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Urbanistica e appalti
Sommario
NUOVO CODICE APPALTI
Contenzioso
Soccorso
istruttorio
LE NOVITÀ SUI RICORSI GIURISDIZIONALI AMMINISTRATIVI NEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI
di Enrico Follieri
873
IL NUOVO SOCCORSO ISTRUTTORIO
di Andrea Manzi e Paolo Caruso
907
I contratti esclusi CONTRATTI ESCLUSI DALL’AMBITO DI APPLICAZIONE DEL NUOVO CODICE DEI CONTRATTI
PUBBLICI
di Agostino Meale
Concessioni
LE NUOVE REGOLE DELL’AFFIDAMENTO DELLE CONCESSIONI
di Claudio Contessa
919
933
Concessioni
IL CONTRATTO DI CONCESSIONE DI LAVORI E DI SERVIZI: NOVITÀ E CONFERME A 10 ANNI DAL
di lavori e servizi CODICE DE LISE
di Gian Franco Cartei
939
Contratti
sotto soglia
SOGLIE DI RILEVANZA COMUNITARIA NEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI
di Francesco Manganaro
948
Scelta
del contraente
IL PARTENARIATO PER L’INNOVAZIONE
di Stefano Fantini
955
Locazione
finanziaria
LOCAZIONE FINANZIARIA, CONTRATTO DI DISPONIBILITÀ E BARATTO AMMINISTRATIVO
NEL D.LGS. N. 50/2016
di Matteo Baldi
959
PROCEDURE ELETTRONICHE E STRUMENTI DI ACQUISTO TELEMATICI NEL NUOVO CODICE
DEI CONTRATTI PUBBLICI
di Stefano Cresta
981
APPALTI SOSTENIBILI, GREEN PUBLIC PROCUREMENT E SOCIALLY RESPONSIBLE
PUBLIC PROCUREMENT
di Claudio Vivani
993
Procedure
elettroniche
Appalti
sostenibili
Servizi sociali
Beni culturali
Settori speciali
GLI APPALTI (E LE CONCESSIONI) NEI SERVIZI SOCIALI: UN REGIME - NON TROPPO ‘‘ALLEGGERITO’’ FRUTTO DI UNA ‘‘COMPLICATA SEMPLIFICAZIONE’’
di Luca Mazzeo
1001
APPALTI NEL SETTORE DEI BENI CULTURALI (E ARCHEOLOGIA PREVENTIVA)
di Paolo Carpentieri
1014
I SETTORI SPECIALI SEMPRE MENO SPECIALI (E SEMPRE PIÙ ORDINARI)
di Hebert D’Herin
1029
INDICI
Indice degli autori, indice analitico
Urbanistica e appalti 8-9/2016
1038
871
Urbanistica e appalti Numero Demo
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Sommario
COMITATO PER LA VALUTAZIONE
A. Angeletti, G. Acquarone, M. Andreis, A. Bartolini, M. Bombardelli, C. Cacciavillani, M. M. Cafagno, R. Caranta, M. P. Chiti, F. Cintioli, S. Civitarese Matteucci, A. Clarizia, G. Clemente di San Luca, G. D. Comporti, M. Dugato, M. Esposito, R. Ferrara, F. Figorilli,
E. Follieri, F. Fracchia, C. E. Gallo, G. Gardini, M. Immordino, G. Manfredi, F. Manganaro, B. Marchetti, M. Mazzamuto, A. Meale,
G. Morbidelli, N. Paolantonio, V. Parisio, E. Picozza, M. Renna, G. Rossi, F. Saitta, D. Vaiano, F. Volpe, A. Zito
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Urbanistica e appalti 8-9/2016
Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
Opinioni
Nuovo Codice appalti
Contenzioso
Le novità sui ricorsi
giurisdizionali amministrativi
nel codice dei contratti pubblici
di Enrico Follieri
L’interesse legittimo viene riportato nel considerando 122 della Dir. 2014/24/UE in un significato
diverso da quello usato nel nostro Paese, per introdurre una sorta di ricorso amministrativo popolare, non giudiziale, a tutela dell’interesse alla legittimità delle procedure di appalto, non recepito dal nostro paese. Per il resto, le tre direttive nn. 23, 24 e 25 del 2014 non apportano alcuna
novità per la tutela in giudizio, ma la legge delega n. 11/1016 ha dettato, per scelta non condizionata dalla normativa europea, principi e criteri specifici per il processo amministrativo che si
sono tradotti in modifiche riguardanti: I) il parametro di giudizio che il giudice deve seguire nell’esercizio del potere cautelare in ogni processo riguardante le controversie della specifica materia; II) l’immediata e necessaria impugnabilità anche degli atti di ammissione alle gare, oltre che
di quelli di esclusione, con l’introduzione di un terzo rito speciale in materia, rispetto al primo,
già disciplinato dall’art. 120 c.p.a., e al secondo, previsto dall’art. 125 c.p.a.; III) l’ampliamento
della giurisdizione esclusiva, includendovi gli atti dell’ANAC e, in particolare, quelli oggetto delle
disposizioni di cui all’art. 211 D.Lgs. n. 50/2016: il parere di precontenzioso e l’atto di raccomandazione; IV) puntuali regole processuali su: l’impugnativa della proposta di aggiudicazione e degli atti endo-procedimentali; i termini di pubblicazione del dispositivo; l’appello; i ricorsi cumulativi nelle gare divise in lotti.
Dopo la sintetica esposizione delle regole processuali vigenti prima del D.Lgs. n. 50/2016, si sono esaminate le modifiche apportate con riguardo, non solo al rispetto della legge delega, ma
con altri tre livelli, quello costituzionale, comunitario e internazionale per l’impressione, risultata
fondata, che le innovazioni non raggiungono il necessario punto di equilibrio tra gli interessi dell’operatore economico e quelli della pubblica amministrazione perché mirano piuttosto ad ottenere una decisione come che sia, purché intervenga presto, nella prioritaria considerazione della
tempestiva esecuzione e compimento della scelta che ha condotto l’amministrazione a bandire
la gara.
Sommario
1. L’interesse legittimo nel considerando 122 della direttiva 2014/24/UE - 2. Rilievi preliminari sull’attuazione delle direttive e dei principi della legge delega nel rispetto della Costituzione, della Carta dei Diritti
fondamentali dell’Unione Europea e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo - 3. Il “primo” rito
speciale anteriore al D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 - 4. Il “secondo” rito speciale anteriore al D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 - 5. Sintesi delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 50/2016. I) La fase cautelare - 6. II) Il
terzo rito speciale e profili di diritto transitorio - 7. Le ragioni della “specialità” e profili critici - 8. Rilevanza marginale nel contenzioso del terzo rito speciale - 9. Rilievi critici sulla opportunità e necessità dell’impugnativa immediata degli atti di ammissione - 10. Il rito nei ricorsi cumulativi contro le ammissioniesclusioni e l’aggiudicazione - 11. III) L’impugnativa degli atti dell’ANAC. Il parere di precontenzioso: a)
facoltatività; b) vincolatività a soggettività variabile; c) oggetto del parere; d) termine per l’espressione
del parere - 12. Segue: e) impugnativa del parere e rito; f) conseguenze in caso di rigetto del ricorso - 13.
L’atto di raccomandazione e il parere - 14. Gli elementi distintivi dell’atto di raccomandazione - 15. Ri-
Urbanistica e appalti 8-9/2016
873
Opinioni
Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
Nuovo Codice appalti
conduzione dell’atto di raccomandazione al sistema - 16. L’atto di adeguamento della stazione appaltante.
L’impugnativa innanzi al giudice amministrativo - 17. IV) Le regole processuali relative: a) alla impugnativa della proposta di aggiudicazione e degli atti endo-procedimentali; b) ai termini di pubblicazione del
dispositivo; c) all’appello; d) ai ricorsi cumulativi nelle gare divise in lotti - 18. Conclusioni.
Il D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 è intervenuto per
dare attuazione alle direttive 2014/23/UE,
2014/24/UE e 2014/25/UE e non affonda le radici
nella spinta emotiva determinata dai recenti scandali (1) che hanno caratterizzato le gare per l’aggiudicazione degli appalti pubblici. Ritengo che, certo, questi gravi fatti sono stati tenuti presenti nella
stesura del D.Lgs. n. 50/2016, ma la causa determinante dell’adozione del decreto legislativo va attribuita alla necessità che lo Stato italiano si dovesse
adeguare alle recenti direttive sui contratti di concessione, sugli appalti pubblici di lavori, servizi e
forniture e nei settori dell’acqua, dell’energia, dei
trasporti e dei servizi postali. Basti considerare,
non solo il titolo del decreto legislativo, ma la legge delega ed il termine che il Governo ha rispettato per l’adeguamento alle direttive.
Il D.Lgs. n. 50/2016, però, non si è fermato solo a
dare attuazione alle direttive del 2014, ma ha operato anche “il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture”. Ciò rileva particolarmente per i ricorsi
giurisdizionali che, richiamati nella rubrica dell’art.
204 del D.Lgs. n. 50/2016 (ma li riguardano pure altre disposizioni sparse del D.Lgs. n. 50/2016), vanno
ad integrare e modificare la disciplina dettata dal
codice del processo amministrativo agli artt. 120 ss.
e che non sono in attuazione delle direttive comunitarie del 2014, bensì sono stati considerati dalla
legge delega 28 gennaio 2016, n. 11 nei principi stabiliti all’art. 1, lett. aaa) e lett. bbb).
Infatti, il considerando 122 della Dir. 2014/24/UE
del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici richiama
la Dir. ricorsi 89/665/CEE, modificata con le direttive 92/13/CEE e 2007/66/CE, sulle procedure di
ricorso e rileva che le nuove previsioni non dovrebbero pregiudicare tali procedure che consentono l’accesso “per lo meno a chiunque abbia o abbia
avuto interesse ad ottenere l’aggiudicazione di un
determinato appalto e che sia stato o rischi di esse-
re leso a causa di una violazione del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici o delle norme
nazionali che recepiscono tale diritto”. In sostanza,
si esprime un positivo giudizio sulle precedenti direttive relative alle procedure di ricorso in materia
di aggiudicazione degli appalti pubblici e si ritiene
che non siano necessari interventi correttivi per
assicurare la tutela a coloro che hanno partecipato
alle gare o a cui non è stato consentito di partecipare alle gare, pur se sono operatori economici ed
hanno interesse ad ottenere l’aggiudicazione. In
dottrina si è sottolineato che la direttiva ha inteso
richiamare gli Stati membri a non “frapporre ostacoli al diritto al ricorso presidiato da una giurisprudenza UE molto ricca e rigorosa” (2).
La novità della direttiva, per quanto riguarda la tutela, è costituita dalla espressa considerazione dello
“interesse legittimo” che, per la prima volta, trova
ingresso nella normativa comunitaria (3).
La terminologia usata, però, non si riferisce alla situazione giuridica soggettiva del nostro Paese, ma è
un’azione attribuita a coloro che abbiano “comunque un interesse legittimo in qualità di contribuenti a un corretto svolgimento delle procedure di appalto”. È un’azione che si svolge sul piano amministrativo, non giurisdizionale, per “i cittadini, i soggetti interessati, organizzati o meno, e altre persone
o organismi che non hanno accesso alle procedure
di ricorso di cui alla direttiva 89/665/CEE”, da far
valere innanzi “ad autorità o strutture di controllo
generali, organi di vigilanza settoriali, autorità di
vigilanza comunale, autorità competenti in materia
di concorrenza, al Mediatore o ad autorità nazionali competenti in materia di audit” (4).
La differenza con il nostro interesse legittimo è, da
un lato, nell’attribuzione generalizzata ad una serie
indeterminata di soggetti del potere di ricorrere
(ancorché in via amministrativa) e, dall’altro lato,
che l’interesse tutelato è esclusivamente quello diretto al rispetto delle regole dettate per lo svolgimento delle procedure di appalto e cioè un interesse alla mera legittimità dell’attività amministrativa,
(1) Come, invece, ritengono P. Cosmai - R. Iovino, Il nuovo
codice degli appalti pubblici Guida operativa al D.lgs. 18 aprile
2016, n. 50 in Riforma degli Appalti a cura di Paola Cosmai, Milano, 2016, 3 ss.
(2) M. Lipari La tutela giurisdizionale “precontenziosa” nel
nuovo codice dei contratti pubblici (D.Lgs n. 50/2016), in
www.federalismi.it, 2016, 5.
(3) Nelle corrispondenti direttive, l’interesse legittimo è tradotto in: inglese con “legitimate interest”; spagnolo con “interés legítimo”; francese con “intérêt légitime”; tedesco con
“begründetes Interesse”.
(4) Considerando 122 Dir. 2014/24/UE.
1. L’interesse legittimo nel considerando
122 della Dir. 2014/24/UE
874
Urbanistica e appalti 8-9/2016
Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
Opinioni
Nuovo Codice appalti
non correlato all’interesse al bene della vita volto
ad ottenere l’aggiudicazione dell’appalto per il quale la tutela è assicurata “dal sistema di ricorso di
cui alla direttiva 89/665/CEE” e, soprattutto, “dinanzi a Corti e Tribunali” (5).
L’idea dell’interesse legittimo è, dunque, diversa da
quella affermatasi nel nostro sistema (6) e che sembra collimare con quella che risolveva la giurisdizione amministrativa sul piano oggettivo della legittimità dell’azione ammnistrativa avulsa dal riferimento al bene della vita che aveva rilievo solo per legittimare il ricorrente ad introdurre il giudizio (7).
Qui, invece, il ricorso innanzi alle autorità amministrative prescinde del tutto dall’interesse all’aggiudicazione dell’appalto poiché è individuato dal “bene”
rappresentato dal rispetto delle regole poste per lo
svolgimento delle gare a cui tutti possono avere interesse, anche se non hanno partecipato alla gara o
non sono nemmeno operatori economici.
Sotto questo profilo potrebbe assimilarsi alla mera
denunzia all’autorità amministrativa che un quisquis e populo può presentare, anche se la direttiva
pone all’autorità amministrativa il dovere di prenderla in considerazione e decidere, a differenza della denunzia.
Insomma, è un ricorso amministrativo, non giudiziale, con legittimazione generalizzata: ricorso amministrativo popolare a tutela dell’interesse alla legittimità delle procedure di appalto.
Questo considerando non trova specifica attuazione nella normativa italiana di recepimento delle
direttive (8).
2. Rilievi preliminari sull’attuazione delle
direttive e dei principi della legge delega
nel rispetto della Costituzione, della Carta
dei Diritti fondamentali dell’UE e della
Convenzione europea dei diritti
dell’uomo
Se il D.Lgs. n. 50/2016 fosse stato solo un’attuazione delle direttive, non avrebbe dovuto contenere
(5) Considerando 122 Dir. 2014/24/UE.
(6) La dottrina non è riuscita ad esporre e a far capire in Europa la categoria dell’interesse legittimo, anche perché i giuristi italiani di fronte a questo istituto hanno atteggiamenti contraddittori che vanno dall’entusiastica accettazione al rifiuto totale della nozione ed all’affermazione della sua inutilità, se non
dannosità, tanto che l’interesse legittimo è tradotto in un dizionario giuridico italiano-inglese così: “Lett. legitimate interest;
ma non esiste la sciagurata dicotomia tra interesse legittimo e
diritto soggettivo, pretesto per la creazione di centinaia di cattedre universitarie e, non di rado, di colossali fortune personali” F. De Franchis Dizionario Giuridico Italiano-Inglese, II, Milano, 1996, 898.
(7) Cfr. da ultimo F.G. Scoca, Il modello processuale, in F.G.
Urbanistica e appalti 8-9/2016
nessuna disposizione sui ricorsi giurisdizionali ma
prevedere un ricorso innanzi ad autorità amministrative, (anche) non costituite ad hoc, esperibile
da chiunque si preoccupasse della legittimità delle
procedure seguite dall’amministrazione.
E, invece, la legge delega ha dettato dei principi e
criteri specifici autonomi volti a: a) razionalizzare
metodi di risoluzione delle controversie alternative
al rimedio giurisdizionale (tra cui l’arbitrato (9));
b) garantire l’efficacia e la speditezza delle procedure di aggiudicazione ed esecuzione dei contratti “relativi ad appalti pubblici di lavori” con la previsione di parametri particolari di giudizio nell’esercizio
del potere cautelare del giudice amministrativo (10); c) rivedere e razionalizzare il rito abbreviato per i giudizi di cui all’art. 119, comma 1, lett.
a), c.p.a. “anche” con l’introduzione di un rito speciale in camera di consiglio per l’immediata risoluzione del contenzioso relativo ai provvedimenti di
esclusione o di ammissione alla gara per carenza
dei requisiti di partecipazione con effetti di preclusione di contestazione in caso di mancata tempestiva impugnazione (11).
La delega, quindi, introduce, per il contenzioso,
ancorché legittimamente, profili estranei alle direttive del 2014.
Non viene considerata però la previsione della direttiva sul ricorso amministrativo popolare, anche
se l’art. 213 del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 stabilisce che l’ANAC, nello svolgimento della sua attività “può disporre ispezioni, anche su richiesta motivata di chiunque ne abbia interesse”. Si tratta, invero, di una mera possibilità di segnalazione da
parte di “chiunque ne abbia interesse” che non pone alcun dovere in capo all’ANAC di disporre
ispezioni, ma rappresenta una timida apertura verso
un controllo diffuso della legittimità dello svolgimento dei procedimenti amministrativi di gara e
dell’esecuzione dei contratti, senza istituire alcun
ricorso amministrativo (popolare).
Scoca (a cura di), Giustizia amministrativa, VI ed., Torino, 2014,
150.
(8) M. Lipari, La tutela giurisdizionale e “precontenziosa”
etc., op. cit., 6, osserva che il considerando 122, pur non tradotto in “una puntuale disposizione della direttiva, dovrebbe
essere attentamente considerata, perché pare destinata ad incidere sensibilmente sul tema della legittimazione al ricorso,
sui vincoli all’autotutela delle stazioni appaltanti e alla valutazione della tenuta complessiva del nostro sistema di giustizia
amministrativa e di precontenzioso”.
(9) Lett. aaa), art. 1, L. 28 gennaio 2016, n. 11.
(10) Lett. aaa), art. 1, L. 28 gennaio 2016, n. 11.
(11) Lett. bbb), art. 1, L. 28 gennaio 2016, n. 11.
875
Opinioni
Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
Nuovo Codice appalti
Ad ogni modo, le disposizioni sui ricorsi giurisdizionali poste dal D.Lgs. n. 50/2016 vanno verificate non solo con i contenuti della legge delega di
cui sono attuazione, ma anche con altri tre livelli,
quello costituzionale, comunitario (segnatamente,
la Dir. n. 89/665/CEE e ss.mm. ed ii. e la Carta dei
Diritti fondamentali dell’UE 2000/C 364/01) e internazionale (la Convenzione europea dei diritti
dell’uomo - C.E.D.U.).
Questi parametri vanno considerati perché le nuove disposizioni sembrano privilegiare l’interesse alla
realizzazione dell’obiettivo che persegue la pubblica
amministrazione quando decide di bandire la gara
per affidare un contratto pubblico, ponendo in secondo piano gli interessi di coloro che aspirano all’aggiudicazione e che, nell’esercizio dei diritti fondamentali facenti capo alla tutela giurisdizionale,
devono avere la garanzia di poter far valere la situazione giuridica soggettiva in un “giusto processo”, nel contraddittorio tra le parti, in condizioni
di parità, davanti a giudice indipendente, terzo e
imparziale, precostituito per legge, in un termine
ragionevole (12), esaminata “equamente” e “pubblicamente”, con un “ricorso effettivo” facendosi
“consigliare, difendere e rappresentare” (13), disponendo “del tempo e delle facilitazioni necessarie
a preparare la sua difesa” (14).
Sono garanzie di ogni processo che le direttive specifiche hanno precisato con particolare attenzione
per le procedure di ricorso in materia di “aggiudicazione degli appalti pubblici” (15) per rendere effettiva la tutela.
Il ricorso efficace deve essere “quanto più rapido
possibile” (16), nell’interesse sia del ricorrente che
dell’amministrazione, ma ho l’impressione - da verificare - che le innovazioni non raggiungano quel
necessario punto di equilibrio, mirando piuttosto
ad ottenere una decisione come che sia, purché intervenga presto, nella prioritaria considerazione
della tempestiva esecuzione dell’opera, prestazione
ed erogazione del servizio, fornitura del prodotto,
in una parola, per portare a compimento la scelta
Il D.Lgs. 20 marzo 2010, n. 53 ha dato attuazione
alla legge delega 7 luglio 2009, n. 88, di recepimento della Dir. 2007/66/CE, poi trasfuso, con modifiche marginali, nel titolo V, “riti abbreviati relativi a speciali controversie”, negli artt. 120-125
c.p.a. e che riguarda “i provvedimenti concernenti
le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, e forniture” (18) nonché l’affidamento di “incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico-amministrative ad esse connesse, relativi a
pubblici lavori, servizi o forniture” (19) e ora anche
“i provvedimenti dell’Autorità nazionale anticorruzione ad essi riferite” (20).
Non si tratta, però, solo di un “rito abbreviato” per
queste “speciali” controversie.
Infatti, l’obiettivo della direttiva ricorsi 2007/66/CE,
recepita nel nostro Paese, è quello di consentire agli
operatori economici di ottenere soddisfazione in via
specifica dell’interesse per il quale partecipano alla
gara e, quindi, conseguire, nel rispetto delle regole
stabilite, l’aggiudicazione, la stipula del contratto e
la sua esecuzione e di garantire la possibilità di raggiungere tale risultato attraverso misure predisposte
già prima dell’inizio del giudizio per renderlo effettivo. E così: la comunicazione tempestiva e motivata
degli esiti della gara ai concorrenti cui è attribuito
un accesso informale, semplificato e rapido agli atti;
un periodo di attesa (stand still period) prima di sottoscrivere il contratto, per consentire l’eventuale proposizione del ricorso, periodo che si protrae in caso
di ricorso, con contestuale domanda cautelare. I poteri cognitori, decisori e cautelari dei giudici vengo-
(12) Artt. 24, 25, 101 e 111 Cost.
(13) Art. 47 Carta dei Diritti fondamentali dell’UE, art. 24,
comma 2, Cost. e art. 6 Cedu.
(14) Art. 6 Cedu.
(15) Direttive 89/665/CEE, 92/13/CEE e 2007/66/CE.
(16) Art. 1 Dir. 89/665/CEE.
(17) O. Forlenza, Uno speciale giudizio con termini stringenti
e semplificazioni, in Guida dir., Dossier sugli appalti, ultimo appuntamento, n. 29 del 9 luglio 2016, XXXII, rileva che “tutte le
nuove disposizioni introdotte testimoniano della volontà del legislatore di giungere rapidamente a una ‘certezza’ in ordine al-
la legittimità (o meno) della procedura di affidamento onde
consentire la più celere realizzazione dell’opera pubblica”.
(18) Art. 119, comma 1, lett. a), c.p.a.
(19) Art. 120, comma 1, c.p.a.
(20) Prima dell’art. 204, D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, si faceva riferimento ai “connessi provvedimenti dell’Autorità per
la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture”.
L’art. 204, D.Lgs. n. 50/2016 ha solo sostituito all’Autorità per
la vigilanza l’A.N.A.C., anche se la giurisdizione esclusiva viene
estesa ad un ambito di controversie più ampio per i maggiori e
più incisivi poteri attribuiti all’ANAC dal D.Lgs. n. 50/2016.
876
che ha condotto l’amministrazione a bandire la gara (17).
Credo sia necessario esporre le novità dopo aver
molto sinteticamente riportato lo stato dell’arte
prima delle modifiche e, quindi, considerare il rispetto delle garanzie che il nostro ordinamento
non può non assicurare.
3. Il “primo” rito speciale anteriore al
D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50
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no adeguati per dare soddisfazione in via specifica all’interesse del ricorrente, con poteri ampi e incisivi.
La cognizione è connotata da accertamenti e verifiche particolarmente pregnanti che considerano
tutti gli interessi che si presentano in concreto
nonché il contratto, se stipulato, anche se solo in
funzione dell’eventuale dichiarazione di inefficacia,
conseguente (esclusivamente) all’annullamento
dell’aggiudicazione, senza che assumano rilievo, però, la validità e l’efficacia del contratto e le norme
civilistiche che ne dettano la disciplina (21). Il
giudice amministrativo deve svolgere un’indagine
piena su tutti gli aspetti della controversia, di fatto,
tecnici e anche di opportunità sulle conseguenti
misure da adottare.
I poteri decisori, nel rispetto del principio dispositivo del processo amministrativo e, quindi, se vi è
la domanda del ricorrente, si manifestano in sentenze costitutive di annullamento con pronunzie
conseguenziali che spaziano dalla dichiarazione di
inefficacia del contratto alle sanzioni alternative di
condanna al pagamento, da parte della stazione appaltante, di sanzioni pecuniarie o alle decisioni costitutive di modifica della durata residua del contratto. Il ricorrente può anche proporre - e il giudice, se del caso, provvedere con sentenza di condanna della stazione appaltante ad un facere specifico azione di adempimento all’adozione dell’atto di aggiudicazione ed alla sottoscrizione del contratto in
sostituzione del concorrente selezionato dall’amministrazione.
La misura cautelare interviene automaticamente
perché è il legislatore ad aver valutato la sussistenza, comunque, del pregiudizio grave ed irreparabile
identificato nell’interesse del concorrente non vittorioso a fermare la sottoscrizione del contratto e
l’esecuzione dell’appalto sino a quando il giudice
non si pronunzi sulla domanda urgente proposta.
Infatti trascorsi i 35 giorni dall’invio ai concorrenti
dell’ultima delle comunicazioni del provvedimento
di aggiudicazione (quella “definitiva” secondo le
qualificazioni del previgente D.Lgs. 12 aprile 2006,
n. 163), la proposizione del ricorso con contestuale
domanda cautelare comporta la sospensione automatica, per cui l’amministrazione non può sottoscrivere il contratto con l’aggiudicatario sino a
quando il giudice non decida sulla domanda urgente proposta dal ricorrente.
Nel rito “ordinario” del processo amministrativo,
salvo diverse ed espresse disposizioni di legge, la
proposizione del ricorso non sospende gli atti impugnati e l’amministrazione può dare esecuzione ad
essi anche se vengano impugnati e si chieda la misura cautelare.
Questa misura cautelare “automatica” è mantenuta
anche con il D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 che conferma il divieto - salvo le eccezioni indicate e che
sono aumentate rispetto alla previgente normativa
- secondo cui il contratto non può essere stipulato
prima di 35 giorni dall’invio dell’ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione
(stand still period) e detta: “Se è proposto ricorso
avverso l’aggiudicazione con contestuale domanda
cautelare, il contratto non può essere stipulato dal
momento della notificazione dell’istanza cautelare
alla stazione appaltante per i successivi venti giorni”, se il giudice si pronunzia ovvero “fino alla pronunzia di detti provvedimenti se successiva” (22).
E viene, quindi, stabilito quali pronunzie del giudice fanno cessare l’effetto sospensivo.
Sulla base delle quasi identiche disposizioni del
D.Lgs. n. 163 del 2006, ho sostenuto che, essendo
stato valutato legislativamente in via preventiva e
generale come preminente il pregiudizio subito dal
ricorrente per la tutela prioritaria dell’interesse del
concorrente, (illegittimamente) non vincitore, ad
eseguire il contratto, il giudice in camera di consiglio avrebbe dovuto valutare esclusivamente il fumus boni juris, con conseguente riduzione del giudizio cautelare ad uno solo dei profili sui quali di solito si svolge (23). La tesi non pare più proponibile
a seguito del D.Lgs. n. 50/2016, come si evidenzierà.
I poteri cautelari, comunque, sono diversi da quelli
normalmente spettanti al giudice amministrativo
perché, essendo strumentali alle decisioni che il
giudice può assumere nel merito, è possibile l’adozione, in via interinale, di tutte le misure che possono adottarsi con la sentenza, per cui le ordinanze
cautelari hanno un più ampio spettro di effetti.
Insomma, i poteri cognitori, decisori e cautelari del
giudice sono più ampi ed incisivi per assicurare
una tutela efficiente ed efficace all’interesse pretensivo del ricorrente (24).
Inoltre i termini, già dimezzati come per gli altri riti speciali disciplinati dal libro IV del c.p.a., vengo-
(21) Questo sindacato appartiene alla giurisdizione del Giudice ordinario.
(22) Art. 32, comma 11, D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50.
(23) E. Follieri, I poteri del giudice amministrativo nel decreto
legislativo 20 marzo 2010 n. 53 e negli artt. 120-124 del codice
del processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2010, 1112 ss.
(24) Per la problematica che pongono queste norme, veramente “speciali”, si rinvia a E. Follieri, I poteri del giudice amministrativo nel decreto legislativo 20 marzo 2010 n. 53 etc., op.
cit., 1067-1116 e Id. Le sanzioni alternative nelle controversie re-
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mativa nell’agosto 2016, viene eliminata questa discutibile, per usare un eufemismo, disposizione.
Dunque, il rito speciale per questi giudizi è caratterizzato oltre che da un insieme di poteri cautelari,
cognitori e decisori, diversi, più ampi ed incisivi di
quelli spettanti al giudice amministrativo in via ordinaria e nelle altre materie in cui ha giurisdizione
esclusiva, anche per un significativo contenimento
dei tempi processuali che ne fanno un processo assai veloce e forse poco attento alle garanzie della
difesa ed alla necessità di assicurare al giudice la
giusta serenità nel decidere che avrebbe bisogno,
in casi che sono quasi sempre complessi, di un
maggior tempo di riflessione.
no ulteriormente contenuti perché vengono ridotti
a trenta giorni quelli per la proposizione del ricorso
principale e dei motivi aggiunti.
Successivamente, con il D.L. 24 giugno 2014, n.
90 (25), si è stabilito che questi giudizi, ferma la
possibilità della immediata definizione in sede di
esame della misura cautelare, vengono, comunque,
decisi con sentenza in forma semplificata ad un’udienza che viene fissata, pure in mancanza di domanda di discussione, d’ufficio e viene tenuta entro quarantacinque giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle altre parti. Vengono,
altresì, stabiliti termini particolarmente brevi e serrati in caso di adempimenti istruttori o di integrazione del contraddittorio o di rinvio per altre ragioni.
Per consentire un esame rapido della controversia,
si è previsto un procedimento a seguito del quale il
Presidente del Consiglio di Stato stabilisce, nella
sostanza, il numero delle pagine degli atti difensivi,
con la precisazione che “il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti” nei limiti fissati. La motivazione è depositata entro trenta giorni dall’udienza di discussione,
ma le parti possono chiedere che il dispositivo sia
pubblicato entro due giorni.
L’innovazione del 2014 dà una brusca accelerata al
processo e, soprattutto, incide sulla libertà di
espressione della difesa, addirittura ritenuta tamquam non esset per la parte del ricorso che supera
lo standard dimensionale previsto che può essere
derogato solo se preventivamente il Presidente della Sezione giurisdizionale o il magistrato da lui delegato lo autorizzi, su istanza posta in calce al ricorso (26).
Va, però, evidenziato che l’art. 40, comma 2 bis,
D.L. 24 giugno 2014, n. 90 ha stabilito che le disposizioni sul contenimento del numero delle pagine, fissate dal decreto del Presidente del Consiglio
di Stato, si applicano in via sperimentale per due
anni dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione e, quindi, se non interverrà altra nor-
Il codice del processo amministrativo conosce, prima delle modifiche apportate dal D.Lgs. n.
50/2016, un altro rito per queste controversie che
si pone, a sua volta, come speciale rispetto a quello
testé descritto sommariamente.
L’art. 125 c.p.a. detta disposizioni processuali che
derogano al rito speciale innanzi esposto per le
controversie relative ad infrastrutture strategiche
ed insediamenti produttivi disciplinati dagli artt.
161-181 del D.Lgs. n. 163/2006 che riproducono
in modo coordinato e sistematico la normativa della c.d. legge obiettivo 21 dicembre 2001, n. 443 e
dei decreti legislativi attuativi 20 agosto 2002, n.
190, 9 gennaio 2005, n. 9 e 17 agosto 2005, n. 189
nonché del D.M. 27 maggio 2005.
Per questi ricorsi non si applica l’art. 122 c.p.a. e
cioè la possibilità per il giudice amministrativo,
fuori dalle ipotesi espressamente previste dagli artt.
121, comma 1, e 123, comma 3, c.p.a., di dichiarare comunque inefficace il contratto, fissandone la
decorrenza: è escluso, cioè, il potere decisorio residuale di dichiarare l’inefficacia del contratto, per
cui il giudice può esercitare tale potere solo in presenza delle cc.dd. “gravi violazioni” (27).
lative a procedure di affidamento di appalti, in questa Rivista,
2011, 1129 - 1142.
(25) Convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014,
n. 114.
(26) Il decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 25
maggio 2015, al n. 11, infatti, dispone che la valutazione della
sussistenza dei presupposti per conseguire il superamento, sino ad un massimo di 50 pagine, del limite di 30 pagine, redatte in conformità alle specifiche indicate al n. 12 del decreto, “è
effettuata dal Presidente della Sezione competente o dal magistrato da lui delegato. A tal fine il ricorrente formula in calce al
ricorso istanza motivata, sulla quale il Presidente o il Magistrato delegato si pronuncia con decreto entro i tre giorni succes-
sivi. In caso di mancanza o di tardività della pronuncia l’istanza
si intende accolta”. Il decreto favorevole ovvero l’attestazione
della segreteria o l’autocertificazione del difensore che il giudice non si è pronunciato nei tre giorni è notificato alle altre parti
insieme al ricorso.
(27) E cioè: a) se l’aggiudicazione sia avvenuta senza previa
pubblicazione del bando o dell’avviso; b) se l’aggiudicazione
sia avvenuta con procedura negoziata senza bando o con affidamento diretto fuori dai casi consentiti; c) se il contratto sia
stato stipulato senza rispettare il termine dilatorio (stand still
period); d) se il contratto è stato stipulato senza rispettare la
sospensione obbligatoria del termine derivante dalla proposizione del ricorso giurisdizionale.
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4. Il “secondo” rito speciale anteriore
al D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50
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Fuori dai casi delle “gravi violazioni”, la sospensione o l’annullamento dell’affidamento non comporta la caducazione del contratto già stipulato ed “il
risarcimento del danno eventualmente dovuto avviene solo per equivalente” (28). Questa disposizione, che si applica anche ai casi di fallimento dell’esecutore o di risoluzione del contratto per grave
inadempimento dell’esecutore (29), è stata poi
estesa, con l’art. 1, D.Lgs. 15 novembre 2011, n.
195, alle procedure di progettazione, approvazione
e realizzazione degli interventi individuati nel contratto istituzionale di sviluppo di cui all’art. 6 del
D.Lgs. 31 maggio 2011, n. 88 nonché alle opere
dell’EXPO Milano 2015 definite essenziali con il
D.P.C.M. del 22 ottobre 2008.
Viene, inoltre, disciplinato il parametro che il giudice deve seguire nell’esercizio del potere cautelare:
deve tener conto delle “probabili conseguenze del
provvedimento stesso per tutti gli interessi che possono essere lesi, nonché del preminente interesse
nazionale alla sollecita realizzazione dell’opera” e
“si valuta anche la irreparabilità del pregiudizio per
il ricorrente, il cui interesse va comunque comparato con quelli del soggetto aggiudicatore alla celere prosecuzione delle procedure” (30).
In sostanza, l’interesse specifico del ricorrente a
sottoscrivere il contratto e ad eseguirlo, considerato in via prioritaria nel rito speciale, per così dire,
“ordinario”, subisce una forte attenuazione perché
la scena, da un lato, si arricchisce del rilievo dell’interesse dell’aggiudicatario e, dall’altro lato, è occupata dal “preminente interesse nazionale alla sollecita realizzazione dell’opera”. La rilevanza strategica degli interventi diviene dominante e se ne impone la realizzazione.
Si è evidenziato che il “superamento” della legge
obiettivo, stabilito dalla legge delega 28 gennaio
2016, n. 11 (31), pone dubbi sulla “perdurante attualità di norme processuali ad hoc per un contesto
regolatorio” superato (32) e che la “‘normalizzazione’ delle procedure sostanziali riguardanti le infrastrutture strategiche” comporta “la conseguente
perdita di operatività del rito ‘specialissimo’ di cui
all’art. 125 del c.p.a.” (33).
Credo, però, che questo “secondo” rito speciale
continui ad applicarsi e si debba ritenere superato
solo per le opere relative all’EXPO Milano 2015
per esaurimento dell’evento cui erano collegate,
mentre vi è un’attenuazione della “specialità” del
parametro di giudizio per le misure cautelari, a seguito delle modifiche apportate all’art. 120 c.p.a.
dall’art. 204 D.Lgs. n. 50/2016.
Infatti, i contratti di cui all’art. 6, D.Lgs. 31 maggio 2011, n. 88 - contratti istituzionali di sviluppo
- rientrano ancora nell’ambito tracciato dall’art.
125 c.p.a. Lo stesso è a dirsi per le ipotesi di fallimento dell’esecutore o di risoluzione del contratto
per grave inadempimento dell’esecutore, nonostante l’art. 125 c.p.a. non sia stato mutato e rechi ancora: “procedure di cui all’art. 140 del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163”, invece di art. 110,
D.Lgs. n. 50/2016, stante la identità delle questioni
relative al possibile contenzioso.
Gli interventi di cui alla legge obiettivo trovano sì
una diversa disciplina sostanziale e procedurale, ma
il D.Lgs. n. 50/2016 li inserisce in una parte ad essi
dedicata, la V, e detta disposizioni particolari per
sottolineare la diversa rilevanza delle “infrastrutture e insediamenti” definiti “prioritari” (34) e, in assenza di una modifica dell’art. 125 c.p.a. che richiama ancora il D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163,
penso che il riferimento sia da intendere al nuovo
decreto legislativo e, quindi, agli artt. 200-203.
Si tratta di un difetto di coordinamento riscontrabile in diversi altri punti delle disposizioni del codice processuale. E così: il comma 2 dell’art. 120
c.p.a. reca “aggiudicazione definitiva di cui all’articolo 65 e all’articolo 225 del decreto legislativo 12
aprile 2006, n. 163”, sebbene la recente normativa
abbia abbandonato la terminologia aggiudicazione
“provvisoria” e “definitiva” ed usi “proposta” di aggiudicazione e “aggiudicazione” tout court e, ovviamente, non sia più attuale il richiamo al D.Lgs. n.
163/2006, ma occorre considerare gli artt. 98, 129,
140 e 153, D.Lgs. n. 50/2016; nel comma 4 dell’art. 120 c.p.a. si legge “quando è impugnata l’aggiudicazione definitiva”; nell’art. 121 c.p.a., le “gravi violazioni” previste dalle lettere a), b), c) e d)
(28) Art. 125, comma 3, c.p.a.
(29) Art. 140, D.Lgs. n. 163/2006.
(30) Art. 125, comma 2, c.p.a.
(31) L’art. 1, comma 1, lett. sss), L. 28 gennaio 2016, n. 11
stabilisce: “espresso superamento delle disposizioni di cui alla
legge 21 dicembre 2001 n. 443”, ma, nel contempo, “l’aggiornamento e la revisione del piano generale dei trasporti e della
logistica”.
(32) R. De Nictolis, Il nuovo codice dei contratti pubblici, in
questa Rivista, 2016, 542-543.
(33) M. Lipari, La tutela giurisdizionale e ‘precontenziosa’
etc., op. cit., 4.
(34) I. Volpe, Per le infrastrutture a carattere prioritario resta
la legge obiettivo, in Guida dir., Dossier sugli appalti, ultimo appuntamento, n. 29 del 9 luglio 2016, VIII ss. evidenzia che lo
spirito e la idea di fondo della legge obiettivo viene conservata
nel D.Lgs. n. 50/2016 e cioè la pianificazione generalizzata dei
grandi interventi pubblici.
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fanno tutte riferimento agli articoli del D.Lgs. 12
aprile 2006, n. 163 e così via.
Ritengo che, se la “ratio” del rito prevista dall’art.
