Una petroliera inquina … e chi paga?

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Una petroliera
inquina …
e chi paga?
L
Stranezze e cavilli legali
dominano e
condizionano
un settore molto
delicato
a Comunità Internazionale si è
posta per tempo
il problema del come
tentare di prevenire i
sinistri marittimi, con
una “famiglia” di convenzioni che prioritariamente si propongono di salvaguardare la
vita umana in mare, e
che vanno sotto la denominazione generale di
SOLAS (Safety of Life at Sea); e con un’altra che riguarda, invece, la protezione dell’ambiente marino, indicata con l’acronimo MARPOL (Marine Pollution). Nel loro complesso, questi accordi internazionali generati nella sede dell’IMO (International Maritime Organization), la invero benemerita
Agenzia dell’ONU per la trattazione degli affari
marittimi, con sede a Londra, hanno riguardo alla
sicurezza a fronte dei pericoli direttamente connessi alla navigazione (Safety).
Ad essi si sono aggiunte, nel tempo, altre due
“famiglie”: quella avente ad oggetto la sicurezza
da possibili azioni umane aggressive (Security), per
motivi pratici inserite nel sistema, e quella attinente alla riparazione di danni conseguenti a sinistri marittimi, una volta che essi siano avvenuti.
La produzione normativa internazionale che
passeremo rapidamente in rassegna ha origine
principalmente da quello che è stato forse il primo dei disastri ambientali dovuti a petroliere sinistrate, ad avere dimensioni e conseguenze che
non è esagerato definire catastrofiche: l’affonda-
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di Renato Ferraro
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mento della Torrey Canyon, nel 1967, che provocò gravi danni alle
coste della Cornovaglia.
Ci si rese allora conto che le possibilità finanziarie di un singolo
civilmente responsabile
(armatore o assicuratore) difficilmente avrebbero consentito un accettabile risarcimento del
danno, anche a prescindere dal tradizionale principio della limitazione della responsabilità dell’armatore. Si giunse, così, alla produzione delle due
fondamentali convenzioni riguardanti, appunto, i
danni da inquinamento da petrolio scaturito da
petroliere incidentate.
La prima è la Convenzione sulla Responsabilità
Civile, del 1969, nota con l’acronimo CLC (Civil
Liability Convention), che stabilisce criteri uniformi sulla fissazione del tetto massimo della responsabilità dell’armatore (e, quindi, del suo assicuratore), necessaria perché la materia era regolata
con criteri molto diversi nelle singole legislazioni
nazionali. Questo tetto massimo è ora determinato in base alle dimensioni della nave.
CLC e FUND
La seconda, di sicuro la più importante quanto
a dimensione dei suoi effetti, è stata varata nel
1971, ed è denominata IOPC (International Oil Pollution Compensation) Fund Convention, o più sinteticamente FUND, importante in quanto la sua ca-
rica veramente innovativa è rappresentata dall’istituzione di un Fondo
Internazionale (che potremmo definire “di solidarietà”) che, qualora
i danni da inquinamento di un sinistro a petroliera superino il tetto
della responsabilità dell’armatore
stabilito in base ai criteri dettati
dalla CLC, interviene per di più a
rifondere, fino a una concorrenza
di gran lunga maggiore. Inoltre il
Fondo può intervenire anche per la
parte che dovrebbe gravare sull’armatore se questi fosse “insolvibile”,
cioè non in grado di pagare neanche la sua quota parte.
La superpetroliera Amoco Cadiz, incagliata al largo della Bretagna il 21 marzo 1978
Le due Convenzioni sono state
sta perdendo il suo carico che inquinerà per decenni le coste bretoni. In apertura:
emendate nel 1992 con appositi
quanto vale un pellicano?
protocolli, tanto che ora vengono
solitamente indicate come CLC ’92
e FUND ’92. Va anticipato che l’Itale multinazionali, per cui la ripartizione per Paesi
lia ratificò la seconda di esse con molto ritardo
può avere un senso puramente teorico: ma ciò è
per motivi dei quali parleremo più avanti.
forse meno vero proprio per l’Italia, dove il massiVa rammentato che il tetto di risarcibilità, cioè
mo operatore è l’italianissima AGIP, di cui virtualil livello massimo cui può arrivare la somma che si
mente ogni contribuente è azionista … D’altro
può porre a carico del Fondo, a partire dal maggio
canto, fatta salva l’intrinseca aleatorietà dell’anda2002, fu portato da una cifra grosso modo equivamento dei sinistri, cioè il fatto che un guaio può
lente a 200 milioni, a quella di 300 milioni di eucapitare a chiunque, l’attuale fenomenologia staro. Grosso modo, perché la valuta virtuale conventistica e l’incremento dei traffici petrolieri, ancora
zionale in cui si opera è soggetta a fluttuazioni.
