GARBATELLA: LA CITTA` GIARDINO Prima tappa – Piazza

GARBATELLA: LA CITTA’ GIARDINO
Prima tappa – Piazza Benedetto Brin
Nel panorama dei percorsi turistici più amati della città di Roma, la Garbatella si è fatta largo
a poco a poco imponendosi come uno degli itinerari più pittoreschi e apprezzati della città.
Questo non solo grazie alle sue inimitabili peculiarità, che ne fanno un laboratorio
architettonico e sociale davvero unico, ma anche grazie al generale movimento di
riqualificazione urbana che da qualche tempo a questa parte sta vivendo l’intero quadrante
cittadino dislocato sul primo tratto della Via Ostiense. Gli occhi di istituzioni (culturali e non) e
delle nuove avanguardie artistiche si sono puntati su questo quartiere, dalla storia singolare
che in parte si conoscerà attraverso questo percorso.
Perché quest’introduzione focalizzata sul più ampio quartiere Ostiense? Perché per poter
parlare della nascita della Garbatella non si può non tenere conto della particolare storia di
questa zona cittadina, individuata, ancora prima dell’Unità d’Italia, quale centro industriale
della città di Roma. Uno sforzo immaginativo è perciò necessario per porre le basi per la visita
alla Garbatella.
Fino agli anni Quaranta dell’Ottocento il quartiere Ostiense è a tutti gli effetti un suburbio,
quella zona rurale intimamente connessa con la città (soprattutto per ragioni di
approvvigionamento e commerci) appena fuori le Mura aureliane sviluppatosi lungo la via
consolare. Le terre, che si estendono quasi senza traccia di costruzioni, sono per la maggior
parte di proprietà dell’Abbazia benedettina di San Paolo fuori le mura e vengono coltivate
prevalentemente a vite, orto e prato per il maggese.
Nonostante non esistano agglomerati urbani veri e propri, se non in prossimità della Basilica di
San Paolo (bruciata nel 1823), sostanziosa è la presenza umana: molti sono i braccianti
cittadini che animano i campi durante le giornate di lavoro, molti sono anche gli operai che si
occupano del trasporto di materiale da costruzione. Per tutti questi uomini e donne che
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passano l’intera giornata fuori le mura in un territorio di campagna sorgono ben presto
numerose osterie, punti di ristoro e socializzazione.
E’ a partire dagli anni Quaranta dell’Ottocento che questa secolare ambientazione agreste
subisce le prime timide trasformazioni verso la modernità: il suburbio viene collegato alla
città mediante un omnibus; nel 1859 viene inaugurata la stazione ferroviaria di Porta Portese
all’altezza del porto di Ripa Grande per collegare Roma a Civitavecchia (lo scalo portuale più
vicino) mentre nel 1863 viene battezzato dallo stesso Pio IX Mastai Ferretti il nuovo
importantissimo ponte ferroviario sul Tevere, il Ponte dell’Industria.
L’entrata in scena del termine “industria” anticipa i destini di questo territorio. Già nel Piano
regolatore di Roma del 1883 (strutturato per trasformare la capitale d’Italia in una città
all’avanguardia) l’area del quartiere Ostiense viene individuata come perfetta zona su cui
edificare il nascente polo industriale romano. Le ragioni sono di natura strategica:
 la zona è attraversata dal fiume Tevere, bacino infinito di acqua per tutte le
operazioni di produzione e smaltimento industriale;
 si trova al centro di un efficiente sistema di collegamento ferroviario (da
Civitavecchia fino alla Stazione Termini);
 presenta una vasta estensione pianeggiante adatta alla costruzione di grandi
impianti industriali;
 è sufficientemente vicina al nucleo urbano di Roma ma abbastanza lontana da
non interferire con il ruolo prettamente politico e di rappresentanza della città;
 da ultimo, ma forse fattore decisivo per l’individuazione dell’Ostiense come zona
industriale, il collegamento con il mare, tanto fluviale quanto terrestre.