125 c.p.a. per le infrastrutture e gli insediamenti
strategici vada individuata nella rilevanza nazionale degli interventi e della loro considerazione prioritaria per lo sviluppo, il superamento della legge
obiettivo e la posizione di nuova disciplina che rispecchia, pur sempre, l’esigenza della loro rilevanza
nazionale, non renda inattuale l’art. 125 c.p.a. e
che continui, quindi, a trovare applicazione alle
controversie che ineriscono le “infrastrutture e insediamenti prioritari” di cui agli artt. 200-203 del
D.Lgs. n. 50/2016.
Sarebbe certamente auspicabile, per una sana politica di semplificazione processuale, eliminare questo rito più speciale di quello speciale, soprattutto
perché, con le modifiche apportate dal D.Lgs. n.
50/2016, è stato introdotto un “terzo” rito speciale
in materia, come si dirà, ma occorre uno specifico
intervento legislativo che potrebbe intervenire in
sede di decreto correttivo allo scopo anche di armonizzare formalmente e sostanzialmente le norme
del c.p.a. alle novità del D.Lgs. n. 50/2016.
Per i poteri cautelari, la “specialità” è da ritenersi
parzialmente superata, come si passa ad esporre.
cioè il parere di precontenzioso, volto a contenere
il numero dei ricorsi giurisdizionali, e l’atto di raccomandazione; IV) le regole processuali relative: a)
all’impugnativa della proposta di aggiudicazione e
degli atti endo-procedimentali; b) ai termini di
pubblicazione del dispositivo; c) all’appello; d) ai
ricorsi cumulativi nelle gare suddivise in lotti.
Il D.Lgs. n. 50/2016 apporta modifiche che si possono ben definire generali (35), anche se alcune
sono solo marginali, e riguardano: I) il parametro
di giudizio che il giudice deve seguire nell’esercizio
del potere cautelare e che incide su ogni processo
riguardante le controversie di cui si discute: quello
che ho definito come primo rito speciale, il secondo rito speciale, perché sostanzialmente assorbente
della disposizione espressamente dettata dall’art.
125 c.p.a., e il terzo rito speciale relativo all’impugnativa dei provvedimenti di ammissione ed esclusione dalle gare; II) l’immediata e necessaria impugnabilità anche degli atti di ammissione alle gare,
oltre che di quelli di esclusione, con l’introduzione
di un terzo rito speciale in materia; III) l’ampliamento dell’ambito della giurisdizione esclusiva, includendovi gli atti dell’ANAC e, in particolare,
quelli previsti dall’art. 211, D.Lgs. n. 50/2016 e
I) La fase cautelare
La L. n. 11/2016 delega il governo ad innovare la
fase cautelare stabilendo: “al fine di garantire l’efficacia e la speditezza delle procedure di aggiudicazione ed esecuzione dei contratti relativi ad appalti
pubblici di lavori, previsione, nel rispetto della pienezza della tutela giurisdizionale, che, già nella fase
cautelare, il giudice debba tener conto del disposto
dell’articolo 121, comma 1, del codice del processo
amministrativo ... e, anche nelle ipotesi di cui all’articolo 122 e nell’applicazione dei criteri ivi previsti, debba valutare se il rispetto di esigenze imperative connesse ad un interesse generale possa influire sulla misura cautelare richiesta” (36).
Il D.Lgs. n. 50/2016 ha dato attuazione all’articolato principio stabilito nella delega con una disposizione sintetica e cioè: “Nella decisione cautelare, il
giudice tiene conto di quanto previsto dagli articoli
121, comma 1, e 122, e delle esigenze imperative
connesse ad un interesse generale all’esecuzione
del contratto, dandone conto nella motivazione” (37).
La disposizione, come già rilevato, è, quanto meno,
parzialmente assorbente della “specialità” dettata
per le controversie previste dall’art. 125 c.p.a. sul
potere cautelare perché, anche per quest’ultimo, rileva il preminente interesse alla realizzazione del
contratto rispetto all’interesse del ricorrente. Sotto
questo profilo si realizza una semplificazione processuale di fatto, anche se non di “diritto”, perché
non è stato abrogato il comma 2 dell’art. 125 c.p.a.
Sin dalla prima comparazione con i principi deleganti, appare evidente la violazione della delega
perché quest’ultima limita l’intervento ai soli “contratti relativi ad appalti pubblici di lavori”, e, invece, il decreto legislativo riguarda tutte le controversie attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall’art. 120, comma 1,
c.p.a. (38).
(35) Così: M. Lipari, La tutela giurisdizionale e “precontenziosa” etc., op. cit., 9.
(36) Art. 1, lett. aaa), L. n. 11/2016.
(37) Art. 120, comma 8 ter, c.p.a.
(38) Per G. Severini, Il nuovo contenzioso sui contratti pubbli-
ci in C. Contessa - D. Crocco, Codice degli appalti e delle concessioni, Il DLgs. 50/2016 commentato articolo per articolo Roma 2016, 130, “può presentare criticità, rispetto ai limiti dell’art. 76 Cost., che possa essere esteso ai contratti relativi ad
appalti pubblici di servizi ed alle concessioni”.
5. Sintesi delle modifiche introdotte
dal D.Lgs. n. 50/2016. I) La fase cautelare
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Se si interpreta il comma 8 ter dell’art. 120 c.p.a.
come integrante un “nuovo onere motivazionale” (39) o di scarsa utilità perché collega alla decisione cautelare le valutazioni che si effettuano con
la sentenza di inefficacia del contratto eventualmente stipulato, “sempre presente nella motivazione cautelare” (40), la violazione della delega appare non significativa, dal momento che l’innovazione riguarderebbe solo l’espressione di “un certo sfavore per la sospensione dell’aggiudicazione” (41).
La norma, però, mi sembra limitativa dell’esercizio
del potere cautelare che, normalmente, consente
l’adozione di “misure cautelari, compresa l’ingiunzione a pagare una somma in via provvisoria, che
appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione
sul ricorso” (42). In altri termini, l’ordinanza cautelare (di accoglimento) ha il carattere della strumentalità funzionale: può stabilire tutti i possibili
effetti, ancorché in via provvisoria e interinale,
che il ricorrente può conseguire con la domanda e
la sentenza (favorevole) del giudice (43).
Ebbene, il comma 8 ter dell’art. 120 c.p.a. fissa il
parametro con gli artt. 121, comma 1, e 122 c.p.a.
e cioè allorché all’annullamento dell’aggiudicazione consegua la dichiarazione di inefficacia del contratto quando ci sono state le “gravi violazioni”,
specificate nelle lett. a), b), c) e d) del comma 1
dell’art. 121 c.p.a., e quando è attribuito al giudice,
a prescindere dalle “gravi violazioni”, il potere di
dichiarare inefficace il contratto tenendo conto
“degli interessi delle parti, dell’effettiva possibilità
per il ricorrente di conseguire l’aggiudicazione alla
luce dei vizi riscontrati, dello stato di esecuzione
del contratto e della possibilità di subentrare nel
contratto, nei casi in cui il vizio dell’aggiudicazione
non comporti l’obbligo di rinnovare la gara e la domanda di subentrare sia stata proposta” (44).
Quindi, la misura cautelare è funzionale alle pronunzie nel merito di dichiarazione di inefficacia
del contratto e se l’azione non ha come petitum
(anche) tale domanda, il giudice non può accoglierla. La norma, nella sostanza, stabilisce che si
può accogliere la misura cautelare solo se la sentenza possa travolgere totalmente (artt. 121 e 122
c.p.a.) o parzialmente (art. 122 c.p.a.) il contratto
(stipulato o da stipulare); se ciò non può accadere,
significa che l’opera, il servizio, la fornitura etc.
non possono essere sospesi, ma devono proseguire
per raggiungere l’obiettivo di eseguire il contratto.
Se si procede ad una esemplificazione dei possibili
casi è da considerare che: a) è dubbio che si possa
sospendere gli atti di gara, se non sia stato già sottoscritto il contratto; b) comunque, non può accogliersi la domanda cautelare, se il ricorrente non
chieda (anche) la dichiarazione di inefficacia del
contratto, pur se non ancora intervenga e nella
previsione che possa essere sottoscritto, e non proponga la “domanda di subentrare” (45); c) non va
concessa la misura cautelare se i vizi addotti comportino solo l’obbligo di rinnovare la gara (46); d) i
provvedimenti di esclusione o di ammissione non
possono essere sospesi (a prescindere dalla possibilità o utilità di domandare la misura cautelare in
alcuni di questi casi, in conseguenza del rapido
“terzo” rito speciale e di cui si dirà); e) tutti gli atti
non collegati eziologicamente con il contratto stipulato o da stipulare non possono essere sospesi.
Dunque, in base alla legge delega, la modifica del
parametro di giudizio della fase cautelare doveva riguardare solo “i contratti relativi agli appalti pubblici di lavori” (47) e, invece, il decreto delegato lo
ha esteso a tutti i contratti pubblici attribuiti alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e
non si tratta di una previsione “indolore”, ma limita fortemente la tutela cautelare (48).
Infatti, prima dell’innovazione, la previsione dello
stand still period e della protrazione del tempo in
cui non era consentita la sottoscrizione del contratto per effetto della proposizione del ricorso con
(39) R. De Nictolis, IL nuovo codice dei contratti pubblici, op.
cit., 542.
(40) M. Lipari, La tutela giurisdizionale e “precontenziosa”
etc., op. cit., 12.
(41) M. Lipari, op. ult. cit., 12.
(42) Art. 55, comma 1, c.p.a.
(43) La strumentalità funzionale della misura cautelare consente il conseguimento degli effetti della sentenza domandata
come massima potenzialità di espansione e, nello stesso tempo, limite della pronunzia urgente del giudice; cfr. E. Follieri, La
fase cautelare, in Giustizia amministrativa, a cura di F.G. Scoca,
VI ed., Torino 2014, 342 ss., part. 349 ss.
(44) Art. 122, c.p.a. Sia consentito ancora un rinvio a E. Follieri, I poteri del giudice amministrativo etc., op. cit., 1094 ss.
(45) Art. 122 c.p.a. Rileva G. Severini, Il nuovo contenzioso
etc., op. cit., 128: non può il giudice “prendere in considerazione una casistica riconducibile all’art. 121, comma 1 (sulle ‘gravi violazioni’) se ancora si tratta di ipotesi a venire o all’art. 122
(sulle violazioni residue) quando si presuppone l’avvenuta stipulazione del contratto”.
(46) Art. 122 c.p.a.
(47) Art. 1, lett. aaa), L. 28 gennaio 2016, n. 11.
(48) Recente ordinanza del T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 22
giugno 2016, n. 787, pur riconoscendo la sussistenza del fumus boni juris in un appalto di servizi impugnato dal secondo
graduato che denunziava l’anomalia dell’offerta dell’aggiudicatario, non ha accolto la domanda cautelare, non essendo ancora intervenuto il contratto ed avviato il servizio. Questa soluzione cautelare non si potrebbe giustificare, se non fosse intervenuto il comma 8 ter dell’art. 120 c.p.a.
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domanda cautelare, in attesa che si pronunziasse il
giudice, poneva in posizione di prioritaria considerazione e tutela la protezione in via specifica dell’interesse legittimo all’aggiudicazione, tanto che la
verifica della sussistenza del fumus boni juris portava, nella normalità dei casi, all’accoglimento della
misura cautelare.
L’introduzione di questo parametro di giudizio rappresenta un forte ostacolo ad affermare la necessaria e preminente valutazione dell’interesse al bene
della vita (aggiudicazione) portato dal ricorrente
ed allora l’applicazione estesa a contratti diversi
dagli appalti pubblici di lavori comporta una rilevante e sostanziale violazione della legge delega,
per cui il comma 8 ter dell’art. 120 c.p.a. è incostituzionale.
Ma, a prescindere dal rapporto con la legge delega,
il comma 8 ter c.p.a. è in patente contraddizione
con quanto stabilito dall’art. 32 del D.Lgs. n.
50/2016 che mantiene, pur se vi è stato un ampliamento delle eccezioni rispetto alla previgente normativa (49), lo stand still period e l’ulteriore attesa
in caso di ricorso sino all’ordinanza (o sentenza ex
art. 60 c.p.a.) cautelare. Del resto, se non fosse stato stabilito questo termine sospensivo, ci sarebbe
stata la violazione delle direttive sulle procedure di
ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti
pubblici (50).
E, allora, non si consente la sottoscrizione del contratto sino alla pronunzia cautelare per consentire
al ricorrente di poter ottenere l’aggiudicazione e,
poi, viene meno la considerazione di questo specifico interesse, se non vengono proposte domande
integranti quelle previste dagli artt. 121, comma 1,
e 122 c.p.a.
Bloccare la sottoscrizione del contratto ha un senso
se, salvo imperative ed effettive esigenze pubbliche (51), la valutazione cautelare affidata al giudice non soffra di così rilevanti limiti.
È stato osservato che “ogni qualvolta il legislatore
nazionale ha tentato, sempre in materia di opere
pubbliche, di porre divieti, limiti, termini, ostacoli,
alla tutela cautelare, nella migliore ipotesi le norme sono state applicate in modo ‘costituzionalmente orientato’, non di rado sono cadute davanti al
giudice costituzionale” (52).
La Corte costituzionale ha affermato in più occasioni l’essenzialità della misura cautelare ai fini della tutela riconosciuta dalle norme costituzionali e
le limitazioni dell’art. 120, comma 8 ter, c.p.a. non
paiono giustificate e sono in contraddizione con disposizioni volte a consentire la soddisfazione in via
specifica dell’interesse del ricorrente.
Peraltro, la Corte di Giustizia, proprio nei confronti dell’Italia ha stabilito, nelle gare d’appalto,
il necessario esame sia del ricorso principale, che
di quelli incidentali escludenti perché “nell’ipotesi di un’esclusione di entrambi gli offerenti e dell’indizione di una nuova procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, ciascuno degli offerenti potrebbe parteciparvi e, quindi, ottenere indirettamente l’appalto” (53). Viene, cioè, affermata la tutela dell’interesse alla ripetizione della
gara che, come si è evidenziato innanzi, nella fase
cautelare viene sacrificato, non potendo il ricorrente ottenere il provvedimento urgente favorevole.
Inoltre, la Dir. 2007/66/CE impone che gli Stati
membri attribuiscano all’organo che decide sulle
procedure di ricorso i poteri che consentono di “a)
prendere con la massima sollecitudine e con procedura d’urgenza provvedimenti cautelari intesi a riparare la violazione denunciata ...” (54), qualunque
violazione denunciata e, quindi, non solo nella ricorrenza delle fattispecie descritte negli artt. 121 e
122 c.p.a.
Il legislatore nazionale può stabilire che, nell’esercizio dei poteri cautelari, si tenga conto di tutti gli
(49) L’art. 32, D.Lgs. n. 50/2016 aggiunge “il caso di affidamenti di importo inferiore alle soglie di cui all’art. 35 affidati ai
sensi dell’art. 36, c. 2, lettere a) e b)” (lavori di importo inferiore a euro 150.000 e servizi e forniture sotto la soglia comunitaria); cfr. R. De Nictolis, Il nuovo codice dei contratti pubblici, op.
cit., 519 ss.; A. Corrado, A tutela dei lavoratori Contratto collettivo e Durc in regola, in Gli speciali di Guida al Diritto, Codice degli appalti: l’analisi degli esperti, secondo appuntamento 23/28
maggio 2016, XXIV); I. Martella, Le novità processuali nel codice dei contratti pubblici, in Dir. Proc. Amm., 2016, 659.
(50) Direttive 89/665/CEE, 92/13/CEE e 2007/66, in particolare artt. 2, 2 bis e 2 quinquies.
(51) Il par. 5, comma 4, dell’art. 2 della Dir. 2007/66/CE
espressamente prevede: “Gli Stati membri possono prevedere
che l’organo responsabile delle procedure di ricorso possa tener conto delle probabili conseguenze dei provvedimenti cautelari per tutti gli interessi che possono essere lesi, nonché per
l’interesse pubblico e decidere di non accordare tali provvedimenti qualora le conseguenze negative possano superare
quelle positive”. Quello che, però, la normativa nazionale non
può stabilire è limitare le ipotesi di tutela cautelare in determinati casi in via generale.
(52) R. De Nictolis, Il nuovo codice dei contratti pubblici, op.
cit., 540. Si possono ricordare le sentenze della Corte cost. 27
dicembre 1974, n. 284 che dichiarava l’incostituzionalità dell’art. 5, ultimo comma, L. 3 gennaio 1978, n. 1; 25 giugno
1985, n. 190 che dichiarava l’incostituzionalità dell’art. 21, ultimo comma, L. n. 1034/1971 nella parte in cui non consentiva
al giudice amministrativo di adottare i provvedimenti ex art.
700 c.p.c. nelle controversie patrimoniali in materia di pubblico
impiego.
(53) Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, 5 aprile 2016,
causa C-689/13, punto 27.
(54) Art. 2, par. 1, lett. a), Dir. 2007/66/CE.
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La legge delega nel porre la necessità di “revisione
e razionalizzazione del rito abbreviato” (56) introduce un elemento di complicazione, disciplinando
un ulteriore rito speciale in materia (57).
La “razionalizzazione” va realizzata “anche mediante l’introduzione di un rito speciale in camera di
consiglio che consente l’immediata risoluzione del
contenzioso relativo all’impugnazione dei provvedimenti di esclusione dalla gara o di ammissione
alla gara per carenza di requisiti di partecipazione,
previsione della preclusione della contestazione di
vizi attinenti alla fase di esclusione dalla gara o
ammissione alla gara nel successivo svolgimento
della procedura di gara e in sede di impugnazione
dei successivi provvedimenti di valutazione delle
offerte e di aggiudicazione, provvisoria e definitiva” (58).
La delega è fin troppo dettagliata: immediata impugnabilità degli atti di ammissione ed esclusione
riguardanti i requisiti di partecipazione che non
possono più essere contestati, trascorsi i termini
per l’impugnativa; il decreto delegato non deve fare altro che stabilire i termini e precisare il “rito
speciale”.
E, infatti, il comma 2 bis dell’art. 120 c.p.a. stabilisce che il provvedimento di ammissione ed esclusione “all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali va impugnato nel termine di trenta giorni, decorrente dalla sua pubblicazione sul profilo del
committente della stazione appaltante, ai sensi dell’art. 29, comma 1, del codice dei contratti pubblici” (59) e che l’omessa impugnazione preclude la
facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti, anche con ricorso incidentale (60).
Il comma 6 bis dell’art. 20 c.p.a. fissa le regole del
nuovo rito speciale:
A) Trattazione in camera di consiglio, ma, a richiesta delle parti, il ricorso è definito, negli stessi
termini, in udienza pubblica; appare chiaro che si è
voluta evitare la violazione dell’art. 47 della Carta
dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea per
la quale ogni individuo ha diritto, tra l’altro, a che
la causa sia esaminata pubblicamente, come ha
avuto modo di stigmatizzare la Cedu, in applicazione dell’art. 6 della Convenzione, proprio nei confronti dell’Italia (61). Ho dei dubbi, però, che la
possibilità di chiedere la trattazione in udienza
pubblica consenta di ritenere rispettato il diritto
fondamentale a un “equo processo”. Può essere rimesso alla scelta del singolo l’effettività della tutela
o, detto altrimenti, la garanzia del diritto fondamentale è rinunciabile ovvero va, comunque, assicurato nell’interesse della giustizia? Peraltro, è stato
osservato che la camera di consiglio è una scelta
opinabile e che, da un lato, non è necessaria per
abbreviare i tempi e, dall’altro lato, non è imposta
(55) Art. 2, par. 5, comma 1, Dir. 2007/66/CE.
(56) Art. 1, lett. bbb), L. n. 11/2016.
(57) Il parere del Consiglio di Stato, assunto nell’Adunanza
del 21 marzo 2016, n. 855 dell’1 aprile 2016, reso sullo schema del decreto legislativo, lo definisce “super speciale” (212).
(58) Art. 1, lett. bbb), L. n. 11/2016.
(59) R. De Nictolis, Il nuovo codice dei contratto pubblici, op.
cit., 506, rileva che la legge delega ha previsto l’adozione di un
unico testo normativo da denominarsi “codice” - art. 1, comma 1 - ma che il decreto legislativo non ha poi assunto tale nome, né quello chiesto dalla legge delega (codice degli appalti
pubblici e dei contratti di concessione), né quello suggerito dal
Consiglio di Stato nel parere n. 855/2016 (codice dei contratti
pubblici), riportando un lungo titolo che indica trattarsi di attuazione delle direttive e di riordino della disciplina vigente e,
quindi, afferma che “Però quanto meno il ‘soprannome’ di codice dei contratti pubblici, gli è rimasto, legificato, nell’art.
120, comma 2 bis, c.p.a.” (508). M. Lipari, La tutela giurisdizionale e “precontenziosa” etc., op. cit., 3 evidenzia, nella nt. 1, le
diverse denominazioni del decreto legislativo e riporta in proposito il parere del Consiglio di Stato, ritenendo ingiustificata
l’omissione di “codice”, ancorché “tale locuzione compaia,
poi, nel corpo dell’articolato a partire dall’art. 1”.
(60) P. Cosmai - R. Iovino, Il nuovo codice degli appalti etc.,
op. cit., 381, ove si evidenzia che lo schema del decreto legislativo varato dal governo prevedeva anche l’impugnazione
dei provvedimenti di nomina della Commissione di gara, eliminata a seguito del parere del Consiglio di Stato n. 855/2016;
nello stesso senso: M. Lipari, La tutela giurisdizionale etc., op.
cit., 23. G. Severini, Il nuovo contenzioso etc., op. cit., 120, sottolinea la necessità dell’adeguatezza dei contenuti della pubblicazione su internet e della responsabilizzazione delle imprese
che sono sollecitate a vigilare sulla pubblicazione.
(61) Cedu, Sez. II, 4 marzo 2014, causa Grande Stevens, in
Guida dir., 2014, 82, con nota di M. Castellaneta. Si evidenzia
che la previsione è finalizzata a prevenire possibili incompatibilità con l’art. 6 della C.E.D.U. da parte di C. Contessa, in C.
Contessa - D. Crocco, Codice degli Appalti etc., op. cit., 638.
interessi e segnatamente dell’interesse pubblico (55), ma non può limitare la tutela cautelare a
determinate violazioni della normativa comunitaria e di quella statale di recepimento.
Una soluzione alternativa alla rimessione della
questione alla Corte costituzionale, alla Corte di
Giustizia o alla disapplicazione, potrebbe essere
un’interpretazione costituzionalmente e comunitariamente orientata e, sostanzialmente, “sterilizzante” del comma 8 ter dell’art. 120 c.p.a., considerandolo una mera esemplificazione del parametro che
il giudice deve applicare nel dispensare la tutela
cautelare: il giudice amministrativo ha la sensibilità e la giusta esperienza per seguire questa strada.
6. II) Il “terzo” rito speciale e profili
di diritto transitorio
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dalla legge delega che prevede “anche” il rito speciale in camera di consiglio (62).
B) Il giudizio va tenuto entro trenta giorni dalla
scadenza del termine per la costituzione delle altre
parti in giudizio e cioè decorsi trenta (l’art. 46
c.p.a. prevede 60 giorni, ma i termini sono dimezzati) o quarantacinque giorni se le parti o alcune di
esse risiedono in altro Stato d’Europa o settantacinque giorni se risiedono fuori d’Europa (63) dal
perfezionamento nei loro confronti della notificazione del ricorso. Il decreto di fissazione dell’udienza è comunicato alle parti quindici giorni prima. E
allora la “immediata risoluzione del contenzioso” (64) comporta questi tempi “massimi”: 30 giorni per la proposizione del ricorso; 30, 45 o 75 giorni per la costituzione delle altre parti; 30 giorni per
l’udienza di trattazione. In totale 90, 105 o 135
giorni a cui sono da aggiungere i 7 giorni per il deposito della sentenza, salvo eventuali complicazioni conseguenti ad esigenze istruttorie, integrazione
del contraddittorio, motivi aggiunti o ricorso incidentale (65). È possibile una contrazione dei tempi
nei minimi se: il ricorso è notificato e depositato
lo stesso giorno della pubblicazione dell’atto di ammissione o di esclusione; nessuna delle altre parti
risieda in altro Stato d’Europa o fuori Europa (30
giorni); il Presidente fissa l’udienza di trattazione,
decorsi 15 giorni (termine che deve decorrere dalla
comunicazione dell’udienza alle parti) dalla scadenza del termine per la costituzione. In totale 46
giorni oltre un giorno almeno per il deposito della
sentenza. Ho esposto questi calcoli per due ragioni:
la misura cautelare in questo rito non è “superflua” (66) perché i tempi possono non essere contenuti e, comunque, la camera di consiglio per la fase
cautelare è fissata alla prima utile decorsi dieci
giorni dalla notifica e cinque giorni dal deposito (67), per cui la camera di consiglio per la trattazione della misura cautelare sconta sempre un minor lasso temporale; senza considerare che la misu-
ra cautelare monocratica, “in caso di estrema gravità ed urgenza” (68) è rapidissima.
Quindi, la domanda cautelare riveste utilità per il
ricorrente ed i ricorsi avverso l’esclusione dalle gare spesso si sono risolti con la sentenza adottata a
seguito della trattazione della misura cautelare in
camera di consiglio ai sensi dell’art. 60 c.p.a. poiché la questione è, di solito, suscettibile di pronta
definizione (69).
Di poi, non sono stabiliti i termini tra il provvedimento di ammissione o esclusione e gli atti ulteriori della procedura, per cui può accadere che intervengano contestualmente, a distanza di pochi giorni o dopo un lungo arco temporale. Nel terzo caso
- trascorso di un lungo lasso temporale - la domanda cautelare può essere superflua, anche se non essendo predeterminati i tempi della scansione procedimentale, non è prevedibile quando interverrà
l’aggiudicazione. Nell’ipotesi di adozione contestuale degli atti, si pone altra questione perché il
ricorrente proporrà certamente un ricorso cumulativo e occorrerà stabilire il rito da seguire (70). Sicuramente, però, quando sta per intervenire l’aggiudicazione, il ricorrente escluso ha interesse ad
essere riammesso subito in gara.
La questione è però, se la domanda cautelare sia
ammissibile, visto che, per il comma 8 ter dell’art.
120 c.p.a., l’ordinanza urgente deve essere funzionalmente strumentale alla dichiarazione di inefficacia del contratto, come innanzi rilevato, e qui
non ancora è adottata nemmeno l’aggiudicazione
poiché si è nella preventiva fase della “valutazione
dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali” (71). Si ripropone quanto già
evidenziato circa la costituzionalità (in generale e,
in particolare, per i contratti diversi dagli appalti
pubblici di lavori) e la compatibilità con le direttive comunitarie (72).
C) I termini per la produzione dei documenti è “fino a dieci giorni liberi prima dell’udienza”, per le
(62) M. Lipari, La tutela giurisdizionale etc., op. cit., 32 il
quale auspica che, in un’ottica di semplificazione procedurale,
in sede di correttivo al codice sia previsto sempre il rito in
udienza pubblica.
(63) L’art. 46, ultimo comma, c.p.a. aumenta i termini per
la costituzione “nei casi e nella misura di cui all’articolo 41,
comma 5” che, appunto, considera altri trenta o novanta giorni, a seconda se le parti risiedono in altro Stato d’Europa o
fuori d’Europa; i termini vanno sempre dimezzati ex art. 120,
comma 3, c.p.a. che richiama l’art. 119 c.p.a.
(64) Art. 1, lett. bbb), L. n. 11/2016.
(65) Art. 120, comma 9, c.p.a.. Avverte del rischio della trasformazione del giudizio in sommario: G. Severini, op. ult.cit.,
125.
(66) Di contrario avviso R. De Nictolis, Il nuovo codice dei
contratti pubblici, cit., 542, sull’onda del parere del Consiglio di
Stato n. 855/2016 per il quale “la tutela cautelare diventa, di
fatto e nella ordinarietà dei casi, superflua (212). Nello stesso
senso G. Severini, op. ult. cit, 128.
(67) I termini, come rilevato, sono dimezzati e l’art. 55,
comma 5, c.p.a. li stabilisce così: “Sulla domanda cautelare il
collegio pronuncia nella prima camera di consiglio successiva
al ventesimo giorno dal perfezionamento, anche per il destinatario, dell’ultima notificazione e,. altresì, al decimo giorno dal
deposito del ricorso”.
(68) Art. 56, comma 1, c.p.a.
(69) Il rilievo è di M. Lipari, La tutela giurisdizionale etc., op.
cit., 20.
(70) Su cui infra nel testo, par. 10.
(71) Art. 120, comma 2 bis, c.p.a.
(72) Cfr. supra, par. 5.
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memorie sei giorni liberi e per le repliche tre giorni
liberi.
Il rinvio è possibile solo per: esigenze istruttorie,
integrazioni del contraddittorio, proposizione di
motivi aggiunti o ricorso incidentale; in caso di ordinanza istruttoria, è stabilito un termine non superiore a tre giorni per l’adempimento, con fissazione dell’ulteriore camera di consiglio “non oltre
quindici giorni”. Non può disporsi la cancellazione
della causa dal ruolo.
La sentenza è depositata entro sette giorni dalla
trattazione e, qualora una delle parti ne faccia richiesta (73), il dispositivo è pubblicato entro due
giorni dalla camera di consiglio o dall’udienza pubblica.
D) Il comma 7 dell’art. 120 c.p.a. stabilisce che
gli atti attinenti alla medesima procedura di gara
“devono” essere impugnati con motivi aggiunti e
l’art. 204 D.Lgs. n. 50/2016 ha aggiunto “ad eccezione dei casi previsti al comma 2 bis” cioè quando si impugni il provvedimento che determina le
esclusioni e le ammissioni. Non pare che la disposizione escluda la possibilità di proporre motivi
aggiunti, stante l’espressa previsione del comma 2
bis che la camera di consiglio o l’udienza pubblica
possono essere rinviate “per proporre motivi aggiunti” e, quindi, si è voluto attribuire al ricorrente la facoltà di proporli, non essendovi obbligato,
a differenza degli altri casi di contenzioso sugli appalti (74).
Il senso della previsione potrebbe essere quello di
rendere più celere il processo, a scapito della concentrazione, con scelta rimessa al ricorrente (75).
E) L’appello va proposto entro e non oltre trenta
giorni dalla comunicazione o, se anteriore, dalla
notificazione della sentenza e “non trova applicazione il termine lungo” decorrente dalla pubblica-
zione della sentenza” (76). In appello si applica lo
stesso rito descritto sub A), B), C) e D).
Non si detta nessuna disciplina specifica per l’opposizione di terzo, la revocazione ed il ricorso per
cassazione, per cui vale il dimezzamento dei termini (77).
F) Manca una disciplina transitoria e, trattandosi
di norme processuali, dovrebbe valere la regola
tempus regit actum e, quindi, con applicazione nel
momento in cui si svolge il giudizio (78).
La questione, però, va esaminata scindendo almeno tre ipotesi e considerando anche una soluzione
diversa da quella del tempus regit actum.
Per il provvedimento di ammissione precedente
l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 50/2016, non può
pensarsi che i concorrenti avrebbero dovuto impugnarlo ancor prima che intervenisse la novità legislativa, con conseguente applicazione del terzo rito,
quando pacifica giurisprudenza non imponeva l’onere di impugnativa e l’eventuale ricorso sarebbe
stato dichiarato inammissibile. In questo caso si seguono le precedenti regole processuali e l’ammissione può essere impugnata con l’aggiudicazione,
non potendosi aprire un giudizio ad hoc, secondo il
comma 2 bis dell’art. 120 c.p.a.
Il provvedimento di esclusione - seconda ipotesi doveva essere impugnato dal concorrente escluso
anche prima dell’entrata in vigore delle recenti disposizioni, secondo il costante orientamento giurisprudenziale, per cui si sarà in presenza di un ricorso pendente proposto esclusivamente avverso l’atto
di esclusione (79). Qui bisogna distinguere: per le
parti non possono che applicarsi i precedenti termini per l’impossibilità di rispettare i nuovi accelerati, probabilmente già decorsi o, in parte, consumati; invece, per la trattazione dovrebbe essere fissata la camera di consiglio o, a richiesta delle parti,
(73) M. Lipari, La tutela giurisdizionale etc., op. cit., 38 fa notare che “non si stabilisce più l’onere di formulare la richiesta
in udienza”.
(74) R. De Nictolis, Il nuovo codice dei contratti pubblici, op.
cit., 542 osserva che la “disciplina sembra voler escludere i
motivi aggiunti nel rito contro ammissioni ed esclusioni ... ma
non può in astratto escludersi che possano essere necessari
motivi aggiunti”.
(75) M. Lipari, La tutela giurisdizionale etc., op. cit., 33 esprime l’opinione che la scelta del legislatore delegato muove dalla preoccupazione di ‘concentrare’ in un unico contesto procedimentale il contenzioso avverso l’ammissione/esclusione, ma
ritiene che la previsione comporti il superamento dell’onere di
proporre i motivi aggiunti, ma non stabilisce il divieto, per l’interessato, di utilizzare lo strumento dei motivi aggiunti e “se è
così, l’utilità della disposizione risulta piuttosto limitata”. I.
Martella, Le novità etc., op. cit., 663, dà la stessa lettura, ritenendo che la presentazione dei motivi aggiunti è diventata, in
questi casi, una facoltà del ricorrente.
(76) Art. 120, comma 6 bis, c.p.a.
(77) Art. 119, ultimo comma, c.p.a., richiamato dall’art.
120, comma 3, c.p.a. Si condivide quanto rileva M. Lipari, La
tutela giurisdizionale etc., op. cit., 39 che il rinvio del comma 11
dell’art. 120 c.p.a. vale per il rito e non per i termini di proposizione delle impugnative.
(78) Cfr. Cass., Sez. III, 15 dicembre 2016 n. 25216 che,
qualificata come processuale la norma che ha eliminato il preventivo giudizio delibativo per proporre l’azione di responsabilità civile contro i magistrati, ha affermato che è immediatamente applicabile ai processi con riguardo a tutti gli atti da
compiere, rimanendo validi ed efficaci gli atti già compiuti. In
dottrina: R. Caponi, “Tempus regit actum” ovvero autonomia e
certezza del diritto processuale civile, in Giur. it., 2007, 689.
(79) È chiaro che se è pendente ricorso cumulativo, con impugnativa anche dell’aggiudicazione, pur se oggetto di motivi
aggiunti, si applica il primo rito speciale ordinario: cfr. infra par.
10.
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l’udienza pubblica e la sentenza va depositata entro
sette giorni dalla presa in decisione della causa,
con possibilità di anticipata pubblicazione del dispositivo entro due giorni, se richiesto (80).
Soluzione più semplice è quella di applicare la disposizione transitoria dell’art. 216, comma 1,
D.Lgs. n. 50/2016, relativa all’entrata in vigore della normativa sostanziale, secondo cui le nuove disposizioni riguardano le procedure di affidamento i
cui bandi o avvisi siano pubblicati dopo l’entrata
in vigore dello stesso D.Lgs. e, quindi, a far tempo
dal 20 aprile 2016, per cui le innovative norme
processuali non possono che avere ad oggetto gli
atti adottati in base al nuovo sistema di selezione (81), specie con riferimento al provvedimento
di ammissione ed esclusione che riceve una regolamentazione procedimentale diversa.
Questa possibile tesi lega il processo al procedimento che lo influenza e ne fa una sua proiezione:
le regole processuali sono state così dettate in conseguenza della disciplina procedimentale e sostanziale.
Se si segue quest’ultima impostazione, non si applica il terzo rito speciale non solo nella seconda ipotesi, ma nemmeno nella ultima ipotesi che si espone e cioè per l’esclusione o ammissione successive
all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 50/2016, ma disciplinate dal D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e ss.
mm. ed ii. siccome adottate in una gara bandita
prima del 20 aprile 2016.
Il procedimento, infatti, deve svolgersi secondo le
precedenti regole e non si applicano le nuove norme processuali.
Viceversa, si utilizza il terzo rito speciale per le ammissioni o esclusioni, se si ritiene che, per il processo, in mancanza di una normativa transitoria
specifica, valga la regola tempus regit actum, a prescindere dalla disciplina sostanziale.
La teorica che si può definire sostanziale consentirebbe di procrastinare l’introduzione del terzo rito
speciale, consentendo agli operatori economici e
giuridici di “digerirlo”.
(80) La pubblicazione del dispositivo entro due giorni dall’udienza è stabilita anche per il primo rito speciale, a partire dai
giudizi introdotti con ricorso depositato in primo grado o in
grado di appello, in data successiva all’entrata in vigore del
D.Lgs. 24 giugno 2014, n. 90, convertito in L. 11 agosto 2014,
n. 114, per cui il problema del termine per la pubblicazione del
dispositivo può riguardare solo i ricorsi in primo grado e gli appelli depositati prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n.
90/2014, il che costituisce più un’ipotesi di scuola, in considerazione della rapida conclusione di questi tipi di giudizi che, in
media, durano molto meno di due anni.
(81) Così: R. De Nictolis, Il nuovo codice dei contratti pubblici, op. cit., 543. Dello stesso avviso è I. Martella, Le novità etc.,
op. cit., 669.
(82) F. Franconiero, Il recepimento delle nuove direttive su
contratti pubblici. La giurisprudenza amministrativa sulle proce-
dure di affidamento dei contratti pubblici, in www.italiadecide.it,
1, 2015.
(83) R. De Nictolis, Il nuovo codice dei contratti pubblici, op.
cit., 540, sottolinea che il contenzioso sull’aggiudicazione è
nella prassi “complicato ed esasperato dai ricorsi incidentali
che rimettono in discussione la fase di ammissione”. Per un’analisi puntuale delle condizioni che hanno portato ad un ipertrofico contenzioso sui requisiti di ammissione: G. Severini, Il
nuovo contenzioso etc., op. cit., 107 e ss.
(84) A. Pajno, La nuova disciplina dei contratti pubblici tra
esigenze di semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto
alla corruzione in www.giustamm.it, in Riv. dir. pubbl., febbraio
2016, 18.
(85) A. Pajno, op. ult. cit., 19. G. Severini, op. ult. cit., 111 incisivamente rileva: “ si ricerca una sicurezza giuridica immediata
sulle figure dei protagonisti della gara”.
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7. Le ragioni della “specialità” e profili
critici
Prima della previsione della legge delega, la dottrina ha messo in evidenza l’incongruenza del contenzioso sugli appalti che si concentra soprattutto
sulla sussistenza dei requisiti di partecipazione alla
gara dopo che quest’ultima si è conclusa, collegata
alla struttura del procedimento che differisce la verifica dei requisiti dopo l’aggiudicazione (82) e alle
conseguenti impugnazioni incidentali del controinteressato aggiudicatario che contestano il (i) requisito (i) del ricorrente (83).
E, quindi, si è indicato come possibile rimedio, una
“diversa organizzazione del procedimento, che veda
una fase dedicata alle ammissioni ed esclusioni di
tutti i partecipanti alla gara, ed una diretta impugnabilità, entro un termine breve, in quanto atti
immediatamente lesivi, dei provvedimenti di ammissione e di esclusione” (84). Lo scopo è quello di
evitare che le illegittimità della fase preparatoria
possano poi ripercuotersi sull’esito conclusivo della
gara, richiamando quanto previsto dal codice del
processo amministrativo per il processo elettorale
che stabilisce la immediata impugnabilità degli atti
di esclusione. Se ne avvantaggerebbe il procedimento che potrebbe andare diritto alla conclusione, lasciandosi alle spalle le ammissioni ed esclusioni, ed il processo amministrativo che potrebbe
concentrarsi solo sulla valutazione delle offerte (85). Si sarebbe dovuto, quindi, ristrutturare il
procedimento, scandendo in maniera puntuale la
fase delle ammissioni-esclusioni e rimettendo ad
una fase successiva, senza possibilità di commistione o ritorno alla precedente, la valutazione delle
offerte; in conseguenza, sul piano processuale prevedere l’immediata impugnabilità del provvedi-
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mento conclusivo della fase (o subfase) delle ammissioni-esclusioni.
