Erodoto
Antologia on-line
Tw1 Gli Etiopi (III 17-25) e gli Ammonii (III 26)
Tw2 Periandro e Licofrone (III 50-53)
Tw3 La tirannide disumana (V 92)
Tw4 Salamina (VIII 83, 2-97, 1 con tagli)
Tw5 La conclusione delle Storie (IX 121-122)
italiano
greco con note
italiano
greco con note
greco e italiano
Testi (per i brani presentati nella tipologia “greco con note”): Hérodote, Histoires. Texte établi et traduit par Philippe
Ernest Legrand, I-IX, Les Belles Lettres, Paris 1932-1968.
Tw1
III 17-26
italiano
Gli Etiopi e gli Ammonii
Contenuto e motivi All’interno del racconto sul regno di Cambise – il re persiano che, dopo la
conquista dell’Egitto (525 a.C.), ormai folle, avanza verso sud per impadronirsi delle ricche terre
degli Etiopi – è inserito il logos etiopico, un excursus sulle usanze locali: emerge il ritratto di un
popolo diverso da quelli che Erodoto conobbe direttamente (come i Persiani o gli Egiziani); un
“popolo dell’utopia”, relegato in una dimensione mitica, lontana, tanto che per raggiungerla occorre
avvalersi di intermediari, gli Ittiofagi. In questa dimensione fantastica, i valori correnti – di parte
persiana – sono sovvertiti; ma la tracotante cecità di Cambise, che intende rivoluzionare questo
mondo, violandone le misteriose leggi, genera il consueto meccanismo di compensazione e
ristabilimento dell’ordine: l’armata inviata nel deserto, esauriti i viveri, arriva a macchiarsi di
un’azione orribile, il cannibalismo, costringendo il re persiano a desistere dal suo proposito. Non
pago di ciò, Cambise persevera nella follia e manda un altro esercito contro gli Ammonii, i
sacerdoti del dio Ammone che vivevano nell’oasi di Siwa, nel deserto al confine tra Egitto e Libia;
ma di questa sciagurata spedizione si perdono le tracce.
III 17 [1] Dopo di ciò Cambise progettò tre diverse spedizioni. contro i Cartaginesi, contro gli
Ammonii e contro gli Etiopi dalla lunga vita, che abitano la costa libica lungo il mare meridionale.
[2] Riflettendo gli sembrò opportuno mandare contro i Cartaginesi la flotta, contro gli Ammonii una
parte scelta dell’esercito di terra e dagli Etiopi anzitutto esploratori, per vedere se realmente esisteva
quella mensa del Sole, che si diceva esistesse presso questi Etiopi, e inoltre per osservare tutto il
resto delle cose, col pretesto di portar doni al loro re.
1
18 Ecco come si dice che sia la mensa del Sole: c’è nel sobborgo un prato tutto pieno di carni cotte
di ogni specie di quadrupedi. In esso di notte hanno cura di mettere le carni quei cittadini che sono
di volta in volta in carica come magistrati, e di giorno chi vuole può accostarsi e mangiare. Gli
abitanti del luogo invece affermano che la terra stessa produce ogni volta queste carni. Dunque tale
si dice che sia la cosiddetta mensa del Sole.
19 [1] Appena Cambise ebbe deciso di inviare gli esploratori, subito mandò a chiamare dalla città di
Elefantina quegli Ittiofagi che conoscevano la lingua etiopica. [2] Mentre andavano a cercare questi,
contemporaneamente ordinò alla flotta di navigare contro i Cartaginesi. Ma i Fenici dissero che non
avrebbero fatto ciò, perché erano legati da saldi giuramenti e avrebbero compiuto un’azione empia
andando contro i loro stessi figli. [3] Rifiutandosi i Fenici, gli altri non erano in grado di
combattere. In tal modo i Cartaginesi evitarono la schiavitù da parte dei Persiani. Cambise infatti
non ritenne giusto far violenza ai Fenici, poiché si erano consegnati spontaneamente ai Persiani e
tutta la flotta dipendeva da loro. Anche i Ciprioti essendosi consegnati ai Persiani partecipavano alla
spedizione contro l’Egitto.
20 [1] Quando giunsero da Elefantina gli Ittiofagi, Cambise li mandò presso gli Etiopi, ingiungendo
loro quel che conveniva dire e dando loro da portare in dono una veste di porpora e una collana
d’oro intrecciata e braccialetti e un vasetto d’alabastro pieno di profumo e una giara di vino di
palma. Questi Etiopi cui Cambise mandava l’ambasceria si dice che siano i più grandi e i più belli
di tutti gli uomini. [2] Si narra che essi fra gli altri costumi differenti dagli altri uomini osservino in
particolare questo riguardo al regno: stimano degno d’essere re quello dei cittadini che essi
giudicano sia il più grande e abbia forza in proporzione alla statura.
21 [1] Quando dunque gli Ittiofagi giunsero presso questi uomini, consegnando i doni al re dissero:
“Il re dei Persiani Cambise, volendo divenire tuo amico e ospite, ci ha mandato ordinandoci di
venire a colloquio con te, e ti offre in dono questi oggetti che egli stesso usa con il più grande
piacere”. [2] Ma l’Etiope, avendo compreso che erano venuti come spie, rispose loro con queste
parole: “Né il re dei Persiani vi ha mandato a portarmi doni perché tiene in gran conto di divenire
mio ospite, né voi dite il vero. Voi siete venuti a spiare nel mio regno né quell’uomo è giusto, ché se
fosse giusto non desidererebbe altra terra oltre la sua, né ridurrebbe in schiavitù uomini dai quali
non ha ricevuto alcun torto. [3] Perciò consegnandogli quest’arco ditegli queste parole: il re degli
Etiopi dà al re dei Persiani questo consiglio, che quando i Persiani tenderanno con facilità archi così
grandi, allora marci con forze superiori di numero contro gli Etiopi dalla lunga vita; ma fino a quel
momento renda grazie agli dèi, che non mettono in mente ai figli degli Etiopi l’idea di acquistarsi
altre terre oltre la loro”.
2
22 [1] Ciò detto, allentò l’arco e lo consegnò agli ambasciatori. Presa poi la veste di porpora chiese
cosa fosse e come fosse stata fatta. Esponendogli gli Ittiofagi la verità intorno alla porpora e alla
tinta, disse che ingannevoli erano gli uomini, e ingannevoli le loro vesti. [2] Quindi li interrogò
sulla collana d’oro intrecciata e sui braccialetti. Dandogli gli Ittiofagi spiegazioni, il re deridendo i
loro ornamenti e credendo che fossero ceppi disse che presso di loro i ceppi erano più robusti di
quelli. [3] In terzo luogo fece domande sull’unguento, e quando essi esposero la fabbricazione e il
modo di ungersi, disse le stesse parole che aveva usato riguardo alla veste. Poi giunto al vino si
informò sulla sua preparazione, e assai compiaciuto della bevanda chiese di cosa si nutriva il re e
quanto tempo al massimo viveva un uomo persiano. [4] Quelli allora risposero che si nutriva di
pane, spiegando la natura del frumento e che 80 anni sono il massimo stabilito per la vita umana. A
queste parole l’Etiope disse che non c’era affatto da meravigliarsi se mangiando letame vivevano
pochi anni e che neppure avrebbero potuto raggiungere quella età se non si fossero ristorati con
quella bevanda – soggiunse indicando agli Ittiofagi il vino: in quello infatti gli Etiopi erano inferiori
ai Persiani.
23 [1] Poiché gli Ittiofagi interrogavano a loro volta il re riguardo alla vita degli Etiopi e al loro
regime alimentare, questi rispose che la maggior parte di loro raggiunge i 120 anni, ma che alcuni
superano anche questa età, e che si cibano di carni cotte e bevono latte. [2] E poiché gli esploratori
mostravano di meravigliarsi del numero degli anni, li guidò ad una fontana, lavandosi nella quale
diventavano più nitidi, come se fosse d’olio; e da essa esala un profumo come quello delle viole. [3]
Narravano gli esploratori che l’acqua di questa fonte era così leggera che niente era in grado di
galleggiare su di essa, né legno né cose ancora più leggere del legno, ma tutto andava a fondo. A
causa di questa acqua, se davvero è quale si dice, può darsi che siano di lunga vita, poiché la usano
continuamente. [4] Narrano poi che, allontanatisi dalla fonte, li avrebbe condotti ad una prigione,
dove tutti gli uomini erano legati con catene d’oro. Fra questi Etiopi il rame è di tutte le cose la più
rara e la più preziosa. Dopo aver visitato la prigione videro anche la cosiddetta mensa del Sole.
24 [1] Dopo di questa in ultimo visitarono le sepolture, che si dice siano fatte con una pietra
trasparente in questo modo: [2] dopo aver disseccato il cadavere, o come gli Egiziani o in qualche
altra maniera, ricopertolo di gesso lo dipingono tutto, imitandone per quanto è possibile l’aspetto e
poi gli pongono attorno una stele cava fatta di pietra trasparente. Questa presso di loro si scava in
grande abbondanza ed è facile a lavorarsi. [3] Stando dentro in mezzo alla stele il cadavere è
visibile in trasparenza e non produce alcun odore sgradevole né alcun altro inconveniente, e la stele
appare in tutto rassomigliante al morto stesso. [4] Per un anno i parenti più prossimi si tengono la
stele in casa, consacrandole le primizie di tutti i prodotti e offrendole sacrifici. Dopo di ciò portatala
fuori di casa la pongono nelle zone di periferia.
3
25 [1] Dopo aver osservato ogni cosa gli esploratori se ne tornarono indietro. Appena essi ebbero
riferito tali notizie, subito Cambise adirato mosse contro gli Etiopi, senza aver ordinato preparativi
per i viveri e senza aver riflettuto che si accingeva a marciare verso l’estremo confine della terra. [2]
Ma, pazzo e dissennato com’era, appena ebbe ascoltato gli Ittiofagi si mise in marcia, dopo aver
ordinato ai Greci che erano con lui di rimaner lì, e conducendo con sé tutta la fanteria. [3] Quando
poi nel corso della sua marcia giunse a Tebe, scelse dall’esercito circa 50 mila uomini, e a questi
ordinò di ridurre in schiavitù gli Ammonii e di incendiare l’oracolo di Zeus; egli stesso col resto
dell’esercito mosse contro gli Etiopi. [4] Ma prima che l’esercito avesse percorso la quinta parte del
cammino, vennero loro a mancare tutti i viveri che avevano, e dopo i viveri vennero meno anche le
bestie da soma, che furono mangiate. [5] Se,visto questo, Cambise avesse mutato parere e avesse
condotto indietro l’esercito, dopo l’errore iniziale si sarebbe comportato da uomo saggio; invece,
non tenendone alcun conto, andava sempre avanti. [6] I soldati, finché ebbero la possibilità di
prendere qualche cosa dalla terra, si mantennero in vita mangiando erba; ma, quando giunsero al
deserto, alcuni di essi compirono un’azione orribile: tratto a sorte un uomo su dieci di loro lo
divorarono. [7] Cambise, informato di ciò, temendo che si mangiassero l’uno con l’altro,
abbandonata la spedizione contro gli Etiopi tornò indietro, e giunse a Tebe dopo aver perduto gran
parte dell’esercito. Sceso poi da Tebe a Menfi congedò i Greci, lasciandoli partire per mare.
26 [1] La spedizione contro gli Etiopi terminò dunque così. Invece i Persiani inviati a combattere
contro gli Ammonii, mossisi da Tebe marciarono con guide, ed è certo che giunsero alla città di
Oasi, che è abitata da Sami, i quali si dice appartengano alla tribù Escrionia, e dista da Tebe 7 giorni
di viaggio attraverso una regione sabbiosa. Questa località in lingua greca è chiamata Isole dei
Beati. [2] Fino a questa località dunque si dice sia giunto l’esercito, ma da questo punto in poi, ad
eccezione degli Ammonii stessi e di quelli che da loro ne hanno sentito parlare, nessun altro è in
grado di dire alcunché su di essi, poiché né giunsero fino al paese degli Ammonii né tornarono
indietro. [3] Anche questo viene narrato dagli stessi Ammonii: dopo che dalla città di Oasi
attraverso il deserto mossero contro di loro e furono giunti circa a metà strada fra loro e Oasi,
mentre consumavano il pasto spirò contro di loro un vento del sud insolitamente impetuoso, e
trascinando vortici di sabbia li seppellì, e in tal maniera scomparvero. Gli Ammonii dicono che così
siano andate le cose nei riguardi della spedizione.
(trad. di A. Izzo D’Accinni)
Tw2
4
III 50-53
greco con note
Periandro e Licofrone
Contesto e contenuto All’interno del primo logos samio, incentrato sulla spedizione spartana contro
Samo del 525 a.C. (contemporanea alla conquista persiana dell’Egitto raccontata in III 1-38),
Erodoto inserisce il racconto delle vicende di Periandro di Corinto, che prese parte a questa
spedizione (III 48-53). Una serie di contrasti fra varie città greche, tra Sparta e Samo in primis, ma
anche tra Corinto e la sua colonia Corcira, viene presentata in questi capitoli; proprio all’origine
delle ostilità fra Corinto e Corcira si colloca l’episodio, qui riportato, dell’uccisione del figlio di
Periandro, Licofrone, da parte dei Corciresi.
