NOTE E DISCUSSIONI

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NOTE
E DISCUSSIONI
GUERRA E R ESISTEN ZA IN ITALIA
N ELLE MEMORIE DEL GEN ERALE VON SEN G ER UND ETTE R LIN
Nella ricca memorialistica tedesca sulla seconda guerra mondiale esi­
ste ormai una specifica seppure limitata sezione espressamente dedicata alle
vicende della guerra in Italia e dell’alleanza italo'-tedesca, compresi il pe­
riodo della lotta partigiana ed i rapporti tra il Reich nazista e la Repubblica
di Salò, che costituiscono ovviamente l’aspetto più mteressante di una valu­
tazione della situazione italiana da parte tedesca. Ciò sia perchè è possibile
tentare attraverso' la memorialistica, per quel tanto che indubbiamente
può valere come fonte di ricostruzione storica, la verifica di fatti avvenuti
e di giudizi emessi negli anni 1943-1945, sia perchè qualsiasi presa di posi­
zione nei confronti di quegli avvenimenti non può non implicare un
giudizio politico sul fascismo e sul nazionalsocialismo, e questo per noi non
è certo l’ultimo motivo di interesse così dal punto di vista storico come dal
punto di vista più immediatamente politico.
Se prescindiamo da quanto sulle vicende dell'alleanza italo-tedesca è
stato scritto in opere più generali di esponenti della politica e delle forze
armate del Terzo Reich, interesse diretto per la situazione italiana offrono
le memorie di comandanti militari e di diplomatici specificamente impegna­
ti nello scacchiere italiano. Ricordiamo le carte di Rommel con particolare
riferimento alla guerra nell’Africa settentrionale, le ben note memorie di
Kesselring, quelle del suo capo di Stato maggiore gen. Westphal, quelle
dell’addetto militare a Roma, gen. von Rintelen, dell’ambasciatore presso
la Repubblica di Salò Rahn, quelle infine del console generale Moellhausen.
Di queste opere, le memorie di Kesselring si distinguono per la forte carica
polemica derivante non soltanto dall’ispirazione di autodifesa personale che
le pervade ma anche dalla sua mentalità di tipico generale nazista-(1); carat­
tere prevalentemente tecnicistico hanno i ricordi di Westphal; più disincan­
tate e pertanto entro certi limiti obiettivamente più valide appaiono le testi­
monianze di Rintelen, Moellhausen e Rahn. Un caso a sè stante è costituito
dalla Roma nazista di Dollmann, che nelle sue tinte romanzesche riflette
principalmente lo spirito d’avventura e di intrigo dell’ex colonnello delle
SS.
In questa letteratura un posto abbastanza importante vengono ad oc­
cupare ora le memorie di un altro comandante della W ehrmacht, il gen.
Frido von Senger und Etterlin, il quale proprio in Italia ricoprì funzioni
particolarmente impegnative, recentemente rievocate in un volume che
raccoglie le sue esperienze di combattente della seconda guerra mondiale
e che per buoni due terzi è dedicato appunto all’Italia (Krieg in Europa,
(1) Per una analisi più approfondita delle memorie di Kesselring Soldat bis Zum
letzten Tag rinviamo al nostro scritto Kesselring « storico » della Resistenza nella
rivista Occidente, 1953, pp. 232-246.
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Note e discussioni
Kòln-Berlin, Kiepenheuer & Witsch, i960). Dopo aver comandato una
brigata corazzata durante la travolgente campagna di Francia del 1940, il
gen. von Senger und Etterlin trascorse gran parte del conflitto mondiale
in Italia. Subito dopo l’intervento in guerra dell’Italia e l’armistizio con la
Francia ricoprì l’incarico di ufficiale di collegamento tra la delegazione d’armistizio franco-tedesca e quella franco-italiana, con sede a Torino. Seguì
una parentesi sul fronte russo, come comandante della 17 “ Panzer-Division
impegnata per alleggerire la pressione sovietica contro le forze accerchiate
a Stalingrado, ma nel giugno del 1943 il gen. Senger era di ritorno in Italia
dove lo attendeva il compito di tenere i collegamenti con la VI armata ita­
liana di stanza in Sicilia. Alla vigilia dell’armistizio tra l’Italia e gli angloamericani fu inviato in Sardegna a predisporre lo sgombero di quest’isola
e a preparare la difesa della Corsica contro eventuali azioni offensive degli
anglo-americani, in un’epoca in cui non appariva improbabile uno sbarco
in forze nell’isola come preludio ad un attacco della penisola italiana all’al­
tezza di Livorno e, non, come invece avvenne, a Salerno. Rientrato sul
continente nei primi giorni di ottobre del 1943, dopo avere assicurato il
ritiro da entrambe le isole delle forze tedesche, il gen. Senger assunse il
comando del X IV Corpo corazzato impegnato nel settore occidentale del
fronte meridionale, tra il Tirreno e i contrafforti appenninici, di fronte
alla 5a armata americana del generale Mark Clark. Protagonista della di­
fesa di Cassino, che suscitò stupore negli stessi avversari (si v. le memorie
del gen. Clark), in seguito allo sfondamento alleato della primavera del
1944 il gen. Senger assunse lungo la « linea gotica » la difesa del settore
gravitante intorno a Bologna, posizione-chiave destinata a sbarrare l’accesso
alla pianura padana, fin quando l’offensiva dell’aprile del 1945 aggirò le
posizioni tedesche aprendo agli alleati la via della pianura padana.
Abbiamo riprodotto innanzitutto le tappe della carriera del gen. von
Senger und Etterlin per significare la sua validità di testimone diretto,
come pochi altri, della guerra in Italia. E che si tratti di un testimone
per certi versi fuori dal comune risulta da due circostanze: in primo luogo
egli, contrariamente alla maggior parte degli scrittori tedeschi (per non
parlare di Kesselring) che si sono occupati delle vicende italiane di quegli
anni, non è mosso da preconcetta ostilità nei confronti dell’Italia; egli
guarda anzi al nostro paese con evidente simpatia, al punto da non esitare
a riconoscerlo come sua « seconda patria » (49). Le vicende dell’Italia cioè
non sono viste soltanto in funzione subalterna delle esigenze della Ger­
mania ma in base al tentativo di spiegare dall’interno le ragioni dell’Italia
e i termini delle sue condizioni politiche, pur con i forti limiti dell’orizzon­
te politico dell’A., di cui diremo appresso. In secondo luogo ci troviamo
di fronte ad uno dei pochi generali tedeschi che esprima una condanna
aperta del nazismo e che non ponga in primo piano il problema della ria­
bilitazione del regime o della Wehrmacht dalle loro responsabilità, che
risulta invece essere l’intento e l’obiettivo della maggior parte degli scrittori
di memorie militari. Con questo non intendiamo naturalmente avvalorare
il dissenso del gen. Senger dal nazismo al di là dei suoi intrinseci limiti,
ma proprio perchè, come è facile avvertire, si tratta di un aspetto deter­
minante della personalità dell’A. sarà opportuno soffermarsi brevemente
Note e discussioni
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su questo punto, che se anche non riguarda direttamente i suoi ricordi
della campagna d ’Italia condiziona tuttavia il suo complessivo modo di ve­
dere, le sue valutazioni politiche e il suo atteggiamento nei confronti degli
avvenimenti dei quali fu partecipe.
Le prime vittorie della Wehrmacht in occidente provocarono nel ge­
nerale von Senger und Etterlin uno stato d’animo diviso tra contrastanti
sentimenti; la sconfitta della Francia, egli scrive, « doveva rappresentare
la tragedia di molti ufficiali di Hitler: avrebbero dovuto avversare viva­
mente la vittoria e auspicare Ja sconfitta per amor di patria » (p. 39). Sono
sentimenti, bisogna riconoscerlo, che pochi tedeschi aU’infuori degli oppo­
sitori dichiarati hanno sentito di dover esprimere sia pure soltanto a poste­
riori. E furono gli stessi sentimenti che di fronte alla piega assunta dalla
guerra dopo l’arresto dell’avanzata in Russia e i rovesci sul fronte mediterraneo gli suggerirono quale unica soluzione per evitare la più completa
catastrofe l’obiettivo di porre termine alla guerra nel più breve tempo e di
liquidare il regime nazista : « Un governo tedesco normale avrebbe offerto
la capitolazione già dopo Stalingrado, ma al più tardi dopo lo sbarco in
Normandia» (p. 416). Per contro, la maggior parte dei più fanatici ge­
nerali nazisti rifiutarono fino all’ultimo di prendere atto della sconfitta.
