Emozioni e differenze di genere: la prospettiva della neurotica.
Rita Ristagno
Università di Messina
Quando si introduce, secondo una prospettiva neuroetica – intesa nella sua duplice veste di etica
delle neuroscienze e neuroscienze dell’etica -, una questione riguardante le emozioni, il campo di
interesse è quello relativo alle scelte (aggiungerei, non esclusivamente etiche) ed alla loro funzione
nel processo di decisione.
Ad inquadrare la questione del ruolo delle emozioni nel processo decisionale e, nello specifico, nei
giudizi morali, sono non ma anche neurologi e neurofisiologi. Così la questione delle scelte, oltre ad
assumere una connotazione normativa data dall’ottica del filosofo morale, assume anche una
connotazione descrittiva grazie al contributo delle neuroscienze che ne studia i correlati
neurobiologici in modo sperimentale ed osservativo.
In questo contesto, in cui si discute del valore della differenza di genere, mi è sembrato interessante
riflettere a partire da uno studio dal titolo Gender-related differences in moral judgments condotto
da Priori e Fumagalli - entrambi neurologi e neurofisiologi che si stanno occupando delle differenze
di genere – e pubblicato nel 2009 su Cognitive Processing.
Tale studio ha diversi meriti: uno, è quello di essere tra i più citati in letteratura quando si voglia
argomentare in favore della necessità di una ricerca scientifica sulla morale che tenga conto delle
differenze di genere; un altro, quello di essere uno studio comportamentale, metodologicamente
lineare e semplice, in cui ad un gruppo di soggetti sani vengono presentati dei dilemmi morali.
L’esito è consistito nel rilevare che il campione femminile risultava essere propenso ad un
comportamento altruistico, anche a scapito dei propri interessi, mentre il campione maschile
risultava essere più “egoista”.
Da questa ricerca, dunque, è emerso, che esiste una differenza di genere a livello comportamentale,
infatti le donne risultano orientate a comportamenti altruistici, guidati dall’empatia e dalle
emozioni, mentre gli uomini sono guidati nelle loro scelte morali dal rispetto per la legge e dal
calcolo razionale. È bene sempre tendere a non assolutizzare i risultati di questo tipo di ricerche e a
non considerare che differenze e categorizzazioni tra campioni di soggetti siano poi così nette.
Sebbene le cause di tale differenza non siano ancora state del tutto chiarite, quello che è certo è che
essa è il risultato dell’intervento di diversi fattori e non di una sola causa: vi sono infatti studi che
mettono in evidenza le differenze biologiche tra uomini e donne a livello degli ormoni, dei sistemi
neurotrasmettitoriali, della struttura di alcune aree del cervello e del diverso modo in cui specifiche
aree cerebrali si attivano durante diversi compiti cognitivi; mentre, altri studi hanno dato più
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evidenza alle cause socio-ambientali tra le quali si annoverano i ruoli che uomini e donne rivestono
nella società, il tipo di educazione ricevuta e la preferenza per studi di tipo scientifico piuttosto che
umanistico.
Ovviamente è possibile che in altre culture diverse dalle nostre, uomini e donne abbiamo
comportamenti sociali diversi, secondo una prospettiva antropologica che oggi si affianca a quella
neuroscientifica: l’intento è giustificare l’intreccio natura/cultura di cui non si può fare a meno nel
momento in cui ci si accosta a studiare i comportamenti umani e le scelte individuali nei contesti
sociali.
Pur volendo mantenere un netto atteggiamento antiriduzionista, è bene concentrarsi sulle evidenze
che le neuroscienze hanno rilevato sulle differenze di genere relativamente alle emozioni; tra gli
esiti più significativi emergono dati sperimentali che mostrano che: la corteccia cingolata
anteriore (CCA) che pondera le opzioni e prende le decisioni, è il centro cerebrale della
preoccupazione e valutazione ed è più sviluppato nella donna piuttosto che nell’uomo; la corteccia
prefrontale (CPF) è la regina che governa le emozioni ed impedisce loro di diventare esplosive,
tiene a freno l’amigdala ed è più sviluppata nella donna, presiede nell’elaborazione delle sensazioni
viscerali; l’ipotalamo è il direttore d’orchestra che coordina le ghiandole endocrine e le gonadi,
entra in funzione più precocemente nella donna; l’amigdala è la belva dentro di noi, il nostro
nucleo istintivo (tenuto a bada solo dalla CPF), l’amigdala è più sviluppata nell’uomo; ipofisi o
ghiandola pituitaria produce ormoni di capitale importanza per la sessualità, l’allattamento e la cura
della prole, contribuisce ad attivare il cervello materno – tale definizione sembra richiamare alla
prospettiva spiccatamente filosofica di Sara Ruddick del pensiero materno, pensiero incentrato su
attenzione e cura, amore, vincolo, legame e vicinanza, pensiero presente nelle donne anche se non
solo in loro; tornando alle aree cerebrali, l’ippocampo è il nostro elefante interiore che non
dimentica un diverbio, un incontro romantico o un momento di tenerezza e non permette a noi di
dimenticarli, più sviluppato e più attivo nella donna. A modulare le emozione nella donna e nel
influenzare le scelte intervengono altri protagonisti che sono i neuro-ormoni.
