La Polonia sotto la Germania nazista Il ruolo delle donne nella colonizzazione delle provincie annesse Elizabeth Harvey Il saggio esamina il lavoro fatto dalle assistenti ai coloni reclutate per collaborare alla realizzazio­ ne del programma di colonizzazione agricola na­ zista nell’area della Polonia occidentale annessa al Reich dopo la sconfitta del 1939.1 nuovi colo­ ni trasferiti per “germanizzare” i territori con­ quistati erano individui di ceppo germanico ( Volksdeutsche), che avevano vissuto fuori dalla Germania prima del 1939. Il lavoro delle assi­ stenti dei coloni era presentato come un’attività tipicamente femminile che comprendeva il soste­ gno e l’assistenza alle famiglie bisognose e la promozione dello sviluppo di “sane comunità di villaggio”. Attraverso l’analisi delle relazioni scritte dalle as­ sistenti dei coloni, il saggio esamina il modo in cui queste guardavano al proprio lavoro. Ne de­ riva che esse, di primo acchito, accettavano di buon grado l’occasione di sperimentare la “lot­ ta” e il “sacrificio di sé”, e che il lavoro dava loro una forma di autorità e di autonomia derivante da una situazione di “frontiera”, che permettava loro di rompere con le regole e con le convenzioni dettate dai ruoli sessuali tradizionali: Inoltre il saggio colloca le assistenti dei coloni nel più am­ pio contesto delle donne che collaborarono con il regime nazista: come case study dimostra quanto strettamente la sfera femminile dell’assistenza possa essere collegata al mondo maschile della guerra e deH’espansionismo nazista. Italia contemporanea”, settembre 1995, n. 200 This paper examines the work done by women set­ tlement advisers who were recruited to help imple­ ment the Nazi agricultural settlement programme in the area of western Poland annexed by the Reich after Poland’s defeat in 1939. The new settlers who brought in to “Germanize" the conquered ter­ ritory were ethnic Germans (Volksdeutsche) who had been living outside Germany before 1939. The settlement advisers’ work was portrayed as “womanly" work which involved supporting and assisting families in need and promoting the deve­ lopment of “healthy village communities’’. By interpreting reports written by settlement advi­ sers, the paper explores how these women viewed their work. It suggests that they welcomed the op­ portunity to experience ‘struggle’ and ‘self-sacri­ fice’ at first hand, and that the work gave them a sense of authority and autonomy derived from the situation of the frontier’, where rules and con­ ventions about gender roles could be broken. The paper also places the settlement advisers in the broader context of women’s collaboration with the Nazi regime: as a case study, it illustrates how closely the ‘womanly’sphere of welfare work could be bound up with the ‘male world’ of Nazi warfare and expansionism. 424 Elizabeth Harvey Introduzione Questo saggio si basa sui primi risultati della mia ricerca sulle donne tedesche e le politiche di colonizzazione agricola nella Germania orientale prima del 1939 e nella Polonia occu­ pata dopo il 1939. Si tratta di uno studio paradigmatico di un gruppo di parecchie centinaia di donne che vennero reclutate dalla fine del 1940 in poi dall’Organizzazione delle donne naziste, la Nsf (Nationalsozialistische Frauenschaft), per collaborare alla attuazione della politica di colonizzazione agricola nella Polonia occi­ dentale. Queste donne erano destinate a rico­ prire il ruolo di assistenti dei coloni (Ansie­ dlerbetreuerinnen), alcune come stipendiate con un contratto più a lungo termine, altre come volontarie per un breve periodo. Il loro compito era duplice: da un lato esse doveva­ no fornire una leadership politica ai tedeschi di recente insediamento nella regione, dall’al­ tro provvedere al loro benessere materiale. Il lavoro di queste assistenti dei coloni era parte del più ampio sforzo nazista di creare un ceto contadino tedesco, razzialmente puro, fanaticamente nazista, anche se moderno e flessibile, che avrebbe colonizzato il territorio polacco e vi avrebbe costituito una presenza dominante e duratura dopo la sconfitta della Polonia nel 1939. Il ‘materiale umano’ di que­ sto esperimento — almeno nella fase iniziale di quello che venne pianificato come un gran­ de progetto a lungo termine di ristrutturazio­ ne della popolazione — dovevano principal­ mente essere i Volksdeutsche (individui di cep­ po germanico) che vivevano prima del 1939 fuori dalle frontiere della Germania in varie parti dell’Europa dell’Est e del Sudest e che furono portati con una serie di trasferimenti di popolazioni, dopo l’autunno del 1939, nella Polonia occidentale1. Le aree destinate alla colonizzazione agricola furono soprattutto quei territori della Polonia occidentale che erano state annessi al Reich tedesco2. L’insediamento dei Volksdeutsche in quali­ tà di avanguardie della colonizzazione fu solo uno degli aspetti delle politiche naziste di “germanizzazione” nei territori annessi. “Germanizzare” significava rivoluzionare la composizione etnica, i modelli di proprietà della terra e la struttura sociale di questi terri­ tori che erano in misura preponderante polac­ chi3. Questa politica consisteva nell’identifica- Relazione presentata al seminario internazionale “Donne, guerra, Resistenza nell’Europa occupata” (Milano, 14-15 gennaio 1995) promosso dalla Società italiana delle storiche, dalPInsmli, dagli Archivi riuniti dalle donne, dall’Unione femminile nazionale col patrocinio della Regione Lombardia e del Comitato provinciale dell’Anpi. 1 Sul reinsediamento dei Volksdeutsche nei territori annessi della Polonia conquistata, cfr. Robert H. Koehl, Rkfdv. Ger­ man Resettlement and Population Policy 1939-1945, Cambridge, (Mass.), Harvard University Press, 1957; J. B. Schechtman, European Population Transfers, 1939-1945, New York, Rüssel and Rüssel, 1946; Rolf-Dieter Müller, Hitlers Ostk­ rieg und die deutsche Siedlungspolitik, Frankfurt a/M, Fischer Taschenbuch Verlag, 1991; Valdis O. Lumans, Himmler’s Auxiliaries. The Volksdeutsche Mittelstelle and the German National Minorities of Europe, 1933-1945, Chapel Hill and London, University of North Carolina Press, 1993, pp. 131-204; Götz Aly, Endlösung. Völkerverschiebung und der Mord an den europäischen Juden, Frankfurt am Main, S. Fischer Verlag, 1955; a più lunga scadenza, l’area venne riservata per la colonizzazione da parte di veterani di guerra tedeschi, cfr. R.H. Koehl, Rkfdv, cit., p. 74; R.D. Müller, Hitlers Ostk­ rieg, cit., p. 16. Sul complesso dei piani per la ristrutturazione delP’Est tedesco’, cfr. Mechthild Rössler, Sabine Schleier­ macher (a cura di), Der 'Generalplan Ost’. Hauptlinien der nazionalsozialistischen Planungs und Vernichtungspolitik, Ber­ lino, Akademie Verlag, 1993. 2 I territori annessi della Polonia occidentale costituivano i nuovi Reichsgaue (distretti del Reich) di Danzica-Prussia occidentale e del Wartheland; l’Alta Slesia, che fu inglobata nell’esistente provincia prussiana della Prussia orientale; il Zichenau e il Suwalki, che furono annesse all’esistente provincia prussiana della Prussia orientale. La parte della Po­ lonia nella sfera di influenza tedesca che non venne annnessa al Reich fu destinata ad essere una “colonia” polacca e posta sotto il dominio tedesco: essa fu nota col nome di Governatorato generale. 