Come ricorda lo stesso von Senger, ancora il i° maggio 1945 il feldmare­
sciallo Kesselring, il generale Ròttiger e altri comandanti non avrebbero
acconsentito alla resa se non fosse finalmente giunta la conferma della morte
di Hitler (p. 391). Indicativo del suo stato d’animo è ancora il rammarico
per essere stato posto nella condizione di dovere opporre resistenza agli eser­
citi occidentali impegnati in Italia : infatti il rallentamento della loro avanza­
ta non poteva non avvantaggiare militarmente e politicamente i sovietici, i
quali nel frattempo continuavano a portare innanzi la loro spinta offesiva
verso occidente, precostituendosi un contributo decisivo alla sconfitta del
Terzo Reich (p. 253, 347 e 418). Da una conclusione di questo genere è faci­
le misurare quante riserve fossero implicite nella sua stessa avversione per il
nazismo, che non andava al di là di una critica di carattere conservatore e
che per questa medesima ragione non poteva non accettare una serie di
inevitabili compromessi con il regime e non poteva non subire seri ricatti
politici, fra i quali appunto, in primo luogo, quello dell’antibolscevismo.
Tutto ciò risulta evidente nel giudizio del generale von Senger und
Etterlin sul nazismo e sull’opposizione antinazista. Nel penultimo capitolo
il volume affronta specificamente il tema delle cause della sconfitta della
Germania (pp. 419-438). L ’A. coglie esattamente lo sfondo politico generale
della disfatta tedesca nella prima e nella seconda guerra mondiale come pro­
dotto del complesso dell’ « accerchiamento » dal quale fu afflitta la classe
dirigente tedesca. Condanna tra i precursori del nazismo le tendenze nazio­
nalistiche della Germania guglielmina, la lega pangermanista e il Flotten*
verein, riconosce che anche gli alti comandi della Wehrmacht furono cor­
rotti dal regime nazista, ma esclude una responsabilità diretta dei circoli mi­
litaristici nella nascita del nazionalsocialismo, dimenticando le pesanti con­
nivenze della Reichswehr non soltanto agli esordi del movimento nazista
ma anche nella fase decisiva della conquista del potere, Fronte di Harzburg
compreso. Anzi, con un capovolgimento logico e storico tipico di ogni at-
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Note e discussioni
teggiamento alla Goerdeler, il gen. Senger vede proprio nei Junker delle
regioni orientali, ai quali era strettamente legato il corpo degli ufficiali
prussiani, gli artefici della resistenza al nazismo; solo che nello scoprire alcu­
ni aspetti negativi del nazismo quei medesimi Junker credettero di potersi
assolvere dalla responsabilità di esserne stati i fomentatori e i favoraggiatori. In sostanza, per il Senger le responsabilità della Wehrmacht fu di
avere condiviso l’errore popolare di credere « alla possibilità di conseguire
vittorie decisive sotto una guida geniale sia pure in presenza di un rapporto
di forze sfavorevole ». Le responsabilità della Wehrmacht furono di carat­
tere principalmente tecnico (l’avere sottovalutato il carattere di conflitto
aero-navale-terrestre della guerra moderna sopravvalutando, secondo' gli
schemi tradizionali, la conquista di territorio, senza avere d’altronde la
possibilità di conservare il terreno conquistato e soprattutto di alimentare i
rifornimenti e la produzione bellica) e morale (avere creduto che soltanto
i tedeschi combattessero per un ideale). La principale condanna politica
inflitta a se stessa dalla classe dirigente tedesca consiste nell’avere ripetuto
per ben due volte nel corso' di una generazione l’errore di sostenere una
guerra su due fronti; da questa condanna l’A. ritiene di potere esclu­
dere il corpo degli ufficiali, in quanto non sarebbe democratico attribuirgli
una siffatta responsabilità di carattere politico. Ma tale ragionamento po­
trebbe avere un minimo di validità almeno nei fatti se non in linea di
principio qualora si dimostrasse che effettivamente i vertici militari si asten­
nero dall’intervenire nella vita politica, ciò che non risponde alla realtà
storica nè per quanto concerne la Repubblica di Weimar (non dimentichiamo
che anche allora la presunta neutralità della Reichswehr forgiata da von
Seeckt non fu che un modo di fare politica a vantaggio delle destre) nè
tanto meno per quanto riguarda il nazismo, che senza la corresponsabilità
di molti generali fanatici o benpensanti non avrebbe potuto lanciarsi nel­
l’avventura della guerra e della dominazione dell’Europa.
Tra le cause della sconfitta l’A. riconosce tuttavia la capitolazione del
conservatorismo prussiano di fronte alla borghesia capitalistica e fanatica­
mente nazionalistica, che prese le mosse dalla coalizione delle forze con­
servatrici e nazionalistiche promossa da Hugenberg con il « fronte di
Harzburg ». La sconfitta, cioè, è vista come il risultato del tradimento
degli ideali e dell’ordine conservatori. La condanna del regime nazista è
formulata in primo luogo1 sulla base dell’inconsistenza della sua Weltan­
schauung: l’accoppiamento dell’idea nazionale e di quella socialista non fu
che un trucco demagogico; la pseudofilosofia razzista un surrogato della
religione tradizionale; la politica economica un sistema di sperpero, una
politica tipicamente improduttiva di lavori pubblici e di riarmo, che non
poteva non spingere la Germania alla guerra. Il soffocamento dell’intelli­
genza e la distruzione del diritto completano il quadro del Terzo Reich.
Contro il regime nazista l’unica forza di resistenza fu rappresentata dagli
uomini del 20 luglio: « Esso fu l’unico movimento di liberazione della
storia tedesca che ebbe come obiettivo di eliminare un despota criminale,
seguendo l’imperativo della coscienza. Gli eroi del 20 luglio dovevano
punire le menzogne, che degradarono il popolo tedesco a popolo di sudditi
Note e discussioni
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schiavi dell’autorità » (p. 345); fu triste « che la resistenza contro il regime
hitleriano non avesse trovato risonanza nel popolo tedesco... Ma lo Stato
maggiore, come dimostrò il 20 luglio, fu il nucleo centrale della resisten­
za » (P- 349) (2).
Nel giudizio del nazismo e dell’opposizione l’atteggiamento del gen.
von Senger und Etterlin è quindi sostanzialmente analogo a quello di molti
altri conservatori. Ciò che caratterizza la sua posizione in senso più perso­
nale e lo distingue dall’opinione media fanaticamente nazionalistica è la
convinzione di fondo che la Germania non avrebbe potuto comunque vin­
cere la guerra per ragioni obiettive di superiorità degli avversari, contraria­
mente a quanto afferma la maggior parte dei generali e degli scrittori i
quali a questo proposito si trincerano in un ambiguo silenzio o si preoccu­
pano di rendere responsabili della sconfitta unicamente gli errori di Hitler.
Scrive al riguardo il Senger che forse la Wehrmacht avrebbe anche potuto
vincere qualche altra battaglia, ma la sconfitta militare era implicita nella
sconfitta politica che ne fu la premessa, ossia nell’avere il nazismo provo1cato la coalizione contro la Germania di tutte le potenza mondiali (p. 437).
Abbiamo ritenuto opportuno fornire un ragguaglio sufficientemente
ampio delle idee e della personalità del gen. von Senger und Etterlin
perchè esse offrono la chiave per intendere la maggior parte dei suoi atteg­
giamenti nei confronti degli avvenimenti italiani e dei rapporti italo-tedeschi dall’Asse alla repubblica di Salò. Va da se che anche qui si riflettono
largamente i limiti della sua Weltanschauung conservatrice, aggravati dal
modo di accostarsi alla realtà italiana determinato dalle ragioni del suo
ufficio. E ’ interessante considerare in primo luogo il giudizio dell’A. sul
fascismo e sulla monarchia, che nella contrapposizione e nell’esasperazione
del dualismo tra regime fascista e istituto monarchico risente in maniera
anche troppo evidente del tipo di contatti che il von Senger ebbe in Italia
nell’ambito degli alti comandi e degli alti gradi dell’esercito: « La facciata
mostrava il regime fascista alleato con la monarchia. All’atto della presa
del potere... il fascismo apparentemente non aveva intaccato la monarchia.
Questa era troppa profondamente radicata nel popolo. Particolarmente
profonde erano le sue radici qui in Piemonte, dove la casa regnante sedeva
sul trono da 800 anni. Il monarca fruiva oltre che del prestigio storico anche
di prestigio personale. Il fascismo aveva consolidato il suo prestigio soltanto
esteriormente. Esso stesso aveva optato per la monarchia... in tal modo
aveva portato dalla sua parte molti circoli conservatori. Ne risultò una
tregua interna, che entusiasmò molti cittadini. Ma questa tregua era in­
gannevole. Uno stato non può avere al vertice contemporaneamente un
monarca e accanto a lui un dittatore » (p. 49). Sulla premessa di questo
forzato dualismo che presuppone l’attribuzione alla monarchia di una au(2) Per la critica della concezione del 20 luglio come simbolo della Resistenza
tedesca, che è uno dei motivi fondamentali della storiografìa conservatrice, non ci
pare opportuno ripetere quanto già detto in altra sede; ci limitiamo perciò a rin­
viare alle considerazioni da noi svolte nel saggio Per una storia della opposizione anti­
nazista in- Germania, nella Rivista storica del socialismo, gennaio-aprile 1961,
pp. 105 - 138.