Il confronto operato con il rito elettorale in materia di esclusioni e di atti preparatori mette in evidenza che il procedimento elettorale è definito in
tappe cronologiche successive e rigide e non sono
previsti, fuori dai casi espressamente indicati, interventi in autotutela perché si svolgono le elezioni,
senza possibilità di far retrocedere il procedimento
elettorale (86), superata la presentazione delle liste,
l’ammissione ed esclusione, le contestazioni, la definitiva determinazione della commissione elettorale (e l’eventuale rapidissimo giudizio innanzi al giudice amministrativo). E il rito speciale dettato dall’art. 129 c.p.a. non impone l’onere di impugnare
immediatamente le ammissioni delle liste, salva l’ipotesi di possibile confusione tra i simboli o i nomi
dei candidati.
Ebbene, per gli appalti, il procedimento amministrativo non è esattamente distinto tra la fase di individuazione dei concorrenti ammessi alla gara e
quella di valutazione delle offerte.
È stato esattamente rilevato (87) che: a) l’art. 80
del D.Lgs. n. 50/2016 stabilisce che le stazioni appaltanti “escludono un operatore economico in
qualunque momento della procedura”, per cui la
fase di ammissione è potenzialmente aperta almeno
sino all’aggiudicazione, conformemente alla previsione dell’art. 57 della Dir. 2014/24/UE (88); b)
l’art. 56 della Dir. 2014/24/UE stabilisce che le stazioni appaltanti possano seguire un iter più flessibile e semplificato, valutando prima le offerte e poi
l’assenza di motivi di esclusione; c) la (eventuale)
inoppugnabilità degli atti di ammissione-esclusione
dalla gara non impedisce l’esercizio del potere di
autotutela, anche su impulso degli operatori economici non aggiudicatari e che non hanno impugnato l’ammissione (illegittima) dell’aggiudicatario,
nonché a seguito dello “atto di raccomandazione”
dell’ANAC (89); d) i tempi delle procedure - salvo
possibili linee guida e bandi tipo - e la durata delle
fasi o subfasi non è omogenea e predeterminata,
per cui possono verificarsi “sia ipotesi di procedure
molto elaborate, che possono durare settimane, o
addirittura mesi, sia fattispecie di gare in cui la fase
di ammissione e quella di scelta del contraente si
concludono contestualmente (o a distanza di pochissimi giorni)” (90); e) i concorrenti presentano
il documento di gara unico europeo (D.G.U.E.),
consistente in un’autodichiarazione in sostituzione
dei certificati comprovanti l’assenza dei motivi di
esclusione di cui all’art. 80 del D.Lgs. n. 50/2016 e
i requisiti di idoneità professionale, di capacità
economica e finanziaria e di capacità tecniche e
professionali nonché degli eventuali criteri oggettivi richiesti dalle stazioni appaltanti; solo a seguito
dell’aggiudicazione, l’offerente che ha vinto la gara
e il secondo in graduatoria devono presentare le
certificazioni (91); quindi, l’effettiva verifica (anche) dei requisiti di partecipazione avviene addirittura dopo l’aggiudicazione.
La fluidità del procedimento e la non precisa ed
esatta limitazione della fase di qualificazione dei
concorrenti si ripercuote sull’impugnativa disciplinata dal comma 2 bis dell’art. 120 c.p.a. che, per
evitare confluenza di questioni nello stesso ricorso,
dovrebbe concludersi prima che intervenga l’aggiudicazione; il che non può verificarsi quando vi sia
contemporanea decisione sull’ammissione e sulla
valutazione delle offerte ovvero quest’ultima intervenga a breve distanza di tempo.
Credo, comunque, che questo terzo rito speciale
non serva al fine di confinare in apposito contenzioso giurisdizionale le questioni relative ai requisiti
di partecipazione, né di eliminare i ricorsi incidentali (92).
(86) M. Lipari, La tutela giurisdizionale etc., op. cit., 22.
(87) M. Lipari, La tutela giurisdizionale etc., op. cit., 16 ss.
(88) “Le amministrazioni aggiudicatrici escludono un operatore economico in qualunque momento della procedura qualora risulti che l’operatore economico si trova, a causa di atti
compiuti o omessi prima o nel corso della procedura, in una
delle situazioni di cui ai paragrafi 1 e 2”.
(89) Art. 211, D.Lgs. n. 50/2016.
(90) M. Lipari, La tutela giurisdizionale etc., op. ult. cit., 18.
(91) Art. 85, D.Lgs. n. 50/2016.
(92) O. Forlenza, Uno speciale giudizio con termini stringenti
etc., op. cit., XXXII, ritiene che uno dei principali punti critici
della riforma sia proprio la previsione dell’immediata impugnazione delle ammissioni e si domanda se “sia effettivamente rispondente alle finalità perseguite ovvero non vi sia il rischio di
una moltiplicazione del contenzioso stesso, determinata dalla
necessità di impugnare comunque l’atto in via cautelativa”.
Contra: G. Severini, Il nuovo contenzioso etc.., op. cit., 125, per
il quale l’obiettivo perseguito dal legislatore è di “massima meritevole e, di suo, merita condivisione”, ma per i “tempi”, solleva fondate perplessità (126).
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8. Rilevanza marginale nel contenzioso
del terzo rito speciale
Innanzitutto, va precisato che questo particolare rito riguarda esclusivamente il provvedimento di
esclusione e ammissione all’esito delle valutazioni
dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali degli operatori economici, non
altri profili che possano condurre all’esclusione o
all’ammissione perché si è in presenza di un rito
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derogatorio e non è possibile procedere ad interpretazioni estensive, tese ad ampliare il perimetro
di applicazione (93).
L’oggetto dell’impugnativa è il provvedimento che
determina le esclusioni e le ammissioni dalla procedura di affidamento all’esito delle valutazioni dei
requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnicoprofessionali dei concorrenti e che viene pubblicato insieme ai relativi atti nei successivi due giorni
dalla data di adozione “al fine di consentire l’eventuale proposizione del ricorso ai sensi dell’art. 120
del codice del processo amministrativo” (94) e ne è
dato contestualmente “avviso ai concorrenti, mediante pec o strumento analogo negli altri Stati
membri” (95).
Ancorché manchi una precisa disposizione sostanziale che chiarisca in che consista esattamente detto provvedimento, si tratta di un “atto unitario che
dovrebbe concludere definitivamente la fase di ammissione e verifica dei requisiti di partecipazione
dei concorrenti” (96).
Restano fuori da questo rito le ammissioni o le
esclusioni relativi alla regolarità ed al contenuto
delle offerte tecniche ed economiche e alle possibili anomalie delle offerte, ma forse anche agli altri
requisiti, diversi da quelli indicati dall’art. 83 del
D.Lgs. n. 50/2016 (97) e cioè i motivi di esclusione
previsti dagli artt. 80 (98) e 91 stesso D.Lgs. (99).
Sono del parere che non si applichi il terzo rito
speciale nemmeno quando, in via di autotutela, si
annulli il provvedimento di esclusione o di ammissione, modificandolo. La dottrina ha avanzato due
possibili soluzioni: un’interpretazione “prudente”
secondo cui, conclusa la fase di ammissione-esclu-
sione, cessa l’operatività dell’eccezionale terzo rito
speciale ovvero, sulla base del principio del contrarius actus, anche gli atti di autotutela di secondo
grado devono essere trattati con il terzo rito speciale (100).
Va preferita la prima soluzione perché, da un lato
il terzo rito speciale si pone come eccezionale e derogatorio ed è di stretta interpretazione, per cui
non è possibile estenderlo ad ambiti non considerati dalla norma; dall’altro lato, la regola del contrarius actus attiene al procedimento amministrativo che deve seguire il provvedimento di secondo
grado, non alla tutela giurisdizionale avverso il
provvedimento che appartiene ad altro livello e
non interviene su un precedente giudizio.
Appare, comunque, chiaro che tutte le esclusioni e
ammissioni successive alla fase che si chiude con il
provvedimento di cui all’art. 29, D.Lgs. n. 50/2016
non rientrano nel contenzioso di cui al comma 2
bis dell’art. 120 c.p.a., per cui non si realizza l’obiettivo di eliminare “in radice l’annoso problema
del ricorso incidentale” (101).
Di poi, il provvedimento che definisce le ammissioni ed esclusioni valuta, normalmente, le autodichiarazioni dei concorrenti risultanti dal documento di gara unico europeo (102) (D.G.U.E.) sul quale se si riscontra “la mancanza, l’incompletezza e
ogni altra irregolarità essenziale” (103) interviene
la procedura di soccorso istruttorio, come nel caso,
ovviamente, di “irregolarità formali, ovvero di
mancanza o incompletezza di dichiarazioni non essenziali”, mentre per quelle essenziali è pagata una
sanzione pecuniaria stabilita nel bando di gara (104).
(93) Nello stesso senso M. Lipari, La tutela giurisdizionale
etc., op. cit., 25.
(94) Art. 29, comma 1, secondo periodo, D.Lgs. n. 50/2016.
(95) Art. 76, comma 3, D.Lgs. n. 50/2016.
(96) Come puntualmente rilevato da M. Lipari, La tutela giurisdizionale etc., op. cit., 24.
(97) L’art. 83, D.Lgs. n. 50/2016 espressamente si riferisce
a: “a) i requisiti di idoneità professionale; b) la capacità economica e finanziaria; c) le capacità tecniche e professionali”.
(98) L’art. 80, D.Lgs. n. 50/2016 riguarda gli operatori economici che abbiano commesso reati o siano coinvolti in infiltrazioni mafiose o siano incorsi in violazioni gravi agli obblighi
del pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali e in altri motivi di esclusione precisati nei commi dal 5 in
poi.
(99) Eventuali criteri oggettivi fissati dalla stazione appaltante.
(100) È la prospettazione di M. Lipari, La tutela giurisdizionale etc., op. cit., 26.
(101) Ritiene che si elimini il problema del ricorso incidentale, M.A. Sandulli, in Osservatorio sulla giustizia amministrativa,
in Foro amm., 2015, 2992. Analogo rilievo, anche se in forma
molto dubitativa, ha espresso A Bartolini in un incontro semi-
nariale tenutosi a Roma il 31 maggio 2016 preso il Dipartimento di Economia dell’Università “ La Sapienza”, organizzato da
P. Chirulli. Opportunamente M. Lipari, op. ult. cit., 26 ricorda
che “il contenzioso all’origine della decisione “Fastweb” della
Corte di Giustizia (caratterizzato, com’è noto, da due ricorsi incrociati - principale e incidentale - diretti a impugnare reciprocamente, l’ammissione dell’altro unico concorrente, con l’effetto di far annullare l’intera gara, ma dopo l’intero svolgimento comprensivo della valutazione dell’offerta e dell’aggiudicazione), non avrebbe potuto svolgersi secondo le nuove regole
dell’art. 120, dal momento che le ammissioni reciprocamente
contestate in quel giudizio riguardano i contenuti dell’offerta
tecnica e non già i requisiti soggettivi di partecipazione”, per
cui non si scongiura il rischio dei ricorsi incrociati.
(102) Art. 85, D.Lgs. n. 50/2016.
(103) Art. 83, comma 9, D.Lgs. n. 50/2016.
(104) L’art. 83, comma 9, D.Lgs. n. 50/2016. fissa il range della sanzione “in misura non inferiore all’uno per mille e
non superiore a 5.000 Euro”. La previsione è in palese violazione della legge delega che all’art. 1, lett. z), stabilisce la “piena
possibilità di integrazione documentale non onerosa”. Cfr., E.
Follieri, I principi generali delle Direttive Comunitarie
2014/24/UE e 2014/25/UE, in www.giustamm.it, 2015, 3 ss.
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Il ricorso contro le ammissioni ed esclusioni si risolve, nella sostanza, nell’esame del D.G.U.E. che
il concorrente redige seguendo le indicazioni dettate dal documento, corretto negli eventuali errori
con la procedura di soccorso istruttorio, per cui il
giudizio si basa sulle autodichiarazioni dei concorrenti che, nella normalità dei casi, saranno quelle
richieste dal bando, salvo le dichiarazioni false o
mendaci che sono fenomeni purtroppo non infrequenti (105).
Il giudizio amministrativo contro le ammissioni e
le esclusioni avrà luogo solo nell’ipotesi in cui le
autodichiarazioni non corrisponderanno a quelle
richieste dal D.G.U.E. e non saranno state emendate a seguito di richiesta della stazione appaltante.
È un contenzioso a limitata incidenza e forse di
nessuna utilità perché quello rilevante si apre a seguito della verifica delle autodichiarazioni e, quindi, dopo l’aggiudicazione e riguarderà il vincitore
della gara ed il secondo classificato, non le controversie oggetto del terzo rito speciale.
Alla fine, questo ricorso non è di grande impatto,
né utile per delimitare l’effettivo contenzioso.
9. Rilievi critici sulla opportunità e
necessità dell’impugnativa immediata
degli atti di ammissione
A parte questo profilo sulla scarsa rilevanza del
contenzioso, la novità di imporre la necessaria
tempestiva impugnativa (anche) delle ammissioni
non pare previsione necessaria e utile.
La giurisprudenza ha ritenuto che le esclusioni dalla gara debbano essere tempestivamente impugnate, senza attendere la conclusione del procedimento, perché lesive dell’interesse del concorrente che
non può più divenire aggiudicatario, a prescindere
dallo svolgimento e completamento della procedura ad evidenza pubblica (106).
L’immediata lesione dell’interesse ad ottenere successo nella gara non più conseguibile per l’esclusio(105) Si rammarica della frequenza delle dichiarazioni false
e mendaci dei cittadini nei confronti delle pubbliche amministrazioni M.A. Sandulli, Gli effetti diretti della legge 7 agosto
2015 n. 124 sulle attività economiche: le novità in tema di
s.c.i.a., silenzio-assenso e autotutela in www.federalismi.it,
2015, 9.
(106) Cons. Stato, Sez. VI, 19 ottobre 2012, n. 5389; Cons.
Stato, Sez. V, 4 marzo 2011, n. 1398.
(107) Cfr. R. Villata, voce Interesse ad agire, II, Diritto processuale amministrativo in Enc. giur., XVII, Roma, 1989; E. Follieri, I presupposti e le condizioni dell’azione, in F.G. Scoca (a
cura di), Giustizia amministrativa, VI ed., Torino, 2014, 289 ss.
(108) R. De Nictolis, Il nuovo codice dei contratti pubblici,
op. cit., 541; M. Lipari, La tutela giurisdizionale etc., op. cit., 15;
M.A. Sandulli, La legge delega sull’attuazione delle direttive UE
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ne circoscrive la legittimazione al concorrente
estromesso che è a conoscenza di tutti gli elementi
che riguardano la sua posizione e l’esito positivo
del giudizio gli consente di proseguire nella gara
per ottenere il bene della vita cui aspira: l’aggiudicazione. È una soluzione appagante perché il possibile intervento cautelare, normalmente domandato
dal ricorrente in questi casi, permette la partecipazione dell’escluso alla procedura e soddisfa l’interesse allo svolgimento della gara senza che il procedimento retroceda con la ripetizione delle valutazioni. Inoltre è conforme ai principi che caratterizzano l’interesse a ricorrere e, in primis, alla verifica
dell’interesse ad un’utilità concreta che la sentenza
favorevole può recare alla situazione giuridica soggettiva di cui si affermi la lesione personale, diretta
ed attuale (107).
La previsione di impugnare (anche) gli atti di ammissione non mi sembra, invece, condivisibile per
più ragioni: a) carica ogni concorrente di un onere
eccessivo; b) diventa un moltiplicatore del contenzioso che potrebbe essere di nessuna utilità per chi
è costretto al ricorso; c) non tutela un apprezzabile
interesse a ricorrere, privo, quanto meno, della lesione attuale della situazione giuridica soggettiva.
a) L’onere per i concorrenti appare eccessivo almeno sotto due profili: a1) se non è particolarmente
gravoso quando vi è un numero limitato di operatori economici che hanno presentato l’offerta, l’onere aumenta proporzionalmente con la quantità
dei partecipanti come rilevato da più parti (108);
a2) il pagamento del contributo unificato che va
corrisposto nella esagerata entità prevista per queste controversie, con il rischio di doverlo versare
nuovamente quando si va ad impugnare (eventualmente) l’aggiudicazione (109); in proposito si deve
ricordare che la Corte di Giustizia UE, pur avendo
ritenuto che non contrasti con il diritto dell’UE la
previsione dei tributi giudiziari multipli, ha rimesso
alla valutazione del giudice nazionale la possibilità
del 2014 etc., op. cit., 2992; C. Contessa, in C. Contessa - D.
Crocco, Codice degli Appalti etc., op. cit., 637.
(109) R. De Nictolis, Il nuovo codice dei contratti pubblici,
op. cit., 541 suggerisce che si sarebbero dovuti evitare i dubbi
ingenerati dai costi eccessivi del giudizio “operando sulla riduzione del contributo, o prevedendone uno solo in caso di impugnazione di ammissione seguita da impugnazione della successiva aggiudicazione” e ne auspica l’introduzione nei decreti
correttivi. M. Lipari, La tutela giurisdizionale etc., op. cit., 30 ritiene che “anche alla luce della giurisprudenza della Corte di
Giustizia (senza necessità di interventi di dettaglio del legislatore nazionale) si dovrebbe sostenere la tesi secondo cui, in tale
eventualità, il contributo unificato dovrebbe restare lo stesso e
non raddoppiato”.
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di dispensare dall’obbligo di pagamento di contributi cumulativi in presenza di ricorsi aventi identità di oggetto (110) che, se identificato con l’appalto contestato, può far rientrare l’ipotesi di cui si discute.
b) L’impugnazione degli atti di ammissione parcellizza il procedimento amministrativo, ai fini dell’azione giurisdizionale, aumentando il contenzioso
che potrebbe rilevarsi del tutto inutile, se si contesta l’ammissione di un concorrente che, poi, non si
colloca (sarebbe collocato) utilmente nella graduatoria oppure lo stesso ricorrente non ottiene il risultato favorevole a seguito della valutazione delle
offerte; l’effetto “sicuro” è l’incremento delle controversie che si pone in contraddizione con l’intento di ridurle, reso palese anche attraverso la previsione di strumenti alternativi di definizione del
contenzioso, mentre è tutta da verificare la diminuzione delle questioni da trattare nel ricorso avverso l’aggiudicazione per il possibile riscontro,
successivo al provvedimento da impugnare di cui
all’art. 29, D.Lgs. n. 50/2016, della mancanza dei
requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnicoprofessionali.
c) È da chiedersi quale utilità concreta consegua il
partecipante che impugni l’ammissione degli altri
concorrenti; il ricorso, in ipotesi diretto ad escludere tutti gli altri partecipanti, pur se coronato da
successo, non attribuisce al ricorrente vittorioso
l’aggiudicazione perché la stazione appaltante può
decidere di non procedere all’aggiudicazione se l’offerta non risulti conveniente o idonea in relazione
all’oggetto del contratto (111); e, soprattutto, la lesione non è diretta, non derivando immediatamente dal provvedimento di ammissione, e non è attuale poiché non è ancora intervenuta la lesione
dell’interesse ad ottenere l’aggiudicazione, richiedendo l’emanazione di provvedimenti successivi
collegati ad un evento futuro e incerto (l’aggiudicazione a favore del concorrente di cui si contesta
la legittima ammissione) (112).
L’interesse deve essere concreto ed attuale (113) e
la necessità dell’impugnazione contro le ammissioni degli altri partecipanti alla gara istituisce una
“presunzione di interesse a ricorrere” che potrebbe
ravvisarsi nella “giusta formazione della platea dei
concorrenti alla gara, bene che ora diviene tutelabile autonomamente” (114); interesse che viene
meno, rendendo improcedibile il ricorso, in caso di
aggiudicazione della gara allo stesso ricorrente o a
concorrente diverso da quello nei cui confronti si è
contestata l’ammissione, sempre che il partecipante “contestato” non sia determinante ai fini della
media per l’aggiudicazione.
L’interesse per il quale la legge consente e “obbliga” all’impugnativa delle ammissioni resta tale, ma
un evento successivo - l’aggiudicazione - lo priva
della indispensabile utilità dell’azione promossa,
rendendolo inattuale e conferma che si va ad incardinare un contenzioso che potrebbe essere di
nessun…. interesse (115).
(110) Corte di Giustizia UE, Sez. V, 6 ottobre 2015, causa C61/14, con nota di L. Presutti, Contributo unificato e diritto europeo degli appalti, in questa Rivista, 2016, 138 ss.
(111) In questo senso, da ultimo Cons. Stato, Sez. III, 25
febbraio 2016, n. 749.
(112) O. Forlenza, Uno speciale giudizio con termini stringenti etc., op. cit., solleva il dubbio che il nuovo regime impugnatorio violi l’art. 113 Cost. che garantisce la tutela giurisdizionale contro tutti gli atti amministrativi, senza limitazione a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di
atti perché la normativa introdotta sembra sottindere “una
‘dissuasione’ dal proporre ricorso - affrontandone le spese avverso provvedimenti, quali quelli di ammissione/esclusione,
posto che lo stesso, all’esito della gara, potrebbe rilevarsi inutile”.
(113) Recentemente ed autorevolmente: Cons. Stato, Ad.
Plen., 3 febbraio 2014, n. 8.
(114) Così: G. Severini, Il nuovo contenzioso etc., op. cit.,
118.
(115) Molto interessanti i rilievi e le “preoccupazioni” di G.
Severini, op. ult. cit., 123 che si domanda se questa tecnica legislativa che “costruisce un interesse a ricorrere virtuale”, non
“orienti, eccezionalmente, verso una formula di giurisdizione di
ordine oggettivo”.
(116) M. Lipari, La tutela giurisdizionale etc., op. cit., 24.
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10. Il rito nei ricorsi cumulativi contro le
ammissioni-esclusioni e l’aggiudicazione
Si è già evidenziato che non vi è una disciplina
procedimentale che distingua con nettezza, sul piano sia strutturale che temporale (116), la fase che
si conclude con il provvedimento di ammissione
ed esclusione dal prosieguo del procedimento di aggiudicazione; anzi, è sempre possibile, anche dopo
l’adozione del provvedimento ex art. 29, D.Lgs. n.
50/2016, che intervengano esclusioni e, addirittura, dopo l’aggiudicazione, in conseguenza della verifica negativa delle autodichiarazioni (D.G.U.E.);
inoltre potrebbe svolgersi contestualmente la decisione sull’ammissione ed esclusione e quella sull’aggiudicazione o quest’ultima seguire ad un intervallo
di tempo inferiore ai trenta giorni, per cui occorre
stabilire, in caso di (possibile) impugnativa cumulativa delle ammissioni-esclusioni e dell’aggiudicazione, quale rito speciale si applichi, in considerazione della loro diversità essenziale quanto: ai ter-
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mini fissati per le parti ed il giudice, alla trattazione in udienza pubblica o in camera di consiglio e
al termine lungo per la proposizione dell’appello.
Il rapporto riguarda non solo il terzo rito speciale
rispetto al primo, ma anche il terzo con il secondo
perché il cumulo può verificarsi anche per le particolari controversie considerate dall’art. 125 c.p.a.
Non vi è una norma di coordinamento specifica
per regolare questa ipotesi, per cui occorre fare riferimento all’art. 32 c.p.a. il quale fissa un principio
di libertà per il ricorrente in via principale o incidentale (117) che può sempre proporre nello stesso
giudizio più domande connesse e si preoccupa di
stabilire, nel caso in cui “le azioni sono soggette a
riti diversi”, quale rito si applichi (118).
In astratto, si sarebbe potuto dettare la regola che
il cumulo, pur consentito, trovava un limite quando le azioni fossero soggette a riti diversi, dovendo
ciascuna di esse seguire il proprio rito, con conseguente trattazione in processi diversi, e invece si è
optato per la concentrazione e la trattazione unita-
ria, anche in presenza di riti diversi, esprimendo la
preferenza per quello ordinario, “salvo quanto previsto dal Titolo V del libro IV” (119).
E, allora, prevalenza del rito ordinario su quelli
speciali (120) e applicazione di quello ordinario anche quando le domande sono soggette a diversi riti
speciali (121). Questa regola, però, non vale quando il cumulo riguarda uno dei riti abbreviati comuni di cui all’art. 119 c.p.a. e all’art. 120 c.p.a.: qui
si applica la soluzione inversa perché prevale il rito
speciale abbreviato (122).
Si ha che le domande dovrebbero seguire due diversi riti speciali riguardanti i contratti pubblici (il
primo e il terzo ovvero il secondo ed il terzo) e la
regola generale attribuirebbe la preferenza al rito
ordinario, sennonché scatta l’eccezione, poiché si
tratta di controversie previste dal titolo V del libro
IV, e, dunque, si applica il rito speciale; ma quale?
In mancanza di una specifica disposizione, la dottrina, esclusa l’utilizzabilità dell’art. 40 c.p.c. (123),
chiamato in causa in virtù del rinvio esterno ope-
(117) R. De Nictolis, Codice del processo amministrativo
commentato, III ed., Milano, 2015, 563: il cumulo oggettivo “è
sempre possibile, purché vi sia connessione”.
(118) G. Corso, nel commento all’art. 32 c.p.a., in A. Quaranta - V. Lopilato (a cura di), Il processo amministrativo, Milano, 2011, 325, evidenzia che il legislatore “usa promiscuamente i termini azioni e domande”; infatti, la rubrica dell’articolo
reca: “pluralità delle domande e conversione delle azioni”, il
comma 1 afferma che è sempre possibile “il cumulo di domande connesse”, il secondo periodo dello stesso comma che
“Se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica...”, il comma 2 “Il giudice qualifica l’azione” e “può sempre disporre la
conversione delle azioni”. L’A. precisa la distinzione ricavandola dal codice del processo amministrativo dove per azione si
intende il “provvedimento che viene chiesto dalla parte al giudice” (324), mentre la domanda, oltre al petitum, comprende i
fatti ed i motivi specifici su cui si fonda il ricorso e cioè la causa petendi. Può dirsi che la domanda è costituita dall’azione e
dalla causa petendi.
(119) Art. 32 c.p.a. L’eccezione, nel primo testo del Codice
era riferita a “quanto previsto dai Capi I e II del titolo V del libro
IV”, titolo che, però, non è diviso in capi, per cui, nel sottolineare l’errore evidente, si è ritenuto che il richiamo fosse da riferirsi al Titolo VI, diviso in capi e che regola il contenzioso
elettorale: G. Corso, op. ult. cit., 326. Con il primo decreto correttivo, si è posto rimedio all’errore, eliminando i “Capi I e II”,
ma lasciando il titolo V, per cui il “salvo” si riferisce al “rito abbreviato comune a determinate materie” (art. 119) e “ai giudizi
di cui all’articolo 119, comma 1, lettera a)” (art. 120).
(120) Come nel caso disciplinato dall’art. 117 c.p.a.: se nel
corso di un ricorso avverso il silenzio “sopravviene il provvedimento espresso, o un atto connesso con l’oggetto della controversia, questo può essere impugnato anche con motivi aggiunti, nei termini e con il rito previsto per il nuovo provvedimento, e l’intero giudizio prosegue con tale rito”. In giurisprudenza: Cons. Stato, Sez. VI, 16 febbraio 2011, n. 996 ha stabilito che si osservano i termini ordinari e non quelli del rito abbreviato se vengono proposti contestualmente domande di annullamento e di silenzio inadempimento; Cons. Stato, Sez. VI,
16 maggio 2012, n. 2809, ord.: si applica il rito ordinario e non
quello speciale camerale di cui agli artt. 87 e 105 c.p.a., se
con un unico appello si chieda la riforma di capi diversi della
sentenza, quello che declina la giurisdizione e quello che si
pronuncia nel merito. Per il rapporto tra rito ordinario e rito del
giudizio di ottemperanza e il potere del giudice di conversione
dell’azione: Cons. Stato, Ad. Plen., 15 gennaio 2013, n. 2 e in
dottrina: E. Marino, Conversione e rapporto tra le azioni in E.
Follieri - A. Barone, (a cura di), I principi vincolanti dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato sul codice del processo amministrativo (2010-2015), Padova, 2015, 670 ss. nonché A.L. Di
Stefano, La tutela giurisdizionale a fronte della riedizione del potere amministrativo, ivi, 702 ss.; F. Follieri, Qualificazione e conversione dell’azione alla prova del principio della domanda, in
Dir. proc. amm., 2013, 177.
(121) Cfr. R. De Nictolis, Codice del processo amministrativo
etc., op. cit., 563; F. Caringella - M. Protto, Codice del nuovo
processo amministrativo, in “Codici d’Autore” Collana diretta
da C.M. Bianca - A. Catricalà - E. Mantovani, Roma, 2010, 387
rilevano che nel codice del processo amministrativo vi sono altre disposizioni coerenti con la regola detta dall’art. 32: così
l’art. 43 relativo alla connessione “successiva”, l’art. 70 alla
riunione dei ricorsi, l’art. 112 al cumulo tra azione di ottemperanza e di risarcimento del danno, l’art. 116 alla domanda di
accesso e giudizio principale, l’art. 117 al ricorso avverso il silenzio e avverso i provvedimenti sopravvenuti connessi.
(122) F. Caringella - M. Proto, op. ult. cit., 388 rilevano che
non è chiaro se l’eccezione (“salvo quanto previsto etc.”) si riferisca “alla sola disposizione riguardante l’individuazione del
rito applicabile, quindi, non determina alcuna conseguenza
sulla possibilità di determinare la confluenza, in un unico giudizio, di azioni disciplinate da riti diversi. Non è agevole stabilire
però se ciò determini l’assoggettamento dell’intero processo
alle regole del rito speciale o se, al contrario, si realizzi una sorta di convivenza tra i due riti”. Si ritiene preferibile la prima soluzione perché “si collega più razionalmente all’idea di semplificazione del processo”. M. Lipari, La tutela giurisdizionale etc.,
op. cit., 36 afferma che ormai “La norma è pacificamente intesa nel senso che il rito di cui agli artt. 119 e 120 prevalga su
quello ordinario”.
(123) L’art. 40 c.p.c. recita: “Qualora le cause connesse siano assoggettate a differenti riti speciali debbono essere trattate e decise col rito previsto per quella tra esse in ragione della
quale viene determinata la competenza o, in subordine, col rito
previsto per la causa di maggior valore”.
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rato dall’art. 39 c.p.a., per la particolarità del contenzioso in materia, ritiene che debba seguirsi il
primo rito speciale, perché il contenzioso “una volta sviluppatasi la gara e giunta alla sua conclusione, non manifesta più quelle esigenze di velocità
‘supersonica’ legate alla necessità di definire preliminarmente la platea delle offerte ammesse alla valutazione” (124) e, comunque, il giudizio assume
complessità tale, da non potersi definire nei ristretti termini fissati dall’art. 120, comma 6 bis, c.p.a.
Condivido la tesi, oltre che per le ragioni di opportunità processuale, anche per seguire la ratio sottesa
all’art. 32 c.p.a. e cioè la preferenza per il rito ordinario e, tra i riti speciali di cui all’art. 120 c.p.a.,
quello disciplinato dai commi 2 bis e 6 bis dell’art.
120 c.p.a. assume certamente il ruolo di eccezione
rispetto a quello stabilito in via ordinaria dall’art.
120 c.p.a. per lo speciale rito delle controversie de
quibus; stesso discorso vale per i ricorsi di cui all’art. 125 c.p.a.: si applica quanto previsto in via
ordinaria, con le particolarità proprie di questo tipo di giudizio.
11. III) L’impugnativa degli atti dell’ANAC.
Il parere di precontenzioso:
a) facoltatività; b) vincolatività
a soggettività variabile; c) oggetto
del parere; d) termine per l’espressione
del parere
Il comma 1 dell’art. 120 c.p.a. è stato modificato
con la sostituzione dell’ANAC all’Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici e sembrerebbe un
necessario adeguamento della norma per effetto del
(124) M. Lipari, op. ult. cit., 36 il quale sottolinea che resta
ferma “la diversa decorrenza dei termini di impugnazione”, nel
senso che l’impugnativa del provvedimento di ammissione ed
esclusione parte, pur sempre, dalla pubblicazione dell’atto sul
profilo del committente della stazione appaltante: art. 29,
D.Lgs. n. 50/2016 e art. 120, comma 2 bis, c.p.a.
(125) Cfr. N. Longobardi, L’autorità Nazionale Anticorruzione
e la nuova normativa sui contratti pubblici, in www.giustamm.it,
2016, part. 8 ss.; D. Ponte, Una cabina di regia per cooperare
con la Commissione UE, n. 22, in Guida dir., inserto, XXI ss.; G.
M. Racca, Dall’Autorità sui contratti pubblici all’Autorità Nazionale Anticorruzione: il cambiamento del sistema, in Dir.
amm., 2015, 345 ss.
(126) Il D.Lgs. n. 50/2016 introduce anche un nuovo istituto
di prevenzione che può intervenire quando si esegue il contratto e cioè il Collegio consultivo tecnico -art. 207 - a carattere facoltativo, ma è fuori dalla previsione del comma 1 dell’art. 120
c.p.a. come modificato e, quindi, non viene trattato. Stesso discorso vale per l’accordo bonario, la transazione e l’arbitrato.
(127) Cfr. N. Lingobardi, op. ult. cit., 12 ss., che individua
tre tipologie di atti previsti dal D.Lgs. n. 50/2016 in sua attuazione: a) decreti ministeriali e interministeriali da considerare
regolamenti ex art. 17, comma 3, L. n. 400 del 1988; b) linee
guida non vincolanti dell’ANAC che hanno natura di atti amministrativi ordinari; c) linee guida vincolanti dell’ANAC previste,
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nuovo soggetto, Autorità Nazionale Anticorruzione, che ha assorbito le competenze dell’A.V.C.P.
L’ANAC, però, ha competenze e poteri molto più
estesi e penetranti di quelli che erano attribuiti all’A.V.C.P. (125) e, per il sindacato giurisdizionale,
il contenzioso si arricchisce per la possibile impugnativa del parere vincolante, sull’accordo delle
parti, e dell’atto di raccomandazione” (126), rivolto
alla stazione appaltante per rimuovere, in via di
autotutela, atti viziati, nonché delle linee-guida
che non pongono, però, problemi diversi dai ricorsi
avverso atti generali ovvero regolamentari, a seconda della diversa natura giuridica che si ravvisi
in essi (127).
Il parere di precontenzioso (128) è l’attuazione del
principio della legge delega che dispone la “razionalizzazione dei metodi di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale” (129) e
dovrebbe riuscire a ridurre il numero dei ricorsi innanzi al giudice amministrativo. Analoghe aspettative erano riposte nell’art. 243 bis del D.Lgs. 12
aprile 2006, n. 163 che, con il c.d. preavviso di ricorso, aveva lo scopo di sollecitare la stazione appaltante ad un eventuale riesame dei provvedimenti presi.
L’esperienza ha dimostrato l’inefficacia dello strumento, dal momento che la stazione appaltante
non aveva obbligo né di riesame, né di sospensione
della procedura e, anzi, aveva creato delle incertezze applicative, ai fini dell’impugnativa del provvedimento di riesame negativo, poi superata con l’affermazione della natura meramente confermativa
del riesame che, quindi, non comporta alcun onere
in particolare, dagli artt. 83 e 84 del D.Lgs. n. 50/2016 relative
al sistema di qualificazione delle imprese, ai requisiti di partecipazione alle procedure, al regime della SOA (che limitano e
condizionano l’accesso al mercato degli appalti pubblici e conseguentemente l’esercizio del diritto di impresa) che hanno natura normativa regolamentare
(128) P. Cosmai - R. Iovino, Il nuovo codice degli appalti, op.
cit., 391 trattano questo parere congiuntamente all’atto di raccomandazione, a ciò indotti dall’art. 211, D.Lgs. n. 50/2016
che nella rubrica reca: “pareri di precontenzioso dell’ANAC” e
li disciplina entrambi nei commi 1 e 2, ma sono da tenere distinti, anche perché, a mio avviso, mentre il parere di precontenzioso potrebbe, in teoria, evitare il contenzioso, l’atto di raccomandazione lo ... prepara.
(129) Art. 1, lett. aaa), L. 28 gennaio 2016, n. 11 che prosegue riferendola “anche in materia di esecuzione del contratto”
e che ha trovato nel D.Lgs. n. 50/2016 previsione nell’accordo
bonario (artt. 205-206), nel Collegio consultivo tecnico (art.
207), nella transazione (art. 208) e nell’arbitrato (artt. 209210)0. C. Contessa in C. Contessa - D. Crocco, Codice degli
Appalti etc., op. cit., 662, esprime perplessità sull’effettiva compatibilità del comma 1 dell’art. 211 D.Lgs. n. 50/2016 con la
legge delega poiché si è in presenza di una forma di ADR radicalmente nuova.
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di ulteriore domanda giurisdizionale (130). Credo
che la mancata previsione del preavviso di ricorso
nel D.Lgs. n. 50/2016 non sarà oggetto di rimpianto (131).
Il comma 1 dell’art. 211, D.Lgs. n. 50/2016 consente alla stazione appaltante o ai concorrenti di
chiedere parere all’ANAC sulle questioni insorte
durante lo svolgimento delle procedure di gara e
l’Autorità lo rende entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta. Questo parere obbliga “le
parti che vi abbiano preventivamente acconsentito
ad attenersi a quanto in esso stabilito” ed è impugnabile innanzi al giudice amministrativo ai sensi
dell’art. 120 c.p.a. ma, in caso di rigetto del ricorso,
“il giudice valuta il comportamento della parte ricorrente ai sensi e per gli effetti dell’art. 26 del codice del processo amministrativo”.
I caratteri di questo nuovo istituto -che verranno
di seguito analizzati- possono così indicarsi: a) facoltatività del suo utilizzo; b) vincolatività a soggettività variabile (solo per chi ha richiesto il parere o si sia preventivamente vincolato ad attenersi
al parere); c) risoluzione delle questioni controverse insorte durante lo svolgimento delle procedure
di gara; d) espressione del parere dell’ANAC entro
trenta giorni; e) impugnabilità innanzi al giudice
amministrativo seguendo il rito speciale di cui all’art. 120 c.p.a.; f) previsione di misura diretta a
scoraggiare la proposizione di ricorsi avverso il parere, con l’espresso richiamo all’art. 26 c.p.a. e cioè
alla possibilità di una condanna al pagamento, oltre che delle spese di giudizio, anche di una sanzione pecuniaria.
a) Potrebbe accadere che il parere di precontenzioso non abbia alcuna pratica attuazione perché non
è un requisito di procedibilità del ricorso innanzi al
giudice amministrativo, ma è rimesso alla possibile
scelta degli attori della procedura di gara (132), così come potrebbe diventare un strumento utilizzabile frequentemente. È chiaro che il successo di questo nuovo istituto dipenderà da una serie di fattori
quali la rapidità della espressione del parere, la
convincente ed esaustiva motivazione, la correttezza e la trasparenza, l’autorevolezza dell’ANAC e,
soprattutto, la decisione dell’amministrazione di
chiedere il parere oppure di volersi attenere ad esso
perché, in mancanza di vincolatività per la stazione appaltante, è uno strumento inutile, come si sta
per esporre.
b) Il parere vincola chi lo chieda o dichiari di volersi attenere (133), a seconda, quindi, della decisione di ogni concorrente e della stazione appaltante: non è prestabilito dalla norma per chi operi
il vincolo e, quindi, è a soggettività variabile potendo, al massimo, riguardare, oltre alla stazione
appaltante, anche tutti i concorrenti della singola
gara.
A mio avviso, avrebbe dovuto stabilirsi, oltre che
può intervenire a richiesta dei concorrenti o della
stazione appaltante, che quest’ultima è, comunque,
tenuta ad adeguarsi al parere. Non ha, infatti, senso che venga espresso un parere sugli atti adottati
o da adottarsi dall’amministrazione che, in mancanza della sua richiesta o preventiva determinazione di attenersi, non è vincolata e può ignorarlo.
L’operatore economico che domandi il parere lo fa
per risolvere il contrasto insorto sul contenuto degli atti della stazione appaltante e, quindi, è essenziale che il vincolo operi nei confronti dell’amministrazione che deve conseguenzialmente provvedere perché lo strumento sia efficace e possa evitarsi il contenzioso giurisdizionale.
È, quindi, condivisibile che tutte le parti, compresa
la stazione appaltante, possano chiedere il parere
all’ANAC, ma non che occorra la richiesta o la
preventiva adesione della stazione appaltante perché il vincolo sia operativo nei suoi confronti.