prevedibile almeno per vari anni, potrebbero laSi tratta di un sistema di garanzie che tutto
sciar ipotizzare un sempre ulteriore aumento dei
sommato funziona, anche se alcune sue carattericasi d’inquinamento, soprattutto in quei Paesi
stiche suscitano non poche perplessità. Il primo
meno avanzati che non avranno adottato un VTS
di questi aspetti criticabili è quello del sistema di
(Vessel Traffic System, un complesso apparato di
alimentazione finanziaria del Fondo, basato su un
sensori disseminati lungo le coste che consente di
meccanismo che ripartisce il carico contributorio
controllare il traffico navale nelle proprie acque)
tra i ricevitori di merci trasportate con petroliere,
o altri sistemi di vigilanza e intervento come sta
sia che si tratti delle spese di gestione del Fondo
invece provvedendo a fare l’Italia per le sue coste,
stesso, sia di quelle eventuali, ma comunque di
che saranno quindi sempre meno vulnerabili.
gran lunga più consistenti, che scattano al verificarsi di un inquinamento di tale gravità da non
Chi inquina paga: ma è vero?
essere risarcibile dall’armatore (o assicuratore),
Vi è poi anche un’altra questione. Di solito vierapportando tale carico ai dati percentuali dei
ne affermato che la Grundnorm, cioè il principio
prodotti sbarcati nei porti dei singoli Paesi adebasico su cui si erge questa costruzione, è, o dorenti.
vrebbe essere, quello del “polluter pays”, cioè del
Questo meccanismo, penalizza i Paesi trasfor“chi inquina paga”.
matori, e l’Italia viene così a trovarsi al secondo
Ma è proprio questo il principio che viene grosposto, dopo il Giappone, tra i massimi contribusolanamente disatteso dall’attuale meccanismo
tori. Ciò appare quasi una beffa, perché penalizza
delle contribuzioni, che, come si è già detto, pone
i Paesi poveri di risorse petrolifere proprie che soa carico del singolo armatore della nave che ha
no costretti a importarle e, quindi, a “riceverle”.
provocato il danno una responsabilità oggettiva fiInoltre, le società petrolifere sono di solito delno a un certo tetto; la parte eccedente, va invece a
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sere l’armatore per la cattiva condizione strutturale, d’armamento o
d’equipaggiamento dell’unità; per
la stessa fattispecie, l’Amministrazione Marittima dello Stato di bandiera e/o il Registro di classificazione, per non aver correttamente
esercitato il diritto/dovere di controllare lo stato della nave; il cantiere navale che ha effettuato male
lavori di riparazione o di manutenzione; il noleggiatore, per aver scelto ed accettato un’unità scadente
(che costa meno in termini di nolo:
nel mercato dei noli vige quella che
è la legge di Gresham per la circolaUn altro disastro ancora, quello della Exxon Valdez, sparge oltre 40 milioni di litri di
zione monetaria: la nave cattiva
greggio sulla costa dell’Alaska; vorremmo sapere chi, come e quanto ripagherà lo
scaccia la nave buona, perché ovsforzo di questi tecnici e volontari che, nell’immagine, stanno tentando di
viamente costa di meno, sia per acrimuovere il petrolio dalle scogliere
quistarla che noleggiarla); il proprietario della merce, che peraltro
carico della comunità mondiale dei ricevitori dei
spesso s’identifica con il noleggiatore perché è il
Paesi aderenti alla Convenzione, ripartiti per Stati.
responsabile per la merce inquinante; il meteoroIl ricevitore però, in quanto tale, in nessun calogo per previsioni non indovinate; il comandanso può essere considerato un inquinatore, poiché
te e l’equipaggio per la cattiva conduzione della
non è in alcun modo partecipe della navigazione
nave nell’emergenza; le autorità costiere per l’idella nave che trasporta la merce potenzialmente
nefficace coordinamento dei soccorsi e/o delle
inquinante, e compare sulla scena solo se e quansuccessive operazioni antinquinamento (è questo
do la nave è giunta in porto.
il caso, duole dirlo, di alcuni dei più gravi disastri
Per individuare in ipotesi il o i polluter, o anavvenuti negli ultimi anni lungo le coste atlantiche, genericamente, le categorie alle quali questi
che dell’Europa).
appartengono, si devono individuare le potenziali
In definitiva tutti costoro che hanno una diretta
cause o concause di danno: inquinatore potrà esresponsabilità nella vicenda, ma certamente non il
ricevitore, il quale attende che la
merce gli sia consegnata nel porto
d’arrivo, ed è anch’egli tra i danneggiati se la merce non gli arriva per
tempo, secondo le previsioni, o,
peggio, se non gli arriva affatto.
