza regionali (dinanzi al giudice delle leggi soprattutto, ma anche dinanzi al giudice amministrativo, su impugnative di atti ministeriali frutto dell’esercizio dei poteri concorrenti e di controllo statali). Così la Consulta, lì dove è stata chiamata a delimitare i poteri normativi regionali o a giustificare quelli statali, ovvero a chiarire che la conformazione della proprietà per effetto della sottoposizione a tutela paesaggistica non si assoggetta al meccanismo espropriativo indennitario proprio dell’urbanistica (23), ha rimarcato in maniera chiara la incomprimibile specificità culturale della tutela del paesaggio, nel paradigma dell’art. 9 Cost.; quando, invece, è stata chiamata a riconoscere il ruolo partecipativo degli enti locali, ovvero poteri regionali di rafforzamento della tutela o di pianificazione territoriale, in specie riguardo alla nuova figura, voluta dalla legge « Galasso », dei piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, allora ha forgiato tesi più complesse e discutibili, riassumibili nella massima tralatizia per cui « la tutela del bene culturale è nel testo costituzionale contemplata insieme a quella del paesaggio e dell’ambiente come espressione di principio fondamentale unitario dell’ambito territoriale in cui si svolge la vita dell’uomo (sentenza n. 85 del 1998) e tali forme di tutela costituiscono una endiadi unitaria » (24). Questa formula, se analizzata nelle sue componenti semantiche, si mostrerebbe molto declamatoria e poco sostanziale. Essa, a ben vedere, [Art. 131] (20) Il paesaggio italiano è costruito dall’arte – si pensi al tema delle « città ideali » del Rinascimento o all’architettura del giardino italiano – ed è nel contempo rispecchiato e progettato nelle arti figurative – si pensi ad es. all’invenzione della prospettiva – secondo una linea continua che lega tra loro disegno, progetto e realtà. Su questi spunti si veda BONNEFOY, L’entroterra, a cura di Caramore, Roma, 2004. È interessante al riguardo riflettere sul fatto che una delle prime normative di tutela paesaggistica, la legge Rava – Rosadi n. 411, del 16 luglio 1905, era intitolata « per la conservazione della Pineta di Ravenna » e si proponeva, quale suo scopo precipuo, la difesa dei luoghi cantati da Dante nella Divina Commedia. In proposito nel volume di BALZANI, Per le antichità e le belle arti, la legge n. 364 del 20 giugno 1909 e l’Italia giolittiana, ed. del Senato della Repubblica, Bologna, 2003, pp. 435 e 436, dove è riportata la relazione del ministro dell’istruzione pubblica Rava sul disegno di legge per le antichità e le belle arti (poi divenuta l. 20 giugno 1909, n. 364), nella quale il ministro rammentava « che fino da quando nella mia qualità di ministro di agricoltura presentai al Parlamento e feci approvare la legge per ricostruire e render inalienabile la Pineta di Ravenna, legge che volle sottrarre alla distruzione la divina foresta spessa e viva da cui l’Alighieri trasse l’ispirazione per il Canto del Paradiso Terrestre, l’onorevole Brunialti presentò (tornata del 1 luglio 1905), e la Camera approvò, un ordine del giorno con cui il Governo era invitato a presentare “un disegno di legge per la conservazione delle bellezze naturali, che si connettono alla letteratura, all’arte, alla storia d’Italia” ». (21) Secondo la logica delle tutele parallele per interessi differenziati, su cui cfr. CERULLI IRELLI, Pianificazione urbanistica e interessi differenziati, in Riv. trim. dir. pubbl., 1985, pp. 389 e 427 ss., nonché URBANI, Urbanistica, tutela del paesaggio e interessi differenziati, in Regioni, 1986, p. 665; ID., Ordinamenti differenziati e gerarchia degli interessi nell’assetto territoriale delle aree metropolitane, in Riv. giur. urb., 1990, p. 609. Si veda, qui, anche