E’ quest’ultimo elemento a segnare la mossa vincente nel progetto espansionistico di Roma
ideato dall’ingegnere e tecnocrate Paolo Orlando, a capo prima del Comitato pro Roma
Marittima poi dello SMIR (Ente Autonomo per lo Sviluppo marittimo e industriale di Roma),
che offre un decisivo impulso per il finanziamento di grandi opere in questo settore della città.
E’ così che grazie all’incessante opera di Paolo Orlando e alla determinazione della giunta di
Ernesto Nathan (che inaugura un nuovo più coerente PRG nel 1909) il quadrante Ostiense si va
arricchendo di imprese di vario genere: dalle nuove Officine del Gas della Società angloromana, al nuovo Porto Fluviale di San Paolo, dalla Centrale termoelettrica Montemartini ai
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Magazzini e Mercati generali, dai Consorzi agricoli allo Stabilimento Colla e Concimi (poi Mira
Lanza) a cui si aggiungono i noti stabilimenti della Vetreria Faiella (una parte dei quali è
diventata il rettorato dell’Università Roma Tre) e dell’Olea Romana (sede della Croce Rossa di
cui sopravvive la ciminiera).
In questo contesto di fervore industriale matura l’idea di creare un nuovo centro abitativo
per ospitare gli operai impiegati nella zona. L’area individuata è quella dei “Colli di San
Paolo”, occupata da vasti poderi, prevalentemente coltivati a vite, appartenenti a nobili
famiglie romane tra cui la maggior parte di proprietà dei Grazioli. L’aspetto dei colli è perciò
prettamente rurale: casali, qualche villa suburbana e la piccola chiesa dedicata ai santi
contadini Isidoro ed Eurosia, posta lungo il percorso di pellegrinaggio delle Sette Chiese,
pratica liturgica secolare rivivificata da san Filippo Neri. I terreni espropriati entrano a far
parte del patrimonio fondiario dello SMIR di Paolo Orlando che cede a sua volta gli
appezzamenti all’Istituto Case Popolari (ICP) con il compito di edificare un moderno
quartiere residenziale per gli operai della sottostante zona industriale sul modello delle
Garden-Cities inglesi e tedesche.
La prima pietra viene posta il 18 febbraio del 1920 alla presenza del re Vittorio Emanuele III e
nei successivi dieci anni si costruirà febbrilmente in tutti i lotti di terreno in cui viene suddivisa
l’area. La lastra murata presso l’arco del Lotto 5 ricorda ancora in tono entusiastico la
solennità dell’inaugurazione di questo “aprico quartiere” per gli “artefici del Rinascimento
economico della capitale”.
Chi furono i responsabili del progetto? Da cosa deriva l’idea della Città-Giardino? In quegli anni
presso l’ICP erano impiegati alcuni tra i più celebri e promettenti architetti del panorama
romano del calibro di Gustavo Giovannoni, Marcello Piacentini, Plinio Marconi, Innocenzo
Sabbatini. Tutti cresciuti seguendo il nobilissimo ideale dell’Associazione artistica fra i cultori
di architettura, fondata nel 1890 con il preciso scopo di restituire dignità alla più nobile delle
arti, l’architettura, incentivandone lo studio e la ricerca estetica e funzionale. E’ su questi due
punti che si concentra l’attività di questa classe di architetti ed ingegneri particolarmente
sensibili alle novità che si erano sviluppate nell’ambito degli studi architettonici inglesi e
tedeschi: innovazioni consistenti nell’individuare come base della moderna architettura non
solo l’edificio in sé (la sua elaborazione formale ed estetica) ma anche il paesaggio circostante
che con cui il monumento deve essere in costante strettissimo dialogo.
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Quando l’Istituto riceve la committenza del nuovo quartiere operaio l’intenzione è quella di
applicare al progetto le idee già sviluppate in Gran Bretagna dall’architetto Howard nel 1903
con la fondazione della prima Garden-City di Letchworth: un quartiere suburbano nato dalla
necessità di decongestionare il centro cittadino dall’eccessiva densità abitativa e di contro
arginare il problema dello spopolamento della campagna, creando un nucleo residenziale che
sommi in sé i benefici dell’uno e dell’altro contesto abitativo. La città-giardino di Howard viene
costruita nel verde, composta da piccole case unifamiliari con orti privati e provvista di tutti i
servizi necessari ad assicurare ai residenti una buona qualità di vita: teatro, parchi, sedi
amministrative, poste e tutti gli altri servizi.
