GARBATELLA: LA CITTA’ GIARDINO Prima tappa – Piazza Benedetto Brin Nel panorama dei percorsi turistici più amati della città di Roma, la Garbatella si è fatta largo a poco a poco imponendosi come uno degli itinerari più pittoreschi e apprezzati della città. Questo non solo grazie alle sue inimitabili peculiarità, che ne fanno un laboratorio architettonico e sociale davvero unico, ma anche grazie al generale movimento di riqualificazione urbana che da qualche tempo a questa parte sta vivendo l’intero quadrante cittadino dislocato sul primo tratto della Via Ostiense. Gli occhi di istituzioni (culturali e non) e delle nuove avanguardie artistiche si sono puntati su questo quartiere, dalla storia singolare che in parte si conoscerà attraverso questo percorso. Perché quest’introduzione focalizzata sul più ampio quartiere Ostiense? Perché per poter parlare della nascita della Garbatella non si può non tenere conto della particolare storia di questa zona cittadina, individuata, ancora prima dell’Unità d’Italia, quale centro industriale della città di Roma. Uno sforzo immaginativo è perciò necessario per porre le basi per la visita alla Garbatella. Fino agli anni Quaranta dell’Ottocento il quartiere Ostiense è a tutti gli effetti un suburbio, quella zona rurale intimamente connessa con la città (soprattutto per ragioni di approvvigionamento e commerci) appena fuori le Mura aureliane sviluppatosi lungo la via consolare. Le terre, che si estendono quasi senza traccia di costruzioni, sono per la maggior parte di proprietà dell’Abbazia benedettina di San Paolo fuori le mura e vengono coltivate prevalentemente a vite, orto e prato per il maggese. Nonostante non esistano agglomerati urbani veri e propri, se non in prossimità della Basilica di San Paolo (bruciata nel 1823), sostanziosa è la presenza umana: molti sono i braccianti cittadini che animano i campi durante le giornate di lavoro, molti sono anche gli operai che si occupano del trasporto di materiale da costruzione. Per tutti questi uomini e donne che 1 passano l’intera giornata fuori le mura in un territorio di campagna sorgono ben presto numerose osterie, punti di ristoro e socializzazione. E’ a partire dagli anni Quaranta dell’Ottocento che questa secolare ambientazione agreste subisce le prime timide trasformazioni verso la modernità: il suburbio viene collegato alla città mediante un omnibus; nel 1859 viene inaugurata la stazione ferroviaria di Porta Portese all’altezza del porto di Ripa Grande per collegare Roma a Civitavecchia (lo scalo portuale più vicino) mentre nel 1863 viene battezzato dallo stesso Pio IX Mastai Ferretti il nuovo importantissimo ponte ferroviario sul Tevere, il Ponte dell’Industria. L’entrata in scena del termine “industria” anticipa i destini di questo territorio. Già nel Piano regolatore di Roma del 1883 (strutturato per trasformare la capitale d’Italia in una città all’avanguardia) l’area del quartiere Ostiense viene individuata come perfetta zona su cui edificare il nascente polo industriale romano. Le ragioni sono di natura strategica: la zona è attraversata dal fiume Tevere, bacino infinito di acqua per tutte le operazioni di produzione e smaltimento industriale; si trova al centro di un efficiente sistema di collegamento ferroviario (da Civitavecchia fino alla Stazione Termini); presenta una vasta estensione pianeggiante adatta alla costruzione di grandi impianti industriali; è sufficientemente vicina al nucleo urbano di Roma ma abbastanza lontana da non interferire con il ruolo prettamente politico e di rappresentanza della città; da ultimo, ma forse fattore decisivo per l’individuazione dell’Ostiense come zona industriale, il collegamento con il mare, tanto fluviale quanto terrestre. E’ quest’ultimo elemento a segnare la mossa vincente nel progetto espansionistico