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Note e discussioni
tonoma forza politica che nel 1940 essa non possedeva più assolutamente,
e che del resto mai sotto il fascismo aveva posseduto, l’appoggio di molti
alla monarchia è visto- come un modo di essere contro il fascismo, special­
mente da parte degli intellettuali (p. 50). Si direbbe che qui la valutazione
dell’A. più che essere ispirata ad una visione concreta della realtà italiana
soggiaccia alla nostalgia del conservatore tedesco per una restaurazione mo­
narchica nel Reich.
Il confronto con la situazione tedesca, integralmente dominata dalia
burocrazia e dai gerarchi del partito nazista, suggerisce la constatazione che
in Italia le forze dirigenti tradizionali avevano subito una estromissione
meno radicale dalle funzioni dirigenti di quanto non fosse avvenuto in Ger­
mania : « Il fascismo era diventato, per così dire, il parassita della monar­
chia... Esso si servì di quelle forze, che non vennero meno al servizio dello
Stato fiduciose nella forza motrice della monarchia. Tali forze si trovavano
nell’amministrazione, nella diplomazia e nel corpo degli ufficiali. Tra esse
erano non soltanto monarchici dichiarati, ma anche liberali di ogni sorta,
clericali e senza partito. Atteggiamento più aspro di quello assunto nei
confronti dei borghesi il fascismo assunse contro il concorrente socialismo.
Esso aveva tanto maggior bisogno del favore delle masse, in quanto non
poteva fidarsi completamente della élite intellettuale » (p. 51).
Agli occhi del conservatore cattolico tedesco, rispetto al nazismo il
fascismo aveva un altro punto di vantaggio : l’alleanza con la Chiesa catto­
lica, consacrata nei patti lateranensi, che avevano spogliato il fascismo del
complesso antireligioso così vivo invece nel nazionalsocialismo (p. 52). Sulla
base di siffatte premesse la conclusione sul fascismo non poteva non essere
estremamente convenzionale: « I fenomeni di stanchezza del vecchio fa­
scismo derivarono anche da delusioni. Con lo slancio di una dittatura
giovane, energica, al suo esordio il fascismo aveva realizzato molte buone
cose. I treni erano più puntuali, qualche lordura in luoghi pubblici scom­
parve, furono prosciugate e colonizzate paludi, e altro ancora. Ma non ci
si poteva nascondere che con ciò non erano ancora risolti i veri problemi
dello Stato. Specialmente nell’Italia meridionale persisteva la netta distin­
zione tra ricchi proprietari latifondisti e poverissimi braccianti. La mancan­
za di materie prime rendeva l’economia del paese dipendente dalle espor­
tazioni invisibili del turismo... » (p„ 54). In sostanza però soltanto l’alleanza
con la Germania avrebbe snaturato la vera essenza e l’opera del fascismo
(P- 67}.
Il giudizio tecnico sull’efficienza delle forze armate italiane è in so­
stanza equilibrato ed obiettivo, analogo del resto alle constatazioni già
fatte dal Rintelen. Sin dal 1938, anno in cui ebbe modo di visitare l’Italia
con una missione militare, il gen. Senger aveva potuto constatare le lacune
della preparazione militare italiana, consistenti principalmente nell’assenza
di mezzi corazzati moderni (p. 56). Di ciò, continua lo scrittore tedesco,
il governo italiano era consapevole e appunto per questo esercitò sulla
Germania pressioni in favore della pace, grazie all’opera del conte Ciano e
dello Stato maggiore sotto il comando del maresciallo Badoglio. Ma soprat­
tutto per quanto riguarda Ciano il von Senger ha raccolto la tesi più banale
anche se è certamente la più diffusa : oggi infatti è possibile affermare che le
Note e discussioni
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presunte iniziative del ministro degli esteri Ciano contro la Germania e
contro la guerra non andarono mai al di là delle chiacchiere di corridoio e
degli sfoghi personali di cui rende testimonianza il suo diario. Ma non era
evidentemente con questi sfoghi che si faceva la politica di uno Stato che
pretendeva di essere una grande potenza; è noto fra l’altro che per una
azione più decisa dell’Italia non mancarono soltanto la volontà e l’intelli­
genza dei politici e dei diplomatici responsabili, spesso vennero meno le
stesse premesse di fatto proprio perchè la Germania nazista si guardò bene
dal porre l’alleato italiano direttamente al corrente dei suoi piani bellici.
Del resto, tutte le vicende dell’alleanza italo-tedesca sono intessute di con­
tinui gesti di diffidenza (di reciproche omissioni soprattutto) e di sotterfugi
da entrambe le parti.
In effetti il gen. Senger non si nasconde quale fu la realtà dei rapporti
tra gli alleati dietro l’apparente concordanza di interessi e di obiettivi. L ’af­
fermazione che « l’ascesa di Hitler e del nazionalsocialismo significò l’inizio
della fine del fascismo di Mussolini » caratterizza efficacemente la condi­
zione di subalternanza nei confronti del Reich nella quale il fascismo tra­
scinò l’Italia. In questo processo di subordinazione lo scrittore tedesco di­
stingue tre fasi : dalle sconfitte dell’Asse sui teatri di guerra, alla crescente
influenza del partito fascista nello Stato, alla crescente dipendenza perso­
nale di Mussolini da Hitler (p. 58). Alla fine del 1940, il fallimento dell’ag­
gressione italiana contro la Grecia e le prime sconfitte nell’Africa setten­
trionale segnarono la fine dell’indipendenza dell’Italia nella condotta delle
operazioni militari (p. 59): rivelatasi incapace di sostenere l’urto bellico
l’Italia dovette ricorrere a malincuore, in quanto venivano in tal modo
meno le prospettive di fare una sua guerra e di rivendicare quindi una sua
attiva presenza nel nuovo ordine europeo, all’aiuto dei tedeschi. La Weàrmacht potè tamponare provvisoriamente le falle dell’impreparazione e degli
insuccessi italiani ma non potè realizzare un capovolgimento definitivo della
situazione, anche perchè i suoi strateghi non erano in grado di compren­
dere le esigenze di un settore quale quello mediterraneo nel quale era
essenziale ottenere in primo luogo il dominio del mare e dell’aria.
Abituata e addestrata ad operare in settori continentali, nel corso della
seconda guerra mondiale la Wehrmacht sottovalutò nettamente i fattori
navale e aereo anche quando si trovò ad operare in settori tipicamente
marittimi; si può ricordare a questo riguardo l’esempio della preparazione
dello sbarco in Inghilterra, in cui Hitler soltanto all’ultimo momento si rese
conto di non avere il controllo dell’aria e del mare che era invece assolu­
tamente necessario per tentare con successo l’operazione. D ’altra parte l’in­
tervento dei tedeschi sui fronti italiani lungi dal rinsaldare l’alleanza pro­
vocò la sua prima grossa frattura sul piano politico e suscitò le prime riserve
dell’opinione pubblica italiana nei confronti della guerra, in quanto risul­
tava sempre più evidente quanto essa fosse estranea agli interessi dell’Italia
e costituisse un affare riguardante principalmente la Germania. Era, in
breve, la guerra tedesca.
Il gen. von Senger und Etterlin cerca di dare anche una risposta glo­
bale alle ragioni del fallimento dell’alleanza italo-tedesca. La responsabilità
74
Note e discussioni
principale, egli scrive, risiedette in primo luogo nel carattere stesso dei due
regimi, il fascista e il nazionalsocialista, che non potevano consentire una
collaborazione di tipo democratico nella suprema pianificazione strategica;
in queste condizioni non era possibile ottenere l’adesione del più debole dei
due partners alle esigenze comuni, ossia la subordinazione degli interessi nazionali agli obiettivi generali dell’alleanza, così come era impensabile una
collaborazione organica degli Stati maggiori dei due paesi : fattori tutti
inconciliabili con la natura dei due Stati totalitari (p. 59}. Scendendo a una
specificazione più concreta aggiungiamo che una alleanza con la Germania
nazista era comunque destinata a precipitare verso forme di sopraffazione
da una parte e di subordinazione dall’altra, poiché l’imperialismo nazista
non poteva concepire alcuna collaborazione su piede di parità: l’unico sisterna di alleanza che rispondesse agli ideali e ai metodi dei nazisti era
quello prefigurato dai rapporti stabiliti tra la Germania e il governo francese di Vichy, ossia uno stato di vassallaggio e di assoluta dedizione agli
ordini del Terzo Reich. Ciò è confermato dallo stesso von Senger, allorché
scrive che la perdita di prestigio dell’Italia nel Mediterraneo indusse Hitler
a rafforzare i legami con la Francia, spiegando le ragioni di questo acccHstamento in termini assolutamente inequivocabili : « L ’economia della
Francia rappresentava una importante voce attiva nella condotta econo­
mica della guerra da parte tedesca. L ’Italia invece, per via della carenza
di materie prime, era un territorio supplementare » (p. 63). In altri termi­
ni : l’economia italiana, fin quando almeno si dovessero osservare gli aspet­
ti formali dell’alleanza, ben poco poteva offrire allo sfruttamento tedesco in
confronto all’economia di un paese soggiogato come la Francia, fornitore
per giunta di materie prime.
