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OLTRE LA COLLINA
Flatform
…..I fiori sono immortali,il cielo è tutto intero
e quello che verrà è solo una promessa.
Osip Mandel’stam
Promesse
Il paesaggio è il luogo dove può manifestarsi la sovrapposizione dei possibili immaginari e lo slittamento
degli immaginari possibili.
Spesso parlare del paesaggio ha voluto dire innescare una nuova teoria estetica, oppure confutare o
verificare le possibilità di una antecedente. Soprattutto per la modernità è stato ed è un luogo privilegiato
della messa in discussione dei rapporti uomo-mondo, soggetto-oggetto visti però sempre da un unico
punto di vista, quello del pensatore di turno. E questo è assolutamente comprensibile perché la
compattezza, se non proprio la monoliticità, di un Pensiero è generalmente riconosciuta come un elemento
di forza dello stesso, almeno all’interno delle culture occidentali. Le possibilità di declinarsi adeguandosi alla
maggior parte dei problemi e dei temi, più o meno classicamente dati, delle varie discipline filosofiche
(Etica, Estetica, Logica,ecc.) vengono viste come conferme di un Corpus che, in quanto articolato e
omnicomprensivo, si pone come nuovo codice di lettura del mondo. Tanto più a senso unico, quanto più
assertivo. La certezza prevale sul dubbio come atto di dominio, non solo nella sfera eidetica.
Ma il nostro non è il punto di vista di un filosofo. Anzi, non è un solo punto di vista. Sono vari punti di vista
di più artisti. E questo permette di affermare teoricamente e praticare quotidianamente la veridicità della
frase d’apertura di queste considerazioni sul paesaggio. Per noi il paesaggio è la possibilità di incontro con
la natura nella sua pluralità e differenziazione (1), è il punto di intersezione tra il tempo naturale e quello
storico (2), è l’espressione di atmosfera e atmosferico (3), è il luogo dove l’abitare non cristallizza il divenire
di esso e non ne immobilizza la vita (4), è il processo di trasformazione della natura attraverso l’arte (5). E’
tutto questo insieme, e molto di più. E’ il luogo dove, di volta in volta, uno di questi aspetti prevale pur
convivendo con gli altri. E’ il luogo dove ognuna di queste determinazioni non diventa esclusiva e non
preclude l’esistenza delle altre. Il paesaggio è un emblematico modello di superamento della costrizione
noetica cui il principio di non contraddizione e le sue derive pseudo-dialettiche ci ha sottoposto. La nostra
visione del paesaggio non contempla la contraddizione, bensì conflitti, tensioni e collisioni. In questo
percorso vengono incontrati e rimessi in gioco, sempre con modalità differenti, elementi fondamentali del
paesaggio quali il tempo, il suono,lo spazio, la dissociazione, la meteorologia e l’inserimento. Certamente la
nostra azione è agevolata, se non innescata, dal mezzo che noi privilegiamo che è quello che produce
immagini in movimento e permette anche di innestare più movimenti nella stessa immagine. Ma non è per
presunzione, bensì come auspicio, che pensiamo che il nostro procedere, fuori dalla rigidità/facilità del
sistema di pensiero incentrato sulle coppie oppositive e sui dualismi, quello che Tournier ha definito come
specularità delle Idee (6),possa a suo modo essere un piccolo contributo a una nuova modellistica di
pensiero, oltre che, o forse proprio in funzione di, essere una pratica artistica.