III 50 [1] ÆEpeivte ga;r th;n eJwutou' gunai'ka Mevlissan Perivandro~
ajpevkteine,
gegonuivh/
hJlikivhn
sumforh;n
genevsqai.
oJ
me;n
toihvnde
ÇHsavn
oiJ
a[llhn
oiJ
ejk
eJptakaivdeka,
oJ
sunevbh
Melivssh~
de;
pro;~
duvo
th'/
pai'de~,
ojktwkaivdeka
e[tea
gegonwv~. [2] Touvtou~ oJ mhtropavtwr Proklevh~, ejw;n ÆEpidauvrou
tuvranno~,
metapemyavmeno~
par¾
eJwuto;n
ejfilofroneveto,
wJ~
oijko;~ h\n qugatro;~ ejovnta~ th'~ eJwutou' pai'da~. ÆEpeivte dev
sfea~ ajpepevmpeto, ei\pe propevmpwn aujtouv~: [3] ÇAra i[ste, w\
pai'de~, o}~ uJmevwn th;n mhtevra ajpevkteineÉ Tou'to to; e[po~ oJ
me;n presbuvtero~ aujtw'n ejn oujdeni; lovgw/ ejpoihvsato: oJ de;
newvtero~,
tw'/
ou[noma
h\n
Lukovfrwn,
h[lghse
ajkouvsa~
ou{tw
w{ste ajpikovmeno~ ej~ th;n Kovrinqon a{te foneva th'~ mhtro;~
to;n
patevra
ou[te
prosei'pe,
dialegomevnw/
te
ou[
ti
prosdielevgeto iJstorevontiv te lovgon oujdevna ejdivdou. Tevlo~
dev
min
periquvmw~
e[cwn
oJ
Perivandro~
ejxelauvnei
ejk
tw'n
oijkivwn. 51 [1] ÆExelavsa~ de; tou'ton iJstovree to;n presbuvteron
tav sfi oJ mhtropavtwr dielevcqh. ïO dev oiJ ajphgeveto w{~ sfea~
filofrovnw~
Proklevh~
ejdevxato,
ajpostevllwn
ejkeivnou
ei\pe,
de;
a{te
tou'
ouj
e[peo~
novw/
tov
sfi
labwvn,
oJ
oujk
ejmevmnhto. Perivandro~ de; oujdemivan mhcanh;n e[fh ei\nai mh;
ou[ sfi ejkei'non uJpoqevsqai ti, ejlipavreev te iJstorevwn: oJ
de;
ajnamnhsqei;~
ei\pe
kai;
tou'to.
[2] Perivandro~
de;
novw/
labw;n [kai; tou'to] kai; malako;n ejndidovnai boulovmeno~ oujdevn,
5
th'/ oJ ejxelasqei;~ uJp¾aujtou' pai'~ divaitan ejpoieveto, ej~
touvtou~
pevmpwn
oijkivoisi:
a[ggelon
[3] oJ
de;
ajphgovreue
o{kw~
mhv
ajpelaunovmeno~
min
devkesqai
e[lqoi
ej~
a[llhn
oijkivhn, ajphlauvnet¾ a]n kai; ajpo; tauvth~, ajpeilevontov~ te
tou' Periavndrou toi'si dexamevnoisi kai; ejxevrgein keleuvonto~.
ÆApelaunovmeno~ d¾ a]n h[ie ejp¾ eJtevrhn tw'n eJtaivrwn: oiJ de;
a{te
Periavndrou
ejovnta
pai'da,
kaivper
deimaivnonte~,
o{mw~
ejdevkonto. 52 [1] Tevlo~ de; oJ Perivandro~ khvrugma ejpoihvsato,
o}~ a]n h] oijkivoisi uJpodevxhtaiv min h] prosdialecqh'/, iJrh;n
zhmivhn tou'ton tw'/ ÆApovllwni ojfeivlein, o{shn dh; ei[pa~. [2]
Pro;~ w\n dh;
ou[te
tou'to to; khvrugma ou[te tiv~
oijkivoisi
ejkei'no~
devkesqai
ejdikaivou
h[qele:
pro;~
peira'sqai
oiJ dialevgesqai
de;
oujde;
aujto;~
ajpeirhmevnou,
ajlla;
diakarterevwn ejn th'/si stoih'/si ejkalindeveto. [3] Tetavrth/ de;
hJmevrh/
ijdwvn
min
oJ
Perivandro~
ajlousivh/siv
te
kai;
ajsitivh/si sumpeptwkovta oi[ktire: uJpei;~ de; th'~ ojrgh'~ h[ie
a\sson kai; e[lege: ÇW pai', kovtera touvtwn aiJretwvterav ejsti,
tau'ta ta; nu'n eJkw;n prhvssei~, h] th;n turannivda kai; tajgaqa;
ta;
nu'n
ejgw;
e[cw,
tau'ta
ejovnta
tw'/
patri;
ejpithvdeon
paralambavneinÉ [4] ÕO~ ejw;n ejmov~ te pai'~ kai; Korivnqou th'~
eujdaivmono~
basileu;~
ajlhvthn
bivon
ei{leo,
ajntistatevwn
te
kai; ojrgh'/ crewvmeno~ ej~ to;n se; h{kista ejcrh'n. Eij gavr ti~
sumforh; ejn aujtoi'si ejggevgone, ejx h|~ uJpoyivhn ej~ ejme;
e[cei~, ejmoiv te au{th gevgone kai; ejgw; aujth'~ to; plevon
mevtocov~
eijmi,
o{sw/
aujtov~
sfea
ejxergasavmhn.
[5]
Su;
de;
maqw;n o{sw/ fqonevesqai krevsson ejsti; h] oijktivresqai, a{ma te
oJkoi'ovn
ti
ej~
tou;~
tokeva~
kai;
ej~
tou;~
krevssona~
tequmw'sqai, a[piqi ej~ ta; oijkiva. [6] Perivandro~ me;n touvtoisi
aujto;n katelavmbane, oJ de; a[llo me;n oujde;n ajmeivbetai to;n
patevra,
e[fh
dev
min
iJrh;n
zhmivhn
ojfeivlein
tw'/
qew'/
eJwutw'/ ej~ lovgou~ ajpikovmenon. Maqw;n de; oJ Perivandro~ wJ~
a[porovn ti to; kako;n ei[h tou' paido;~ kai; ajnivkhton, ejx
ojfqalmw'n
ejpekravtee
min
ga;r
ajpopevmpetai
kai;
steivla~
tauvth~.
ploi'on
ej~
[7] ÆAposteivla~
de;
Kevrkuran:
tou'ton
oJ
6
Perivandro~ ejstrateuveto ejpi; to;n penqero;n Prokleva, wJ~ tw'n
pareovntwn oiJ prhgmavtwn ejovnta aijtiwvtaton, kai; ei|le me;n
th;n ÆEpivdauron, ei|le de; aujto;n Prokleva kai; ejzwvgrhse. 53 [1]
ÆEpei; de; tou' crovnou probaivnonto~ o{ te Perivandro~ parhbhvkee
kai;
suneginwvsketo
eJwutw'/
oujkevti
ei\nai
dunato;~
ta;
prhvgmata ejpora'n te kai; dievpein, pevmya~ ej~ th;n Kevrkuran
ajpekavlee to;n Lukovfrona ejpi; th;n turannivda: ejn ga;r dh;
tw'/
presbutevrw/
katefaivneto
tw'n
ei\nai
paivdwn
nwqevstero~.
oujk
ejnwvra,
[2] ïO
de;
ajllav
Lukovfrwn
oiJ
oujde;
ajnakrivsio~ hjxivwse to;n fevronta th;n ajggelivhn. Perivandro~
de; periecovmeno~ tou' nehnivew deuvtera ajpevsteile ejp¾ aujto;n
th;n
ajdelfehvn,
eJwutou'
de;
qugatevra,
dokevwn
min
mavlista
tauvth/ a]n peivqesqai. [3] ÆApikomevnh~ de; tauvth~ kai; legouvsh~:
ÇW pai', bouvleai thvn te turannivda ej~ a[llou~ pesei'n kai; to;n
oi\kon
tou'
ajpelqw;n
patro;~
e[ceinÉ
diaforhqevnta
ÒApiqi
ej~
ma'llon
ta;
oijkiva,
h]
aujtov~
pau'sai
sfea
sewuto;n
zhmiw'n. [4] Filotimivh kth'ma skaiovn: mh; tw'/ kakw'/ to; kako;n
ijw'.
Polloi;
tw'n
dikaivwn
ta;
ejpieikevstera
protiqei'si.
Polloi; de; h[dh ta; mhtrwvia dizhvmenoi ta; patrwvia ajpevbalon.
Turanni;~ crh'ma sfalerovn, polloi; de; aujth'~ ejrastaiv eijsi,
oJ de; gevrwn te h[dh kai; parhbhkwv~: mh; dw'/~ ta; sewutou'
ajgaqa;
a[lloisi.
[5] ïH
me;n
dh;
ta;
ejpagwgovtata
didacqei'sa
uJpo; tou' patro;~ e[lege pro;~ aujtovn: oJ de; uJpokrinovmeno~
e[fh
oujdama;
h{xein
ej~
Kovrinqon,
e[st¾
a]n
punqavnhtai
perieovnta to;n patevra. [6] ÆApaggeilavsh~ de; tauvth~ tau'ta to;
trivton Perivandro~ khvruka pevmpei boulovmeno~ aujto;~ me;n ej~
Kevrkuran
h{kein,
ajpikovmenon
ejkei'non
diavdocon
de;
ejkevleue
givnesqai
th'~
ej~
Kovrinqon
turannivdo~.
[7]
Katainevsanto~ d¾ ejpi; touvtoisi tou' paido;~ oJ me;n Perivandro~
ejstevlleto
ej~
th;n
Kevrkuran,
oJ
de;
pai'~
oiJ
ej~
th;n
Kovrinqon. Maqovnte~ de; oiJ Kerkurai'oi touvtwn e{kasta, i{na mhv
sfi
Perivandro~
nehnivskon.
ej~
ÆAnti;
th;n
cwvrhn
touvtwn
me;n
ajpivkhtai,
kteivnousi
Perivandro~
to;n
Kerkuraivou~
ejtimwreveto.
7
III 50, 1 ÆEpeivte ga;r ... gegonwv~: «Infatti, dopo che Periandro ebbe ucciso la propria
moglie Melissa, oltre a quella già avvenuta gli capitò quest’altra disgrazia: egli aveva da Melissa
due figli, dell’età uno di diciassette anni, l’altro di diciotto». ÆEpeivte ga;r: questo avvio di
una nuova sezione narrativa si ricollega a quanto precedentemente detto nel capitolo 49, cioè che i
Corciresi avevano compiuto per primi «un’azione scellerata» (prh`gma ajtavsqalon) contro
Periandro (49, 2). eJwutou': attico eJautou', genitivo del pronome riflessivo. Mevlissan:
sulla figura di Melissa, si vedano le Pagine critiche di N. Loraux, tra le risorse on-line.
Perivandro~: Periandro, figlio di Cipselo I, nacque a Corinto, città della quale in seguito
divenne tiranno e alla quale diede grande impulso, rendendola una tra le più prospere del mondo
antico; fu annoverato fra i Sette Sapienti. Dalla sua unione con Melissa, figlia del tiranno di
Epidauro, nacquero Cipselo II, Licofrone e una figlia; stando alla testimonianza di Diogene Laerzio
(I 94), Periandro in un accesso di collera colpì a morte la moglie, che era incinta. ajpevkteine:
terza persona singolare dell’indicativo aoristo debole asigmatico di ajpokteivnw, che in questa
forma (terza persona singolare), priva dell’infisso caratteristico dell’aoristo debole, -a-, coincide
con l’imperfetto. sumforhvn: sumforhv, attico sumforav; significa «evento», «caso», ma
anche «disgrazia», «sventura» (cfr. anche la scheda Focus lessicale); Erodoto designa con questo
termine l’uxoricidio compiuto da Periandro probabilmente perché esso fu causato da un impeto
d’ira, preterintenzionalmente si direbbe oggi. Per il valore pregnante di questo vocabolo, può essere
utile il confronto con le parole pronunciate da Solone al cospetto di Creso in I 32, 4: pa'n ejsti
a[nqrwpo~ sumforhv, «L’uomo è un continuo mutamento» (T5). oiJ: attico aujtw/'.
sunevbh ... genevsqai: letteralmente «accadde che si verificasse», espressione ridondante
che si può semplificare in traduzione. sunevbh è indicativo aoristo atematico di sumbaivnw;
genevsqai infinito aoristo di givgnomai. gegonuivh/: dativo femminile singolare del
participio perfetto di givgnomai, riferito al precedente sumforhvn. ÇHsavn oiJ ... duvo
pai'de~: dativo di possesso. hJlikivhn: accusativo di relazione. e[tea: attico e[th.
gegonwv~: participio perfetto di givgnomai. [FOCUS: Costruzione analoga al latino natus +
accusativo annum/annos + numerale cardinale].