Louann Brizendine 1, neuropsichiatra dell’Università della California che nel 1994 ha fondato e, ad
oggi dirige, la Woman’s Mood and Hormone Clinic ha proposto una descrizione efficace delle
funzioni di ogni ormone della donna come se fossero personaggi di una storia e quindi
caratterizzandoli con degli aggettivi tipici per descrivere un essere umano: gli estrogeni, seduttivi
talvolta sbrigativi talaltra aggressivi, sono considerati ormoni amici di dopamina, serotonina,
ossitocina, acetilcolina e norepinefrina (sostanze chimiche cerebrali definite del benessere); il
progesterone, fratello degli estrogeni, appare ad intermittenza, definito padre dell’allopregnenolone
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Louann Brizendine, Il cervello delle donne. Capire la mente femminile attraverso le scienze.
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(antidepressivo naturale nel cervello); il testosterone, veloce, determinato, concentrato, divorante,
mascolino, è considerato un seduttore deciso, aggressivo ed insensibile: non ha tempo per le
tenerezze. E ancora: l’ossitocina, che come già detto, è l’ormone della cura e della fiducia, è sorella
della vasopressina (l’ormone maschile della socializzazione) e degli estrogeni, è, inoltre, amica
della dopamina; il cortisolo, dinamico, scattante, agitato è molto sensibile sia fisicamente che
emotivamente: studi recenti confermano che quando la donna è molto stressata ne produce in
eccesso al punto da avere ripercussioni anche sul peso corporeo; la vasopressina, riservata, dotata di
energie maschili aggressive, è sorella del testosterone e dell’ossitocina (incita ad attività tipicamente
maschili); il dhea, serbatoio di tutti gli ormoni, onnipresente, pervasivo, energetico soffio vitale,
progenitore del testosterone e degli estrogeni, è soprannominato l’ormone padre, il Giove e la
Giunone degli ormoni, è presente in livelli massicci durante la giovinezza, sfuma sino a svanire con
la vecchiaia; l’androstenedione è il padre del testosterone nelle ovaie, riserva di impertinenza,
molto brillante in gioventù, diminuisce durante la menopausa, muore con le ovaie;
l’allopregnenolone è figlio del progesterone, opulento, pacato, maturo, sedativo, calmante,
tranquillizzante, senza di lui si è irritabili, neutralizza ogni tensione ma, non appena svanisce, tutto
diventa nuovamente fastidioso, la sua improvvisa scomparsa lo rende protagonista della sindrome
premestruale (PMS) che si verifica nei tre o quattro giorni prima del ciclo.
Volendo ricapitolare le fasi di un cervello femminile, si può affermare che gli ormoni possono
determinare ciò che suscita l’interesse del cervello, influenzano il nostro ruolo di genitori e guidano
i comportamenti sociali, sessuali, aggressivi; possono influire sulla loquacità, la civetteria, la
decisione di organizzare o partecipare a feste, scrivere biglietti di ringraziamento, uscire a giocare
con i bambini, coccolare qualcuno, accudirlo, preoccuparsi dei sentimenti altrui, essere competitivi
ed interessarsi al sesso. Da quanto detto allora i nostri comportamenti, le nostre scelte ed i nostri
affetti sono determinati esclusivamente dai nostri ormoni e dalla loro azione sul nostro cervello? È
solo la biologia che ci rende ciò che siamo in quanto donne? Sicuramente non è cosi: ecco che è
necessario l’intervento della neuroetica che in questioni come queste riesce a trovare una sintesi tra
normativo, cioè tutto ciò che è riconducibile a valori, e descrittivo, cioè il dato scientifico e quindi
osservativo-sperimentale; fattori interni ed esterni sono indispensabili nello sviluppo di un
individuo, è questa dialettica che lo rende unico e, al contempo, complesso.