Sul piano militare è incontestabile che la Werhmacht dovette inter­
venire in Africa per scongiurare la rapida sconfitta dell’Italia, ma non ri­
sponde a verità che Hitler fu costretto a intervenire nei Balcani contro la
sua volontà. Forse l’avventura italiana contro la Grecia indusse Hitler ad
impiegare forme di intervento diverse da quelle divisate in origine, ma
oggi non ci può essere più alcun dubbio che la Germania aveva bisogno di
intervenire nei Balcani per coprirsi le spalle prima di lanciarsi nell’aggres­
sione contro l’Unione Sovietica. Sappiamo infatti che per intervenire in
Grecia Hitler aveva scelto la via della Bulgaria; la liquidazione della Jugo­
slavia giunse invece a scadenza in vista dell’invasione dell’URSS. L ’ege­
monia nei Balcani era essenziale dal punto di vista politico, economico e
militare nel quadro della strategia generale della guerra nazista : agli occhi
della Germania l’Italia non era responsabile di avere aggredito la Grecia
quanto piuttosto di avere turbato con le armi un equilibrio nel quale la
Germania sperava di affermare la sua egemonia con la conquista politica
ed economica; questa formula era già stata adottata con successo in Un­
gheria, in Romania e in Bulgaria ed invano Hitler tentò alla fine di im­
porla anche alla Jugoslavia.
Una collaborazione tra alleati impostata su basi tanto precarie e soprat­
tutto su un simile squilibrio di forze non poteva essere né facile nè priva
di attriti. Gli esempi delle frizioni che caratterizzarono i rapporti reciproci
Note e discussioni
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non mancano neppure in queste memorie. Alla fine del 1941 giunse in
Italia il feldmaresciallo Kesselring al comando di un nuovo corpo aereo
con il compito di proteggere la via dei rifornimenti destinati alla Libia. I
tedeschi pretendevano che al feldmaresciallo fosse attribuito il comando su­
premo di tutte le forze di scorta ai convogli diretti in Africa, ma gli italiani
rifiutarono di accettare tale richiesta (p. 65). Che Kesselring, spalleggiato
da Hitler, fosse insofferente della subordinazione ai comandi italiani (su­
bordinazione del resto relativa, come risulta dalle sue stesse memorie Soldat bis Z.um letften Tag, p. 140) é noto anche attraverso altri episodi.
Così ad esempio nella preparazione della difesa della Sicilia Kesselring
dovette piegarsi a riconoscere al gen. Guzzoni il comando generale delle
forze italiane e tedesche poste a difesa dell’isola, ma nei confronti delle due
divisioni tedesche ivi a sua disposizione adottò una decisione che fu con­
siderata errata così dal Guzzoni come dallo stesso von Senger : fece stan­
ziare una delle due divisioni nella zona orientale e l’altra nella zona occi­
dentale dell’isola, laddove gli altri due generali avrebbero preferito con­
centrare entrambe le divisioni tedesche nella parte orientale, considerandole
riserva più mobile ed efficiente (pp. 156 sgg).
A proposito del comportamento del maresciallo Kesselring, il gen.
von Senger und Etterlin avanza velate critiche in prevalenza contenute sul
piano strettamente tecnico (in particolare alle pp. 186-187), sicché almeno
entro questi limiti il suo libro esercita un certo correttivo nei confronti
delle memorie di Kesselring. Più volte lo definisce ottimista nelle possibilità
di difesa e di resistenza contro la superiorità indiscutibile degli anglo-ameri­
cani (così a pag. 159 e 170). Ma in realtà non si trattava di ottimismo sol­
tanto; Kesselring, e con lui un altro comandante operante in Italia, il feld­
maresciallo von Richthofen comandante della 2a flotta aerea, apparteneva
al gruppo dei generali più strettamente legati al regime nazista e più fana­
ticamente fedeli a Hitler. Proveniva fra l’altro da un’arma, l’aviazione,
nella quale come in nessun’altra vigeva la legge dell’ardimento personale
e della spericolatezza e che era stata la pupilla di Goring nella preparazione
bellica del Reich (Richthofen aveva comandato in Spagna la Legione Con­
dor). Infine Kesselring, che fu tra i generali nazisti che mai dubitarono
della validità e dei limiti della loro unilaterale preparazione professionale,
diffidava chiaramente degli italiani; in Sicilia ad esempio riceveva le sue
informazioni direttamente dal corpo aereo tedesco di stanza nell’isola e
sulla base di tali informazioni, talvolta anche errate, impartiva i suoi or­
dini (pp. 169-170 e ancora a p, 176).
Del pari il von Senger respinge le critiche rivolte da Kesselring a pro­
posito della difesa della Sicilia (p. 166). Il 16 luglio 1943 Kesselring, il
quale evidentemente perseguiva il piano di eliminare ogni potere di co­
mando da parte italiana, ordinò al gen. Hube, comandante del XIV corpo
corazzato, di assumere il comando di tutte le forze tedesche in Sicilia, ciò
che equivaleva alla rottura dell’accordo per il mantenimento di tutte le
forze alleate sotto il comando supremo italiano. Riferisce a questo proposito
il gen. von Senger : « Allorché il feldmaresciallo Kesselring rese nota la
subordinazione al XIV corpo corazzato di tutte le truppe tedesche e con ciò
76
Note e discussioni
praticamente dell’intero fronte, dovette liquidare penosi incidenti. Nello
spostamento di battaglioni tedeschi del tutto inamovibili si era arrivati a
seri scontri con reparti italiani. I comandanti dei battaglioni tedeschi avevano l’ordine di motorizzarsi con i veicoli degli italiani che non combat'
tevano più. Ciò condusse a sparatorie, con morti da entrambe le parti »
(p. 180). Questi erano ormai i termini reali dell’alleanza tra italiani e te­
deschi.
A questo punto è interessante registrare la valutazione complessiva
del gen. Senger riguardo alle esperienze della campagna di Sicilia e soprat­
tutto all’infelice epilogo della difesa dell’isola (pp. 182-187). L ° scrittore
tedesco si preoccupa soprattutto di smentire la tesi, che aleggia fra l’altro
nelle memorie di Kesselring, secondo la quale lo sbarco anglo-americano
ebbe successo grazie al tradimento degli italiani; « l’insuccesso dei difen­
sori deriva dalla superiorità tattica, di materiali e strategica dell’avversario
che portava l’attacco dal mare, sfruttando la sua superiorità sul mare e nel­
l’aria ». In Sicilia gli italiani non combattevano più non perchè fossero dei
traditori ma semplicemente perchè non avevano i mezzi per tenere testa
all’assalto nemico; ma soprattutto, è necessario aggiungere, essi non senti­
vano di combattere la loro guerra. L ’efficienza combattiva e il morale delle
truppe erano minati dalla frattura ormai aperta, prima ancora che tra ita­
liani e tedeschi, tra il popolo italiano e il regime fascista, che sotto il peso
della sconfitta militare incominciava a rivelare anche le sue profonde crepe
interne. Se non si acquisisce- questo giudizio politico sugli avvenimenti
dell’estate del 1943 si è destinati a non comprendere niente della crisi del­
l’Italia, del crollo del fascismo e dell’8 settembre.