sub commento dell’art. 145. (22) Su questi profili sia consentito il rinvio a CARPENTIERI, La nozione giuridica di paesaggio, cit., p. 379 ss. (23) Corte cost., 29 maggio 1968, n. 56, in Giur. cost., 1969, p. 356; ID., 24 luglio 1972, nn. 141 e 142, entrambe ivi, 1972, p. 63 ss.; 20 febbraio 1973, n. 9, ivi, 1973, II, p. 101; 4 luglio 1974, n. 203, ivi, 1974, I, p. 81; 29 dicembre 1982, n. 239; 1 aprile 1985, n. 94, ivi, 1985, II, p. 1420; 27 giugno 1986, n. 151, ivi, 1986, II, p. 1654; 28 luglio 1995, n. 417, ivi, 1995, II, p. 1735; 11 luglio 2000, n. 262, ivi, II, p. 2008. (24) Corte cost., 26 novembre 2002, n. 478 e 27 luglio 2000, n. 378, in Giur. cost., 2000, II, p. 2008; ID., 29 dicembre 1995, n. 529, ivi, 1995, II, p. 1818; 26 ottobre 1995, n. 463, ivi, 1995, II, p. 1774; 3 ottobre 1990, n. 430, ivi, 1990, p. 1739; 3 marzo 1986, n. 39, ivi, 1986, II, p. 1597. [Art. 131] Codice dei beni culturali e del paesaggio non prende una posizione chiara sul punto della pluralità-unità dei campi di materie. Alla stessa stregua del suo omologo ordinamentale, la nozione di « leale cooperazione », costituisce una « cerniera », giuridica e culturale, volutamente ambigua e generica, per dare elasticità al sistema delle competenze e consentire una ragionevole convivenza tra attribuzioni statali e regionali. Il giudice amministrativo, analogamente, nel sostenere che la tutela paesaggistica è rimasta in attribuzione normativa statale, all’interno della previsione della lett. s) del comma 2° dell’art. 117 Cons. Stato, l’ha accomunata alla materia della tutela dell’ambiente ecologia (25). 4. – In questo difficile equilibrismo tra concetti – e conseguenti ricadute applicative in tema di collocazione sistematica e di riparto delle competenze – il Codice sembra apportare forti argomenti in favore della tesi « culturalista » (più « statalista »). In realtà il testo del 2004 non scioglie il nodo dell’art. 117 della Costituzione (26). Né, del resto, avrebbe potuto farlo, sia per ragioni formali giuridiche, sia per ragioni sostanziali politiche (non è un caso che la Conferenza unificata abbia dato parere favorevole, senza riserve, su tutto il Codice, ivi inclusa la parte III). In definitiva il « codificatore » del 2004 ha sospeso il giudizio sul punto, ed ha sostanzialmente confermato il quadro distributivo antevigente (concorrenza Statoregioni nella potestà di individuazione; trasferimento alle regioni della potestà pianificatoria; delega di quella gestionale autorizzatoria). A ben vedere, come si avrà modo di osservare più analiticamente nel commento dell’art. 141, la nuova disciplina forse ha incrinato il « vecchio » sistema del concorso statale nell’integrazione degli elenchi dei beni paesaggistici (ove era ammesso un autonomo potere statale di vincolo). Così come, d’altro canto, il parere endoprocedimentale di merito, che ha sostituito, nell’ambito del procedimento autorizzatorio, l’istituto dell’annullamento ministeriale (cfr. commento dell’art. 146), rischia di modificare il sistema della delega di tale funzione (proprio dell’art. 82 del d.p.r. n. 616/77), atteso che mentre l’annullamento è logicamente compatibile col sistema della delega, assai meno lo è il parere obbligatorio non vincolante introdotto dal Codice. Peraltro la formula anodina dell’art. 5, 131 (25) Cons. Stato, Ad. plen., 14 dicembre 2001 n. 9, in Cons. Stato, 2001, I, p. 2585. (26) L’opinione prevalente, in linea con la pronuncia della « plenaria » del Consiglio di Stato citata alla nota precedente, colloca la tutela del paesaggio sotto la dizione della lett. s) del comma 2° dell’art. 117 della Costituzione. Sul punto sia consentito il rinvio a CARPENTIERI, La nozione giuridica di paesaggio, cit., p. 365 e nt. 4. La forza evocativa