di Roma ideato dall’ingegnere e tecnocrate Paolo Orlando, a capo prima del Comitato pro Roma Marittima poi dello SMIR (Ente Autonomo per lo Sviluppo marittimo e industriale di Roma), che offre un decisivo impulso per il finanziamento di grandi opere in questo settore della città. E’ così che grazie all’incessante opera di Paolo Orlando e alla determinazione della giunta di Ernesto Nathan (che inaugura un nuovo più coerente PRG nel 1909) il quadrante Ostiense si va arricchendo di imprese di vario genere: dalle nuove Officine del Gas della Società angloromana, al nuovo Porto Fluviale di San Paolo, dalla Centrale termoelettrica Montemartini ai 2 Magazzini e Mercati generali, dai Consorzi agricoli allo Stabilimento Colla e Concimi (poi Mira Lanza) a cui si aggiungono i noti stabilimenti della Vetreria Faiella (una parte dei quali è diventata il rettorato dell’Università Roma Tre) e dell’Olea Romana (sede della Croce Rossa di cui sopravvive la ciminiera). In questo contesto di fervore industriale matura l’idea di creare un nuovo centro abitativo per ospitare gli operai impiegati nella zona. L’area individuata è quella dei “Colli di San Paolo”, occupata da vasti poderi, prevalentemente coltivati a vite, appartenenti a nobili famiglie romane tra cui la maggior parte di proprietà dei Grazioli. L’aspetto dei colli è perciò prettamente rurale: casali, qualche villa suburbana e la piccola chiesa dedicata ai santi contadini Isidoro ed Eurosia, posta lungo il percorso di pellegrinaggio delle Sette Chiese, pratica liturgica secolare rivivificata da san Filippo Neri. I terreni espropriati entrano a far parte del patrimonio fondiario dello SMIR di Paolo Orlando che cede a sua volta gli appezzamenti all’Istituto Case Popolari (ICP) con il compito di edificare un moderno quartiere residenziale per gli operai della sottostante zona industriale sul modello delle Garden-Cities inglesi e tedesche. La prima pietra viene posta il 18 febbraio del 1920 alla presenza del re Vittorio Emanuele III e nei successivi dieci anni si costruirà febbrilmente in tutti i lotti di terreno in cui viene suddivisa l’area. La lastra murata presso l’arco del Lotto 5 ricorda ancora in tono entusiastico la solennità dell’inaugurazione di questo “aprico quartiere” per gli “artefici del Rinascimento economico della capitale”. Chi furono i responsabili del progetto? Da cosa deriva l’idea della Città-Giardino? In quegli anni presso l’ICP erano impiegati alcuni tra i più celebri e promettenti architetti del panorama romano del calibro di Gustavo Giovannoni, Marcello Piacentini, Plinio Marconi, Innocenzo Sabbatini. Tutti cresciuti seguendo il nobilissimo ideale dell’Associazione artistica fra i cultori di architettura, fondata nel 1890 con il preciso scopo di restituire dignità alla più nobile delle arti, l’architettura, incentivandone lo studio e la ricerca estetica e funzionale. E’ su questi due punti che si concentra l’attività di questa classe di architetti ed ingegneri particolarmente sensibili alle novità che si erano sviluppate nell’ambito degli studi architettonici inglesi e tedeschi: innovazioni consistenti nell’individuare come base della moderna architettura non solo l’edificio in sé (la sua elaborazione formale ed estetica) ma anche il paesaggio circostante che con cui il monumento deve essere in costante strettissimo dialogo. 