Come è dolce la sensazione di un nuovo fatto naturale! –
Suggerisce che restano mondi da svelare
Henry David Thoreau
Orizzonti
Le diverse concezioni del paesaggio si inseriscono all’interno di un più vasto territorio di indagine sul
sensibile e sulla realtà e pongono come centrale il rapporto tra l’io e il mondo. Le caratteristiche sensibili
del soggetto-uomo si confrontano, si contrappongono o si integrano alla porzione di oggetto-natura che gli
corrisponde in un determinato momento. Il paesaggio di volta in volta è sottoposto alla dittatura
dell’osservatore e alla sua correlazione con il mondo reale. In questo senso, pensare a un allargamento
della concezione del paesaggio come pura emanazione del soggetto, inteso ontologicamente o
linguisticamente, vuol dire pensare il Reale fuori da un meccanicistico correlazionismo (7). Alla domanda,
apparentemente ingenua o retorica ma che il paesaggio innesca ogni volta che poniamo la nostra
attenzione su di esso, su cosa sia la Realtà, la nostra risposta non vuole più essere univoca e appiattita sugli
unici, per dirla con Francis Wolff, “oggetti-mondi” che hanno governato il Novecento: quello della coscienza
e quello del linguaggio. La nostra risposta si apre alla compresenza di più risposte e accoglie la loro multiplanarità. Al carattere tutto interno, anche se totalmente rivolto verso l’esterno, della coscienza e del
linguaggio, alle loro proprietà consolidate e lineari si affiancano le esteriorità di fenomeni non-lineari e di
proprietà emergenti. Alle proiezioni affettive e percettive del sensibile e sul sensibile, alla molteplicità dei
punti di vista si aggiungono proprietà matematizzabili quali variazioni, segnali,oscillazioni, regolarità, che
riescono in maniera sempre differente a dirci costantemente che la natura è solo ed esclusivamente
qualcosa d’altro rispetto a noi. La Realtà, e con essa la natura in quanto parte integrante, non è materia
inerte, nonché ricettacolo di forme e idee trascendenti. Una volta il paesaggio, per come lo vediamo noi, è
una materia attiva dotata di proprie capacità e tendenze interne, nel senso che modellano dall’interno il
proprio essere e il proprio divenire. Un’altra volta il paesaggio presuppone un osservatore esterno che
tenta di afferrare tutta la realtà riducendo la sua prospettiva a una cosa nel mondo. In maniera
contrastante,un’altra volta ancora, il paesaggio mostra il suo essere-non-Tutto della realtà, non nel senso
dell’esclusione, bensì dell’inclusione di una zona grigia, un vero luogo cieco che è quello che indica la mia
inclusione in esso. Delle volte, ai nostri occhi, il paesaggio si matematizza e afferma il suo essere un puro
multiplo in cui anche il caso risulta misurabile (8). Un’ulteriore volta il paesaggio si dipana come sviluppo
orizzontale di entità differenziate, ponendole come egualmente reali in quanto agiscono su altre entità; qui
il rifiuto delle riduzioni a oggetti fisici, fenomeni di coscienza, strutture culturali e sistemi di potere risulta
basilare.
Queste considerazioni, oltre che rimuovere alla radice alcuni vezzi del pensiero della
modernità, siano essi di stampo fenomenologico o d’impronta analitico-linguistica, ci impongono ulteriori
riflessioni. Una di queste riguarda il carattere palesemente orizzontale del nostro movimento lungo la scala
del progresso. Insieme con De Landa possiamo affermare che, non solo noi, ma tutta l’umanità, lungi dal
muoversi progressivamente in maniera verticale e diacronica, “ha semplicemente esplorato
orizzontalmente uno spazio di possibilità prestrutturato dagli stati stabili” (9). A ricaduta, da questa
affermazione discende una rimessa in gioco di categorie quali quelle del possibile e dell’impossibile, con
una conseguente ri-modulazione di questa presunta coppia oppositiva tramite l’emergere dei caratteri, di
volta in volta, potenziali o virtuali degli infiniti possibili. In altri termini, se noi assegniamo alla potenzialità
di un possibile il carattere di sottomissione alle leggi naturali del nostro universo e alla virtualità di un altro
possibile il carattere di non sottomissione a queste stesse leggi (10), superiamo questo dualismo che ci
porta a pensare esclusivamente a quello che è e non a quello che potrebbe essere. L’oggetto della nostra
riflessione sul paesaggio è tanto l’essere quanto il poter essere. E’ la nostra non-appartenenza rigida a
nessuna delle discipline di pensiero sistematico, quali la filosofia, la matematica o la fisica, che ci permette
di attraversarle tutte e di poterle porre sincronicamente come declinazioni potenziali o virtuali degli infiniti
possibili. Senza privilegi o pregiudizi. Solo con tanti dubbi e attraverso un articolato metodo dissociativo.