3 E difficile accertare con precisione la composizione etnica di questi territori dato il grado di mescolanza tra la popo­ lazione polacca e quella tedesca. La distribuzione della popolazione dei territori annessi per gruppi etnici è stimata nel La Polonia sotto la Germania nazista zione e nell’esaltazione dell’elemento tedesco presente nella popolazione esistente attraver­ so un’operazione di selezione e catalogazione: gli abitanti che erano giudicati tedeschi, insie­ me con quelli che pur avendo radici miste dal punto di vista etnico erano considerati in gra­ do di essere “germanizzati”, venivano iscritti al Registro etnico tedesco (Deutsche Volklisté) e ricevevano i diritti di cittadinanza4. L’altra faccia della “germanizzazione” invece era la pratica di una assoluta spietatezza nei con­ fronti della popolazione non-tedesca. Nei mesi successivi al settembre 1939, unità della polizia affiancate dalla milizia dei Volksdeutsche com­ pirono massacri ed esecuzioni: l’intellighenzia polacca e gli ebrei polacchi furono il bersaglio privilegiato di questa violenza criminale5. In aggiunta, per ridurre il ‘surplus’ di polacchi ed ebrei polacchi nei territori destinati alla “germanizzazione”, e per rendere disponibili per i tedeschi che stavano per arrivare le terre e le abitazioni, le autorità tedesche dei territori annessi intrapresero una serie di deportazioni di massa di polacchi (inclusi alcuni ebrei polac­ chi) verso il Governatorato generale — anche se l’“operazione di pulizia” non venne mai rea­ lizzata nelle dimensioni e alla velocità pretese dai suoi pianificatori6. I polacchi ai quali fu permesso di rimanere nei territori annessi furo­ no destinati ad essere una sottoclasse di lavora­ tori agricoli, segregata dalla popolazione tede­ sca, e in balia dei loro padroni tedeschi7. Nella mia analisi del lavoro di attuazione delle politiche di “germanizzazione” svolto 425 dalle assistenti dei coloni, mi sono chiesta quali furono le motivazioni per cui queste donne parteciparono attivamente ad esso, come percepirono il loro ruolo e come tenta­ rono di giustificare le loro azioni. Inoltre ho cercato di inquadrare la questione delle assi­ stenti dei coloni in quella più vasta della col­ laborazione delle donne con il regime nazista e la sua politica. Jill Stephenson ha indagato sulle assistenti dei coloni nel contesto della mobilitazione delle donne come attiviste po­ litiche8 portata avanti dal regime nazista, mettendo tra l’altro in rilievo come i territori conquistati dopo il 1939 offrirono una scap­ patoia per fanatici — quelli che erano alla ri­ cerca di compiti più gratificanti della routine quotidiana di doveri imposti dalla guerra nell’Altreich9. Può anche essere corretto considerare il la­ voro delle assistenti dei coloni divenute, in nome del “benessere nazionale”, agenti con­ senzienti delle politiche antipolacche e antie­ braiche, come parte del più ampio fenomeno delle donne che assicuravano l’assistenza so­ ciale nel Terzo Reich. Claudia Koonz ha aperto il dibattito affermando, in Mothers in thè Fatherland. Women, thè Family and thè Nazi Policies, che le donne furono un ele­ mento essenziale nel rendere possibile il ge­ nocidio nazista, non tanto attraverso una partecipazione diretta alle politiche di depor­ tazione e assassinio, quanto attraverso il con­ solidamento nella sfera pubblica di uno spa­ zio “femminile” separato riguardante la fa- modo seguente: polacchi 79 per cento, tedeschi 12 per cento, ebrei 6 per cento; cfr. Christian Jansen, Arno Weckbecker, Der "Volksdeutsche Selbstschutz" in Polen 1939-40, München, Oldenbourg Verlag, 1992, p. 40. 4 R.H. Koehl, Rkfdv, cit., pp. 119-23; Martin Broszat, Zweihundert Jahre deutscher Polenpolitik, Frankfurt a/M, Suhrkamp Verlag, 1972, pp. 288-289. 5 Ministero dell'Informazione della Polonia, The German New Order in Poland, London, Hutchinson, 1942, pp. 28-46; M. Broszat, Zweihundert Jahre, cit., pp. 280-283; C. Jansen, A. Weckbecker, Der "Volksdeutsche Selbstschutz", cit., pp. 111-159. 6 G. Aly (Endlösung, cit., in particolare pp. 59-114) sottolinea la discrepanza tra gli obiettivi pianificati per quanto ri­ guarda la deportazione di polacchi ed ebrei polacchi nel Governatorato generale e il numero di coloro che vennero ef­ fettivamente deportati. 7 M. Broszat, Zweihundert Jahre, cit., p. 290. 8 Jill Stephenson, The Nazi Organization of Women, London, 1981, Croom Helm, pp. 190-199. 9 II termine Altreich (vecchio Reich) era usato per riferirsi al territorio della Germania secondo i confini del 1937. 426 Elizabeth Harvey miglia, l’educazione e l’assistenza. Secondo Koonz, la “sfera femminile” separata, orga­ nizzata e coltivata dalle donne naziste, fu so­ prattutto una mimetizzazione tattica. Per dir­ la con Koonz, “Hitler aveva bisogno di don­ ne che veicolassero l’illusione di un’inattac­ cabile rispettabilità per mascherare uno stato criminale” 101. La tesi di Koonz relativa alla funzione simbolica di uno spazio vitale (Lebensraum) femminile che, con la sua mistica del senso materno e della pietà, costituisce una mimetizzazione delle brutali politiche dello stato nazista ad egemonia maschile è stimolante a livello intellettuale e per molti aspetti illuminante. Tuttavia, se si deve ana­ lizzare il coinvolgimento delle donne nelle politiche concernenti la salute, l’assistenza e la famiglia come una manifestazione della collaborazione delle donne con il nazismo, è anche decisivo analizzare ciò che le donne ef­ fettivamente fecero in nome dell’ assistenza sociale. Prendendo in esame le attività di as­ sistenza delle donne connesse con la battaglia etnica nell’Est (che Koonz non indaga) esa­ minerò fino a che punto la sfera femminile dell’assistenza fosse realmente separata e per­ cepita come separata dalla sfera maschile del­ la politica. Questo approccio solleva la que­ stione se il senso della sfera femminile dell’as­ sistenza nel Terzo Reich fosse più quella di una cinghia di trasmissione diretta del razzi­ smo e della repressione che quello di una “maschera” . Le fonti che ho utilizzato in questo mio saggio sono principalmente relazioni dell’e­ poca, scritte dalle stesse donne sul loro lavo­ ro volontario o professionale con i coloni. Alcuni delle relazioni che citerò vennero pub­ blicate sulla stampa di partito ed erano chia­ ramente propagandistiche. Altre, non pub­ blicate, erano i rapporti mensili scritti per le autorità del partito, alle quali queste donne dovevano rispondere, e distribuiti ad altri or­ gani che si occupavano della politica di colo­ nizzazione1'. Finora non ho potuto consulta­ re gli originali di questi rapporti mensili, ma solo gli estratti raccolti da questi altri organi: per quanto incompleti, essi sono utili per far luce sul modo in cui le assistenti dei coloni cercarono di dare un senso al loro ruolo e alla loro esperienza “di frontiera” , su come esse descrissero i loro incontri con la popolazione polacca e con i neocoloni, e su come esse con­ siderarono — e tentarono di legittimare — i loro compiti. Il reinsediamento dei V olksdeutsche nei territori annessi La deportazione dei polacchi e degli ebrei dai territori appena annessi e il reinsediamento dei Volksdeutsche furono compiti assegnati a Himmler nella sua nuova funzione di commis­ sario del Reich per il rafforzamento della germanità (Reichskommissar für die Festigung Deutschen Volkstum, o Rkfdv)12. Il duplice ruolo di Himmler in quanto capo delle SS del Reich e Rkfdv era tale da aprire per l’ap­ parato delle SS e della polizia sotto il suo co­ mando un nuovo grande campo di azione. Uomini delle SS vennero nominati in posti chiave dell’apparato in espansione del Rkfdv a partire dai quartieri generali di Berlino fino 10 Claudia Koonz, Mothers in thè Fatherland. Women, thè Family and Nazi Politics, London, Jonathan Cape, 1987, p. 389. 