3 Quando l’Istituto riceve la committenza del nuovo quartiere operaio l’intenzione è quella di applicare al progetto le idee già sviluppate in Gran Bretagna dall’architetto Howard nel 1903 con la fondazione della prima Garden-City di Letchworth: un quartiere suburbano nato dalla necessità di decongestionare il centro cittadino dall’eccessiva densità abitativa e di contro arginare il problema dello spopolamento della campagna, creando un nucleo residenziale che sommi in sé i benefici dell’uno e dell’altro contesto abitativo. La città-giardino di Howard viene costruita nel verde, composta da piccole case unifamiliari con orti privati e provvista di tutti i servizi necessari ad assicurare ai residenti una buona qualità di vita: teatro, parchi, sedi amministrative, poste e tutti gli altri servizi. Prendendo ad esempio il modello di Howard Giovannoni e Piacentini si dedicano alla progettazione del piano regolatore del nuovo quartiere, suddividendo il terreno in lotti ed affidando l’ideazione di ciascuno agli altri architetti dell’ICP. L’impianto generale del quartiere disegnato da Giovannoni e Piacentini ha i propri fondamenti su pochi sintetici elementi: il rispetto della morfologia del territorio, senza procedere a livellamenti e sbancamenti delle alture; l’impianto viario mistilineo convergente su un sistema di piccole piazze; l’individuazione di prospettive pittoresche; la realizzazione di abitazioni modeste ma curate nell’aspetto estetico e funzionale. Il primo settore a cui lavora la squadra di architetti è quello composto dai Lotti 1-5 di Piazza Brin (1920-1923), in parte scomparsi, che costituiscono la porta di accesso al quartiere, affettuosamente denominata dagli abitanti il “Pincetto” della Garbatella. L’entrata scenica è rappresentata dalla scalinata progettata da Plinio Marconi che collega la via Ostiense all’altura soprastante. Questo primo nucleo consta di 40 casette per sobborghi giardino, a divisione orizzontale e verticale attorniati da un piccolo pezzo di terra destinato ad orto; gli alloggi sono composti da 2/3 vani con bagno (senza acqua corrente fino agli anni Cinquanta). Non fa parte dei 40 villini l’edificio di maggior mole che campeggia al centro della piazza, opera di Innocenzo Sabbatini, che 4 rappresenta un tipico esempio dello stile architettonico utilizzato in questa prima fase dei lavori. Il Lotto 5 presenta una planimetria rigidamente simmetrica con la sua forma a C; tuttavia tale rigorosa impostazione viene del tutto nascosta dal movimento delle masse che si osserva dall’esterno. Tutto l’edificio è infatti strutturato sulla sapiente alternanza dei pieni e dei vuoti, degli aggetti e dei piani, delle luci e delle ombre in modo tale da non rendere il lotto monotono e noioso, ma dinamico e sempre pronto a rivelare nuove visuali. Ma oltre al gioco delle masse ciò che salta subito all’occhio è il singolare repertorio decorativo dell’edificio che raccoglie elementi appartenenti alle più svariate tradizioni: dalle gargolle delle cattedrali medievali alle loggette rinascimentali, dal bugnato dello zoccolo quattrocentesco all’arco a ghiera paleocristiano delle finestre. E’ il celebre barocchetto romano a fare la sua prima grande comparsa alla Garbatella. Dalla Piazza Benedetto Brin si entra all’interno del rione attraverso l’arco centrale e si procede nel percorso di visita percorrendo Via Luigi Orlando fino a Piazza Bartolomeo Romano. Lungo la via si possono notare i Lotti 2 e 3 immersi nel verde mentre al termine della strada la tipologia abitativa comincia a modificarsi in favore di una maggiore densità abitativa (Lotto 9), da collocarsi in campagne edilizie successive. Seconda tappa – Piazza Bartolomeo Romano In Piazza Bartolomeo Romano si trova una delle attrazioni principali del quartiere l’ex Cinema Teatro Garbatella chiamato oggi il Palladium realizzato tra il 1927 e il 1931 dall’Istituto Case Popolari come simbolica porta d’ ingresso al quartiere della Garbatella. Il progetto fu redatto dall’architetto Innocenzo Sabbatini. Per la sua realizzazione Sabbatini abbandona barocchetto romano per il ispirarsi all’architettura della Roma antica. Il CinemaTeatro assolveva al ruolo di centro ricreativo e sociale del quartiere. Qui venivano calendarizzati spettacoli teatrali, film