50, 2 Touvtou~ ... aujtouv~:: «Il nonno materno Procle, che era tiranno di Epidauro,
chiamò costoro presso di sé e li trattò con affetto, com’era naturale visto che erano figli di sua figlia.
Ma quando li mandava via, congedandoli disse:». ejwvn: attico w[n, participio presente di
eijmiv. ÆEpidauvrou: città greca del Peloponneso, in Argolide. metapemyavmeno~ ...
8
ejfilofroneveto:
letteralmente
«avendoli
fatti
venire
li
trattava
con
affetto».
metapemyavmeno~ è il participio aoristo debole sigmatico medio di metapevmpw,
ejfilofroneveto
è
l'imperfetto
di
filofronevw
(attico
ejfilofronei'to).
L'imperfetto qui è usato per evidenziare il valore di azione durativa nel passato, mentre in italiano è
preferibile usare il passato remoto. oijkov~: participio perfetto da e[oika senza
raddoppiamento (attico ejoikov~). sfea~: attico aujtouv~. ajpepevmpeto: imperfetto
medio di ajpopevmpw; si noti nello spazio di poche righe l’utilizzo del verbo pevmpw composto
con diversi preverbi: prima metapevmpomai («mandare a chiamare», «far venire»), ora
ajpopevmpw («mandare via», «congedare»), poco sotto il participio presente propevmpwn
(«mandare avanti», «accompagnare», «congedare»). ei\pe: indicativo aoristo da ei\pon, forma
nella prassi didattica inserita nel paradigma di levgw.
50, 3 ÇAra ... oijkivwn: «“Figlioli, sapete chi ha ucciso vostra madre?” Il maggiore di loro
non prestò attenzione a queste parole; ma il più giovane, il cui nome era Licofrone, sentendole ne
provò tanto dolore che, una volta giunto a Corinto, non rivolse la parola al padre, poiché secondo lui
era l’assassino della madre, e [al padre] che gli parlava non rispondeva, e se gli poneva domande
non dava alcuna risposta. Alla fine Periandro, essendo molto indignato, lo scacciò di casa». ÇAra:
particella che introduce una proposizione interrogativa diretta; in italiano corrisponde a «forse?»,
ma spesso non si traduce (latino -ne). i[ste: indicativo del perfetto oi\da, seconda persona
plurale. uJmevwn: attico uJmw'n; genitivo del pronome personale di seconda persona plurale.
presbuvtero~ ... newvtero~: comparativi, perché i fratelli sono due (cfr. il latino maior,
minor natu). ejn oujdeni; lovgw/ ejpoihvsato: locuzione idiomatica, letteralmente
significa «(non) tenne in nessun conto». tw'/ ou[noma h\n: costruzione col dativo di
possesso; tw'/ ha valore di pronome relativo; ou[noma = attico o[noma. h[lghse: indicativo
aoristo di ajlgevw, «addolorarsi», «soffrire», radice che si è mantenuta viva nel lessico tecnico
della medicina, dove i suffissoidi -algia, -algico, ecc. si riferiscono sempre a manifestazioni
dolorose (si pensi, ad esempio ad analgesico, nevralgia, ecc.). ajkouvsa~: participio aorsito di
ajkouvw. ou{tw w{ste ... ou[te prosei'pe, … ou[ ti prosdielevgeto, … te
... ejdivdou: proposizione consecutiva, anticipata da ou{tw, introdotta da w{ste ed espressa
all'indicativo (aoristo: prosei'pe; e imperfetto: prosdielevgeto e ejdivdou), perché
indica una conseguenza reale (sono le cosiddette consecutive obiettive). Erodoto evidenzia che la
reazione del ragazzo è la diretta conseguenza della dolorosa consapevolezza suscitata in lui dalla
domanda del
nonno.
ajpikovmeno~:
attico
ajfikovmeno~,
participio
aoristo
di
9
ajfiknevomai. a{te foneva th'~ mhtrov~: letteralmente «in quanto assassino della
madre». prosei'pe: regge l'accusativo patevra. dialegomevnw/ ... iJstorevonti:
participi in dativo, con valore ipotetico (al [padre] «che gli parlava» = «se gli parlava»).
Nell'accumulo dei verba dicendi, si noti la diversa sfumatura espressa dai preverbi: prosei'pon
(«rivolgere la parola»), prosdialevgomai («rispondere»), dialevgomai («parlare»). Al
padre che in un crescente parossismo sembra seppellire il figlio sotto una valanga di domande,
corrisponde l'ostinato mutismo di Licofrone: sono due mondi spirituali così profondamente diversi
da diventare assolutamente incomunicabili; l'uno, il padre, vorrebbe dimenticare l'orribile tragedia,
l'altro, il figlio, non può invece vivere come se nulla fosse successo. E tra i due cala il silenzio.
Tevlo~: accusativo avverbiale («infine»). min: attico aujtovn. periquvmw~ e[cwn: e[cw
con l'avverbio assume il significato di «essere in una condizione», «stare»; la specificazione della
“condizione” è affidata all’avverbio. In periquvmw~, periv ha valore intensivo.
ejxelauvnei: presente storico. oijkivwn: oijkivon, generalmente usato al plurale, indica
la «casa».
51, 1 ÆExelavsa~ ... tou'to: «Dopo averlo scacciato, [Periandro] interrogava il [figlio] più
grande su cosa avesse loro detto il nonno materno, ed egli gli raccontava che [il nonno] li aveva
accolti con affetto, ma non si ricordava di quelle parole che Procle aveva detto loro nel congedarli,
poiché non ne aveva capito il senso. Ma Periandro diceva che non era possibile che quello [il
nonno] non avesse suggerito loro qualcosa, e insisteva a interrogarlo. E lui, ricordatosene, disse
anche questo». ÆExelavsa~: torna il medesimo verbo con cui si è concluso il paragrafo
precedente (ejxelauvnw); qui è il participio aoristo debole sigmatico, nominativo singolare
maschile. iJstovree: imperfetto di conato (attico iJstovrei); regge il doppio accusativo,
della persona (to;n
presbuvteron) e della cosa (tav
sfi
oJ
mhtropavtwr
dielevcqh). tav: ha la funzione di pronome relativo neutro plurale. dielevcqh: aoristo
passivo
debole
di
dialevgw.
ajphgeveto:
attico
ajfhgei'to,
imperfetto
di
ajfhgevomai. w{~: non si tratta dell’avverbio dimostrativo («così»), ma della congiunzione
dichiarativa («che»), proclitica che ha acquisito l’accento in quanto seguita da un’enclitica
(sfea~). sfea~ = aujtouv~. filofrovnw~ ejdevxato: nel paragrafo precedente era
stato utilizzato il verbo filofronevw, qui invece ricorre una perifrasi con l’aoristo di
devcomai. e[peo~: attico e[pou~. tov: pronome relativo. sfi = aujtoi'~. novw/
labwvn: propriamente «afferrare con la mente», cioè «comprendere». ejmevmnhto:
piuccheperfetto di mimnhvskw, con significato di imperfetto. oujdemivan mhcanh;n ...
10
ei\nai mh; ouj ... uJpoqevsqai: infinitiva retta da e[fh, costruita con l’espressione
idiomatica oujdemiva mhcanhv ejsti («non c’è nessuna possibilità») e la successiva
completiva introdotta da mh; ouj («che non») + infinito (uJpoqevsqai, aoristo medio di
uJpotivqhmi, «suggerire», «insinuare»). ejlipavreev ... iJstorevwn: imperfetto di
liparevw
(«persistere»,
«insistere»)
+
participio
predicativo
(attico
iJstorw'n).
ajnamnhsqeiv~: participio aoristo passivo di ajnamimnh/vskw, all’attivo «far ricordare», al
medio-passivo «ricordarsi».
51, 2 Perivandro~ ... oijkivoisi:: «Periandro, avendo compreso e non volendo
concedere nessuna indulgenza, mandò un messaggero dove viveva il figlio da lui scacciato e proibì
di accoglierlo in casa». [kai; tou'to]: espressione posta tra quadre perché da espungere: viene
considerata, infatti, un errore di trascrizione ingenerato dalla conclusione del paragrafo precedente
(ei\pe
kai;
tou'to).
kai;
...
oujdevn:
ordina
kai;
boulovmeno~
ejndidovnai oujdevn malako;n, letteralmente «non volendo dare niente di mite»;
bouvlomai significa «volere in maniera decisa», mentre con qevlw s’intende piuttosto
«desiderare» (cfr. anche la scheda Focus lessicale, s.v. (ej)qevlw e bouvlomai). th'/:
avverbio di luogo («dove»), prolettico rispetto a ej~ touvtou~ della proposizione seguente. oJ
ejxelasqei;~ … pai'~: «il figlio scacciato»; torna il participio aoristo di ejxelauvnw – qui
coniugato al passivo – col quale era iniziato il paragrafo 1 e, prima ancora, si era concluso il 50, 3:
c’è una certa insistenza sul concetto dell’allontanamento da casa, funzionale a mantenere ben
presente la distanza fra i due protagonisti di questa vicenda, anche in rapporto alla triste
conclusione. divaitan ejpoieveto: attico ejpoiei'to; imperfetto medio di poievw;
questo verbo, nella diatesi media, assume un significato particolare, determinato dal sostantivo che
ne costituisce l’oggetto: qui è divaita, «genere di via», «modo di vita» (divaitan
poiei'sqai = «condurre vita», «vivere»). ajphgovreue mhv ... devkesqai: «proibiva
di accogliere», imperfetto di ajpagoreuvw, «vieto», costruito con mhv + infinito. devkomai:
forma ionica di devcomai. min = aujtovn. oijkivoisi = oijkivoi~.
51, 3 oJ de; o{kw~ ... ejdevkonto: «E quello, ogni volta che, scacciato, giungeva a
un’altra casa, anche da quella era scacciato, poiché Periandro minacciava quelli che lo accoglievano
e imponeva di chiuderlo fuori. [Licofrone], cacciato, peregrinava da una casa all’altra degli amici: e
costoro, poiché era il figlio di Periandro, sebbene avessero paura, tuttavia lo accoglievano». o{kw~
(= o{pw~) ... e[lqoi: proposizione temporale costruita con l’ottativo aoristo (da h\lqon,
11
ricondotto
al
presente
e[rcomai),
per
sottolineare
la
ripetitività
dell’azione.
ajpelaunovmeno~: participio presente passivo di ajpelauvnw; si insiste ancora sul concetto
dell’“essere cacciato”, ma qui con un diverso preverbio, ajpov, che ricorre anche poco sotto, nella
reggente (ajphlauvnet¾ a[n). oijkivhn: attico oijkivan. ajphlauvnet¾ a]n:
imperfetto di ajpelauvnw + a[n con valore iterativo. kai; ajpo; tauvth~: in questa
precisazione si coglie la drammaticità del continuo peregrinare del giovane Licofrone.
ajpeilevontov~
te
tou'
Periavndrou: genitivo assoluto con valore causale;
ajpeilevontov~ = ajpeilou'nto~, da ajpeilevw, «minaccio», costruito col dativo
(come i corrispondenti latini minor e minitor). toi'si dexamevnoisi: attico toi'~
dexamevnoi~; è un dativo del participio aoristo da devcomai, retto da ajpeilevonto~.
kai; ejxevrgein keleuvonto~: genitivo assoluto, il cui soggetto è il precedente tou'
Periavndrou; ejxevrgein, attico ejxeivrgein, significa «escludere», «chiudere fuori»,
ed è retto da keleuvonto~. ÆApelaunovmeno~: ancora un participio presente di un composto
di ejlauvnw. a]n h[ie: attico h/[ei, imperfetto di ei\mi; la presenza di a[n conferisce al
verbo un valore iterativo, ulteriormente accentuato da ejp¾ eJtevrhn (oijkivhn) tw'n
eJtaivrwn. a{te ... ejovnta pai'da: causale obiettiva espressa da a{te + participio di
eijmiv (attico o[nta). kaivper deimaivnonte~: concessiva espressa da kaivper +
participio presente. ejdevkonto: attico ejdevconto, imperfetto di devcomai.
52, 1 Tevlo~ ... ei[pa~: «Alla fine, Periandro emanò un editto secondo cui chi lo avesse
accolto in casa o gli avesse parlato avrebbe dovuto pagare una multa sacra ad Apollo, precisando di
che entità». o}~ a]n h] … uJpodevxhtaiv: a[n col congiuntivo di uJpodevcomai
aggiunge alla relativa introdotta da o}~ la sfumatura di eventualità. h] prosdialecqh'/:
coordinata disgiuntiva; prosdialecqh/' è congiuntivo aoristo di prosdialevgw. iJrh;n
zhmivhn: attico iJera;n zhmivan, s’intende ovviamente «una multa da consacrare» ad
Apollo. ojfeivlein: letteralmente significa «devo», «sono debitore». o{shn dh; ei[pa~:
letteralmente «dicendo quanta (avrebbe dovuto essere)»; ei[pa~ è participio aoristo debole
asigmatico da ei\pa (levgw).