11 Questi organi comprendevano un’unità (la Siedlungswissenschaftliches Referat) insediata a Lodtz/Litzmannstadt nel Warthegau dall’apparato del Commissario del Reich per il rafforzamento della germanità allo scopo di analizzare il pro­ cesso di colonizzazione per obiettivi ‘scientifici’ e di pianificazione. Questa unità redigeva copie ed estratti dei rapporti delle Ansiedlerbetreuerinnen. 12 La nuova carica e i nuovi compiti di Himmler furono stabiliti dal decreto del Führer del 7 ottobre 1939, cfr. H. Koehl, Rkfdv, cit., pp. 249-50. La Polonia sotto la Germania nazista agli uffici regionali, e agli organismi delle SS esistenti vennero assegnati dei compiti all’intemo del progetto del Rkfdv13. Nei territori annessi e nel Governatorato generale, Himm­ ler nominò agenti del Rkfdv i capi regionali della polizia e delle SS (Höhere SS-und Poli­ zeiführer, o Hsspf14). Alle dipendenze di cia­ scun Hsspf venne costituito uno speciale di­ partimento che si occupava del reinsediamen­ to e che supervisionava a turno i gruppi di reinsediamento {SS-Ansiedlungsstäbe) a livel­ lo del Kreis (unità amministrativa). Le moda­ lità con cui il progetto del Rkfdv venne attua­ to evidenziavano il fatto che i territori annessi erano considerate aree cruciali per la battaglia politica ed etnica. Secondo la logica delle SS, la normale amministrazione civile non era al­ l’altezza dei compiti della ‘frontiera’: occorre­ vano organismi speciali capaci di agire rapida­ mente e con risolutezza per realizzare il pro­ getto di Himmler e portare a compimento il “destino tedesco nell’Est”. Le autorità della polizia e delle SS nei terri­ tori annessi operavano in parallelo e talvolta in competizione con l’amministrazione civile e le organizzazioni del partito. Una pletora di organismi che comprendeva i funzionari delle SS per il reinsediamento, quelli dell’Or­ ganizzazione dei contadini del Reich {Reich­ snährstand), il partito con le sue organizzazio­ ni femminili e giovanili, oltre all’Organizza­ zione nazionalsocialista per il benessere popo­ lare {Nationalsozialistische Volkswohlfart, o Nsv), si trovarono coinvolte nel programma di reinsediamento15. Questi organismi che teo­ ricamente avrebbero dovuto cooperare, ma che spesso in pratica erano in competizione 427 tra loro, assolvevano compiti che andavano dal classificare i Volksdeutsche in arrivo a se­ conda della loro idoneità o non idoneità alla colonizzazione nei territori annessi, al control­ larli mentre si trovavano nei vari campi di transito organizzati dal Volksdeutsche Mittel­ stelle, all’assegnare quelli prescelti per la colo­ nizzazione alle fattorie lasciate libere dai po­ lacchi deportati, al guidarli ed assisterli in se­ guito nel loro progressivo inserimento nel nuovo ambiente16. In questo programma di reinsediamento, le donne ricoprivano svariati ruoli. Si reclutavano infermiere e addette al­ l’assistenza sociale per accompagnare i convo­ gli di Volksdeutsche “a casa nel Reich” oppure per lavorare nei campi di transito nell’Altreich e nei territori annessi. Le donne lavoravano come assistenti dei coloni o aiutanti di fatto­ ria, insegnanti d’asilo, infermiere o visitatrici sanitarie, con il compito di promuovere il be­ nessere fisico e l’integrazione politica dei colo­ ni tedeschi una volta insediati nelle fattorie di Warthegau, Danzica-Prussia occidentale, Sle­ sia e Prussia orientale del Sud. Le donne che svolgevano questi tipi di lavori erano reclutate attraverso molteplici organismi, inclusa la Croce rossa, l’Associazione delle studentesse naziste, la Lega delle ragazze tedesche {Bund Deutscher Mädel, o Bdm), il Servizio del lavo­ ro femminile {Reichsarbeitsdienst der weibli­ chen Jugend, o RadwJ), il Nsv e il Reichsnähr­ stand. Le assistenti dei coloni impiegate dalla Nsf quindi costituivano solo una parte dei nu­ merosi gruppi di personale femminile che la­ vorava con il patrocinio di diverse organizza­ zioni per contribuire al programma di reinse­ diamento del nuovo “Est tedesco”. 13 M. Broszat, Zweihundert Jahre, cit., pp. 62-3; V.O. Lumans, Himmler's Auxiliaries, cit., p. 135. 14 La posizione esatta degli Hsspf variava anche se l’autorità di cui godevano per sovraintendere all’amministrazione del progetto del Rkfdv era fontamentalmente la stessa. Il Gauleiter-Oberpräsidenten nella Prussia orientale e in Slesia e il Gauleiter-Reichsstatthalter nel Wartheland erano chiamati ‘sostituti del Rkfdv’ (Beauftragte des Rkfdv). In questi tre casi gli Hsspf erano nominati ‘rappresentanti dei sostituti del Rkfdv’ (ständige Vertreter des Beaufragten des Rkfdv). Nel distretto di Danzica-Prussia occidentale e nel Governatorato generale, lo Hsspf era direttamente chiamato ‘sostituto del Rkfdv’ ( Beauftragte des Rkfdv), cfr. M. Broszat, Zweihundert Jahre, cit., pp. 59, 62. 15 J.B. Schechtman, European Population Transfers, cit., p. 280. 16 V.O. Lumans, Himmler’s Auxiliaries, cit., pp. 184-98. 428 Elizabeth Harvey Il reclutamento delle assistenti dei coloni da parte della Nsf La spinta ad impiegare delle donne come as­ sistenti dei coloni a pieno tempo sembra sia nata per la Nsf nell’estate del 1940 nel Warthegau, dove i Volksdeutsche, per lo più pro­ venienti dalle aree della Polonia orientale che erano state annesse dall’Unione Sovietica, venivano reinsediati in fattorie17. Si notò che, mentre i vari organismi coinvolti nella colonizzazione dedicavano un’attenzione più che adeguata alle liste di richieste dei neo­ coloni relative a riparazioni di case, ad attrez­ zature agricole e bestiame, c’era bisogno di un programma più intenso di visite a domici­ lio perché i coloni non si demoralizzassero e per stimolare lo sviluppo di sane comunità di villaggio. Si trattava di un lavoro che avrebbe dovuto rivolgersi sia alle mogli dei coloni sia in generale ai loro familiari e che, si sosteneva, richiedeva le particolari doti di tatto e comprensione delle donne18. Nell’e­ state del 1940 parecchie centinaia di donne, studentesse e leader del Bdm, si arruolarono come volontarie per lavorare nel Warthegau come consigliere e assistenti dei coloni; per dar seguito a questo progetto pilota, nel no­ vembre del 194019 la