COMUNICATO STAMPA “Noi dobbiamo alla nostra eredità animale molto più di quanto non siamo normalmente disposti ad ammettere. Ma, invece di vergognarci della nostra natura animale, possiamo considerarla con rispetto. Se la comprendiamo e la accettiamo, possiamo in effetti volgerla a nostro favore. Se invece tentiamo di negarla, di sopprimerla o di travisarla, corriamo il pericolo di provocare in noi stessi e nelle nostre società una tensione che finirà per esplodere: uno stato di cose che con il tempo potrebbe addirittura portare alla distruzione della nostra specie” Desmond Morris, The Human animal - 1994 Un viaggio avvincente lungo il cammino evolutivo dell’uomo, alla luce delle più recenti teorie e dei più importanti dibattiti scientifici e filosofico-culturali, in un dialogo serrato tra cultura umanistica e scientifica, che mette in relazione antropologia, archeologia, paleontologia, zoologia genetica ed arte. Un percorso in cui si alternano suggestivi manufatti di vario genere, reperti antropologici e archeologici, strumentazioni storiche, video, documentazioni fotografiche, exhibit interattivi (prestati dai più noti musei scientifici o appositamente realizzati per la mostra), opere e installazioni d’arte contemporanea con grandi nomi del panorama internazionale: il tutto con alcune prime assolte per l’Italia, come nel caso dell’arte delle scimmie, di reperti preistorici mai esposti prima d’ora o di installazioni artistiche, quali la curiosa The Human Race Machine di Nancy Bruston, per la prima volta in Europa in questa occasione. La mostra - evento proposta dal Museo Tridentino di Scienze Naturali - dal 7 aprile 2007 al 6 gennaio 2008 - nasce da un progetto di grande respiro sul piano culturale ed espositivo. Ideata e curata da Claudia Lauro con la supervisione scientifica di Michele Lanzinger è realizzata in collaborazione con il Museo Friulano di Storia Naturale di Udine e il Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino (che ospiteranno la mostra nel 2008) e vanta un comitato scientifico internazionale di altissimo profilo: con Guido Barbujani, Camperio Ciani, Frans de Waal, Jared Diamond, Aldo Fasolo, Giacomo Giacobini, Jean-Jacques Hublin, Giuseppe Leonardi, Giorgio Manzi, Telmo Pievani, Ian Tattersall e la collaborazione speciale di Desmond Morris. Un’esposizione, dunque, spettacolare e d’indubbia valenza scientifica e culturale; da vivere con tutti i sensi grazie ad un allestimento animato da suoni, odori e postazioni interattive, ricchissimo dal punto di vista dei supporti grafici e didattici, ideato da Fabrica, centro di ricerca sulla comunicazione del gruppo Benetton. Una mostra che ha l’obiettivo di spronare il pubblico a ripensare il nostro essere umani, la nostra discendenza animale, il rapporto uomo-natura e quello tra i diversi appartenenti al genere Homo Sapiens, fino a porci di fronte ai cruciali interrogativi sul nostro domani e sul futuro dell’umanità. ****** Recenti studi di biologia molecolare hanno dimostrato che più del 98% del patrimonio genetico degli esseri umani coincide con quello degli scimpanzé. Da questo dato scientifico, per molti versi sorprendente, nonostante le anticipazioni darwiniane, prende le mosse la mostra “La scimmia nuda. Storia naturale dell’umanità”, che deve il suo titolo all’antesignana e provocatoria opera del celebre zoologo Desmond Morris, pubblicata nel 1967. Museo Tridentino di Scienze Naturali via Calepina 14 I-38100 Trento info: 0461 270311 www.mtsn.tn.it in collaborazione con: Museo Friulano di Storia Naturale Udine Museo Regionale di Scienze NaturalI Torino Le similitudini tra l’uomo e le grandi scimmie antropomorfe non sono però solo di ordine genetico, bensì – come dimostrano numerose recenti ricerche - anche di ordine comportamentale, sociale e culturale. Gli scimpanzé possiedono infatti una cultura - intesa come capacità di trasmissione d’informazioni e comportamenti tra individui, per via non genetica - e l’etologo Frans de Waal ha persino trovato i fondamenti della morale in varie specie di scimmie. Traendo così ispirazione dal celebre libro “Il terzo scimpanzé” del biologo evoluzionista e fisiologo Jared Diamond, l’esposizione si sviluppa attraverso una serie di ricchissime sezioni tematiche, suddivise in due grandi nuclei: l”’animale uomo” e “l’unicità dell’uomo?”