52, 2 Pro;~ w\n dh; ... ejkalindeveto: «Dunque per questo editto nessuno voleva più
parlargli, né accoglierlo in casa: inoltre, neppure lui considerava giusto tentare una cosa vietata, ma
sopportando con ostinazione si aggirava nei portici». pro;~: regge tou'to to; khvrugma,
con valore causale («in considerazione di questo editto»). w\n: attico ou\n. ejdikaivou:
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imperfetto
di
dikaiovw.
peira'sqai:
infinito
presente
medio
di
peiravw.
ajpeirhmevnou: participio perfetto passivo sostantivato, genitivo singolare neutro, da
*ajpeivrw, non attestato al presente e inserito per comodità didattica nel paradigma di levgw.
diakarterevwn: attico diakarterw`n; participio presente di diakarterevw, «resisto»,
«sono
ostinato».
ejn
th'/si
stoih'/si:
attico
ejn
tai`~
stoai`~.
ejkalindeveto: imperfetto di kalindevomai, sottolinea la ripetitività dell’azione; attico
ejkalindei`to.
52, 3 Tetavrth/ ... paralambavneinÉ: «Al quarto giorno, Periandro, vedendolo caduto
nella sporcizia e nell’inedia, ne ebbe pietà: deposta l’ira, gli si avvicinò e gli disse: “Figlio, quale di
queste cose è preferibile, la condizione in cui ora ti trovi per tua volontà, oppure ricevere la
tirannide e i beni che ora io possiedo, essendo docile con tuo padre?». ijdwvn: participio aoristo di
oJravw. ajlousivh/siv: ajlousiva deriva da a- privativo + louvw, «lavo».
ajsitivh/si: ajsitiva deriva da a- privativo + si'to~, «cibo». sumpeptwkovta:
participio perfetto accusativo singolare maschile da sumpivptw, predicativo di ijdwvn.
oi[ktire: indicativo aoristo di oijktivrw, «ho compassione». uJpeiv~: attico uJfeiv~,
participio aoristo di uJfivhmi; regge il genitivo th'~ ojrgh'~. h[ie: attico h/[ei.
a\sson: comparativo di a[gci, «vicino». kovtera: attico povtera. tav: ha valore di
pronome relativo. eJkwvn: «volente», «di tua volontà». prhvssei~: attico pravssei~. h]:
particella disgiuntiva. ejovnta: attico o[nta; è accusativo singolare del participio di eijmiv,
concordato con ejpithvdeon (attico ejpithvdeion) e congiunto col pronome sev
sottinteso.
52, 4 ÕO~ ejw;n ... ejxergasavmhn: «Tu che, pur essendo mio figlio e principe della
prospera Corinto preferisti una vita errabonda, ribellandoti ed essendo in collera contro chi meno
avresti dovuto. Se infatti in questa vicenda è accaduta qualche sventura, dalla quale tu hai un
sospetto nei miei confronti, questa è accaduta a me e io ne sono partecipe in misura maggiore, in
quanto io stesso ho compiuto quelle cose». ajlhvthn: «errante», «vagabondo»; da ajlavomai,
«vado errando». ei{leo: indicativo aoristo tematico medio, seconda persona singolare, da
ei|lon, radice inserita nel paradigma di aiJrevw (che significa, all’attivo «prendere», al medio
«scegliere», «preferire»). ajntistatevwn: participio presente di ajntistatevw, «mi
oppongo», attico ajntistatw'n. ojrgh'/ crewvmeno~: letteralmente «lasciandoti prendere
dall’ira»; crewvmeno~, attico crwvmeno~, è il participio presente di cravomai, che significa
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«usare», «sperimentare», «essere soggetto»; nell’ultima accezione è determinato dal dativo del
sentimento. (ej~)
tovn: pronome relativo. h{kista: superlativo avverbiale di h\ka
«lievemente», «un po’». ejcrh'n: imperfetto di crhv con valore irreale. ti~ sumforh; ...
ejxergasavmhn: è stata giustamente messa in evidenza dai commentatori la reticenza di
Periandro, che evita accuratamente di precisare quali sono le circostanze di cui sta parlando, cioè
l’assassinio di Melissa: dapprima egli accenna a «una qualche disgrazia» (ti~ sumforhv), poi
aggiunge «in questa situazione» (ejn aujtoi'si) e infine parla di «quelle cose» (sfea).
Anche Erodoto aveva definito questa vicenda una sventura (sumforhv) già prima di narrarla, in
III 50, 3. ejggevgone: terza persona singolare del perfetto da ejggivgnomai. ejmoiv te
au{th gevgone: Periandro, dopo aver definito l’accaduto come “sventura”, se ne attribuisce in
toto la responsabilità (ejmoiv te au{th gevgone, tre parole che definiscono lapidariamente
la colpa; si noti il significativo uso del perfetto, che indica non solo l’azione compiuta, ma anche i
suoi tristi effetti, che perdurano nel presente) e, pur non negando il dolore del figlio, specifica che
egli stesso porta il peso più grande (ejgw; aujth'~ to; plevon mevtocov~ eijmi).
sfea: attico aujtav. ejxergasavmhn: indicativo aoristo di ejxergavzomai. Si noti in
questo periodo l’insistita ricorrenza dei pronomi personali e determinativi, dapprima usati in
successione (ejn aujtoi'si, ej~ ejmev), poi accostati in modo che al pronome personale
segua immediatamente il determinativo (ejmoiv te au{th, kai; ejgw; aujth'~); fino
alla confessione finale, in cui il pronome personale diventa anche determinativo («giacché io stesso
ho compiuto quelle cose», o{sw/ aujtov~ sfea ejxergasavmhn).
52, 5 Su; de; ... oijkiva: «Ma tu, dopo aver appreso quanto sia meglio essere invidiato
che commiserato, e al contempo quanto sia grave essere in collera contro i genitori e contro chi è
più potente, torna a casa”». maqwvn: participio aoristo da manqavnw. fqonevesqai: infinito
presente passivo da fqonevw, attico fqonei`sqai; costituisce il primo termine del paragone.
krevsson: comparativo neutro, attico krei'sson. h] oijktivresqai: secondo termine di
paragone. oJkoi'on: attico oJpoi'on, letteralmente «quale cosa (sia)». tequmw'sqai:
infinito perfetto medio-passivo da qumovomai, indica efficacemente un sentimento che ha ormai
acquisito un carattere permanente. a[piqi: imperativo presente di a[peimi (ajpov + ei\mi).
In quest’ultima parte del suo discorso, Periandro suggerisce a Licofrone di rientrare, ma accennando
al proprio ruolo di preminenza scatena la reazione sprezzante del figlio.
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52, 6 Perivandro~ ... tauvth~: «Periandro con queste parole tentava di calmarlo, ma
quello non rispose al padre nient’altro, se non che doveva pagare al dio la sacra multa, essendo
venuto a colloquio con lui. E Periandro, avendo capito che il male di suo figlio era senza rimedio e
invincibile, lo allontanò dalla sua vista, mandando una nave a Corcira: infatti era signore anche di
questa». katelavmbane: imperfetto di conato da katelambavnw. ajmeivbetai: presente
storico; il verbo è costruito col doppio accusativo. e[fh dev: letteralmente «disse però». min:
«lui», cioè Periandro. eJwutw'/: attico eJautw/`, cioè con Licofrone. ajpikovmenon: attico
ajfikovmenon, participio aoristo di ajfiknevomai. wJ~ ... ei[h: dichiarativa espressa
con l’ottativo perché dipendente da maqwvn e perché esprime un pensiero soggettivo. a[porovn:
letteralmente «privo di passaggio», «senza via d’uscita», da a- privativo + povro~. steivla~:
participio aoristo debole asigmatico di stevllw. ejpekravtee: imperfetto di ejpikratevw,
attico ejpekravtei.
52, 7 ÆAposteivla~ ... ejzwvgrhse: «Dopo averlo mandato via, Periandro fece una
spedizione contro il suocero Procle, ritenendolo il maggiore responsabile della sua presente
situazione, e occupò Epidauro, catturò lo stesso Procle e lo fece prigioniero». ejstrateuveto:
imperfetto medio di strateuvw, che significa «fare una spedizione militare», sia nella diatesi
attiva che in quella media. wJ~ ... ejovnta aijtiwvtaton: proposizione causale soggettiva
espressa da wJ~ + participio di eijmiv. tw'n pareovntwn … prhgmavtwn: attico tw'n
parovntwn … pragmavtwn. ei|le me;n ... ei|le dev: anafora che sigilla l’infelice
conclusione della prima parte di questa vicenda: Periandro “prende” sia la città di Epidauro che il
suo tiranno. aujto;n Prokleva: aujtov~ ha il valore del latino ipse, «lo stesso», «in
persona». ejzwvgrhse: aoristo indicativo di zwgrevw, da zwov~ e ajgrevw, cioè «catturare
vivo (un prigioniero)», «fare prigioniero».
53, 1 ÆEpei;
de;
...
nwqevstero~: «Quando, col passare del tempo, Periandro
invecchiava e si rendeva conto di non essere più in grado di curare e amministrare i suoi affari,
mandando [un messaggero] a Corcira richiamava Licofrone ad assumere il potere: infatti nel più
grande dei figli non vedeva [l’attitudine al potere], ma gli appariva un po’ tardo di mente». tou'
crovnou
probaivnonto~: genitivo assoluto. parhbhvkee: perfetto di parhbavw,
letteralmente «era invecchiato». suneginwvsketo eJwutw'/: il medio di suggignwvskw
unito al pronome riflessivo in dativo vale «essere consapevole di» e regge l’infinito ei\nai
dunatov~, da cui dipendono i successivi infiniti ejpora'n e dievpein. ta; prhvgmata:
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attico ta; pravgmata, sono in generale «gli affari». pevmya~: participio aoristo debole
sigmatico di pevmpw, con l’oggetto sottinteso khvruka. ajpekavlee: attico ajpekavlei,
imperfetto di ajpokalevw. ejnwvra: imperfetto di ejnoravw (in attico ejnewvra),
sottintende to; turannikovn. nwqevstero~: da nwqhv~, -ev~, comparativo assoluto.
53, 2 ïO de; Lukovfrwn ... peivqesqai: «Ma Licofrone non degnò neppure di risposta
colui che recava il messaggio. Periandro, tenendo molto al giovane, in un secondo momento mandò
presso di lui la sorella, sua figlia, ritenendo che a lei avrebbe dato sicuramente ascolto».
ajnakrivsio~: attico ajnakrivsew~, genitivo di ajnavkrisi~, propriamente «esame»,
«interrogazione». hjxivwse: aoristo di ajxiovw, regge regolarmente il genitivo. tou'
nehnivew: attico neanivou, genitivo retto dal participio periecovmeno~. deuvtera:
accusativo neutro avverbiale. dokevwn ... a]n peivqesqai: l’infinito di peivqw al medio
+ a]n esprime la possibilità ed è retto da dokevwn. Peivqw (<*feiqw) deriva dal radicale
indoeuropeo *bheidh- (cfr. latino fido); nella diatesi attiva significa «persuado», «convinco», al
medio invece vale «mi lascio persuadere» quindi «do retta», «presto ascolto», col dativo della
persona (tauvth/).
53, 3 ÆApikomevnh~ ... zhmiw'n: «Costei, giunta, disse: “Figlio, vuoi che il potere cada
nelle mani di altri e il patrimonio del padre [vada] disperso piuttosto che, partito da qui, averli tu
stesso? Torna a casa, smetti di punire te stesso». ÆApikomevnh~ ... tauvth~ kai;
legouvsh~: genitivi assoluti. bouvleai: attico bouvlh/, seconda persona singolare
dell’indicativo
presente
medio.
pesei'n:
infinito
aoristo
tematico
di
pivptw.
diaforhqevnta: participio aoristo passivo debole di diaforevw, frequentativo di
diafevrw; è concordato con oi\kon. ÒApiqi: imperativo di a[peimi. pau'sai: imperativo
aoristo medio di pauvw, regge il participio predicativo zhmiw'n.
53, 4 Filotimivh ... a[lloisi: «L’ostinazione orgogliosa è una dote funesta: non curare il
male con il male. Molti alla giustizia preferiscono ciò ch’è più conveniente. E molti già
perseguendo i diritti materni persero quelli paterni. La tirannide è un possesso precario, molti ne
sono appassionati, ma lui ormai è vecchio e ha perduto il vigore giovanile: non dare i tuoi beni ad
altri”». Filotimivh kth'ma skaiovn: frase nominale che esprime un concetto di validità
generale; skaiovn significa letteralmente «sinistro». mh; tw'/ kakw'/ to; kako;n
ijw': ijw' è imperativo presente di ijavomai; si tratta di una frase proverbiale, che occorre in
16
molti autori della letteratura greca, anche se con differenti varianti. Per il suo significato è frequente
soprattutto in tragedia. tw'n dikaivwn: genitivo plurale neutro, sostantivato; è retto da
protiqei'si, attico protiqevasi. ta;
mhtrwvia
dizhvmenoi: letteralmente
«ricercando le cose materne». Turanni;~ crh'ma sfalerovn: ancora una frase nominale.
parhbhkwv~: participio perfetto di parhbavw. mh; dw'/~: congiuntivo aoristo di divdwmi.