leadership della Nsf del­ la regione del Warthegau incominciò a reclu­ tare assistenti dei coloni a tempo pieno. Nel gennaio 1942, nel Warthegau vennero impie­ gate 179 assistenti dei coloni a pieno tempo; nella primavera 1943 il loro numero era salito a 22320. Nel frattempo, era cresciuta l’af­ fluenza dei Volksdeutsche tra i quali si trova­ vano ora tedeschi della Bessarabia, della Bucovina e del Governatorato generale: il nu­ mero delle persone insediate nei territori an­ nessi doveva alla fine raggiungere un totale di circa 500.000 unità21. Per alleggerire il ca­ rico di lavoro delle assistenti dei coloni sti­ pendiate, dall’inizio dell’estate del 1941 in avanti furono reclutate nei ranghi delle gio­ vani funzionane della Nsf delle volontarie deh’Altreich per turni di 6 settimane nel War­ thegau. Nel 1941 320 donne presero parte a questo progetto, seguite da altre 200 nel 194222. La propaganda descriveva donne prove­ nienti da ambienti diversi che si offrivano con entusiasmo per il lavoro di assistenti vo­ lontarie dei coloni: “Donne giovani i cui ma­ riti sono al fronte o sono caduti sul fronte orientale. Giovani donne entusiaste di offrir­ si come volontarie per questo compito di par­ ticolare responsabilità. Ma anche madri che non vogliono essere da meno dei loro figli e che vogliono fare anch’esse il loro “servizio al fronte”23. In realtà sembra che la Nsf aves- 17 Anche se i tedeschi baltici erano arrivati prima dei tedeschi della Polonia annessa dall’Unione Sovietica, la maggio­ ranza di essi venne reinsediata in aree urbane. I tedeschi evacuati durante l’inverno 1939-1940 dalla Polonia occidentale annessa dall’Unione Sovietica provenivano dalla Volinia, dalla Galizia e dal distretto di Narew. Dei 128.000 evacuati, al 1942 circa 100.000 erano stati insediati nel Warthegau e circa 1.000 in Danzica-Prussia occidentale. Cfr. J.B. Schechtman, European Population Transfers, eit, pp. 150 sg. e 170. 18 Luise Dolezalek, “ Bericht über die Anfänge der Umsiedlerbetreuung im Warthegau 1940”, 21 luglio 1942, in Bun­ desarchiv, Koblenz (d’ora in poi BAK), R 49, Anhang I, 35. 19 Luise Dolezalek, “Bericht über die Anfänge der Umsiedlerbetreuung im Warthegau 1940”, 21 luglio 1942, loc. cit. 20 Der Osten braucht tüchtige Frauen und Mädel, “Neues Bauerntum” , 34 (1942), p. 236; 45.000 Siedlerfamilien im War­ thegau betreut, "Nachrichtendienst der Reichsfrauenführung", 12 marzo 1943; Der Beruf der Ansiedlerbetreuerin hat sich bewährt, “Neues Bauerntum”, 34 (1942), p. 3. 21 t.B . Schechtman, European Population Transfers, cit., pp. 348-9. Circa 300.000 di costoro erano stati insediati nel Warthegau. 22 “Abschluss des Diesjährigen Osteinsatzes des Führerinnennachwuchses der NS-Frauenschaft Gau Wartheland”, 7, no­ vembre, 1941; Emmy Poggensee, Junge Führerinnen der NS-Frauenschaft im Watherland-Einsatz, “NS Korrespondenz”, 16 giugno, 1942; Führerinnen im Warthegau-Einsatz, “Nachrichtendienst der Reichsfrauenführung”, 11 ottobre 1942. 23 Emmy Poggensee, Ein Jahr Ansiedlerbetreuerinnen NSF/DFW im Gau Wartheland, “NS-Korrespondenz” , 3 dicembre 1942. La Polonia sotto la Germania nazista se difficoltà a reclutare un sufficiente numero di donne per il lavoro di assistenti dei coloni sia come stipendiate sia come volontarie24, malgrado le grandiose descrizioni propagan­ distiche del lavoro delle donne nell’Est che presero a comparire sulla stampa di partito a partire dal 1941. Erano in particolare due i te­ mi ricorrenti in queste rappresentazioni pro­ pagandistiche. Il primo era quello della spe­ ciale natura della Est tedesco e dei compiti eroici che attendevano i tedeschi desiderosi di contribuire al suo sviluppo. Le donne che lavorano come assistenti dei coloni nel Warthegau, proclamava un articolo del 1942, “stanno aiutando il movimento nazionalso­ cialista nel Warthegau ad edificare nell’Est il muro vivente che garantirà il futuro del Reich e il destino del popolo tedesco25. Appellandosi alle giovani funzionane della Nsf nell’Altreich perché si offrissero come volontarie per un pe­ riodo di servizio di 6 settimane nel Warthe­ gau, Helga Thrò, dirigente territoriali della Nsf nel Warthegau, confutava l’idea che i nuovi Reichsgaue (distretti del Reich) orientali fossero “colonie penali” dove venivano man­ dati i funzionari incapaci dell’Altreich: l’Est tedesco, dichiarava, doveva ora essere il “ban­ co di prova per il talento dei giovani tede­ schi”26. Ma le giovani donne dovevano resi­ stere alla tentazione di andare nell’Est sull’on­ da di un capriccio: occorrevano “donne e ra­ gazze in buona salute e competenti, che non vogliono dare ‘un’occhiata all’Est’ per sempli­ ce curiosità, ma che hanno la volontà di dedi­ carsi all’azione con altruistica, fanatica devo­ zione e assoluta determinazione”27. Soltanto la massima dedizione al dovere avrebbe potu­ 429 to proteggere da pericoli e da tentazioni come quelle che venivano dipinte provocatoriamen­ te in un articolo del bollettino della Nsf sulla “missione delle donne nell’Est” in una manie­ ra probabilmente calcolata per esaltare la mi­ stica dell’“Oriente sconosciuto”: Ogni tedesco che va nell’Est è innanzitutto il ‘pa­ drone’ rispetto allo ‘straniero’ (dem Fremdvólkischen). Ma il ruolo del padrone può facilmente es­ sere frainteso — specialmente da coloro che hanno lavorato fino ad ora in una posizione subordinata. La giovane donna che sinora ha fatto una vita pro­ tetta nella casa dei genitori, che sinora si è ritenuta soddisfatta di un lavoro umile e di uno stipendio modesto, può facilmente rischiare di interpretare in modo sbagliato le libertà dell’Est. [...] L’Est of­ fre agli individui la possibilità di diventare delle vere personalità; ma tutto ciò ha un prezzo: occor­ rono coraggio e forza per affrontare e vincere que­ sto territorio nuovo ed estraneo28. Un secondo tema caratteristico della rap­ presentazione del lavoro femminile nell’Est era quello della missione di pioniere politi­ che e di portatrici di valori morali delle don­ ne tedesche. Anche se nell’Est si poteva in­ correre in qualche tentazione, toccava alle donne tener alti quei valori: “Che il carattere tedesco prevalga o meno nell’Est dipenderà largamente dalla forza d’animo delle donne tedesche”29. Le assistenti dei coloni incarna­ vano l’“essenza della donna tedesca” in “tempi che richiedevano il massimo dell’im­ pegno e del sacrificio”30. Si trattava di un la­ voro che richiedeva le virtù femminili della sensibilità e del tatto, temperate dalla fer­ mezza: pur senza perdere di vista il suo ruo- 24 Der Osten Braucht tüchtige Frauen und Mädel, cit., p. 236. 25 Der Beruf der Ansiedlerbetreuerin hat sich bewhärt, cit., p. 4. 26 Helga Thrö ( Gaufrauenschaftsleiterin, Gau Wartheland), manoscritto per “Arbeitsblätter für die Jugendgruppen”, Juli 1941, H (quaderno) 6, in BAK, R 49, Anhang I, 15. 27 Schulung von 37 weiteren Ansiedlungsbetreurinnen im Wartheland, “Nachrichtendienst der Reichfrauenführung”, 25 gennaio 1941, in BAK, R 49, Anhang 1, 14. 28 Der Auftrag der Frau im Osten, “Nachrichtendienst der Reichsfrauenfürhung”, II ottobre 1942, p. 143. 