e cinegiornali. Gli operai, gli impiegati, i manovali e tutti i lavoratori della Garbatella si ritrovavano nei giorni di riposo in questo luogo, per godere del 5 divertimento che il Governatorato permetteva loro di avere. La struttura in condizione di forte degrado è stata di recente restaurata ( 2003) grazie al contributo dell'Università di Roma Tre, la quale l’aveva acquistato l’anno precedente per farne un laboratorio di arte e di spettacolo a disposizione degli studenti dell’ateneo. I lavori di ristrutturazione hanno riportato il Palladium ai suoi antichi splendori, con il giallo ocra delle colonne, il rosso porpora delle pareti e il turchese del soffitto. Vi è però anche l’edificio dei Bagni Pubblici, realizzato sul progetto di I. Sabbatini e inaugurato nel 1928. Lo stile dell’architetto si discosta dai precedenti interventi dell’Istituto Case Popolari del quartiere, egli si distacca dal barochetto romano e assume le caratteristiche dello stile classico monumentale ispirato ai ritrovamenti fatti in quel periodo dell’antica Roma. Gli ex Bagni pubblici furono concepiti per sopperire alla mancanza di acqua corrente in molti dei lotti del quartiere. L’edificio era composto da una sorta di piccolo impianto termale in cui i residenti potevano recarsi per curare la propria igiene in maniera più completa di quanto fosse possibile all’interno delle case (dove pure erano presenti i bagni, non tutti provvisti dell’allaccio idrico necessario). Una volta alla settimana tutti si recavano presso i bagni, dove, esattamente come accadeva nella società dell’antica Roma, si era creato un ambiente di incontro e socializzazione. Vi è inoltre una vista del lotto 8. Dalla piazza si può entrare in Via Francesco Passino dove troviamo il lotto 13. Terza tappa – Via Francesco Passino, lotto 13 Il lotto 13 situato sulla Via Francesco Passino è un perfetto esempio di garden city, con delle palazzine progettate da I. Sabbatini nel 1926. Quello che colpisce di più, è lo stile con il quale queste palazzine sono decorate e costruite. La Garbatella è famosa per il suo stile ecclettico, il barocchetto romano diffusosi negli anni 20 del XX secolo. Il termine fu coniato per lo stile utilizzato nella realizzazione della Garbatella da Gustavo Giovannoni, architetto e ingegnere italiano. Le costruzioni sono ispirate alle città – giardino inglesi, ma la linea architettonica prevalente è quella del Barocchetto Romano,uno stile rustico, tipico del tardo medioevo. Vediamo dei stucchi con figure di animali e fregi di sapore medioevale, finestre alte e strette con arco a tutto sesto, torrini, balconcini, semitorri cilindriche (bow-window) che interrompono le superfici 6 piane delle mura o poste all'angolo dell'edificio. Il sistema costruttivo adottato è quello in voga dell’epoca, vengono utilizzate le pietre, il tufo e il mattone a vista. Per le coperture notiamo dei tetti alla marsigliese oppure con tegole romane. Oltre ai partiti decorativi, gli edifici sono definiti da un rivestimento di intonaco di malta, di calce e pozzolana, successivamente tinteggiato. Per quanto riguarda i colori possiamo osservare ocre gialle, chiare e scure e le ocre rosse. Gli architetti attribuivano una certa importanza all'aspetto estetico. Infatti c'era questo rapporto tra qualità e quantità e bellezza e funzionalità. Quarta tappa – Via Francesco Passino, stucchi lotto 12 Uscendo dal Lotto 13 si ripercorre Via Francesco Passino fino ad arrivare al fianco laterale del Lotto 12. Come il Lotto 13 anche il Lotto 12 appartiene ad una terza fase edilizia da collocarsi fra il 1926 e il 1930 quando si propone con urgenza l’emergenza abitativa nella capitale. Nella generale opera di riqualificazione della città si procede da una parte alla creazione di nuove arterie stradali e monumenti celebranti il regime