OLTRE LA COLLINA Flatform …..I fiori sono immortali,il cielo è tutto intero e quello che verrà è solo una promessa. Osip Mandel’stam Promesse Il paesaggio è il luogo dove può manifestarsi la sovrapposizione dei possibili immaginari e lo slittamento degli immaginari possibili. Spesso parlare del paesaggio ha voluto dire innescare una nuova teoria estetica, oppure confutare o verificare le possibilità di una antecedente. Soprattutto per la modernità è stato ed è un luogo privilegiato della messa in discussione dei rapporti uomo-mondo, soggetto-oggetto visti però sempre da un unico punto di vista, quello del pensatore di turno. E questo è assolutamente comprensibile perché la compattezza, se non proprio la monoliticità, di un Pensiero è generalmente riconosciuta come un elemento di forza dello stesso, almeno all’interno delle culture occidentali. Le possibilità di declinarsi adeguandosi alla maggior parte dei problemi e dei temi, più o meno classicamente dati, delle varie discipline filosofiche (Etica, Estetica, Logica,ecc.) vengono viste come conferme di un Corpus che, in quanto articolato e omnicomprensivo, si pone come nuovo codice di lettura del mondo. Tanto più a senso unico, quanto più assertivo. La certezza prevale sul dubbio come atto di dominio, non solo nella sfera eidetica. Ma il nostro non è il punto di vista di un filosofo. Anzi, non è un solo punto di vista. Sono vari punti di vista di più artisti. E questo permette di affermare teoricamente e praticare quotidianamente la veridicità della frase d’apertura di queste considerazioni sul paesaggio. Per noi il paesaggio è la possibilità di incontro con la natura nella sua pluralità e differenziazione (1), è il punto di intersezione tra il tempo naturale e quello storico (2), è l’espressione di atmosfera e atmosferico (3), è il luogo dove l’abitare non cristallizza il divenire di esso e non ne immobilizza la vita (4), è il processo di trasformazione della natura attraverso l’arte (5). E’ tutto questo insieme, e molto di più. E’ il luogo dove, di volta in volta, uno di questi aspetti prevale pur convivendo con gli altri. E’ il luogo dove ognuna di queste determinazioni non diventa esclusiva e non preclude l’esistenza delle altre. Il paesaggio è un emblematico modello di superamento della costrizione noetica cui il principio di non contraddizione e le sue derive pseudo-dialettiche ci ha sottoposto. La nostra visione del paesaggio non contempla la contraddizione, bensì conflitti, tensioni e collisioni. In questo percorso vengono incontrati e rimessi in gioco, sempre con modalità differenti, elementi fondamentali del paesaggio quali il tempo, il suono,lo spazio, la dissociazione, la meteorologia e l’inserimento. Certamente la nostra azione è agevolata, se non innescata, dal mezzo che noi privilegiamo che è quello che produce immagini in movimento e permette anche di innestare più movimenti nella stessa immagine. Ma non è per presunzione, bensì come auspicio, che pensiamo che il nostro procedere, fuori dalla rigidità/facilità del sistema di pensiero incentrato sulle coppie oppositive e sui dualismi, quello che Tournier ha definito come specularità delle Idee (6),possa a suo modo essere un piccolo contributo a una nuova modellistica di pensiero, oltre che, o forse proprio in funzione di, essere una pratica artistica. Come è dolce la sensazione di un nuovo fatto naturale! – Suggerisce che restano mondi da svelare Henry David Thoreau Orizzonti Le diverse concezioni del paesaggio si inseriscono all’interno di un più vasto territorio di indagine sul sensibile e sulla realtà e pongono come centrale il rapporto tra l’io e il mondo. Le caratteristiche sensibili del soggetto-uomo si confrontano, si contrappongono o si integrano alla porzione di oggetto-natura che gli corrisponde in un determinato momento. Il paesaggio di volta in volta è sottoposto alla dittatura dell’osservatore e alla sua correlazione con il mondo reale. In questo senso, pensare a un allargamento della concezione del paesaggio come pura emanazione del soggetto, inteso ontologicamente o linguisticamente, vuol dire pensare il Reale fuori da un meccanicistico correlazionismo (7). Alla domanda, apparentemente ingenua o retorica ma che il paesaggio innesca