29 Der Auftrag der Frau im Osten, “Nachrichtendienst der Reichsfrauenführung”, 11 ottobre 1942, p. 143. 30 Der Beruf der Ansiedlerbetreuerin hat sich bewährt, cit., p. 4. 430 Elizabeth Harvey lo di educatrice, l’assistente dei coloni dove­ vano accostarsi a questi ultimi con “grande umiltà e animata dal più caloroso camerati­ smo”31. La percezione del proprio ruolo nelle assi­ stenti dei coloni Che cosa dicono le relazioni scritte dalle assi­ stenti dei coloni sul modo in cui esse affron­ tarono il loro ruolo nei territori annessi, ci ri­ flettevano sopra e se lo rappresentavano? Il materiale che prenderò in considerazione comprende anche alcune relazioni, citate in articoli di giornali, scritte da donne che si of­ frirono come assistenti dei coloni volontarie per un periodo di servizio di 6 settimane nel Warthgau nel 1941, tuttavia esso prevalente­ mente consiste in brani non pubblicati di rap­ porti scritti da assistenti dei coloni impiegate a tempo pieno dalla Nsf nel distretto di Danzica-Prussia occidentale, in Slesia e soprat­ tutto nel Warthegau, principalmente tra l’e­ state del 1942 e l’estate del 1943. In seguito, individuerò e analizzerò tre aspetti principali dei rapporti: in primo luogo la percezione che le donne ebbero del “nemi­ co”, i polacchi; in secondo luogo quella che esse ebbero dei coloni tedeschi; in terzo luogo alcune loro considerazioni che chiariscono ulteriormente la percezione di sé e la com­ prensione del loro ruolo. Non è sorprendente che, in conformità con la politica ufficiale nazista volta a dimo­ strare il massimo di arroganza e di avversio­ ne nei confronti della popolazione polacca nativa dei territori annessi, la percezione dei polacchi che emerge dai rapporti sia uni­ formemente ostile. Nondimeno è possibile distinguere all’interno di questa generale posizione antipolacca due atteggiamenti di­ versi. Uno consisteva nella derisione e nello scherno per il “sudiciume” e la superstizio­ ne dei polacchi. Una relazione scritta da Hanna Sch., una volontaria della Nsf di Sa­ lisburgo, citata in un articolo di un quoti­ diano di Amburgo del luglio del 1941, esem­ plifica questo atteggiamento. Essa racconta di aver fatto parte, come unica donna, della squadra evacuazione delle SS che in uno stesso giorno aveva deportato i polacchi dalle loro case e scortato i coloni tedeschi che si erano installati nelle case e nelle fatto­ rie evacuate: “Per prima cosa ci toccò pulire da cima a fondo le case, poiché il sudiciume dei polacchi era indescrivibile. Cogliemmo anche l’occasione per rimuovere dalle case e distruggere tutti i quadri e le statuette di santi poiché il polacco è fermamente con­ vinto che, fino a quando queste immagini ri­ mangono nella sua casa, egli avrà la possibi­ lità di ritornarci”32. L’altro atteggiamento verso i polacchi consisteva in un senso di apprensione e persino di rispetto nei con­ fronti di un nemico deciso e potenzialmente pericoloso. I timori dei coloni erano fondati in quanto essi non potevano sempre avere la certezza che i precedenti proprietari delle lo­ ro fattorie fossero stati effettivamente de­ portati. Alcuni infatti sfuggivano alla de­ portazione; altri trovavano il modo di tor­ nare e di rimanere nella zona e la loro pre­ senza veniva percepita come minacciosa dai nuovi occupanti. Le assistenti dei coloni non ammettevano di condividere le paure dei coloni, paure che presero a crescere da quando la guerra incominciò ad andare ma­ le per la Germania nazista e i polacchi inco­ minciarono a sentire che la vittoria era a portata di mano, ma alcune loro osservazio­ ni del tipo “essi [i polacchi] stanno di nuovo 31 Helga Korschowitz, “Jahresbericht 1. 12. 1940-1. 12. 1941: Ansiedlerbetreuerinnen der Ns-Frauenschaft Gau War­ theland”, in BAK, R 49, Anhang I, 28. 32 Osteinsatz des Führerinnennachwuchses der NS-Frauenschaft/Deutsches Frauenwerk, “Hamburger Fremdenblatt”, 10, luglio, 1941 (ritaglio in BAK., R 49, Anhang I, 15). La Polonia sotto la Germania nazista diventando insolenti”33, oppure “è sorpren­ dente come i polacchi siano ben informati sugli avvenimenti politici”34 esprimono effi­ cacemente la loro diffidenza e il loro allar­ me. Se le assistenti dei coloni percepivano il ne­ mico polacco prevalentemente secondo gli stereotipi della primitività o della scaltrezza, la percezione della ‘loro parte’, cioè dei Volk­ sdeutsche e della popolazione tedesca che vi­ veva già nei territori annessi, era più com­ plessa e ambivalente. I Volksdeutsche che ar­ rivavano, stando alle descrizioni che ne veni­ vano date dai rapporti delle assistenti dei co­ loni, non si conformavano sempre ai ritratti idealizzati che la stampa faceva dei “tedeschi modello”, le cui qualità tedesche e la cui leal­ tà alla patria e alle sue tradizioni erano state fortificate dalla lotta di generazioni in un am­ biente estraneo. Vero è che alcuni gruppi, e in particolare i tedeschi della Bessarabia, erano fatti segno di particolari lodi35. Ma il punto di vista più diffuso nei rapporti non pubbli­ cati era che i Volksdeutsche erano molto al di sotto del livello richiesto per un vero con­ tadino tedesco, anche se essi avrebbero potu­ to alla fine, con una certa dose di disciplina e di incoraggiamento, migliorare. I rapporti ammettevano che i coloni si tro­ vavano a fronteggiare condizioni avverse. Pri­ ma che fossero sradicati dalle loro case in Volinia, Galizia, Bessarbia, Bucovina e Dobrudscha, ai Volksdeutsche era stato fatto credere che si sarebbero date loro delle fattorie in Ger­ 431 mania36. Quando veniva fuori che la “Germa­ nia” era i territori annessi e che le loro nuove case erano state sgombrate poche ore prima dai proprietari polacchi e consegnate loro svuotate di tutto quanto quelli erano riusciti a portarsi via per tempo, alcuni dei coloni ap­ pena arrivati si sentivano piantanti in asso. Mentre alcuni gruppi come i tedeschi della Volinia potevano trarre conforto dal fatto che le fattorie appena avute in proprietà fidu­ ciaria erano più grandi di quelle che avevano lasciato, non per tutti era cosi37. Le assistenti dei coloni spesso scrivevano con comprensio­ ne dei problemi che dovevano affrontare i loro assistiti. Quelli, per esempio, descritti in un rapporto dal distretto di Danzica-Prussia oc­ cidentale nell’inverno 1942-1943, “ che hanno una casa fredda e misera, e che vivono com­ pletamente isolati in mezzo ai campi. Con una piccola scorta di petrolio per le lunghe notti buie, con lampade rotte che è difficile so­ stituire, senza radio e, se capita una bufera di neve, nemmeno i giornali”38. Contemporaneamente, le assistenti dei co­ loni erano critiche nei confronti di quelli che, per un verso o per l’altro, non riuscivano a mantenersi all’altezza della concezione che i nazisti avevano di un sano contadino di fron­ tiera. Esse registravano con disapprovazione quello che consideravano un attaccamento eccessivo da parte dei coloni alle pratiche re­ ligiose. In particolare, nel Warthegau, i colo­ ni si lamentavano per la scarsità di chiese39. Un’assistente dei coloni riferiva che, per ri- 33 Rapporto di B., Rippin, 1 marzo 1943, in BAK, R 49, 120. 