Prendendo ad esempio il modello di Howard Giovannoni e Piacentini si dedicano alla
progettazione del piano regolatore del nuovo quartiere, suddividendo il terreno in lotti ed
affidando l’ideazione di ciascuno agli altri architetti dell’ICP. L’impianto generale del quartiere
disegnato da Giovannoni e Piacentini ha i propri fondamenti su pochi sintetici elementi:

il rispetto della morfologia del territorio, senza procedere a livellamenti e sbancamenti
delle alture;

l’impianto viario mistilineo convergente su un sistema di piccole piazze;

l’individuazione di prospettive pittoresche;

la realizzazione di abitazioni modeste ma curate nell’aspetto estetico e funzionale.
Il primo settore a cui lavora la squadra di architetti è quello composto dai Lotti 1-5 di Piazza
Brin (1920-1923), in parte scomparsi, che costituiscono la porta di accesso al quartiere,
affettuosamente denominata dagli abitanti il “Pincetto” della Garbatella.
L’entrata scenica è rappresentata dalla scalinata
progettata da Plinio Marconi che collega la via
Ostiense all’altura soprastante. Questo primo
nucleo consta di 40 casette per sobborghi
giardino, a divisione orizzontale e verticale
attorniati da un piccolo pezzo di terra destinato
ad orto; gli alloggi sono composti da 2/3 vani con
bagno (senza acqua corrente fino agli anni Cinquanta). Non fa parte dei 40 villini l’edificio di
maggior mole che campeggia al centro della piazza, opera di Innocenzo Sabbatini, che
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rappresenta un tipico esempio dello stile architettonico utilizzato in questa prima fase dei
lavori.
Il Lotto 5 presenta una planimetria rigidamente simmetrica con la sua forma a C; tuttavia tale
rigorosa impostazione viene del tutto nascosta dal movimento delle masse che si osserva
dall’esterno. Tutto l’edificio è infatti strutturato sulla sapiente alternanza dei pieni e dei vuoti,
degli aggetti e dei piani, delle luci e delle ombre in modo tale da non rendere il lotto monotono
e noioso, ma dinamico e sempre pronto a rivelare nuove visuali. Ma oltre al gioco delle masse
ciò che salta subito all’occhio è il singolare repertorio decorativo dell’edificio che raccoglie
elementi appartenenti alle più svariate tradizioni: dalle gargolle delle cattedrali medievali alle
loggette rinascimentali, dal bugnato dello zoccolo quattrocentesco all’arco a ghiera
paleocristiano delle finestre. E’ il celebre barocchetto romano a fare la sua prima grande
comparsa alla Garbatella.
Dalla Piazza Benedetto Brin si entra all’interno del rione attraverso l’arco centrale e si
procede nel percorso di visita percorrendo Via Luigi Orlando fino a Piazza Bartolomeo
Romano. Lungo la via si possono notare i Lotti 2 e 3 immersi nel verde mentre al termine della
strada la tipologia abitativa comincia a modificarsi in favore di una maggiore densità abitativa
(Lotto 9), da collocarsi in campagne edilizie successive.
Seconda tappa – Piazza Bartolomeo Romano
In Piazza Bartolomeo Romano si trova una delle attrazioni principali del quartiere l’ex Cinema
Teatro Garbatella chiamato oggi il Palladium realizzato tra il 1927 e il 1931 dall’Istituto Case
Popolari come simbolica porta d’ ingresso al
quartiere della Garbatella. Il progetto fu redatto
dall’architetto Innocenzo Sabbatini. Per la sua
realizzazione
Sabbatini
abbandona
barocchetto
romano
per
il
ispirarsi
all’architettura della Roma antica. Il CinemaTeatro assolveva al ruolo di centro ricreativo e sociale del quartiere. Qui venivano
calendarizzati spettacoli teatrali, film e cinegiornali. Gli operai, gli impiegati, i manovali e tutti i
lavoratori della Garbatella si ritrovavano nei giorni di riposo in questo luogo, per godere del
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divertimento che il Governatorato permetteva loro di avere. La struttura in condizione di forte
degrado è stata di recente restaurata ( 2003) grazie al contributo dell'Università di Roma Tre,
la quale l’aveva acquistato l’anno precedente per farne un laboratorio di arte e di spettacolo a
disposizione degli studenti dell’ateneo. I lavori di ristrutturazione hanno riportato il Palladium
ai suoi antichi splendori, con il giallo ocra delle colonne, il rosso porpora delle pareti e il
turchese del soffitto.