53, 5 ïH me;n dh; ... patevra: «Ed essa, istruita dal padre, gli diceva le parole più
allettanti, ma lui in risposta disse che non sarebbe mai andato a Corinto, finché avesse saputo che il
padre era vivo». ta;
ejpagwgovtata: «le (parole) più allettanti», letteralmente «che
conducono», «che inducono a» (da ejpavgw); è l’oggetto di e[lege. didacqei'sa:
participio aoristo passivo di didavskw. uJpokrinovmeno~: letteralmente «rispondendo».
oujdamav: avverbio di negazione, «in nessun modo». h{xein: infinito futuro di h{kw, retto da
e[fh. e[st¾ a]n punqavnhtai: la congiunzione temporale e[ste + a[n e il congiuntivo
esprime valore eventuale. perieovnta: participio predicativo retto da punqavnhtai.
53, 6 ÆApaggeilavsh~ ... turannivdo~: «Dopo che ella riferì questa risposta, per la
terza volta Periandro mandò un messaggero, con la volontà di andare egli stesso a Corcira, mentre
invitava quello ad andare a Corinto e a diventare suo successore nella tirannide».
ÆApaggeilavsh~ de; tauvth~: genitivo assoluto; ajpaggeilavsh~ è participio aoristo
debole asigmatico da ajpaggevllw. pevmpei: presente storico. ajpikovmenon: participio
congiunto. diavdocon: da diadevcomai, cioè «eredito», «prendo il posto come successore».
53, 7 Katainevsanto~
...
ejtimwreveto: «Avendo il figlio accettato a queste
condizioni, Periandro si avviava a Corcira, il figlio a Corinto. Ma i Corciresi, saputa ciascuna di
queste cose, perché Periandro non andasse nella loro terra, uccisero il giovane. Per questa ragione
Periandro voleva vendicarsi dei Corciresi». Katainevsanto~ ... tou' paido;~: genitivo
assoluto. ejstevlleto: stevllw al medio significa «avviarsi». i{na
mhv ...
ajpivkhtai: proposizione finale negativa col congiuntivo aoristo. kteivnousi: presente
storico.
to;n
nehnivskon:
attico
neanivskon.
ÆAnti;
touvtwn
me;n
Perivandro~ Kerkuraivou~ ejtimwreveto: quest’ultima frase riprende l’inizio della
novella e sancisce il termine della digressione.
17
Tw3
V 92
italiano
La tirannide disumana
Contesto e contenuto Prima dell’arrivo di Aristagora ad Atene, in cerca di un’alleanza contro Dario
(V 97), Erodoto dà spazio a una lunga digressione sulla storia ateniese dalla morte di Pisistrato (V
55-96). Nel capitolo 91, in particolare, si racconta del tentativo del re spartano Cleomene di
reinsediare ad Atene Ippia, figlio di Pisistrato; tra gli alleati degli Spartani contrari a questo progetto
prende la parola Socle di Corinto che, memore delle atrocità di cui si erano macchiati prima i
Bacchiadi e poi i Cipselidi nella sua città, in un lungo intervento illustra efficacemente la
disumanità della tirannide, definita «la cosa più ingiusta e sanguinaria che esista fra gli uomini»
(tou'
ou[te
ajdikwvterovn
ejsti
oujde;n
kat¾
ajnqrwvpou~
ou[te
miaifonwvteron, V 92, 1).
V 92 [1] Quelli parlavano così, ma la maggior parte degli alleati non accettava le proposte; mentre
tutti gli altri stavano in silenzio, così parlò Sode di Corinto: [a 1] “Certo il cielo starà sotto la terra e
la terra starà in alto sopra il cielo e gli uomini abiteranno in mare e i pesci dove prima abitavano gli
uomini, dal momento che voi, o Lacedemoni, abbattendo regimi di uguaglianza, vi apprestate a
introdurre nelle città tirannidi delle quali, fra gli uomini, non c’è nulla di più ingiusto e di più
sanguinario. [2] Se questo vi pare veramente meglio, cioè che le città siano rette da tiranni, voi per
primi, stabilito un tiranno fra voi stessi, cercate poi di imporlo fra gli altri. Ma voi ora non avete
esperienza di tiranni e guardate con la massima attenzione che questo non avvenga a Sparta, ma
agite male verso gli alleati, perché se voi stessi ne aveste fatto esperienza come noi, potreste ora
offrirci pareri migliori sull’argomento di quanto non facciate adesso. [b 1] La costituzione dei
Corinzi era questa: c’era un’oligarchia, e costoro, chiamati Bacchiadi, amministravano la città e si
sposavano fra loro. Ad Anfione, che era uno di questi uomini, nacque una figlia zoppa di nome
Labda. Poiché nessuno dei Bacchiadi voleva sposarla, la sposava Eezione, figlio di Echecrate, che
era un popolano di Petra, ma di origine lapita e discendente di Ceneo. [2] A costui, né da questa
donna, né da altra nacquero figli, e perciò partì per Delfi per interrogare l’oracolo sulla prole. E a lui
che entrava, la Pizia si rivolge subito con queste precise parole:
Eezione, nessuno onora te, o degno di molto onore; un leone
Labda ha nel ventre ma lo partorirà come un macigno precipite.
18
Poi si abbatterà sugli uomini che regnano da soli e punirà Corinto.
[3] Questo vaticinio dato a Eezione viene per caso riferito ai Bacchiadi, ai quali era rimasto oscuro
un precedente responso oracolare su Corinto, che portava alla stessa conclusione di quello di
Eezione e diceva così:
Un’aquila è incinta fra le rocce, ma partorirà un leone
forte e feroce. Poi fiaccherà le ginocchia di molti.
Ora riflettete bene su questo, o Corinzi che attorno alla bella
Pirene abitate e alla scoscesa Corinto.
[g 1] Questo responso, dato precedentemente ai Bacchiadi, restava privo di spiegazione; ma, come
conobbero quello dato a Eezione, subito compresero anche il precedente, in quanto concordava con
quello di Eezione e, capito anche questo, stavano tranquilli, volendo far morire il figlio che sarebbe
nato a Eezione. Appena la donna partorì, mandano dieci di loro al demo in cui Eezione abitava per
uccidere il bambino, [2] Giunti a Petra ed entrati nell’atrio della casa di Eezione, chiedevano il
bambino, e Labda, che non sapeva affatto per qual ragione quelli giungessero e credendo che lo
chiedessero per benevolenza verso suo padre, lo consegnava nelle mani di uno di essi. Ma fra loro
era stato deciso lungo la strada che il primo che avrebbe preso il bambino lo gettasse per terra, [3] E
appena Labda lo portò e lo consegnò, il bambino, per divina sorte, sorrise all’uomo che lo aveva
preso, e un sentimento di pietà impedisce a quello, che se ne accorge, di ucciderlo, ma, impietosito,
lo passa al secondo, e questo al terzo; e così tutti e dieci se lo passarono di mano, senza che nessuno
volesse ucciderlo. [4] Perciò, restituendo indietro il bambino alla madre e usciti fuori, stando sulla
porta, si accusavano l’un l’altro, e soprattutto accusavano chi l’aveva preso per primo perché non si
era comportato secondo l’intesa, finché, passato del tempo, sembrò loro opportuno rientrare di
nuovo e partecipare tutti all’uccisione. [d 1] Ma era destino che dal figlio di Eezione fiorissero
sciagure per Corinto. Perché Labda, stando presso la porta, udiva tutto e, temendo che cambiassero
idea e preso una seconda volta il bambino lo uccidessero, lo prende e lo nasconde nel luogo che le
pareva più impensabile e cioè in un’arnia, ben sapendo che se, tornando indietro, fossero giunti per
cercarlo, avrebbero frugato dappertutto, come di fatto avvenne. [2] Dal momento che a essi che
erano venuti e lo stavano cercando, il bambino non appariva, ritenevano bene andarsene e dire a
coloro che li avevano inviati di aver compiuto tutto quello per cui li avevano mandati. [e 1] E
costoro dunque, tornati indietro, raccontavano queste cose. Dopo tali episodi, il figlio di Eezione
cresceva e, dato che era sfuggito al pericolo grazie a una “cipsela”, gli fu posto il nome di Cipselo.
19
Quando Cipselo divenne adulto e interrogò l’oracolo, gli venne dato a Delfi un responso favorevole,
confidando nel quale assalì e prese Corinto. [2] E l’oracolo era questo:
Beato quell’uomo che scende nella mia casa,
Cipselo figlio di Eezione, re della illustre Corinto,
lui e i suoi figli, ma non i figli dei figli.
Questo era il responso, ma Cipselo, divenuto tiranno, diveniva un uomo di questo genere, cioè
perseguitò molti Corinzi, molti privò delle ricchezze e molti più della vita. [z 1] E dopo ch’egli
ebbe regnato per trent’anni e compì la vita felicemente, il figli Periandro diviene successore nella
tirannide. E appunto Periandro, dapprima era più mite del padre, ma poi, come per mezzo di inviati
entrò in rapporto col tiranno di Mileto, Trasibulo, divenne molto più sanguinano di Cipselo. [2]
Mandato un messaggero a Trasibulo, chiedeva come potesse, nel modo migliore, governare la città,
dopo aver introdotto la più sicura delle costituzioni. Trasibulo allora condusse l’inviato di Peniandro
fuori dalla città e, entrato in un campo coltivato, mentre passeggiava insieme a lui, chiedendo e
tornando a chiedere all’araldo perché era stato inviato da Corinto, contemporaneamente, ogni volta
che vedeva una spiga che emergeva, la recideva e, recisala, la gettava via, finché così ebbe distrutto
la parte più bella e più alta della messe. [3] Attraversato il campo, senz’aggiungere parola, licenzia
l’araldo. Tornato l’araldo a Corinto, Periandro era ansioso di conoscere il consiglio. Quello disse
che Trasibulo non aveva consigliato nulla e che si stupiva fra sé da qual mai uomo lo avesse inviato,
un uomo così stolto e dissipatore delle sue sostanze, raccontando, naturalmente, ciò che aveva visto
fare da Trasibulo. [h 1] Ma Periandro, capito il fatto, e comprendendo con la sua intelligenza che
Trasibulo gli consigliava di uccidere coloro che fra i cittadini emergevano, subito manifestò ogni
sorta di malvagità contro i cittadini. E quanto Cipselo aveva tralasciato di uccidere e scacciare,
Periandro portò a termine; e in un solo giorno fece spogliare per sua moglie Melissa1 tutte le donne
dei Corinzi. [2] Avendo infatti inviato presso i Tesprozi, sul fiume Acheronte, degli ambasciatori
per consultare l’oracolo dei morti intorno a un deposito lasciato da un ospite, Melissa apparve e
disse che non lo avrebbe manifestato e non avrebbe detto in quale luogo giacesse il deposito, perché
aveva freddo ed era nuda. E che dai vestiti, che erano stati sepolti con lei, non traeva nessun
giovamento perché non erano stati cremati; e la prova della verità di ciò che diceva era che
Periandro aveva posto i pani nel forno freddo. [3] Come questo fu riferito a Periandro (e per lui la
prova era fededegna perché si era unito a Melissa quand’era già morta), subito dopo il messaggio
diede l’ordine che tutte le donne dei Corinzi andassero al tempio di Era. E poiché esse andarono
come a una festa, portando l’abbigliamento più bello, costui, avendo messo delle guardie, le fece
20
spogliare tutte allo stesso modo, sia le libere che le ancelle e, avendo accumulato le vesti sulla
tomba, rivolgendo preghiere a Melissa, le bruciava. [4] E allora l’ombra di Melissa indicò a lui, che
aveva fatto questo e per la seconda volta aveva mandato a consultare l’oracolo, in qual luogo aveva
posto il deposito dell’ospite. Di questo genere è per voi dunque la tirannide, o Lacedemoni, e
capace di tali azioni. [5] Meravigliò molto noi Corinzi quando vi vedemmo mandare a chiamare
Ippia, ma ora ci meravigliamo ancora di più che ci diciate questo e, chiamando a testimoni gli dèi
dei Greci, giuriamo di non imporre tirannidi nelle città. Non desisterete dunque, ma tenterete di
riportare Ippia contro ciò che è giusto? Sappiate almeno che i Corinzi non sono d’accordo con voi”.
(trad. di G. Nenci)
1
Su Melissa si veda Tw2 e le Pagine critiche di N. Loraux (tra le risorse on-line).