34 Rapporto di Minna Stüwe, Kreis Warthbrüchen, 9 dicembre 1942, in BAK, R 49, 122. 35 Rapporto di B., Kreis Konitz, Danzica-Prussia occidentale, 1 agosto 1942, in BAK, R 49, Anhang II, 4. Anche i rap­ porti pubblicati sulla stampa distinguono i tedeschi della Bessarabia: “ Diese Bessarabiendeutschen sind prachtvolle Menschen: Sie haben ihr Deutschtum so rein bewährt, dass wir ‘Binnendeutsche’ manchmal beschämt vor ihnen ste­ hen”. Cfr. Emmy Poggensee, Aus dem Tagebuch einer Ansiedlerbetreuerin im Wartheland, “NS-Frauenwarte”, 28 marzo 1942, manoscritto in BAK, R 49, Anhang I, 14. 36 Sulle promesse ai Volksdeutsche prima del reinsediamento, cfr H. Koehl, Rkfdv, cit., pp. 91-92. 37 Janusz Sobczack, Ethnie Germans as the Subject of the Nazi Resettlements Campaign during the Second World War, “Polish Western Affairs”, voi. 8 (1967), n. 1, pp. 63-95. 38 Rapporto di K. W., Thom, 4 febbraio 1943, in BAK, R 49, Anhang II, 4. 39 Sulla chiusura delle chiese cattoliche e le limitazioni imposte all’attività della Chiesa protestante nel Warthegau, cfr. M. Broszat, Zweihundert Jahre, cit., pp. 292-293. 432 Elizabeth Harvey battere a questo tipo di lamentele, essa aveva ricordato loro il “destino che avrebbero avu­ to sotto i Russi” e che “avrebbero dovuto ringraziare Dio e il Führer” per averli salvati • in tempo40 . Se le assistenti dei coloni li consideravano troppo “tradizionali” nel loro attaccamento alle consuetudini religiose, non li ritenevano invece abbastanza tradizionali, o per lo meno non sufficientemente “autentici”, nei loro gusti estetici. Le loro aspettative che i Volk­ sdeutsche si dimostrassero una fonte viva di arte e di cultura popolare venivano deluse. Un’assistente dei coloni annotò: “Non ho vi­ sto nessuna arte popolare, ma una gran quantità di prodotti artigianali di cattivo gu­ sto [...] paesaggi, raffigurazioni di cervi, ecc., dipinti spaventosamente con colori impossi­ bili”4041. I coloni non corrispondevano nemmeno ai modelli di igiene, ordine e industriosità tede­ schi. Alcuni dei Volksdeutsche appena arriva­ ti sembravano alle assistenti dei coloni ‘poco migliori’ dei polacchi che erano stati espulsi. I tedeschi della Volinia (evacuati nell’inverno 1930-1940 dalle aree della Polonia orientale inglobata dall’Urss) erano frequentemente bersaglio di critiche, come nel seguente rap­ porto proveniente dal Kreis Kempen nel Warthegau e datato aprile 1943: “I miei colo­ ni della Volinia [...] sono sempre i miei bam­ bini più difficili. Hanno troppe abitudini po­ lacche e la loro lingua continua ad essere molto povera poiché non fanno alcuno sfor­ zo per imparare il tedesco. Ancora non si so­ no abituati a tenere in ordine la casa e l’aia. Ad alcune famiglie puoi ripeterglielo cento volte e, anche se tu stessa dai loro una mano, non cambia niente: quando vai a trovarli la volta successiva trovi lo stesso sudicio caos (Sauwirtschaft)”*2. Dati gli ostacoli che incontrava la realizza­ zione dei progetti nazisti per i territori annessi, sia per le condizioni in cui si trovavano le case e le fattorie sia per lo scoraggiamento che tal­ volta prendeva i Volksdeutsche, ai quali era as­ segnato il ruolo di “muraglia vivente nel­ l’Est”, non è sorprendente che dai rapporti delle assistenti dei coloni filtrino alcuni segni di frustrazione, di sfiducia in se stesse e di dub­ bio sull’utilità del loro lavoro. Le certezze e le convinzioni di alcune donne venivano scosse dallo scontro con la realtà. Un’assistente dei coloni, disorientata dal fatto di incontrare non solo coloni ma anche funzionari di villag­ gio che parlavano in polacco con i polacchi del luogo, nel suo rapporto si chiedeva dub­ biosa se l’uso del polacco dovesse proprio es­ sere scoraggiato. Ella pensava che dovesse es­ sere scoraggiato, ma aggiungeva: “non so se questa mia opinione sia giusta”43. Altre inco­ minciavano ad avere delle perplessità sull’uti­ lità del lavoro che stavano facendo. Una di lo­ ro osservava nel suo rapporto che avrebbe po­ tuto impiegare meglio il suo tempo facendo funzionare una scuola per i bambini dei coloni piuttosto che continuando con le visite a do­ micilio44. Svariate altre sembravano essere d’accordo, esplicitamente o implicitamente, con l’impressione di molti dei coloni, in parti­ colare quelli che si trovavano a lottare con un terreno avaro e con condizioni climatiche av­ verse, che le prospettive di farcela fossero mol­ to scarse. Una arrivò al punto di criticare gli interi presupposti della politica di “germaniz­ zazione” del Warthegau. Essa faceva notare che i tedeschi della Bucovina45 erano contadi­ ni privi di esperienza e inefficienti, e sosteneva 40 Rapporto di K.W., Thorn, 2 agosto 1943, in BAK, R 49, Anhang II, 4. 41 Rapporto di K. W., Thorn, 31 agosto 1942, in BAK, R 49, Anhang II, 4. 42 Rapporto di Wilma Tippe, Kreis Kempen, 7 aprile 1943, in BAK, R 49, 122. 43 Rapporto di Paula Schlüter, Kreis Hohensalza, 9 febbraio 1943, in BAK, R 49, 122. 44 Rapporto di Olga Ruprecht, Kreis Kosten, 30 settembre 1942, in BAK, R 49, Anhang I, 30. 45 I tedeschi della Bucovina (Buchenland) erano stati trasferiti nel Reich in base ad accordi con l’Unione Sovietica e la Romania, nell’autunno 1940. Cfr. J.B. Schechtman, European Population Tranfers, cit., pp. 179 sg. e 228 sg. La Polonia sotto la Germania nazista con ferrea logica economica che era stato un grave errore espellere i polacchi, che erano dei buoni contadini, e insediare al loro posto i tedeschi della Bucovina che da questo punto di vista “erano tanto meno utili allo Stato”46. Nel complesso, a conti fatti, gli accenni di dubbio, frustrazione e critica erano meno ca­ ratteristici — nel modo in cui le assistenti dei coloni parlavano del loro lavoro nei territori annessi — delle espressioni dell’assoluta con­ sapevolezza di essere nel giusto e del senso di soddisfazione che dava loro l’esercizio del­ l’autorità: un afflato di zelo missionario per­ meava i racconti di come esse avevano af­ frontato le prove e superato le avversità. L’avversità alcune volte prendeva la forma del contrasto burocratico con i colleghi ma­ schi che denigravano o ignoravano gli sforzi delle donne. “Molti degli uomini sembrano pensare che il nostro lavoro non abbia senso”, osservava un’assistente dei coloni che lavora­ va nell’Alta Slesia nel 1941. “Non mi sto la­ mentando, soltanto esponendo un fatto”47. Un’assistente dei coloni che lavorava a Rippin (Danzica-Prussia occidentale), nell’agosto 1943 riferiva trionfante di come si fosse rifiu­ tata di farsi intimidire dai colleghi maschi che avevano messo in discussione la sua com­ petenza in materia di agricoltura. “Uno ha osato dirmi di limitarmi alle ‘faccende di don­ ne’. Altri si sono uniti alla discussione ma, pur essendo l’unica donna in mezzo a quindici uo­ mini, non ho permesso che facessero i prepo­ tenti con me. Ho ribadito ancora una volta che avrei continuato a controllare i fienili e le stalle da cima a fondo, esattamente come faccio con le case”48. Più spesso, ovviamente, ciò con cui le assistenti dovevano cimentarsi 433 erano le famiglie dei coloni che si mostravano