Vi è però anche l’edificio dei Bagni Pubblici, realizzato sul progetto di I. Sabbatini e inaugurato
nel 1928. Lo stile dell’architetto si discosta dai precedenti interventi dell’Istituto Case Popolari
del quartiere, egli si distacca dal barochetto romano e assume le caratteristiche dello stile
classico monumentale ispirato ai ritrovamenti fatti in quel periodo dell’antica Roma.
Gli ex Bagni pubblici furono concepiti per sopperire alla mancanza di acqua corrente in molti
dei lotti del quartiere. L’edificio era composto da una sorta di piccolo impianto termale in cui i
residenti potevano recarsi per curare la propria igiene in maniera più completa di quanto fosse
possibile all’interno delle case (dove pure erano presenti i bagni, non tutti provvisti dell’allaccio
idrico necessario). Una volta alla settimana tutti si recavano presso i bagni, dove, esattamente
come accadeva nella società dell’antica Roma, si era creato un ambiente di incontro e
socializzazione. Vi è inoltre una vista del lotto 8.
Dalla piazza si può entrare in Via Francesco Passino dove troviamo il lotto 13.
Terza tappa – Via Francesco Passino, lotto 13
Il lotto 13 situato sulla Via Francesco Passino è un perfetto esempio di garden city,
con delle palazzine progettate da I. Sabbatini nel 1926. Quello che colpisce di più, è lo
stile con il quale queste palazzine sono decorate e costruite. La Garbatella è famosa per
il suo stile ecclettico, il barocchetto romano diffusosi negli anni 20 del XX secolo.
Il termine fu coniato per lo stile utilizzato nella realizzazione della Garbatella da
Gustavo Giovannoni, architetto e ingegnere italiano. Le costruzioni sono ispirate alle
città – giardino inglesi, ma la linea architettonica prevalente è quella del Barocchetto
Romano,uno stile rustico, tipico del tardo medioevo. Vediamo dei stucchi con figure di
animali e fregi di sapore medioevale, finestre alte e strette con arco a tutto sesto,
torrini, balconcini, semitorri cilindriche (bow-window) che interrompono le superfici
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piane delle mura o poste all'angolo dell'edificio. Il sistema costruttivo adottato è quello
in voga dell’epoca, vengono utilizzate le pietre, il tufo e il mattone a vista. Per le
coperture notiamo dei tetti alla marsigliese oppure con tegole romane. Oltre ai partiti
decorativi, gli edifici sono definiti da un rivestimento di intonaco di malta, di calce e
pozzolana, successivamente tinteggiato. Per quanto riguarda i colori possiamo
osservare ocre gialle, chiare e scure e le ocre rosse. Gli architetti attribuivano una certa
importanza all'aspetto estetico. Infatti c'era questo rapporto tra qualità e quantità e
bellezza e funzionalità.
Quarta tappa – Via Francesco Passino, stucchi lotto 12
Uscendo dal Lotto 13 si ripercorre Via Francesco Passino fino ad arrivare al fianco laterale del
Lotto 12. Come il Lotto 13 anche il Lotto 12 appartiene ad una terza fase edilizia da collocarsi
fra il 1926 e il 1930 quando si propone con urgenza
l’emergenza abitativa nella capitale.
Nella generale opera di riqualificazione della città si procede
da una parte alla creazione di nuove arterie stradali e
monumenti celebranti il regime fascista nel centro storico e
dall’altra si smantellano i cosiddetti “villaggi abissini”, le
baraccopoli nate per il continuo flusso migratorio verso
Roma che aveva dato luogo alla realizzazione spontanea di
questi agglomerati poverissimi a ridosso delle Mura aureliane
e nelle pieghe più profonde della città.