Tw4
VIII 83, 2-97, 1 (con tagli)
greco con note
Salamina
Contesto e contenuto Dopo le Termopili, i Persiani misero a ferro e fuoco la Grecia centrale,
avanzando inesorabilmente; Atene fu devastata e incendiata (VIII 50-53). Alla fine dell’estate del
480, Temistocle attirò la flotta persiana nel canale di Salamina con l’inganno: mandò a Serse un
messo, fingendo di appoggiare la causa persiana e consigliandogli di accerchiare Salamina, poiché i
Greci stavano meditando la fuga; il re seguì il suggerimento: le navi persiane furono intrappolate
nello spazio angusto dello stretto, subirono l’attacco dei Greci e vennero affondate. La portata di
questa vittoria fu così grande da indurre Serse alla fuga; ancora una volta la libertà della Grecia fu
salva grazie alla geniale strategia di Temistocle, l’uomo politico che aveva dapprima sostenuto
fortemente e poi contribuito a creare la potenza marittima ateniese: aveva infatti compreso che
nessuna vittoria sarebbe stata definitiva se conquistata sul campo, poiché l’imponente flotta
persiana costituiva per i nemici un punto di forza fondamentale, come appoggio alle operazioni
militari via terra e come mezzo di rifornimento per le truppe. Cornelio Nepote scrisse: sic unius viri
prudentia Graecia liberata est Europaeque succubuit Asia, «grazie all’astuzia di un solo uomo, la
Grecia fu liberata e l’Asia fu piegata dall’Europa» (Temistocle 5, 3); sostanzialmente, gli storici
moderni concordano nel riconoscere a Temistocle il merito di aver propiziato il successo.
21
Motivi Il racconto erodoteo, piuttosto lungo (si snoda lungo una decina di capitoli: 83-93), più che
chiarire la dinamica complessiva dello scontro offre una descrizione di azioni singole, di eroismo o
di viltà; a questo proposito, vi è chi ha parlato di narrazione “epica” più che storiografica, dal
momento che lo sguardo dello storico si sofferma su una serie di gesta di campioni, secondo
un’ottica che in qualche modo elude le aspettative dei lettori moderni. Non a caso, già nell’antichità
Erodoto era stato definito “omericissimo” dallo Pseudo-Longino (Del Sublime 13, 3).
VIII 83 [2] parainevsa~
de;
touvtwn
ta;
krevssw
aiJrevesqai
kai;
kataplevxa~ th;n rJh'sin, ejsbaivnein ejkevleuse ej~ ta;~ neva~.
Kai;
ou|toiv
trihvrh~,
te
h}
dh;
kata;
ejsevbainon,
tou;~
kai;
h|ke
Aijakivda~
hJ
ajp¾
ajpedhvmhse.
Aijgivnh~
ÆEnqau'ta
ajnh'gon ta;~ neva~ aJpavsa~ ‹oiJÌ ÓEllhne~, ajnagomevnoisi dev
sfi aujtivka ejpekevato oiJ bavrbaroi. 84 [1] OiJ me;n dh; a[lloi
ÓEllhne~ [ejpi;] pruvmnhn ajnekrouvonto kai; w[kellon ta;~ neva~,
ÆAmeinivh~
de;
ejmbavllei:
sunevmisgon.
Aijakivda~
a[rxasan.
ajnh;r
sumplekeivsh~
ajpallagh'nai,
genevsqai
Pallhneu;~
ou{tw
[2]
th;n
de;
dh;
ÆAqhnai'oi
ajrchvn,
de;
th'~
neo;~
oiJ
a[lloi
me;n
ou{tw
Aijginh'tai
ajpodhmhvsasan
Levgetai
ÆAqhnai'o~
ej~
kai;
kai;
ouj
ÆAmeinivh/
levgousi
de;
Ai[ginan,
tavde,
ejxanacqei;~
wJ~
dunamevnwn
bohqevonte~
th'~
th;n
favsma
naumacivh~
kata;
tauvthn
nhi;
ei\nai
sfi
tou;~
th;n
gunaiko;~
ejfavnh, fanei'san de; diakeleuvsasqai w{ste kai; a{pan ajkou'sai
to; tw'n ïEllhvnwn stratovpedon, ojneidivsasan provteron tavde: ÇW
daimovnioi, mevcri kovsou e[ti pruvmnhn ajnakrouvesqeÉ 85 [1] Kata;
me;n dh; ÆAqhnaivou~ ejtetavcato Foivnike~ (ou|toi ga;r ei\con to;
pro;~
ÆEleusi'nov~
te
kai;
eJspevrh~
kevra~),
kata;
de;
Lakedaimonivou~ ÒIwne~: ou|toi d¾ ei\con to; pro;~ th;n hjw' te
kai;
to;n
Peiraieva.
ÆEqelokavkeon
mevntoi
aujtw'n
kata;
ta;~
Qemistoklevo~ ejntola;~ ojlivgoi, oiJ de; pleu`ne~ ou[. […] 86 […]
To; de; plh'qo~ tw'n new'n ejn th'/ Salami'ni ejkerai?zeto, aiJ
me;n uJp¾ ÆAqhnaivwn diafqeirovmenai, aiJ de; uJp¾ Aijginhtevwn:
a{te ga;r tw'n me;n ïEllhvnwn su;n kovsmw/ naumaceovntwn ‹kai;Ì
kata; tavxin, tw'n de; barbavrwn ou[te tetagmevnwn e[ti ou[te su;n
novw/
poieovntwn
oujdevn,
e[melle
toiou'tov
sfi
sunoivsesqai
22
oi|ovn per ajpevbh. Kaivtoi h\savn ge kai; ejgevnonto tauvthn th;n
hJmevrhn makrw'/ ajmeivnone~ aujtoi; eJwutw'n h] pro;~ Eujboivh/,
pa'~
ti~
proqumeovmeno~
kai;
deimaivnwn
Xevrxhn,
ejdovkeev
te
e{kasto~ eJwuto;n qehvsesqai basileva. […] 89 [1] […] ÆEn de; tw'/
povnw/ touvtw/ ajpo; me;n e[qane oJ strathgo;~ ÆAriabivgnh~ oJ
Dareivou, Xevrxew ejw;n ajdelfeov~, ajpo; de; a[lloi polloiv te
kai; ojnomastoi; Persevwn kai; Mhvdwn kai; tw'n a[llwn summavcwn,
ojlivgoi dev tine~ kai; ïEllhvnwn: a{te ga;r nevein ejpistavmenoi,
toi'si
aiJ
neve~
diefqeivronto,
oiJ
mh;
ejn
ceirw'n
novmw/
ajpolluvmenoi ej~ th;n Salami'na dievneon: [2] tw'n de; barbavrwn
oiJ
polloi;
ejn
ejpistavmenoi.
ejnqau'ta
th'/
ÆEpei;
aiJ
qalavssh/
de;
aiJ
plei'stai
diefqavrhsan,
prw'tai
ej~
nevein
fugh;n
diefqeivronto:
oiJ
oujk
ejtravponto,
ga;r
o[pisqe
tetagmevnoi, ej~ to; provsqe th'/si nhusi; parievnai peirwvmenoi
wJ~
ajpodexovmenoiv
ti
kai;
aujtoi;
e[rgon
basilevi>,
th'/si
sfetevrh/si nhusi; feugouvsh/si perievpipton. […] 91 […] Tw'n de;
barbavrwn
ej~
Favlhron
Aijginh'tai
ajpedevxanto
fugh;n
lovgou
trapomevnwn
kai;
uJpostavnte~
a[xia.
OiJ
ejkpleovntwn
ejn
me;n
tw'/
ga;r
pro;~
porqmw'/
ÆAqhnai'oi
to;
e[rga
ejn
tw'/
qoruvbw/ ejkeravi>zon tav~ te ajntistamevna~ kai; ta;~ feugouvsa~
tw'n new'n, oiJ de; Aijginh'tai ta;~ ejkpleouvsa~: o{kw~ dev tine~
tou;~ ÆAqhnaivou~ diafuvgoien, ferovmenoi ejsevpipton ej~ tou;~
[…]
Aijginhvta~.
95
ÆAristeivdh~
de;
oJ
Lusimavcou,
ajnh;r
ÆAqhnai'o~, tou' kai; ojlivgw/ ti provteron touvtwn ejpemnhvsqhn
wJ~
ajndro;~
ajrivstou,
peri;
Salami'na
tw'n
oJplitevwn
Salaminivh~
ou|to~
ginomevnw/
oi}
cwvrh~,
ejn
tavde
tw'/
ejpoivee:
paretetavcato
gevno~
qoruvbw/
paralabw;n
para;
ejovnte~
touvtw/
th;n
pollou;~
ajkth;n
ÆAqhnai'oi,
tw'/
th'~
ej~
th;n
Yuttavleian [nh'son] ajpevbhse a[gwn, oi} tou;~ Pevrsa~ tou;~ ejn
th'/
nhsi'di
naumacivh
ÓEllhne~
e{toimoi
tauvth/
dielevluto,
tw'n
h\san
katefovneusan
kateiruvsante~
nauhgivwn
ej~
pavnta~.
o{sa
a[llhn
tauvth/
ej~
96 [1] ïW~
th;n
ejtuvgcane
naumacivhn,
de;
Salami'na
e[ti
ejlpivzonte~
hJ
oiJ
ejovnta,
th'/si
perieouvsh/si nhusi; e[ti crhvsesqai basileva. […] 97 [1] Xevrxh~ de;
23
wJ~
e[maqe
to;
gegono;~
pavqo~,
deivsa~
mhv
ti~
tw'n
ÆIwvnwn
uJpoqh'tai toi'si ÓEllhsi h] aujtoi; nohvswsi plevein ej~ to;n
ïEllhvsponton luvsonte~ ta;~ gefuvra~ kai; ajpolamfqei;~ ejn th'/
Eujrwvph/ kinduneuvsh/ ajpolevsqai, drhsmo;n ejbouvleue. […]
VIII 83, 2 parainevsa~ ... bavrbaroi: «[Temistocle] avendoli esortati a scegliere le
migliori [disposizioni], concluse il discorso e diede l’ordine d’imbarcarsi; mentre salivano sulle
navi, giunse la trireme partita da Egina per andare a prendere gli Eacidi: allora i Greci fecero salpare
tutte le navi e in quel momento improvvisamente i barbari li attaccarono». parainevsa~:
participio aoristo debole sigmatico di parainevw, «esorto», il cui soggetto sottinteso è
Temistocle, che all’alba aveva tenuto l’ultimo discorso prima della battaglia (VIII 83, 1). touvtwn
ta; krevssw: attico ta; kreivttona, comparativo di ajgaqov~; costituisce l’oggetto di
aiJrevesqai. «Le migliori» di «queste» (disposizioni) si ricollega alla contrapposizione fra ciò
è positivo e ciò che è negativo nella natura umana su cui Temistocle si era soffermato nel suo
discorso riportato nel paragrafo precedente. aiJrevesqai: attico aiJrei'sqai; infinito di
aiJrevw retto da parainevsa~; nella diatesi media il verbo significa «scegliere». neva~:
attico nau'~. ejsevbainon: l’ordine impartito da Temistocle (ejsbaivnein ejkevleuse
ej~ ta;~ neva~) viene eseguito. h} kata; tou;~ Aijakivda~ ajpedhvmhse:
mentre s’imbarcavano, si verificò un evento degno di nota, l’arrivo da Egina della trireme «che era
partita per (prendere) gli Eacidi»: qualche giorno prima della battaglia, quando ormai si era deciso
di combattere a Salamina, ci fu una scossa tellurica, in seguito alla quale furono invocati come
protettori Peleo e Telamone e vennero mandate a prendere le statue degli altri discendenti di Eaco
(VIII 64). Nell’ottica erodotea, non si trattò evidentemente di una coincidenza, ma di un chiaro
segno della predilezione divina: dèi, eroi e uomini appaiono dunque significativamente coalizzati
prima dello scontro decisivo. ÆEnqau'ta: = ejntau'qa. ajnagomevnoisi dev sfi:
dativo plurale retto da ejpekevato. ejpekevato: attico ejpevkeinto, imperfetto di
ejpivkeimai.
84, 1 OiJ me;n dh; ... sunevmisgon: «Mentre gli altri Greci facevano indietreggiare le
navi e tentavano di tirarle a terra, l’ateniese Aminia di Pallene uscì dallo schieramento e si slanciò
su una nave; ma la sua nave s’incastrò e non riusciva ad allontanarsi, perciò gli altri andarono in
soccorso e lo scontro ebbe inizio». pruvmnhn ajnekrouvonto: «tiravano indietro la poppa»,
cioè «facevano indietreggiare le navi». w[kellon: imperfetto di conato da ojkevllw. Il piano di
24
Temistocle, come si può ricavare dal testo plutarcheo (Temistocle, 14), prevedeva l’arretramento in
linea delle navi non solo per rendere più agevole l’attacco, ma anche per attirare i Persiani con le
loro grandi imbarcazioni in uno spazio più angusto. Pallhneuv~: «di Pallene», demo ateniese
situato alle pendici dell’Imetto. Questo episodio relativo ad Aminia è raccontato anche da Eschilo,
Persiani 409 ss. (in forma anonima, senza il nome del personaggio) e da Plutarco, Temistocle 14, 4.
ejxanacqeiv~: participio aoristo passivo di ejxanavgw, letteralmente «fare vela fuori da»:
l’azione di Aminia è precisamente quella di spingersi al di fuori dello schieramento delle navi. Gli
interpreti ritengono che questo gesto abbia rischiato di compromettere la riuscita della tattica di
Temistocle. nhi; ejmbavllei: ejmbavllw nel significato intransitivo significa «slanciarsi
su», «assalire»; qui regge il dativo nhiv. L’uso del presente storico conferisce vivacità alla
narrazione. sumplekeivsh~ de; th'~ neo;~ (= newv~): genitivo assoluto con valore
causale; sumplekeivsh~ è participio aoristo passivo di sumplevkw, qui usato nel senso di
«incastrarsi». ouj dunamevnwn ajpallagh'nai: genitivo assoluto con il soggetto sottinteso
(«i marinai di Aminia»); ajpallagh'nai è infinito aoristo passivo di ajpallavssw
(«allontano»). bohqevonte~: attico bohqou'nte~, participio presente congiunto al soggetto;
regge
il
dativo
ÆAmeinivh/.
sunevmisgon:
imperfetto
di
summivsgw,
attico
summ(e)ivgnumi, qui usato in senso ostile con valore intransitivo «scontrarsi».