recalcitranti, incompetenti o disfattiste. Nei loro rapporti, esse raccontano delle strategie adottate per districarsi in questo tipo di rela­ zioni che potevano presentare molte difficol­ tà. Direi che questi racconti possono anche es­ sere letti come autorappresentazioni che illu­ minano i diversi modi in cui le assistenti dei coloni interpretavano il loro ruolo. Molti di essi inducono a pensare che le assistenti dei co­ loni compresero e rappresentarono il loro la­ voro di assistere, educare i coloni ed esercitare la loro influenza su di loro secondo una serie di modelli familiari stereotipici. Uno di questi modelli era quello della madre: una figura di madre forte e consolatrice, portatrice di doni e saggezza ai suoi “figli difficili”, i coloni. “Deve piacerti aiutare e io sono sempre molto contenta quando posso soddisfare i bisogni del mio piccolo gregge (meine Leutchen)”, scrisse un’assistente dei coloni del tipo ‘mater­ no’ nel febbraio 194349. Un secondo modello era quello della camerata e sorella “inflessibile ma imparziale”, infermiera-tuttofare d’emer­ genza capace di dare un buon consiglio su ogni problema pratico — dagli spifferi delle fi­ nestre all’arredo moderno di una casa, al giar­ dinaggio — e che avrebbe potuto e voluto in­ tervenire prontamente e passare all’azione ogni volta che fosse necessario: ciò poteva si­ gnificare per esempio mandare rapidamente un bambino malato in ospedale malgrado le proteste dei genitori e affrontare poi con cal­ ma le conseguenze (cioè le aspre recriminazio­ ni dei genitori) quando questi ci moriva50. Il terzo modello seguito dalle assistenti dei coloni era quello del rappresentante del Füh­ rer nel villaggio, del fanatico adepto che con 46 Rapporto di Hansi Maier, Kreis Welun, 4 agosto 1942, in BAK, R 49, 122. 47 “Gaufrauenschaftsleitung Oberschlesien, Auszüge aus Berichten der Ansiedlerbetreuerinnen für das deutsche Auslandsistitut Stuttgart”, Kattowitz, 14 marzo 1944, estratto da rapporto proveniente da Sybusch, 28 ottobre 1941, in BAK, R 49, Anhang III, 32. 48 Rapporto di R., Rippin, 1 agosto 1943, in BAK, R 49, 120. 49 Rapporto di G., Rippin, 1 febbraio 1943, in BAK, R 49, 120. 50 L. Danner, Kreis Konin, 26 maggio 1943, in BAK, R 49, 121. Elizabeth Harvey 434 il suo esempio avrebbe indotto i coloni ad aver fede nella patria. Le assistenti dei coloni rap­ presentavano se stesse come eroine isolate, im­ muni dal pessimismo, dalla debolezza, dal sentimentalismo. Ad alcune donne coione che vivevano sole (dopo che i loro familiari maschi si erano arruolati nell’esercito) e che manifestavano le loro paure nei confronti dei polacchi, una assistente dei coloni dichiarò di non aver alcuna paura: “Quando io dico lo­ ro che non conosco paura, ecc., allora esse mi ammirano. In complesso sono le donne più vecchie ad essere ansiose, le giovani sono dif­ ferenti, posso essere orgogliosa di loro”51. An­ che un’altra assistente dei coloni elogiava la forza delle generazioni più giovani, mentre scriveva sprezzantemente della “mollezza” de­ gli uomini e delle donne più anziani: “Ho visto persino degli uomini piangere”52. Combattere la sentimentalità e i modi di sentire eccessivamente “cristiani” era essenzia­ le quando accadeva di badare a dei coloni che avevano a che fare con i polacchi53. Un’assi­ stente riferiva che delle coione avevano pagato “troppo” i lavoratori polacchi che le avevano aiutate nella mietitura e avevano anche fatto dei dolci per loro. “Quando ho fatto notare che dopo tutto i nostri soldati al fronte hanno solo pane nero da mangiare, esse si sono giusti­ ficate dicendo che anche i funzionari del villag­ gio facevano dolci per i polacchi”. Un’altra in­ tervenne per far sì che alcune famiglie di coloni provenienti dalla Dobrudscha smettessero di mangiare insieme ai loro dipendenti polac­ chi: “La maggioranza dei tedeschi della Do­ brudscha pensa che mangiare separatamente dai polacchi sia un peccato e dice che anche i polacchi sono esseri umani e che, se si lavora fianco a fianco per tutto il giorno, certo non ci si può dividere al momento di andare a ta­ 51 52 53 54 55 Rapporto Rapporto Rapporto Rapporto Rapporto di di di di di vola. Ma se tu dici loro a che cosa è simile il polacco e a che cosa invece possono essere si­ mili loro, allora sono completamente d’ac­ cordo con te”545. Soprattutto, le assistenti dei coloni doveva­ no tener alto il morale in una situazione nella quale, dall’inizio del 1943 (se non da prima), stava prendendo piede la paura della sconfitta militare. La cupezza dei coloni, secondo un’assistente, era dovuta non solo alle voci diffuse dai polacchi, ma anche al cinismo dei burocrati mandati dall’Altreich. “Vengono duffusi dubbi sulla vittoria. E ci sono alcuni che vengono dall’Altreich, degli smidollati che sono qui a fare cose di nessun conto, che deprimono il morale dei coloni”511. Per le assi­ stenti dei coloni, convincere questi ultimi che la Germania avrebbe sicuramente vinto era un compito arduo. “La notizia della sconfitta di Stalingrado ha colpito i coloni come una bomba”, riferì un’assistente dei coloni che con lunghe e serrate discussioni cercava di ti­ rarli su di morale. “Talvolta la conversazione durava ore, ma ogni volta finiva con gli occhi dei coloni che tornavano ad illuminarsi e le lo­ ro teste che si rialzavano”. Nondimeno, l’ef­ fetto di simili rassicurazioni doveva esser stato limitato in quel periodo, poiché il governo po­ lacco in esilio stava già strappando ai leader alleati promesse sull’evacuazione dei tedeschi dalla restaurata Polonia postbellica. Il futuro delle “difese viventi” della Germania nell’Est appariva sempre più incerto. Conclusione Nell’enfatizzare la loro dedizione al dovere, il loro “idealismo” e la loro incrollabile fede nella vittoria (in contrasto con i dubbi dei bu­ Else Reichert, Kreis Ostrowo, 3 marzo 1943, in BAK, R 49, 122. M. Hecht, Kreis Birnbaum, 31 maggio 1943 BAK, R 49, 121. Emma Schlemmer, Kreis Turek, 1 ottobre 1942, in BAK, R 49, Anhang I, 30. G. Brandes, Kreis Konin, 2 ottobre 1942, in BAK, R 49, 122. M. Schmidt, Kreis Warthbrücken, Oktoberbericht 5 novembre 1942, in BAK, R 49, Anhang I, 30. La Polonia sotto la Germania nazista rocrati maschi “deboli di spirito”), le assi­ stenti dei coloni esprimono un senso abnor­ memente elevato ed esagerato del loro ruolo di avanguardia eroica nella missione di “sal­ vare e rafforzare la germanità” nell’Est56. Il senso che esse avevano della loro importanza si rifletteva anche nel bisogno di comunicare la loro esperienza a un pubblico più vasto: in una relazione pubblicata sulla stampa dell’e­ poca, un’assistente dei coloni diceva di “non vedere l’ora di raccontare agli altri nell’Altreich del suo lavoro nell’Est”57. Una spiegazione di questo esagerato senso missionario potrebbe risiedere nel fatto che le assistenti dei coloni avevano interiorizzato e stavano semplicemente riproducendo la rap­ presentazione propagandistica dei loro “stori­ ci” compiti. Tuttavia, direi che le condizioni e l’ambiente nel quale esse lavoravano contri­ buivano a questa sensazione di essere impor­ tanti. Esse venivano