Un altro aspetto da considerare
è quello del concetto di danno. La
Convenzione ne dà una definizione abbastanza precisa, comprendendovi sia il danno emergente
(per esempio, le spese per riacquistare strutture balneari o impianti
di piscicoltura danneggiati al punto
da essere irrecuperabili) e il lucro
cessante (ossia i mancati introiti
per l’impossibilità di svolgere su
Il più grave disastro e cologico nel Mediterraneo sarà, invece, quello della Amoco
quella spiaggia una regolare stagioMilford Haven, gemella della Cadiz, che nell’aprile del 1991 affondò, dopo un
incendio durato tre giorni, nel Golfo di Genova, su un fondale di 90 metri circa
ne balneare o di pesca), sia le spese
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Nel giugno 2010, 40 km di spiaggia del Mar Rosso presso Hurgada, in Egitto, sono stati coperti da una chiazza di petrolio; migliaia di
persone hanno lavorato giorno e notte facendo scomparire qualsiasi traccia di inquinamento in meno di un mese
affrontate dalle Amministrazioni pubbliche per le
operazioni di contrasto e abbattimento dell’inquinamento.
Rimane escluso, invece, il cosiddetto “danno
ambientale”, e proprio questo procurò il grosso ritardo con il quale l’Italia, masochisticamente sostenitrice dell’inclusione, ratificò gli emendamenti del 1992.
Quanto vale un pellicano?
Con l’espressione “danno ambientale” s’indica una generica offesa alla natura, di difficile, se
non impossibile, quantificazione finanziaria, e
tecnicamente non riparabile. La risarcibilità finanziaria di questo danno fu in un primo tempo
respinta recisamente dai nostri partner nel Fondo, anche perché la delegazione italiana del tempo, pur asserendo il principio del suo risarcimento, non fu mai in grado di presentare un documento che individuasse in termini concreti come
calcolarlo.
Si tratta della difficoltà, tuttora insuperata, di
valutare sensatamente l’entità di tale danno: la
domanda emblematica che ci si pone è: “Quanto
vale un pellicano?”. Si tratterebbe, cioè, di assegnare un valore nominale ad ogni bene offeso: il gabbiano, l’otaria, il metro quadrato di fondale (con
o senza posidonie) sporcato e in ipotesi non ripristinabile (se tecnicamente lo è, non è “danno ambientale”), ecc.. Diventa quindi abbastanza sostenibile la controdeduzione che il risarcimento finanziario del cosiddetto “danno ambientale” altro non sarebbe che una super-multa erogata fuori
del sistema delle sanzioni ordinarie (penali e amministrative).
Quello che lascia soprattutto perplessi, è che
sia stata proprio l’Italia a battersi (male, e senza
alcun costrutto) per l’accettazione del “danno ambientale”, laddove essa è, come già accennato, il
secondo principale contributore del Fondo e, per
contro, uno dei Paesi meglio attrezzati per prevenire, nei limiti delle possibilità umane, gli incidenti in parola, o limitarne le conseguenze (come
è avvenuto nel caso della Haven).
Comunque, a nostra beffa, dopo i reiterati e
inefficaci tentativi per far affermare il principio, è
bastato che la Francia subisse il disastro dell’Erika
(il 12 dicembre 1999) perché l’assemblea del Fondo approvasse un documento in cui si accettava il
principio in termini di finanziamento di studi per
l’eventuale ripristino, se possibile – dello status
quo ante: comunque, per fortuna, poca cosa.
Ma restano anche altri dubbi sulla logica che
informa il sistema: per esempio, quelli dovuti al
fatto che ad esso aderiscono anche Paesi che sono
solo esportatori di petroli (è facile indovinare quali siano) coperti dal Fondo, al quale, peraltro, non
conferiscono neanche un soldo: si potrebbe definire un tipico caso patto in cui una delle parti ha
solo da guadagnare e nulla da perdere od offrire
in cambio.