Del resto stabilire che il parere vincoli il concorrente richiedente (o che dichiari di adeguarsi)
quando questi non può incidere effettivamente sulla procedura di gara che è gestita e diretta dalla
stazione appaltante può avere un solo effetto: quello di non contestare il provvedimento amministrativo conforme al parere; ma, siccome può impugnare il parere non gradito, si tratta di un’arma spuntata nei suoi confronti.
L’ANAC, su richiesta degli interessati, può solo
stabilire la linea di condotta e la decisione che deve assumere la stazione appaltante, anche quando
la questione, in ipotesi, riguardi una certificazione
o un documento che il concorrente deve depositare perché è l’amministrazione che deve accettare il
(130) Da ultimo, in giurisprudenza: Cons. Stato, Sez. V, 3
febbraio 2016, n. 402.
(131) Rileva, comunque, R. De Nictolis, Il nuovo codice dei
contratti pubblici, op. cit., 537, che “resta pur sempre la facoltà
del concorrente di sollecitare l’amministrazione in tal senso”.
(132) O. Forlenza, Con il parere di precontenzioso si evita la
lite, in Guida dir., Dossier sugli appalti, ultimo appuntamento,
op. cit., XXIV, afferma che si produce “una sorta di ‘auto-vincolo’”.
(133) Per O. Forlenza, op. ult. cit., XXIV, l’ANAC deve sapere, prima di pronunziarsi, su quali e quanti soggetti della gara
il suo parere sarà vincolante, per cui il richiedente dovrà allegare le preventive dichiarazioni d’obbligo intervenute.
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documento ritenuto idoneo dall’ANAC e, quindi,
il parere non può che riguardare gli atti adottati o
da adottarsi dall’amministrazione.
Il vincolo per il (i) concorrente (i) è l’accettazione
della soluzione dell’ANAC, ma il concorrente non
può tradurre in atti concreti l’indicazione del parere, risolvendosi la sua condotta doverosa nella non
discussione, non contestazione del parere; e, invece, è espressamente stabilito che l’operatore economico, pur se ha chiesto il parere, può impugnarlo
innanzi al giudice amministrativo.
In conclusione, il vincolo per i concorrenti, nella
sostanza, è privo di effetti ed un parere che non
obblighi la stazione appaltante non può essere attuato nel concreto. Ne consegue che è uno strumento che può funzionare, solo se la stazione appaltante lo chieda o dichiari preventivamente di
attenersi ad esso o, comunque, spontaneamente si
adegui, pur non essendo vincolata.
Pertanto, sarebbe auspicabile che, in sede di correttivo, sia stabilito che la stazione appaltante sia comunque vincolata al parere, anche se non lo chieda o non si impegni ad attenersi ad esso, fermo restando il potere di impugnativa.
c) Il parere non può essere chiesto per qualunque
questione, ma per quelle “insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara” (134). Non bisogna,
dunque, attendere che il procedimento si concluda,
ma è possibile chiedere parere all’ANAC mentre si
svolge il procedimento. Rientrano, pertanto, tutti i
momenti procedimentali: dagli atti di avvio all’ammissione-esclusione, dalle operazioni di apertura e
valutazione delle offerte all’aggiudicazione e anche
quando si concluda il procedimento e si discuta
della legittimità dell’intervenuta aggiudicazione o
della verifica dei requisiti. Resta, però, esclusa dall’ambito della norma, la successiva fase di esecuzione.
La ratio della norma è tesa a consentire di compulsare l’ANAC per la risoluzione di ogni questione
attinente all’evidenza pubblica del contratto in tutti i suoi momenti, nessuno escluso.
Non è prevista la sospensione del procedimento in
attesa che l’ANAC si pronunzi, per cui la stazione
appaltante potrà proseguire e anche definire il procedimento (135).
Nel concreto, è probabile che la stazione appaltante, quando è sua l’iniziativa della richiesta di parere, sospenderà, quanto meno di fatto, il procedimento perché, se ha sottoposto la questione all’attenzione dell’ANAC, vuol dire che ha perplessità
sul come risolvere la questione insorta e sono necessari “lumi”. Quando la richiesta di parere è del
concorrente, la stazione appaltante, a seconda della
prospettazione e della rilevanza della questione, attenderà o meno l’espressione del parere. Il parere
di precontenzioso potrebbe determinare un allungamento dei tempi di gara.
L’ANAC, in caso l’amministrazione prosegua e
adotti, senza attendere il parere, l’atto che risulterà
eventualmente in contrasto con il parere, potrà anche “doppiare” la decisione con un “atto di raccomandazione” per indurre ad esercitare il potere di
autotutela.
d) L’ANAC esprime il parere “entro trenta giorni
dalla ricezione della richiesta” (136) e, quindi, si è
osservato che il termine è pari a quello del ricorso
giurisdizionale; per cui le parti, per evitare la decadenza dall’impugnazione saranno costrette a presentare il ricorso giurisdizionale; è pertanto “auspicabile che l’ANAC, con proprio regolamento interno, disciplini il precontenzioso, abbreviando significativamente tale termine” (137). Il rilievo riguarda il caso in cui il parere venga richiesto dopo
l’adozione del provvedimento di ammissione e
esclusione o di aggiudicazione e, dunque, quando
sia il concorrente a domandare il parere all’ANAC
perché, evidentemente, la stazione appaltante, se
ha già deciso, non chiede il parere, ma potrà, eventualmente, in via preventiva, dichiarare di aderirvi.
Va, però, considerato che, come rilevato sub c), il
parere può riguardare anche atti diversi e, per essi,
tale problema non si pone, e lo stesso vale se il parere è domandato dalla stazione appaltante che lo
chieda prima di provvedere.
La norma non dice cosa accada se il parere non
venga reso nel termine di trenta giorni, a differenza
di quanto, sia il precedente codice degli appalti
pubblici (D.Lgs. n. 163/2006) che l’attuale D.Lgs.
n. 50/2016, stabiliscono per il parere obbligatorio
del Consiglio superiore dei lavori pubblici per i
progetti di lavori pubblici di competenza statale o
comunque finanziati per almeno il 50 per cento
(134) Art. 211, comma 1, D.Lgs. n. 50/2016, per cui O. Forlenza, op. ult. cit., XXIV, sottolinea che “non possono essere
proposte istante ‘teoriche’ o in via preventiva, essendo necessario che sul punto da sottoporre all’Autorità vi siano già una
differenza di vedute tra la stazione appaltante (inevitabilmente)
e uno o più partecipanti alla gara”.
(135) Analogo rilievo in O. Forlenza, op. ult. cit., XXIV.
(136) Art. 211, comma 1, D.Lgs. n. 50/2016.
(137) R. De Nictolis, Il nuovo codice dei contratti pubblici,
op. cit., 538 la quale, in alternativa, propone di riportare a sessanta giorni il termine per proporre ricorso.
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dallo Stato (138) di importo superiore ai cinquanta
milioni di euro (139)o per il parere facoltativo sui
progetti delle altre stazioni appaltanti che siano
pubbliche amministrazioni, sempre superiori al detto importo. Per il D.Lgs. n. 163/2006, decorso il
termine di 45 giorni, “il procedimento prosegue
prescindendo dal parere omesso e l’Amministrazione motiva autonomamente l’atto amministrativo
da emanare” (140), mentre per il D.Lgs. n.
50/20016, decorso il termine di 45 giorni, “il progetto si intende assentito” (141).
Evidentemente, l’omissione del parere precontenzioso dell’ANAC non può avere lo stesso trattamento giuridico oggi riservato al parere (obbligatorio o facoltativo) del Consiglio Superiore dei lavori
pubblici che ha la funzione di approvazione, per
cui può disporsi che “si intende assentito”.
E se può pensarsi all’applicazione, per il parere precontenzioso, della norma generale di cui all’art. 16,
L. n. 241/1990 e ss.mm. ed ii., secondo cui l’amministrazione, decorso il termine, “procede indipendentemente dall’espressione del parere”, tale regola
non è utilizzabile quando la richiesta all’ANAC sia
formulata da uno o più concorrenti perché non
possono “procedere”, trattandosi di potere rimesso
alla stazione appaltante.
Peraltro, questo parere partecipa più della natura
di un rimedio contenzioso non giurisdizionale (tipo
ricorso amministrativo) che di una consulenza, nonostante la sua denominazione.
La dottrina ha posto il problema se sia ipotizzabile
“un’inerzia censurabile con lo specifico procedimento in materia di silenzio” (142) che presuppone
l’obbligo dell’ANAC di provvedere (143).
È necessario allora verificare se vi sia l’obbligo di
provvedere e, quindi, considerare la natura giuridica.
Se il parere di precontenzioso ha natura consultiva,
considerando la sua facoltatività, non vi è l’obbligo
di provvedere, come risulta dalla previsione dell’art. 16, L. n. 241/1990 che, in caso di omissione,
consente all’amministrazione di procedere prescindendo da esso. E non si può pensare che l’ANAC
non abbia l’obbligo di provvedere, se il richiedente
sia la stazione appaltante, mentre sia obbligata ad
esprimere il parere, se la richiesta sia di uno o più
concorrenti: la situazione giuridica soggettiva (passiva) non può costituirsi per una medesima fattispecie, a seconda del richiedente il parere.
Pure se si ritiene, come ha affermato la dottrina (144), che il parere abbia natura contenziosa
non giurisdizionale, non vi è obbligo di provvedere.
Vi sono più profili che spingono verso la natura
contenziosa del parere de quo.
Infatti, è un rimedio facoltativo, come il ricorso
amministrativo; il parere di precontenzioso è impugnabile, come la decisione sul ricorso amministrativo; interviene a risolvere questioni controverse,
come il ricorso amministrativo.
Ebbene, decorsi i termini, il ricorso amministrativo
si intende “respinto a tutti gli effetti” (145) che è
soluzione perfettamente calzante nell’ipotesi di parere richiesto sugli atti e i provvedimenti adottati
dalla stazione appaltante e la cui soluzione venga
contestata, ma non lo è nelle ipotesi relative al superamento di questioni che ancora non vengono
decise dalla stazione appaltante.
Va subito evidenziato, però, che non può essere seguita la previsione che, formatosi il silenzio-rigetto,
decorrano i termini per il ricorso giurisdizionale, in
mancanza di un’espressa qualificazione del rimedio
in esame come ricorso amministrativo: il termine
di impugnativa resta quello di trenta giorni decorrente dagli eventi stabiliti nell’art. 120, commi 2
bis e 5, c.p.a.
La natura giuridica precontenziosa può, però, essere
considerata al fine di stabilire che, secondo la previsione normativa sui ricorsi, in caso di mancata
pronunzia, si procede come se l’istanza fosse stata
respinta (ipotesi di atti già adottati dalla stazione
appaltante) ovvero si può ritenere che se ne debba
prescindere, non potendosi ravvisare un obbligo di
provvedere su ricorso amministrativo, stante la
previsione di effetti legali predeterminati, quando
vi è inerzia.
In sintesi, a prescindere dalla natura del parere di
precontenzioso (consultiva o paracontenziosa), si
può affermare che l’inerzia non consenta di azionare lo specifico procedimento stabilito per il silenzio.
(138) L’art. 127, D.Lgs. n. 163/2006 e l’art. 215, D.Lgs. n.
50/2016 sul punto sono identici.
(139) L’art. 127, D.Lgs. n. 163/2006 prevede l’importo superiore a euro 25 milioni.
(140) Art. 127, D.Lgs. n. 163/2006.
(141) Art. 215, D.Lgs. n. 50/2016.
(142) M. Lipari, La tutela giurisdizionale etc., op. cit., 42.
(143) Art. 2, L. n. 241/1990 e art. 31 c.p.a.
(144) R. De Nictolis, Il nuovo codice dei contratti pubblici,
op. cit., 537: il ricorso al parere vincolante può qualificarsi “come un vero e proprio ricorso amministrativo, e il parere dell’ANAC come una vera e propria decisione amministrativa precontenziosa”.
(145) Art. 6, d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199.
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Altro profilo è l’intervento del parere, dopo il decorso dei trenta giorni. Se l’amministrazione non
ancora decide ed ha richiesto il parere, ne deve tener conto e la vincola (salva sempre l’impugnativa
innanzi al giudice amministrativo); stesso discorso
vale per i concorrenti richiedenti, pur nella obiettiva inconcludenza dell’effetto vincolante, come in
precedenza rilevato.
12. Segue: e) impugnativa del parere
e rito; f) conseguenze in caso di rigetto
del ricorso
e) Il parere facoltativo dell’ANAC può essere impugnato innanzi al giudice amministrativo anche
da chi lo abbia richiesto o abbia preventivamente
dichiarato di volersi attenere ad esso e, quindi, sia
vincolato (146), oltre che dall’interessato che né lo
ha chiesto, né ha dichiarato di aderirvi e, comunque, non è vincolato.
È opportuno trattare le diverse ipotesi di impugnativa, distinguendo tra: parere: e1) vincolante e non
vincolante per la stazione appaltante; e2) vincolante per il concorrente; e3) non vincolante per il
concorrente.
e1) Parere vincolante per la stazione appaltante
(se ha richiesto il parere o abbia dichiarato la sua
preventiva adesione) significa che l’amministrazione deve adottare atti e provvedimenti conseguenti,
ma può contestare giudizialmente il parere. In altri
termini, la stazione appaltante può non adeguarsi
al parere, impugnandolo e rimuovendo così la forza
vincolante.
È da chiedersi se sia sufficiente il ricorso, per esimere la stazione appaltante dal dare esecuzione al
parere, ovvero se il vincolo comporti che l’atto
dell’ANAC sia esecutivo. In questo secondo caso,
la stazione appaltante dovrebbe chiedere la misura
cautelare al giudice amministrativo per ottenere la
sospensione degli effetti del parere, in attesa della
sentenza in merito.
L’art. 211, D.Lgs. n. 50/2016 stabilisce che il parere “obbliga le parti che vi abbiamo preventivamen(146) La previsione espressa dell’impugnabilità nell’art.
211, D.Lgs. n. 50/2016 è stata inserita su suggerimento del
Consiglio di Stato il quale, nel parere n. 855/2016, ha rilevato
che, per superare la possibile incompatibilità della previsione
di questo metodo alternativo di risoluzione delle controversie
con la delega e con il principio di indisponibilità dell’interesse
legittimo, di rilievo costituzionale, è “opportuna la precisazione
dell’impugnabilità del parere vincolante, che in realtà è una decisione a dispetto del nomen, innanzi agli organi della giustizia
amministrativa” (pag. 221). Sempre il Consiglio di Stato ha
proposto di inserire, in caso di rigetto del ricorso contro il pare-
896
te acconsentito ad attenersi in quanto in esso stabilito” e nulla dispone circa l’immediata efficacia.
Si è di fronte ad un parere vincolante che limita la
sfera giuridica dei privati perché incide, comunque,
sulle situazioni giuridiche soggettive dei concorrenti che anelano ad essere scelti come contraenti, per
cui “acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione” (147).
A seguito della comunicazione, il parere è vincolante, efficace ed esecutivo e la stazione appaltante
(richiedente o aderente) deve provvedere immediatamente adeguandosi (148), mentre il ricorso
innanzi al giudice amministrativo non sospende
l’atto impugnato (149), se non viene accolta la domanda cautelare. Per cui, per non essere vincolata
a dare esecuzione al parere, in attesa della sentenza, la stazione appaltante dovrebbe richiedere (e
ottenere) anche la misura cautelare.
Nel concreto, però, la stazione appaltante potrebbe
ricorrere al giudice, senza proporre domanda cautelare e senza conformarsi al parere. L’ANAC, allora,
anche su eventuale impulso del concorrente interessato, potrebbe, se non lo avesse già fatto con il
parere, integrare il parere stesso, indicando termini
e modalità di esecuzione da parte del soggetto obbligato (stazione appaltante) (150).
Se perdurasse l’inerzia, l’ANAC potrebbe, previa
diffida, “provvedere all’esecuzione coattiva” ex art.
21 ter, L. n. 241/1990 e ss. mm. ed ii.?
Il dubbio sorge per effetto del comma 2 dell’art.
211, D.Lgs. n. 50/2016 secondo cui l’ANAC, se
ravvisi un vizio di legittimità in uno degli atti della
procedura di gara, invita con atto di raccomandazione “la stazione appaltante ad agire in autotutela”
e, in mancanza, infligge al dirigente responsabile
una sanzione amministrativa pecuniaria da euro
250 a euro 25.000 che incide “sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti, di cui all’art. 36
del presente decreto”. Cioè l’ANAC, pur ravvisando illegittimità negli atti di gara, non può sostituirsi alla stazione appaltante che non eserciti il potere
di autotutela, ma può solo applicare una sanzione,
ancorché bivalente. All’ANAC, quindi, non è
re dell’ANAC, che il giudice debba valutare il comportamento
della parte ricorrente ai sensi e per gli effetti dell’art. 26 c.p.a.
“per rafforzare l’impegno delle parti al rispetto del parere a cui
esse stesse abbiamo preventivamente acconsentito e scongiurare liti temerarie” (pag. 221, su cui cfr. nel testo la successiva
lettera f)).
(147) Art. 21 bis, L. n. 241/1990 ss. mm. ed ii.
(148) Art. 21 quater, L. 241/1990 ss. mm. ed ii.
(149) Artt. 55 ss. c.p.a.
(150) Art. 21 ter, L. n. 241/1990 ss. mm. ed ii.
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consentito adottare atti in luogo della stazione appaltante con una espressa disposizione inserita nel
medesimo art. 211 che disciplina i “pareri di precontenzioso” ossia il parere di precontenzioso e
l’atto di raccomandazione.
Si deve, quindi, ritenere che l’ANAC non può,
previa diffida, provvedere all’esecuzione coattiva in
applicazione della previsione di carattere generale
di cui all’art. 21 ter, L. n. 241/1990 ss. mm. ed ii.,
stante la specifica disposizione dell’art. 211, comma
2, D.Lgs. n. 50/2016.
L’ANAC potrà, però, “doppiare” il parere con l’adozione di un atto di raccomandazione alla stazione appaltante per la rimozione degli atti illegittimi,
comminando la sanzione, in caso di inottemperanza. L’ANAC non potrà, invece, adottare “raccomandazione” per gli atti che devono ancora intervenire, non potendosi prospettare l’esercizio del
potere di autotutela sugli atti che ancora non ci sono. In questa ultima ipotesi, l’esecuzione del parere
precontenzioso, nei confronti della stazione appaltante riottosa, potrà avvenire solo a seguito della
sentenza del giudice amministrativo con l’introduzione del giudizio di ottemperanza, su iniziativa del
concorrente, interessato alla soluzione indicata dall’ANAC nel parere.
Infatti, il giudizio promosso dalla stazione appaltante avverso il parere non condiviso dell’ANAC
dovrà svolgersi necessariamente nei confronti dei
concorrenti la cui posizione è avvantaggiata ovvero
svantaggiata dal parere.
Se, invece, la stazione appaltante condivide il parere precontenzioso, lo attua, assumerà i conseguenti atti amministrativi e, ovviamente, non proporrà azione innanzi al giudice amministrativo al
quale ricorrerà il concorrente che, in base al parere, viene a subire lesione del suo interesse.
Se il parere non è vincolante per la stazione appaltante, quest’ultima potrà seguirlo o meno, ma non
si pone alcuna necessità che lo impugni, se non lo
condivida. La stazione appaltante, in questo caso,
ha deciso di non “sottoporsi” al parere e mantiene
integra la sua discrezionalità di iniziativa e condotta, senza dover ricorrere al giudice.
e2) Parere vincolante per il concorrente (se lo abbia richiesto o vi abbia preventivamente aderito);
se gli è favorevole, il concorrente non produrrà alcun ricorso perché il suo interesse si indirizzerà verso la stazione appaltante affinché lo recepisca nei
suoi atti.
Se il parere non è favorevole al richiedente o all’aderente si aprono almeno due scenari:
a) qualora il parere riguardi il provvedimento di
ammissione e di esclusione o di aggiudicazione, già
adottati e che vengono confermati, occorrerà impugnare parere e provvedimento della stazione appaltante (151) e sarà possibile proporre un ricorso
cumulativo se il parere venga espresso prima del
decorso del termine di decadenza di trenta giorni
dal dies a quo per l’impugnativa dei provvedimenti
della stazione appaltante; viceversa, sarà necessario
impugnare i provvedimenti e successivamente il
parere, con un aggravio considerevole del contributo unificato che si raddoppia.
b) Quando il parere sia richiesto nei confronti di
un atto endo-procedimentale adottato, o un atto
ancora da adottare, vale la regola seguita dalla giurisprudenza, ma ora espressa dal legislatore, che è
inammissibile “l’impugnazione della proposta di aggiudicazione, ove disposta, e degli altri atti endoprocedimentali privi di immediata lesività” (152)
e, a maggior ragione, di un atto ancora da adottare.
Va impugnato, in questi casi, il parere vincolante e
non favorevole al richiedente riguardante, ad
esempio, la proposta di aggiudicazione, specie se la
stazione appaltante abbia preventivamente dichiarato di adeguarsi? Comportamento prudenziale dell’operatore economico suggerisce di impugnare il
parere quando stanno per trascorrere i trenta giorni
e l’amministrazione non abbia ancora deciso di
adeguarsi al parere adottando il conseguente atto,
ma ciò determina con elevata probabilità la necessità di impugnare il successivo provvedimento dell’amministrazione, con il versamento di un secondo contributo unificato.
Si può, però, anche sostenere che il parere non sia
immediatamente lesivo fino a quando la stazione
appaltante non si adegui con l’adozione del provvedimento e solo da quest’ultimo decorra il termine per il ricorso che ovviamente deve essere cumulativo e riguardare anche il parere; questa tesi, però, cozza contro la previsione che il parere è vincolante per il concorrente (questa è l’ipotesi di cui si
discute).
e3) Parere non vincolante per il concorrente: è la
situazione più semplice perché il partecipante alla
gara deve attendere l’eventuale provvedimento
della stazione appaltante a lui sfavorevole e impugnarlo nei termini, unitamente al parere, per para-
(151) Dello stesso avviso: R. De Nictolis, Il nuovo codice dei
contratti pubblici, op. cit., 538.
(152) Art. 120, comma 2 bis, c.p.a., introdotto dall’art. 204,
D.Lgs. n. 50/2016.
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re la possibile eccezione della stazione appaltante
che potrebbe rilevare di aver dovuto, in forza del
vincolo, adottare l’atto in linea con la soluzione
fornita dal parere vincolante. Si può, comunque,
dubitare che il concorrente, sul quale non gravi il
vincolo del parere, debba impugnarlo, visto che
nei suoi riguardi non produce alcun effetto giuridico (diretto), anche se si può opporre che è condizionante per la stazione appaltante che è vincolata
dal parere, se lo abbia richiesto o si sia preventivamente impegnata ad attenersi ad esso.
La giurisprudenza, ancorché non unanime, sostiene
che gli atti vincolanti debbano essere impugnati e
immediatamente (153), ma va tenuto presente che
la stazione appaltante potrebbe non uniformarsi al
parere e, quindi, non vi è ancora lesione dell’interesse del concorrente sfavorito dal parere; per la
necessità di impugnare il parere unitamente all’atto
della stazione appaltante, si può convenire con la
prevalente giurisprudenza e, quindi, che il parere
debba essere impugnato.
Se, però, il parere non è vincolante per la stazione
appaltante, non va impugnato dal concorrente non
vincolato.
Per il rito da seguire, l’art. 211, comma 1, D.Lgs. n.
50/2016, richiama l’applicazione dell’art. 120
c.p.a., senza distinguere, però, se ai sensi del comma 2 bis e 6 bis o degli atri commi e cioè se si segua
o meno il terzo rito speciale (quello contro il provvedimento di ammissione e esclusione).
Si è affermato che appare evidente che “il rito applicabile sia quello dell’art. 120 ‘ordinario’ e non
quello specialissimo” con qualche dubbio nell’ipotesi del ricorso contro il provvedimento di esclusione o ammissione e dell’inerente parere (154) che
potrebbe precedere il provvedimento della stazione
appaltante o seguirlo.
Qui si è in presenza di cumulo di domande che seguono riti speciali diversi e si è espresso innanzi
l’avviso che si debba seguire il rito speciale “ordinario”, quello cioè indicato come “primo”.
Nel caso del parere precontenzioso, però, va considerato che si tratta di atto che inerisce strettamen-
te all’adozione del provvedimento della stazione
appaltante, per cui si deve ritenere che eserciti vis
attractiva il rito dettato per lo specifico provvedimento cui è correlato, per cui quando si impugni il
parere e il provvedimento di ammissione o esclusione, si deve procedere secondo il “terzo” rito speciale (quello, appunto, delle ammissioni o esclusioni), mentre, in tutti gli altri casi, si deve seguire il
primo rito, anche quando venga impugnato il
provvedimento di ammissione o esclusione, il parere e, cumulativamente, il provvedimento di aggiudicazione.
f) “In caso di rigetto del ricorso contro il parere
vincolante, il giudice valuta il comportamento della parte ricorrente ai sensi e per gli effetti dell’art.
26” c.p.a. (155).
L’art. 26 c.p.a. riguarda le “spese di giudizio” e il richiamo vale, non tanto e non solo per la condanna
del soccombente alle spese di giudizio, quanto per
la responsabilità aggravata stabilita dall’art. 96
c.p.c. (156) e per la “presenza di motivi manifestamente infondati”, casi in cui il giudice può, anche
d’ufficio, condannare il soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata (157). Ma soprattutto rileva per la condanna d’ufficio della parte soccombente “al pagamento di una sanzione pecuniaria, in
misura non inferiore al doppio e non superiore al
quintuplo del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo del giudizio” (158) e, nelle controversie di cui all’art. 120 c.p.a., “l’importo della
sanzione pecuniaria può essere elevato fino all’uno
per cento del valore del contratto, ove superiore al
suddetto limite” (159).
La sanzione pecuniaria - che va versata al bilancio
dello Stato (160) - è comminata “quando la parte
soccombente ha agito o resistito temerariamente in
giudizio” (161).
La disposizione dell’art. 211, D.Lgs. n. 50/2016 ha
l’evidente fine di dissuadere dalla proposizione di
ricorsi temerari (162) o basati su motivi manifestamente infondati, per rendere più incisiva la funzione di riduzione del contenzioso giurisdizionale asse-
(153) Così: Cons. Stato, Sez. V, 7 ottobre 2008, n. 4885;
Cons. Stato, Sez. VI, 9 giugno 2005, n. 3043; contra: Cons. Stato, Sez. IV, 28 marzo 2012, n. 1829.
(154) M. Lipari, La tutela giurisdizionale etc., op. cit., 40-41.
(155) Art. 211, comma 1, D.Lgs. n. 50/2016.
(156) L’art. 26 c.p.a. stabilisce che il giudice provvede sulle
spese di giudizio “secondo gli articoli 91, 92, 93, 94, 96 e 97
codice di procedura civile”.
(157) Cfr. E. Follieri, Le parti e i loro difensori nel codice del
processo amministrativo, in Dir. e proc. amm., 2011, 1015 ss.,
part. 1034 ss.
(158) Art. 26, comma 2, c.p.a.
(159) Art. 26, comma 2, c.p.a.
(160) Art. 15 norme di attuazione al c.p.a.
(161) Art. 26 c.p.a.
(162) Cfr. il parere n. 855/2016 del Consiglio di Stato che ha
suggerito tale inserimento (221). C. Contessa, in C. Contessa D. Crocco, Codice degli appalti e delle concessioni etc., op. cit.,
664 ritiene che l’apparato sanzionatorio previsto dal secondo
comma dell’art. 211 D.Lgs. n. 50/2016 “non sembra rinvenire
un puntuale fondamento nell’ambito della legge delega”.
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gnata al parere precontenzioso che, per come è stato disciplinato, rischia, non solo di aumentare il
numero dei ricorsi, ma, soprattutto, di renderli più
complessi per l’affastellarsi di profili processuali e
sostanziali (contenuto del parere e degli atti amministrativi) di non facile soluzione.
13. L’atto di raccomandazione e il parere
Il comma 2 dell’art. 211, D.Lgs. n. 50/2016 stabilisce che l’ANAC, “nell’esercizio delle proprie funzioni”, se ritenga “sussistente un vizio di legittimità
in uno degli atti della procedura di gara”, con atto
di raccomandazione invita la stazione appaltante
ad agire in autotutela e a rimuovere gli eventuali
effetti medio tempore prodotti dagli atti illegittimi,
entro un termine non superiore a sessanta giorni.
Se la stazione appaltante non si adegua alla “raccomandazione vincolante” dell’ANAC nel termine
fissato, il dirigente responsabile è punito con la
sanzione amministrativa pecuniaria dal minimo di
euro 250 al massimo di euro 25.000 e la sanzione
“incide altresì sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti, di cui all’art. 36” del D.Lgs. n.
50/2016.
La “raccomandazione” è impugnabile innanzi al
giudice amministrativo “ai sensi dell’art. 120”
c.p.a.
La disposizione non è una misura volta a prevenire
il contenzioso, come il parere, ma si inscrive nel
principio della legge delega dettato alla lett.
t) (163) e cioè attribuzione all’ANAC della funzione di “vigilanza nel settore degli appalti pubblici e
dei contratti di concessione, comprendenti anche
poteri di controllo, raccomandazione, intervento
cautelare, di deterrenza e sanzionatorio”.
La raccomandazione non interviene su “questioni
insorte durante lo svolgimento delle procedure di
gara”, come il parere, ma a prescindere dalle “questioni” controverse da risolvere, e non ha necessità
di alcuna iniziativa della stazione appaltante o dei
concorrenti volta a provocare l’espressione del parere, potendo l’ANAC, venuta a conoscenza nell’esercizio delle sue funzioni della sussistenza di un
vizio di legittimità, disporre che la stazione appaltante eserciti l’autotutela.
(163) Art. 1, lett. t), L. 28 gennaio 2016, n. 11; nello stesso
senso il parere del Consiglio di Stato n. 855/2016, 222.
(164) Parere del Consiglio di Stato n. 855/2016, 21-22 ove
si rileva, tra l’altro, che “Si crea in questo modo una sorta di
responsabilità da atto legittimo”.
(165) Esse riguardavano l’eliminazione dell’invito alla stazione appaltante all’esercizio vincolante dell’autotutela e la previ-
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Se il parere mira a superare una possibile diversità
di opinioni e, se condiviso da tutti, può essere effettivamente riduttivo del contenzioso ed alternativo ad esso, la raccomandazione è diretta all’annullamento degli atti illegittimi, su iniziativa d’ufficio
dell’ANAC, ed è strumento per l’esercizio della
funzione di vigilanza e controllo che modifica l’assetto di gara e di interessi stabilito dalla stazione
appaltante, incidendo sulla situazione di vantaggio
acquisita da uno dei concorrenti che, per difendere
la sua posizione, produrrà ricorso al giudice amministrativo. Potrebbe anche verificarsi che la raccomandazione, per l’evidenza del vizio in cui è incorsa la stazione appaltante, non induca all’azione giudiziaria, ma si tratterà di ipotesi ben rare perché,
specie all’inizio e prima, comunque, che si formino
orientamenti consolidati, il partecipante alla gara
si troverà di fronte ad una soluzione della stazione
appaltante a lui favorevole e all’atto dell’ANAC di
diverso segno ed è molto probabile che introduca
il giudizio amministrativo per sostenere la bontà
della decisione che lo ha avvantaggiato.
E, quindi, il parere è un istituto che è (vorrebbe essere) precontenzioso perché deflattivo del contenzioso giurisdizionale, mentre l’atto di raccomandazione può essere precontenzioso, solo in un altro
senso: precede e prepara ... il contenzioso.
L’art. 211, D.Lgs. n. 50/2016 prevede due strumenti che hanno in comune solo il soggetto che adotta
i due atti, l’ANAC, ma non possono definirsi, come reca la rubrica dell’articolo, entrambi precontenziosi, se non attribuendo a quest’ultimo termine
un significato diametralmente opposto nel primo e
nel secondo comma.
Il parere del Consiglio di Stato ha proposto una radicale modifica del comma 2 dell’art. 211, D.Lgs.
n. 50/2016 perché: a) secondo lo schema trasmesso
si introduceva “un potere di sospensione immediata e uno di annullamento mascherato”; b) la sanzione amministrativa puniva il mancato esercizio
del potere di autotutela nei confronti di un provvedimento amministrativo “di cui è da presumere la
legittimità fino a prova contraria” (164). Le modifiche indicate dal Consiglio di Stato (165) non sono state recepite in sede di approvazione definitisione di un “controllo collaborativo”, con possibilità di impugnativa dell’ANAC innanzi al giudice amministrativo, ispirandosi a quanto stabilito dall’art. 21 bis, L. n. 287/1990 e limitando, comunque, l’operatività ai soli atti più importanti. Cfr. N.
Longobardi, L’Autorità Nazionale Anticorruzione etc., op. cit., 9
ss.
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La raccomandazione prevista dal comma 2 dell’art.
211, D.Lgs. n. 50/2016 è un atto di “invito” all’esercizio del potere di autotutela volto all’annullamento di un precedente atto e, quindi, di secondo
grado, attraverso un procedimento ad intervento
indiretto.
Nell’insieme può definirsi come un provvedimento
di secondo grado di autotutela per l’annullamento
di un atto amministrativo, ma la sua peculiarità è
rappresentata dal fatto che l’ANAC che esercita
effettivamente il potere impone alla stazione appaltante di dare esecuzione alla sua decisione, annullando un atto della procedura di gara. Chi (materialmente) è obbligato ad annullare l’atto è soggetto diverso da quello che ne apprezza l’illegittimità
e decide che l’atto è da eliminare.
La norma, allora, ha dovuto disciplinare il potere
dell’ANAC, il rapporto tra l’ANAC e la stazione
appaltante, il potere-dovere della stazione appaltante, il regime dell’impugnativa dell’atto di raccomandazione.
L’ANAC ha il potere discrezionale nell’an e nel
quando di adottare la raccomandazione quando “ritenga sussistente un vizio di legittimità in uno degli atti della procedura di gara”.
Il presupposto per procedere è la ritenuta sussistenza di un vizio di legittimità dell’atto da annullare,
ma la verifica di tale elemento non obbliga l’ANAC ad adottare la raccomandazione poiché, in
presenza di irregolarità e di vizi nelle gare, deve
trasmettere “gli atti ed i propri rilievi all’organo di
controllo” (166).
L’iniziativa della raccomandazione è rimessa alla
scelta dell’ANAC e non occorre alcuna richiesta o
istanza da parte degli interessati o di terzi. Né ritengo che vi sia obbligo di procedere su istanza di
interessati o di terzi, pur in presenza di un circostanziato esposto, in quanto l’autorità, se vengano
denunziati reati ha l’obbligo di trasmettere gli atti
alla Procura della Repubblica (167) e se riscontra
vizi di legittimità è obbligata ad inviare gli atti all’organo di controllo.
Non può condividersi il pur acuto suggerimento
della dottrina secondo cui, in mancanza di un’esplicita previsione legislativa che abbia recepito il
considerando 122 della Dir. 2014/24/UE (168), si
potrebbe offrire “adeguata protezione ai soggetti
terzi” (169) tutelando il loro interesse alla legalità
mediante la possibilità di rivolgersi all’ANAC che
potrebbe adottare la raccomandazione. Infatti la
norma non prevede alcun obbligo dell’ANAC di
prendere in considerazione gli esposti e di dare loro
corso perché attribuisce all’Autorità un potere discrezionale nello “an”.
Sull’avvio del procedimento di autotutela, infatti,
vi è un radicato convincimento giurisprudenziale (170) che non vi è un dovere di procedere e
che, in presenza di un vizio di legittimità denunziato da un interessato o da un terzo, l’amministrazione non è obbligata ad attivarsi per valutare di esercitare o meno il potere di autotutela. Le ragioni di
questo orientamento vengono rinvenute nel carattere definitivo del provvedimento e nella certezza
dei rapporti giuridici determinati dall’atto amministrativo per la tutela dell’affidamento del cittadino (171) nonché nella possibile elusione del termine per l’impugnativa del provvedimento sul quale
si invoca l’esercizio del potere di autotutela che, se
doveroso, rimetterebbe in “corsa” l’interessato che
potrebbe contestare il mancato o denegato atto di
autotutela (172).
Il potere dell’ANAC è discrezionale non solo nello
“an” (anche in ordine al se iniziare il procedimento), ma anche nel “quando”.
(166) Art. 213, comma 6, D.Lgs. n. 50/2016.
(167) Art. 123, comma 6, D.Lgs. n. 50/2016: “Qualora accerti l’esistenza di irregolarità trasmette gli atti e i propri rilievi
all’organo di controllo e, se le irregolarità hanno rilevanza penale, alle competenti Procure della Repubblica”.
(168) Su cui cfr. supra, par. 1.
(169) M. Lipari, La tutela giurisdizionale etc., op. cit., 42.
(170) Cfr. Cons. Stato, Sez. V., 3 maggio 2012, n. 2551.
(171) G. Manfredi, Doverosità dell’annullamento vs. annullamento doveroso, in Dir. proc. amm., 2011, 316 a commento di
T.A.R. Trentino Alto Adige 16 dicembre 2009, n. 305.
(172) Per una “doverosa” verifica della coerenza dell’atto rispetto all’assetto di interessi sopravvenuto che comporta l’obbligo di avvio del procedimento di autotutela: S. Torricelli, Libertà economiche europee e regime del provvedimento amministrativo nazionale, Rimini, 2013, 220 ss., part. 227.
va, tranne che per la soppressione dell’effetto sospensivo automatico.
La disciplina sostanziale dell’atto di raccomandazione desta molte perplessità e presenta lacune che
vanno superate con l’intervento di un atto generale dell’ANAC che stabilisca i presupposti ed i limiti dell’esercizio del potere in linea con il quadro ordinamentale e, comunque, con un’interpretazione
che consenta di inserire l’atto nel sistema, eliminando i profili di arbitrarietà che minano, anche
sul pianto comunitario, la legittimità della previsione.
14. Gli elementi distintivi dell’atto
di raccomandazione
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timità, dovendosi sempre verificare la sussistenza di
un interesse pubblico concreto ed attuale e non è
previsto un limite temporale al potere dell’ANAC (177).
Le critiche sono mosse dall’evidente contrasto dell’atto di raccomandazione con i principi generali,
ma bisogna cercare di superare le contraddizioni
rendendo compatibile la novità con il sistema.
Il comma 2 de quo non fissa coordinate temporali,
appagandosi di prevedere che l’ANAC, nell’esercizio “delle proprie funzioni”, se ritenga “sussistente
un vizio di legittimità in uno degli atti di gara”
adotta la raccomandazione e, quindi, teoricamente,
in ogni tempo, qualora emergano i presupposti indicati dalla norma.
Il legislatore ha lasciato senza specificazione l’illegittimità, bastando “un vizio”, non distinguendo
quelli formali e procedimentali da quelli sostanziali.
E, allora, l’ANAC ha un potere discrezionale nell’an e nel quando e può esercitarlo in presenza di
qualunque vizio di legittimità, secondo quella che
è la lettera della norma, concretizzandolo in un atto con il quale “invita” la stazione appaltante ad
agire in autotutela, rimuovendo altresì gli eventuali effetti medio tempore prodottisi, entro un termine non superiore a sessanta giorni.
L’invito alla stazione appaltante è un signorile eufemismo perché si tratta, come viene specificato
subito dopo, di una “raccomandazione vincolante” (173) che inchioda il rapporto tra l’ANAC e la
stazione appaltante la quale deve necessariamente
adeguarsi entro il termine stabilito e autoannullare
l’atto di gara ritenuto illegittimo dall’ANAC; in
mancanza scatta la sanzione amministrativa pecuniaria a carico del dirigente responsabile, sanzione
che incide anche “sul sistema reputazionale” della
stazione appaltante.
