CONSIGLIARE I DUBBIOSI a. la vita Per cogliere il senso di questa

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CONSIGLIARE I DUBBIOSI
a. la vita
Per cogliere il senso di questa opera di misericordia occorre anzitutto prendere coscienza del
carattere ambivalente di entrambi i termini che la compongono: il consiglio e l'atto di consigliare, il
dubbio e l'atto di dubitare.
Il primo termine non è ambivalente solo perché un consiglio può essere buono o cattivo, adeguato
o inadeguato, giusto o sbagliato, ma anche perché può essere un atto di presunzione il pensare di potere
e sapere dare un consiglio. La Bibbia mette in guardia da chi elargisce consigli, e suggerisce una serie
di domande da porsi prima di lasciarsi consigliare. Da chi mi faccio consigliare ? E su quale argomento
? Non chiunque, infatti, può consigliare su qualunque argomento. E poi: che cosa muove colui che mi
consiglia ? E disinteressato il suo consiglio ? Ha di mira il mio bene ?
b. la Parola
Scrive il libro del Siracide:
Ogni consigliere esalta il consiglio che dà, ma c'è chi consiglia a proprio vantaggio. Guardati da chi
vuole darti consiglio e prima informati quali siano le sue necessità: egli infatti darà consigli a suo
vantaggio; perché non abbia a gettare un laccio su di te
e ti dica: "La tua via è buona", ma poi si tenga in disparte per vedere
quel che ti succede. Non consigliarti con chi ti guarda di sbieco e nascondi le tue intenzioni a quanti ti
invidiano. Non consigliarti con una donna sulla sua rivale e con un pauroso sulla guerra, con un
mercante sul commercio e con un compratore sulla vendita, con un invidioso sulla riconoscenza e con
uno spietato sulla bontà di cuore, con un pigro su una iniziativa qualsiasi e con un salariato sul
raccolto, con uno schiavo pigro su un lavoro importante. Non dipendere da costoro per nessun
consiglio (Sir 37,7-11).
Il testo ci istruisce più su ciò che un consiglio non deve essere che su ciò che deve essere.
L'ammonimento a “non dipendere” da chi dà un consiglio è importante perché mette in guardia dal
rischio di fare del lasciarsi consigliare un atto di deresponsabilizzazione. Il consiglio non esime dalla
responsabilità della scelta che è sempre personale e libera. Mendicare consigli a destra e a manca senza
mai pervenire a una decisione è segno di incertezza patologica o di paura, anzi di terrore di fronte alla
responsabilità. Ma dal punto di vista di chi consiglia è indispensabile che il consigliare non diventi un
manipolare, un forzare la volontà dell'altro per condurlo là dove si vuole, quand'anche si ritenesse che
questo “là dove si vuole” fosse la cosa migliore per l'altro. Può dare consigli buoni chi si astiene
coscientemente dall'avere potere su colui a cui si rivolge. Consigliare non è dunque adulare, né sedurre,
e tantomeno manipolare o abusare, ma sta nello spazio del servire la libertà altrui.
Anche l'atto di dubitare è ambivalente: se vi sono dubbi paralizzanti che impediscono ogni decisione
e dunque la vita, che finiscono in un relativismo indifferente e scettico, vi è anche un dubbio vitale,
fecondo, connaturato all'umano in quanto tale e che è all'origine della conoscenza, che produce ricerca
e creatività, che spinge l'uomo ad “andare oltre”, a non accontentarsi, a oltrepassare le proprie sicurezze
e a uscire dal recinto delle proprie abitudini. Quando mai, in una determinata situazione, possiamo dire
di aver fatto tutto il possibile ? Vi è un principio di incertezza e di insicurezza che è salvifico per l'uomo
in quanto è all'origine di quell'inquietudine che gli consente di continuare a interrogarsi, a domandare,
cioè a essere uomo. L'uomo è veramente tale quando si interroga su di sé e non cessa di chiedersi: “Chi
è l'uomo?”. Nel mondo e nella storia noi ci muoviamo in un oceano di incertezze appoggiandoci su un
arcipelago di certezze ... E nelle certezze dottrinali, dogmatiche e intolleranti che si annidano le peggiori
illusioni; al contrario, la coscienza del carattere incerto dell'atto cognitivo costituisce un'opportunità di
giungere a una conoscenza pertinente, la quale richiede esami, verifiche e convergenze degli indizi.
Le certezze troppo forti, le parole gridate e troppo sicure di sé, si distaccano dalla povertà ontologica
dell'umano e producono morte e aberrazioni.