fascista nel centro storico e dall’altra si smantellano i cosiddetti “villaggi abissini”, le baraccopoli nate per il continuo flusso migratorio verso Roma che aveva dato luogo alla realizzazione spontanea di questi agglomerati poverissimi a ridosso delle Mura aureliane e nelle pieghe più profonde della città. Migliaia di famiglie si ritrovano improvvisamente senza alloggio ma rassicurate dal Governatorato dell’assegnazione di una casa popolare. Il problema residenziale viene tradotto dal punto di vista architettonico nell’abbandono della tipologia del villino e nell’adozione della palazzina, in parte snaturando l’originario progetto della Città-Giardino. La palazzina fornisce una serie di vantaggi inappellabili: 7 grazie al suo superiore alzato permette la realizzazione di un maggior numero di alloggi nello stesso lotto (aumentando così la densità abitativa); risponde a quelle esigenze particolari di persone sole a cui mal si adatta il villino autonomo; permette l’inserimento coerente all’interno del tessuto urbano delle botteghe da apprestarsi al piano terreno dei fabbricati sul fronte strada. Dal punto di vista stilistico l’adozione di questa tipologia comporta una serie di rinunce rispetto ai moduli architettonici adottati in precedenza. In particolare si ribalta il rapporto tra verde e costruito, scomparendo l’orto individuale in favore di un giardino comune interno da affiancare a spazi collettivi come il cortile e lo stenditoio. Ciò che tuttavia non viene trascurato dai progettisti è l’aspetto estetico delle abitazioni, credendo fortemente nell’importanza etica e civile di spazi belli per garantire una buona qualità di vita. In questo senso gli stucchi della facciata laterale del Lotto 12 su via Francesco Passino offrono un’eloquente testimonianza. Si tratta di interessanti decorazioni realizzate artigianalmente dalle maestranze attive nei cantieri che riprendono i caratteri iconografici tipici della città di Roma. Oltre alle finte colonne tortili che sorreggono la finta arcata (rimando agli archi trionfali romani da una parte e citazione delle famose colonne tortili del Bernini, a sua volta mutuate da tradizioni precedenti) vi sono una sorta di stemmi, assimilabili ai più famosi blasoni romani sparsi per la città (il drago, il leone, l’aquila). Ed ancora girandosi verso il fianco del Lotto 14 si possono notare medaglioni in stucco rappresentanti divinità classiche, puntuale ripresa di un lessico antiquario. Sembrano in apparenza meri partiti decorativi ma nascondono un importante elemento caratterizzante la Garbatella: l’artigianalità. Sempre aggiornati sulle correnti stilistiche e di pensiero europee gli architetti dell’Associazione artistica fra i cultori di architettura rimangono fortemente impressionati dagli Arts and Crafts, movimento per la riforma delle arti decorative che contrappone l’autentico e sempre diverso prodotto artigianale alla produzione seriale della società industrializzata. Molti dei progettisti dei Lotti si affidano perciò a maestranze altamente specializzate nella creazione delle decorazioni architettoniche, spesso delegando a 8 queste la composizione ultima d’insieme (come si può ben vedere confrontando i progetti e le realizzazioni finali). Quinta tappa – Lotto 12 Entrando nel Lotto 12 per esaminare le sue caratteristiche decorative e architettoniche si ha quasi l’impressione di immergersi in un borgo a sé stante, una città-castello, così distante dal carattere del Lotto 13 che pure si trova appena al di là della strada. Percorrendo il cortile del lotto si notano infatti soluzioni decorative non presenti nei precedenti edifici che rispecchiano un gusto e delle “fonti” totalmente diverse. Qui si introduce il tema fondamentale del “regionalismo”, movimento nato in seno agli studi di architettura che si propone