ogni volta che poniamo la nostra attenzione su di esso, su cosa sia la Realtà, la nostra risposta non vuole più essere univoca e appiattita sugli unici, per dirla con Francis Wolff, “oggetti-mondi” che hanno governato il Novecento: quello della coscienza e quello del linguaggio. La nostra risposta si apre alla compresenza di più risposte e accoglie la loro multiplanarità. Al carattere tutto interno, anche se totalmente rivolto verso l’esterno, della coscienza e del linguaggio, alle loro proprietà consolidate e lineari si affiancano le esteriorità di fenomeni non-lineari e di proprietà emergenti. Alle proiezioni affettive e percettive del sensibile e sul sensibile, alla molteplicità dei punti di vista si aggiungono proprietà matematizzabili quali variazioni, segnali,oscillazioni, regolarità, che riescono in maniera sempre differente a dirci costantemente che la natura è solo ed esclusivamente qualcosa d’altro rispetto a noi. La Realtà, e con essa la natura in quanto parte integrante, non è materia inerte, nonché ricettacolo di forme e idee trascendenti. Una volta il paesaggio, per come lo vediamo noi, è una materia attiva dotata di proprie capacità e tendenze interne, nel senso che modellano dall’interno il proprio essere e il proprio divenire. Un’altra volta il paesaggio presuppone un osservatore esterno che tenta di afferrare tutta la realtà riducendo la sua prospettiva a una cosa nel mondo. In maniera contrastante,un’altra volta ancora, il paesaggio mostra il suo essere-non-Tutto della realtà, non nel senso dell’esclusione, bensì dell’inclusione di una zona grigia, un vero luogo cieco che è quello che indica la mia inclusione in esso. Delle volte, ai nostri occhi, il paesaggio si matematizza e afferma il suo essere un puro multiplo in cui anche il caso risulta misurabile (8). Un’ulteriore volta il paesaggio si dipana come sviluppo orizzontale di entità differenziate, ponendole come egualmente reali in quanto agiscono su altre entità; qui il rifiuto delle riduzioni a oggetti fisici, fenomeni di coscienza, strutture culturali e sistemi di potere risulta basilare. Queste considerazioni, oltre che rimuovere alla radice alcuni vezzi del pensiero della modernità, siano essi di stampo fenomenologico o d’impronta analitico-linguistica, ci impongono ulteriori riflessioni. Una di queste riguarda il carattere palesemente orizzontale del nostro movimento lungo la scala del progresso. Insieme con De Landa possiamo affermare che, non solo noi, ma tutta l’umanità, lungi dal muoversi progressivamente in maniera verticale e diacronica, “ha semplicemente esplorato orizzontalmente uno spazio di possibilità prestrutturato dagli stati stabili” (9). A ricaduta, da questa affermazione discende una rimessa in gioco di categorie quali quelle del possibile e dell’impossibile, con una conseguente ri-modulazione di questa presunta coppia oppositiva tramite l’emergere dei caratteri, di volta in volta, potenziali o virtuali degli infiniti possibili. In altri termini, se noi assegniamo alla potenzialità di un possibile il carattere di sottomissione alle leggi naturali del nostro universo e alla virtualità di un altro possibile il carattere di non sottomissione a queste stesse leggi (10), superiamo questo dualismo che ci porta a pensare esclusivamente a quello che è e non a quello che potrebbe essere. L’oggetto della nostra riflessione sul paesaggio è tanto l’essere quanto il poter essere. E’ la nostra non-appartenenza rigida a nessuna delle discipline di pensiero sistematico, quali la filosofia, la matematica o la fisica, che ci permette di attraversarle tutte e di poterle porre sincronicamente come declinazioni potenziali o virtuali degli infiniti possibili. Senza privilegi o pregiudizi. Solo con tanti dubbi e attraverso un articolato metodo dissociativo. Quando è accolto dentro di noi, il male non chiede più che gli si creda Franz Kafka Particelle, spettri e dissociazioni Qui, il male, nella sua ripetitiva e introiettata quotidianità cui accenna l’aforisma kafkiano, non assume altre sembianze che quelle dell’impianto biblico-cristiano contraddistinto dal dualismo. D’altro canto la stessa radice dys del negativo, del dolore, è quella del due. Il male,ovvero il Dualismo, è la nostra prassi