Questa ambivalenza del dubbio vale anche nell'ambito della fede. Se l'espressione "consigliare i
dubbiosi" sembra delineare con chiarezza il campo positivo (consigliare) e quello negativo (dubbiosi),
va detto che anche la fede non è esente dal dubbio e che il dubbio di fede non è necessariamente o
sempre negativo. La fede cristiana, infatti, non è totalitaria ma mite: non si impone come certezza
irrefutabile, il che sarebbe una violenza della libertà umana, ma si offre alla scelta dell'uomo. La fede
ha anche una dimensione di rischio. Il cristianesimo antico, che parlava della fede cristiana come del
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kalòs kindynos (il bel pericolo), lo sapeva bene. La fede è rischio mortale (si trova saldezza nell'affidamento a colui che non vediamo e che resta silenzioso) e, contemporaneamente, possibilità impensata
di vita che sgorga proprio dalla traversata di questa morte. Non che la fede non conosca la dimensione
della certezza, ma la certezza della fede è di altro ordine rispetto a una certezza di tipo razionale. Scrive
Blaise Pascal: “Se non convenisse far nulla se non per il certo, non si dovrebbe far nulla per la religione,
perché essa non è certa” (cioè, non è sulla stessa lunghezza d'onda della certezza comune). Il sapere
proprio della fede è il sapere della fiducia, dell'affidamento, e non ha nulla a che fare con una polizza
assicurativa o con un sistema di prevenzione per evitare le alee del futuro. Il credente, poi, non è un
detentore della verità, ma ne resta sempre un cercatore, anche se questa verità egli la conosce e la
confessa. Poiché questa verità è Cristo stesso, essa non potrà mai essere posseduta. Eventualmente,
nella verità ci si è, ma non la si ha. La Scrittura stessa pone il credente in una dimensione di incertezza
salvifica, necessaria per la retta relazione con il Signore: “Quale uomo può conoscere il volere di Dio ?
Chi può immaginare che cosa vuole il Signore ? I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le
nostre riflessioni” (Sap 9,13-14); e ancora: “I miei pensieri - dice il Signore - non sono i vostri pensieri,
le vostre vie non sono le mie vie” (Is 55,8).
Più che la negazione della fede, allora il dubbio può essere colto come inerente la struttura stessa
della fede nel Dio di Israele che si manifesta nella storia (il “forse” che nei discorsi profetici
contrassegna la possibilità di un intervento salvifico di Dio salvaguarda la libertà di Dio e impedisce di
pensare la conversione e la preghiera in termini meccanicistici: cf. Ger 21,2; Gn 1,6; Sof 2,3) e che si è
rivelato nell'umanità di Gesù di Nazaret, che era “mite e umile di cuore” (Mt 11,29). Il dubbio “buono”
di cui stiamo parlando arricchisce la fede della dimensione dell'umiltà, impedendole di divenire
arroganza, imposizione, parola unica e monolitica. Questo infatti sarebbe un tradire la pratica di umanità
vissuta da Gesù Cristo e con cui egli ha narrato Dio.
Visti i rischi dell'atto di consigliare e la valenza positiva possibile dell'atto di dubitare, va
riconosciuto che l'umiltà è la qualità sapienziale necessaria sia a chi dà consigli sia a colui che, nel suo
dubitare, li cerca. Etimologicamente, il verbo dubitare rinvia alla radice du da cui proviene “due”,
“duplice”, e indica l'essere diviso tra due possibilità, l'oscillare tra due alternative. Possiamo cogliere il
dubbio anche come un contrassegno significativo dell'attuale momento storico e culturale segnato dal
disorientamento: abbiamo smarrito la bussola per guidare il nostro cammino, per orientarci. Abbiamo
bisogno di chi ci sappia fare strada, indicare la via, l'est, l'oriente, il luogo sorgente di luce e di senso.
Lì si situa il bisogno di qualcuno che sappia dare un consiglio. Non un funzionario del consiglio, non
un consulente che, in un rapporto non paritario, aiuta ad affrontare problemi o tematiche avendo
competenze particolari, ma una persona che sappia sentire empatia, ascoltare in profondità l'altro,
coglierne le potenzialità e le debolezze, e possa così aiutarlo a intravedere la scelta migliore o, almeno,
quella a lui possibile.
c. la vita nuova
L'arte di consigliare, dunque, è connessa alla capacità di comprendere la situazione dell'altro e
richiede contemporaneamente immaginazione e adesione alla realtà. Il realismo è essenziale per
indicare vie realmente percorribili dalla persona che chiede consiglio; non mete ideali, alte e sublimi,
però irraggiungibili. Anche l'immaginazione è importante perché lo stesso prospettare un'alternativa,
una via nuova e inedita, se pure può non rappresentare la soluzione del problema, tuttavia dona speranza,
cambia qualcosa, apre un futuro in cui si potrà giungere a perfezionare ciò che è stato prospettato.