La dottrina ha avanzato diversi rilievi perché: si sarebbe “in presenza di un’autotutela doverosa, non
riconducibile, in toto, alla disciplina generale della
legge n. 241/1990” (174) e per un vizio di legittimità rilevato dall’ANAC, amministrazione diversa
da quella che annulla l’atto, e senza alcuna “graduazione” dell’illegittimità riscontrata (175); è in
contrasto “con risalenti principi giurisprudenziali,
che continuano a negare l’obbligatorietà del riesame dei propri atti” (176); non è sufficiente l’illegit-
Innanzitutto, il nostro ordinamento ha conosciuto,
e conosce, altri casi di c.d. autotutela doverosa. Il
comma 136 dell’art. 1 della L. 30 dicembre 2004,
n. 311, abrogato dall’art. 6, ultimo comma, L. n.
124/2015, per il fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, stabiliva che “ può sempre essere disposto
l’annullamento d’ufficio di provvedimenti illegittimi, anche se l’esecuzione degli stessi sia ancora in
corso”; l’art. 43 della L. 24 dicembre 2012, n.
234 (178), per evitare l’avvio di procedura di infrazione da parte della Commissione europea, stabilisce che “le regioni, le province autonome, gli enti
territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati adottano ogni misura necessaria a porre tempestivamente rimedio alle violazioni, loro imputabili, degli obblighi degli Stati nazionali derivanti
dalla normativa dell’Unione Europea” (179).
Si tratta, però, di casi eccezionali, valendo la regola che l’annullamento in autotutela di atti amministrativi può intervenire se sussistono concrete ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi
dal momento dell’adozione dei provvedimenti di
attribuzione di vantaggi economici, e “tenendo
conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati” (180).
(173) R. De Nictolis, Il nuovo codice dei contratti pubblici,
op. cit., 539 stigmatizza: “‘La raccomandazione’ in spregio al
suo nome è espressamente qualificata come ‘vincolante’”.
(174) M. Lipari, la tutela giurisdizionale etc., op. cit., 43, con
la conseguenza che la determinazione della stazione appaltante “dovrebbe configurarsi come meramente riproduttiva del
parere dell’ANAC e impugnabile essenzialmente per vizi di illegittimità derivata”; O. Forlenza, Con il parere etc., XXV, rileva
che il legislatore ha introdotto una tipologia di autotutela che
consegue all’esercizio di un potere vincolato basato sulla sola
sussistenza di un vizio di legittimità.
(175) O. Forlenza, op .ult. cit.
(176) N. Longobardi, L’Autorità Nazionale Anticorruzione
etc., op. cit., 10.
(177) R. De Nictolis, Il nuovo codice dei contratti pubblici,
op. cit., 539.
(178) La disposizione fu dettata dall’art. 16 bis, L. 4 febbraio
2005, n. 11, introdotto dalla L. 25 febbraio 2008, n. 34, poi
abrogato e reintrodotto con l’art. 43, L. 24 dicembre 2012, n.
234.
(179) Sull’interpretazione dell’art. 43, L. 24 dicembre 2012,
n. 234 e sulle questioni che pone, specie con riguardo al meccanismo di rivalsa dello Stato nei confronti delle amministrazioni pubbliche che violano la previsione normativa, cfr. S. Torricelli, Libertà economiche europee etc., op. cit., 250 ss. il quale
svolge la tesi che il regime giuridico dell’annullamento d’ufficio
di atti amministrativi viziati per violazione del diritto europeo
presenti il carattere della doverosità e non della discrezionalità
e, quindi, prescinde dalla necessità di riscontrare la presenza
di tutti gli elementi richiesti dall’art. 21 nonies, L. n. 241/1990
(part. 222 ss.).
(180) Art. 21 nonies, L. n. 241/1990 ss. mm. ed ii.
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15. Riconduzione dell’atto
di raccomandazione al sistema
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Il valore che ha ispirato questa norma e che affonda le radici in una giurisprudenza amministrativa
pressoché costante è quello teso a dare stabilità, sicurezza e certezza ai rapporti costituiti dai provvedimenti amministrativi per la tutela dell’affidamento del cittadino negli atti di autorità. Una società
ordinata deve poter contare che le attività svolte
dai consociati non possano essere messe a repentaglio da successivi ripensamenti e interventi dell’autorità amministrativa che ne ha consentito l’avvio.
Lo richiede la logica del mercato che valorizza la
libertà di iniziativa economica e l’accesso a tutti
gli operatori in situazioni di concorrenza e par condicio ma, nel contempo, tende a consentire lo sviluppo delle attività economiche che non possono
essere messe in discussione dall’intervento autoritativo, specie dopo che l’amministrazione le ha autorizzate. Si tratta di principi che la normazione europea ha amplificato e l’ordinamento del nostro
Paese ha recepito con la recente introduzione del
termine di 18 mesi dall’adozione del provvedimento che si intende annullare con l’esercizio del potere di autotutela (181). Si è inteso ridurre il tasso di
incertezza, attribuendo stabilità al provvedimento
amministrativo perché chi esegue investimenti e
inizia un’attività deve poter contare sul mantenimento di quanto ottenuto per il prosieguo dell’impresa (182).
La fissazione di un termine finale entro il quale poter esercitare il potere di autotutela rafforza la stabilità dei rapporti creati dall’atto amministrativo
che, comunque, era già protetta con “il termine ragionevole”, la necessaria sussistenza dell’interesse
pubblico concreto e con la considerazione comparativa degli interessi dei destinatari e dei controinteressati che possono portare a sacrificare il rispetto
della legalità e che, secondo l’interessante rilievo
della dottrina, assume un senso dinamico, cioè la
legalità da prendere in considerazione in un tempo
successivo non è la medesima che vigeva al momento dell’adozione del provvedimento (183), essendo influenzata dalla situazione effettuale venutasi a determinare.
La previsione di un termine preciso (18 mesi) assicura certezza e tranquillità agli operatori rispetto
ad un “termine ragionevole” ed alla comparazione
degli interessi che lasciano all’amministrazione ed
al successivo sindacato del giudice un maggiore e
più elastico margine di manovra.
Ebbene, nella specifica materia dei contratti pubblici, la libertà di iniziativa economica, la concorrenza, la par condicio e la necessaria conseguente
stabilità del rapporto, una volta conclusasi la procedura di gara e sottoscritto il contratto, sono principi indubbiamente oggetto di particolare tutela
nella legislazione europea e nel nostro ordinamento che ne ha recepito le direttive.
L’ANAC, per la necessaria trasparenza e correttezza che deve informare la sua attività, dovrebbe
riempire, con apposita normativa generale e di
autocontrollo, gli spazi lasciati dalle larghe maglie
del comma 2 dell’art. 211, D.Lgs. n. 50/2016, indicando in presenza di quali presupposti ed elementi
eserciterà il potere di dare “raccomandazioni” alle
stazioni appaltanti per giuridicizzare il rilevante potere che le è stato attribuito. L’autovincolo dell’ANAC potrebbe riguardare i vizi di legittimità ritenuti rilevanti e i presupposti per invitare all’autotutela, lasciandosi guidare da quelli previsti dall’art.
21 nonies L. n. 241/1990.
E, comunque, pure in mancanza dell’autodisciplina, credo che si possa in via interpretativa affermare che chi esercita, effettivamente e nella sostanza,
il potere di autotutela è l’ANAC, non la stazione
appaltante che è vincolata ad annullare i suoi atti,
e che le regole dettate dall’art. 21 nonies, L. n.
241/1990 debbano essere recuperate a monte (raccomandazione dell’ANAC), essendo vincolata l’attività della stazione appaltante.
E, quindi: il presupposto della sussistenza di “un vizio di legittimità” (generico) va specificato nel
“provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi
dell’art. 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo
articolo 21 octies, comma 2” (184) e cioè non rileva il provvedimento illegittimo “adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma de-
(181) L’art. 6 della L. n. 124/2015 ha stabilito che al comma
1 dell’art. 21 nonies, L. n. 241/1990, “dopo le parole: ‘entro un
termine ragionevole’ sono inserite le seguenti.’, comunque
non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei
provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi
economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato
ai sensi dell’articolo 20’”. Cfr. S. D’Ancona, L’autotutela dopo
la riforma Madia - L’annullamento d’ufficio dopo la riforma Madia, in Giur. it., 2015, 2748; M.A. Sandulli, Gli effetti diretti della
L. 7.8.2015 n. 124 sulle attività economiche etc., op. cit., 2015.
Il Consiglio di Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2016, n. 351 ha affer-
mato che la riforma dell’art. 21 nonies detto ha fissato “in via
di principio in 18 mesi” il “termine ragionevole” per il legittimo
esercizio dei poteri di annullamento.
(182) E. Follieri, Interessi cosiddetti sensibili e interessi allo
sviluppo economico, in www.giustamm.it, 2016, 4 ss.
(183) G. Corso, Validità (dir. amm.), in Enc. dir., XLVI, Milano, 1993, 87; M. Trimarchi, Stabilità del provvedimento e certezza dei mercati, 9 ss., Relazione dattiloscritta al Convegno in
onore dei professori Guido Corso e Gianpaolo Rossi, tenuta a
Roma il 20 giugno 2016 all’Università Roma 3.
(184) Art. 21 nonies, L. n. 241/1990 e ss. mm. e ii.
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In questo inquadramento, la stazione appaltante è
solo lo strumento attuativo della decisione dell’ANAC che vuole si proceda all’annullamento di un
atto di gara.
E non potrebbe essere diversamente perché la raccomandazione è vincolante e il mancato tempestivo autoannullamento dell’atto ritenuto viziato dall’ANAC (sempre, a mio avviso, nella ricorrenza di
tutti gli elementi richiesti dall’art. 21 nonies, L. n.
241/1990 e ss. mm. ed ii.) comporta l’irrogazione
di una sanzione amministrativa bivalente: nei confronti del dirigente responsabile e della stazione appaltante.
Ciò conferma il rilievo della dottrina che, se viene
annullata dal giudice amministrativo la raccomandazione ed il provvedimento attuativo della stazione appaltante, non si possono attribuire responsabilità a quest’ultima tenuta ad adeguarsi, per cui
dovrebbe risponderne l’ANAC, “a seconda dei casi, sia nei confronti delle imprese ‘danneggiate’ ...
sia dei soggetti sanzionati per il mancato o tardivo
adeguamento, sia della stessa stazione appaltante,
che ha ricevuto effetti negativi sulla propria ‘reputazione’ ex art. 38” (187).
E, in effetti, se il rapporto tra l’ANAC e la stazione appaltante è configurato come obbligo di que-
st’ultima di eseguire la decisione dell’ANAC, ogni
conseguenza (negativa) dell’autoannullamento non
può che ricadere sull’Autorità.
L’imputazione solo formale alla stazione appaltante
dell’atto di autotutela comporta che debba essere
impugnata (anche) la raccomandazione nel termine di decadenza, decorrente da quest’ultima perché
è vincolante ed esecutiva (188).
Discutibile è, invece, che sia impugnabile la raccomandazione ad annullare un atto endo-procedimentale, visto che è inammissibile “l’impugnazione
della proposta di aggiudicazione, ove disposta, e degli altri atti endo-procedimentali privi di immediata lesività” (189). La questione va risolta in relazione alla lesività dell’atto: se è immediata, occorrerà
procedere alla proposizione di tempestivo ricorso.
In proposito valgono le considerazione già espresse
per l’impugnativa del parere (190).
La impugnativa contro la raccomandazione può essere promossa dalla stazione appaltante che non intenda procedere all’autoannullamento e si pongono
gli stessi problemi affrontati per il parere di precontenzioso e cioè se, per non dare esecuzione all’atto
dell’ANAC, sia necessario chiedere (anche) la misura cautelare e non possono che valere le medesime considerazioni già espresse (191).
Posizione particolare assume il dirigente responsabile della stazione appaltante che deve adottare
nel termine stabilito il provvedimento di autoannullamento e, in mancanza, subisce la sanzione
amministrativa pecuniaria; avverso il provvedimento sanzionatorio il dirigente può senz’altro proporre ricorso ma, se non impugna anche la raccomandazione, potrà dedurre solo vizi propri del procedimento sanzionatorio e profili di proporzionalità
e ragionevolezza della sanzione, quanto al suo importo, per cui se intenda contestare la legittimità
anche dell’atto di raccomandazione deve impugnarlo. La questione è se debba attendere la sanzione per proporre ricorso anche avverso la raccomandazione oppure se abbia legittimazione autonoma
(rispetto a quella della stazione appaltante) e possa
ovvero debba proporre tempestivo ricorso contro la
raccomandazione, con possibile doppio pagamento
del contributo unificato, se la sanzione intervenga
(185) Art. 21 octies, comma 2, L. 241/1990 e ss. mm. ed ii.
(186) Art. 21 nonies, L. n. 241/1990 e ss. mm. ed ii. Ovviamente non si applicherà il termine di 18 mesi per l’esercizio
del potere di autotutela volto all’annullamento dell’aggiudicazione della concessione, per l’espressa eccezione stabilita dall’art. 176, comma 2, secondo cui “nelle ipotesi di cui al comma I” (casi in cui “cessa” la concessione) “non si applicano i
termini previsti dall’art. 21-nonies della L. 7 agosto 1990 n.
241”.
(187) O. Forlenza, Con il parere di precontenzioso si evita la
“lite”, op. cit., XXII.
(188) O. Forlenza, op. ult. cit., XXV che richiama la prevalente conforme giurisprudenza.
(189) Art. 120, comma 2 bis, c.p.a.
(190) Cfr. supra, par. 12.
(191) Cfr. supra, par. 12, lett. e1).
gli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in
concreto adottato” (185); la discrezionalità nell’an
trova disciplina nella necessaria sussistenza e considerazione dell’interesse pubblico specifico da comparare con gli interessi dei destinatari e dei controinteressati e la discrezionalità nel quando nel
“termine ragionevole, comunque non superiore a
diciotto mesi dal momento dell’adozione” dell’atto
da annullare (186).
In questo modo, il potere dell’ANAC viene giuridicizzato, si confermano le garanzie che il mercato
richiede, a tutela degli operatori economici, e l’atto
di raccomandazione si inserisce nel sistema.
16. L’atto di adeguamento della stazione
appaltante. L’impugnativa innanzi
al giudice amministrativo
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dopo il decorso dei trenta giorni dalla ricezione
della raccomandazione.
L’atto sicuramente lesivo per il dirigente è il provvedimento sanzionatorio, ma anche la raccomandazione che gli impone l’autoannullamento, lo vincola ed è esecutivo, è lesivo nei suoi confronti e,
pertanto, è da ritenere che il dirigente debba impugnare tempestivamente (anche) la raccomandazione.
Gli altri concorrenti non sono direttamente coinvolti dalla raccomandazione che è rivolta e vincola
la stazione appaltante (e il dirigente responsabile)
e la questione relativa all’impugnativa dell’atto di
raccomandazione ricalca la problematica del concorrente che non abbia chiesto il parere di precontenzioso o non vi abbia preventivamente aderito
(e, quindi, non è vincolato) e ad essa si rinvia (192).
Il rito applicabile è quello disciplinato dall’art. 120
c.p.a. ed è il primo rito speciale, quello anche definito ordinario.
Il dubbio che potrebbe prospettarsi per l’impugnativa della raccomandazione e dell’atto esecutivo di
autoannullamento riguardante il provvedimento di
ammissione ed esclusione, va, a mio avviso, risolto
a favore dell’applicazione del primo rito speciale,
come già rilevato (193).
a) Si stabilisce che è inammissibile l’impugnazione
della proposta di aggiudicazione e degli altri atti
endo-procedimentali “privi di immediata lesività” (194).
Il Consiglio di Stato ha segnalato la superfluità
della disposizione “trattandosi di regola generale e
consolidata del processo amministrativo” (195), a
cui ha fatto eco la dottrina (196), ma il legislatore
delegato l’ha mantenuta.
In effetti, l’indirizzo seguito dal giudice amministrativo, quanto all’impugnativa della proposta di
aggiudicazione (prima: aggiudicazione provvisoria),
era per la facoltà di impugnare l’aggiudicazione
provvisoria, salvo l’onere di proporre motivi aggiunti avverso l’aggiudicazione definitiva, per cui
la previsione di non impugnabilità dell’aggiudicazione provvisoria è innovativa (197).
Per gli atti endo-procedimentali è un principio già
affermato e seguito dalla giurisprudenza, ma il legislatore è solito recepire quello che il giudice elabora nella sua attività giurisdizionale ed è soluzione
da condividere per assicurare certezza e stabilità alla regola, altrimenti soggetta alle fluttuazioni ed
evoluzioni proprie della giurisprudenza.
Piuttosto, appare pertinente l’invito a dare una lettura costituzionalmente orientata della disposizione
“nel senso che tali atti non sono immediatamente
impugnabili e che i relativi vizi andranno fatti valere in sede di impugnazione dell’aggiudicazione” (198).
b) Si è modificato il comma 9 dell’art. 120 c.p.a.
per rendere più chiaro che le parti possono chiedere la pubblicazione anticipata del dispositivo che
avviene entro due giorni dall’udienza e non dalla
richiesta di una delle parti (199).
La pubblicazione anticipata del dispositivo non
sempre è utile per una ponderata riflessione e per
la corrispondenza alla motivazione ed alle domande, se si considera che per i più ampi e penetranti
poteri decisori del giudice (200), il dispositivo deve
essere più articolato delle sintetiche e solite espressioni di “accoglie il ricorso”, al più con l’aggiunta
“nei limiti indicati nella motivazione (201)”, dovendo recare un comando più specifico ed incisivo,
come avviene, normalmente, per le sentenze civili
e penali. Ciò renderebbe più chiari gli effetti della
decisione del giudice amministrativo in controversie che presentano indubbia complessità per le possibili e articolate domande che possono essere proposte.
La pubblicazione anticipata del dispositivo non
aiuta il compito del giudice perché deve redigerlo
prima di aver steso la motivazione che rende palese
(192) Cfr. supra, par. 12, lett. e3).
(193) Cfr. supra, par. 8.
(194) Cfr. O. Forlenza, Uno speciale giudizio con termini
stringenti etc., op. cit., XXXI.
(195) Parere del Consiglio di Stato n. 855/2016, 214.
(196) M. Lipari, La tutela giurisdizionale etc., op. cit., 9.
(197) Cfr. I. Martella, Le novità etc., op. cit., 661 che approva la soluzione legislativa perché più conforme ai principi del-
l’interesse a ricorrere.
(198) R. De Nictolis, Il nuovo codice deli contratti pubblici,
op. cit., 540.
(199) Cfr. parere del Consiglio di Stato n. 855/2016 che evidenzia come il termine di due giorni fosse già previsto dal D.L.
n. 90/2014.
(200) Cfr. supra, par. 3).
(201) Ovviamente, è meno articolato il dispositivo di rigetto.
17. IV) Le regole processuali relative:
a) alla impugnativa della proposta
di aggiudicazione e degli atti
endo-procedimentali; b) ai termini
di pubblicazione del dispositivo;
c) all’appello; d) ai ricorsi cumulativi
nelle gare divise in lotti
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e chiarisce l’intera problematica, per l’indispensabile approfondimento che richiede l’operazione.
c) Per l’appello, il parere del Consiglio di Stato ha
rilevato che è rimasta invariata la previsione del
termine lungo per l’appello e cioè di tre mesi (202)
dalla pubblicazione della sentenza (203), a differenza di quanto stabilito per il terzo rito speciale ove
“non trova applicazione il termine lungo decorrente dalla sua pubblicazione” (204).
Il legislatore delegato non è intervenuto sul punto,
chiarendo solo quale sia la disciplina applicabile al
giudizio di appello con il richiamare i commi dell’art. 120 c.p.a. e precisamente, a parte il 2 bis, il 6
bis e il 9, secondo periodo, riguardanti il terzo rito
speciale e di cui si è detto (205), i commi 8, 8 bis e
8 ter relativi a tutte le “specialità” dettate per il
giudizio cautelare di primo grado e il comma 10
sulla sinteticità degli atti di parte e del giudice.
Il legislatore delegato ha avuto, però, il buon senso
di farsi guidare dal Consiglio di Stato, cassando la
previsione che la sentenza di appello di rigetto potesse essere motivata per relationem, richiamando la
sentenza di primo grado confermata, per il possibile
contrasto con la “portata costituzionale del doppio
grado di giudizio” (206).
d) Quando la stazione appaltante bandisce una gara per più lotti, il concorrente che ha partecipato
senza successo con offerte presentate per più di un
lotto, può proporre “ricorso cumulativo solo se
vengono dedotti identici motivi di ricorso avverso
lo stesso atto” (207).
La ratio della disposizione è stata spiegata “in funzione antielusiva delle regole sul contributo unificato e per evitare, in materia di gare divise in lotti,
ricorsi monstre” (208) e come soluzione che gioverebbe ai controinteressati che potrebbero essere diversi in modo che “risulterebbe più nitido l’oggetto
delle censure da cui difendersi, tenendo conto della posizione diversa in graduatoria assunta in ciascuna procedura” (209).
Si consideri che, per favorire la partecipazione alle
gare delle micro, piccole e medie imprese, il D.Lgs.
n. 50/2016 esprime favore per la suddivisione delle
gare in lotti (210), per cui potrebbe verificarsi con
frequenza l’ipotesi considerata dal comma 11 bis
dell’art. 120 c.p.a.
Mi sembra colgano nel segno i rilievi del Consiglio
di Stato, rimasti inascoltati, che la limitazione “rischia di tradursi in un sacrificio al diritto di difesa,
aggravato dal rilevante peso del contributo unificato, per obiettivi di politica legislativa, tale da ingenerare sospetti di incostituzionalità per contrasto
con gli artt. 3, 24 e 113 Cost.” (211).
(202) Il termine di sei mesi previsto dall’art. 92 c.p.a. è dimezzato.
(203) Parere n. 855/2016, 212.
(204) Art. 120, comma 6 bis, c.p.a.; M. Lipari, La tutela giurisdizionale etc., op. cit., 38-39 segnala le possibili incertezze,
in mancanza di notifica, dal far decorrere il dies a quo dalla comunicazione e non dalla pubblicazione, per il terzo rito speciale, qualora venga omessa la comunicazione, ma ritiene che,
comunque, “resta in ogni caso salvo il termine di cui all’art.
92, comma 3, dimezzato ai sensi dell’art. 119, nelle sole ipotesi
in cui la comunicazione della sentenza sia stata omessa, ritardata o non correttamente effettuata”.
(205) Cfr. supra, par. 6.
(206) Parere del Consiglio di Stato n. 855/2016, 213. C.
Contessa, in C. Contessa - D. Crocco, Codice degli appalti e
delle concessioni etc., op. cit., 639, rileva che una sentenza motivata con il solo richiamo delle argomentazioni della decisione
confermata “avrebbe prestato il fianco alla proposizione di un
ricorso per revocazione … per omesso esame in senso sostanziale di un motivo di impugnazione”.
(207) Art. 120, comma 11 bis, c.p.a.
(208) R. De Nictolis, Il nuovo codice dei contratti pubblici,
op. cit., 542.
(209) M. Lipari, La tutela giurisdizionale etc., op. cit., 13.
(210) Nello stesso senso: M. Lipari, op. ult. cit.
(211) Parere del Consiglio di Stato n. 855/2016, 212.
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18. Conclusioni
Il quadro d’insieme conferma l’impressione iniziale
che il legislatore delegato non si è molto preoccupato della tutela degli interessi degli operatori economici ad ottenere una giustizia, sì celere, ma giusta e rispettosa dei diritti della difesa attribuiti dalla Costituzione, dalle direttive comunitarie, dalla
Carta dei diritti fondamentali dell’UE e dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo.
L’idea di fondo che ha trainato le novità sul processo amministrativo è quella che l’opera, il servizio, la fornitura non possono attendere e devono
trovare rapida realizzazione, per cui sono state
scoraggiate le iniziative dirette ad ottenere tutela
innanzi al giudice amministrativo, ritenuto fonte
di ritardi, con: le (illegittime) limitazioni alla misura cautelare, efficace strumento di tutela per il
ricorrente; la previsione di termini molto contenuti per le parti e per il giudice, al limite della ragionevolezza; il pagamento ripetuto di contributi
unificati, già particolarmente alti per queste controversie; la previsione di un terzo rito speciale
che, con le sue preclusioni, mira a impedire la tutela, se il concorrente non impugni tempestivamente le illegittime ammissioni degli altri partecipanti; le difficoltà applicative di disposizioni
“confuse” che rischiano di compromettere gli
obiettivi per i quali sono stati dettati (parere di
pre-contenzioso e atto di raccomandazione); gli
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effetti negativi “aggravati” se vi è rigetto del ricorso avverso il parere di pre-contenzioso; il divieto
di ricorso cumulativo contro lo stesso atto, quando non si deducano motivi identici nel caso di
presentazione di offerte per più lotti.
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Come cittadino mi auguro che la Corte costituzionale, la Corte di Giustizia dell’UE e la Cedu siano
investite al più presto delle questioni innanzi esposte e mostrino la giusta sensibilità verso la tutela
del diritto fondamentale alla giustizia.
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Soccorso istruttorio
Il nuovo soccorso istruttorio
di Andrea Manzi e Paolo Caruso (*)
Il soccorso istruttorio, oggi disciplinato dall’art. 83, comma 9, del codice degli appalti, raccoglie
i frutti dell’evoluzione dell’istituto, dalle sue prime forme a quelle della precedente novella, evidenziando principalmente l’obiettivo della massima partecipazione e della efficienza delle procedure attraverso la primazia della sostanza sulla forma.
Al pari, tuttavia, di altri istituti introdotti o rimodellati dal nuovo codice, solo il banco di prova
della prassi e della giurisprudenza potrà risolvere i problemi di coordinamento con la disciplina
dei requisiti e dei relativi mezzi di prova e chiarire le definizioni - non del tutto perspicue - e tutti
i profili utili per la sua corretta applicazione.
1. Premessa di inquadramento
Con la diffusa espressione “soccorso istruttorio” ci
si riferisce, in via di prima approssimazione, al potere dell’Amministrazione di richiedere l’integrazione o il completamento di elementi necessari alla
utile progressione di un procedimento.
In linea generale, l’istituto risponde alla valorizzazione dei principi di buon andamento, leale collaborazione con il privato, economicità ed efficienza
dell’azione amministrativa, nonché all’esigenza di
far prevalere la sostanza sulla forma, con il limite
dei cc.dd. elementi essenziali, nel senso che la regolarizzazione non può essere riferita agli elementi
essenziali della domanda.
Quanto alle procedure selettive, il fondamento del
soccorso istruttorio è da rinvenire altresì nel principio di massima partecipazione, ma l’istituto trova
nel contempo un ulteriore limite nella necessità di
rispettare la parità di trattamento tra i concorrenti.
Altra controindicazione va individuata, nelle procedure ad evidenza pubblica, nelle ripercussioni dei
(*) Paolo Caruso ha curato i paragrafi 1, 2 e 3, Andrea Manzi i paragrafi 4, 4.1., 4.2., 4.3., 4.4., 4.5., 4.6.
(1) Già l’art. 27 della Direttiva del Consiglio n. 71/305/CEE
del 26 luglio 1971 sugli appalti pubblici di lavori aveva riconosciuto all’amministrazione aggiudicatrice, entro certi limiti, la
possibilità di “invitare l’imprenditore a completare i certificati e
i documenti presentati o a chiarirli”.
(2) Per l’art. 6, comma 1, L. n. 241/1990 “il responsabile del
procedimento ... b) accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all’uopo necessari, e adotta ogni misura per
l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria. In particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documen-
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tempi del soccorso sul rilevante interesse al celere
e ordinato svolgimento della procedura.
La codificazione dell’istituto in materia di gare
pubbliche rappresenta, per un verso, l’esplicitazione di un principio comunitario (1) e, per altro verso, la specificazione di un principio generale del
nostro ordinamento, ispirato al giusto procedimento (2).
2. Il soccorso istruttorio
nel D.Lgs. n. 163/2006
Nell’originario impianto del primo codice dei contratti pubblici, l’art. 46 ha così disciplinato il soccorso istruttorio: “Nei limiti previsti dagli articoli
da 38 a 45, le stazioni appaltanti invitano, se necessario, i concorrenti a completare o a fornire
chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati,
documenti e dichiarazioni presentati” (3).
Quale espressione di “principio generale relativo ai
contratti pubblici” ai sensi dell’art. 30, comma 3,
del D.Lgs. n. 163/2006, l’istituto è stato ritenuto
tali”. Per l’art. 71, comma 3, d.P.R. n. 445/2000 “Qualora le dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47 presentino delle irregolarità o delle omissioni rilevabili d’ufficio, non costituenti falsità,
il funzionario competente a ricevere la documentazione dà notizia all’interessato di tale irregolarità. Questi è tenuto alla regolarizzazione o al completamento della dichiarazione; in mancanza il procedimento non ha seguito”.
(3) Prima del D.Lgs. n. 163/2006, si veda, per gli appalti di
servizi, l’art. 16 del D.Lgs. n. 157/1995, per gli appalti di forniture l’art. 15, D.Lgs. n. 358/1992, per il project financing l’art.
37 bis, comma 2 ter, lett. b), L. n. 109/1994, per i lavori pubblici l’art. 21, comma 3, D.Lgs. n. 406/1991 art. 18, ultimo comma, L. n. 584/1977.
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applicabile anche alle procedure per l’affidamento
di concessioni di servizi (4).
La norma, per come interpretata dalla giurisprudenza maggioritaria, prescrive il dovere della stazione appaltante di esercitare il “soccorso”, solo se
necessario, limitatamente al completamento o al
chiarimento del contenuto di certificati, documenti e dichiarazioni già presentati in ordine al possesso di requisiti di ordine generale e speciale. Le modalità e le tempistiche del soccorso non sono specificate.
L’applicazione del beneficio presuppone dunque
che il documento o certificato sia stato presentato
e che le dichiarazioni siano state effettivamente rese, ancorché non in modo pienamente intellegibile
o senza il rispetto dei requisiti formali.
Al fine di evitare che l’esito delle gare possa essere
alterato da carenze di ordine meramente formale
nella documentazione comprovante il possesso dei
requisiti dei partecipanti, in un’ottica intesa al
contemperamento di principi (talvolta in antitesi),
come quello del “favor partecipationis” e quello della
“par condicio” tra i concorrenti, la norma in esame
ha inteso dunque cercare un punto di equilibrio,
individuato nella distinzione tra il concetto di regolarizzazione (consentita) e quello di integrazione
documentale (non consentita) (5).
La regola operativa che esclude la sanabilità della
omessa produzione di un documento o di una di-
chiarazione trova peraltro attenuazioni nel caso di
oscurità o ambiguità della lex specialis, laddove viene in considerazione la tutela dell’affidamento degli interessati in buona fede (6); mentre, secondo
un orientamento più permissivo, sarebbe consentita anche l’integrazione documentale quando gli atti tempestivamente prodotti offrano un ragionevole
indizio del possesso del requisito non espressamente o univocamente documentato.
Per contro, è stata esclusa l’operatività dell’istituto:
a) in caso di mancata produzione della dichiarazione o comunque di omissioni su elementi essenziali,
anche se dovute a mera dimenticanza (7); b) per la
modifica o l’integrazione dell’offerta tecnica e di
quella economica, stante il principio di immodificabilità che è garanzia di par condicio; fatta eccezione per refusi o errori materiali dell’offerta (8); c)
per far valere un requisito non posseduto al momento della scadenza del termine di presentazione
delle offerte (9), stante anche il principio di continuità nel possesso dei requisiti; d) per la sanatoria
di dichiarazioni tempestivamente rese ma obiettivamente mendaci (10); e) in fasi della procedura
diverse e successive rispetto a quella deputata alla
verifica dei requisiti di ammissione, avendo la prevalente giurisprudenza valorizzato l’ambito di operatività fissato dalla norma (“Nei limiti previsti dagli articoli da 38 a 45”) (11).
(4) Cons. Stato, Sez. IV, sent. 29 febbraio 2016, n. 859.
(5) V. per tutte Cons. Stato, Ad. Plen. sent. 25 febbraio
2014, n. 9: “la linea di demarcazione discende naturaliter dalle
qualificazioni stabilite ex ante nel bando, nel senso che il principio del “soccorso istruttorio” è inoperante ogni volta che
vengano in rilievo omissioni di documenti o inadempimenti
procedimentali richiesti a pena di esclusione dalla legge di gara (specie se si è in presenza di una clausola univoca), dato
che la sanzione scaturisce automaticamente dalla scelta operata a monte dalla legge, senza che si possa ammettere alcuna possibilità di esercizio del ‘potere di soccorso’; conseguentemente, l’integrazione non è consentita, risolvendosi in un effettivo vulnus del principio di parità di trattamento; è consentita, invece, la mera regolarizzazione, che attiene a circostanze
o elementi estrinseci al contenuto della documentazione e che
si traduce, di regola, nella rettifica di errori materiali e refusi”.
(6) V. Cons. Stato, Sez. V, sent. 11 aprile 2011, n. 2230 e
Sez. III, sent. 4 febbraio 2014, n. 507; conf., più recentemente,
Sez. V, sent. 16 marzo 2016, n. 1039.
(7) V. Cons. Stato, Sez. III, sent. 15 gennaio 2014, n. 123 in
Giornale di diritto amministrativo, n. 5/2014 con nota di E. Frediani.
(8) V., per le carenze dell’offerta economica, Cons. Stato,
Sez. III, sent. 1° aprile 2016, n. 1307 e Sez. V, 22 marzo 2016,
n. 993, ord. nonché Ad. Plen. 2 novembre 2015, n. 9 in tema
di omessa indicazione di oneri di sicurezza aziendali; per le carenze dell’offerta tecnica, Cons. Stato, Sez. III, sent. 26 maggio
2014, n. 2690 e sent. 1° aprile 2016, n. 1318. Si veda però
Cons. Stato, Sez. V, sent. 27 ottobre 2014, n. 5297 che afferma l’operatività del soccorso istruttorio in ipotesi di contraddi-
zione interna all’offerta tecnica che possa ritenersi errore materiale di immediata percezione.
(9) Giurisprudenza consolidata. Come osservato da Cons.
Stato, Ad. Plen., sent. 25 febbraio 2014, n. 9 “diversamente
opinando, si andrebbe a ledere il principio della par condicio
tra i concorrenti, in quanto si consentirebbe ad uno o ad alcuni
di essi di integrare i requisiti cui è subordinata la partecipazione alla procedura di gara in un momento successivo alla scadenza del termine, previsto dagli atti di gara, per la presentazione delle offerte; principio questo che non viene ad essere
violato da un semplice elemento di correzione e completamento di elementi dichiarativi già presentati all’amministrazione
aggiudicatrice”. conf., più di recente, Cons. Stato, Ad. Plen.,
sent. 29 febbraio 2016, n. 6.
(10) Giurisprudenza consolidata. Vedi, per tutte, C.G.A.R.S.,
sent. 13 ottobre 2015, n. 630: “In tema di pubblici appalti, la
sanatoria di una dichiarazione obiettivamente mendace non
può ricondursi nell’ambito di quelle ipotesi cui deve correlarsi
l’esercizio del soccorso istruttorio, consistente unicamente nel
dovere della stazione appaltante di regolarizzare certificati, documenti o dichiarazioni già esistenti ovvero di completarli, in
relazione ai requisiti soggettivi di partecipazione, chiedere
chiarimenti, rettificare errori materiali o refusi, fornire interpretazioni di clausole ambigue nel rispetto della par condicio dei
concorrenti”. Più recentemente, Cons. Stato, Sez. V, sent. 11
aprile 2016, n. 1412.
(11) V., sull’ambito di operatività dell’istituto, le osservazioni
critiche di M. Monteduro, sub. art. 46, in Codice dei Contratti
Pubblici, Caringella - Protto, Roma, 2012. Quanto alla applicabilità del soccorso istruttorio alla fase di comprova dei requisi-
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Al primo e unico comma dell’art. 46, è stato poi
aggiunto, ad opera del D.L. 13 maggio 2011, n. 70,
convertito con L. 12 luglio 2011, n. 106, il comma
1 bis che ha introdotto il principio della c.d. tassatività delle cause di esclusione (12). Accentuando
la prospettiva sostanzialistica, la norma mira a porre un freno alla proliferazione delle cause di esclusione fissate discrezionalmente - e talora oltre i limiti di proporzionalità e ragionevolezza - dalle stazioni appaltanti; con indiretto ampliamento dell’ambito di operatività del soccorso istruttorio (13).
In proposito si è però precisato che l’esclusione
della gara può essere disposta sia nel caso in cui il
codice, la legge statale o il regolamento attuativo
la comminino espressamente, sia nell’ipotesi in cui
impongano ‘adempimenti doverosi’ o introducano,
comunque, “norme di divieto” pur senza prevedere
espressamente l’esclusione (14).
Sull’istituto del soccorso istruttorio è poi intervenuto il D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con
modificazioni dalla L. 12 agosto 2014, n. 114, il
cui art. 39, rubricato “Semplificazione degli oneri
formali nella partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici”, ha introdotto nell’art.
38 del D.Lgs. 163/2006 il comma 2 bis, applicabile
alle procedure di affidamento indette dopo il 25
giugno 2014 (15). Contestualmente, è stato introdotto il comma 1 ter dell’art. 46, finalizzato a chiarire l’ambito di operatività del richiamato comma
2 bis (16).
Al fine dichiarato di deflazionare il contenzioso
sulle ammissioni alle gare, la citata riforma attua
una procedimentalizzazione del soccorso istruttorio,
che diventa doveroso per ogni ipotesi di mancanza
o di irregolarità delle dichiarazioni sostitutive, e
configura l’esclusione dalla procedura come sanzione non più conseguente alla carenza originaria, ma
all’omessa integrazione o regolarizzazione entro il
termine perentorio assegnato dalla stazione appaltante (17).
La novella normativa - alla quale ha dato sostanziale continuità il nuovo codice - consente insomma la sanatoria di ogni omissione o incompletezza
documentale e supera il limite della sola integrazione e regolarizzazione di quanto già dichiarato e
prodotto in gara, con ciò realizzando un’inversione
radicale dei principi precedentemente enunciati
dalla giurisprudenza, pur mantenendo fermi il limite intrinseco dell’inalterabilità del contenuto dell’offerta, della certezza in ordine alla provenienza
della stessa, del principio di segretezza che presiede
alla presentazione della medesima e di inalterabili-
ti, ex art. 48, D.Lgs. 163/2006, V., in senso negativo, Cons.
Stato, Sez. VI, sent., 26 marzo 2015, n. 1594, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, sent. 22 marzo 2016, n. 3580, T.A.R. Umbria, Sez.
I, sent. 25 marzo 2016, n. 285. Cons. Stato, Sez. V, sent. 15
marzo 2016, n. 1032 ammette invece il soccorso istruttorio a
valle di una richiesta di comprova generica.
(12) “1-bis. La stazione appaltante esclude i candidati o i
concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni
previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto
di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di
non integrità del plico contenente l’offerta o la domanda di
partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che
sia stato violato il principio di segretezza delle offerte; i bandi e
le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni
a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono comunque nulle”.
(13) Valorizzando il principio di tassatività delle cause di
esclusione, la giurisprudenza ha ad esempio ritenuto sanabili
con il soccorso istruttorio i vizi e le irregolarità della cauzione
provvisoria, da prestarsi comunque nei termini. (V. Cons. Stato, Sez. III, sent. 1° febbraio 2012, n. 493; Sez. IV, sent. 6 aprile
2016, n. 1377; Sez. V, sent. 15 ottobre 2015, n. 4764).
(14) V. AVCP, Prime indicazioni sui bandi tipo: tassatività delle cause di esclusione e costo del lavoro, Audizione del 29 settembre 2011, ove si precisa che “ogni qual volta il Codice o il
Regolamento si esprimono in termini di divieto ovvero di doverosità degli adempimenti imposti ai concorrenti e candidati,
con l’uso delle locuzioni ‘deve’ ‘devono’, ‘è obbligato’, l’adempimento deve ritenersi imposto a pena di esclusione”; nello
stesso senso V. anche Cons. Stato, Ad. Plen., sent. 25 febbraio
2014, n. 9.
(15) “2-bis. La mancanza, l’incompletezza e ogni altra irre-
golarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 obbliga il concorrente che vi ha dato causa al pagamento, in favore della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara, in misura non inferiore all’uno per mille e non superiore all’uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 50.000 euro, il cui
versamento è garantito dalla cauzione provvisoria. In tal caso,
la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non
superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i
soggetti che le devono rendere. Nei casi di irregolarità non essenziali, ovvero di mancanza o incompletezza di dichiarazioni
non indispensabili, la stazione appaltante non ne richiede la regolarizzazione, né applica alcuna sanzione. In caso di inutile
decorso del termine di cui al secondo periodo il concorrente è
escluso dalla gara. Ogni variazione che intervenga, anche in
conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle
offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura,
né per l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte.”.