quotidiana; per questo possiamo tranquillamente dichiarare di credere nel bene, ovvero nel Tutto, che dalla ricomposizione degli oppposti viene generato. L’attivo e il reattivo, il naturale e il soprannaturale, il possibile e l’impossibile, il qualitativo e il quantitativo, e via di questo passo: tutte queste coppie, queste idee speculari concorrono a ricomporre un quadro totale che annulla le singolarità, le oscillazioni, le irregolarità insite nei singoli componenti di questa Unità che alla fine costituisce il paesaggio. La natura cui spesso ci si è riferiti pensando al paesaggio non è la fysis della grecità, così ben delineata da Eraclito quando affermava che “tutto è diverso in ogni istante”. A differenza della fysis classica incentrata sull’essere come essere in movimento, che genera e diviene, quindi come Unità di ciò che è diverso in ogni istante, perenne somma delle diverse parti e componenti, il Tutto generato dalla contrapposizione duale annulla le peculiarità delle sue parti isolate affermando la propria supremazia (11). Il processo che ci permette sia di decostruire alcuni luoghi comuni (si pensi ad esempio al rifiuto, almeno parziale e in determinati momenti, della tripartizione temporale passato-presente-futuro, come verrà evidenziato più avanti), che di dissociare i vari elementi che compongono l’Unità- paesaggio è un procedimento di scomposizione particellare che porta a una riconversione anche delle possibili narrazioni che il paesaggio di tanto in tanto produce o permette. Possono essere gli effetti e le risultanti della evidenziazione di alcuni elementi, o anche di uno solo di essi quale un agente atmosferico come la nebbia che genera una trama, trascina il racconto e innesta nuove visioni. Divisibilità, instabilità e tensione verso una struttura interna sono le caratteristiche della nostra azione sul e nel paesaggio. Come nel famoso romanzo di Huysmans, A rebours, la duplice accezione di a ritroso e di controcorrente chiarisce perfettamente il rigoroso metodo che regola questo processo dissociativo. Nel senso che ripetere o riprendere tramite variazioni ciascuno degli elementi è atto che porta a un uso che definiamo spettrale del paesaggio. Intendendo, con questa accezione, che, come lo spettro di un suono nella musica, o lo spettro di una vibrazione in fisica, il paesaggio diventa l’insieme degli elementi e delle sostanze semplici che lo costituiscono. Il paesaggio viene così inteso, non solo come la sovrapposizione di possibili del tutto immaginari, come già notato, ma anche la sovrapposizione delle componenti naturali la cui risultante è il paesaggio dato. Quando, ad esempio, mostriamo l’emergenza di una complessa e potenziale entità meteorologica come una tempesta che unisce all’unisono pioggia, neve, vento e nebbia, dobbiamo partire dai singoli agenti atmosferici per comporre armonicamente, esattamente come fa lo spettro nella fisica, una grandezza variabile nel tempo, quale è il paesaggio come noi lo intendiamo. In questo modo, il nostro procedere non può che essere apodittico, letteralmente “lontano dal qui-e-ora “ o, se si preferisce, lontano dal contesto, dalla località (12). L’apoditticità di questo atteggiamento comporta inevitabilmente uno sradicamento dal contesto o, meglio, una sospensione delle singole località. In questo modo il processo dissociativo si apre a nuove possibili associazioni che ricompongono gli svariati elementi in un altro paesaggio. Questa attività prefigura uno “stato di eccezione”, intendendo, con questo sintagma mutuato dalla terminologia bio-politica, una sorta di sospensione dell’esperienza ordinaria che isola la vita di diversi punti di un insieme sottraendoli al rapporto normale con il mondo e re-inserendoli in nuovi rapporti con esso e con le cose. E anche se in maniera non palese e diretta, questo è comunque un gesto che interviene anche sul livello bio-politico, poiché nell’atto di riassociare, ovvero di ri-scrivere c’è anche il tentativo di liberare la vita da qualcosa che la imprigiona e la relega nella sfera del puro sentimentalismo. Tiou,tiou,tiou,tiou, Spe,tiou, squa, Tio, tio, tio, tio, tio, tio, tio, tix. Coutio, coutio, coutio, coutio; Squo, squo, squo, squo, Tzu, tzu, tzu, tzu, tzu, tzu, tzu, tzu, tzu, tzi. Corror, tion, squa