Recensione tratta da RdT 1/2012

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Peter Berger - Grace
Davie - Effie Fokas
America religiosa,
Europa laica?
P. BERGER - G. DAVIE - E. FOKAS, America
religiosa, Europa laica? Perché il secolarismo europeo è un’eccezione, Il Mulino,
Bologna 2010, pp. 215, € 18,50
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Il volume, opera di tre noti studiosi del
fenomeno religioso, discute e approfondisce un tema frequentato nella letteratura sociologica anglosassone a cui nostri
Autori attingono. Il testo è il risultato di
un progetto di ricerca sul secolarismo
dell’Europa, svolto sotto gli auspici dell’Institute on Culture, Religion and World
Affairs della Boston University, che aveva
lo scopo di comprendere meglio la natura eccezionale della vita religiosa europea
rispetto alle tendenze riscontrate in altre
parti del mondo. Il lavoro è un ampliamento e un approfondimento delle idee
presentate da una delle autrici, G. Davie,
in Europe: The Exceptionale Case. Parameters of Faith in the Modern World
(2002), sviluppate nel volume in una prospettiva tematica piuttosto che geografica. Più precisamente si delinea un confronto tra Europa e Stati Uniti per rispondere alla domanda perché due gruppi di
società, economicamente avanzate, possano essere così differenti, o meglio relativamente differenti, per ciò che riguarda
la dimensione religiosa.
Il lavoro è un resoconto della relativa
religiosità dell’America e della relativa laicità dell’Europa, costituito da un tema e
da alcune variazioni, ciascuna delle quali
sviluppa una particolare linea argomenRECENSIONI
tativa. Si analizzano le storie contrastanti
delle traiettorie religiose di Europa e
America, le tradizioni intellettuali differenti in riferimento alle diverse visioni
dell’Illuminismo che ne sarebbero la causa, i veicoli istituzionali che oltre le chiese influenzano e perpetuano i modelli di
religiosità in Europa e negli Stati Uniti, i
modi in cui la religione entra in relazione con gli indici fondamentali della differenza sociale: classe, etnia, genere ed
età. In un approccio comune ai tre Autori non mancano motivi di “disaccordo”
che riguardano in particolare il ruolo dell’istruzione nella secolarizzazione delle
società occidentali e il futuro della religione in quest’area.
Le argomentazioni sviluppate dagli
autori (sulla base di somiglianze e differenze che non ignorano la complessità dei
due casi) riguardano la nozione di “euro
laicità” che inverte la prospettiva “classica” e l’idea di un legame organico tra
modernizzazione e secolarizzazione che ha
dominato il pensiero sociologico negli
ultimi centocinquant’anni. Questa convinzione dagli anni settanta è stata sempre
più messa in discussione nel mondo accademico anglosassone ed europeo, per una
serie di fattori: la peculiarità degli Stati
Uniti, la crescita del Cristianesimo nell’emisfero meridionale, la diffusione del
pentecostalismo nel mondo in via di sviluppo, l’affermazione dell’Islam su scala
globale, ecc. Tali fattori hanno indotto gli
studiosi di molte discipline a ripensare il
paradigma della secolarizzazione ispirato
al caso europeo. Secondo P. Berger «la
teoria fallisce in maniera spettacolare
quando si tratta di spiegare la differenza
tra gli Stati Uniti e l’Europa. È, infatti,
difficile sostenere che il Belgio, per fare
un esempio, è più moderno degli Stati
Uniti. Si può senza dubbio affermare che
la teoria della secolarizzazione rappresenta un’estensione della situazione europea
al resto del mondo. Una generalizzazione
comprensibile, ma in fin dei conti infondata. Essa è stata favorita dal fatto che le
teorie sono prodotte dagli intellettuali
che, come tutti gli altri, tendono ad interpretare il mondo dal loro punto di vista»
(19). Si solleva così un problema più generale, quello del rapporto tra elaborazione teorica e contesto socio-culturale
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che non può non interrogare anche i nostri Autori. Alla luce del materiale presentato nel libro, gli Autori propendono per
l’opzione secondo cui l’Europa è laica in
quanto “europea”, e che la secolarizzazione non è intrinseca alla modernizzazione. Il secolarismo europeo, pertanto,
è un’eccezione rispetto a tendenze in altre parti del mondo.
Una chiave interpretativa di tutta l’argomentazione, che non esaspera mai somiglianze e differenze tra l’Europa e
l’America, si trova nel capitolo finale. Qui
si ricorre all’idea sviluppata da S. Eisenstadt con la nozione di “modernità multiple”, già assunta nei suoi ultimi lavori
da G. Davie. Tale concetto «implica che
quella occidentale non sia l’unica concepibile e che la modernità si possa presentare con determinate differenze locali.
Queste differenze possono riguardare
anche la religione, poiché è proprio la
religione che definisce l’aspirazione ad
una modernità alternativa in molte parti
del mondo: una modernità russa ispirata
dal genio religioso dell’Ortodossia, una
modernità islamica, una modernità hindu, e anche una modernità integralmente
cattolica (realizzata con successo dall’Opus Dei). Mentre la vecchia teoria della
secolarizzazione considerava tutte queste
aspirazioni illusorie, gli scienziati sociali
sono diventati più cauti» (193-194). In
una visione globale del fenomeno religioso, gli scienziati sociali anglosassoni – a
nostro avviso – dovrebbero essere più sensibili ai processi di laicizzazione delle società di appartenenza e di secolarizzazione della stessa vita religiosa (non solo in
Occidente), quelli europei, invece, dovrebbero porre maggiore attenzione: alla
diffusione dei movimenti religiosi (non
solo in Europa), alla posizione sempre più
prominente assunta dalla religione nel
mondo moderno, all’importanza che essa
riveste nella vita di centinaia di milioni di
abitanti di questo pianeta.
Il confronto comparativo dei due contesti (europeo e americano) – con i pregi e
i limiti dell’analisi di questi due grandi aggregati – aiuterà gli studiosi nelle diverse
sponde dell’Atlantico a rivedere le rispettive impalcature teoriche in un’epoca di
globalizzazione anche delle religioni?
Domenico Pizzuti S.I.
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