Quando è accolto dentro di noi, il male non chiede più
che gli si creda
Franz Kafka
Particelle, spettri e dissociazioni
Qui, il male, nella sua ripetitiva e introiettata quotidianità cui accenna l’aforisma kafkiano, non assume altre
sembianze che quelle dell’impianto biblico-cristiano contraddistinto dal dualismo. D’altro canto la stessa
radice dys del negativo, del dolore, è quella del due. Il male,ovvero il Dualismo, è la nostra prassi
quotidiana; per questo possiamo tranquillamente dichiarare di credere nel bene, ovvero nel Tutto, che
dalla ricomposizione degli oppposti viene generato. L’attivo e il reattivo, il naturale e il soprannaturale, il
possibile e l’impossibile, il qualitativo e il quantitativo, e via di questo passo: tutte queste coppie, queste
idee speculari concorrono a ricomporre un quadro totale che annulla le singolarità, le oscillazioni, le
irregolarità insite nei singoli componenti di questa Unità che alla fine costituisce il paesaggio. La natura cui
spesso ci si è riferiti pensando al paesaggio non è la fysis della grecità, così ben delineata da Eraclito quando
affermava che “tutto è diverso in ogni istante”. A differenza della fysis classica incentrata sull’essere come
essere in movimento, che genera e diviene, quindi come Unità di ciò che è diverso in ogni istante, perenne
somma delle diverse parti e componenti, il Tutto generato dalla contrapposizione duale annulla le
peculiarità delle sue parti isolate affermando la propria supremazia (11). Il processo che ci permette sia di
decostruire alcuni luoghi comuni (si pensi ad esempio al rifiuto, almeno parziale e in determinati momenti,
della tripartizione temporale passato-presente-futuro, come verrà evidenziato più avanti), che di dissociare
i vari elementi che compongono l’Unità- paesaggio è un procedimento di scomposizione particellare che
porta a una riconversione anche delle possibili narrazioni che il paesaggio di tanto in tanto produce o
permette. Possono essere gli effetti e le risultanti della evidenziazione di alcuni elementi, o anche di uno
solo di essi quale un agente atmosferico come la nebbia che genera una trama, trascina il racconto e
innesta nuove visioni. Divisibilità, instabilità e tensione verso una struttura interna sono le caratteristiche
della nostra azione sul e nel paesaggio. Come nel famoso romanzo di Huysmans, A rebours, la duplice
accezione di a ritroso e di controcorrente chiarisce perfettamente il rigoroso metodo che regola questo
processo dissociativo. Nel senso che ripetere o riprendere tramite variazioni ciascuno degli elementi è atto
che porta a un uso che definiamo spettrale del paesaggio. Intendendo, con questa accezione, che, come lo
spettro di un suono nella musica, o lo spettro di una vibrazione in fisica, il paesaggio diventa l’insieme degli
elementi e delle sostanze semplici che lo costituiscono. Il paesaggio viene così inteso, non solo come la
sovrapposizione di possibili del tutto immaginari, come già notato, ma anche la sovrapposizione delle
componenti naturali la cui risultante è il paesaggio dato. Quando, ad esempio, mostriamo l’emergenza di
una complessa e potenziale entità meteorologica come una tempesta che unisce all’unisono pioggia, neve,
vento e nebbia, dobbiamo partire dai singoli agenti atmosferici per comporre armonicamente, esattamente
come fa lo spettro nella fisica, una grandezza variabile nel tempo, quale è il paesaggio come noi lo
intendiamo. In questo modo, il nostro procedere non può che essere apodittico, letteralmente “lontano dal
qui-e-ora “ o, se si preferisce, lontano dal contesto, dalla località (12). L’apoditticità di questo
atteggiamento comporta inevitabilmente uno sradicamento dal contesto o, meglio, una sospensione delle
singole località. In questo modo il processo dissociativo si apre a nuove possibili associazioni che
ricompongono gli svariati elementi in un altro paesaggio. Questa attività prefigura uno “stato di eccezione”,
intendendo, con questo sintagma mutuato dalla terminologia bio-politica, una sorta di sospensione
dell’esperienza ordinaria che isola la vita di diversi punti di un insieme sottraendoli al rapporto normale con
il mondo e re-inserendoli in nuovi rapporti con esso e con le cose. E anche se in maniera non palese e
diretta, questo è comunque un gesto che interviene anche sul livello bio-politico, poiché nell’atto di riassociare, ovvero di ri-scrivere c’è anche il tentativo di liberare la vita da qualcosa che la imprigiona e la
relega nella sfera del puro sentimentalismo.