. La prima parte dell’esposizione – l’animale uomo – mira ad evidenziare le somiglianze anatomiche, genetiche e culturali (cognitive ed affettive) tra noi e gli scimpanzé. Grazie a documentari di produzione internazionale, postazioni informatiche interattive, una selezione di strumenti anatomici di fine ‘800 utilizzati per la prima autopsia italiana sugli scimpanzé, calchi di crani fossili di ominidi (rigorosamente in ottemperanza alla risoluzione dell’Unesco del ’98 che raccomanda di non utilizzare reperti fossili umani originali, per finalità espositive), strumenti in selce delle differenti fasi evolutive, i risultati delle analisi genetiche sui ladini e grazie alla ricostruzione estremamente realistica di un Homo di Neandertal e di un Homo sapiens - affidata a esperti tedeschi - è possibile ripercorrere la storia naturale dell’uomo, dai primati sino alla comparsa degli ominidi, del genere Homo e della nostra stessa specie. Un’evoluzione non più ritenuta lineare, dal momento che molte specie di ominidi pare abbiano convissuto negli stessi ambienti, prima che la nostra specie restasse l’unica sopravvissuta. Il concetto poi di razze umane, usato per separare gli uomini in categorie e per giustificare tante e troppe discriminazioni e barbarie – inconsistente teoria ricordata in mostra da stampe divulgative dei primi del ‘900, da storici strumenti antropologici come calchi facciali o tavole dei colori degli occhi, della pelle e dei capelli - viene quindi definitivamente archiviato (dopo che anche i recenti studi sul DNA di differenti popolazioni ne hanno confermato l’inattendibilità), mentre al visitatore viene dato modo di vedere attraverso una sorprendente installazione interattiva, creata nel 2000 dall’artista americana Nancy Burson – The Human Race Machine - quale sarebbe il proprio volto se fosse appartenuto ad altre etnie. Il posto dell’uomo nella natura è un altro aspetto analizzato, per mostrare come ormai sia necessario considerare gli essere umani non al di sopra, ma all’interno del mondo naturale: la mostra affronta la questione anche offrendo un breve excursus storico–filosofico del modo di concepire le origini l’uomo, prima e dopo le teorie darwiniane: da segnalare, tra ricostruzioni, stampe e libri antichi esposti in questa sezione, anche il trittico con la “Creazione dell’uomo” di Tano Festa ed una delle tante installazioni che accompagnano questo percorso (elaborata in questo caso da Fabrica,) con la trasfigurazione della tradizionale scala-naturae. Prima di continuare il viaggio, una sezione “a latere” affronta un tema spesso “imbarazzante” ma fondamentale nella vita di ogni Homo sapiens: quello della sessualità. Antropologi ed evoluzionisti hanno solo iniziato ad esplorare questo universo variegato e gli interrogativi sul perché ci innamoriamo, perché gli uomini siano più forti delle donne e sulle ragioni dell’orgasmo femminile non hanno ancora risposte univoche. Nella sezione, il tema dell’amplesso e quello della Dea Madre sono affrontati da una serie di manufatti antropologici – statue lignee, vasi, copricapi rituali – appartenenti a popolazioni di diverse parti del mondo, e da una curiosa terracotta ostetrica con busto di donna incinta, a termine gravidanza, della seconda metà del ‘700; il piacere del sesso e la selezione sessuale sono indagati anche ricorrendo