(16) “1-ter. Le disposizioni di cui all’articolo 38, comma 2bis, si applicano a ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o
irregolarità degli elementi e delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti in base
alla legge, al bando o al disciplinare di gara”.
(17) Sulla introduzione dell’art. 38, comma 2 bis, V. Cons.
Stato, Ad. Plen., sent. 30 luglio 2014, n. 16; Determinazione
ANAC 8 gennaio 2015, n. 1, Criteri interpretativi in ordine alle
disposizioni dell’art. 38, comma 2-bis e dell’art. 46, comma 1ter del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163; P. Cerbo, Il soccorso istruttorio fra ‘mere’ irregolarità, irregolarità sanabili ed errori irrimediabili, in questa Rivista 12/2014; F. Saitta, Le novità del decreto sblocca Italia - forma e sostanza nelle procedure di affidamento di contratti pubblici alla luce degli ultimi interventi legislativi,
in Giur. it., 2015, 1, 234.
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tà delle condizioni in cui versano i concorrenti al
momento della scadenza del termine per la partecipazione alla gara (18).
3. Il D.Lgs. n. 50/2016. Cenni
alla disciplina dei requisiti degli esecutori
Il nuovo codice appalti (19), D.Lgs. 18 aprile 2016,
n. 50, sostanzialmente conferma, pur con alcune
differenze lessicali, la classificazione dei requisiti di
partecipazione di cui al precedente codice.
I requisiti di ordine generale, già prescritti nell’art.
38 del D.Lgs. n. 163/2006, sono ora disciplinati
dall’art. 80, rubricato “motivi di esclusione”. Per il
mancato possesso di tali requisiti, può essere disposta l’esclusione “in qualunque momento della procedura”.
I criteri di selezione, previsti nell’art. 83, corrispondono, invece, ai requisiti di qualificazione e si articolano in requisiti di idoneità professionale, di capacità economica e finanziaria e di capacità tecnica e professionale; requisiti che devono essere “attinenti e proporzionati all’oggetto dell’appalto” (20).
Per la qualificazione degli esecutori di lavori, l’art.
83, comma 2, conferma provvisoriamente il sistema
di qualificazione di cui alla Parte II, Titolo III, del
d.P.R. 207/2010 (artt. da 60 a 96), sino all’emanazione di apposite linee guida ANAC, da adottarsi
entro un anno, relativamente al “sistema unico di
qualificazione degli esecutori di lavori pubblici”, sul
quale si intrattiene il successivo art. 84.
Per quanto invece riguarda gli appalti di servizi e
forniture l’art. 83, ai commi da 4 a 6, individua
spazi di discrezionalità della Stazione Appaltante
in merito agli elementi da richiedere ai fini della
dimostrazione del possesso dei requisiti di capacità
economico-finanziaria e tecnico-professionale.
(18) V. T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, sent. 12 gennaio 2016,
n. 76; conf. T.A.R. Abruzzo, Pescara, sent. 26 aprile 2016, n.
154.
(19) Il D.Lgs. n. 50/2016 è rubricato “Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione
dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture” ed è stato pubblicato sulla G.U.
19 aprile 2016, n. 91.
(20) Si veda considerando n. 83 e art. 58 della Dir.
2014/24/UE e art. 1, lett. r), L. delega n. 11/2016 che richiede:
“definizione dei requisiti di capacità economico finanziaria,
tecnica, ivi compresa quella organizzativa, e professionale, attinenti e proporzionati all’oggetto dell’appalto, che gli operatori
economici devono possedere per partecipare alle procedure di
gara, tenendo presente l’interesse pubblico ad avere il più ampio numero di potenziali partecipanti, nel rispetto dei princìpi
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L’insussistenza di motivi di esclusione ex art. 80 e
il rispetto dei criteri di selezione fissati ex art. 83
giustificano l’ammissione dell’operatore alla procedura di affidamento (21) e rappresentano uno dei
presupposti per l’aggiudicazione (art. 94, comma 1,
lett. b).
A mente degli artt. 29, comma 1, e 76, comma 3, i
provvedimenti di ammissione e di esclusione dalla
procedura di affidamento sono pubblicati entro due
giorni sul profilo del committente e contestualmente comunicati ai concorrenti, con avviso a
mezzo p.e.c., al fine di consentire l’eventuale proposizione di ricorso ai sensi dell’art. 120 c.p.a., come modificato dall’art. 204 del D.Lgs. n. 50/2016.
La nuova frontiera della qualificazione va però individuata nel DGUE, Documento di gara unico europeo (22). A norma dell’art. 85, il DGUE consiste
in una autodichiarazione aggiornata come prova
documentale preliminare in sostituzione dei certificati rilasciati da autorità pubbliche o terzi, attraverso la quale l’operatore economico attesta il possesso dei requisiti di ordine generale (e, dunque,
l’insussistenza di motivi di esclusione ex art. 80) e
di quelli di ordine speciale (e, dunque, la soddisfazione dei criteri di selezione di cui all’83) e fornisce
ulteriori informazioni rilevanti, tra cui l’indicazione delle eventuali imprese ausiliarie.
Il DGUE (23) dovrà essere accettato dalle Stazioni
Appaltanti, dal 18 aprile 2018 necessariamente in
forma elettronica, e potrà essere utilizzato in più
procedure di gara, purché sia attestata, in ciascuna
occasione, la persistente validità delle informazioni
che vi sono contenute.
Quando il sistema sarà a regime, i dati e le dichiarazioni contenuti nel DGUE potranno essere verificati attraverso la Banca dati nazionale degli operatori economici di cui all’art. 81, gestita dal Minidi trasparenza e rotazione, nonché a favorire l’accesso da parte delle micro, piccole e medie imprese”.
(21) Gli artt. 80 e 83 sono applicabili agli appalti nei settori
speciali (art. 133, comma 1), laddove è anche prevista la possibilità degli enti aggiudicatori di istituire e gestire un proprio sistema di qualificazione degli operatori economici (V. in part.
artt. 133, 134 e 136).
(22) L’art. 1, lett. aa), L. delega n. 11/2016 prevede tra i criteri direttivi la “previsione che, al fine di ridurre gli oneri documentali, i partecipanti alle gare possano utilizzare il documento
di gara unico europeo (DGUE) o analogo documento predisposto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per autocertificare il possesso dei requisiti”.
(23) Con Regolamento di Esecuzione (UE) n. 2016/7 della
Commissione del 5 gennaio 2016 è stato approvato il “modello di formulario per il documento di gara unico europeo
(DGUE)” (Allegato 2)e regolamentate le istruzioni d’uso (Allegato 1).
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4.1. Generalità
Il nuovo codice degli appalti riprende e disciplina
l’istituto del soccorso istruttorio nelle procedure di
gara, in precedenza - come si è detto - già notevolmente potenziato dal d.l. 90/2014 con l’inserimento del comma 2 bis nell’art. 38 e del comma 1 ter
nell’art. 46 del codice dei contratti del 2006.
Con il comma 9 dell’art. 83 l’istituto viene disciplinato nell’ambito di una disposizione attinente ai
requisiti di qualificazione (o criteri di selezione, se-
condo la nuova definizione data dal codice), ma si
caratterizza a una prima lettura per essere suscettibile di potenziale applicazione in ogni aspetto della
partecipazione alla gara, in coerenza del resto con
quanto disposto riguardo al vecchio soccorso istruttorio (27), pur con le limitazioni specificamente
previste dalla disposizione in commento.
La premessa iniziale contenuta nel primo periodo
del comma 9, infatti, lascia pensare a un campo di
applicazione quanto mai ampio (“Le carenze di
qualsiasi elemento formale della domanda possono
essere sanate attraverso la procedura di soccorso
istruttorio di cui al presente comma”), applicabile
a qualsiasi elemento della domanda, fatte salve - ovviamente - le condizioni applicative precisate nel
seguito della disposizione (che, infatti, prosegue
con “In particolare, ...”).
Tanto, sia in coerenza anzitutto con le indicazioni
della L. delega n. 11/2016, che all’art. 1, comma 1,
lett. z), aveva indicato come obiettivo per il legislatore delegato non solo la riduzione degli oneri
documentali a carico dei concorrenti ma soprattutto la “attribuzione a questi ultimi della piena possibilità di integrazione documentale non onerosa di
qualsiasi elemento di natura formale della domanda”, sia in osservanza delle ulteriori indicazioni rese
in sede consultiva dal Consiglio di Stato (28).
Premessa, quindi, la generalità della regola della sanabilità delle carenze della domanda, la disposizione traccia sostanzialmente tre categorie di situazioni considerabili ai fini della sanabilità o insanabilità:
- la mancanza, l’incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e del documento di
gara unico europeo (sanabili con onerosità);
(24) A norma dell’art. 216, comma 13, D.Lgs. n. 50/2016, al
momento dell’entrata in vigore del D.M. previsto dall’art. 81,
comma 2, la Banca dati centralizzata gestita dal Ministero delle Infrastrutture sostituirà l’attuale sistema AVC Pass gestito
dall’ANAC.
(25) Potere in linea con quanto previsto dagli artt. 59 (Documento di gara unico europeo) e 60 (mezzi di prova) della Dir.
2014/24/UE e dal suo considerando n. 84, dove si stabilisce
che “Le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero anche avere la facoltà di richiedere in qualsiasi momento tutti i documenti complementari o parte di essi se ritengono che ciò sia
necessario per il buon andamento della procedura”.
(26) V. Cons. Stato, Adunanza della Commissione speciale
del 21 marzo 2016, parere sullo schema di Codice; V. anche
De Nictolis, Il nuovo codice dei contratti pubblici, in questa Rivista, n. 5/2016
(27) Già il soccorso istruttorio disciplinato dall’art. 38, comma 2 bis, infatti, pur inserito nella disciplina delle dichiarazioni
di cui al comma 2 dell’art. 38, era stato esteso dall’art. 46,
comma 1 ter, “a ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi che devono essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando
o al disciplinare di gara”.
(28) Anche nel parere del Consiglio di Stato, infatti, si esprime il convincimento che si tratti di istituto di carattere generale, definendo il soccorso istruttorio come “riferito, in termini
generali, a tutti gli aspetti formali dell’offerta”, e consigliando
in tale prospettiva la ricordata formula di apertura (“Le carenze
di qualsiasi elemento formale della domanda possono essere
sanate attraverso la procedura di soccorso istruttorio di cui al
presente comma”), recepita nel testo così come proposta nel
parere consultivo (v. parere Cons. Stato n. 855/2016, sub art.
83). Non è stato però seguito l’invito del Consiglio di Stato a
dedicare all’istituto un apposito articolo, come sarebbe stato
suggerito anche dalla delicatezza e incidenza dell’istituto sulla
regolarità delle gare, e dalla sua funzione di “bilanciamento tra
i principi di massima partecipazione, semplificazione, par condicio e tutela della concorrenza”.
stero delle Infrastrutture e dei Trasporti (24), ovvero attraverso il registro e-Certis di cui all’art. 88, o
altrimenti attraverso la richiesta all’operatore della
documentazione complementare di cui all’art. 85.
Anche indipendentemente dall’utilizzo del DGUE,
la prova sul possesso dei requisiti di partecipazione,
generali e speciali, oltre che acquisita dalla stazione appaltante tramite la citata Banca dati nazionale ai sensi degli artt. 81, comma 1, e 85, commi 3 e
6, potrà essere richiesta direttamente agli operatori (25) in qualsiasi momento della procedura. La
comprova dei requisiti, inoltre, sarà di regola richiesta, prima dell’aggiudicazione, ai primi due
concorrenti in graduatoria, nei limiti di quanto stabilito dall’art. 86 (“mezzi di prova”) e dall’allegato
XVII (“mezzi di prova dei criteri di selezione”).
In definitiva, pur essendo questa ancora una fase di
transizione, è indubbio che il nuovo Codice segna
“un significativo cambio di passo, avviando un’evoluzione da un sistema ‘statico’ di requisiti formali
verso un sistema ‘dinamico’ di requisiti sostanziali,
di tipo reputazionale, e ponendo le premesse per
una revisione del sistema di qualificazione incentrato sulle SOA” (26).
4. Il “nuovo” soccorso istruttorio
(art. 83, comma 9, D.Lgs. n. 50/2016)
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- le irregolarità formali ovvero la mancanza o incompletezza di dichiarazioni non essenziali (sanabili senza onerosità);
- la mancanza, l’incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale riguardanti l’offerta tecnica ed economica, nonché le carenze della documentazione
che non consentano l’individuazione del contenuto o del soggetto responsabile della stessa (non sanabili).
Alle tre categorie di situazioni sopra indicate corrispondono tre diverse modalità di “soluzioni”:
- alla prima categoria, che si potrebbe definire come quella delle irregolarità essenziali sanabili, corrisponde l’attivazione della procedura di regolarizzazione onerosa, con assegnazione del termine per
provvedervi e determinazione della sanzione da pagare, a pena di esclusione;
- alla seconda categoria, che si potrebbe definire
come quella delle irregolarità non essenziali e perciò a maggior ragione sanabili, corrisponde l’attivazione della procedura di regolarizzazione non onerosa, ma ugualmente da osservare a pena di esclusione;
- alla terza categoria non corrisponde possibilità di
rimedio nell’ambito del soccorso istruttorio, poiché
il concorrente verrà ineluttabilmente escluso.
L’opzione di stabilire tre categorie di irregolarità,
dai confini peraltro neppure ben definiti (con concreto rischio di dubbi interpretativi e applicativi (29)), contravviene ai suggerimenti del Consiglio di Stato in sede di parere consultivo, ove si
proponeva di semplificare la disposizione prevedendo due sole fattispecie di soccorso, quella delle irregolarità formali non essenziali (sanabili gratuitamente), e quella delle lacune essenziali, non sanabili.
Peraltro, l’estensione del soccorso - già ad opera
dell’art. 38, comma 2 bis - sostanzialmente a ogni
ipotesi di necessità di regolarizzazione (le “carenze
di qualsiasi elemento formale della domanda”, la
“mancanza, l’incompletezza e ogni altra irregolarità
essenziale degli elementi e del documento di gara
unico europeo”, i “casi di irregolarità formali, ovve(29) Già nella sentenza Cons. Stato, Ad. Plen., 30 luglio
2014, n. 16, si osservava che la precedente disposizione di cui
all’art. 38, comma 2 bis, era caratterizzata da “un lessico infelice e foriero di incertezze interpretative ed applicative (e, quindi, anche di contenzioso)”, e la nuova disposizione non pone
rimedio a questo. In ogni caso la stessa sentenza concludeva
nel senso che la (allora) nuova disposizione, oggi superata,
tendeva a superare tutte le preclusioni precedentemente ravvisate al soccorso istruttorio “mediante la procedimentalizzazione del potere di soccorso istruttorio (che diventa doveroso per
ogni ipotesi di mancanza o di irregolarità delle dichiarazioni so-
912
ro di mancanza o incompletezza di dichiarazioni
non essenziali”), e quindi non solo a mere irregolarità formali ma anche a incompletezze o mancanze
vere e proprie, fa sì che il campo di applicazione
generale dell’istituto sia definibile più che altro in
termini negativi, e cioè attraverso l’individuazione
di ciò che certamente non può essere oggetto di
soccorso; mentre la distinzione tra le categorie entrambe assoggettate al soccorso a pena d’esclusione - delle irregolarità essenziali o non essenziali
(entrambe sanabili) rileverà prevalentemente ai fini della onerosità o meno della regolarizzazione,
dando perciò luogo - sotto questo profilo - a possibile contenzioso essenzialmente fra la stazione appaltante e il concorrente onerato che reclami invece la gratuità della procedura.
4.2. Le carenze o irregolarità essenziali
sanabili
Vista la generalità dell’istituto, per quanto si è sopra detto, in questa categoria dovrebbero rientrare
tutte le carenze, le incompletezze e le irregolarità
degli elementi (di tutti gli elementi) e del documento di gara unico europeo che devono necessariamente essere completate e regolarizzate ai fini
della procedibilità e validità della domanda ovvero
dell’accertamento del requisito in capo al concorrente (in tal senso essenziali), purché - limite negativo - non siano afferenti all’offerta tecnica ed economica ovvero pregiudichino l’individuazione del
loro stesso contenuto o del soggetto responsabile
della documentazione (e cioè della domanda),
giacché in tal caso sarebbe del tutto preclusa la regolarizzazione.
Resta perciò superata l’opzione interpretativa dell’ANAC - riferita però alla vecchia norma - secondo la quale con la nozione di irregolarità essenziale
(sanabile) il legislatore aveva inteso riferirsi al caso
di impossibilità di “individuare con chiarezza il soggetto ed il contenuto della dichiarazione stessa”,
ovvero ancora la “mancanza della sottoscrizione
della dichiarazione stessa” (30).
stitutive) e la configurazione dell’esclusione dalla procedura
come sanzione unicamente legittimata dall’omessa produzione, integrazione o regolarizzazione delle dichiarazioni carenti
entro il termine assegnato dalla stazione appaltante (e non più
da carenze originarie)”.
(30) Così si riteneva nella Determinazione ANAC n. 1 dell’8
gennaio 2015, riferita alla norma precedente, nella quale ovviamente non era stata ancora precisata la insanabilità delle irregolarità tali da pregiudicare l’individuazione del contenuto o
del soggetto responsabile della documentazione.
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Sono venuti meno - già con l’art. 38, comma 2 bis,
del vecchio codice - alcuni dei tradizionali limiti
di sanabilità elaborati dalla giurisprudenza, come
quello della impossibilità di integrare le dichiarazioni con elementi nuovi (distinguendosi a tal fine
tra regolarizzazioni o chiarimenti, comunque consentiti, e integrazioni vere e proprie, prima non
consentite), ovvero quello della impossibilità di
praticare il soccorso in presenza di mancanze sanzionate con l’esclusione nella lex specialis (si ritiene, infatti, che il concetto di irregolarità essenziale
si riferisca principalmente proprio al caso di carenza che, in mancanza di sanatoria, avrebbe condotto
alla sanzione dell’esclusione) (31).
È peraltro ovvio - e anche su questo si è speso il parere del Consiglio di Stato - che è da escludersi che
le carenze possano riguardare il concreto possesso
dei requisiti, e che “sia possibile per il concorrente
dotarsi anche successivamente di un elemento di
partecipazione in precedenza non posseduto” (32).
Questo, che costituiva un tradizionale limite anche
nelle prime applicazioni del soccorso istruttorio (33), ove si chiariva che con la integrazione di
cui al primo comma dell’art. 46 si sarebbe potuto al
più documentare un requisito o elemento storico già
esistente al tempo della domanda e giammai dotarsene ex novo, se non è del tutto chiarito dalla ambigua formulazione del secondo periodo della norma
(ove ci si riferisce alla “mancanza ... degli elementi” (34)), è tuttavia pur sempre ricavabile dalla già
ricordata formula di apertura (“Le carenze di qualsiasi elemento formale della domanda possono esse-
re sanate ...”), che delinea i contorni dell’istituto
pur sempre nell’ambito della regolarizzazione formale, fermo il possesso del requisito in data anteriore.
Per la stessa ragione, ad esempio, dovrebbe ritenersi non integrabile la dichiarazione di volontà di far
ricorso all’avvalimento, poiché prima del perfezionamento di detta dichiarazione il requisito non potrebbe dirsi posseduto dall’impresa ausiliata, e perciò ammetterne la presentazione in un momento
successivo significherebbe consentire al concorrente di dotarsi di un requisito di cui la stessa non godeva al momento della domanda.
Deve escludersi altresì la sanabilità di dichiarazioni
che non siano semplicemente omesse bensì mendaci, in quanto il concorrente non si sia limitato a
omettere una dichiarazione - ad esempio, di insussistenza di condanne - bensì l’abbia resa in senso
negativo (35), contro la verità dei fatti.
(31) Si veda, ancora, la Determinazione n. 1/2015 dell’Anac,
secondo la quale è evidente come la novella “determini un superamento dei principi sopra enunciati, comportando un’inversione radicale di principio: inversione in base alla quale è generalmente sanabile qualsiasi carenza, omissione o irregolarità, con il solo limite intrinseco dell’inalterabilità del contenuto
dell’offerta, della certezza in ordine alla provenienza della stessa, del principio di segretezza che presiede alla presentazione
della medesima e di inalterabilità delle condizioni in cui versano i concorrenti al momento della scadenza del termine per la
partecipazione alla gara”. E ancora: “Si ritiene, infatti, che le irregolarità essenziali, ai fini di quanto previsto dall’art. 38, comma 2-bis, coincidono con le irregolarità che attengono a dichiarazioni ed elementi inerenti le cause tassative di esclusione
(come individuate nella determinazione n. 4/2012), previste nel
bando, nella legge o nel disciplinare di gara, in ordine alle quali
non è più consentito procedere ad esclusione del concorrente
prima della richiesta di regolarizzazione da parte della stazione
appaltante”.
(32) Va altresì ricordato che il possesso dei requisiti non solo deve sussistere al momento della domanda, ma deve perdurare per tutto lo svolgimento della procedura e persino durante
l’esecuzione del contratto, come da ultimo puntualizzato da
Cons. Stato, Ad. Plen., 20 luglio 2015, n. 8.
(33) Nella stessa premessa della Determinazione n. 1/2015
dell’Anac veniva precisato, qualora occorresse, che “la nuova
disciplina del soccorso istruttorio in nessun caso può essere
utilizzata per il recupero di requisiti non posseduti al momento
fissato dalla lex specialis di gara, quale termine perentorio per
la presentazione dell’offerta o della domanda”. E già nella sentenza Cons. Stato, Ad. Plen., 25 febbraio 2014, n. 9, sia pure
con riferimento alla disposizione di cui all’art. 46, comma 1,
del vecchio codice, si ricordava che “il soccorso istruttorio ricomprende la possibilità di chiedere chiarimenti purché il possesso del requisito sia comunque individuabile dagli atti depositati e occorra soltanto una delucidazione ovvero un aggiornamento”. Da ultimo, poi, Cons. Stato, Ad. Plen., 29 febbraio
2016, n. 6 e 25 maggio 2016, n. 10, hanno confermato l’impossibilità di porre rimedio alla originaria carenza di un requisito (in quei casi, di regolarità contributiva) a mezzo della procedura di regolarizzazione di cui all’art. 31, comma 8, D.L. n.
69/2013.
(34) Con riferimento alla analoga formulazione già dell’art.
38, comma 2-bis, C. Contessa, Soccorso istruttorio e principio
di stabilità della soglia di anomalia, in Giur. it., 2015, 7, 1685,
osservava che la tesi della limitazione del soccorso istruttorio
alla sola ipotesi della lacuna dichiarativa riferita a requisiti comunque posseduti “risulta apparentemente difficile da coniugare con il dato normativo secondo cui il ‘soccorso a pagamento’ è ammesso anche in caso di ‘mancanza degli elementi’ (in tal senso l’incipit del comma 2 bis)”.
(35) Così sempre la determinazione n. 1/2015 dell’ANAC
nonché giurisprudenza costante (da ultimo, Cons. Stato, Sez.
V, 19 maggio 2016, n. 16).
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4.3. Le carenze o irregolarità non essenziali
sanabili
Per contrapposizione alla categoria delle irregolarità essenziali, in questa categoria dovrebbero rientrare tutte le irregolarità formali e le carenze, le incompletezze e le irregolarità della documentazione
e delle dichiarazioni che non costituiscono il contenuto essenziale della domanda e non ne condizionano la validità (in tal senso non essenziali), e
tuttavia debbono essere regolarizzate, anche in
questo caso purché dette carenze non pregiudichino a monte l’individuazione del contenuto o del
soggetto responsabile della documentazione.
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Non costituisce, invece, propriamente un limite in
negativo della categoria la circostanza che dette irregolarità riguardino l’offerta tecnica ed economica, poiché la norma in senso letterale sembra precludere la sanabilità delle sole irregolarità essenziali
afferenti all’offerta tecnica ed economica, legittimando così l’idea che anche nell’offerta tecnica ed
economica possano esservi in teoria irregolarità
non essenziali o formali sanabili.
Ciò che maggiormente colpisce nella nuova disciplina rispetto a quella di cui all’art. 38, comma 2bis, è che questa categoria di irregolarità nel precedente regime non richiedeva alcuna regolarizzazione. Oggi, invece, non solo ne è richiesta espressamente la regolarizzazione, ma il positivo espletamento della stessa, ancorché di carattere non oneroso, condiziona la stessa legittima permanenza
nella gara (la precisazione “in caso di inutile decorso del termine di regolarizzazione, il concorrente è
escluso dalla gara” riguarda la procedura di sanatoria sia delle irregolarità essenziali sia di quelle non
essenziali).
Considerando, però, che per essere non “essenziali”
queste irregolarità o carenze non debbono di certo
rientrare in fattispecie espulsive tipiche o integrarne gli estremi, e che, in forza del principio di tassatività delle cause di esclusione (36), solo relativamente a queste ultime opera il potere-dovere di
escludere il concorrente dalla gara, si deve concludere che questa nuova previsione, contemplando
l’esclusione di un concorrente per non aver ottemperato alla regolarizzazione di una mancanza che
non costituirebbe di per sé causa di esclusione, finisce con l’annacquare il principio di tassatività
delle cause di esclusione, o quanto meno con l’integrare essa stessa una sorta di clausola di esclusione in bianco (quanto ai comportamenti che innescano la procedura suscettibile di provocare l’espulsione); il che però, considerando la ratio posta a
base del principio di tassatività, che mira essenzialmente a garantire la proporzionalità, imparzialità e
non discriminazione delle procedure, appare quan-
Per le irregolarità essenziali la norma contempla
una procedura di regolarizzazione non solo necessaria - a evitare l’esclusione - ma altresì onerosa.
Sul punto va anzitutto rilevato che la legge delega (39) aveva assegnato al legislatore il compito di
attribuire ai concorrenti la “possibilità di integrazione documentale non onerosa”, mentre la disposizione, pur riducendo sensibilmente il massimo
edittale in precedenza previsto dal comma 2 bis
dell’art. 38 (che passa da euro 50.000 a euro
5.000), non ha seguito tale indicazione, né ha seguito i rilievi sollevati dal Consiglio di Stato sullo
schema di decreto rimessogli. Nel parere dell’organo consultivo infatti, pur evidenziandosi che la
scelta del legislatore per la gratuità della regolarizzazione avrebbe eliminato un importante deterrente di responsabilizzazione per le concorrenti, si segnalava la “dubbia conformità con la previsione
della legge delega”, e si affermava categoricamente
che “non si può riproporre il meccanismo del c.d.
‘soccorso istruttorio a pagamento’ di cui all’attuale
art. 38 co. 2-bis dell’abrogando codice”.
(36) Principio già affermato dall’art. 46, comma 1 bis, del
vecchio codice, e ora ripreso dall’art. 83, comma 8: “I bandi e
le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a
pena di esclusione rispetto a quelle previste dal presente codice
e da altre disposizioni di legge vigenti. Dette prescrizioni sono
comunque nulle”.
(37) Come ricorda Cons. Stato, Ad. Plen., 25 febbraio 2014,
n. 9, “la riforma del 2011, infatti, ha inteso selezionare e valorizzare solo le cause di esclusione rilevanti per gli interessi in
gioco, a quel punto imponendole, del tutto logicamente, come
inderogabili non solo al concorrente ma anche alla stazione
appaltante”, operando così direttamente “il bilanciamento tra
l’interesse alla massima partecipazione alle gare di appalto ed
alla semplificazione, da un lato, e quello alla speditezza dell’azione amministrativa ed alla parità di trattamento, dall’altro”,
“salvaguardando una serie predefinita di interessi, selezionati
ex ante”, e rafforzando in tal modo la “indole sostanziale” della
regola. Ciò che rischia di essere vanificato con una clausola in
bianco.
(38) Tra le tante, Cons. Stato, Sez. III, 16 marzo 2012, n.
1471 e 3 marzo 2011, n. 1371, nonché Sez. VI, 10 dicembre
2012, n. 6291.
(39) La più volte citata L. n. 11/2016, art. 1, comma 1, lett.
z).
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to meno discutibile, e in ogni caso distonica rispetto alla regola generale enunciata al comma precedente (37).
Nella sostanza, sanzionando le carenze o irregolarità non essenziali che non vengano regolarizzate nel
termine assegnato, si recupera in qualche modo
quel principio, affermato in un certo periodo nella
giurisprudenza del Consiglio di Stato in contrapposizione alla teoria del c.d. falso innocuo, secondo il
quale la completezza delle dichiarazioni, oltre a rispondere al principio di autoresponsabilità dei concorrenti, è un valore imprescindibile nelle procedure a evidenza pubblica, in quanto strettamente
preordinata al loro celere svolgimento, all’esigenza
di evitare che in sede di ammissione alle suddette
procedure insorgano necessità di approfondimenti
nonché prevenire l’insorgere di contenziosi (38).
4.4. La procedura di regolarizzazione onerosa
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Al tempo stesso, però, il Consiglio di Stato proponeva di semplificare la disposizione prevedendo
due sole fattispecie di soccorso, quella delle irregolarità formali non essenziali (sanabili gratuitamente), e le lacune essenziali, non sanabili.
La persistenza del legislatore delegato nel prevedere comunque l’onerosità del soccorso per questa categoria di irregolarità può far pensare - a non voler
credere a disattenzione o addirittura disobbedienza
- che abbia voluto prevedere una terza categoria di
irregolarità rispetto a quelle consigliate dall’organo
consultivo, e perciò affiancare a quelle meramente
formali e a quelle insanabili le irregolarità che, pur
essenziali e non meramente formali, non cadendo
su elementi immodificabili (quali l’offerta) e non
pregiudicando radicalmente la stessa individuazione del contenuto o del soggetto responsabile, possono essere oggetto di soccorso, a questo punto
oneroso perché “straordinario”.
Evidentemente l’onerosità prevista per questa categoria, per via della straordinarietà del rimedio e soprattutto - della facoltatività della scelta se accollarsi la relativa sanzione economica, non è stata
ritenuta in contrasto con la delega e con le indicazioni riportate.
In effetti, nel precedente assetto dell’istituto (art.
38, comma 2-bis, vecchio codice), anche per via
della diversa formulazione della norma (“la mancanza, l’incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale ... obbliga il concorrente che vi ha dato
causa al pagamento ...”), l’applicazione della sanzione era stata per lo più ritenuta in giurisprudenza
comunque dovuta per effetto della mancanza riscontrata, nel senso che si riteneva che la sanzione
scattasse per il solo fatto della irregolarità senza
che al riguardo rilevasse la scelta del concorrente
se regolarizzare o meno (e quindi sottomettersi o
meno alla sanzione) (40); mentre nell’attuale disposizione è opportunamente (41) chiarito che “la
sanzione è dovuta esclusivamente in caso di regolarizzazione”. Il che apre però la strada a un ulteriore
dubbio: la sanzione viene evitata solo se il concorrente decide di non avvalersi della procedura di regolarizzazione ovvero anche se tenta la regolarizzazione ma non vi riesce, o non rispetta il termine
assegnato?
La lettera della norma farebbe pensare a questa seconda ipotesi, perché la sanzione è prevista “esclusivamente in caso di regolarizzazione”, e non in caso
di avvio della procedura ma non felice esito della
regolarizzazione. Certo è, però, che sposando questa tesi, che appare più aderente anche al principio
di tassatività delle fattispecie sanzionatorie, rischia
di rimanere frustrata quella ratio che recentissima
giurisprudenza ha individuato a base della comminatoria della sanzione, che è vista come prezzo da
pagare per l’aggravamento della procedura di gara (42).
È in ogni caso venuta meno, rispetto alla precedente disposizione, l’affermazione che la cauzione
provvisoria costituisca garanzia per il pagamento di
detta sanzione (43). Mentre - diversamente dal
passato - è ora specificamente previsto che il mancato pagamento comporti l’esclusione dalla gara,
(40) Per la verità, mentre l’Anac aveva espresso parere opposto (v. Determinazione n. 1/2015 dell’Anac: “All’incameramento, in ogni caso, non si dovrà procedere per il caso in cui il
concorrente decida semplicemente di non avvalersi del soccorso istruttorio”), alcuni T.A.R. avevano affermato l’inerenza
della sanzione al mero dato della irregolarità, valorizzando l’elemento testuale della disposizione: così T.A.R. Abruzzo - L’Aquila, 25 novembre 2015, n. 784; T.A.R. Emilia-Romagna - Parma, 29 febbraio 2016, n. 66. Da ultimo, però, T.A.R. Campania
- Napoli, Sez. I, 27 maggio 2016, n. 2749, ha motivatamente
dissentito da questa interpretazione, osservando che l’acquiescenza da parte del concorrente al rilievo di irregolarità evita
alla stazione appaltante l’aggravamento di dover istruire un
procedimento di regolarizzazione e fa perciò venire meno la ragione della sanzione, che costituirebbe altrimenti una “misura
vessatoria e afflittiva per le imprese” e “trasmuterebbe in un
disincentivo alla partecipazione alle gare pubbliche”. Si può
segnalare, inoltre, che con ordinanza cautelare 5 maggio
2016, n. 2377, il T.A.R. del Lazio - Roma, Sez. III, ha accolto l’istanza cautelare richiesta dalla ricorrente apprezzando il “‘fumus boni juris’, in ragione dei profili, rilevabili d’ufficio, di possibile incompatibilità comunitaria dell’art. 38, comma 2-bis,
d.lgs. n. 163 del 2006, il quale prevede, in caso di soccorso
istruttorio per irregolarità od omissioni “essenziali”, l’applicazione di una sanzione pecuniaria automatica di elevato importo e condizionante la partecipazione alla gara, non contemplata né direttamente né implicitamente dalle direttive comunita-
rie di riferimento”. I rilievi del T.A.R. attengono a profili in parte
superati (l’elevato importo della sanzione è stato ora ridotto, e
la sanzione economica non è più automatica) nel nuovo assetto dell’istituto, il quale tuttavia partirà già con un pesante fardello ove la questione verrà poi - nel merito - effettivamente rimessa alla Corte di giustizia come il T.A.R. ha lasciato presagire.
(41) Riferisce infatti S. Usai, Ambito oggettivo di applicazione del soccorso istruttorio integrativo, in questa Rivista, n.
10/2015, 1085, nota n. 19, che “lo stesso procuratore della
Corte dei Conti, in sede di inaugurazione dell’anno giudiziario
2015, ha sostenuto nella propria relazione che il pagamento
della sanzione in commento deve essere richiesta a pena di
danno erariale”.
(42) V., ancora, T.A.R. Campania - Napoli n. 2749/2016 cit.:
“la sanzione costituisce una misura di “fiscalizzazione” dell’irregolarità o dell’incompletezza documentale e costituisce una
contropartita da corrispondere alla stazione appaltante per
l’aggravamento del procedimento di verifica della regolarità e
completezza della documentazione amministrativa: è evidente
che tale aggravamento consegue solo all’attivazione e alla effettiva fruizione da parte del concorrente medesimo del soccorso istruttorio mentre, qualora il partecipante non intenda
avvalersi del beneficio, la selezione concorsuale procederà più
spedita”.
(43) Per i problemi applicativi di tale previsione si veda ancora la Determinazione n. 1/2015 dell’Anac.
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poiché nel termine, non superiore a dieci giorni,
che deve essere assegnato dalla stazione appaltante
per rendere le dichiarazioni integrative per la regolarizzazione, deve essere altresì presentato il “documento comprovante l’avvenuto pagamento della
sanzione, a pena di esclusione”.
Tanto premesso in ordine alle caratteristiche principali del procedimento di regolarizzazione onerosa,
si può perciò ricordare che il procedimento contempla, successivamente al rilievo di una mancanza, incompletezza ovvero altra irregolarità essenziale, l’assegnazione al concorrente di un termine non
superiore a dieci giorni perché siano rese, integrate
o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, previa
indicazione del contenuto e dei soggetti che le devono rendere, oltre che la indicazione della somma
da pagare a titolo di sanzione pecuniaria in favore
della stazione appaltante, nella misura stabilita già
dal bando di gara che deve essere non inferiore all’uno per mille e non superiore all’uno per cento
del valore della gara e comunque non superiore a
euro 5.000.
Le regolarizzazioni devono intervenire e le dichiarazioni integrative occorrenti devono essere presentate contestualmente al documento comprovante l’avvenuto pagamento della sanzione, a pena di
esclusione, entro il termine assegnato, da considerarsi senz’altro perentorio giacché la norma espressamente dispone che “in caso di inutile decorso del
termine di regolarizzazione, il concorrente è escluso
dalla gara”.
Si può aggiungere che questa procedura di soccorso
istruttorio, così tipizzata e disciplinata dall’art. 83,
comma 9, dovrebbe essere applicabile esclusivamente in questa fase della procedura di gara, e cioè
nella fase dedicata alla verifica iniziale delle condizioni di ammissione dei concorrenti, e non va confusa con le ulteriori ipotetiche occasioni di integrazione documentale che si possono verificare più
avanti nella gara allorché, in applicazione dell’art.
85, comma 5, la stazione appaltante intenda chiedere agli offerenti “in qualsiasi momento nel corso
della procedura” di presentare tutti i documenti
complementari o parte di essi “qualora questo sia
necessario per assicurare il corretto svolgimento
della procedura”, ovvero, prima dell’aggiudicazione, richieda all’offerente cui ha deciso di aggiudicare l’appalto e al secondo classificato di presentare
(44) Lo stesso Consiglio di Stato, nel più volte richiamato
parere consultivo, definisce questa richiesta di integrazioni “un
utile corollario del principio del soccorso istruttorio in corso di
gara e della leale collaborazione fra amministrazione e concor-
916
documenti complementari aggiornati. In questi casi, l’art. 85, comma 5, prevede che “la stazione appaltante può invitare gli operatori economici a integrare i certificati richiesti ai sensi degli articoli
86 e 87”, ma evidentemente al di fuori della straordinaria procedura di cui all’art. 83, comma 9, di
cui non condivide, stando alla lettera delle norma,
le connotazioni essenziali, essendo limitata alla
mera facoltà di integrazione, essendo apparentemente facoltativa e non doverosa, non essendo
previsto un termine perentorio per l’adempimento,
un onere, una sanzione (44).
Il che del resto si pone in continuità con quell’indirizzo - ricordato supra - che, già nel vigore delle
vecchie norme, limitava l’applicazione della procedura di soccorso istruttorio vero e proprio alla fase
di verifica preliminare dei requisiti di partecipazione, negandone invece l’applicazione alla fase di
comprova post aggiudicazione.
4.5. La procedura di regolarizzazione
non onerosa
Quanto alla procedura di regolarizzazione non onerosa delle irregolarità formali ovvero della carenza
o incompletezza di dichiarazioni non essenziali, la
norma richiama la stessa procedura applicabile per
la regolarizzazione dei vizi essenziali, e perciò: la segnalazione della irregolarità da parte della stazione
appaltante; l’assegnazione al concorrente di un termine non superiore a dieci giorni perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, previa indicazione del contenuto e dei soggetti che le devono rendere; la verifica del corretto
adempimento.
Manca, in questo caso, come si è detto, l’applicazione della sanzione.
In caso di inadempimento a quanto prescritto, il
concorrente è comunque escluso dalla gara.
4.6. Le carenze o irregolarità non sanabili
Rientrano, invece, in questa categoria la mancanza, l’incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale riguardanti l’offerta tecnica ed economica, nonché le carenze della documentazione che non consentano l’individuazione del contenuto o del soggetto responsabile della stessa.
Riguardo alla impraticabilità della regolarizzazione
dell’offerta tecnica o economica, ancorché non sia
renti”, confermando con ciò che le due ipotesi e le due procedure sono comunque distinte, ancorché rispondenti ad analoga ratio.