del termine « governo del territorio » [su cui URBANI, voce « Urbanistica (dir. amm.) », in Enc. del dir., XLV, Milano, 1992, p. 874 ed ivi rinvii, alla nt. 23, nonché MORBIDELLI, voce « Pianificazione territoriale e urbanistica », in Enc. giur. Treccani, XXIII, Roma, p. 5 ss.] sembra dunque stemperata nella riconsiderazione della indefettibilità di una disciplina differenziata della tutela paesaggistica. Rileva che « la formula “governo del territorio” (...) rappresenta il punto di massima espansione della visione panurbanistica » MAZZARELLI, L’urbanistica e la pianificazione territoriale, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di Cassese, parte speciale, tomo IV, Milano, 2003, p. 3341. Va in proposito evidenziato che il legislatore costituzionale del 2001 ha mostrato chiaramente di intendere per « tutela dell’ambiente » e per « beni ambientali » essenzialmente la tutela del paesaggio e i beni paesaggistici, come si evince dagli stilemi « tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali » e « valorizzazione dei beni culturali e ambientali » adoperati, rispettivamente, nella lett. s) del comma 2° dell’art. 117 e nel successivo comma 3°. Il legislatore del 2001 era evidentemente ancora legato al concetto di beni ambientali nell’accezione della l. 29 gennaio 1975 n. 5, istitutiva del Ministero per i beni culturali e ambientali. La distinta menzione della tutela dell’ecosistema si giustifica in relazione alla nozione di ambiente-quantità, riferita all’ecologia in senso proprio. È peraltro significativo il fatto che la regione Toscana, nell’impugnare dinanzi alla Corte costituzionale l’art. 36, comma 3°, lett. c) della l. n. 308/04 (nella parte in cui prevede il parere vincolante del Soprintendente nell’ambito dello speciale procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica degli abusi « minori », per i quali non si applica la sanzione penale, ai sensi del nuovo comma 1°-quater aggiunto all’art. 181 del Codice), rivendica una sfera di propria competenza normativa nella materia della tutela paesaggistica non già affermandone l’inclusione nell’ambito del governo del territorio, bensì giocando sulla confusione tra tutela paesaggistica e tutela ambientale/ecologia (in ordine alla quale, come è noto, la Corte ha riconosciuto spazi alle regioni sul rilievo del carattere di valore trasversale dell’ambiente, e non di materia in senso materiale oggettivo: cfr. Corte cost., sentenze nn. 407/2002; 307/2003, 259/2004, 108/2005, 135/2005; il ricorso regionale è pubblicato in G.U., 1^ s.s., n. 12, del 23 marzo 2005). 132 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 comma 6° (le funzioni amministrative di tutela dei beni paesaggistici sono conferite alle regioni secondo le disposizioni di cui alla parte terza del presente Codice), pur adoperando il termine ambivalente « conferimento » (che, nella l. n. 59/97, art. 1, includeva tanto il trasferimento che la delega), sembra prestarsi a una lettura più ampliativa, in specie ove si consideri che la potestà autorizzatoria, una volta cessato il controllo annullatorio statale, è affidata per intero (salvo il passaggio consultivo soprintendentizio endoprocedimentale) alla potestà regionale (o comunale, a seconda dei singoli ordinamenti regionali). Non senza considerare, peraltro, che, nel nuovo sistema allocativo delle competenze di cui agli artt. 117 e 118 Cost., forse non vi è più spazio per un sistema di delega legislativa, del tipo di quello introdotto dalle leggi dei primi anni settanta di avvio del sistema regionalista (anche se, deve aggiungersi, il comma 7° dell’art. 5 del Codice continua a parlare di potestà di indirizzo e di vigilanza del Ministero sulle funzioni di cui ai commi precedenti, ivi incluse quelle paesaggistiche di cui al comma 6°). 