Tiou,tiou,tiou,tiou,
Spe,tiou, squa,
Tio, tio, tio, tio, tio, tio, tio, tix.
Coutio, coutio, coutio, coutio;
Squo, squo, squo, squo,
Tzu, tzu, tzu, tzu, tzu, tzu, tzu, tzu, tzu, tzi.
Corror, tion, squa pipiqui.
Zozozozozozozozozozozo, zirrhading! …….
Dictionnaire des onomatopées
Suoni
Quasi sempre la riflessione, non solo filosofica, sul paesaggio ha sempre messo al centro lo sguardo, la
visione. Fino alle estremizzazioni di chi ha voluto incentrare il problema del paesaggio come una faccenda
ad uso esclusivo della pittura e di alcune, poche, culture. Pur ascrivendo, in molti, a un atto di trasmissione
mimetica di stampo letterario (13) il germe da cui è nata la svolta nel guardare modernamente alla natura
attraverso il paesaggio, questo è stato principalmente un territorio esclusivo del visivo e, da un punto di
vista artistico, dei cosiddetti media visuali. Compiendo così un duplice errore, ovvero, tanto quello di
rendere unico ed esclusivo l’atto del guardare nel percepire la natura e nel concepire il paesaggio, quanto
quello di spacciare una presunta purezza dei media visuali, non cogliendone il loro carattere ibridato che li
fa essere, alla stregua di tutti i media, dei “mixed media” (14). Detto questo e tenendo presente che, per
libera scelta, noi operiamo attraverso mezzi che trasferiscono il movimento delle immagini e dei suoni,
sono proprio l’udito e l’ascolto che operano quella effrazione sinestesica, spesso ignorata, che invece è
parte integrante e fondamentale del nostro lavoro. Se, come dice Jankelevitch, la vista, dandoci lo spazio,
diventa l’organo regolatore, ovvero quello della previsione, della sorveglianza e della verifica (15), è l’udito
che immette il disordine, senonanche il delirio, ottime premesse per una più attenta appropriazione dello
spazio e degli eventi che in esso accadono. All’attività banalizzante e rassicurante - ci riferiamo alla resa
familiare di ciò che si percepisce tramite lo sguardo - che attribuiamo alla vista, fa da contrappunto la
messa in gioco dell’incognito, propria dell’udito. Questo anche in presenza di un apparente silenzio, perché
proprio nel silenzio, si distingue e si coglie nei dettagli il rumore del mondo (16).Lavorare sul silenzio vuol
dire sdoppiarsi all’interno di una profondità elementare, percepire quindi la eco remota delle parole e dei
rumori che il silenzio ci rammenta, distinguere quel “mormorio immenso” (17) nel fondo del silenzio.