pipiqui. Zozozozozozozozozozozo, zirrhading! ……. Dictionnaire des onomatopées Suoni Quasi sempre la riflessione, non solo filosofica, sul paesaggio ha sempre messo al centro lo sguardo, la visione. Fino alle estremizzazioni di chi ha voluto incentrare il problema del paesaggio come una faccenda ad uso esclusivo della pittura e di alcune, poche, culture. Pur ascrivendo, in molti, a un atto di trasmissione mimetica di stampo letterario (13) il germe da cui è nata la svolta nel guardare modernamente alla natura attraverso il paesaggio, questo è stato principalmente un territorio esclusivo del visivo e, da un punto di vista artistico, dei cosiddetti media visuali. Compiendo così un duplice errore, ovvero, tanto quello di rendere unico ed esclusivo l’atto del guardare nel percepire la natura e nel concepire il paesaggio, quanto quello di spacciare una presunta purezza dei media visuali, non cogliendone il loro carattere ibridato che li fa essere, alla stregua di tutti i media, dei “mixed media” (14). Detto questo e tenendo presente che, per libera scelta, noi operiamo attraverso mezzi che trasferiscono il movimento delle immagini e dei suoni, sono proprio l’udito e l’ascolto che operano quella effrazione sinestesica, spesso ignorata, che invece è parte integrante e fondamentale del nostro lavoro. Se, come dice Jankelevitch, la vista, dandoci lo spazio, diventa l’organo regolatore, ovvero quello della previsione, della sorveglianza e della verifica (15), è l’udito che immette il disordine, senonanche il delirio, ottime premesse per una più attenta appropriazione dello spazio e degli eventi che in esso accadono. All’attività banalizzante e rassicurante - ci riferiamo alla resa familiare di ciò che si percepisce tramite lo sguardo - che attribuiamo alla vista, fa da contrappunto la messa in gioco dell’incognito, propria dell’udito. Questo anche in presenza di un apparente silenzio, perché proprio nel silenzio, si distingue e si coglie nei dettagli il rumore del mondo (16).Lavorare sul silenzio vuol dire sdoppiarsi all’interno di una profondità elementare, percepire quindi la eco remota delle parole e dei rumori che il silenzio ci rammenta, distinguere quel “mormorio immenso” (17) nel fondo del silenzio. Lavorare attraverso il suono alla dissociazione e alla ricomposizione del paesaggio vuole anche dire, però, fondere i due silenzi: quello della parola e quello dei rumori. Talvolta coinvolgendo la musica, vero e proprio silenzio della parola ma, al contempo, “fare allo stato puro poiché si serve di suoni che hanno significato solo in sé stessi e che restano pertanto eternamente nuovi e disponibili” (18). Ma anche in questo caso le sorgenti del suono si possono mischiare e contaminare vicendevolmente: quelle strettamente musicali,composte ed eseguite, vengono modificate da quelle reali, concrete e registrate, sino a trasformarsi in sonorità dove la stilizzazione e l’imitazione concorrono alla propria re-invenzione, a una nuova onomatopeia. Proprio in queste nuove sonorità si viene a giocare una nuova partita con lo spazio naturale dato nel paesaggio, nel senso che esse fanno convivere suoni che non esistono al di fuori di quello spazio, e che definiremmo istanziati da quello specifico paesaggio, e suoni che esistono al di fuori di questo spazio, e che definiremmo esemplificati da quel paesaggio. Le classiche connotazioni sonore, quelle elusive,quelle allusive e quelle illusorie, solitamente contrapposte, qui convivono e si sostanziano tra loro. In generale, comunque, i suoni sono per noi una componente estremamente importante all’interno del processo di scambio (registrazione e ri-creazione) con il paesaggio, in quanto innescano questioni ontologiche, estetiche e epistemologiche. E, inoltre, accentuando la non reciprocità tra vista e udito (19),aggiunge alla “somiglianza” la “partecipazione”. Integra, cioè, il carattere inevitabilmente mimetico innescato dalla visione del paesaggio, con quello prettamente metessico dell’ascolto del paesaggio. Vogliamo dire che è poi, alla fine, l’ascolto che trasporta verso un senso possibile, perché, quando arriva, trascina, evoca e risuona tanto nello spazio esterno dell’ascolto, quanto nello