5. – La nozione di valorizzazione del paesaggio, che compare nella rubrica del titolo unico della parte III, non ha ricevuto un’adeguata definizione. Il Codice ha benvero dettato, nella parte I, all’art. 6, una definizione generale della valorizzazione (come funzione e come attività), riferita all’intero patrimonio culturale e, quindi, anche ai beni paesaggistici. Mentre, tuttavia, nella parte II del Codice (art. 111) viene fornita un’apposita definizione delle attività di « valorizzazione » dei beni culturali (in senso stretto), manca, nella parte III, una correlativa definizione analitica espressa della valorizzazione riferita ai beni paesaggistici. Indubbiamente, in base all’art. 6, la valorizzazione dei beni paesaggistici è diretta a promuovere la conoscenza di tali beni e ad assicurarne le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione, e comprende anche la promozione e il sostegno degli interventi di conservazione (con il favor per la partecipazione dei privati). Ma questa nozione, indubbiamente « tarata » soprattutto sui beni storico-artistici, archeologici ed etnoantropologici, non spiega molto di che cosa sia la valorizzazione dei beni paesaggistici. In specie ove si consideri che le opinioni tradizionali prevalenti tendevano a focalizzare questo concetto, per quanto attiene [Art. 131] al paesaggio, verso un’idea di « tutela dinamica » del paesaggio, o di sviluppo sostenibile e di recupero dei paesaggi compromessi e degradati (27). Deve d’altro canto rammentarsi che la valorizzazione dei beni ambientali è contemplata addirittura nella Costituzione (il cui nuovo art. 117, comma 3°, introdotto nel 2001, assegna alla potestà concorrente la materia della valorizzazione dei « beni culturali e ambientali »). La parte III del Codice si limita alla sola enunciazione di tale funzione, non aggiungendo molto alla previsione dell’art. 149 del testo unico del 1999 e a quella dell’art. 1 bis della legge « Galasso » del 1985, ove si parlava di « specifica normativa d’uso e di valorizzazione ambientale » quale finalità della pianificazione paesistica. Il termine valorizzazione compare solo negli artt. 132 e 143, circa i contenuti del piano paesaggistico [comma 3°, lett. a) e comma 9°]. Non è condivisibile l’identificazione della « valorizzazione » del paesaggio con le attività di recupero e riqualificazione, o con l’idea dello sviluppo sostenibile che, nel Codice, sono menzionate distintamente, come attività diverse e specifiche [cfr. art. 143, comma 2°, lett. b), c), f)]. Inoltre, la valorizzazione, come attività volta ad assicurare la migliore fruizione del bene, ben può riferirsi a paesaggi di eccellenza, in ottimo stato di conservazione, sottoposti a vincolo di (27) Ad es. ALIBRANDI e FERRI, I beni culturali e ambientali4, Milano, 2001, pp. 651 e 666, identificano la valorizzazione del paesaggio con le attività di recupero e riqualificazione; AMOROSINO, Sub artt. 138-165, in La nuova disciplina dei beni culturali e ambientali, a cura di Cammelli, Bologna, 2000, p. 448, parla di valorizzazione come di « salvaguardia attiva » del paesaggio. Altri sembrano riferire la valorizzazione alla pianificazione e alla gestione autorizzatoria (così CIVITARESE MATTEUCCI, Il paesaggio nel nuovo titolo V, parte II, della Costituzione, in Riv. giur. ambiente, 2003, p. 268), soprattutto con riferimento alle competenze regionali (CARTEI, Il paesaggio, cit., p. 2124). In realtà sia la funzione di pianificazione che quella di controllo autorizzatorio sembrano rispondere soprattutto a finalità di tutela. Più calzante pare la notazione di CIVITARESE MATTEUCCI, Il codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., p. 510, qui già riferita alla nt. 5, circa la