Migliaia di famiglie si ritrovano improvvisamente senza
alloggio ma rassicurate dal Governatorato dell’assegnazione
di una casa popolare. Il problema residenziale viene tradotto dal punto di vista
architettonico nell’abbandono della tipologia del villino e nell’adozione della palazzina, in
parte snaturando l’originario progetto della Città-Giardino.
La palazzina fornisce una serie di vantaggi inappellabili:
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
grazie al suo superiore alzato permette la realizzazione di un maggior numero di alloggi
nello stesso lotto (aumentando così la densità abitativa);

risponde a quelle esigenze particolari di persone sole a cui mal si adatta il villino
autonomo;

permette l’inserimento coerente all’interno del tessuto urbano delle botteghe da
apprestarsi al piano terreno dei fabbricati sul fronte strada.
Dal punto di vista stilistico l’adozione di questa tipologia comporta una serie di rinunce rispetto
ai moduli architettonici adottati in precedenza. In particolare si ribalta il rapporto tra verde e
costruito, scomparendo l’orto individuale in favore di un giardino comune interno da
affiancare a spazi collettivi come il cortile e lo stenditoio.
Ciò che tuttavia non viene trascurato dai progettisti è l’aspetto estetico delle abitazioni,
credendo fortemente nell’importanza etica e civile di spazi belli per garantire una buona
qualità di vita.
In questo senso gli stucchi della facciata laterale del Lotto 12 su via Francesco Passino
offrono un’eloquente testimonianza.
Si tratta di interessanti decorazioni realizzate artigianalmente dalle maestranze attive nei
cantieri che riprendono i caratteri iconografici tipici della città di Roma. Oltre alle finte colonne
tortili che sorreggono la finta arcata (rimando agli archi trionfali romani da una parte e
citazione delle famose colonne tortili del Bernini, a sua volta mutuate da tradizioni precedenti)
vi sono una sorta di stemmi, assimilabili ai più famosi blasoni romani sparsi per la città (il
drago, il leone, l’aquila). Ed ancora girandosi verso il fianco del Lotto 14 si possono notare
medaglioni in stucco rappresentanti divinità classiche, puntuale ripresa di un lessico
antiquario.
Sembrano in apparenza meri partiti decorativi ma nascondono un importante elemento
caratterizzante la Garbatella: l’artigianalità. Sempre aggiornati sulle correnti stilistiche e di
pensiero europee gli architetti dell’Associazione artistica fra i cultori di architettura rimangono
fortemente impressionati dagli Arts and Crafts, movimento per la riforma delle arti decorative
che contrappone l’autentico e sempre diverso prodotto artigianale alla produzione seriale
della società industrializzata. Molti dei progettisti dei Lotti si affidano perciò a maestranze
altamente specializzate nella creazione delle decorazioni architettoniche, spesso delegando a
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queste la composizione ultima d’insieme (come si può ben vedere confrontando i progetti e le
realizzazioni finali).
Quinta tappa – Lotto 12
Entrando nel Lotto 12 per esaminare le sue caratteristiche decorative e architettoniche si ha
quasi l’impressione di immergersi in un borgo a
sé stante, una città-castello, così distante dal
carattere del Lotto 13 che pure si trova appena al
di là della strada.
Percorrendo il cortile del lotto si notano infatti
soluzioni decorative non presenti nei precedenti
edifici che rispecchiano un gusto e delle “fonti”
totalmente diverse. Qui si introduce il tema
fondamentale del “regionalismo”, movimento nato in seno agli studi di architettura che si
propone come obiettivo primario del nuovo costruire il rispetto delle tradizioni tanto spaziali
quanto temporali di ciascun paese e località. Gli architetti ed ingegneri dell’ICP, come si è
potuto constatare nel Lotto 5 di Sabbatini, subito aderiscono a tali correnti di pensiero,
sviluppando nella Garbatella quasi un pastiche di tradizioni architettoniche differenti. Se nel
Lotto 13 forte è l’impronta degli stilemi architettonici del Cinque-Seicento, entrando nel Lotto
12 ci si cala immediatamente in un’atmosfera più borghigiana, trasportati in
un’ambientazione pseudomedievale.