Sotto il profilo di più generali considerazioni d’ordine militare, il von
Senger osserva che la Sicilia non fu un caso isolato di insuccesso dell’Asse,
e dei tedeschi in particolare, in fatto di difesa costiera; lo sbarco in Nor­
mandia offrì un esempio ancora più clamoroso della difficoltà di tenere una
lunga linea costiera contro un nemico agguerrito nella tecnica di sbarco e
altresì della inesperienza dei tedeschi in un tipo di operazioni militari di­
verso da quello convenzionale, poggiante cioè sull’aziorre combinata di tutte
le forze della W ehrmacht e non soltanto su quelle terrestri. Le ragioni della
vittoria alleata risiedettero in una serie complessa di elementi ; sulla sor­
presa; sull’inconsistenza di un’artiglieria costiera che riducesse al silenzio
il fuoco delle batterie navali; sul fatto che il nemico riuscì a -portare a terra
contemporaneamente ai reparti di fanteria anche forze corazzate; sulla
schiacciante superiorità aerea degli angloi-americani. Nella difesa della Si­
cilia due tesi si contrapposero nei comandi italo-tedeschi : la prima, alla
quale sembra aderisse anche l’A., non vedeva la possibilità di resistere vit­
toriosamente a uno sbarco in grande stile; la seconda riteneva invece che
fosse ancora possibile infliggere al nemico una sconfitta decisiva: a que­
sta tesi non parve credere neppure lo stesso Hitler. Il maresciallo Kesselring, da poco nominato comandante del settore sudorientale della Wehr­
macht, optò viceversa per la seconda tesi. Il gen. von Senger spiega l’atteg­
giamento del maresciallo non senza una punta di malizia che va messa in
relazione probabilmente alla concorrenza esistente tra Kesselring e Rom-
Note e discussioni
77
mel: « ... si deve supporre che il maresciallo Kesselring sperasse di con'
seguire nell’isola il primo vistoso successo difensivo nella sua qualità di
comandante in capo, e che per questa ragione sostenesse la seconda tesi,
secondo la quale il nemico doveva essere « gettato a mare » all’atto del
suo sbarco ».
Questa conclusione generale sulla difesa della Sicilia non è priva di
significato in quanto implica una più ampia valutazione della situazione
militare dell’Italia che, nonostante il peso unilaterale del giudizio di natura
tecnica, consente tuttavia all’A . di considerare con relativa freddezza e
obiettività la decisione dell’Italia di uscire dal conflitto e di evitare in tal
modo la sconfitta più totale e più disastrosa (la « macchia indelebile » nei
confronti dell’alleato tedesco di cui parla Kesselring). Il gen. von Senger
si avvicina anche al centro del problema politico quando scrive che l’unico
modo di difendere l’Italia era quello di trasformare la difesa del paese in
una « faccenda interessante il popolo » italiano (pp. 188-189), ma non s’av­
vede che per arrivare a un tale risultato non sarebbe stato comunque
sufficiente eliminare gli ostacoli che potessero far ritenere che l’Italia com­
batteva la guerra dei tedeschi e cancellare i sentimenti di umiliazione deri­
vanti nei comandi italiani dalla loro subordinazione ai tedeschi, molti dei
quali — è un generale tedesco che lo attesta — non avevano altro obiettivo
che quello di « liberarsi della zavorra italiana ». Invano per contro una
parte dei tedeschi, e fra questi l’A. comprende anche se stesso, sperò che
la caduta di Mussolini potesse trascinare nel crollo anche il regime nazi­
sta hitleriano.
Con visione prettamente conservatrice e non senza un sentimento
di nostalgia monarchica, il Senger conclude che l’ipotesi del crollo del go­
verno hitleriano presupponeva che sussistesse anche in Germania una for­
za sovrana e autonoma dal regime paragonabile alla monarchia italiana e
capace pertanto di porre fine alla guerra (p. 190). Così inquadrato, il 25
luglio appare allo scrittore tedesco un’iniziativa storica di Vittorio Ema­
nuele III paragonabile alla sua volontà di resistenza dopo Caporetto nella
prima guerra mondiale: ma in realtà il 25 luglio rappresenta per Vittorio
Emanuele una data tutt’altro che gloriosa, rappresenta il tentativo di dis­
sociare Ja sorte della dinastia da quella del regime fascista, del quale piena­
mente aveva condiviso per oltre un ventennio le responsabilità, compresa
quella più criminosa di gettare l’Italia nel conflitto al fianco della Germa­
nia nazista. Infine, il modo di presentare le cose del gen. Senger trascura
totalmente la lunga preparazione e le pressioni esercitate sul sovrano dalla
rinascente opposizione interna, vera interprete ormai dell’animo popolare;
citiamo le parole di uno storico il cui equilibrio di giudizio è insospettabile,
Federico Chabod : « Il 25 luglio è stato preceduto da un lungo lavorio
sotterraneo, col quale i capi antifascisti cercano di spingere il re all’azione.
A questo punto ormai non si tratta più soltanto del diffuso influsso
dell’opinione pubblica, ma di una pressione precisa, con un programma
chiaro e definito, da parte degli antifascisti » (3). Ma, come noteremo’ an(3) F ed erico C h abo d ,
19 61, pp. 112 - 113 .
L ’ Italia
contemporanea
(1918-1948),
Torino,
Einaudi,
78
Note e discussioni
che in seguito, neppure il gen. von Senger und Etterlin riesce a rendersi
conto che nella vita dei popoli non contano soltanto le autorità costituite,
per alte che esse siano.
La caduta di Mussolini fu comunque l’epilogo naturale della guerra
perduta, il tentativo di Badoglio di liquidare la guerra la conseguenza logica della sconfitta. Quanto all’aspetto politico dei mutamento di governo,
esso secondo il Senger non aveva necessariamente un significato antifascista: non soltanto gli avversari del regime, ma anche i fascisti vedevano
avvicinarsi la necessità di un cambio della guardia, e dello stesso Mussolini,
per fare posto a forze più giovani. « Da Badoglio, che era considerato il più
significativo esponente militare del regno, c’era da sperare un governo dalla
mano forte e quindi anche di riforme militari ». Ciò che soprattutto colpì
il von Senger fu « nonostante ogni conoscenza delle debolezze del regime
fascista » la sua scomparsa immediata e completa, da un giorno all’altro,
« senza gloria e senza attriti » (p. 194).
L ’8 settembre colse il gen. Senger in Corsica, dove era appena giunto
per assumere il comando delle forze della Wehrmacht, con l’incarico di
preparare lo sgombero della Sardegna e la difesa della Corsica, nella previsione che non fosse più possibile contare sull’appoggio dell’Italia (pp.
196-211). Prima ancora dell’8 settembre il Comando tedesco aveva preor­
dinato il disarmo degli italiani nel caso in cui dovessero abbandonare la
lotta. Ma neppure un comandante italiano non ostile ai tedeschi, come il
comandante del J° corpo d’armata di stanza in Corsica gen. Magli, fu
disposto a porre le sue forze sotto il comando tedesco. « Nè il feldmare­
sciallo (Kesselring), nè il comando supremo della Wehrmacht hitleriana
comprendevano che un ufficiale italiano potesse trovarsi nella condizione
di eseguire gli ordini del suo governo legittimo, ordini che potevano giun­
gere fino a deporre le armi ». E naturalmente nessuna remora, neppure
l’eventuale accusa di tradimento, poteva distogliere i governanti italiani
dal tentativo di cercare in tal modo la salvezza del loro popolo. « Non mi
meravigliai perciò che il generale Magli come già aveva fatto prima si rifiu­
tasse anche di fronte a me di imporre comandi tedeschi alle sue batterie
costiere, come era stato richiesto da Kesselring. La richiesta era umiliante;
avrebbe nuociuto all’alto morale delle sue truppe ». Avvenuta la firma dell’armistizio, mentre dalla Sardegna i tedeschi poterono defluire indisturbati,
in Corsica il disarmo degli italiani intorno al caposaldo di Bastia provocò
scontri a fuoco tra gli ex alleati. Dopo la presa di Bastia, Hitler, come
riferisce il von Senger, ordinò di fucilare tutti gli ufficiali italiani e di co­
municare entro la sera i nomi dei fucilati; quest’ordine rientrava nelle istru­
zioni emanate dal Comando supremo della Wehrmacht, che aveva pre­
scritto che tutti gli ufficiali italiani fatti prigionieri in combattimento dopo
il io settembre dovessero essere considerati come franchi tiratori e di con­
seguenza ne aveva ordinato la fucilazione. Convinto che gli ufficiali italia­
ni null’altro avevano fatto se non obbedire al loro governo legittimo, il
gen. Senger rifiutò per parte sua di dare esecuzione agli ordini del Coman­
do della Wehrmacht: in questa occasione il feldmaresciallo Kesselring pre­
se atto senza commenti della comunicazione trasmessagli in proposito, ac­
Note e discussioni
79
cettò cioè, « per così dire », il rifiuto1 di obbedienza del suo subordinato.
Nella seconda metà di settembre lo sbarco in Corsica delle forze anglo-americane costrinse i tedeschi ad abbandonare anche quest’isola; ai primi di
ottobre il gen. von Senger era tornato sul continente.