collocate all’improvviso (senza praticamente alcun addestramento) in una posizione di autorità nei confronti dei co­ loni, legittimate ad entrare e a far ispezioni nelle loro case e nei loro poderi, a consigliarli e istruirli minuziosamente in ogni aspetto del­ la loro vita. L’isolamento in cui si svolgeva il loro lavoro probabilmente accrebbe nelle assi­ stenti dei coloni la sensazione di essere un’élite al di sopra delle normali preoccupazioni quo­ tidiane dell’Altreich. D’altro canto, l’idea che i territori annessi diventassero Gaue (distretti) modello, più veramente ‘tedeschi’ dello stesso Altreich, contrastava con quanto avveniva nella realtà: lo stallo nelle politiche di “germa­ nizzazione” e il delinearsi della prospettiva della sconfitta. Questa tensione tra le aspira­ zioni naziste e la realtà dell’Est sembra aver generato nelle assistenti dei coloni un senti­ 435 mento di difesa che può averle indotte ad esa­ gerare, per un meccanismo compensatorio, le loro “realizzazioni” nell’Est. Le assistenti dei coloni non avevano alcun dubbio sul rilievo del loro contributo alla causa nazista. Ma quale fu la loro importan­ za nella prospettiva di un’indagine storica sulla collaborazione delle donne con il regime nazista? Da un certo punto di vista, il loro la­ voro fu semplicemente la continuazione di al­ tre attività portate avanti dalle donne in ap­ poggio agli obbiettivi nazisti. Nella loro qua­ lità di leader politiche e di educatrici nei ter­ ritori annessi, le assistenti dei coloni prose­ guivano nel lavoro di propaganda ed educa­ zione svolto prima del 1939 dal Bdm e dalla Nsf, con lo scopo di diffondere il messaggio nazista tra le ragazza e le donne tedesche e di mobilitarle a favore del regime58. Si possono rintracciare delle continuità tra gli aspetti assistenziali del lavoro delle assi­ stenti dei coloni con altri aspetti del lavoro di assistenza sociale fatto dalle donne nella Germania nazista. Come agenti dei program­ mi nazisti di assistenza dal 1933 in avanti, le donne che lavoravano nel settore sociale e le visitatrici sanitarie collaboravano all’attuazio­ ne di politiche tese a premiare il “sano” a spe­ se del “malsano”, dispensando ai meritevoli dei benefici che dipendevano dall’adeguamen­ to a norme eugenetiche e politiche. Le decisio­ ni su questi benefici o sulla continuazione del­ l’assistenza venivano prese sulla base di un si­ stema di raccolta di informazioni e di control­ lo che si serviva delle visite a domicilio; le po­ litiche di assistenza erano uno strumento per penetrare nella sfera privata e rafforzare l’o­ mologazione politica e sociale59. Nei territori annessi dopo il 1939, le assistenti dei coloni 56 Rapporto di Klara Fassbender, Kreis Hohensalza, 8 marzo 1943 in BAK, R. 49, Anhang I, 30. 57 Emmy Poggensee, Aus dem Tagebuch einer Ansiedlerbetreuerin im Wartheland, “NS-Frauenwarte”, 28 marzo 1942, manoscritto in BAK, R 49, Anhang II, 14. 58 J. Stephenson, The Nazi Organization of Women, cit., pp. 196-197. 59 Angelika Ebbinghaus, Fürsorgerinnen in Hamburg 1933-39, in A. Ebbinghaus (a cura di), Opfer und Täterinnen. Frauenbiographien des Nationalsozialismus, Nördlingen, Franz Greno, 1987, pp. 47-69; Helga Knuppel-Dähne, Emilija 436 Elizabeth Harvey applicavano le tecniche del controllo e dell’ac­ certamento sistematico usate in altri settori della previdenza sociale e dell’assistenza sani­ taria con il compito di assicurare che i Volk­ sdeutsche selezionati per la colonizzazione fos­ sero degni e capaci di svolgere il ruolo loro as­ segnato. Tutte queste analogie e questi paragoni so­ no utili; nondimeno, se si vuole stabilire una relazione tra il lavoro delle donne nell’Est e la collaborazione delle donne col regime nazista in generale è anche necessario tenere in consi­ derazione la particolare situazione dei terri­ tori annessi. Questi territori erano periferici rispetto all’Altreich e tuttavia rappresentava­ no un’“area chiave” per la realizzazione delle politiche razziali naziste. “Andare all’Est” offriva alle naziste convinte una possibilità di fuga dall’Altreich, dove gli attivisti del partito e i loro appelli ai sacrifici per la patria si scontravano con sempre crescenti cinismo e ostilità; una possibilità di partecipare inve­ ce al lavoro di “costruzione” in una zona di frontiera dove sembrava che dominasse an­ cora il dinamismo del Kampfzeit. Penso che questa situazione 'di frontiera’ incidesse sul modo in cui le donne naziste contribuivano e si aspettavano di contribuire alla campagna di “germanizzazione” . All’in­ terno di questa campagna, esse certamente si ritagliavano nel modo descritto da Koonz la loro nicchia “femminile” nella sfera pubbli­ ca: rivendicavano una responsabilità partico­ lare nella promozione della salute e del be­ nessere dei coloni e delle loro famiglie, con particolare attenzione alle future generazio­ ni. Tuttavia, questa sfera di attività “femmi­ nile” era tutto eccetto che separata e distante, sia concettualmente sia in pratica, dall’attua­ zione delle politiche criminali e repressive messe in atto contro ebrei e polacchi. La complicità delle donne con i crimini nazisti era in questo caso molto più diretta di quanto implichi la tesi generale di Koonz. Allo stesso tempo, se alcuni particolari ruoli erano definiti “femminili”, questo non significava che le donne necessariamente de­ siderassero di essere confinate in essi. Perciò c’erano donne che erano orgogliose di parte­ cipare a fianco dei membri delle SS all’eva­ cuazione forzata dei polacchi, e che afferma­ vano il diritto di esercitare la loro autorità e il loro giudizio su ogni questione concernente i coloni e le loro famiglie. Nella situazione dei territori di frontiera, dove il personale prove­ niente dall’Altreich godeva di un di più di autorità sui Volksdeutsche e gli “stranieri”, le donne probabilmente si sono sentite in una posizione più forte, così da mettere in di­ scussione la loro condizione di subordinazio­ ne e superare le linee convenzionali di demar­ cazione tra i ruoli e le sfere di autorità ma­ schili e quelli femminili. Le loro aspirazioni all’esercizio di una reale autorità probabil­ mente sono state disattese: tuttavia, nell’arruolarsi come volontarie per aiutare a co­ struire il “nuovo ordine” nazista nell’Est, le donne possono aver pensato che così si sareb­ bero lasciate alle spalle non solo la frustrazio­ ne generata dall’apatia politica e dall’intorpi­ dimento dell’Altreich, ma anche il ruolo su­ balterno e limitato che là veniva assegnato al­ le donne naziste. Elizabeth Harvey Mitrovic. Helfen und Dienen: Die Arbeit von Fürsorgerinnen int Hamburger öffentlichen Dienst während des Nationalso­ zialismus, in Hans-Uwe Otto, Heinz Sünker (a cura di), Soziale Arbeit und Faschismus, Frankfurt a/M, Suhrkamp, 1989, 176-197. Elizabeth Harvey insegna Storia presso l’Università di Liverpool. Ha pubblicato Youth and the Welfare State in Weimar Germany (Oxford, Oup, 1993). Attualmente lavora a una ricerca sulle donne e le politi­ che di colonizzazione dal 1918 al 1945 ai confini orientali della Germania e nella Polonia occupata.