come obiettivo primario del nuovo costruire il rispetto delle tradizioni tanto spaziali quanto temporali di ciascun paese e località. Gli architetti ed ingegneri dell’ICP, come si è potuto constatare nel Lotto 5 di Sabbatini, subito aderiscono a tali correnti di pensiero, sviluppando nella Garbatella quasi un pastiche di tradizioni architettoniche differenti. Se nel Lotto 13 forte è l’impronta degli stilemi architettonici del Cinque-Seicento, entrando nel Lotto 12 ci si cala immediatamente in un’atmosfera più borghigiana, trasportati in un’ambientazione pseudomedievale. Si notino le torrette che sporgono dai corpi di fabbrica delle residenze, gli archi d’ingresso gettati da un edificio all’altro (e a Roma il paragone corre subito ai rioni romani di Ponte e Parione), si vedano le colonnine tortili che reggono finte arcate, chiaramente mutuate dai chiostri cosmateschi di Roma e del Lazio, si pensi ai mascheroni e ai pavoni in stucco. Vi è nella logica alla base della progettazione del quartiere un profondo rispetto del contesto storico, tradizionale e ambientale del luogo che si è irrimediabilmente perso nel boom di edilizia minimalista degli anni Cinquanta. Uscendo dal Lotto 12 si prosegue su Via Francesco Passino per arrivare in Piazza Damiano Sauli. 9 Sesta tappa – Piazza Damiano Sauli In Piazza Damiano Sauli si trova la maestosa scuola elementare “Cesare Battisti”, realizzata nel 1930 in pieno ventennio fascista per far fronte al bisogno di servizi di una borgata che andava crescendo sempre di più. Intitolata, per volontà di Mussolini, a Michele Bianchi, un gerarca fascista che aveva partecipato alla marcia su Roma. La scuola ospitava 72 classi e l’attività didattica si svolgeva al mattino e al pomeriggio con il servizio mensa per i bambini bisognosi. Il sabato si facevano esercitazioni “premilitari” per i ragazzi di 17-18 anni. I bambini più piccoli, vestiti da Balilla, imparavano l’uso del moschetto, mentre per le bambine erano previste attività di taglio-cucitostiro e confezione. Nell’edificio funzionavano due diverse direzioni e circoli didattici: una sezione maschile e l’altra femminile. Con l’inizio della guerra l’edificio perse la sua specifica funzione e nel 1943 venne requisito per circa un anno dall’esercito. Nel 1944 i locali della scuola furono assegnati agli sfollati che vi rimasero fino al 1953/54. Al termine della guerra la scuola tornò lentamente a funzionare, e cambiò nome, fu intitolata a Cesare Battisti, patriota che morì per la conquista del Trentino durante la prima guerra mondiale. Settima tappa – Lotto 25 Dalla Piazza Damiano Sauli si oltrepassano i famosi archetti comparsi nel film “Caro diario” di Nanni Moretti per continuare su Via Giovanni Battista Magnaghi per poi svoltare a sinistra in Via Cuniberti. Si entra nella parte più intima e pittoresca della Garbatella in cui torna la tipologia abitativa a villino curata dall’architetto Plinio Marconi. Si tratta delle cosiddette “case a riscatto” edificate per fitti 10 temporanei con patti di futura vendita. Attraversando il Lotto 25 si può notare il ritorno di un’atmosfera intima e quasi rurale. Uscendo dalla parte opposta di Via Cuniberti si imbocca a sinistra Via Ansaldo per entrare all’interno del Lotto 52. Ottava tappa – Lotto 52 Il Lotto 52 è forse uno degli scorci più pittoreschi della Garbatella, quasi un piccolo giardino fatato. Ci si trova nel “Giardino di Nonno Franco”, fiabesco spettacolo per gli occhi. Nona tappa – Facciata lotto 55 Uscendo dal Lotto 52 e riprendendo Via Giovanni Ansaldo il percorso prevede una piccola sosta davanti al Lotto 55, che grazie al tufo utilizzato nella sua decorazione esterna offre l’opportunità di aprire una breve parentesi circa i materiali costruttivi utilizzati per l’edificazione della Garbatella. In accordo con le idee regionaliste i materiali impiegati per le abitazioni si collocano sul solco della tradizione architettonica romana: abbonda il tufo e il laterizio di derivazione classica. Inoltre nella costruzione degli edifici un ruolo fondamentale è svolto dallo studio del sottosuolo del nascente quartiere, percorso dai cunicoli delle Catacombe di Commodilla (in cui durante i bombardamenti si rifugiano gli abitanti) e caratterizzato dalla presenza di cave di pozzolana. Per raggiungere la successiva tappa si continua su Via Ansaldo fino alla Piazza Nicola Longobardi. 