Pochi giorni dopo egli assunse il comando del XIV corpo corazzato
alle dipendenze della decima armata sul fronte di Cassino, prima a difesa
della cosiddetta linea Bernhard, poi della linea Gustav. Non seguiremo
dettagliatamente la lunga descrizione delle battaglie di Cassino (pp. 225328), che diedero modo al gen. von Senger und Etterlin di mettere alla
prova le sue doti di comandante in uno dei settori più importanti del
fronte meridionale. Si tratta infatti di una descrizione di carattere quasi
esclusivamente tecnico, con una analisi obiettiva dei termini della supe­
riorità delle forze avversarie e quindi della ineluttabilità della sconfitta
finale. Ea conoscenza delle più recenti fonti anglo-americane concernenti
i piani alleati di sfondamento sul fronte di Cassino permette all’A. di
discutere e di confrontare le diverse ipotesi operative, con l’esperienza
derivantegli dalla circostanza di essere stato protagonista della dura lotta
che nell’inverno del 1944 rallentò l’avanzata alleata, sino ' all’irruzione at­
traverso }a linea Gustav che aprì l’irresistibile corsa dalla liberazione di
Roma agli avamposti della linea gotica. Nella loro marcia di arretramento
verso la linea gotica le forze tedesche incalzate dagli alleati dovranno fare
i conti anche con i partigiani in azione alle loro spalle : « 11 retro delle di­
visioni combattenti non era più libero, era dominato da bande. Aggres­
sioni erano all’ordine del giorno. Specialmente le strade nella zona boschiva
a nord di Massa marittima venivano continuamente sbarrate. Dovevamo
o deviare i rifornimenti o combattere faticosamente per liberare nuova­
mente le strade. A sua volta neppure il comando potè essere collocato al
centro del settore del corpo perchè le comunicazioni telefoniche dovevano
evitare il territorio posto sotto minaccia dei partigiani » (p. 333); del pari
l’impiego di carri armati era reso più difficile dalle azioni dei partigiani
che « facevano saltare i ponti dinanzi o alle spalle dei Panzer, o erigevano
rapidamente sbarramenti con alberi abbattuti » (p. 335). Il gen. von Senger
riconosce quindi e conferma in pieno l’amportanza militare della lotta
partigiana.
A proposito dell’abbandono delle posizioni dell’Arno e dell’arretra­
mento sulla linea gotica l’A. scrive che questa misura fu decisa fra l’altro
per risparmiare la sorte di Firenze : « Il supremo comando tedesco non vole­
va attribuirsi la responsabilità della possibile distruzione della città. Il ma­
resciallo Kesselring era sempre intervenuto per risparmiare le città italiane »
(p. 341). Ma ciò, occorre ricordare, soltanto nei limiti in cui non fossero
sacrificate le esigenze militari tedesche : a Roma la « città aperta » non
impedì ai tedeschi di servirsi tranquillamente della città per il transito e
lo smistamento delle loro forze, così come a Firenze il loro sacro rispetto
per l’arte non impedì di far saltare i ponti lungo l’Arno. Da un altro punto
di vista vero è invece, come sottolinea il von Senger, che nell’estate del
1944 gli anglo-americani si lasciarono sfuggire l’occasione per trasformare
l’inseguimento delle forze tedesche dopo lo sfondamento del maggio in
8o
Note e discussioni
una rotta decisiva. Anche allora, come nel settembre del 1943, essi non
seppero sfruttare la loro superiorità aero-navale: se invece di sbarcare a
Salerno si fossero serviti della Sardegna e della Corsica come trampolino di
uno sbarco in forze sulla penisola all’altezza di Livorno, sarebbe stato ri­
sparmiato un anno di dura lotta. Ma in realtà per gli alleati l’Italia rap­
presentò sempre un fronte secondario, non l’accesso alla fortezza Europa,
ma semplicemente una posizione sulla quale tenere impegnato un certo
numero di divisioni tedesche, e ciò anche prima che lo sbarco in Norman­
dia concentrasse sul fronte francese lo sforzo principale dell’invasione del
continente da parte occidentale.
L ’avvicinarsi del fronte alla linea gotica, lungo la trasversale appennini­
ca insidiata dai partigiani, induce l’A. ad affrontare più esplicitamente l’ar­
gomento della situazione politica in Italia e della Resistenza. Ovviamente
non si può pretendere che un generale tedesco dimostri eccessiva simpatia
per il movimento partigiano, che più di una volta mise i tedeschi difronte
ad ostacoli che neppure eserciti regolari erano riusciti a creare. Del resto,
basta leggere quanto scrive a proposito della resistenza francese e a favore
del patriottismo degli uomini di Vichy per comprendere fino a qual punto
gli fosse estraneo il concetto della resistenza : « Con la sola resistenza attiva
non si procura pane, non si muove un dito, non si mantiene la vita legale.
La triste storia di questa guerra mostra anzi quante vittime innocenti sia
costata la resistenza attiva » (p. 67). Ciononostante le ragioni della rivolta
antitedesca non gli sfuggono del tutto, anche se questa modesta compren­
sione è accompagnata da ingenuità quasi incredibili, come quando leggiamo
che « le famiglie nobiliari nella zona del vecchio Stato pontificio erano più
lealmente amiche dei tedeschi della nobiltà piemontese » (p. 303), quasi
che tutto ciò nella realtà italiana potesse avere un qualche peso; una osser­
vazione di questo tipo non si spiega soltanto con la mentalità conservatrice
dell’A., che trasferiva alla nobiltà italiana l’importanza e la funzione della
grossa nobiltà prussiana, ma anche con la natura dei rapporti che egli aveva
avuto e probabilmente continuava ad avere con determinati ambienti al­
tolocati della popolazione italiana.
Per quanto concerne i fascisti repubblicani il gen. Senger non ne
tenta la benché minima difesa; nessun dubbio egli nutrì sulla natura del
regime fascista risuscitato dopo l’improvviso e totale tracollo all’ombra
delle armi tedesche, nulla più che una « pura facciata » (p. 302). Anzi i
« fascisti incorreggibili » che credevano ancora ciecamente nella vittoria
del Reich erano per i comandi tedeschi « molto scomodi », creavano piut­
tosto nuove fratture e non già un tramite utile con la popolazione italiana,
anche se può apparire perlomeno strano che queste cose siano dette oggi
proprio da coloro che in quegli anni si servirono dell’eccesso di zelo dei
fascisti repubblicani per affidare loro i più bassi servizi. Ma lo stesso von
Senger provvede a delimitare il significato del diaframma creato dai fascisti
di Salò : ciò che lo colpì non era la frattura tra fascisti e antifascisti ma la
rottura dello stesso fronte conservatore: « Essi creavano’ tra i due popoli
un legame orizzontale, che non vedeva il nemico dall’altra parte del fronte,
ma tra i monarchici, nella Chiesa, nella nobiltà, e nello Stato' maggiore.
Note e discussioni
81
Consideravano la secessione dell’Italia un tradimento di questi circoli « ne­
mici del popolo ». Collaboravano con i compagni di fede dalla parte tede­
sca, avevano stretti rapporti con le SS e il Servizio di sicurezza e presta­
vano loro servigi di delazione contro i comandanti deila Wehrmacht so­
spetti » (p. 303), tra i quali fu lo stesso autore di queste memorie.
Abbiamo già detto che il gen. von Senger und Etterlin rende piena
testimonianza dell’importanza militare che ebbe il movimento partigiano
nel rendere difficile Ja vita ai tedeschi e nell’ostacolame l’organizzazione
e i rifornimenti nelle retrovie. Ciononpertanto egli non è in grado di dare
un’idea adeguata del movimento di Resistenza; anche nel suo racconto le
approssimazioni giungono al limite degli errori di fatto e interpretativi
più banali. In primo luogo non sfugge neppure egli alla tentazione di di­
stinguere i partigiani buoni dai partigiani cattivi, ossia i partigiani di im­
pronta più o meno militare da quelli comunisti. Come la quasi totalità
degli scrittori e memorialisti tedeschi, anche il gen. Senger attribuisce il
comando delle bande non comuniste agli inglesi, ripetendo un errore la
cui origine risale alla stessa propaganda nazista del 1944-45. Pur tenendo
presente che la situazione lungo la linea gotica, in cui effettivamente le
forze partigiane ebbero frequenti scambi di contatto e attuarono forme
di collaborazione operativa con le forze anglo-americane ivi attestate, può
avere favorito il persistere dell’errore, la ragione vera di questa interpreta­
zione è certamente un’altra; essa risiede cioè nell’incapacità dei tedeschi
di rendersi conto di come si fosse potuto sviluppare un movimento parti­
giano di quella imponenza: di fronte a questo fenomeno di partecipazione
democratica alla lotta antifascista essi non seppero trovare altra spiegazione
che quella di attribuirne direttamente alle forze alleate l’organizzazione e
non soltanto, quando ci furono, l’appoggio e il rifornimento. Nella menta­
lità dei tedeschi lo sviluppo di un autonomo movimento popolare era un
fatto quasi inconcepibile, occorreva cercare perciò una autorità costituita
alla quale attribuirne l'origine e questa fu individuata nel nemico « rego­
lare », ossia nel comando supremo alleato.