Lavorare attraverso il suono alla dissociazione e alla ricomposizione del paesaggio vuole anche dire, però,
fondere i due silenzi: quello della parola e quello dei rumori. Talvolta coinvolgendo la musica, vero e
proprio silenzio della parola ma, al contempo, “fare allo stato puro poiché si serve di suoni che hanno
significato solo in sé stessi e che restano pertanto eternamente nuovi e disponibili” (18). Ma anche in
questo caso le sorgenti del suono si possono mischiare e contaminare vicendevolmente: quelle
strettamente musicali,composte ed eseguite, vengono modificate da quelle reali, concrete e registrate, sino
a trasformarsi in sonorità dove la stilizzazione e l’imitazione concorrono alla propria re-invenzione, a una
nuova onomatopeia. Proprio in queste nuove sonorità si viene a giocare una nuova partita con lo spazio
naturale dato nel paesaggio, nel senso che esse fanno convivere suoni che non esistono al di fuori di quello
spazio, e che definiremmo istanziati da quello specifico paesaggio, e suoni che esistono al di fuori di questo
spazio, e che definiremmo esemplificati da quel paesaggio. Le classiche connotazioni sonore, quelle
elusive,quelle allusive e quelle illusorie, solitamente contrapposte, qui convivono e si sostanziano tra loro.
In generale, comunque, i suoni sono per noi una componente estremamente importante all’interno del
processo di scambio (registrazione e ri-creazione) con il paesaggio, in quanto innescano questioni
ontologiche, estetiche e epistemologiche. E, inoltre, accentuando la non reciprocità tra vista e udito
(19),aggiunge alla “somiglianza” la “partecipazione”. Integra, cioè, il carattere inevitabilmente mimetico
innescato dalla visione del paesaggio, con quello prettamente metessico dell’ascolto del paesaggio.
Vogliamo dire che è poi, alla fine, l’ascolto che trasporta verso un senso possibile, perché, quando arriva,
trascina, evoca e risuona tanto nello spazio esterno dell’ascolto, quanto nello spazio interno di chi ascolta.
Du siehst, mein Sohn,
zum Raum wird hier die Zeit
Gurnemanz in Parsifal, Atto 1, Scena 1
Tempi
Con considerazioni analoghe a quelle espresse riguardo la Realtà, ci avviciniamo a un altro elemento
variabile per noi fondamentale in qualsiasi lavoro o riflessione sul paesaggio: il Tempo. Anche in questo
caso, infatti, la nostra posizione è inclusiva e non esclusiva. In altri termini accogliamo e, di volta in volta,
utilizziamo concezioni e espressioni del tempo fra loro divergenti o opposte come componenti di uno degli
immaginari possibili che insiste su un paesaggio. Nel caso del tempo, poi, questa interpolazione o
sovrapposizione di diverse angolazioni risulta quasi automatica perché, alla luce delle riflessioni filosofiche
che hanno attraversato il Novecento, da Bergson a Deleuze, e in considerazione delle teorie della fisica e
della chimica da Brown e Einstein in poi, con particolare riguardo a quella conosciuta come lo spazio-tempo
di Minkovski, l’elaborazione del tempo della nostra esperienza è divergente, se non opposto, all’immagine
fisica del tempo. Da una parte, i concetti di presentismo, divenire e immutabilità/irrecuperabilità del
passato, cui è improntata la quasi totalità delle riflessioni sul tempo della filosofia contemporanea
anglosassone, convivono con l’idea deleuziana del tempo come scissione creatrice,del tempo come
sdoppiamento del presente in due direzioni eterogenee: una verso l’avvenire e l’altra verso il passato
(20).Dall’altra, le teorizzazioni intorno al tempo della fisica contemporanea, o sono impossibilitate a
selezionare il tempo presente, come nel caso della teoria sulla simmetria dell’invarianza temporale, o,
addirittura, escludono la sua esistenza, come nel caso della teoria della relatività speciale. In questa
continua alternanza tra tempo esperienziale e tempo fisico che convivono all’interno del nostro lavoro sul
paesaggio, matura ulteriormente quello spostamento epocale da una riflessione sull’Essere ad un’altra sul
può-Essere, così come da una contrapposizione, regolata dal principio di non-contraddizione, tra il Possibile
e l’Impossibile, a una convivenza delle potenzialità e delle virtualità all’interno degli infiniti e immaginari
possibili.