11 Decima tappa – Scuoletta In Piazza Nicola Longobardi si trova un luogo interessante della Garbatella: la Scuoletta, il nome dato dagli abitanti del rione alla scuola dell’infanzia Luigi Luzzatti. L'edificio fu progettato per far fronte all'aumento della popolazione a seguito della costruzione dei lotti per i sfrattati e i sbaraccati di Roma. Non è affatto una scuola qualunque: a parte il legame affettivo che la lega agli abitanti del quartiere che l’hanno frequentata, possiede un particolare pregio artistico in quanto altro non è che una vecchia villa della nobiltà papalina risalente al ‘500, il cui nome originario era Villa Rosselli . Il ricordo di villa rurale rimane grazie anche alla presenza di un pozzo e di una fontana. La struttura odierna è opera dell’architetto Innocenzo Sabatini, che concepì questa “Scuola dei Bimbi” fra il 1927 e il 1931. All’originario corpo centrale l’architetto Innocenzo Sabbatini aggiunse lateralmente due nuove strutture, una su via Magnaghi e l’altra su via Rocco da Cesinale. Qui il linguaggio è classico. Il prospetto principale è impostato sul portico centrale sorretto da tre colonne e sulla loggia superiore scandita da sei colonne; la pianta è costruita a delimitare il giardino, ritenuto ormai elemento indispensabile per l’educazione dei bambini e direttamente accessibile oltre che dal portico posteriore e dal corridoio, anche da due aule. Undicesima tappa – Alberghi suburbani Furono realizzati tra il 1927 e il ’29, intorno a piazza Michele da Carbonara (lotti 41, 42, 43, 44), quattro grandi edifici destinati ad ospitare provvisoriamente le famiglie sfrattate o senza tetto per effetto delle opere di sventramento. Gli Alberghi Suburbani sono a tutti gli effetti dei contenitori in cui trovano luogo i dormitori, le cucine, le mense, i bagni. Nell’Albergo Rosso (lotto 42) è presente la chiesa e la scuola elementare, mentre nell’Albergo Bianco (lotto 41) è situata la maternità ( probabilmente in cemento armato). Gli alloggi erano costituiti da stanze singole con arredo standard per ogni nucleo familiare, mentre tutti i servizi erano in 12 comune. In particolare, colpisce l’Albergo Rosso, dietro al quale si cela una storia molto particolare: l’orologio che sormonta l’edificio per moltissimo tempo è rimasto fermo sull’ora dell’inizio dei bombardamenti su Roma del 1944, per la precisione le 11:25; quest’orologio è stato a lungo considerato come l’emblema della resistenza e della ribellione contro la guerra. Dodicesima tappa – Ritratto della Garbatella Raggiunto uno dei confini del quartiere rappresentato dagli alberghi suburbani si prende Viale Guglielmo Massaia per giungere in Piazza Geremia Bonomelli dove sul fronte di una palazzina campeggia il ritratto di una donna dal seno scoperto, simbolo del quartiere: è l’ostessa che secondo alcune tradizioni ha dato il nome alla Garbatella. Nell’epoca in cui sui Colli di San Paolo si estendevano tenute e poderi, la locanda di questa ostessa garbata e bella (da cui Garbatella) offriva a lavoratori, viandanti e pellegrini pasti caldi e riposo, con una particolare attenzione a quanti si trovavano nell’indigenza. Chi tramanda questa tradizione vede nel seno scoperto del ritratto il simbolo iconografico della carità. Secondo altri