spazio interno di chi ascolta. Du siehst, mein Sohn, zum Raum wird hier die Zeit Gurnemanz in Parsifal, Atto 1, Scena 1 Tempi Con considerazioni analoghe a quelle espresse riguardo la Realtà, ci avviciniamo a un altro elemento variabile per noi fondamentale in qualsiasi lavoro o riflessione sul paesaggio: il Tempo. Anche in questo caso, infatti, la nostra posizione è inclusiva e non esclusiva. In altri termini accogliamo e, di volta in volta, utilizziamo concezioni e espressioni del tempo fra loro divergenti o opposte come componenti di uno degli immaginari possibili che insiste su un paesaggio. Nel caso del tempo, poi, questa interpolazione o sovrapposizione di diverse angolazioni risulta quasi automatica perché, alla luce delle riflessioni filosofiche che hanno attraversato il Novecento, da Bergson a Deleuze, e in considerazione delle teorie della fisica e della chimica da Brown e Einstein in poi, con particolare riguardo a quella conosciuta come lo spazio-tempo di Minkovski, l’elaborazione del tempo della nostra esperienza è divergente, se non opposto, all’immagine fisica del tempo. Da una parte, i concetti di presentismo, divenire e immutabilità/irrecuperabilità del passato, cui è improntata la quasi totalità delle riflessioni sul tempo della filosofia contemporanea anglosassone, convivono con l’idea deleuziana del tempo come scissione creatrice,del tempo come sdoppiamento del presente in due direzioni eterogenee: una verso l’avvenire e l’altra verso il passato (20).Dall’altra, le teorizzazioni intorno al tempo della fisica contemporanea, o sono impossibilitate a selezionare il tempo presente, come nel caso della teoria sulla simmetria dell’invarianza temporale, o, addirittura, escludono la sua esistenza, come nel caso della teoria della relatività speciale. In questa continua alternanza tra tempo esperienziale e tempo fisico che convivono all’interno del nostro lavoro sul paesaggio, matura ulteriormente quello spostamento epocale da una riflessione sull’Essere ad un’altra sul può-Essere, così come da una contrapposizione, regolata dal principio di non-contraddizione, tra il Possibile e l’Impossibile, a una convivenza delle potenzialità e delle virtualità all’interno degli infiniti e immaginari possibili. Noi lavoriamo nelle tenebre. –Facciamo quel che possiamo.- Diamo ciò che abbiamo. Il nostro dubbio è la nostra passione, e la nostra passione è il nostro compito. Henry James Altro ed eventuale Tutto quello finora detto è espressione della nostra convinzione che l’arte non è la discesa dell’Idea nel materiale artistico bensì, come dice Badiou, “è il montaggio del materiale artistico che è, esso stesso, il luogo dell’Idea”. Pensiamo proprio al montaggio del materiale artistico. Nel nostro caso – trattandosi di immagini e suoni in movimento – vera e propria forma impura e composita, se non proprio una molteplicità eterogenea. Attraverso questo materiale guardiamo il paesaggio, viviamo nel paesaggio e ri-creiamo il paesaggio e pensando, appunto, ad esso ci vengono in mente alcune considerazioni finali legate alle tre attività messe in gioco fin dal momento delle riprese: vedere, ascoltare e andare. Vedere. Vedere e immagini sono intimamente legati. Vedere permette la conoscenza di un luogo, intendendo questo come una configurazione istantanea di posizioni (21). Vedere è mettere in evidenza. Dall’altra parte le immagini vengono spesso considerate come atti di rappresentazione, nel senso di rendere presente un oggetto assente. Ovvero, con atto di trasparenza e opacità al contempo, permettono sia l’accesso ad una realtà assente che risultano di ostacolo a quella realtà. Per noi, però, sono principalmente un atto di testimonianza. Testimonianza della registrazione delle realtà cui un paesaggio attinge. Testimonianza della creazione di ulteriori realtà che quel paesaggio formano. Testimonianza di una verità (22)che si intende. Ascoltare. Ascoltare è mettere in risonanza. Se vedere implica la manifestazione, ovvero mette in luce il paesaggio-presenza, ascoltare coinvolge l’evocazione, ovvero invoca o convoca il paesaggio-presenza. Anche se spesso lo si dimentica,all’interno della caverna di Platone non appaiono solo le ombre degli oggetti portati all’esterno, ma si