Arthur Schopenhauer
Arthur Schopenhauer nasce a Danzica il 22 febbraio 1788 e muore a Francoforte sul
Meno il 21 settembre 1860, è stato un filosofo tedesco, uno dei maggiori pensatori del XIX
secolo.
Il suo pensiero recupera alcuni elementi dell'illuminismo, della filosofia di Platone,
del romanticismo e del kantismo, fondendoli con la suggestione esercitata dalle dottrine
orientali, specialmente quella buddhista e induista.[1] Schopenhauer crea una sua originale
concezione filosofica caratterizzata da un forte pessimismo, la quale ebbe una
straordinaria influenza, seppur a volte completamente rielaborata, sui filosofi successivi,
come ad esempio Friedrich Nietzsche, e, in generale, sulla cultura europea coeva e
successiva, inserendosi nella corrente delle filosofie della vita.
Figlio di un ricco mercante e di una scrittrice, si stabilì a Weimar con la madre dopo il
suicidio del padre. Qui conobbe Wieland ed Hegel. Con buoni studi alle spalle, decise di
dedicarsi alla filosofia e frequentò i corsi tenuti da Schulze a Gottinga e quelli di Fichte a
Berlino. Nei confronti di questi, ma anche di Schelling ed Hegel, Schopenhauer nutrì,
concorde in questo con Kierkegaard, sempre disprezzo e avversione, definendo Hegel il
gran ciarlatano. Nel 1809 si iscrisse alla facoltà di medicina a Gottinga e, nel 1811, si
trasferì a Berlino per frequentare i corsi di filosofia. Ingegno molteplice, sempre interessato
ai più diversi aspetti del sapere umano (frequentò corsi
di fisica, matematica, chimica, magnetismo, anatomia, fisiologia, e tanti altri ancora), si
laureò nel 1813 a Jena con una tesi Sulla quadruplice radice del principio di ragion
sufficiente e, nel 1818, pubblicò la sua opera più importante, Il mondo come volontà e
rappresentazione, che ebbe tuttavia scarsissimo successo tra i suoi contemporanei e che
cominciò a ricevere qualche attenzione solo vent'anni dopo, nonostante fossero giunti, da
più parti, persino riconoscimenti ufficiali.
Dal 1833 decise di fermarsi a Francoforte sul Meno, dove visse da
solitario borghese, celibe per convinzione e misogino, nonostante le molte relazioni con
donne che ebbe durante la sua esistenza. La vera affermazione del pensatore si ebbe
solo a partire dal 1851, con la pubblicazione del volume Parerga e paralipomena,
inizialmente pensato come un completamento della trattazione più complessa del Mondo,
ma che venne accolto come un'opera a sé stante e fece conoscere al grande pubblico
anche le opere precedenti del filosofo. Schopenhauer manifestò per gran parte della sua
vita un acuto disagio nei confronti dei contatti umani - atteggiamento che gli procurò, in
città, la fama di irriducibile misantropo - e uno scarso interesse, almeno in via ufficiale, per
le vicende politiche dell'epoca, quali ad esempio i moti rivoluzionari del 1848 - sebbene si
sia interessato, sul finire della sua vita, della questione dell'Unità d'Italia, prendendo
posizione favorevole. I tardi riconoscimenti di critica e pubblico attenuarono i tratti più
intransigenti del suo carattere, tanto che negli ultimi anni della sua esistenza poté
addirittura raccogliersi attorno a lui una ristretta cerchia di apostoli, come egli stesso
amava definirli, tra i quali il compositore Richard Wagner, lo scrittore David Asher e la
scultrice Elisabet Ney. Morì di pleurite acuta nel 1860, a settantadue anni.
Maturità (1822-1850)
Il 26 maggio 1822 il filosofo riparte per l'Italia. In agosto, dopo qualche tempo
sulle Alpi svizzere, si reca a Milano; prosegue per Venezia, per Firenze e per Roma.
Nell'estate del 1823 fa ritorno in Germania, passando per Monaco e per Dresda, in cui si
stabilisce. Le sue condizioni di salute non sono delle migliori, ma ciò non ostacola il suo
lavoro. Legge La Rochefoucauld e Chamfort, vorrebbe tradurre Hume e Bruno. Nel 1823,
secondo alcuni, Schopenhauer si sottopose ad un trattamento contro la sifilide, che forse
aveva contratto negli anni precedenti, effettuando una cura a base di mercurio e altre
sostanze, allora usate per debellare questa malattia. Ad aprile 1825 è a Berlino con la
speranza di tenere nuovi corsi universitari. Conosce Alexander von Humboldt; decide di
imparare lo spagnolo: nel 1826-27 legge Calderón de la Barca, Lope de
Vega, Cervantes e s'appassiona per l'opera di Baltasar Gracián.