Per essere liberante, l'arte di consigliare richiede anche libertà, capacità di uscire dai luoghi comuni,
di riconoscere che l'umano è molto più esteso e ampio di quanto pretendano pensieri prefabbricati,
morali rigide e ideologie. L'arte di consigliare richiede la capacità di sentire la sofferenza di colui che
dubita e di non giudicarla. L'orante del salmo 42-43 è intimamente turbato dall'incertezza della sua
situazione di esiliato lontano da Gerusalemme, che lo conduce a una lotta interiore lacerante con il
dubbio che lo assale al sentire i suoi avversari dire: “Dov'è il tuo Dio?” (Sal 42,4.11).
Il dubbio diviene negativo quando si struttura in doppiezza, in instabilità e oscillazione costante:
allora anche la preghiera diviene sterile. “Chi esita somiglia all'onda del mare, agitata e scossa dal vento.
Un uomo così non pensi di ricevere qualcosa dal Signore: è un indeciso, instabile in tutte le sue azioni”
(Gc 1,6-8). All'interno della Lettera di Giuda vi è un testo problematico dal punto di vista testuale che
può significare che verso i dubbiosi (cristiani instabili che si lasciano tentare e lacerare da insegnamenti
non ortodossi) occorre usare misericordia e pazienza oppure che bisogna convincerli (del loro errore).
Il testo infatti può essere tradotto: “Abbiate pietà dei dubbiosi”, oppure: “Convincete i dubbiosi” (Gd
22).
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Il consiglio trova la sua sensatezza all'interno di una relazione di fiducia tra due persone. La
paternità spirituale può essere un luogo importante per dare consigli, avendo presente che non si tratta
di dire all'altro ciò che deve fare, ma di aiutarlo a trovare la risposta che già abita in lui e che egli non
sa o non osa far emergere, oppure di suggerirgli delle possibilità a cui lui non aveva ancora pensato.
Nella relazione di paternità spirituale l'esperienza dell'anziano si trasfonde nell'entusiasmo del più
giovane che, opportunamente consigliato, può essere aiutato a correre speditamente nella via della
crescita umana e spirituale. La frase del libro dei Proverbi, “La salvezza sta in un gran numero di consigli” (Pr 11,14), ampiamente ripresa dalla letteratura monastica per parlare della necessità dell'apertura
del cuore a una guida spirituale per riceverne consigli e suggerimenti, non è intesa nel senso di “chiedere
consiglio a tutti”, ma evidentemente solo “a colui in cui dobbiamo avere piena confidenza”. Inoltre si
tratta di chiedere consiglio su tutto. Ovvero: nessun argomento è tabù, nessun problema è escluso, di
tutto si può ed è bene trattare nella relazione di paternità spirituale. Trovare allora chi sa dare
un'indicazione di via, rivolgere una parola di aiuto, fornire un consiglio illuminante può rivelarsi una
ricchezza inestimabile per la nostra vita. Allora si può sperimentare la verità dell'affermazione di
Siracide 21,13, cioè il consiglio del sapiente “è come una sorgente di vita”.
PREGHIERA PER IL GIUBILEO DELLA MISERICORDIA
Signore Gesù Cristo, tu ci hai insegnato a essere misericordiosi come il Padre celeste, e ci hai
detto che chi vede te vede Lui. Mostraci il tuo volto e saremo salvi. Il tuo sguardo pieno di
amore liberò Zaccheo
e Matteo dalla schiavitù del denaro; l'adultera e la Maddalena dal porre la felicità solo in una
creatura; fece piangere Pietro dopo il tradimento, e assicurò il Paradiso al ladrone pentito. Fa'
che ognuno di noi ascolti come rivolta a sé la parola che dicesti alla samaritana: Se tu
conoscessi il dono di Dio!
Tu sei il volto visibile del Padre invisibile, del Dio che manifesta la sua onnipotenza
soprattutto con il perdono e la misericordia: fa' che la Chiesa sia nel mondo il volto visibile di
Te, suo Signore, risorto e nella gloria.
Hai voluto che i tuoi ministri fossero anch'essi rivestiti di debolezza per sentire giusta
compassione per quelli che sono nell'ignoranza e nell'errore: fa' che chiunque si accosti a uno
di loro si senta atteso, amato e perdonato da Dio.
Manda il tuo Spirito e consacraci tutti
con la sua unzione perché il Giubileo della Misericordia sia un anno di grazia del Signore e la
tua Chiesa con rinnovato entusiasmo possa portare ai poveri il lieto messaggio proclamare ai
prigionieri e agli oppressi la libertà e ai ciechi restituire la vista.
Lo chiediamo per intercessione di Maria Madre della Misericordia a te che vivi e regni con il
Padre e lo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli.
Amen
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