ascoltano gli echi delle voci di quelli che portano gli oggetti. Andare. Andare è azione spazializzante poiché lo spazio è un incrocio di entità mobili: vettori di direzione, quantità di velocità e le variabili del tempo. Andare è praticare un luogo generandolo come spazio di un possibile paesaggio. Note (1) In questo senso risulta esemplare la delineazione da parte di Martin Seel in Eine Aesthetik der Natur, Suhrkamp Verlag, 1991 dei tre momenti costitutivi il paesaggio e tra loro indissociabilmente interconnessi: quello della contemplazione, quello della corrispondenza e quello della immaginazione. Altrettanto rilevanti, da parte delle riflessioni di Seel, sono sia la messa in relazione della corrispondenza tra l’esperienza estetica della/nella natura e il suo carattere etico, che lo sdoganamento del paesaggio urbano come paesaggio inscrivibile nella esperienza estetica della natura. (2) Ci si riferisce qui alle riflessioni, anticipatrici e documentatissime, delineate da Rosario Assunto in Il Paesaggio e l’Estetica, Giannini Editore, 1973 e che pongono in stretta relazione la natura storica sia dell’esperienza sensibile del paesaggio, che dell’intervento umano nel paesaggio. Punto in comune con Seel è la messa in rilievo, con diverse declinazioni, del carattere di modello da parte del giardino come paesaggio: nel caso di Assunto il paradigma è unico e a totale detrimento degli altri paesaggi, siano essi caratterizzati da un carattere selvaggio o da uno artificiale della natura; nel caso di Seel il modello è solo ideale, ma non esclusivo. (3) L’immediato riferimento è alla elaborazione concettuale di Gernot Boehme in Aisthetik. Vorlesungen ueber Aesthetik als allgemeine Wahrnehmungslehre, Fink Verlag, 2001 che, contrapponendo alla concezione baumgarteniana dell’ Estetica come “teoria della conoscenza sensibile” quella, propria, che delinea l’Estetica come “teoria generale della percezione”, cerca di porre come basilare un fatto percettivo anteriore alla scissione tra soggetto e oggetto. Ovvero, attraverso il concetto di atmosfera, oggetto percettivo primario ma non completamente separato dall’Io, ma, soprattutto, di atmosferico, oggetto percettivo primario completamente separato, si può percepire una presenza prima di quella del soggetto. In qualche modo e nonostante i suoi sforzi, anche Boehme non sfugge alla necessità, costante e imperitura nella filosofia occidentale post-kantiana, di riferire sempre a un Soggetto e alla sua percezione l’esistenza o meno della Realtà: se è vero che, per Boehme, l’atmosfera con cui identifichiamo un paesaggio non è generata dall’atteggiamento esclusivo del Soggetto, è altrettanto vero che essa è il risultato di un atto cooperativo tra Soggetto e Oggetto. Alla ricettività dell’uno corrisponde il mostrarsi fuoriuscendo da sé dell’altro. (4) Non si può non pensare qui al concetto di geofilosofia così come lo ha delineato Luisa Bonesio in Geofilosofia del Paesaggio,Mimesis, 1997. In questo come in altri testi, sia antecedenti che successivi, Bonesio getta un ponte che congiunge le proprie riflessioni con quelle provenienti da altre discipline, quali la geografia, l’architettura e la economia politica ri-inscrivendo il paesaggio all’interno di dinamiche di appartenenza, abitazione, migrazione e localizzazione che ampliano il rapporto tra Natura e Cultura, quasi sempre appannaggio dell’Arte. (5) Posizione in qualche modo diametralmente opposta a quella di Luisa Bonesio e del concetto di geofilosofia è quella emblematizzata e sistematizzata da Alain Roger in Court traitè du paysage, Gallimard, 1997 dove, attraverso il concetto di artialisation, pone come unico e esclusivo processo di trasformazione della natura quello attraverso l’arte di cui il paesaggio è il luogo della rappresentazione. In questo andare-e-venire tra Wilde e Gombrich e con un procedere costantemente ipostatizzante, Roger afferma una radicalità di posizione che costituisce il pregio e il difetto della sua teorizzazione. (6) Michel Tournier, Le miroir des Idées, Mercure de France, 1994 (7) Si deve a Quentin Meillassoux in Après la Finitude. Essai sur la nécessité de contingence, Editions de Seuil, 2006 l’invenzione di questa definizione che evidenzia perfettamente