Si notino le torrette che sporgono dai corpi di fabbrica delle residenze, gli archi d’ingresso
gettati da un edificio all’altro (e a Roma il paragone corre subito ai rioni romani di Ponte e
Parione), si vedano le colonnine tortili che reggono finte arcate, chiaramente mutuate dai
chiostri cosmateschi di Roma e del Lazio, si pensi ai mascheroni e ai pavoni in stucco. Vi è nella
logica alla base della progettazione del quartiere un profondo rispetto del contesto storico,
tradizionale e ambientale del luogo che si è irrimediabilmente perso nel boom di edilizia
minimalista degli anni Cinquanta.
Uscendo dal Lotto 12 si prosegue su Via Francesco Passino per arrivare in Piazza Damiano
Sauli.
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Sesta tappa – Piazza Damiano Sauli
In Piazza Damiano Sauli si trova la maestosa scuola elementare “Cesare Battisti”, realizzata
nel 1930 in pieno ventennio fascista per far fronte al bisogno di servizi di una borgata che
andava crescendo sempre di più. Intitolata,
per volontà di Mussolini, a Michele
Bianchi, un gerarca fascista che aveva
partecipato alla marcia su Roma.
La scuola ospitava 72 classi e l’attività
didattica si svolgeva al mattino e al
pomeriggio con il servizio mensa per i
bambini bisognosi. Il sabato si facevano
esercitazioni “premilitari” per i ragazzi di 17-18 anni. I bambini più piccoli, vestiti da Balilla,
imparavano l’uso del moschetto, mentre per le bambine erano previste attività di taglio-cucitostiro e confezione. Nell’edificio funzionavano due diverse direzioni e circoli didattici: una
sezione
maschile
e
l’altra
femminile.
Con l’inizio della guerra l’edificio perse la sua specifica funzione e nel 1943 venne requisito per
circa un anno dall’esercito. Nel 1944 i locali della scuola furono assegnati agli sfollati che vi
rimasero fino al 1953/54.
Al termine della guerra la scuola tornò lentamente a funzionare, e cambiò nome, fu
intitolata a Cesare Battisti, patriota che morì per la conquista del Trentino durante la prima
guerra mondiale.
Settima tappa – Lotto 25
Dalla Piazza Damiano Sauli si oltrepassano i famosi archetti comparsi nel film “Caro diario” di
Nanni Moretti per continuare su Via Giovanni Battista
Magnaghi per poi svoltare a sinistra in Via Cuniberti.
Si entra nella parte più intima e pittoresca della
Garbatella in cui torna la tipologia abitativa a villino
curata dall’architetto Plinio Marconi. Si tratta delle
cosiddette “case a riscatto” edificate per fitti
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temporanei con patti di futura vendita.
Attraversando il Lotto 25 si può notare il ritorno di un’atmosfera intima e quasi rurale.
Uscendo dalla parte opposta di Via Cuniberti si imbocca a sinistra Via Ansaldo per entrare
all’interno del Lotto 52.
Ottava tappa – Lotto 52
Il Lotto 52 è forse uno degli scorci più pittoreschi della Garbatella, quasi un piccolo giardino
fatato. Ci si trova nel “Giardino di Nonno Franco”, fiabesco spettacolo per gli occhi.
Nona tappa – Facciata lotto 55
Uscendo dal Lotto 52 e riprendendo Via Giovanni Ansaldo il percorso prevede una piccola
sosta davanti al Lotto 55, che grazie al tufo utilizzato nella sua decorazione esterna offre
l’opportunità di aprire una breve parentesi circa i materiali costruttivi utilizzati per
l’edificazione della Garbatella.