invece l’ostessa nella sua locanda offriva conforti di ben altra natura, in questo aiutata dal suo bell’aspetto. Al di là delle varie tradizioni giunte fino a noi che tentano di spiegare l’origine del toponimo popolare della Garbatella è opportuno ricordare che all’atto di posa della prima pietra il 18 febbraio del 1920 il nuovo quartiere operaio doveva chiamarsi Concordia, in segno di distensione sociale soprattutto in risposta ai moti riottosi del Bienno rosso (1919-1920), nome che viene prontamente rifiutato dalla comunità dei residenti. In sostituzione i funzionari comunali propongono il più romano Remuria, affidando la nuova denominazione alla leggenda secondo cui la città fondata da Remo non fosse localizzata sull’Aventino ma proprio presso la Garbatella. Sono i nuovi abitanti a rifiutare nettamente queste proposte e ad imporre l’adozione ufficiale del toponimo tradizionale. Lasciando la Piazza Geremia Bonomelli si continua su Via Roberto De Nobili fino a Piazza Ricoldo da Montecroce. 13 Tredicesima tappa – Fontana Carlotta In Piazza Ricoldo da Montecroce si trova un altro emblema del quartiere, la Fontana Carlotta. Questa fontana storica che si compone del volto di una fanciulla è così chiamata dal nome dell’ostessa garbata e bella, anche se secondo altre opinioni la locandiera era una certa Maria. Accanto alla fontana lungo una delle alture del quartiere si articola una celebre scalinata, la Scala degli Innamorati, così conosciuta perché proprio in questo punto così pittoresco del rione sono nati numerosi amori che hanno permesso la creazione di una comunità ancora più compatta. Moltissimi sono i bambini ed i ragazzi che trovano alloggio nelle case popolari della Garbatella una volta ultimato il quartiere (si pensi che all’interno di un lotto mediamente vi sono tra i 30 e i 40 bambini) e tra molti di questi, se si chiede ai più longevi residenti, nascono simpatie e affetti. Nei loro racconti un motivo ricorrente è proprio l’incontro segreto presso la fontana Carlotta, inviati dai genitori per rifornire gli appartamenti senza allaccio idrico di acqua. Si tratta di storie comuni di vite quotidiane che ancora oggi rappresentano il segno distintivo che fa della Garbatella il quartiere vivo e popolare per eccellenza. Quattordicesima tappa – Piazza Eurosia In Piazza Eurosia si trova la Chiesa dei Santi Isidoro ed Eurosia, rispettivamente il Santo dei contadini e la Prottetrice dei raccolti contro la grandine. La piccola cappella di campagna fu costruita nel 1818 su un progetto dell’architetto Giuseppe Valadier (colui che ideò la “scenografia urbana” del Pincio e di Piazza del Popolo). La data di edificazione è indicata in una vecchia lapide posta sul frontone del portico, accanto a due medaglioni raffigurati San Carlo Borromeo e San Filippo Neri, si dice che qui, su via delle Sette Chiese, si incontrarono nel 1575. 14 Nei primi anni Venti l’Ordine dei Filippini si trasferì dal centro di Roma in questa chiesa e nel 1936 Padre Alfredo Melani aprì nei locali annessi al luogo di culto, l’oratorio di San Filippo Neri, luogo d’incontro e di crescita di tante generazioni di giovani del quartiere. Nella chiesa di San Filippo Neri tra il 16 ottobre 1943 ed il 4 giugno 1944, due preti, don Alfredo Melani e don Alessandro Daelli, nascosero all’interno della chiesa molti ebrei, famiglie intere. Quindicesima tappa – Bar dei Cesaroni La nostra passeggiata si conclude qui, presso questo Bar che ultimamente ha dato ancora maggiore notorietà al quartiere di Garbatella. La passeggiata "Garbatella: la città giardino" è stata pensata e realizzata dalle volontarie in servizio civile di Agisco Alina Bakalenko e Marta Santacroce. Per maggiori informazioni: 329. 6636084 @sullaviaostiense [email protected] @ViaOstiense 15 www.sullaviaostiense.it SullaViaOstiense