a simpatici exhibit interattivi come quello sulle “fragranze dell’amore” e da video sui comportamenti degli animali, ma anche da una curiosa carrellata di “copripudende”, di “copriglande” e di statuette apotropaiche di diverse tribù dell’Africa, dell’America meridionale, del Congo ecc. Nella seconda parte – l’unicità umana? - la mostra indaga gli elementi che hanno segnato appunto l’unicità dell’uomo; mani e cervello prima di tutto: ovvero un gioiello dell’ingegneria per afferrare il mondo e un regista senza pari che ci permette di sentire, percepire e pensare. Così come, con l’avvento del bipedismo, le mani poterono servire per altri scopi, divenendo grazie al pollice opponibile il primo utensile dell’uomo, lo sviluppo della parte superficiale, o corteccia, del nostro cervello diede il via a tutte quelle abilità che ci rendono unici. La mostra - attraverso calchi e modelli anatomici, anche storici, di mani e piedi di scimmie antropomorfe e umani, attraverso una serie di preparati della fine del XIX secolo per l’osservazione al microscopio di sezioni di cervello, crani frenologici, parte della collezione di anatomia comparata di cervelli di animali dei primi del ‘900 di Ludwing Edinger, ma anche grazie al divertente software “accendi il cervello” ideato da Esperimenta02 di Torino - svela l’importanza di questi organi e le ricerche che si sono sviluppate intorno ad essi, compresa la recente scoperta dei neuroni specchio o dei geni fox-p2 legati al linguaggio. Quindi il grande balzo in avanti: a partire da 50.000 anni fa le capacità dell’uomo sembrano migliorare bruscamente: l’uomo comincia ad avere un linguaggio articolato, a produrre ornamenti ed arte e vengono testimoniate le prime manifestazioni di comportamento spirituale. Il linguaggio, l’arte, l’agricoltura, i comportamenti sessuali, persino la propensione alla violenza e al genocidio hanno tuttavia antecedenti diretti in altre specie animali, passati in noi attraverso le leggi dell’evoluzione e la mostra confronta queste nostre “abilità” con quelle degli altri animali in un modo divertente e interessante. In particolare, una parentesi importante viene dedicata al desiderio di ornare e abbellire, alla nascita dell’arte umana e, appunto, alle sue origini animali: si susseguono ornamenti in piume, perle o pietre di diverse popolazioni (manufatti storici delle genti della Nuova Guinea, Indonesia, Brasile, Tibet e corredi delle popolazioni dell’Ecuador), bellissime statuine con figure di Veneri di diverse età preistoriche e, altro esempio di arte mobile preistorica, la serie completa - riunita per la prima volta in questa occasione delle pietre dipinte con figure antropomorfe conservate nei musei italiani (compresi i reperti, mai esposti fino ad ora, provenienti dal Riparo Dalmeri, deposito antropico del Paleolitico superiore sul quale il Museo Tridentino di Scienze Naturali da anni sta effettuando ricerche); e ancora postazioni interattive e una suggestiva opera d’arte contemporanea di Claudia Losi – “Ciottoli” - studio italiano di geopoetica, che utilizza l’arte del ricamo. Neppure gli animali, secondo quanto sostengono oggi i biologi, sono - come dicevamo - estranei all’espressione estetica: gli uccelli giardinieri, di cui viene ricostruito un nido in mostra, decorano i loro ripari con oggetti naturali dalle forme e colori più vari; molti primati in cattività sanno disegnare con la matita, con il gesso, il carboncino o dipingere con il pennello o con le dita. In mostra davvero eccezionale la presenza, per la prima volta in Italia delle opere di Congo uno scimpanzé la cui verve artistica fu studiata a metà degli anni ’50 dall’etologo Desmond Morris e i cui quadri fatti di “ventagli” e “spirali” – alcuni provenienti per l’esposizione dalla California – seppero ingannare perfino esperti e critici d’arte. Infine