Noi lavoriamo nelle tenebre. –Facciamo quel che
possiamo.- Diamo ciò che abbiamo. Il nostro dubbio è la
nostra passione, e la nostra passione è il nostro compito.
Henry James
Altro ed eventuale
Tutto quello finora detto è espressione della nostra convinzione che l’arte non è la discesa dell’Idea nel
materiale artistico bensì, come dice Badiou, “è il montaggio del materiale artistico che è, esso stesso, il
luogo dell’Idea”. Pensiamo proprio al montaggio del materiale artistico. Nel nostro caso – trattandosi di
immagini e suoni in movimento – vera e propria forma impura e composita, se non proprio una molteplicità
eterogenea. Attraverso questo materiale guardiamo il paesaggio, viviamo nel paesaggio e ri-creiamo il
paesaggio e pensando, appunto, ad esso ci vengono in mente alcune considerazioni finali legate alle tre
attività messe in gioco fin dal momento delle riprese: vedere, ascoltare e andare. Vedere. Vedere e
immagini sono intimamente legati. Vedere permette la conoscenza di un luogo, intendendo questo come
una configurazione istantanea di posizioni (21). Vedere è mettere in evidenza. Dall’altra parte le immagini
vengono spesso considerate come atti di rappresentazione, nel senso di rendere presente un oggetto
assente. Ovvero, con atto di trasparenza e opacità al contempo, permettono sia l’accesso ad una realtà
assente che risultano di ostacolo a quella realtà. Per noi, però, sono principalmente un atto di
testimonianza. Testimonianza della registrazione delle realtà cui un paesaggio attinge. Testimonianza della
creazione di ulteriori realtà che quel paesaggio formano. Testimonianza di una verità (22)che si intende.
Ascoltare. Ascoltare è mettere in risonanza. Se vedere implica la manifestazione, ovvero mette in luce il
paesaggio-presenza, ascoltare coinvolge l’evocazione, ovvero invoca o convoca il paesaggio-presenza.
Anche se spesso lo si dimentica,all’interno della caverna di Platone non appaiono solo le ombre degli
oggetti portati all’esterno, ma si ascoltano gli echi delle voci di quelli che portano gli oggetti. Andare.
Andare è azione spazializzante poiché lo spazio è un incrocio di entità mobili: vettori di direzione, quantità
di velocità e le variabili del tempo. Andare è praticare un luogo generandolo come spazio di un possibile
paesaggio.
Note
(1) In questo senso risulta esemplare la delineazione da parte di Martin Seel in Eine Aesthetik der
Natur, Suhrkamp Verlag, 1991 dei tre momenti costitutivi il paesaggio e tra loro indissociabilmente
interconnessi: quello della contemplazione, quello della corrispondenza e quello della
immaginazione. Altrettanto rilevanti, da parte delle riflessioni di Seel, sono sia la messa in relazione
della corrispondenza tra l’esperienza estetica della/nella natura e il suo carattere etico, che lo
sdoganamento del paesaggio urbano come paesaggio inscrivibile nella esperienza estetica della
natura.
(2) Ci si riferisce qui alle riflessioni, anticipatrici e documentatissime, delineate da Rosario Assunto in Il
Paesaggio e l’Estetica, Giannini Editore, 1973 e che pongono in stretta relazione la natura storica sia
dell’esperienza sensibile del paesaggio, che dell’intervento umano nel paesaggio. Punto in comune
con Seel è la messa in rilievo, con diverse declinazioni, del carattere di modello da parte del
giardino come paesaggio: nel caso di Assunto il paradigma è unico e a totale detrimento degli altri
paesaggi, siano essi caratterizzati da un carattere selvaggio o da uno artificiale della natura; nel
caso di Seel il modello è solo ideale, ma non esclusivo.