il passaggio dalla filosofia pre-kantiana che pensava la sostanza a quella post-kantiana che ha pensato e pensa la correlazione. In generale, nota Meillassoux, la filosofia moderna è dominata dalla particella co- e, in particolare, attraverso il correlazionismo risponde al realismo ingenuo della metafisica pre-critica. La deroga al correlazionismo, dice il filosofo francese, è sostenere l’esistenza delle qualità primarie. Da qui la creazione di due concetti fondamentali, che sono l’ancestrale, ovvero qualsiasi realtà anteriore all’apparizione della specie umana, e l’arcifossile, ovvero qualsiasi materia che indica l’esistenza di una realtà ancestrale. Il saggio, vera chiave di volta per la discussione sul New Realism, interna alla filosofia contemporanea continentale, porta alla presa d’atto dell’abbandono del Principio di Ragione Sufficiente che può essere sintetizzata dalla seguente frase di Meillassoux: “alla domanda ‘perché le cose sono come sono e non altrimenti ?’ la risposta ‘per nessun motivo’ è una risposta autentica”. (8) La matematica come discorso dell’essere come puro multiplo e l’equazione Matematica=Ontologia =Verità è centrale nelle ultime riflessioni di Alain Badiou, mentre la frase “Randomness is measurable” è una intuizione codificata nel 1933 dal matematico russo Kolmogorov. (9) Manuel De Landa, Mille anni di storia non lineare, Instar Libri, 2003, pag.288 (10)La distinzione tra Potenzialità e Virtualità in cui dividere il possibile è centrale nella creazione di un concetto-cardine della cosiddetta Svolta Speculativa del New Realism, quale è quello di “Supercontingenza” o, più recentemente, “Super-caos” inventato da Meillassoux (11)Che il Tutto sia di più della somma delle sue parti isolate è una tronfia affermazione del primato della Gestalt che tanto ha inficiato il pensiero fenomenologico di tutto il Novecento. E che la imposizione del Tutto sull’Unità abbia determinato la vittoria delle radici biblico-cristiane su quelle greco-evangeliche, in altri termini del tomismo sull’agostinismo, è molto ben evidenziato dall’Opus di Meister Eckhart, tramite anche l’esperienza dell’Unitas Spiritus. (12)La posizione di apoditticità, riferita in questo caso al pensiero filosofico, viene bene riassunta all’interno di un breve ma intenso testo di Bernard Stiegler, Passare all’atto, Fazi Editore, 2005, pag.50, quando l’autore dichiara che “Apodittico vuole dire senza deissi, lontano dalla deissi, al di fuori della deissi, fuori contesto: al di fuori dell’ambiente, senza qui-e-ora. In greco la deixis è il quie-ora, è il ciò-che-si-mostra come qui-e-ora, il luogo mostrativo di ciò che Aristotele chiama il tode ti, il questo-qui.” (13)Si fa riferimento all’ascesa al Monte Ventoso compiuta nel 1336 da Francesco Petraraca e da lui descritta molti anni dopo nelle Lettere Familiari. Questo evento, da Burkhardt a Roger, viene indicato come momento di cambio nell’osservazione della natura e punto di inizio di una nuova concezione del paesaggio. (14)Da Marshall McLuhan a W.J.T. Mitchell è stato spesso messa in risalto la inconsistenza della concezione di media esclusivamente visuali. (15)Vladimir Jankelevitch, Béatrice Berlowitz, Da qualche parte nell’incompiuto, Einaudi, 2012, p. 149 (16)Ibidem, p. 153 (17)Ibidem, p.152 (18)Ibidem, p.170 (19)A questo proposito si veda il saggio di Jean Luc Nancy, All’ascolto, Cortina Editore, 2008 (20)In questo senso, si confronti, per analogia, quanto Pavel A. Florenskij scriveva in Iconostasi, Medusa Editore, 2008 a proposito del tempo nel sogno: “…scorre, e scorre in fretta, in direzione del presente e a ritroso rispetto al tempo della coscienza di veglia. Il tempo è rovesciato su sé stesso e, dunque, sono rovesciate insieme anche tutte le sue immagini concrete.” (21)Brillante definizione fornita da Michel de Certau in L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, 2001, p. 175 (22)A questo proposito è tutt’altro che marginale, se non addirittura fondamentale per la nostra pratica artistica, il rifiuto da parte nostra di avvalerci di immagini sintetiche a favore di una registrazione della realtà che possa permettere alla verità, come invitava Spinoza, di dichiararsi da sé medesima piuttosto che di essere dichiarata.