ci sarà da divertirsi a scoprire chi è il pittore, in un exhibit interattivo che scherzosamente mescola quadri di scimpanzé, gorilla, orango ed elefanti con le opere di Morris Louis, Hans Hartung e Jackson Pollock. Se l’uomo è l’unico animale dedito all’agricoltura e all’allevamento, al fine di migliorare il proprio stile di vita – pratica affermatasi solo 12.000 anni fa – è anche vero che si tratta di un’arma a doppio taglio, che ha determinato alterazioni della biosfera, malattie infettive e altre anomalie. Una serie di fotografie artistiche di Rodolfo Rensi (1950 circa) e di Ursula Boehmer (2002) sulla vita contadina sono esposte insieme ad arnesi di lavoro di età moderna, cui fanno da contrappunto utensili preistorici provenienti dalle aree trentine, e strumenti per la caccia dei Boscimani del Kalahari, tra le poche tribù di cacciatori-raccoglitori ancora esistenti sulla terra. La mostra conclude il suo lungo percorso affrontando un tema cruciale, quello della violenza dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura. Conquistatore del mondo, l’uomo, come altri animali presenta infatti aspetti meno “nobili”: come la xenofobia, la competizione, la violenza. La storia umana è costellata di genocidi e da terribili atti di violenza etnica, ma l’uccisione di membri della stessa specie è stata documentata anche tra gli animali. E poi la violenza dell’uomo sulla natura, la manipolazione, lo sfruttamento delle risorse: tutti temi che toccano direttamente il nostro futuro e che ci impongono una riflessione attenta. In un allestimento fortemente emotivo, che alterna la riproduzione di scene rupestri di guerra alla grafica degli anni Novanta sui temi della globalizzazione, dei diritti umani, della guerra, troviamo le serigrafie dell’artista americana Luba Lukova “Peace” e quelle della serie ”Crime”, che si alternano a storiche lance in ferro e legno, scudi in stoffa e vimini, coltelli e altri strumenti bellici delle diverse tribù del Congo, e ancora ad armi per la caccia all’uomo e un cranio-trofeo della Nuova Guinea. Un exhibit interattivo ideato da Fabrica ci mostra la distribuzione nel tempo e nello spazio di esempi di violenza etnica e di genocidi del passato, mentre a ricordare il nostro distorto rapporto con la natura, ecco il filmato di Cisca Bogman “Run astore” sui rifiuti in plastica sulle spiagge, un cappello di castoro del XVII secolo che l’alta società inglese indossava su ordine di Carlo I d’Inghilterra, contribuendo alla distruzione della specie e ancora testimonianze degli ecocidi moderni accanto all’esposizione di 10 affascinanti serigrafie di Andy Warhol del 1983 sulle specie animali in estinzione, prestate dalla Feldman Gallery di New York, e a due exhibit artistici e interattivi – di Eva Sutton ed Enrico Tommaso De Paris – “Hybridis” e “Cromosoma” sulla manipolazione genetica cui guarda la società moderna. Quale sarà il futuro dell’umanità? L’interrogativo resta ma se non comprendiamo le nostra storia e il posto dell’uomo nella natura non potremo capire neppure le ragioni del rispetto dell’ambiente e degli altri esseri umani e dunque trovare le chiavi della nostra continuità. “A dispetto delle molteplici e affascinanti differenze riscontrabili nelle diverse regioni e nelle varie società – scrive Morris - le migliaia di milioni di esseri umani viventi condividono un’eredità genetica sostanzialmente identica. Possiamo indossare cappelli differenti, ma tutti mostriamo lo stesso sorriso; possiamo parlare lingue diverse, ma tutte queste si rifanno a una comune radice grammaticale; possiamo celebrare cerimonie nuziali differenti, ma tutti ci innamoriamo. Nonostante le diversità del colore della pelle, delle credenze religiose e dei rituali sociali, da un punto di vista biologico siamo sorprendentemente simili l’uno all’altro”: SCIMMIE NUDE.