In accordo con le idee regionaliste i materiali
impiegati per le abitazioni si collocano sul solco
della
tradizione
architettonica
romana:
abbonda il tufo e il laterizio di derivazione
classica. Inoltre nella costruzione degli edifici
un ruolo fondamentale è svolto dallo studio del
sottosuolo del nascente quartiere, percorso dai
cunicoli delle Catacombe di Commodilla (in cui durante i bombardamenti si rifugiano gli
abitanti) e caratterizzato dalla presenza di cave di pozzolana.
Per raggiungere la successiva tappa si continua su Via Ansaldo fino alla Piazza Nicola
Longobardi.
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Decima tappa – Scuoletta
In Piazza Nicola Longobardi si trova un luogo interessante della Garbatella: la Scuoletta, il nome
dato dagli abitanti del rione alla scuola dell’infanzia Luigi Luzzatti. L'edificio fu progettato per far
fronte all'aumento della popolazione a seguito della costruzione dei lotti per i sfrattati e i
sbaraccati di Roma. Non è affatto una scuola qualunque: a
parte il legame affettivo che la lega agli abitanti del
quartiere che l’hanno frequentata, possiede un particolare
pregio artistico in quanto altro non è che una vecchia villa
della nobiltà papalina risalente al ‘500, il cui nome
originario era Villa Rosselli . Il ricordo di villa rurale rimane
grazie anche alla presenza di un pozzo e di una fontana.
La struttura odierna è opera dell’architetto Innocenzo Sabatini, che concepì questa “Scuola dei
Bimbi” fra il 1927 e il 1931. All’originario corpo centrale l’architetto Innocenzo Sabbatini aggiunse
lateralmente due nuove strutture, una su via Magnaghi e l’altra su via Rocco da Cesinale. Qui il
linguaggio è classico. Il prospetto principale è impostato sul portico centrale sorretto da tre
colonne e sulla loggia superiore scandita da sei colonne; la pianta è costruita a delimitare il
giardino, ritenuto ormai elemento indispensabile per l’educazione dei bambini e direttamente
accessibile oltre che dal portico posteriore e dal corridoio, anche da due aule.
Undicesima tappa – Alberghi suburbani
Furono realizzati tra il 1927 e il ’29, intorno a piazza Michele da Carbonara (lotti 41, 42, 43,
44), quattro grandi edifici destinati ad ospitare provvisoriamente le famiglie sfrattate o senza
tetto per effetto delle opere di sventramento. Gli
Alberghi Suburbani sono a tutti gli effetti dei
contenitori in cui trovano luogo i dormitori, le cucine,
le mense, i bagni.
Nell’Albergo Rosso (lotto 42) è presente la chiesa e la
scuola elementare, mentre nell’Albergo Bianco (lotto
41) è situata la maternità ( probabilmente in cemento armato). Gli alloggi erano costituiti da
stanze singole con arredo standard per ogni nucleo familiare, mentre tutti i servizi erano in
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comune. In particolare, colpisce l’Albergo Rosso, dietro al quale si cela una storia molto
particolare: l’orologio che sormonta l’edificio per moltissimo tempo è rimasto fermo sull’ora
dell’inizio dei bombardamenti su Roma del 1944, per la precisione le 11:25; quest’orologio è
stato a lungo considerato come l’emblema della resistenza e della ribellione contro la guerra.
Dodicesima tappa – Ritratto della Garbatella
Raggiunto uno dei confini del quartiere rappresentato dagli alberghi suburbani si prende Viale
Guglielmo Massaia per giungere in Piazza Geremia Bonomelli dove sul fronte di una palazzina
campeggia il ritratto di una donna dal seno scoperto, simbolo del quartiere: è l’ostessa che
secondo alcune tradizioni ha dato il nome alla Garbatella.
Nell’epoca in cui sui Colli di San Paolo si estendevano tenute e poderi, la locanda di questa
ostessa garbata e bella (da cui Garbatella) offriva a lavoratori, viandanti e pellegrini pasti caldi
e riposo, con una particolare attenzione a quanti si trovavano nell’indigenza.
Chi tramanda questa tradizione vede nel seno scoperto del ritratto il simbolo iconografico della
carità. Secondo altri invece l’ostessa nella sua locanda offriva conforti di ben altra natura, in
questo aiutata dal suo bell’aspetto.