Urbanistica e appalti 8-9/2016
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Nuovo Codice appalti
stato seguito il suggerimento del Consiglio di Stato
di precisare che è conservata una forma di soccorso
procedimentale riferito agli elementi dell’offerta
tecnica ed economica (nel senso di consentire una
richiesta di chiarimenti “in caso di dubbi riguardanti il contenuto dell’offerta”) (45), può ritenersi
che, laddove la norma esclude la sanabilità delle irregolarità “essenziali” riguardanti l’offerta tecnica
ed economica, non escluda per converso la sanabilità di quelle “non essenziali”, e perciò lasci aperto
uno spazio - che sarà compito delle giurisprudenza
semmai precisare - per chiarimenti sul contenuto
delle offerte, naturalmente non additivi o modificativi (46) e meramente “formali”.
Va da sé che, al di fuori di eventuali minimi spazi
di interlocuzione e chiarimento sui contenuti dell’offerta (si può pensare al caso dell’errore materiale riconoscibile (47), ovvero alla omissione colmabile con un mero calcolo matematico (48)), ogni
intervento sulla stessa altererebbe la par condicio e
violerebbe il canone della imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa.
Quanto al resto, viene affermata la insanabilità
delle dichiarazioni che non consentano neppure di
ricostruire il contenuto o di risalire all’autore delle
stesse (si pensi al caso scolastico della mancanza
della sottoscrizione), ritenendole evidentemente in
tal caso sostanzialmente inesistenti e perciò prive
di quelle connotazioni minime per poter essere oggetto di regolarizzazione.
Si è poi anticipato, nel commentare gli altri profili,
a ulteriori situazioni che, pur non espressamente
contemplate dalla norma, devono tuttavia ritenersi
insuscettibili di regolarizzazione, quali la carenza
originaria del requisito di qualificazione, la falsità
della dichiarazione già resa nella gara, la violazione
suscettibile di incidere sulla segretezza dell’offerta,
e altre che la pratica indicherà nelle immancabili
occasioni di applicazione della norma in commento.
(45) Ciò che il Consiglio di Stato, nel parere consultivo, proponeva di precisare riformulando la norma nel senso che le carenze della domanda potessero essere sanate “con esclusione
di quelle incidenti sulle valutazioni del merito dell’offerta economica e di quella tecnica”.
(46) Sulla impossibilità di praticare il soccorso istruttorio
sull’offerta si veda Cons. Stato, Sez. III, 1° aprile 2016, n.
1318, ove si afferma che l’attivazione del soccorso è “rigorosamente preclusa se preordinata ad ammettere precisazioni o integrazioni dei contenuti dell’offerta tecnica, che integrerebbero, come tali, inammissibili mutamenti postumi della stessa (in
violazione del principio di immodificabilità dell’offerta, affermato, tra le tante, da Cons. Stato, Sez. III, 26 maggio 2014, n.
2690)”.
(47) Si veda, ad esempio, la già citata sentenza Cons. Stato
n. 5297/2014, ove - in una gara d’appalto per servizi di ristorazione - si ammette sostanzialmente la correzione della indicazione del centro cottura presente nella offerta tecnica in quanto evidentemente frutto di un lapsus rispetto a quanto indicato
in sede di dichiarazione dei requisiti tecnici, affermando che
“in presenza di un errore materiale nella composizione dell’offerta di immediata percezione, la richiesta di chiarimenti o di
integrazioni si impone alla luce del chiaro disposto dell’articolo
46, co. 1 bis, del codice dei contratti pubblici e dei principi affermati dall’Adunanza plenaria n. 9 del 2014”.
(48) Si veda Cons. Stato, Sez. V, 18 dicembre 2015, n.
5751, che ha giudicato legittimo il soccorso che ha consentito
al concorrente di precisare il ribasso percentuale peraltro ricavabile con una mera operazione matematica già dalle componenti dell’offerta, poiché “la dichiarazione del ribasso unico
percentuale rilasciata dal rappresentante del raggruppamento
risultato aggiudicatario nella seduta pubblica di gara del 23 luglio 2014 non ha comportato alcuna operazione manipolativa
o di adattamento dell’offerta, ma il risultato di una mera operazione aritmetica; essa, pertanto, non rappresenta la manifestazione di nuova e diversa volontà dell’offerente, ma la conferma
di quanto già dichiarato in sede di offerta (cfr. sul punto, Cons.
Stato, Sez. III, 27 marzo 2014, n. 1487; 17 luglio 2012, n.
4176). In conclusione, deve ritenersi che l’operato della commissione di gara non è illegittimo, avendo fatto mera applicazione dei principi giurisprudenziali improntati alla massima
partecipazione delle imprese alle gare e ad alla corretta applicazione del soccorso istruttorio”.
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Nuovo Codice appalti
Contratti esclusi
I contratti esclusi dall’ambito
di applicazione del nuovo
codice dei contratti pubblici
di Agostino Meale
L’articolo analizza i principi e le disposizioni dettate dal nuovo codice dei contratti pubblici in tema di contratti esclusi, in tutto o in parte, dall’ambito di applicazione oggettiva del D.Lgs. n.
50/2016 e ne evidenzia le novità rispetto alla disciplina previgente.
Introduzione
Con il D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, pubblicato nella G.U. 19 aprile 2016, è stato approvato il nuovo
“codice dei contratti pubblici”. Tale testo normativo, adottato in attuazione della delega conferita
con L. 28 gennaio 2016, n. 11 (1), ha come obiettivo ambizioso il riordino della disciplina dei contratti pubblici nell’ottica della semplificazione, dello snellimento dei procedimenti e della lotta alla
corruzione e soprattutto l’incremento dell’efficienza
amministrativa e della competitività del Paese.
Non è però facile anticipare un giudizio positivo e
ipotizzare il perseguimento di tutti gli obiettivi,
non solo per l’oggettiva complessità del testo (meno articoli ma con più comma e dunque testi più
lunghi rispetto ai precedenti), ma anche per la numerosità degli atti di regolazione ed attuazione, ancora da adottare, in particolare, da parte dell’Autorità Nazionale Anticorruzione e dal Ministero delle
Infrastrutture e del Territorio.
Il nuovo codice, oltre a riordinare complessivamente la disciplina vigente in materia di concessioni e contratti pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture, costituisce il recepimento delle direttive
2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parla(1) Per l’art. 1, L. 28 gennaio 2016, n. 11: “Il Governo è delegato ad adottare, entro il 18 aprile 2016, un decreto legislativo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e
2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26
febbraio 2014, rispettivamente sull’aggiudicazione dei contratti
di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia,
dei trasporti e dei servizi postali, di seguito denominato ‘decre-
Urbanistica e appalti 8-9/2016
mento europeo e del Consiglio del 26 febbraio
2014, rispettivamente sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle
procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori
dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi
postali.
Le richiamate direttive europee dovevano essere
recepite dagli Stati membri dell’Unione entro il 18
aprile 2016; a tal fine, è stata così emanata la L. 28
gennaio 2016, n. 11, che ha conferito al Governo
la delega normativa, poi esercitata con l’adozione
del D.Lgs. n. 50/2016 qui oggetto di una prima riflessione.
Per vero, come evidenziato nel Parere del 1° aprile
2016, n. 855, reso dalla Commissione speciale del
Consiglio di Stato sullo schema di Codice dei
Contratti, il recepimento delle tre direttive costituisce “occasione e sfida per un ripensamento complessivo del sistema degli appalti pubblici in Italia,
in una nuova filosofia che coniuga flessibilità e rigore, semplificazione ed efficienza con la salvaguardia di insopprimibili valori sociali e ambientali. Si
tratta di una sfida storica affidata a un delicato
equilibrio in cui è assolutamente indispensabile tenere insieme ‘il combinato disposto’ degli istituti e
strumenti previsti, di cui ciascuno non può essere
to di recepimento delle direttive’, nonché, entro il 31 luglio
2016, un decreto legislativo per il riordino complessivo della
disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di seguito denominato ‘decreto di riordino’, ferma restando la facoltà per il Governo di adottare entro
il 18 aprile 2016 un unico decreto legislativo per le materie di
cui al presente alinea”.
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I principi
Una prima riflessione sul nuovo codice non può
che partire proprio dall’art. 4 dedicato ai “principi”
che da ora in poi regoleranno gli affidamenti dei
contratti esclusi dall’ambito di applicazione del codice. Nel ribadire il rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento
trasparenza e proporzionalità, per vero già previsti
dall’art. 27 della previgente disciplina dei contratti
pubblici (D.Lgs. n. 163/2006), si aggiungono quelli
della “pubblicità” e, soprattutto di “tutela dell’ambiente” e di “efficienza energetica” (3).
Il principio di pubblicità, sebbene non espressamente indicato dal D.Lgs. n. 163/2006, non lo si
può ritenere di certo un principio “nuovo” nel sistema degli appalti, in quanto si poteva ritenere
già vigente in virtù di quanto previsto sia dall’art.
37 del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 sia dall’art. 1,
comma 32, L. 6 novembre 2012, n. 190; e, in particolare, per i contratti esclusi, dal richiamo indiretto alla L. n. 241/1990 (ex art. 27, comma 2, e 2,
comma 3, D.Lgs. n. 163/2006).
Si può notare, inoltre, la differenza concettuale e
lessicale con l’art. 30 del D.Lgs. n. 50/2016 dove il
rispetto della tutela ambientale e dell’efficienza
energetica sono richiamati non come principi ma
solo quali presupposti per limitare il principio di
economicità negli affidamenti tra i principi di aggiudicazione e l’esecuzione di appalti e concessioni
(si veda in merito anche l’art. 34). È però da dire
che tale possibilità era già prevista dall’art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 163/2006 (per quanto solo riferita
alla tutela dell’ambiente).
Dunque, la tutela ambientale e l’efficienza energetica costituiscono principi valevoli per i soli contratti e concessioni esclusi dall’applicazione del codice e non già per gli affidamenti ex D.Lgs. n.
50/2016.
In ogni caso, il fatto che i principi declinati nel
nuovo codice non siano poi così diversi da quelli
già indicati nel previgente testo sugli appalti non
costituisce un elemento di disvalore ma di significativa continuità.
Si nota, invece, che è stato del tutto espunto nel
nuovo testo dell’art. 4 sia il richiamo esterno alle
disposizioni della L. n. 241/1990 e del codice civile
(che il previgente art. 27, comma 2, D.Lgs. n.
163/2006 faceva con rinvio all’art. 2, commi 2, 3 e
4 del medesimo testo); sia il riferimento al fatto
che l’affidamento dei contratti esclusi doveva comunque essere preceduto da un invito, da parte
della stazione appaltante, ad almeno 5 concorrenti
(che era invece previsto sempre dallo stesso art.
27, comma 1, ult. periodo).
Tanto, ad una prima valutazione, apre la possibilità
per la stazione appaltante di affidare contratti in
maniera ‘diretta’, ossia senza neppure una previa
(2) In particolare, la lett. a) ha introdotto il divieto di introdurre o mantenere livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive “come definiti dall’articolo 14, commi 24-ter e 24-quater, della legge 28 novembre 2005, n. 246”.
Per questi, costituiscono livelli di regolazione superiori a quelli
minimi richiesti dalle direttive comunitarie:
“a) l’introduzione o il mantenimento di requisiti, standard,
obblighi e oneri non strettamente necessari per l’attuazione
delle direttive;
b) l’estensione dell’ambito soggettivo o oggettivo di applicazione delle regole rispetto a quanto previsto dalle direttive,
ove comporti maggiori oneri amministrativi per i destinatari;
c) l’introduzione o il mantenimento di sanzioni, procedure o
meccanismi operativi più gravosi o complessi di quelli strettamente necessari per l’attuazione delle direttive” (comma 24
ter);
“l’amministrazione dà conto delle circostanze eccezionali,
valutate nell’analisi d’impatto della regolamentazione, in relazione alle quali si rende necessario il superamento del livello
minimo di regolazione comunitaria” (comma 24 quater).
Importante è anche quanto previsto dall’art. 14, comma 24
bis della L. n. 246/2005, secondo cui “gli atti di recepimento di
direttive comunitarie non possono prevedere l’introduzione o il
mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi
richiesti dalle direttive stesse, salvo quanto previsto al comma
24-quater”.
(3) Per vero, si può notare che i principi dettati per i contratti esclusi non coincidano con quelli previsti per gli appalti e le
concessioni, invece disciplinate dal nuovo codice (economicità, efficacia, tempestività e correttezza, nonché libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza - anche nell’art. 29 -,
proporzionalità e pubblicità, art. 30 del D.Lgs. n. 50/2016).
disgiunto da altri, pena il fallimento degli obiettivi
perseguiti”.
Tra i principi e i criteri direttivi specifici elencati
nell’art. 1 della legge delega n. 11/2016 (2), per
quanto qui di diretto interesse, la lettera n) ha previsto l’individuazione dei contratti esclusi dall’ambito di applicazione del decreto di recepimento
delle direttive e del decreto di riordino in coerenza
con quanto previsto dalle direttive 2014/23/UE,
2014/24/UE e 2014/25/UE; pertanto, il Titolo II
della Parte I del decreto legislativo n. 50/2016 qui
oggetto di esame si occupa dei contratti esclusi
che, nello specifico, costituiscono attuazione degli
artt. da 10 a 17 della Dir. 26 febbraio 2014, n. 23 e
da 7 a 12 della 26 febbraio 2014, n. 24, nonché degli artt. da 8 a 14 e da 18 a23 della Dir. 26 febbraio
2014, n. 25.
I contratti e le concessioni escluse dall’applicazione
del codice dei contratti e, così, dalla disciplina generale dell’evidenza pubblica sono disciplinati negli articoli da 4 a 20 del nuovo testo normativo, in
esame.
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Urbanistica e appalti 8-9/2016
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Nuovo Codice appalti
indagine di mercato, senza limiti di soglie e/o valori. In astratto, ma sarà la giurisprudenza eventualmente a precisarlo, si potrebbe desumere l’obbligo
di consultazione di più operatori economici dai
principi di imparzialità e parità di trattamento; sebbene tale possibilità non giustifichi l’eliminazione
dal nuovo testo se non con ipotetico riferimento al
generico divieto di inserire misure non coerenti o
eccessive rispetto a quelle previste dalle direttive
europee, che comunque qui non pare ricorrere. Del
resto, la consultazione di almeno 5 operatori economici viene mantenuta nell’art. 36, comma 2,
lett. b) del nuovo codice per l’affidamento di lavori, servizi e forniture, previa indagine di mercato e
con criterio di rotazione, per gli affidamenti pari o
superiori a euro 40.000 e, comunque, fino alle soglie di cui all’art. 35 del D.Lgs. n. 50/2016.
Si può dunque concludere sul punto nel senso che
nel riordino delle fattispecie già presenti nella previgente disciplina, hanno trovato espresso ingresso
tra i principi anche quelli elaborati dalla dottrina,
dalla giurisprudenza e individuati dal legislatore;
mentre ne sono uscite le disposizioni della L. n.
241/1990 e del codice civile non espressamente richiamate dal nuovo codice.
L’in house providing nelle Direttive
europee
Tra le novità introdotte dal codice si segnala anche la codificazione dell’istituto dell’“in house providing” (4) nell’art. 5 del D.Lgs. n. 50/2016 che costituisce una rilevante novità nella legislazione nazionale e recepisce la disciplina dettata dalle Direttive
UE nn. 23, 24 e 25 del 2014 in materia di concessioni e appalti dei settori ordinari e speciali.
(4) A livello comunitario il termine in house si rinviene, per
la prima volta, nella Comunicazione della Commissione sugli
Appalti Pubblici nell’Unione Europea dell’11 marzo 1998
-COM (98) 143- ove si definiscono appalti in house “quelli aggiudicati all’interno della pubblica amministrazione...tra un’amministrazione e una società da questa interamente controllata”
(nella nt. 10 a pag. 11 della Comunicazione). Le prime regole
verranno poi definite, come noto, dalla giurisprudenza comunitaria, a partire dalla sentenza della V Sezione della Corte di
Giustizia resa sulla questione “Teckal” 18 novembre 1999 in
causa C-107/98 in http://curia.europa.eu/juris.
(5) Come anticipato, sin dalla pronuncia della Corte di Giustizia delle Comunità Europee 18 novembre 1999, C-107/98,
nel punto n. 50, ove si è affermato che “A questo proposito,
conformemente all’art. 1, lett. a), della direttiva 93/36, basta,
in linea di principio, che il contratto sia stato stipulato, da una
parte, da un ente locale e, dall’altra, da una persona giuridicamente distinta da quest’ultimo. Può avvenire diversamente solo nel caso in cui, nel contempo, l’ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più
Urbanistica e appalti 8-9/2016
Ad ogni modo, anche nella legislazione europea lo
sviluppo dell’istituto dell’in house providing ha subito una consistente evoluzione con l’approvazione
della direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE
del 26 febbraio 2014, in quanto, sino ad allora, l’istituto era stato essenzialmente regolamentato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE che
ne aveva definito con precisione i confini (5).
Specificatamente, l’art. 12 della Dir. 2014/24/UE
ha indicato le circostanze escludenti l’applicazione
dei principi concorrenziali (6) in caso di appalto
tra enti nell’ambito del settore pubblico. La stessa
norma è riprodotta nell’art. 28 della Dir.
2014/25/UE per gli appalti pubblici nei settori speciali e nell’art. 17 della Dir. 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione.
Occorre ricordare che nel diritto europeo la materia degli appalti pubblici e concessioni è retta da
due principi fondamentali: la libera amministrazione delle autorità pubbliche e la tutela della concorrenza.
Il primo si sostanzia nella discrezionalità per le
pubbliche amministrazioni di auto-organizzare come ritengono più opportuno, le prestazioni di servizi di interesse pubblico di propria competenza attraverso l’autoproduzione, la cooperazione e l’esternalizzazione.
La tutela della concorrenza ha invece come scopo
la totale apertura dei mercati, attraverso la creazione di un mercato unico e comune nel quale qualsiasi operatore economico può partecipare, senza
che vi siano frapposti ostacoli di alcuna natura. Per
realizzare tale finalità, la scelta del soggetto con il
quale l’amministrazione dovrà concludere un contratto pubblico deve essere operata attraverso l’evidenza pubblica nel rispetto dei principi di traspaimportante della propria attività con l’ente o con gli enti locali
che la controllano”.
(6) Nel Trattato sul funzionamento dell’UE viene circostanziata la ratio della deroga al principio di concorrenzialità:
- art. 14 “l’Unione e gli Stati membri, secondo le rispettive
competenze e nell’ambito del campo di applicazione dei trattati, provvedono affinché tali servizi (SIEG - Servizi di interesse
economico generale) funzionino in base a principi e condizioni,
in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di
assolvere i propri compiti”.
- art. 51 “sono escluse dall’applicazione delle disposizioni
del presente capo, per quanto riguarda lo Stato membro interessato, le attività che in tale Stato partecipino, sia pure occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri”.
- art. 106 “le imprese incaricate della gestione di servizi di
interesse economico generale o aventi carattere di monopolio
fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare
alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali
norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto,
della specifica missione loro affidata.”.
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renza, adeguata pubblicità, non discriminazione,
parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità.
I due principi sono di pari rango, ma il secondo è
sussidiario rispetto al primo. In tale ottica, l’istituto
dell’in house si qualifica come “legittima declinazione del generale principio dell’autoproduzione (ovvero, per utilizzare la pregnante terminologia della
direttiva 2014/23/UE, come corollario del “principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche”)” (7). La deroga all’applicazione del principio
di concorrenzialità nell’affidamento degli appalti
da enti pubblici ad enti pubblici è una creazione
giurisprudenziale della Corte Europea di Giustizia
che ne ha, nel corso del tempo, fissato limiti e
condizioni di ammissibilità.
Il motivo per il quale si è ritenuto necessaria una
codificazione delle condizioni di affidamento degli
appalti in house viene evidenziata dal legislatore
europeo nell’atto di indirizzo della Dir. 24/2014
contenuto nel considerando numero 31: “Vi è una
notevole incertezza giuridica circa la misura in cui
i contratti conclusi tra enti nel settore pubblico
debbano essere disciplinati dalle norme relative
agli appalti pubblici. La giurisprudenza della Corte
di giustizia dell’Unione europea a tale riguardo viene interpretata in modo divergente dai diversi Stati membri e anche dalle diverse amministrazioni
aggiudicatrici. È pertanto necessario precisare in
quali casi i contratti conclusi nell’ambito del settore pubblico non sono soggetti all’applicazione delle
norme in materia di appalti pubblici. Tale chiarimento dovrebbe essere guidato dai principi di cui
alla pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. Il solo fatto che entrambe
le parti di un accordo siano esse stesse autorità
pubbliche non esclude di per sé l’applicazione delle
norme sugli appalti. Tuttavia, l’applicazione delle
norme in materia di appalti pubblici non dovrebbe
interferire con la libertà delle autorità pubbliche di
svolgere i compiti di servizio pubblico affidati loro
utilizzando le loro stesse risorse, compresa la possibilità di cooperare con altre autorità pubbliche. Si
dovrebbe garantire che una qualsiasi cooperazione
pubblico-pubblico esentata non dia luogo a una distorsione della concorrenza nei confronti di operatori economici privati nella misura in cui pone un
fornitore privato di servizi in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti”.
L’art. 12 della Direttiva contempla due diversi tipi
di affidamento in house tra enti pubblici, verticale
(un’amministrazione aggiudicatrice affida direttamente un contratto ad una società sottoposta al
suo controllo analogo e che svolga l’attività prevalente a suo favore - art. 12, parr. 1-3 (8)) e orizzontale (contratto concluso tra due o più amministrazioni aggiudicatrici, ciascuno con specifiche condi-
(7) Cons. Stato, Sez. VI, 18 maggio 2015, n. 2515, in Foro
amm., 2015, 5, 1438.
(8) Art. 12, Dir. 2014/24/UE: “1. Un appalto pubblico aggiudicato da un’amministrazione aggiudicatrice a una persona
giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientra nell’ambito di applicazione della presente direttiva quando siano
soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona
giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello da essa
esercitato sui propri servizi;
b) oltre l’80% delle attività della persona giuridica controllata sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre
persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice di cui trattasi; e
c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di
partecipazione di capitali privati che non comportano controllo
o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza
determinante sulla persona giuridica controllata.
Si ritiene che un’amministrazione aggiudicatrice eserciti su
una persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato
sui propri servizi ai sensi della lettera a) qualora essa eserciti
un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle
decisioni significative della persona giuridica controllata. Tale
controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica
diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione aggiudicatrice.
2. Il paragrafo 1 si applica anche quando una persona giuridica controllata che è un’amministrazione aggiudicatrice ag-
giudica un appalto alla propria amministrazione aggiudicatrice
controllante o ad un altro soggetto giuridico controllato dalla
stessa amministrazione aggiudicatrice, a condizione che nella
persona giuridica alla quale viene aggiudicato l’appalto pubblico non vi sia alcuna partecipazione diretta di capitali privati,
ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che
non comportano controllo o potere di veto prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che
non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
3. Un’amministrazione aggiudicatrice che non eserciti su
una persona giuridica di diritto privato o pubblico un controllo
ai sensi del paragrafo 1 può nondimeno aggiudicare un appalto pubblico a tale persona giuridica senza applicare la presente
direttiva quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita congiuntamente con altre amministrazioni aggiudicatrici un controllo sulla
persona giuridica di cui trattasi analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi;
b) oltre l’80 % delle attività di tale persona giuridica sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dalle
amministrazioni aggiudicatrici controllanti o da altre persone
giuridiche controllate dalle amministrazioni aggiudicatrici di
cui trattasi; e
c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di
partecipazione di capitali privati che non comportano controllo
o potere di veto prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza
determinante sulla persona giuridica controllata.
Ai fini del primo comma, lettera a), le amministrazioni ag-
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zioni di deroga al principio concorrenziale - art.
12, par. 4 (9)).
Gli affidamenti in house nel nuovo Codice
dei contratti: il controllo analogo
Negli artt. 5 ss. del D.Lgs. n. 50/2016, il legislatore
delegato ha indicato diverse forme di affidamento,
nei settori ordinari e speciali, che, in presenza di
alcune condizioni, sono sottratte all’applicazione
del codice.
Più in generale, uno dei motivi che giustificano l’esclusione delle regole dell’evidenza pubblica è che
la concessione o l’appalto pubblico sia aggiudicato
ad una persona giuridica sulla quale l’amministrazione aggiudicatrice eserciti un “controllo analogo”
a quello esercitato sui propri servizi. Ai sensi del
comma 2 dell’art. 5 sussiste “controllo analogo”
quando l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente
aggiudicatore eserciti sulla persona giuridica affidataria un’influenza determinante sia sugli obiettivi
strategici che sulle decisioni significative. Tale
controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa dall’amministrazione aggiudicatrice, a sua volta controllata allo stesso modo
dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore (c.d. in house “a cascata” o “controllo
analogo indiretto”), nel quale l’amministrazione A
esercita un controllo analogo sull’amministrazione
B e questa esercita, a propria volta, un controllo
analogo sull’organismo in house C: in questo caso
viene ammesso anche l’affidamento diretto dall’amministrazione A all’organismo in house C, pure
se formalmente non sussiste una relazione diretta
fra i due soggetti. La disposizione in esame, quindi,
introduce nell’ordinamento nazionale espresse previsioni in cui può essere esercitato il controllo analogo da parte del socio pubblico.
In virtù della nuova norma anche nei rapporti tra
le Amministrazioni e le loro partecipate sono posgiudicatrici esercitano su una persona giuridica un controllo
congiunto quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
i) gli organi decisionali della persona giuridica controllata
sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni
aggiudicatrici partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti;
ii) tali amministrazioni aggiudicatrici sono in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi
strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica;
iii) la persona giuridica controllata non persegue interessi
contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici controllanti”.
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sibili, all’interno della medesima compagine pubblica, diversi intrecci relazionali senza gara.
Pertanto, alla luce delle disposizioni contenute nell’art. 5 del nuovo testo sui contratti pubblici, è prevista espressamente la possibilità che il controllo
analogo possa essere esercitato sia direttamente, sia
indirettamente attraverso una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’Amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore.
Accanto a tale ipotesi di in house c.d. indiretto, il
legislatore ha espressamente riconosciuto la possibilità di configurare affidamenti diretti anche da
parte della partecipata all’amministrazione controllante (c.d. in house inverso). Quindi, si potrà avere
un affidamento senza gara anche quando il soggetto controllato, essendo a sua volta amministrazione
aggiudicatrice, affida un contratto al soggetto controllante senza procedura di evidenza pubblica.
Orbene, la complessità delle norme, e le diverse
eccezioni, impongono una specifica disamina degli
istituti richiamati.
L’art. 5 del codice, recependo i presupposti elaborati nel corso degli anni dalla giurisprudenza comunitaria in materia di affidamenti diretti e i principi
contenuti nelle citate direttive dell’Unione, prevede che le concessioni o gli appalti pubblici, nei settori ordinari o speciali, aggiudicati da un’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore
a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientrano nell’ambito di applicazione del nuovo codice dei contratti pubblici, consentendo il ricorso all’affidamento in house, quando
siano contestualmente soddisfatte tutte le seguenti
condizioni:
1. l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore (si vedano le definizioni previste dall’art.
3, lett. a - ed e - del codice) esercita sulla persona
giuridica di cui trattasi un “controllo analogo” a
quello esercitato sui propri servizi (lett. a). A sua
(9) Art. 12, par. 4: “Un contratto concluso esclusivamente
tra due o più amministrazioni aggiudicatrici non rientra nell’ambito di applicazione della presente direttiva, quando sono
soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
a) il contratto stabilisce o realizza una cooperazione tra le
amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che esse sono tenute a svolgere siano
prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi che esse hanno in
comune;
b) l’attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente
da considerazioni inerenti all’interesse pubblico; e
c) le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti svolgono
sul mercato aperto meno del 20% delle attività interessate dalla cooperazione”.
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volta, il controllo analogo viene qualificato come
“un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona
giuridica controllata” che può essere anche essere
esercitato da una persona giuridica diversa ma che
sia controllata, a sua volta, allo stesso modo dall’organo aggiudicatore (art. 5, comma 2, D.Lgs. n.
50/2016);
2. oltre l’80% dell’attività della persona giuridica
controllata (10) è effettuata nello svolgimento dei
compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da un ente aggiudicatore,
nonché da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice (lett. b) (11);
3. nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione privata che non
comportino controllo o potere di veto e che non
esercitano un’influenza determinante sulla persona
giuridica controllata (lett. c) (12).
Tali condizioni, già più volte affermate dalla giurisprudenza comunitaria a partire dalla famosa sentenza Teckal del 18 novembre 1999 nonché dalla
giurisprudenza del Giudice amministrativo (13),
trovano adesso espressa previsione in una specifica
norma di diritto interno.
Occorre poi anche evidenziare che l’art. 5 in esame, recependo le direttiva europee, ha comunque
rimarcato il carattere eccezionale dell’affidamento
in house, ponendosi quale eccezione rispetto alla regola generale dell’evidenza pubblica. Tale precisazione è necessaria in quanto la dottrina ha spesso
qualificato l’istituto come una formula organizzativa (14) attraverso la quale le Amministrazioni pubbliche “interiorizzano” l’approvvigionamento e l’erogazione di servizi (15). O, ancora, si è affermato
che l’in house rappresenterebbe una modello organizzativo da ricomprendere tra le strutture amministrative (16), in quanto avrebbe una valenza “trasversale”, tale da superare l’ambito dei servizi pubblici. Da queste impostazioni originano le espressioni che qualificano l’in house providing come “longa manus” dell’Amministrazione (17) e “delegazione interorganica” (18).
Da ultimo, la giurisprudenza ha statuito che “l’affidamento diretto (senza gara e senza ricorso a procedure di evidenza pubblica) di appalti e concessioni è consentito tutte le volte in cui si possa affermare che l’organismo affidatario (nei casi in que-
(10) Ai sensi dell’art. 5, comma 7, D.Lgs. n. 50/2016, per
determinare tale percentuale, si deve fare riferimento, di norma, al fatturato totale medio; ovvero, in mancanza, ad una idonea misura alternativa basata sull’attività, come ad esempio i
costi sostenuti, relativi ai tre anni precedenti l’aggiudicazione
dell’appalto o della concessione. Se, invece, a causa della data
di costituzione, dell’inizio delle attività, o a seguito di riorganizzazione delle attività, il fatturato o i costi sostenuti non siano
disponibili o non più pertinenti per il triennio precedente, la
persona giuridica, l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore possono dimostrare la credibilità dell’attività mediante “proiezioni” (art. 5, comma 8, D.Lgs. n. 50/2016).
(11) L’art. 12, par. 1, lett. b), (per il controllo congiunto si
veda l’art. 12, par. 3, lett. b, Dir. 2014/24/UE laddove prevede
che una delle condizioni che giustificano l’affidamento in house sia la seguente: “oltre l’80 % delle attività della persona giuridica controllata sono effettuate nello svolgimento dei compiti
ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice di cui trattasi”.
(12) La novità di tale condizione viene evidenziata nella Relazione Illustrativa del Governo: “tale norma è innovativa rispetto alle previsioni vigenti, nella parte in cui prevede la partecipazione di capitali privati e recepisce quindi pienamente la
disciplina europea anche tenendo conto della giurisprudenza
del Consiglio di Stato che nel parere n. 298 del 2015 aveva
considerato, relativamente alla partecipazione di capitali privati, la direttiva europea come self executing e, pertanto, direttamente applicabile”. La giurisprudenza, in verità, ha assunto interpretazioni contrastanti; per Cons. Stato, Sez. II, 30 gennaio
2015, n. 298, in www.giustizia-amministrativa.it, la partecipazione del privato è ammissibile purché non determini una influenza dominante; mentre per Cons. Stato, Sez. VI, 17 gennaio 2014, n. 221, in Foro amm., 2014, 1, 149, ritiene preclusa
alle società pubbliche l’apertura al capitale privato.
(13) In merito si segnala Cons. Stato, Sez. III, 27 aprile
2015, n. 2154, in Foro amm., 2015, 4, 1049, secondo cui il
controllo analogo ricorre quando: “a) gli organi decisionali dell’organismo controllato siano composti da rappresentanti di
tutti i soci pubblici partecipanti, ovvero siano formati tra soggetti che possono rappresentare più o tutti i soci pubblici partecipanti; b) i soci pubblici siano in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell’organismo controllato; c)
l’organismo controllato non persegua interessi contrari a quelli
di tutti i soci pubblici partecipanti”.
(14) A. Callea, Gli affidamenti in house, in Riv. “Amministrare”, Bologna, 3/2006, 354-355, “l’in house providing, ponendosi a monte, costituisce ... una forma di ampliamento dell’organizzazione pubblica”.
(15) W. Troise Mangoni, Affidamento in house e parere dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in R. Villata
(a cura di), La riforma dei servizi pubblici locali, Torino, 2011,
297, “l’in house rappresenta uno strumento attraverso il quale
la pubblica amministrazione ... decide di auto-produrre ..., per
mezzo di una propria articolazione organizzativa”.
(16) F. Fracchia, Ordinamento comunitario, mercato e contratti della Pubblica Amministrazione, Napoli, 2010, 66.
(17) C. Iaione, Le società in house. Contributo allo studio dei
principi di auto-organizzazione e auto-produzione degli enti locali, Napoli, 2012, 196; A. Sandulli, La concorrenza nei servizi
pubblici e negli appalti, tre sentenza della Corte costituzionale, in
Ius Publicum Network Review, 2011. In giurisprudenza, cfr.
Cons. Stato, Sez. VI, 17 gennaio 2014, n. 221, in Foro amm.,
2014, 1, 149; Sez. IV, 26 novembre 2013, n. 5632, ibidem
CDS, 2013, 11, 3039; Sez. V, 15 febbraio 2013, n. 936, ibidem
CDS, 2013, 2, 474.
(18) G. Piperata, Il lento e incerto cammino dei servizi pubblici locali dalla gestione pubblica al mercato liberalizzato, in Munus, 1, 2011. In giurisprudenza, tra le tante, Cons. Stato Sez.
VI, 17 gennaio 2014, n. 221, cit.
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stione, una società), ancorché dotato di autonoma
personalità giuridica, presenti connotazioni tali da
giustificare la sua equiparazione a un “ufficio interno” dell’amministrazione affidante, poiché in questo caso non vi sarebbe un rapporto di alterità sostanziale, ma solo formale, sicché non si tratterebbe, nella sostanza, di un effettivo “ricorso al mercato” (“outsourcing”), bensì di una forma di “autoproduzione” o comunque di erogazione di servizi pubblici “direttamente” ad opera dell’amministrazione,
attraverso strumenti “propri” (“in house providing”)” (19).
Alla luce della formulazione dell’art. 5, anche il legislatore nazionale, inserendo la norma in questione nel Titolo dedicato ai “Contratti esclusi” sembra aver recepito l’impostazione europea contenuta
nel richiamato art. 12 della Dir. 24/2014 ed ha
qualificato l’in house come un’ipotesi di esclusione
della disciplina dell’evidenza pubblica, in ragione
della mancanza dell’elemento contrattuale.
Pertanto, in linea con l’impostazione europea (20),
si è ritenuto che l’istituto in esame costituisce
un’eccezione alle regole generali dell’affidamento
secondo i principi della evidenza pubblica a tutela
della concorrenza; da ciò deriva che le relative
condizioni di applicabilità “debbono formare oggetto di un’interpretazione restrittiva” (21).
Nel medesimo art. 5 è poi disciplinata una ulteriore eccezione; ai sensi del comma 3, non si applicano i principi del codice anche quando la persona
giuridica controllata (che è amministrazione aggiudicatrice o ente aggiudicatore) aggiudica un appalto o una concessione alla propria amministrazione
(o ente) controllante o ad altro soggetto giuridico
controllato dalla medesima amministrazione aggiudicatrice (o ente aggiudicatore), a condizione che
nella persona giuridica cui viene affidato l’appalto
non vi sia partecipazione “diretta” di capitale privato. È comunque consentito l’affidamento qualo(19) Cons. Stato, Sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660, in
www.giustiziamministrativa.it.
(20) Corte di Giustizia Europea, Sez. I, 13 ottobre 2005, in
causa C-458/03 Parking Brixen, in www.curia.europa.ue, punto
63; in senso analogo anche la sent. 11 gennaio 2005, causa C26/03 Stadt Halle, ibidem, punto 46; sentenza della Sez. V, 8
maggio 2014, causa C-15/13, Datenlotsen Informationssysteme, ibidem, punto 23.
(21) Cons. Stato, Sez. V, 25 luglio 2011, n. 4452, in Foro
amm. CDS, 2011, 7-8, 2438 “...le disposizioni che derogano alla regola della procedura di evidenza pubblica, in quanto eccezionali rispetto ai principi che informano la materia, sono di
stretta interpretazione. Ne deriva la necessità di una valutazione rigorosa e puntuale circa la ricorrenza dei presupposti che
giustificano la sottrazione dell’affidamento alla regola del confronto competitivo”.
(22) In particolare, Cons. Stato, Sez. I, Parere 16 aprile
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ra, come indicato già dalla giurisprudenza del
G.A., le forme di partecipazione al capitale non
consentano al privato di esercitare il controllo, il
potere di veto, o un’influenza determinante sulla
persona giuridica controllata.
Il controllo congiunto
Per il comma 4 dell’art. 5 del D.Lgs. n. 50/2016,
qualora ricorrano le condizioni del “controllo analogo” (ossia l’influenza determinante sugli obiettivi
strategici e le decisioni significative, l’80% delle
attività svolte per la controllante e la mancanza di
partecipazione diretta di capitali privati - o comunque con effetti non determinanti sulle decisioni),
un amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore possono aggiudicare un appalto o una concessione senza applicare il codice qualora sussista
un’ipotesi di “controllo congiunto” tra due o più
amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori
su di una persona giuridica partecipata.
Si ricorda che sul tema del “controllo congiunto”,
anch’esso previsto dalla Direttive UE nn. 23, 24 e
25 del 2014, si era già più volte espresso anche il
Giudice amministrativo (22), affermando che il
controllo analogo è assicurato anche se non viene
esercitato individualmente da ciascun socio, purché tale controllo sia effettivo e i soci pubblici agiscano unitariamente, pur se anche a maggioranza.
Le condizioni in presenza delle quali si realizza il
controllo congiunto sono definite dal successivo
comma 5; questo si configura in presenza di tre
condizioni:
1. gli organi decisionali della persona giuridica
controllata (beneficiaria dell’affidamento diretto)
sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o degli enti aggiudicatori
che ne detengono quote di partecipazione nel capitale. Tuttavia è consentito che il singolo partecipante possa rappresentare anche più amministra2014, n. 1801 (affare 594/14), in www.giustizia-amministrativa.it; V Sez., 8 marzo 2011, n. 1447, in Foro amm. CDS, 2011,
3, 902; 24 settembre 2010, n. 7092, in Foro amm. CDS, 2010,
9, 1881; 26 agosto 2009, n. 5082, in Foro amm. CDS, 2009, 78, 1739, per cui “per un legittimo affidamento in house è necessario che il consiglio di amministrazione della società affidataria non abbia rilevanti poteri gestionali e che l’ente pubblico affidante eserciti, pur se con moduli societari su base statutaria, poteri di ingerenza e di condizionamento superiori a
quelli tipici del diritto societario, caratterizzati da un margine di
rilevante autonomia della governance rispetto alla maggioranza azionaria, sicché è indispensabile che le decisioni più importanti siano sempre sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante o, in caso di in house frazionato, della totalità degli enti
pubblici soci”; 9 marzo 2009, n. 1365, in Foro amm. CDS,
2009, 3, 730.
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zioni o enti; pertanto, nelle società partecipate da
un numero elevato di soci pubblici, non sarà necessario prevedere un consigliere di amministrazione per ciascun socio (circostanza che non risulta
neppure possibile, in forza del fatto che in tali società i consigli di amministrazione possono essere
composti al massimo da 3 o 5 membri), ma sarà
sufficiente che ciascun amministratore sia espressione di più soci;
2. le amministrazioni o gli enti partecipanti possono esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi e sulle decisioni strategiche
della persona giuridica controllata (per esempio,
approvandone gli atti di programmazione annuale
o pluriennale);
3. quest’ultima, non deve perseguire interessi contrari a quelli delle amministrazioni o enti controllanti.