Ma, in questa direzione, addirittura grottesca è l'affermazione, che del
resto abbiamo riscontrato anche in altre fonti tedesche dell’epoca, secondo
la quale i partigiani erano attirati dalle prospettive di guadagno offerte
dagli alleati (« ... Il nemico cominciò ad arruolare e a portare in campo
partigiani italiani. A questo scopo potevano essere allettanti la paga e un
buon trattamento (Verpflegung) », leggiamo a p. 343). Nessuna meraviglia
che sulla base di tale premessa l’A. tenti di tracciare una separazione netta
tra i terroristi e il resto della popolazione, il cui appoggio ai partigiani è
considerato semplicemente il risultato di una coazione e non già l’espres­
sione di quella larga partecipazione popolare, spesso anche soltanto di tacita
solidarietà e connivenza, senza la quale comunque non sarebbe stata pos­
sibile l’azione delle minoranze e delle formazioni armate. Non meno in­
genua, a meno che non rappresenti un mezzo di autodifesa scaricando tutte
le responsabilità sui fascisti repubblicani, risulta infine la pretesa dell A. di
presentare i tedeschi come estranei alle lotte intestine italiane e di negare
che sia lecito identificare 1 tedeschi con 1 fascisti di Salo. Come se la pre­
82
Note e discussioni
senza dei tedeschi in Italia non fosse stato un elemento determinante nel
divampare della guerra civile che la Resistenza consapevolmente accettò ,e
combattè.
Nell’estate del 1944 la lotta divampava in tutta la sua asprezza. Agli
occhi del genrale tedesco la situazione si presentava in questi termini :
« ... poco lungi dal fronte, sulle strade conducenti dall’altra parte delle
montagne, la vita si fece sempre meno sicura. Larghi settori del popolo italiano erano in rivolta contro l’alleato d’un tempo. Le strade della nostra
ritirata sfociavano nella pianura padana attraverso 100 km. di strade e di
paesi deserti e completamente allo scoperto. Noi non eravamo in grado di
dominare queste strade; aggressioni erano all’ordine del giorno. Afferrare
le bande era difficile. Esse si spostavano in alta montagna da una direzione all’altra. Erano in parte sotto la direzione comunista, in parte sotto
direzione britannica. All’inizio i cosiddetti patrioti si differenziarono dai
comunisti. Accadde così che autovetture aggredite da partigiani borghesi,
che rispettavano la Croce Rossa, venivano lasciate libere e messe al tempo
stesso in guardia contro insidie tese da partigiani rossi sulla stessa strada.
La furia giustificata per tali aggressioni i cui autori non venivano
presi, che si manifesta in ogni crisi, portò a rappresaglie delle truppe tedesche. Ma ad esse le bande potevano sottrarsi e non venivano colpite; al loro
posto, spesso purtroppo furono colpiti elementi innocenti. In tal modo queste rappresaglie sortivano l’effetto contrario a quello cui si mirava. Settori
sempre più larghi della popolazione cominciarono ad odiare i tedeschi. La
stragrande maggioranza degli italiani voleva porre fine alla guerra e vi­
vere in pace. Quando le bande terrorizzavano una località, i tedeschi consi­
deravano la popolazione responsabile di complotto. Tuttavia, per quanto
ciò si ripetesse continuamente, era sbagliato attribuirle la responsabilità delle
azioni delle bande. Certamente c’erano sempre singole persone che avevano
volontariamente aiutato le bande; ma la maggioranza si era piegata alla
violenza. Quasi ogni casa fu invitata e al caso costretta ad ospitare un
nascondiglio di uomini e di materiali, quasi ogni donna ed ogni bambino
furono invitati o costretti a lavorare per i servizi d’informazione, perfino
per i servizi di delazione. Io mi sforzai di oppormi agli eccessi e procedetti
anche contro delitti commessi da parte tedesca. Ma ciò era difficile, spe­
cialmente per quanto concerneva le divisioni sottoposte ai miei ordini
soltonto dal punto di vista tattico, ma da noi del tutto indipendenti sotto
il profilo disciplinare.
Gli sviluppi della situazione avevano privato il governo fascista repubblicano del suo ultimo sostegno presso il popolo italiano. Tra la popo­
lazione le brigate di camicie nere da esso allestite erano certamente più
odiate delle truppe d’occupazione tedesche, dei liberatori alleati e delle
bande di qualsiasi colore. La collaborazione con le camicie nere che ci era
imposta rendeva alla Wehrmacht tedesca ancora più difficile il suo com­
pito, anziché esserle utile. Poiché in tal modo i tedeschi venivano identi­
ficati con la parte più odiata della popolazione italiana... » (pp. 342-343).
Un paragrafo del libro è specificatamente dedicato alle esperienze di
comando vissute dall’A. a partire dall’ottobre del 1944 nel settore di Bo­
Note e discussioni
83
logna, che rientrava nell’ambito operativo del XIV corpo corazzato (4 di­
visioni di fanteria, una di Panzer-Grenadiere ed una di paracadutisti)
(pp. 353-374)* E ’ la parte in cui risulta forse più accentuato il carattere di
autodifesa di queste memorie; si ricava quasi l’impressione che dopo l’ar­
rivo del gen. von Senger Bologna fosse sottratta ad ogni azione bellica,
laddove proprio nei mesi immediatamente successivi non mancarono in
città importanti scontri tra partigiani e tedeschi; purtroppo non disponia­
mo ancora di un documentato studio sulla Resistenza a Bologna, ma certo
molto più di una semplice eco di quegli scontri (fra cui la cosiddetta bat­
taglia di Porta Lame del novembre) si trova già in un vecchio volume
rievocativo di importanti episodi della lotta partigiana in Emilia (4).
Lasciando da parte l’aspetto tecnico-tattico della difesa della linea go­
tica, anche qui maggiore interesse ha per noi il problema dei rapporti tra
gli occupanti tedeschi e la popolazione italiana, nonché tra tedeschi e go­
verno di Salò. Come egli stesso scrive, al suo arrivo a Bologna il gen. von
Senger und Etterlin trovò una situazione pregiudicata dalle misure poco
accorte prese dal suo predecessore : « Soprattutto nel settore immediata­
mente a sud del territorio avanzato occupato dai partigiani, secondo quanto
si diceva, dovevano essere avvenuti gravi eccessi da parte delle truppe te­
desche (5). Il corpo che deteneva in precedenza il comando di questa zona
aveva organizzato rastrellamenti sulla pubblica via per razziare uomini in
grado di lavorare. In tal modo erano state temporaneamente fermate azien­
de di importanza vitale come le officine dell’elettricità e la distribuzione
dell’acqua ed erano occorse serie proteste delle autorità italiane responsabili
per indurre gli uffici tedeschi a desistere nell’interesse comune da tali me­
todi ».
Ma il problema più urgente era rappresentato dalla presenza dei par­
tigiani, i quali ricevevanS sostanziale aiuto da gruppi di disertori tedeschi
particolarmente forti nella zona di Bologna. « Essi dominavano la città
come clandestini e come terroristi (Gangster) ». Proprio poco prima
che il gen. von Senger und Etterlin assumesse il comando del settore, « essi
per esempio avevano effettuato una aggressione a fuoco contro il più im­
portante albergo sparando indiscriminatamente sugli ospiti nella hall, i
quali naturalmente erano in gran parte ufficiali tedeschi e italiani membri
del partito repubblicano » (fascista). L ’A. allude certamente al noto assalto
all’albergo Baglioni, avvenuto il 18 ottobre del 1944, ma non dice che
l’ « albergo » era diventato la sede di comandi tedeschi e della polizia fa­
scista (6). « La nostra organizzazione di controspionaggio — continua il
von Senger — dovette assodare che nella città non c’erano grandi assem­
bramenti di partigiani, poiché a differenza dei partigiani combattenti in
campo aperto essi potevano continuamente eclissarsi. Le uccisioni, anche
tra la popolazione civile, erano all’ordine del giorno. Esse colpivano non
(4) Si tratta del volume Epopea partigiana a cura di Antonio Meluschi, Bolo­
gna, A .N .P .I. 1947.
(5) Allude forse ai fatti di Marzabotto, avvenuti alla fine di settembre?
(6) Si tratta dell’azione citata in Ministero dell’Italia occupata. Bollettino delle
azioni partigiane n.° 16-17 del 15 gennaio 1945, p. 57.