Al di là delle varie tradizioni giunte fino a noi che tentano di spiegare l’origine del toponimo
popolare della Garbatella è opportuno ricordare che all’atto di posa della prima pietra il 18
febbraio del 1920 il nuovo quartiere operaio doveva chiamarsi Concordia, in segno di
distensione sociale soprattutto in risposta ai moti riottosi
del
Bienno
rosso
(1919-1920),
nome
che
viene
prontamente rifiutato dalla comunità dei residenti. In
sostituzione i funzionari comunali propongono il più
romano Remuria, affidando la nuova denominazione alla
leggenda secondo cui la città fondata da Remo non fosse
localizzata sull’Aventino ma proprio presso la Garbatella.
Sono i nuovi abitanti a rifiutare nettamente queste
proposte e ad imporre l’adozione ufficiale del toponimo
tradizionale.
Lasciando la Piazza Geremia Bonomelli si continua su Via Roberto De Nobili fino a Piazza
Ricoldo da Montecroce.
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Tredicesima tappa – Fontana Carlotta
In Piazza Ricoldo da Montecroce si trova un altro emblema del quartiere, la Fontana Carlotta.
Questa fontana storica che si compone del volto di una
fanciulla è così chiamata dal nome dell’ostessa garbata e
bella, anche se secondo altre opinioni la locandiera era
una certa Maria.
Accanto alla fontana lungo una delle alture del quartiere
si articola una celebre scalinata, la Scala degli
Innamorati, così conosciuta perché proprio in questo
punto così pittoresco del rione sono nati numerosi amori
che hanno permesso la creazione di una comunità
ancora più compatta.
Moltissimi sono i bambini ed i ragazzi che trovano
alloggio nelle case popolari della Garbatella una volta ultimato il quartiere (si pensi che
all’interno di un lotto mediamente vi sono tra i 30 e i 40 bambini) e tra molti di questi, se si
chiede ai più longevi residenti, nascono simpatie e affetti. Nei loro racconti un motivo
ricorrente è proprio l’incontro segreto presso la fontana Carlotta, inviati dai genitori per
rifornire gli appartamenti senza allaccio idrico di acqua.
Si tratta di storie comuni di vite quotidiane che ancora oggi rappresentano il segno distintivo
che fa della Garbatella il quartiere vivo e popolare per eccellenza.
Quattordicesima tappa – Piazza Eurosia
In Piazza Eurosia si trova la Chiesa dei Santi Isidoro ed Eurosia, rispettivamente il Santo
dei contadini e la Prottetrice dei raccolti contro la grandine. La piccola cappella di
campagna fu costruita nel 1818 su un progetto dell’architetto Giuseppe Valadier (colui che
ideò la “scenografia urbana” del Pincio e di Piazza del Popolo). La data di edificazione è
indicata in una vecchia lapide posta sul frontone del portico, accanto a due medaglioni
raffigurati San Carlo Borromeo e San Filippo Neri, si dice che qui, su via delle Sette Chiese,
si incontrarono nel 1575.
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Nei primi anni Venti l’Ordine dei Filippini si trasferì dal centro di Roma in questa chiesa e
nel 1936 Padre Alfredo Melani aprì nei locali annessi al luogo di culto, l’oratorio di San
Filippo Neri, luogo d’incontro e di crescita di tante generazioni di giovani del quartiere.
Nella chiesa di San Filippo Neri tra il 16 ottobre 1943 ed il 4 giugno 1944, due preti, don
Alfredo Melani e don Alessandro Daelli, nascosero all’interno della chiesa molti ebrei,
famiglie intere.
Quindicesima tappa – Bar dei Cesaroni
La nostra passeggiata si conclude qui, presso questo Bar che
ultimamente ha dato ancora maggiore notorietà al quartiere di
Garbatella.
La passeggiata "Garbatella: la città giardino" è stata pensata e realizzata dalle volontarie in
servizio civile di Agisco Alina Bakalenko e Marta Santacroce.
Per maggiori informazioni:
329. 6636084
@sullaviaostiense
[email protected]
@ViaOstiense
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www.sullaviaostiense.it
SullaViaOstiense