84, 2 ÆAqhnai'oi ... ajnakrouvesqeÉ: «Questo fu l’inizio della battaglia, a quanto
sostengono gli Ateniesi; gli Egineti, invece, dicono che fu la nave che era andata ad Egina per gli
Eacidi a cominciare. Si narra anche questo: apparve una figura di donna che, una volta comparsa, li
esortò in modo tale che tutta la flotta la udì, ma prima li rimproverò con queste parole: “Sciagurati,
fino a quando continuerete a indietreggiare?”». ÆAqhnai'oi me;n ... Aijginh'tai dev:
Erodoto rende conto delle versioni di due fonti diverse, una ateniese e l’altra eginetica.
genevsqai: infinito aoristo retto da levgousi, come più avanti ei\nai. L’infinitiva prevede
ovviamente i soggetti e le parti nominali in accusativo (th;n ajrchvn, tauvthn ... th;n
a[rxasan). th;n kata; tou;~ Aijakivda~ ajpodhmhvsasan: da sottintendere
nau`n («la nave partita per prendere gli Eacidi»). tauvthn: riprende il precedente thvn. th;n
a[rxasan: «quella che cominciò (lo scontro)», participio aoristo di a[rcw. levgetai: verbo al
singolare con soggetto neutro plurale (tavde), come spesso in greco. Il dimostrativo tavde
anticipa le successive dichiarative epesegetiche, di cui la prima esplicita, introdotta da wJ~, e la
seconda implicita, in variatio, costituita dall’infinito diakeleuvsasqai. favsma ...
gunaiko;~: qui Erodoto, come fa anche per altre battaglie, riferisce il racconto di eventi
25
prodigiosi senza tuttavia intervenire per offrirne un’interpretazione. Qualcuno ha voluto vedere in
questa donna la dea Atena. sfi ... ejfavnh: aoristo passivo forte di faivnw, con valore
intransitivo («apparve loro»). fanei'san dev: la donna: il participio aoristo passivo di
faivnw, come più avanti ojneidivsasan, è concordato a senso con il femminile gunaiko;~
anziché col neutro favsma. Si noti l’insistenza su termini appartenenti al medesimo campo
semantico (favsma, ejfavnh, fanei'san): la radice fan-, fa- indica «apparire»,
«manifestarsi», «mostrare», ed è ancora viva in parole italiane quali per esempio epifania, fantasma,
fantasia. w{ste kai; ... stratovpedon: consecutiva subiettiva, costruita con l’infinito
aoristo ajkou'sai e col soggetto in accusativo (a{pan ... to; tw'n ïEllhvnwn
stratovpedon). ojneidivsasan
provteron
tavde: participio aoristo con valore
temporale, riferito alla donna. ÇW daimovnioi: daimovnio~, da daivmwn, propriamente
significa «divino», «soprannaturale», «meraviglioso», ma anche, in senso negativo, «infelice»,
«disgraziato», in quanto colpito dalla divinità. mevcri kovsou: attico mevcri povsou.
pruvmnhn ajnakrouvesqe: ritorna la stessa espressione del paragrafo precedente (84, 1
pruvmnhn ajnekrouvonto).
85, 1 Kata; me;n dh; ... pleu'ne~ ou[: «Di fronte agli Ateniesi erano schierati i
Fenici (costoro infatti occupavano l’ala orientata verso Eleusi e occidente), di fronte agli Spartani
gli Ioni: e questi ultimi occupavano l’ala verso oriente e il Pireo. Pochi di costoro si comportarono
da vili, secondo le raccomandazioni di Temistocle, ma la maggior parte no». ejtetavcato:
piuccheperfetto passivo di tavssw, in attico perifrastico (tetagmevnoi h\san). ei\con: in
senso militare, «occupavano», «tenevano». ÆEqelokavkeon: attico ejqelokavkoun,
imperfetto di ejqelokakevw.
85, 2-3: due Ioni catturano navi greche e sono adeguatamente ricompensati dai Persiani.
86 To; de; plh'qo~ ... basileva: «A Salamina, la maggior parte delle navi furono
affondate: distrutte in parte dagli Ateniesi, in parte dagli Egineti; infatti, dal momento che i Greci
combattevano in ordine rispettando lo schieramento, mentre i barbari non lo rispettavano e agivano
in maniera assolutamente insensata, doveva accadere loro quello che puntualmente accadde.
Eppure, in quel giorno, furono davvero molto più valorosi di quanto erano stati davanti all’Eubea:
ciascuno, ardimentoso e col timore di Serse, credeva che il re avrebbe guardato proprio lui». tw'n
new'n: si tratta ovviamente delle navi persiane. ejkerai?zeto: «venivano affondate»; il
26
singolare è dovuto alla concordanza grammaticale con plh'qo~. aiJ
me;n ...
diafqeirovmenai: participio attributivo, femminile perché riferito a tw'n new'n. a{te:
conferisce in questo caso valore oggettivo alla causale implicita espressa dai genitivi assoluti tw'n
me;n
ïEllhvnwn
...
naumaceovntwn
e
tw'n
de;
barbavrwn
ou[te
tetagmevnwn ou[te ... poieovntwn. Queste che Erodoto presenta non sono motivazioni
ipotizzate o soggettive, ma cause reali, dati di fatto. kata; tavxin: «secondo lo schieramento»;
ciascuna nave greca durante la battaglia si muove in maniera disciplinata, rispettando il movimento
complessivo della flotta (kata; tavxin) e non ostacolando quello delle singole navi alleate
(su;n kovsmw/). ou[te tetagmevnwn e[ti ou[te su;n novw/ poieovntwn
oujdevn: all’ordine e allo schieramento delle navi greche si contrappone il disordine e la
mancanza di discernimento delle navi persiane. Si noti il chiasmo: su;n kovsmw/ – kata;
tavxin – ou[te
tetagmevnwn
e[ti – su;n
novw/
poieovntwn
oujdevn.
e[melle … ajpevbh: lunga perifrasi che allude eufemisticamente alla sconfitta: letteralmente
«doveva accadere loro quello che appunto accadde». e[melle regge l’infinito futuro di
sumfevrw; toiou'to è in correlazione con oi|on, ajpevbh è l’indicativo aoristo atematico
di ajpobaivnw. h] pro;~ Eujboivh/: presso l’Eubea era avvenuta la battaglia navale
dell’Artemisio, contemporaneamente alle Termopili (VIII 15). pa'~
proqumeovmeno~:
attico
proqumouvmeno~;
participio
congiunto
ti~: «ognuno».
al
soggetto,
da
proqumevomai («essere pieno di ardore»), appartenente alla stessa radice di qumov~.
eJwuto;n qehvsesqai basileva: infinitiva retta da e{kasto~ ejdovkee (attico
ejdovkei); eJwutovn (= eJautovn) è l’oggetto, qehvsesqai (= qeavsesqai) è
l’infinito futuro di qeavomai, basileva è il soggetto (il «re» per antonomasia, cioè il Gran re
persiano).
87-88: Erodoto racconta lo stratagemma di Artemisia, regina della città caria di Alicarnasso, alleata
dei Persiani: affondando un’altra nave di alleati persiani, fece credere di essere passata dalla parte
dei Greci e così si salvò.
89, 1-2 ÆEn de; tw'/ povnw/ ... perievpipton: «[1] In questa battaglia morirono lo
stratego Ariabigne, figlio di Dario e fratello di Serse, e molti altri illustri Persiani, Medi e alleati, ma
pochi Greci: infatti, siccome sapevano nuotare, se venivano distrutte le loro navi e non morivano
nella mischia, nuotavano fino a Salamina. [2] La maggior parte dei barbari perse la vita in mare,
non sapendo nuotare; quando le navi più avanzate furono volte in fuga, la più parte fu distrutta:
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infatti, quelli che erano schierati dietro, tentando di avanzare con le navi per mettersi anch’essi in
mostra con qualche impresa davanti al re, finivano per scontrarsi con le proprie navi in fuga». ÆEn
de; tw'/ povnw/ touvtw/: povno~, in contesto militare, vale «battaglia». ajpo; me;n
e[qane: tmesi per ajpevqane, come poco dopo ajpo; = ajpevqanon. ejw;n
ajdelfeov~ = w]n ajdelfov~. a{te ga;r nevein ejpistavmenoi: la causa (reale,
con a{te e il participio) della loro salvezza sta nella capacità di nuotare, grazie alla quale riescono
a mettersi in salvo giungendo a Salamina. ejpivstamai significa «sono in grado», «sono
capace», «so». ejn
ceirw'n novmw/: locuzione idiomatica, significa «nella mischia»;
letteralmente «nell’uso delle mani». oiJ polloiv: «la maggior parte». diefqavrhsan:
indicativo aoristo passivo forte da diafqeivrw; la rovina dei Persiani, specularmente, consiste
nell’incapacità di mettersi in salvo a nuoto (nevein oujk ejpistavmenoi). In questo
capitolo ricorrono martellanti, quasi come in un drammatico ritornello, le forme verbali indicanti
morte, rovina, distruzione, sempre rafforzate da preverbi intensivi (ajpo-qnhv/skw, ajpovllumi, dia-fqeivrw). qnhv/skw proviene dalla radice di qavnato~ e vale
propriamente «morire»; o[llumi significa «distruggere», «annientare»; fqeivrw vale
«danneggiare», «corrompere» (al passivo «morire»). ÆEpeiv: introduce la temporale. aiJ
prw'tai: sottinteso neve~, che si ricava dal periodo precedente. «Le prime» indica la posizione
rispetto alle altre navi dello schieramento: si può dunque tradurre con «le più avanzate».
ejtravponto: indicativo aoristo tematico medio di trevpw; potrebbe anche trattarsi di un
imperfetto, da travpw forma ionica di trevpw. ejnqau'ta: = ejntau'qa, con metatesi*
dell’aspirazione. oiJ ... o[pisqe
tetagmevnoi: participio perfetto medio-passivo
sostantivato («quelli che erano schierati dietro»). ej~ to; provsqe: «in avanti». parievnai:
infinito
presente
di
pavreimi,
«farsi
avanti»,
retto
da
peirwvmenoi.
wJ~
ajpodexovmenoiv ti kai; aujtoi; e[rgon basilevi>: finale implicita costruita
con wJ~ + participio futuro di ajpodeivknumi (attico ajpodeixovmenoi); basilevi>: la
dieresi indica che epsilon e iota non costituiscono dittongo. perievpipton: imperfetto di
peripivptw,
«scontrarsi»;
regge
il
dativo
th'/si
sfetevrh/si
nhusi;
feugouvsh/si.
90: i Fenici tentano di calunniare gli Ioni.
91 Tw'n de; barbavrwn ... Aijginhvta~: «Mentre i barbari erano volti in fuga e
navigavano verso il Falero, gli Egineti, stando in agguato nello stretto, compirono imprese degne di
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menzione; gli Ateniesi, nella mischia, fecero affondare le navi che si opponevano e quelle che
tentavano la fuga, e gli Egineti quelle che cercavano scampo: pertanto, ogni volta che qualcuno
sfuggiva agli Ateniesi, nello slancio incappava negli Egineti». Tw'n de; barbavrwn ...
trapomevnwn
kai;
ejkpleovntwn:
genitivo
assoluto
con
valore
temporale;
trapomevnwn è participio aoristo tematico medio di trevpw (o anche presente, da travpw,
forma ionica di trevpw). ejkpleovntwn: propriamente «navigare fuori» dallo stretto, in
direzione del porto di Atene, il Falero (pro;~ to; Favlhron); questo stesso verbo occorre
anche alla fine del capitolo, quando gli Egineti fanno colare a picco le navi che cercano di uscire
dallo stretto (oiJ de; Aijginh'tai ta;~ ejkpleouvsa~). uJpostavnte~: participio
aoristo atematico di uJfivsthmi, qui col significato intransitivo di «stare in agguato»,
«appostarsi». e[rga ... lovgou a[xia: oggetto di ajpedevxanto; lovgou è retto da
a[xia. ajpedevxanto: indicativo aoristo debole sigmatico medio di ajpodeivknumi,
«rivelare», «dimostrare», quindi «compiere». ajntistamevna~ ... feugouvsa~: participi
presenti: il primo medio di ajntivsthmi (attico ajnqivsthmi); il secondo attivo di feuvgw,
con valore conativo come il successivo ta;~
ejkpleouvsa~. o{kw~ (= o{pw~) ...
diafuvgoien: temporale iterativa costruita con o{kw~ e l’ottativo aoristo di diafeuvgw.
ferovmenoi ... ej~ tou;~ Aijginhvta~: il participio presente passivo di fevrw qui
rafforza il verbo di moto ejsevpipton: «nella corsa (slanciandosi) incappavano negli Egineti».