Progetta poi di lasciare Berlino e trasferirsi, come docente, a Heidelberg. I contatti
del 1828 col rettore di filosofia di quell'università, di posizione hegeliana, non sono
esaltanti. Si dedica ancora agli studi scientifici e alle traduzioni: completa la versione
tedesca dell'Oràculo manual y arte de prudencia di Graciàn e lo propone
nel 1829 all'editore Brockhaus, che lo rifiuta; l'opera apparirà soltanto postuma. Nell'agosto
del 1831 fugge da Berlino, colpita dal colera, e si rifugia a Francoforte sul Meno, dove
resta fino al luglio dell'anno successivo. Trascorre quindi un anno a Mannheim e, dal
giugno 1833, è nuovamente e definitivamente a Francoforte, città che non abbandonerà
più fino alla morte. In questo periodo la sua curiosità lo porta a occuparsi di filosofia
cinese, magnetismo e letteratura mistica. Nel 1834-36 lavora a Sulla volontà nella natura,
opera che rappresenta una summa dei suoi precedenti studi di anatomia,
fisiologia, patologia, astronomia, linguistica, magnetismo animale e sinologia. Secondo la
formulazione del sottotitolo, l'opera vuol essere «un'esposizione delle conferme che la
filosofia dell'Autore ha ricevuto da parte delle scienze empiriche, dal tempo in cui è
comparsa».
Nel 1837 esprime la sua personale opinione sul progetto della costruzione e della dedica a
Goethe - morto cinque anni prima - di una statua da parte della città di Francoforte;
secondo il filosofo dovrebbe trattarsi di un busto, come si confà «ai poeti, ai filosofi e agli
scienziati, che hanno servito l'umanità solo con la testa», e recare sullo zoccolo non il
nome, bensì la scritta «Al poeta dei tedeschi - La sua città natale». I suoi suggerimenti non
vengono accolti. Più successo riscuote invece il suo parere sull'edizione delle Opere
complete di Kant, a cura di Karl Rosenkranz e Wilhelm Schubert. Sostenendo che
la Critica della ragion pura, ormai introvabile, sia di gran lunga superiore a tutte le altre
opere kantiane, scrive a Rosenkranz per indurlo a ripubblicare il libro, cosa che avviene
nel 1838. Decide di partecipare a due concorsi, banditi l'uno nel 1837 dalla Reale Società
delle Scienze di Norvegia e l'altro l'anno successivo dalla Reale Società delle Scienze
di Danimarca per saggi rispettivamente sui temi della libertà del volere e del fondamento
della morale.
Nel 1839 viene premiato dalla Società norvegese per il suo saggio Sulla libertà del volere
umano: è il primo riconoscimento ufficiale. Il 17 aprile muore a Jena la madre Johanna.
L'anno successivo invia alla Società danese la sua opera Il fondamento della morale, ma
non ha successo. Nel 1841 i due trattati vengono pubblicati insieme sotto il titolo I due
problemi fondamentali dell'etica, ma l'accoglienza della critica è come sempre poco
favorevole. Continua i suoi studi sulle civiltà orientali. Nel 1843 Friedrich Dorguth pubblica
la sua opera La falsa radice dell'ideal-realismo, dove parla con ammirazione del filosofo di
Danzica: è il primo di una lunga serie di scritti con i quali l'autore cercherà di rompere il
muro ideologico innalzato attorno a Schopenhauer dalla "congrega dei cialtroni", come il
filosofo spesso avrà modo di definire i seguaci della triade Fichte, Schelling ed Hegel.
Nel 1844 è pubblicata una seconda edizione del Mondo, con l'aggiunta dei cinquanta
capitoli di Supplementi ai quali Schopenhauer lavora già da una decina d'anni: l'opera,
tuttavia non riscuote successo, ma rimane in commercio. Durante i moti rivoluzionari del
settembre 1848 il filosofo è turbato dall'idea che la massa possa prendere il potere, tanto
che pensa di dover abbandonare Francoforte. L'anno seguente muore la sorella e
Schopenhauer incontra il futuro discepolo Adam Ludwig von Doß.
Ultimi anni (1851-1860
Nel novembre 1851 esce la prima edizione dei Parerga e paralipomena, opera alla quale
lavora già dal 1845. Finalmente arrivano il successo, e con soddisfazione di
Schopenhauer i complimenti più calorosi gli giungono dall'amata Inghilterra.Nel 1854 esce
a Francoforte la seconda edizione de La volontà nella natura. Si fa più stretta l'amicizia
con l'avvocato e romanziere Wilhelm Gwinner, primo biografo del filosofo. Wagner gli fa
avere il libretto di gran parte della tetralogia L'anello del Nibelungo. Schopenhauer, che tra
i musicisti predilige Rossini, Mozart e Bellini, apprezza di Wagner più i versi che la musica.