sostanziale unitarietà e continuità, nel Codice, tra le nozioni di tutela e valorizzazione del paesaggio, notazione che si evincerebbe anche dal fatto che la parte III reca un solo titolo rubricato « Tutela e valorizzazione ». [Artt. 131, 132] Codice dei beni culturali e del paesaggio immodificabilità assoluta (per i quali, dunque, non v’è spazio alcuno per attività di recupero e riqualificazione, o per un problema di sviluppo sostenibile). Più accettabile è l’idea che lega la valorizzazione del paesaggio ad interventi di incentivazione per agevolare il proprietario all’adempimento dell’obbligo di assicurare una corretta gestione del bene vincolato (28). Tuttavia il Codice (salvo un fugace accenno nel comma 9° dell’art. 143, ove è previsto che il piano paesaggistico individua anche gli strumenti di attuazione, comprese le misure incentivanti) non si fa carico della disciplina della fiscalità ambientale e delle esigenze di perequazione e di compensazione, che pure sono al centro del dibattito sulla nuova pianificazione urbanistica. La strada più innovativa per una più compiuta comprensione della nozione di valorizzazione riferita al paesaggio sembra indicata dalla Convenzione europea del 2000. Essa non adopera espressamente il termine « valorizzazione » dei paesaggi, ma coglie il punto lì dove, nel preambolo motivazionale, chiarisce che « il paesaggio svolge importanti funzioni di interesse generale (...) e costituisce una risorsa favorevole dell’attività economica e, se salvaguardato, gestito e pia- 133 nificato in modo adeguato, può contribuire alla creazione di posti di lavoro », nonché che « contribuisce al benessere e alla soddisfazione degli esseri umani e al consolidamento dell’identità europea ». La valorizzazione dei beni paesaggistici è dunque legata a una particolare fruizione dei loro valori, che passa attraverso la maturazione della coscienza (soprattutto) delle popolazioni residenti verso il raggiungimento della comprensione lungimirante dei benefici (prima di tutto spirituali, ma anche economici) che derivano dalla qualità media, diffusa, del paesaggio ben pianificato, salvaguardato e gestito, di modo che la rinuncia al consumo immediato del territorio e la scelta di percorsi di sviluppo sostenibile possano, nel medio e lungo periodo, divenire fattori di arricchimento per quella collettività. PAOLO CARPENTIERI (28) CAVALLO, Profili amministrativi della tutela ambientale, cit., p. 407. Art. 132. (Cooperazione tra amministrazioni pubbliche) 1. Le amministrazioni pubbliche cooperano per la definizione di indirizzi e criteri riguardanti le attività di tutela, pianificazione, recupero, riqualificazione e valorizzazione del paesaggio e di gestione dei relativi interventi. 2. Gli indirizzi e i criteri perseguono gli obiettivi della salvaguardia e della reintegrazione dei valori del paesaggio anche nella prospettiva dello sviluppo sostenibile. 3. Al fine di diffondere ed accrescere la conoscenza del paesaggio le amministrazioni pubbliche intraprendono attività di formazione e di educazione. 4. Il Ministero e le regioni definiscono le politiche di tutela e valorizzazione del paesaggio tenendo conto anche degli studi, delle analisi e delle proposte formulati dall’Osservatorio nazionale per la qualità del paesaggio, istituito con decreto del Ministro, nonché dagli Osservatori istituiti in ogni regione con le medesime finalità. SOMMARIO: 1. La cooperazione tra amministrazioni pubbliche in materia di paesaggio. 1. – L’art. 132 tenta di dare concretezza al ripetuto richiamo della Corte costituzionale (per cui cfr. le pronunce citate nel commento dell’art. 131) alla leale cooperazione nelle attività (soprattutto) di pianificazione del territorio, nelle quali si pone in maniera forte il pro-