Erodoto prosegue nel racconto della disfatta delle navi persiane, che subiscono la distruzione oltre
che per la geniale strategia di Temistocle, anche per la sincronia e l’efficace collaborazione fra
Ateniesi ed Egineti.
92-94: vengono narrati diversi episodi di eroismo e di viltà.
95 ÆAristeivdh~ ... pavnta~: «Aristide, figlio di Lisimaco, da me menzionato poco
prima come “uomo migliore”, nella mischia intorno a Salamina fece quanto segue: prese con sé
molti degli opliti schierati lungo la costa di Salamina (che erano di stirpe ateniese), sbarcò alla loro
testa nell’isoletta di Psittalea ed essi massacrarono tutti i Persiani che vi si trovavano». tou': =
ou|. ojlivgw/: dativo avverbiale col comparativo (provteron). ti è accusativo avverbiale;
accompagna spesso aggettivi e avverbi (qui ojlivgw/), con il significato di «un po’», «alquanto».
ejpemnhvsqhn: aoristo passivo di ejpimimnh/vskomai. Erodoto aveva infatti definito
precedentemente Aristide «l’uomo migliore di Atene e il più giusto», a[riston a[ndra
genevsqai ejn ÆAqhvnh/si kai; dikaiovtaton (VIII 79). ou|to~: il dimostrativo
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(che si può anche omettere di tradurre) riprende il soggetto dopo l’inciso. paretetavcato:
piuccheperfetto passivo di paratavssw, perifrastico in attico («erano stati schierati»). gevno~:
accusativo di relazione. ajpevbhse: aoristo debole sigmatico di ajpobaivnw, con valore
transitivo («fece sbarcare»); si noti la differenza con l’aoristo atematico, intransitivo: ajpevbh =
«sbarcò». a[gwn: letteralmente «conducendoli», cioè «stando loro a capo». oi}: nesso relativo,
riferito agli Ateniesi guidati da Aristide. tou;~ Pevrsa~ tou;~ ejn th'/ nhsi'di
tauvth/: i Persiani vi avevano precedentemente lasciato un presidio: VIII 76, 2 «Fecero avanzare
le navi (nello stretto) affinché i Greci non avessero neppure la possibilità di fuggire, ma bloccati a
Salamina pagassero il fio dei combattimenti avvenuti all’Artemisio. Sbarcarono un gruppo di
Persiani nell’isoletta chiamata Psittalea, perché, una volta ingaggiata la battaglia, gli uomini e i
relitti sarebbero stati spinti soprattutto nella sua direzione (l’isola si trovava proprio sul passaggio
della battaglia imminente), e così avrebbero potuto mettere in salvo gli uni e annientare gli altri»
(trad. A. Masaracchia).
96, 1 ïW~ de; hJ naumacivh dielevluto ... basileva: «Conclusa la battaglia, i
Greci trasportarono a Salamina i relitti che ancora si trovavano lì, ed erano pronti per un’altra
battaglia navale, aspettandosi che il re avrebbe ancora usato le navi superstiti». ïW~: congiunzione
temporale.
dielevluto:
piuccheperfetto
di
dialuvw.
kateiruvsante~:
attico
kateruvsante~, participio aoristo di kateruvw, «trascinare» (a riva). tw'n nauhgivwn
o{sa
tauvth/
ejtuvgcane
e[ti
ejovnta: oggetto di kateiruvsante~;
letteralmente «quanti dei relitti si trovavano ancora a essere lì»; nauhgivwn: attico nauagivwn.
ejovnta è participio predicativo di ejtuvgcane, concordato con o{sa; tauvth/ è avverbio
di stato in luogo. e{toimoi ... naumacivhn: i Greci, consapevoli del progetto persiano, si
preparano per un altro scontro, poiché a Salamina era stata impiegata solo una parte della flotta
persiana. th'/si perieouvsh/si nhusiv: = tai'~ periouvsai~ nausiv, dativo
retto dall’infinito futuro di cravomai, crhvsesqai.
96, 2: Erodoto mette in relazione l’arrivo dei relitti in Attica, trasportati dalla corrente, con due
responsi oracolari.
97, 1 Xevrxh~ ... ejbouvleue: «Serse, non appena capì la portata della sconfitta, nel timore
che qualcuno degli Ioni lo suggerisse ai Greci oppure che essi stessi pensassero di navigare fino
all’Ellesponto per distruggere i ponti e dunque egli, bloccato in Europa, rischiasse di essere
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annientato, meditava la fuga». wJ~: introduce la temporale. deivsa~ mhv: si ricordi che i verba
timendi reggono proposizioni completive introdotte da mhv (come il ne in latino) quando si teme
che avvenga qualcosa che non si vorrebbe (“temo che”). uJpoqh'tai: congiuntivo aoristo medio
di uJpotivqhmi, «suggerire», «consigliare», retto da deivsa~ mh;. nohvswsi: congiuntivo
aoristo di noevw, retto da deivsa~ mh;. luvsonte~: participio futuro con valore finale.
ajpolamfqei;~:
participio
aoristo
passivo
ionico
di
ajpolambavnw
(attico
ajpolhfqeiv~), qui col valore di «bloccato». ajpolevsqai: infinito aoristo di
ajpovllumi. drhsmo;n ejbouvleue: «meditava la fuga»; drhsmovn, attico drasmovn,
dalla radice di didravskw, «correre via», «fuggire». Il progetto del superbo re persiano, dunque,
viene clamorosamente sventato dall’astuzia tattica e dalla strenua resistenza dei Greci: Serse ora
non pensa che alla fuga, anche se oggettivamente – come è stato notato – la situazione persiana non
era disperata; da questo momento in poi il re agisce più in preda ai timori (deivsa~) che sulla
base di ponderate riflessioni a partire dalla realtà dei fatti.
Tw5
IX 121-122
greco e italiano
La conclusione delle Storie
Contesto Dopo la vittoria di Micale del 479 a.C. (IX 102-105), i Persiani si ritirano a Sardi, mentre
gli Spartani rientrano in patria e gli Ateniesi assediano a lungo Sesto (IX 114 ss.), fino alla
capitolazione della città per fame. Il governatore di Sesto, Artaucte, viene giustiziato (IX 120) e gli
Ateniesi possono fare finalmente ritorno in Grecia.
Contenuto e motivi Le Storie si concludono, nella redazione in nostro possesso, col capitolo 122: si
tratta di un aneddoto retrospettivo su Ciro il Grande, raccontato in collegamento ad Artaucte,
discendente di quell’Artembare che aveva proposto a Ciro l’abbandono dell’aspra Persia in cerca di
territori più fertili e ospitali. La risposta di Ciro, che invita a restare nel territorio povero giacché,
per le terre come per gli uomini, la povertà genera virtù mentre il lusso comporta prima o poi
mollezza, è riconducibile alla teoria, di matrice ippocratica, del rapporto causale fra origine
territoriale e carattere di un popolo (cfr. anche T12); ma, nel contesto specifico, suggella anche una
visione di progressiva decadenza della monarchia achemenide, da Ciro che conosceva bene i propri
limiti e comandava un popolo rozzo e valoroso, fino a Serse che invece, indebolito dal lusso, non è
apparso altrettanto assennato.
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La critica ha fornito molte interpretazioni di questo capitolo, considerato da alcuni «palesemente
conclusivo dei Persikà» (Canfora), da altri un semplice «aneddoto digressivo», che «non è un
epilogo dell’intera opera, né vuole concluderla altrimenti […] uno dei numerosi excursus sollecitati
da un elemento della narrazione principale per associazioni di idee o nomi [qui Artaucte], usati in
funzione di pausa per consentire al lettore qualche riflessione morale tra un logos e l’altro: soltanto
che il logos successivo manca o non è mai stato scritto e l’opera erodotea si ferma qui» (Asheri).
IX 121 Tau'ta de; poihvsante~ ajpevpleon ej~ th;n ïEllavda, tav te
a[lla crhvmata a[gonte~ kai; dh; kai; ta; o{pla tw'n gefurevwn1 wJ~
ajnaqhvsonte~ ej~ ta; iJrav. Kai; kata; to; e[to~ tou'to oujde;n
ejpi; plevon touvtwn ejgevneto. 122 [1] Touvtou de; tou' ÆArtau?ktew2
tou' ajnakremasqevnto~ propavtwr ÆArtembavrh~ ejsti; oJ Pevrsh/si
ejxhghsavmeno~
proshvneikan
lovgon
to;n
levgonta
ejkei'noi
tavde:
uJpolabovnte~
Zeu;~3
ÆEpei;
[2]
Kuvrw/
Pevrsh/si
hJgemonivhn didoi', ajndrw'n de; soiv, Ku're, katelw;n ÆAstuavgea4,
fevre,
gh'n
ga;r
metanastavnte~
pollai;
mivan
me;n
ejk
ejkthvmeqa
tauvth~
a[llhn
ajstugeivtone~,
scovnte~
plevosi
ojlivghn
scw'men
pollai;
ejsovmeqa
kai;
de;
tauvthn
trhcevan,
ajmeivnw.
kai;
Eijsi;
eJkastevrw,
qwmastovteroi:
oijko;~
de;
tw'n
de;
a[ndra~ a[rconta~ toiau'ta poievein. Kovte ga;r dh; kai; parevxei
kavllion h] o{te ge ajnqrwvpwn te pollw'n a[rcomen pavsh~ te th'~
ÆAsivh~É [3] Ku'ro~ dev, tau'ta ajkouvsa~ kai; ouj qwmavsa~ to;n
lovgon, ejkevleue poievein tau'ta, ou{tw de; aujtoi'si paraivnee
keleuvwn
paraskeuavzesqai
ajrxomevnou~:
filevein
ga;r
wJ~
ejk
oujkevti
tw'n
a[rxonta~
malakw'n
cwvrwn
ajll¾
malakou;~
a[ndra~ givnesqai: ouj gavr ti th'~ aujth'~ gh'~ ei\nai karpovn te
qwmasto;n fuvein kai; a[ndra~ ajgaqou;~ ta; polevmia. [4] ÓWste
suggnovnte~
gnwvmh/
Pevrsai
pro;~
Kuvrou,
oi[conto
a[rcein
ajpostavnte~,
te
ei{lonto
eJsswqevnte~
luprh;n
th'/
oijkevonte~
ma'llon h] pediavda speivronte~ a[lloisi douleuvein.
121 Fatto ciò, [gli Ateniesi] fecero ritorno per mare in Grecia, portandosi appresso, fra le altre
ricchezze, anche le gomene dei ponti1, per offrirle nei templi. E per quell’anno, oltre a questi
avvenimenti, non accadde nient’altro.
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122 [1] Avo di questo Artaucte2 che fu appeso è Artembare, colui che aveva spiegato ai Persiani il
seguente argomento, da loro accolto e riferito a Ciro: [2] “Poiché Zeus3 concede l’egemonia ai
Persiani, e fra gli uomini in particolare a te, o Ciro, dopo aver abbattuto Astiage4, giacché
possediamo una terra piccola e per giunta aspra, allontaniamocene e occupiamone una migliore! Ce
ne sono molte vicine, molte anche più lontane, e con una di queste saremo più ammirati per molti
aspetti. È conveniente che chi comanda agisca in questo modo: infatti, quando mai ci si presenterà
un’occasione migliore, se non ora che dominiamo su molti uomini e su tutta l’Asia?” [3] Tuttavia
Ciro, all’udire queste parole, senza meraviglia per l’argomento, li invitava ad agire così,
ammonendoli però a prepararsi non più a comandare, ma a essere comandati; poiché solitamente da
regioni molli provengono uomini molli: non è proprio della stessa terra generare frutti meravigliosi
e uomini valorosi in guerra. [4] Sicché i Persiani, concordando, rinunciarono e se ne andarono,
convinti dall’opinione di Ciro, e preferirono dominare abitando una terra sterile piuttosto che essere
schiavi di altri coltivando una fertile pianura.
(trad. di F. Razzetti)
Le “gomene dei ponti” sono quelle usate dai Persiani per costruire il ponte di barche
sull’Ellesponto allo scopo di far passare l’esercito (VII 34).
2
Artaucte è il governatore persiano di Sesto; fu giustiziato esemplarmente: inchiodato a una tavola
e appeso, assistette alla lapidazione del figlio (IX 120).
3
Si tratta della divinità persiana Ahura Mazda.
4
Il re dei Medi.
33