(3) L’immediato riferimento è alla elaborazione concettuale di Gernot Boehme in Aisthetik.
Vorlesungen ueber Aesthetik als allgemeine Wahrnehmungslehre, Fink Verlag, 2001 che,
contrapponendo alla concezione baumgarteniana dell’ Estetica come “teoria della conoscenza
sensibile” quella, propria, che delinea l’Estetica come “teoria generale della percezione”, cerca di
porre come basilare un fatto percettivo anteriore alla scissione tra soggetto e oggetto. Ovvero,
attraverso il concetto di atmosfera, oggetto percettivo primario ma non completamente separato
dall’Io, ma, soprattutto, di atmosferico, oggetto percettivo primario completamente separato, si
può percepire una presenza prima di quella del soggetto. In qualche modo e nonostante i suoi
sforzi, anche Boehme non sfugge alla necessità, costante e imperitura nella filosofia occidentale
post-kantiana, di riferire sempre a un Soggetto e alla sua percezione l’esistenza o meno della
Realtà: se è vero che, per Boehme, l’atmosfera con cui identifichiamo un paesaggio non è generata
dall’atteggiamento esclusivo del Soggetto, è altrettanto vero che essa è il risultato di un atto cooperativo tra Soggetto e Oggetto. Alla ricettività dell’uno corrisponde il mostrarsi fuoriuscendo da
sé dell’altro.
(4) Non si può non pensare qui al concetto di geofilosofia così come lo ha delineato Luisa Bonesio in
Geofilosofia del Paesaggio,Mimesis, 1997. In questo come in altri testi, sia antecedenti che
successivi, Bonesio getta un ponte che congiunge le proprie riflessioni con quelle provenienti da
altre discipline, quali la geografia, l’architettura e la economia politica ri-inscrivendo il paesaggio
all’interno di dinamiche di appartenenza, abitazione, migrazione e localizzazione che ampliano il
rapporto tra Natura e Cultura, quasi sempre appannaggio dell’Arte.
(5) Posizione in qualche modo diametralmente opposta a quella di Luisa Bonesio e del concetto di
geofilosofia è quella emblematizzata e sistematizzata da Alain Roger in Court traitè du paysage,
Gallimard, 1997 dove, attraverso il concetto di artialisation, pone come unico e esclusivo processo
di trasformazione della natura quello attraverso l’arte di cui il paesaggio è il luogo della
rappresentazione. In questo andare-e-venire tra Wilde e Gombrich e con un procedere
costantemente ipostatizzante, Roger afferma una radicalità di posizione che costituisce il pregio e il
difetto della sua teorizzazione.
(6) Michel Tournier, Le miroir des Idées, Mercure de France, 1994
(7) Si deve a Quentin Meillassoux in Après la Finitude. Essai sur la nécessité de contingence, Editions de
Seuil, 2006 l’invenzione di questa definizione che evidenzia perfettamente il passaggio dalla
filosofia pre-kantiana che pensava la sostanza a quella post-kantiana che ha pensato e pensa la
correlazione. In generale, nota Meillassoux, la filosofia moderna è dominata dalla particella co- e, in
particolare, attraverso il correlazionismo risponde al realismo ingenuo della metafisica pre-critica.
La deroga al correlazionismo, dice il filosofo francese, è sostenere l’esistenza delle qualità primarie.