Nel 1858, a settant'anni compiuti, alla morte dell'avvocato Martin Emder, uno degli amici
più cari che Schopenhauer aveva nominato suo esecutore testamentario, l'incarico passa
a Gwinner, che sarà la persona più vicina al filosofo nell'ultimo periodo. La schiera dei
discepoli comincia a crescere: vi entrano a far parte il giornalista Otto Lindner, lo
scrittore David Asher e il pittore Johann Karl Bähr. La sua vita è piuttosto ritirata: lunghe
passeggiate, da solo o in compagnia del cane barboncino Butz, soprannominato
poi Brahma (nome della divinità suprema indù) e Atma(= anima del mondo, in sanscrito), i
pasti all'"Englischer Hof" (sempre in compagnia del barboncino, a cui talvolta si rivolgeva
chiamandolo "signore", o lo riprendeva dicendo "tu, umano" quando il cane si comportava
male; cambiò persino casa nel 1859 dopo un litigio con un vicino a causa dell'animale),
lavoro e letture: legge il Times, il Frankfurter Postzeitung, riviste scientifiche e letterarie
tedesche, inglesi e francesi.
In questo periodo scopre Giacomo Leopardi, immergendosi «con molto diletto» nella
lettura delle Operette morali e dei Pensieri. La seconda edizione del Mondo si
esaurisce. Nel 1859 è la terza edizione: da allora il libro che fu snobbato dalla critica e dal
pubblico al suo apparire, è uno dei classici della filosofia mondiale. Negli ultimi anni di vita,
soddisfatto del successo letterario, ammorbidisce la sua nota misantropia, e alcuni
discepoli frequentano la sua casa, comprese alcune donne, con cui aveva avuto sempre
rapporti difficili. Una di esse, la giovane scultrice Elisabet Ney, modella infatti un famoso
busto di Schopenhauer. Dal mese di aprile 1860 si manifestano gravi problemi di salute
con difficoltà respiratorie e tachicardia. Il 9 settembre il filosofo si ammala di polmonite,
che degenera subito in pleurite acuta: soffre di tosse e frequenti sbocchi di sangue. Con
Gwinner, Schopenhauer continua però a intrattenersi parlando di politica e della questione
dell'unità d'Italia. Il 21 settembre fu trovato morto seduto sulla sua sedia.
Nel testamento lascia il suo patrimonio ad un fondo per aiutare i militari prussiani rimasti
invalidi durante i moti del 1848, ma dà disposizioni anche per occuparsi e provvedere al
suo cane, alla casa con i mobili e i documenti, con un legato per la domestica Margaretha
Schnepp. Viene seppellito cinque giorni dopo nel cimitero di Francoforte, alla presenza di
pochi fedelissimi, senza nessuna particolare cerimonia, per lui, ateo, che disprezzava la
gran parte delle religioni, soprattutto quelle occidentali (lanciando strali non solo contro
il Cristianesimo moderno, ma anche contro l'Ebraismo e l'Islam). Sulla lapide non vengono
posti né data né epitaffio, solo il suo nome e cognome: Arthur Schopenhauer.
La filosofia di Schopenhauer
« La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia,
passando per l'intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia. »
La filosofia di Schopenhauer è molto articolata. Nella sua opera giovanile, che contiene già
gran parte del suo pensiero, poi riedita con aggiunte, Il mondo come volontà e
rappresentazione, Schopenhauer sostiene che nel mondo è fondamentalmente ciò che
ciascun uomo vede ("relativismo") tramite la sua volontà, nella quale consiste il
principio assoluto della realtà, nascosto alla ragione.[19] La sua analisi pessimistica lo porta
alla conclusione che i desideri emotivi, fisici e sessuali, che presto perdono ogni piacere
dopo essere stati assecondati, ed infine divengono insufficienti per una piena felicità, non
potranno mai essere pienamente soddisfatti e quindi andrebbero limitati, se si vuole vivere
sereni. La condizione umana è completamente insoddisfacente, in ultima analisi, e quindi
estremamente dolorosa.
Di conseguenza, egli ritiene che uno stile di vita che nega i desideri, simile agli
insegnamenti ascetici dei Vedanta e delle Upanishad dell'induismo, del Buddhismo delle
origini, e dei Padri della Chiesa del primo Cristianesimo, nonché una morale
della compassione, è quindi l'unico vero modo, anche se difficile per lo stesso filosofo, per
raggiungere la liberazione definitiva, in questa vita o nelle successive. Sull'esistenza di
Dio, Schopenhauer è invece ateo, almeno per quanto riguarda la concezione occidentale
moderna.
Egli non nutre né considerazione né fiducia alcuna nella massa degli esseri umani, fatto
che lo conduce alla misantropia.