Infatti, a tal proposito, le differenze neurobiologiche, che determinano la diversità del
comportamento tra maschi e femmine, soprattutto in situazioni socialmente ed emotivamente
rilevanti, suscitano grande interesse scientifico poiché sono chiamate in causa diverse possibilità di
spiegazione, dalle cause biologiche (natura) alle cause socio-ambientali del contesto (cultura).
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Non volendo determinare livelli evolutivi o predisposizioni innate migliori in un sesso piuttosto che
in un altro, è fondamentale inquadrare le differenze di genere in una prospettiva epistemologica che
consideri il fitto intreccio di natura e cultura come determinante per lo sviluppo di qualsiasi
individuo umano o come quindi tener conto delle differenze biologiche tra i due generi che
costituiscono soprattutto un arricchimento per la specie, considerando, ancor prima, le differenze
individuali che rendono l’individuo unico perché costituito da una complessità intrinseca, che lo
connatura e lo determina nel suo interagire con gli altri e con il contesto sociale.
A proposito delle differenze di genere e di come la società odierna, a volte, interpreta gli studi
scientifici e statistici che le rilevano, un aneddoto significativo che è balzato all’onore delle
cronache in tutto il mondo, è stato quello che ha riguardato l’intervento di Larry Summers - famoso
economista americano recentemente candidato alla guida della Banca Centrale Americana ed ex
Presidente della Harvard University - ad una conferenza sulla diversificazione della forza lavoro in
ambito scientifico e sui motivi della sottorappresentazione femminile nelle carriere a questo
correlato. Egli è stato fortemente criticato, attaccato ed obbligato a scusarsi per aver dichiarato che
le donne, per differenze biologiche, sono meno predisposte accademicamente alla matematica ed
alle scienze; tali critiche sono state avanzate anche se Summers aveva motivato le sue affermazioni
sostenendo che non si tratti solo di una questione biologica o di predisposizione naturale, ma anche
culturale. A tal proposito S. individuò tre possibili spiegazioni per le differenze di genere nel settore
scientifico: la prima viene rintracciata nel fatto che le madri, rispetto ai padri, non siano disposte a
stare lontane dai figli per motivi di lavoro (e non solo) per più di un certo numero di ore alla
settimana; la seconda è quella secondo cui le donne nei test matematici a livello di scuola superiore
producono punteggi medi piuttosto che alti e quindi non eccellono nelle carriere universitarie e
scientifiche; e la terza, per lui meno importante, è quella legata alla discriminazione a cui sono
sottoposte le donne che provano ad accedere alle carriere accademiche negli ambiti scientifici.
Da queste affermazioni sembra emergere l’intento di differenziare motivazioni biologiche da quelle
culturali. Ma, per esempio, il fatto che le madri non vogliano star lontano dai figli per più di un
determinato numero di ore a settimana per motivi di lavoro può essere dato dal fatto che nella
società rivestano il ruolo sociale di madre e quindi di colei che accudisce la prole, come dal fatto
che questa sia una predisposizione neurobiologica data dalla presenza nel cervello della donna di un
determinato neuro-ormone chiamato ossitocina che determina in lei una maggiore predisposizione
altruistica e, dunque, la fa individuare nella società come il soggetto maggiormente deputato alla
cura e protezione dei figli.
Tanto le differenze biologiche, che sicuramente sono innegabili, quanto quelle culturali
contribuiscono a sostenere tesi discriminanti secondo cui la donna non possa cimentarsi, e dunque
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eccellere, nelle carriere accademiche scientifiche ed ingegneristiche. Ma non è, certamente, in
un’ottica discriminante che tali differenze debbono essere interpretate. Sicuramente risultano
sindacabili nel momento in cui implicano limiti alla donna nel poter rivestire certi ruoli lavorativi e
sociali; le differenze di genere esistono, ma non implicano affatto un’inferiorità della donna e, tanto
mento, dell’uomo, anzi rappresentano quella ricchezza che fa sì che tali differenze costituiscano un
valore per l’individuo, la specie ed il contesto sociale.
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