Da qui la creazione di due concetti fondamentali, che sono l’ancestrale, ovvero qualsiasi realtà
anteriore all’apparizione della specie umana, e l’arcifossile, ovvero qualsiasi materia che indica
l’esistenza di una realtà ancestrale. Il saggio, vera chiave di volta per la discussione sul New
Realism, interna alla filosofia contemporanea continentale, porta alla presa d’atto dell’abbandono
del Principio di Ragione Sufficiente che può essere sintetizzata dalla seguente frase di Meillassoux:
“alla domanda ‘perché le cose sono come sono e non altrimenti ?’ la risposta ‘per nessun motivo’ è
una risposta autentica”.
(8) La matematica come discorso dell’essere come puro multiplo e l’equazione Matematica=Ontologia
=Verità è centrale nelle ultime riflessioni di Alain Badiou, mentre la frase “Randomness is
measurable” è una intuizione codificata nel 1933 dal matematico russo Kolmogorov.
(9) Manuel De Landa, Mille anni di storia non lineare, Instar Libri, 2003, pag.288
(10)La distinzione tra Potenzialità e Virtualità in cui dividere il possibile è centrale nella creazione di un
concetto-cardine della cosiddetta Svolta Speculativa del New Realism, quale è quello di “Supercontingenza” o, più recentemente, “Super-caos” inventato da Meillassoux
(11)Che il Tutto sia di più della somma delle sue parti isolate è una tronfia affermazione del primato
della Gestalt che tanto ha inficiato il pensiero fenomenologico di tutto il Novecento. E che la
imposizione del Tutto sull’Unità abbia determinato la vittoria delle radici biblico-cristiane su quelle
greco-evangeliche, in altri termini del tomismo sull’agostinismo, è molto ben evidenziato dall’Opus
di Meister Eckhart, tramite anche l’esperienza dell’Unitas Spiritus.
(12)La posizione di apoditticità, riferita in questo caso al pensiero filosofico, viene bene riassunta
all’interno di un breve ma intenso testo di Bernard Stiegler, Passare all’atto, Fazi Editore, 2005,
pag.50, quando l’autore dichiara che “Apodittico vuole dire senza deissi, lontano dalla deissi, al di
fuori della deissi, fuori contesto: al di fuori dell’ambiente, senza qui-e-ora. In greco la deixis è il quie-ora, è il ciò-che-si-mostra come qui-e-ora, il luogo mostrativo di ciò che Aristotele chiama il tode
ti, il questo-qui.”
(13)Si fa riferimento all’ascesa al Monte Ventoso compiuta nel 1336 da Francesco Petraraca e da lui
descritta molti anni dopo nelle Lettere Familiari. Questo evento, da Burkhardt a Roger, viene
indicato come momento di cambio nell’osservazione della natura e punto di inizio di una nuova
concezione del paesaggio.
(14)Da Marshall McLuhan a W.J.T. Mitchell è stato spesso messa in risalto la inconsistenza della
concezione di media esclusivamente visuali.
(15)Vladimir Jankelevitch, Béatrice Berlowitz, Da qualche parte nell’incompiuto, Einaudi, 2012, p. 149
(16)Ibidem, p. 153
(17)Ibidem, p.152
(18)Ibidem, p.170
(19)A questo proposito si veda il saggio di Jean Luc Nancy, All’ascolto, Cortina Editore, 2008
(20)In questo senso, si confronti, per analogia, quanto Pavel A. Florenskij scriveva in Iconostasi, Medusa
Editore, 2008 a proposito del tempo nel sogno: “…scorre, e scorre in fretta, in direzione del
presente e a ritroso rispetto al tempo della coscienza di veglia. Il tempo è rovesciato su sé stesso e,
dunque, sono rovesciate insieme anche tutte le sue immagini concrete.”
(21)Brillante definizione fornita da Michel de Certau in L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro,
2001, p. 175
(22)A questo proposito è tutt’altro che marginale, se non addirittura fondamentale per la nostra pratica
artistica, il rifiuto da parte nostra di avvalerci di immagini sintetiche a favore di una registrazione
della realtà che possa permettere alla verità, come invitava Spinoza, di dichiararsi da sé medesima
piuttosto che di essere dichiarata.
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