Per quanto riguarda, per contro, i Paesi massimi
contributori (Giappone, Italia, Corea del Sud), non
va dimenticato che nel caso di risarcimento dovuto
ad uno di essi, devono contribuire anche i singoli
ricevitori di quel Paese per la loro quota parte.
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ciente a risarcire la totalità dei danni reclamati e riconosciuti; il suo
massimale è fissato nella … bellezza di circa 1 miliardo e 100 milioni
di euro; per aderirvi, è stabilita una
quota minima di partecipazione
(minimum fee), ossia una specie di
tassa d’iscrizione, che almeno impedisca che vi partecipi chi, essendo soltanto esportatore, non versa
nulla al Fondo ordinario; peraltro
la quota è pressoché trascurabile.
Una decisione opinabile
Di conseguenza sui Paesi aderenti al Supplementary graverà, in
caso di disastro di grosse dimensioni, una quota assolutamente spropositata. Purtroppo, l’Italia vi ha
aderito.
In sintesi conclusiva, l’impressione che si ricava da tutto questo sistema, anche per una serie di altre considerazioni che non
è il caso di star qui ad analizzare, è che l’Italia
(anche per le pressioni della Commissione Europea) abbia accettato delle condizioni-capestro, e
in tutta la vicenda ricopra il ruolo del … pollo
da spennare.
Conforta, se non altro, il fatto che la presidenza del Fondo Supplementare sia attualmente affidata a un italiano, il nostro Addetto Marittimo
presso l’Ambasciata d’Italia a Londra (che svolge
anche la funzione di Rappresentanza Permanente
presso l’IMO), un ufficiale ammiraglio delle Capitanerie di Porto, che certamente tutelerà, nei rituali limiti del possibile, gl’interessi nazionali. ■
Gli squisiti granchi della Louisiana rappresentano un introito economico
importante, per la pesca dello State, quanto il turismo per l’Egitto; tuttavia ciò non
è bastato a salvarli dall’inquinamento della piattaforma BP che ha imperversato per
mesi sulle coste della regione
L’Italia, dunque, aderì a suo tempo al sistema
accettando condizioni tutt’altro che eque o logiche; e, quando fece resistenze, come nel caso del
protocollo del ’92 che ha emendato la FUND, le
fece per sostenere un principio che si sarebbe risolto in un ulteriore suo danno.
Come se ciò non bastasse, in una conferenza
tenutasi a Londra nella sede dell’IMO nell’aprile
2003, fu istituito il Supplementary Fund, cioè un
nuovo Fondo, complementare a quello ordinario,
ad adesione volontaria tra i membri di quest’ultimo, le cui caratteristiche salienti possono essere
sintetizzate così: il Fondo Supplementare interverrebbe (ovviamente, solo nei riguardi dei Paesi
che vi abbiano aderito), qualora il massimale previsto dal Fondo ordinario ancora non fosse suffi-
Nato a Napoli nel 1934, nel 1957 entra nel Corpo delle Capitanerie di porto a seguito di
concorso. Nel 1958 frequenta presso l’Accademia Navale il corso a nomina diretta per sottoten.
di porto, ed è destinato alla Capitaneria di Porto di Siracusa. Nel 1968, con il grado di tenente di
vascello (all’epoca, capitano di porto), comanda il Circondario Marittimo di Anzio. Successivamente frequenta l’Istituto di Guerra Marittima di Livorno prima, e l’Istituto Stati Maggiori Interforze di Roma, poi. Dal 1978 al 1980 comanda il Compartimento Marittimo di Monfalcone, e
successivamente è addetto all’Ufficio I del gabinetto del Ministro della Difesa fino al 1984. Promosso capitano di vascello, assume il comando del Compartimento Marittimo di Roma prima e
di quello di Civitavecchia dopo, contemporaneamente alla carica di Direttore Marittimo del Lazio. Dal 1986 ricopre l’incarico di vice-capo di Gabinetto di vari Ministri della Marina mercantile e di capo dell’ufficio Patto Atlantico dello stesso Ministero. Promosso contrammiraglio, comanda il porto di Genova come Direttore
marittimo della Liguria e vice-presidente del Consorzio autonomo del porto della città della Lanterna. Dal 1996 al
1999, nel grado di ammiraglio ispettore, riveste la carica di Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di
porto/Guardia costiera. Il 15 dicembre 1999 è collocato in congedo per raggiunti limiti di età.
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