84
Note e discussioni
soltanto l’avversario politico, ma spesso derivavano da motivi di vendetta
e di odio puramente personali. Ciò veniva mascherato ponendo accanto alla
vittima uccisa un cartello con la scritta « Spia tedesca ». L ’accusa poteva
convincere al più italiani creduli, ma non noi che potevamo verificarne la
veridicità ».
Vediamo ora come si disegna il quadro politico del movimento par­
tigiano agli occhi del generale tedesco; a Bologna egli constata che i parti­
giani appartenevano in massima parte all’ala comunista, donde probabil­
mente deriva nel von Senger la sottovalutazione dell’aspetto militare e la
loro riduzione sul terreno puramente terroristico, che al limite non sono
evidentemente due fatti scindibili proprio nella guerra partigiana. Nota a
questo punto l’A. che « la direzione di questi gruppi da parte di fiduciari
alleati non era possibile. Essi (i gruppi comunisti: N. d. R.) non potevano
neppure assumere compiti militari, quali l’interruzione delle linee di rifor­
nimento o la lotta contro le truppe tedesche. Essi invece erano certamente
in collegamento con l’altro movimento, con il cosiddetto ” Comitato di li­
berazione ” ». Bisogna proprio dire che l’idea della contrapposizione tra
partigiani buoni e partigiani cattivi doveva essere ben radicata nella testa
dei tedeschi se ancor oggi (ma non è questo il solo elemento che dimostra
l’esistenza di una indubbia continuità storico-politica) il generale tedesco
può incorrere nell’equivoco quasi incredibile di ritenere che il Comitato di
liberazione nazionale fosse un movimento diverso e concorrente rispetto
all’organizzazione partigiana comunista; evidentemente il fatto che i co­
munisti fossero parte integrante e militante del Comitato di liberazione
urta troppo bruscamente contro il clichè di comodo della spartizione tra
partigiani comunisti e partigiani non comunisti, ovvero agli ordini del co­
mando alleato.
Nei rapporti con le autorità italiane il gen. von Senger fa distin­
zione netta tra organi politico-amministrativi e milizia fascista; buoni
rapporti ebbe infatti con le autorità civili di Bologna (il prefetto Fantozzi,
il podestà Agnoli e il commissario generale per l’Emilia). Carattere pura­
mente formale o interessante unicamente la Chiesa ebbero i suoi incontri con
esponenti delle gerarchie ecclesiastiche (con il priore dei domenicani Casati
e il cardinale Nasalli Rocca), i quali non vollero compromettersi sul terreno
politico. Più difficili furono invece i contatti con le organizzazioni militari
o paramilitari fasciste. « Indubbia lealtà » nei confronti dei tedeschi mani­
festò la Guardia nazionale repubblicana; questa e i tedeschi avevano come
« comune nemico » le Camicie nere. Il giudizio espresso su queste ultime
dal generale von Senger ribadisce l’impressione che i tedeschi avrebbero
fatto volentieri a meno della presenza dei fascisti, se non altro per potere
avere la libertà di agire senza neanche quel minimo di scrupoli formali
che era loro imposto dall’esistenza dei fascisti come alleati. Altra preoccu­
pazione dei tedeschi poteva essere quella di eliminare gli estremisti fascisti
che inasprendo i contrasti intestini italiani non potevano non evocare un
maggior impegno della lotta antifascista e della resistenza contro l’occupan­
te nazista. D’altra parte è chiaro nel disegno politico dei tedeschi il tenta­
tivo di scaricare sulla divisione e sugli odii tra italiani le responsabilità di
Note e discussioni
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una situazione della quale essi stessi avevano posto le premesse con l’occu­
pazione dell’Italia. Anche il rispetto formale della giurisdizione dei tribu­
nali italiani, che il gen. von Senger porta ad esempio dei limiti d’interfe­
renza nelle questioni italiane da lui osservati, va visto in realtà nel quadro
della politica dei tedeschi di atteggiarsi ad arbitri tra due fazioni di italiani
in lotta fra loro; il ribadire oggi un simile atteggiamento è la riprova dello
scarso senso di critica e di autocritica storica comune alla maggior parte
della memorialistica tedesca.
Ciò premesso, la testimonianza del generale von Senger sulle « cami­
cie nere » non potrebbe essere più negativa : « Esse erano un vero flagello
per la popolazione, tanto odiate dai cittadini animati da intenti pacifici
quanto dalle citate autorità e da me. Nelle camicie nere si raccoglievano i
fanatici membri del partito. Dedite sino alla morte, acriticamente e « fidei­
sticamente » al Duce, non rifuggivano da alcun assassinio, da alcuna azione
intimidatrice, soprattutto quando si trattava di liquidare avversari politici.
Gente del mio stampo era ostile nei loro confronti per il semplice fatto che
esse consideravano quali loro veri alleati dalla parte tedesca il Servizio di si­
curezza e le SS ». A questo punto l’A. ricorda un episodio preciso di con­
flitto tra fascisti e tedeschi di cui fu protagonista durante la sua permanenza
a Bologna. Si tratta dell’allontanamento dalla città dell’ « anima nera » delle
camicie nere bolognesi, « un professore universitario della facoltà di medi­
cina », che egli non nomina ma che era il famigerato Franz Pagliani. Per via
del suo estremismo il Pagliani cadde in contrasto con le autorità civili di
Salò e con lo stesso comandante tedesco (« Si teneva dietro le quinte, non
era possibile indurlo ad un colloquio e si trincerava dietro il cosiddetto
” federale ” , il capo delle brigate nere, un uomo inaccessibile... »). Alla
fine di novembre del 1944 « furono uccisi a tradimento a Bologna quattro
stimati cittadini », i quali si erano « compromessi come avversari del fa­
scismo, tentando dopo la caduta di Mussolini nel 1943 di ricostituire i vec­
chi partiti ». L ’episodio riferito dal gen. Senger in questa forma si riferisce
evidentemente all’uccisione del prof. Busacchi, dell’avv. Svampa, dell’avv.
Maccaferri e dell’industriale Pecori « perchè favorevoli ai patrioti », come
si dice in un rapporto della 7* brigata garibaldina G.A.P. « Gianni » (7).
La voce pubblica, conferma il Senger, attribuì la responsabilità dell’assas­
sinio al « professore », il quale era appoggiato dal segretario del partito fa­
scista repubblicano Pavolini e che comunque non era facile spodestare « in
quanto le camicie nere avevano sostenuto notevoli sacrifici di sangue nella
lotta contro i partigiani, e quindi in favore della causa tedesca ». Grazie
però alla comprensione dell’ambasciatore Rahn, il generale tedesco potè
agire contro il « professore » e il federale, che furono allontanati da Bolo­
gna. « L ’allontanamento del professore portò tranquillità nei fronti politici
interni di Bologna. L ’autorità delle truppe d’occupazione e delle autorità
statali e cittadine collaboranti con esse ne risultò consolidata. La lotta contro
(7)
In Ministero dell’ Italia occupata. Un mese di lotta armata in Emilia e Romagna (dicembre 1944), Roma, 1945» P* 7°* ^-a testimonianza del generale tedesco
è particolarmente significativa perchè a suo tempo i fascisti attribuirono ai parti­
giani l’ uccisione dei quattro.
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Note e discussioni
le camicie nere era popolare; le loro sopraffazioni si erano rivolte contro
civili, non contro soldati tedeschi ». In questa frase il memorialista tedesco
cerca di compensare il riconoscimento dell’impopolarità della presenza te­
desca in Italia vantando almeno il presunto ristabilimento della calma a
Bologna una volta allontanatine i più facinorosi capi fascisti. Ma ad onta
delle sue affermazioni la lotta continuò senza tregua, fino alla liberazione
fin quando i tedeschi furono costretti ad abbandonare la città alla vigilia
dell’insurrezione.
L ’ultima testimonianza del libro che vale la pena di ricordare riguarda
appunto le intenzioni dei tedeschi circa la sorte riservata a Bologna. Data
la sua vicinanza al fronte non era possibile conferirle lo status di « città aper­
ta », che del resto sappiamo con quanta elasticità fu interpretato a Roma
da Kesselring. Intenzione dei comandi tedeschi, Kesselring compreso, era
in origine di risparmiare al massimo la città: per questa ragione il gen. von
Senger und Etterlin avrebbe fatto sbarrare il centro di Bologna, « anzitutto
per motivi inerenti alla lotta contro le bande, alla protezione dei soldati
tedeschi e per considerazioni d’ordine disciplinare ». Tuttavia in un secondo
tempo Kesselring decise che in caso di sfondamento alleato la città dovesse
essere difesa sino all’ultimo; se questa ipotesi non si verificò fu soltanto
perchè l’offensiva finale alleata si sviluppò con una manovra di aggiramento
alle spalle delle posizioni tedesche, di modo che la città fu « isolata e con­
segnata senza lotta, senza disordini e senza insurrezioni ».
ENZO COLLOTTI
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