Affidamenti diretti fra amministrazioni
aggiudicatrici
Il comma 3 dell’art. 5 del nuovo codice dei contratti pubblici, recependo l’art. 12, par. 2, Dir.
2014/24/UE, disciplina gli affidamenti diretti fra
amministrazioni pubbliche aggiudicatrici o enti aggiudicatori, prevedendo che la disciplina del codice
dei contratti pubblici non trovi applicazione nel
caso in cui una persona giuridica controllata aggiudichi un appalto o una concessione alla propria
amministrazione controllante (c.d. in house “capovolto”) o ad un altro soggetto giuridico controllato
dalla stessa amministrazione (c.d. in house “orizzontale”).
Anche in questo caso, la condizione necessaria
perché si possa legittimamente procedere all’affidamento diretto è rappresentata dall’assenza di soci
privati nella persona giuridica beneficiaria dell’appalto pubblico, ovvero, qualora vi sia la partecipazione di soci privati, che questi non esercitino il
controllo, poteri di veto o un’influenza determinante sul soggetto affidatario.
Accordi conclusi fra due
o più amministrazioni aggiudicatrici
L’ultima eccezione all’utilizzo delle procedure di
evidenza pubblica prevista dall’art. 5 del D.Lgs. n.
50/2016 è disciplinata dal comma 6, e riguarda gli
accordi conclusi esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici.
Tali accordi non rientrano nell’ambito di applicazione del codice dei contratti se vengono soddisfatte contemporaneamente le seguenti condizioni:
1. l’accordo stabilisce o realizza una cooperazione
tra le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti, finalizzata a garantire che
i servizi pubblici che essi sono tenuti a svolgere siano prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi
che hanno in comune (lett. a);
2. l’attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente da motivazioni di interesse pubblico (lett.
b);
3. le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20% delle attività interessate dalla
cooperazione (ciò, al fine di non ledere la concorrenza e il mercato -lett. c).
Ai sensi del comma 7 del medesimo art. 5, per determinare la percentuale del 20%, di norma, deve
essere fatto riferimento al fatturato totale medio o
ai costi sostenuti dalla persona giuridica interessata
nei tre anni precedenti l’aggiudicazione dell’appalto o della concessione (vi è poi anche l’ulteriore
eccezione prevista nel comma 8) (23).
È da dire che l’accordo in esame, che recepisce il
par. 4 dell’art. 12 della Dir. 2014/24/UE, non costituisce una ipotesi tipica di in house, ma di cooperazione pubblico-pubblico. Sia l’in house che la cooperazione pubblico-pubblico costituiscono, tuttavia, modelli di organizzazione dell’attività in deroga all’affidamento con procedure ad evidenza pubblica, in quanto l’amministrazione aggiudicatrice
decide di non esternalizzare il lavoro, servizio o fornitura, ma di delegarlo ad una persona giuridica
sulla quale esercita un controllo (in house), oppure
di svolgerlo in cooperazione con un’altra amministrazione aggiudicatrice per soli interessi pubblici.
Joint venture e imprese collegate
Perpetuando il contestato sistema delle regole e deroghe che tanto aveva riguardato il D.Lgs. n.
163/2006, anche gli artt. 6 e 7 del nuovo codice
dei contratti pubblici introducono due ipotesi di
deroga all’art. 5 di cui si è detto nei punti che precedono.
In particolare, l’art. 6 del nuovo codice dei contratti pubblici ha previsto un regime specifico per
l’esclusione dall’ambito di applicazione delle procedure ad evidenza pubblica per le concessioni e gli
(23) I commi 7 e 8 recepiscono l’art. 12, par. 5, Dir.
2014/24/UE. Si veda in amplius la nt. n. 10.
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zioni rese in favore dell’ente aggiudicatore o alle
altre imprese cui è collegata (25).
appalti nei settori speciali aggiudicati ad una joint
venture (24), qualificata dalla stessa norma (lett. a)
quale “una associazione o consorzio o impresa comune aventi personalità giuridica composti esclusivamente da più enti aggiudicatori, per svolgere
un’attività ai sensi degli art. da 115 a 121, di cui
all’allegato II, con un’impresa collegata a uno di
tali enti aggiudicatori” (nel vecchio codice, la disciplina di tale istituto era prevista dall’art. 218 del
D.Lgs. n. 163/2006), o ad un ente aggiudicatore facente parte della joint venture.
Si ricorda che i settori speciali richiamati riguardano: gas ed energia termica (art. 115); elettricità
(art. 116); acqua (117); servizi di trasporto (118);
porti ed aeroporti (119); servizi postali (120);
estrazione di gas e prospezione o estrazione di carbone o di altri combustibili solidi (art. 121).
Le condizioni per l’applicazione della deroga sono
fissate dal comma 1 dell’art. 6 del D.Lgs. n.
50/2016, in base al quale la joint venture deve essere stata costituita per svolgere le attività oggetto
dell’appalto o della concessione per un periodo di
almeno tre anni e, per lo stesso periodo, gli enti aggiudicatori che la compongono sono vincolati a
farne parte, con impegno sottoscritto nell’atto costitutivo.
Gli enti aggiudicatori devono, su richiesta, notificare alla Commissione europea i nomi delle imprese collegate o delle joint venture interessate su cui
l’ente aggiudicatore possa esercitare direttamente o
indirettamente un’influenza dominante o che come
l’ente aggiudicatore sia soggetto ad influenza dominante di un’altra impresa (art. 3, comma 1, lett. z),
nonché la natura e il valore degli appalti o concessioni affidate.
L’art. 7, invece, disciplina l’esclusione dall’ambito
di applicazione del codice delle concessioni e degli
appalti nei settori speciali aggiudicati da un ente
aggiudicatore a un’impresa collegata o da una joint
venture, composta esclusivamente da più enti aggiudicatori per svolgere una serie di attività nei
medesimi settori speciali, a un’impresa collegata a
uno di tali enti aggiudicatori.
Tale deroga è possibile purché almeno l’80% del
fatturato totale realizzato in media dall’impresa collegata negli ultimi tre anni provenga dalle presta-
Per l’art. 8 del D.Lgs. n. 50/2016, sono ulteriormente sottratti dall’applicazione del codice, se le
attività sono direttamente esposte alla concorrenza
su mercati liberamente accessibili, gli appalti nei
settori esclusi (artt. da 115 a 121 e allegato II), i
relativi concorsi di progettazione e le concessioni
aggiudicate da enti aggiudicatori. Tanto, in attuazione di quanto previsto dagli artt. 7 della Dir.
2014/24/UE, 34 e 35 della Dir. n. 2014/25/UE e
dell’art. 16 della Dir. 2014/23/UE, trattandosi di
attività esposte alla libera concorrenza.
L’articolo in oggetto, riproducendo il principio già
contenuto nell’art. 219 del D.Lgs. n. 163/2006, dispone la sottrazione, alla disciplina pubblicistica
degli affidamenti, dei contratti relativi ad ambiti di
attività liberalizzati (elencati nell’Allegato VI del
codice), da attuare attraverso una specifica procedura che passa attraverso una decisione della Commissione UE.
In particolare, si prevede che gli appalti strumentali allo svolgimento delle attività di cui agli artt. da
115 a 121 (come detto, relativi al gas e energia termica, acqua, elettricità, servizi di trasporto, porti e
aeroporti, servizi di trasporto, servizi postali, estrazione di gas e prospezione o estrazione di carbone o
di altri combustibili solidi) non sono soggetti alle
disposizioni contenute nel codice, a condizione
che la relativa attività sia direttamente esposta alla
concorrenza su mercati liberamente accessibili.
L’attività può costituire parte di un settore più ampio o essere esercitata in parti delimitate del territorio nazionale e la valutazione dell’esposizione alla
concorrenza è effettuata dalla Commissione europea, tenendo conto del mercato delle attività in
questione e del mercato geografico di riferimento,
sulla base delle disposizioni del Trattato sul funzionamento dell’UE in materia di concorrenza, anche
in relazione alle caratteristiche dei prodotti o dei
servizi interessati, all’esistenza di prodotti o servizi
alternativi considerati sostituibili sul versante della
domanda e dell’offerta, ai prezzi e alla presenza, ef-
(24) Con il termine joint venture si identificano i fenomeni
collaborativi tra imprese consistenti nella cooperazione per un
singolo affare o per la cooperazione stabile attraverso la costituzione di una società controllata dai partners.
(25) Ai sensi del comma 3, se a causa della data di costituzione dell’impresa collegata, o dell’inizio della sua attività, non
sia disponibile in fatturato dell’ultimo triennio, l’impresa può
dimostrare il requisito “... in base a proiezioni dell’attività”. Per
il comma 4, le percentuali delle imprese collegate all’ente aggiudicatore, e con il quale costituiscono un gruppo economico, che forniscono gli stessi (o simili) lavori, servizi o forniture,
si calcolano tenendo conto del fatturato totale che deriva, per
ciascuna impresa collegata, dalla prestazione dei servizi o dall’esecuzione dei lavori.
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Attività direttamente esposte
alla concorrenza
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fettiva o potenziale, di più fornitori di prodotti o
servizi in questione.
Il “mercato geografico di riferimento” viene definito nel comma 3 dell’art. 8 ed è costituito dal territorio dove le imprese interessate intervengono nell’offerta e nella domanda di prodotti e di servizi,
nel quale le condizioni di concorrenza sono sufficientemente omogenee e che può essere distinto
dai territori vicini, in particolare per condizioni di
concorrenza sensibilmente diverse da quelle che
prevalgono in quei territori, riferibili alla natura e
alle caratteristiche dei prodotti o servizi interessati,
dei prezzi, etc.
Inoltre, quando una determinata attività venga ritenuta direttamente esposta alla concorrenza su
mercati liberamente accessibili, il Presidente del
Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro
competente, può chiedere alla Commissione UE di
stabilire che le disposizioni del nuovo codice non
si applichino all’aggiudicazione di appalti o all’organizzazione di concorsi di progettazione nei settori
speciali, nonché alle concessioni aggiudicate da
enti aggiudicatori.
Contratti di servizi aggiudicati in base
ad un diritto esclusivo
Nei settori ordinari e speciali, ai sensi dell’art. 9,
sono sottratti all’applicazione delle disposizioni codicistiche, i contratti di servizi aggiudicati in base
ad un diritto esclusivo (art. 19, comma 2, del previgente D.Lgs. n. 163/2006).
Le disposizioni recate dall’articolo in esame recepiscono gli artt. 11 della Dir. 2014/24/UE, 22 della
Dir. 2014/25/UE e 10, par. 1 e 2, della Dir.
2014/23/UE, che sottraggono all’applicazione delle
regole sugli affidamenti le concessioni e gli appalti
pubblici di servizi aggiudicati a un’altra amministrazione o a un ente aggiudicatore o a un’associazione di amministrazioni o di enti aggiudicatori in
base ad un diritto esclusivo di cui esse beneficiano
in virtù di disposizioni normative, volte a tutelare
il preminente interesse generale rispetto all’apertura dei mercati. L’esclusione è disposta anche nell’ipotesi in cui il diritto esclusivo è attribuito ad un
operatore economico ai sensi del TFUE e di atti
giuridici dell’Unione recanti norme comuni in materia di accesso al mercato, con riferimento alle attività di cui all’allegato II.
In particolare, l’art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 50/2016
prevede che sono sottratti alle regole dell’evidenza
pubblica i contratti di servizi aggiudicati da un’amministrazione aggiudicatrice ad un’altra ammini-
928
strazione aggiudicatrice, ad un ente che sia amministrazione aggiudicatrice o ad un’associazione di
amministrazioni in base a un diritto esclusivo di
cui si benefici in virtù di disposizioni normative
volte a tutelare il preminente interesse generale rispetto all’apertura dei mercati, purché compatibili
con il Trattato sul Funzionamento dell’UE
(TFUE).
La medesima esclusione, ai sensi comma 2, è valevole:
- per le concessioni di servizi aggiudicate sulla base
di un diritto esclusivo a imprese pubbliche, ad
un’amministrazione aggiudicatrice, ad un ente aggiudicatore (anche in associazione tra loro);
- per le concessioni di servizi aggiudicate sulla base
di un diritto esclusivo concesso ai sensi del TFUE,
di atti giuridici dell’UE o dalle normative nazionali
in materia di accesso al mercato nei settori speciali.
Tuttavia, allo scopo di garantire la trasparenza, il
successivo comma 3 dispone che qualora sia concesso un diritto esclusivo ad un operatore economico per l’esercizio di una delle attività di cui all’allegato II, si devono applicare in ogni caso i principi
in materia di trasparenza previsti dall’art. 29 del
codice e devono essere rispettati gli obblighi informativi alla Commissione europea da parte della cabina di regia, istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (entro il mese successivo alla
concessione del diritto esclusivo).
Contratti nel settore dell’acqua,
dell’energia, dei trasporti e dei servizi
postali
L’art. 10 del D.Lgs. n. 50/2016 disciplina, poi, i casi di esclusione dall’applicazione delle regole previste dal codice per i settori cc.dd. speciali, con particolare riferimento ai contratti nel settore dell’acqua, energia, trasporti e servizi postali.
La disposizione non è nuova ma si apprezza in
quanto riassume e semplifica quanto già previsto
dal previgente D.Lgs. n. 163 del 2006: in particolare, gli artt. 25 e 209 (acqua), 25 e 208 (energia),
23 e 210 (trasporti), 31 e 211 (servizi postali).
In particolare, l’art. 10 prevede che le disposizioni
del nuovo codice relative ai settori ordinari non si
applicano:
- agli appalti pubblici e ai concorsi di progettazione
nei settori speciali che sono aggiudicati o organizzati dalle amministrazioni aggiudicatrici che esercitano una o più delle attività nei settori speciali
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(artt. 115/121) e sono aggiudicati per l’esercizio di
tali attività;
- agli appalti pubblici esclusi dall’ambito di applicazione delle disposizioni relative ai settori speciali
(ai sensi di quanto previsto dagli artt. 8, 13 e 15);
- agli appalti aggiudicati da un’amministrazione aggiudicatrice che fornisce servizi postali per il perseguimento di specifiche attività, quali servizi speciali connessi a strumenti elettronici ed effettuati interamente per via elettronica, particolari servizi finanziari, servizi di filatelia e servizi logistici.
Esclusioni ulteriori (artt. 11-18)
Gli artt. 11 (appalti per l’acquisto di acqua e per la
fornitura di energia o di combustibili destinati alla
produzione di energia), 13 (appalti nei settori speciali aggiudicati a scopo di rivendita o locazione a
terzi), 15 (appalti nelle comunicazioni elettroniche), 16 (contratti o concorsi di progettazione aggiudicati o organizzati in base a norme internazionali) e 17 (esclusioni specifiche per contratti di appalto e concessioni di servizi) del nuovo codice recano disposizioni che riproducono, sostanzialmente, le norme contenute, rispettivamente, negli artt.
25, 24, 22, 18 e 19 del previgente D.Lgs. n.
163/2006.
Dette norme sanciscono, in linea con le disposizioni delle direttive europee, l’esclusione dall’ambito
di applicazione delle regole del codice:
- per gli appalti per l’acquisto di acqua, e aggiudicati da enti che esercitano una delle attività previste dall’art. 117 (messa a disposizione o gestione o
l’alimentazione di reti destinate alla fornitura al
pubblico in connessione con la produzione, il trasporto o la distribuzione di acqua potabile), art. 11,
lett. a);
- per gli appalti per la fornitura di energia, elettricità o di combustibili destinati alla produzione di
(26) Ai sensi del comma 3 del medesimo art. 13 non si applicano neppure le disposizioni relative ai settori speciali previste dal codice per le categorie di prodotti o le attività individuate dalla Commissione europea con atto pubblicato nella G.U.
dell’Unione.
(27) È nota l’interpretazione del Giudice amministrativo in
merito all’affidamento con o senza gara di servizi legali maturata nel periodo di vigenza del D.Lgs. n. 163/2006: “Svolgere
servizi legali (come tali da affidare ai sensi del D.Lgs. n.
163/2006) a favore di un ente pubblico non può voler dire soltanto accettare mandati ad litem per un dato periodo, nei casi
ritenuti opportuni dall’amministrazione da patrocinare. In tal
caso, infatti, difetta in radice quell’organizzazione di uomini e
mezzi che la giurisprudenza indica quale primo requisito necessario per potersi parlare di “servizio legale”; organizzazione
che fa evidentemente il paio con la ricorrente affermazione per
cui è all’uopo necessario che al patrocinio si affianchi l’attività
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energia, aggiudicati da enti che siano essi stessi attivi nel settore dell’energia. Tali enti devono esercitare un’attività relativa alla messa a disposizione,
la gestione e l’alimentazione di reti per la fornitura
al pubblico in connessione con la produzione, trasporto e distribuzione di elettricità, gas o energia
termica, o relativa allo sfruttamento di un’area
geografica per l’estrazione di gas e petrolio o la prospezione o estrazione di carbone o altri combustibili solidi (art. 11, lett. b);
- per gli appalti aggiudicati nei settori speciali a
scopo di rivendita o di locazione a terzi, qualora
l’ente aggiudicatore non gode di diritti speciali o
esclusivi per la vendita o la locazione dell’oggetto
dell’appalto e quando altri enti possono venderlo
liberamente o darlo in locazione alle stesse condizioni (art. 13). In tali ipotesi, su richiesta della
Commissione europea, gli enti aggiudicatori devono comunicare le categorie di prodotti o di attività
che si ritengano esclusi dall’applicazione del codice
dei contratti (26);
-per gli appalti e i concorsi di progettazione nei
settori ordinari e per le concessioni finalizzati essenzialmente alla messa a disposizione o alla gestione di reti pubbliche di telecomunicazioni o alla
prestazione al pubblico di uno o più servizi di comunicazioni elettroniche (art. 15);
-per gli appalti, concorsi di progettazione e concessioni aggiudicati o organizzati in base a norme o
obblighi internazionali, con eccezione di quelli in
materia di difesa e sicurezza (art. 16);
-per una serie di appalti e concessioni di servizi,
elencati nell’art. 17, tra i quali quelli aventi ad oggetto: l’acquisto o la locazione di terreni e fabbricati (lett. a); l’acquisto, lo sviluppo e la produzione
di programmi audiovisivi o radiofonici (lett. b); i
servizi di arbitrato e conciliazione (lett. c); servizi
legali (27) e finanziari (lett. d- ed e-); prestiti (lett.
f); contratti di lavoro (lett. g); servizi di difesa cividi consulenza. Comune denominatore di siffatti requisiti appare la volontà dell’ente di affidare ad un esterno la cura complessiva dei propri interessi giuridici, cura che non si risolve
nell’instaurazione di o nella resistenza in singoli giudizi, seppur
ripetuti nel tempo, bensì nella valutazione globale e complessiva degli interessi dell’ente, in una visione unitaria che comprende non solo, come è indefettibile, il quomodo della difesa,
ma anche l’an di qualsivoglia iniziativa, sia giudiziale che stragiudiziale” (da ultimo, T.A.R. Calabria, Sez. Reggio Calabria,
Sez. I, 13 gennaio 2016, n. 38, in www.giustizia-amministrativa.it. La nuova disciplina sembrerebbe confermare tale impostazione, sebbene qualche perplessità, per il suo carattere generale, possa discendere dal ritenere esclusi dalle procedure di
affidamento regolate dal codice ‘altri’ servizi legali connessi
anche occasionalmente all’esercizio di pubblici poteri (lett. d, n.
5).
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le e protezione civile identificati con specifici codici riportati nella lett. h); servizi di trasporto pubblico di passeggeri per ferrovia o metropolitana (lett.
i); servizi connessi a campagne politiche aggiudicati da un partito politico in campagna elettorale
(lett. l).
Ulteriori esclusioni, introdotte in attuazione delle
disposizioni delle direttive da recepire, sono state
previste dagli artt. 12 e 14.
Nello specifico, l’art. 12 esclude dall’applicazione
delle norme del codice le concessioni nel settore
idrico aggiudicate per fornire o gestire reti fisse destinate alla fornitura di un servizio al pubblico in
connessione con la produzione, il trasporto o la distribuzione di acqua potabile o per alimentare tali
reti con acqua potabile, nonché le concessioni
(collegate a una delle attività precedenti) riguardanti progetti di ingegneria idraulica, irrigazione,
drenaggio, in cui il volume d’acqua destinato all’approvvigionamento d’acqua potabile rappresenti
più del 20% del volume totale d’acqua reso disponibile o riguardanti lo smaltimento/trattamento di
acque reflue. La relazione illustrativa al D.Lgs. n.
50/2016 sottolinea che le esclusioni da esso contemplate consentono di tener conto “degli esiti del
referendum abrogativo del 12-13 giugno 2011 per
le concessioni nel settore idrico, in aderenza a
quanto previsto dal criterio di delega di cui all’articolo 1, lettera hhh) della legge n. 11 del 2016”.
Tale lettera (28) fa riferimento alla previsione di
criteri per le concessioni indicate nella Sez. II del
Capo I del Titolo I della Dir. 2014/23/UE, in cui
rientrano quelle nel servizio idrico, nel rispetto
dell’esito del referendum abrogativo del 12-13 giugno 2011 per le concessioni nel settore idrico.
L’art. 14 del codice dei contratti, che recepisce
l’art. 19 della dir. 2014/25/UE, si occupa a sua volta degli appalti e concorsi di progettazione aggiudicati o organizzati per fini diversi dal perseguimento
di un’attività rientrante nei cc.dd. settori speciali o
per l’esercizio di una tale attività in un Paese terzo,
“in circostanze che non comportino lo sfruttamento materiale di una rete o di un’area geografica all’interno dell’Unione europea”.
L’art. 19, riprendendo quanto già sancito dall’art.
26 del previgente codice dei contratti pubblici,
esclude dall’ambito di applicazione del D.Lgs. n.
50/2016 i contratti di sponsorizzazione di lavori,
servizi o forniture di importo pari o superiore a eu-
(28) Art. 1, lett. hhh), L. n. 11/2016: “disciplina organica
della materia dei contratti di concessione mediante l’armonizzazione e la semplificazione delle disposizioni vigenti, nonché
la previsione di criteri per le concessioni indicate nella sezione
II del capo I del titolo I della direttiva 2014/23/UE, nel rispetto
dell’esito del referendum abrogativo del 12-13 giugno 2011
per le concessioni nel settore idrico, introducendo altresì criteri
volti a vincolare la concessione alla piena attuazione del piano
finanziario e al rispetto dei tempi previsti dallo stesso per la
realizzazione degli investimenti in opere pubbliche, nonché al
rischio operativo ai sensi della predetta direttiva 2014/23/UE, e
a disciplinare le procedure di fine concessione e le modalità di
indennizzo in caso di subentro; previsione di criteri volti a promuovere le concessioni relative agli approvvigionamenti industriali in autoconsumo elettrico da fonti rinnovabili nel rispetto
del diritto dell’Unione europea”.
930
Ulteriori esclusioni dall’applicazione del codice sono state previste per i contratti di concessione dall’art. 18 del D.Lgs. n. 50/2016.
Il legislatore delegato, con una disciplina di nuova
impostazione, ha ricompreso tra i casi di esclusione
dell’evidenza pubblica, le concessioni di servizi relativi:
a) alle concessioni di servizi di trasporto aereo sulla
base di una licenza di gestione a norma del Reg.
(CE) n. 1008/2008 o alle concessioni di servizi di
trasporto pubblico di passeggeri ai sensi del Reg.
(CE) n. 1370/2007;
b) alle concessioni di servizi di lotterie identificati
con il codice CPV 92351100-7 aggiudicate a un
operatore economico sulla base di un diritto esclusivo. Ai fini della presente lettera il concetto di diritto esclusivo non include i diritti esclusivi. Come
precisato nella Relazione illustrativa: “ai fini della
presente lettera il concetto di diritto esclusivo non
include i diritti esclusivi ma, come si evince dai
considerata della direttiva, per diritto esclusivo si
intende il diritto esclusivo concesso dallo Stato
mediante una procedura non ad evidenza pubblica
ai sensi delle vigenti disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nazionali applicabili,
conformemente al TFUE. Tale esclusione, è giustificata dalla concessione di un diritto esclusivo ad
un operatore economico che rende inapplicabile
una procedura competitiva nonché dalla necessità
di preservare la possibilità per gli Stati membri di
regolare a livello nazionale il settore dei giochi
d’azzardo in virtù dei loro obblighi di tutela dell’ordine pubblico e sociale”;
c) alle concessioni aggiudicate dagli enti aggiudicatori per l’esercizio delle loro attività in un Paese
terzo, in circostanze che non comportino lo sfruttamento materiale di una rete o di un’area geografica
all’interno dell’UE.
Contratti di sponsorizzazione
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ro 40.000. La sponsorizzazione può essere esercitata
mediante dazione di danaro, accollo dei debiti o altre modalità di assunzione dei pagamenti (si pensi,
ad esempio, al costo del personale o dei materiali
utilizzati), e deve essere soggetta solo alla pubblicazione dell’avviso di ricerca dello sponsor (con indicazione sintetica del contenuto del contratto) per
almeno 30 giorni sul sito istituzionale della stazione appaltante.
Trascorso tale termine, il contratto può essere negoziato con gli operatori che hanno manifestato
l’interesse, nel rispetto dei principi di imparzialità
e parità di trattamento, fermo restando il rispetto
dei motivi di esclusione previsti in via generale
dall’art. 80.
Non è chiaro, per la verità, se a tali contratti si applichino comunque tutti i principi previsti dall’art.
4 per i contratti esclusi o se, in via derogatoria,
vengano in rilievo solo quelli espressamente indicati nell’art. 19, il che appare più ragionevole.
Le sponsorizzazioni che coinvolgono un soggetto
pubblico possono essere passive oppure attive. Per
sponsorizzazioni passive si intendono quelle in cui
l’amministrazione assume le vesti del soggetto
sponsorizzato, utilizzando la sponsorizzazione come
forma indiretta di finanziamento, le attive sono invece quelle in cui è l’amministrazione a finanziare
l’attività di un soggetto terzo. La causa tipica dell’accordo, ove si tratti delle cc.dd. sponsorizzazioni
passive, in cui cioè l’ente pubblico assume la qualifica di soggetto sponsorizzato, è la valorizzazione
della immagine dello sponsor, che presta soldi o
expertise in favore dell’amministrazione.
Il contratto di sponsorizzazione è, solitamente, ricondotto ai contratti attivi delle pubbliche amministrazioni, non comportando una spesa bensì un
vantaggio patrimoniale, che si identifica con il
contributo economico versato dallo sponsor, oppure, con il controvalore della prestazione specifica
che lo sponsor rende all’amministrazione. Ciò non
toglie che il contratto di sponsorizzazione, al pari
dei contratti passivi, riguarda beni o funzioni contendibili, che possono cioè interessare il mercato e
la concorrenza.
La nuova disciplina conferma i contenuti principali del previgente art. 26 del D.Lgs. n. 163/2006: il
limite di euro 40.000 e, nel caso in cui lavori, servizi o forniture siano realizzati/prestati dallo spon-
sor, sia l’applicazione delle disposizioni in materia
di requisiti di qualificazione dei progettisti e degli
esecutori del contratto, sia l’onere, in capo alla stazione appaltante, di impartire le prescrizioni opportune in ordine alla progettazione, all’esecuzione
delle opere e/o forniture e alla direzione dei lavori
e collaudo degli stessi.
In particolare, si prevede che l’affidamento di contratti di sponsorizzazione di lavori, servizi o forniture per importi superiori a quarantamila euro, con
esclusione dei contratti di sponsorizzazione aventi
ad oggetto beni culturali, cui non si applica tale limite (ai sensi dell’art. 151 del nuovo codice dei
contratti), è soggetto, come anticipato, esclusivamente alla previa pubblicazione sul sito istituzionale della stazione appaltante, per almeno trenta
giorni, di apposito avviso. La previsione di un termine minimo per la pubblicazione del bando dell’avviso che informa gli operatori economici dell’intenzione di affidare un contratto di sponsorizzazione soddisfa l’esigenza richiesta dalle regole di
trasparenza e pubblicità dell’affidamento dei contratti di sponsorizzazione e, in un’ottica di stimolo
alla concorrenza, favorisce con l’informazione al
“mercato” il confronto competitivo per l’assegnazione dei contratti di sponsorizzazione.
Nel caso in cui lo sponsor intenda realizzare i lavori, prestare i servizi e/o le forniture direttamente a
sua cura e spese, la stazione appaltante verifica il
possesso dei requisiti degli esecutori, nel rispetto
dei principi e dei limiti europei in materia e non
trovano applicazione le disposizioni nazionali e regionali in materia di contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture, ad eccezione di quelle sulla qualificazione dei progettisti e degli esecutori.
Si prevede, inoltre, che la stazione appaltante impartisca opportune prescrizioni in ordine alla progettazione, all’esecuzione delle opere e/o forniture
e alla direzione dei lavori e collaudo degli stessi.
La norma, quindi, prevedendo una disciplina semplificata, unica per i contratti di sponsorizzazione
sia dei beni culturali sia negli altri settori, deve ritenersi innovativa rispetto a quanto previsto dall’articolo 120 del codice dei beni culturali e rispetto alla normativa vigente di cui all’art. 43 della L.
n. 449 del 1997 (29), che prevede la possibilità per
le pubbliche amministrazioni di concludere accordi
di sponsorizzazione limitatamente con soggetti pri-
(29) Per l’art. 43 della L. n. 449/1997, commi 1-3: “1. Al fine
di favorire l’innovazione dell’organizzazione amministrativa e di
realizzare maggiori economie, nonché una migliore qualità dei
servizi prestati, le pubbliche amministrazioni possono stipulare
contratti di sponsorizzazione ed accordi di collaborazione con
soggetti privati ed associazioni, senza fini di lucro, costituite
con atto notarile. 2. Le iniziative di cui al comma 1 devono essere dirette al perseguimento di interessi pubblici, devono
escludere forme di conflitto di interesse tra l’attività pubblica e
quella privata e devono comportare risparmi di spesa rispetto
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L’art. 20, infine, modificando ed integrando quanto previsto dall’art. 32, comma 1, lett. g) del previgente codice dei contratti (31), stabilisce l’esclusione dall’applicazione dei principi dell’evidenza pubblica per le opere pubbliche realizzate a totale cura
e spese da parte del privato (o di altro soggetto
pubblico), dettando al contempo delle disposizioni
che regolano alcuni obblighi minimi in capo all’amministrazione procedente (concernenti la valutazione del progetto di fattibilità e l’indicazione del
tempo massimo di realizzazione dell’opera).
Nella relazione illustrativa ad decreto legislativo si
evidenzia che: “la previsione rappresenta una innovazione nell’ordinamento giuridico e disciplina un
aspetto relativo alla partecipazione della società civile nello sviluppo delle infrastrutture e delle opere
pubbliche nell’ambito della sussidiarietà orizzontale”.
La norma dispone che i rapporti tra l’amministrazione pubblica e il soggetto pubblico o privato siano disciplinati da un convenzione alla quale sono
altresì demandate la disciplina delle conseguenze
in caso di inadempimento.
La disposizione, che non trova corrispondenze nel
testo delle direttive europee, si applica ai casi in
cui un’amministrazione pubblica stipuli una convenzione con un soggetto pubblico o privato che si
impegna alla realizzazione di un’opera pubblica o
di un suo lotto funzionale o di parte dell’opera prevista nell’ambito di strumenti o programmi urbanistici, a sua totale cura e spesa, e ad ottenere tutte
le necessarie autorizzazioni, fermi restando i casi di
esclusione previsti dall’art. 80 del D.Lgs. n.
50/2016.
agli stanziamenti disposti. Per le sole amministrazioni dello
Stato una quota dei risparmi così ottenuti, pari al 5 per cento,
è destinata ad incrementare gli stanziamenti diretti alla retribuzione di risultato dei dirigenti appartenenti al centro di responsabilità che ha operato il risparmio; una quota pari al 65 per
cento resta nelle disponibilità di bilancio della amministrazione. Tali quote sono versate all’entrata del bilancio dello Stato
per essere riassegnate, per le predette finalità, con decreti del
Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica. La rimanente somma costituisce economia di bilancio. La presente disposizione non si applica nei casi in cui le
sponsorizzazioni e gli accordi di collaborazione sono diretti a finanziare interventi, servizi o attività non inseriti nei programmi
di spesa ordinari. Continuano, inoltre, ad applicarsi le particolari disposizioni in tema di sponsorizzazioni ed accordi con i
privati relative alle amministrazioni dei beni culturali ed ambientali e dello spettacolo, nonché ogni altra disposizione speciale in materia. 3. Ai fini di cui al comma 1 le amministrazioni
pubbliche possono stipulare convenzioni con soggetti pubblici
o privati dirette a fornire, a titolo oneroso, consulenze o servizi
aggiuntivi rispetto a quelli ordinari. Il 50 per cento dei ricavi
netti, dedotti tutti i costi, ivi comprese le spese di personale,
costituisce economia di bilancio. Le disposizioni attuative del
presente comma, che non si applica alle amministrazioni dei
beni culturali ed ambientali e dello spettacolo, sono definite ai
sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n.
400”.
(30) Art. 119 TUEL: “In applicazione dell’articolo 43 della
legge 27 dicembre 1997 n. 449, al fine di favorire una migliore
qualità dei servizi prestati, i comuni, le province e gli altri enti
locali indicati nel presente testo unico, possono stipulare contratti di sponsorizzazione ed accordi di collaborazione, nonché
convenzioni con soggetti pubblici o privati diretti a fornire consulenze o servizi aggiuntivi”.
(31) Sul punto la disposizione deve comunque essere coordinata con quanto previsto dall’art. 36, comma 3 e 4, sempre
del D.Lgs. n. 50/2016, secondo cui se le opere di urbanizzazione da realizzare a scomputo sono superiori alla soglia comunitaria, si deve applicare la procedura ordinaria; diversamente,
nel caso di opere di urbanizzazione primaria di importo sotto
soglia, non si applica il nuovo codice dei contratti (ai sensi dell’art. 16, comma 2 bis, del D.Lgs. 6 giugno 2001, n. 380).
vati ed associazioni, senza fini di lucro, costituiti
con atto notarile e rispetto a quanto previsto dall’art. 119 del D.Lgs. n. 267 del 2000 (30) per gli
enti locali.
Opere a spese dei privati
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Concessioni
Le nuove regole dell’affidamento
delle concessioni
di Claudio Contessa
Il contributo esamina le disposizioni che il nuovo “Codice” riserva al tema di affidamento delle
concessioni, sottolineandone il carattere minimale e di principio (un carattere che rinviene dalla
scelta del Legislatore UE di riservare alla materia un mero ravvicinamento fra le Legislazioni).
Viene esaminato, in particolare, il tema della “libera amministrazione” di cui all’art. 2 della Dir.
2014/23/UE e il suo rapporto con gli affidamenti in house.
La parte finale del contributo si incentra poi sulle garanzie procedurali approntate dal nuovo
“Codice”.
Aspetti generali della questione
Il nuovo “Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione” dedica al tema dell’affidamento delle concessioni una disciplina piuttosto
sintetica ma non per questo priva di aspetti sistematici di interesse.
Si tratta, come è noto, del primo tentativo di sistemazione organica di una complessa materia che,
nell’ambito dell’esperienza nazionale, aveva sino
ad oggi conosciuto forme di regolamentazione dedicate soltanto alle concessioni di lavori (artt. da
142 a 151 del “Codice de Lise”) e a quelle di servizi (ivi, art. 30).
A seguito dell’adozione da parte dell’UE di una disciplina organica del fenomeno concessorio (1) anche il Legislatore nazionale ha dovuto superare le
tradizionali resistenze opposte alla disciplina organica di questo settore così denso di implicazioni di
sistema.
Ne è scaturita la stesura della Parte III del nuovo
“Codice” (dedicata, appunto, ai contratti di concessione), il cui Capo I disciplina la materia dei
principi generali, mentre il Capo II disciplina il tema delle garanzie procedurali (2).
Nei paragrafi che seguono si fornirà un quadro di
insieme in ordine alle nuove regole sull’affidamen(1) Dir. 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio
del 26 febbraio 2014 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione (in: GUCE L94/1 del 28 marzo 2014).
(2) Esula invece dall’ambito della presente disamina il Capo
III, dedicato al tema dell’esecuzione delle concessioni.
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to delle concessioni operando - ove occorra - adeguati confronti con la materia degli appalti nei settori cc.dd. “classici” e in quelli “speciali”.
Dalla legge delega al nuovo “Codice”:
le principali scelte in tema di affidamento
delle concessioni
Come è noto, la Direttiva concessioni del 2014 ha
introdotto per la prima volta nell’esperienza normativa eurounitaria una disciplina generale circa il
fenomeno concessorio nel suo complesso.
Come si è avuto altrove modo di osservare (3), sino a tempi piuttosto recenti (e in assenza di un
qualunque riferimento alla materia delle concessioni nell’ambito del TFUE) non era affatto scontato
che il tentativo di introdurre al livello UE un ravvicinamento (sia pure di contenuto minimo) delle
legislazioni nella materia concessoria fosse destinato ad avere successo.
Al contrario, un analogo tentativo già avviato in
occasione dell’approvazione del “pacchetto normativo” del 2004 si era concluso con un sostanziale
nulla di fatto, stante l’opposizione di quei Paesi
(con la Francia in prima linea) i quali temevano
che un tentativo in tal senso li avrebbe privati di
adeguati spazi di manovra in particolare per quanto
(3) Sia consentito rinviare a C. Contessa, Le concessioni nella nuova direttiva europea, in: C. Contessa - D. Crocco, Appalti
e concessioni - Le nuove direttive europee, Roma, 2015, 157
ss.
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riguarda la disciplina dei servizi di interesse economico generale (SIEG) di cui all’art. 106 del TFUE.
All’esito di quella vicenda, la Dir. 2014/18/CE
(c.d. “Direttiva settori classici”) si limitò: i) a disciplinare la materia delle concessioni di lavori di importo superiore alla soglia di rilevanza comunitaria (4); ii) a recare una definizione (ma non anche
una disciplina puntuale) delle concessioni di servizi.
Ma neppure il Legislatore nazionale era riuscito sino a tempi recenti a recare una disciplina organica
della materia concessoria.
Basti pensare al fatto che (al di là delle concessioni
di lavori - già note da alcuni lustri nell’esperienza
nazionale -) il “Codice” del 2006 dedicò un solo
articolo (il 30) alla materia delle concessioni di
servizi, limitandosi peraltro in massima parte a recepire i pregressi acquis giurisprudenziali formatisi
sul tema.
In definitiva, sino a tempi recenti, in tema di affidamento delle concessioni ben poche novità erano
state introdotte rispetto al primo documento ufficiale con cui la Commissione europea aveva tentato di tracciare un primo quadro di insieme sulla disciplina del fenomeno al livello continentale (5)
(ci si riferisce alla Comunicazione interpretativa della
Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario
dell’aprile del 2000) (6).
Il quadro concettuale di riferimento è mutato profondamente con l’approvazione della Dir.
2014/23/UE la quale (lungi dall’introdurre una disciplina puntuale ed armonizzata in tema di affidamento delle concessioni) ha introdotto in tema di
procedure di aggiudicazione - e, più a monte, in tema di regole per l’affidamento - un setting di regole
finalizzate ad assicurare un coordinamento minimo,
con il duplice obiettivo di garantire l’apertura delle
concessioni alla concorrenza e di assicurare un adeguato grado di certezza giuridica.
Secondo quanto si legge nel Considerando 8 della
Direttiva in questione, l’introduzione di un siffatto
coordinamento minimo dovrebbe comunque lasciare agli Stati membri adeguati margini di flessibilità, nonché la facoltà di “completare e sviluppare ulteriormente tali norme qualora lo ritenessero
opportuno, in particolare per meglio garantire la
conformità ai summenzionati princìpi”.
La legge delega n. 11 del 2016 ha dedicato uno
specifico criterio direttivo (si tratta del criterio
hhh) alla materia delle concessioni, mirando ad introdurre una disciplina organica della materia “mediante l’armonizzazione e la semplificazione delle
disposizioni vigenti, nonché la previsione di criteri
per le concessioni [escluse dall’ambito di applicazione], nel rispetto dell’esito del referendum abrogativo del 12-13 giugno 2011 per le concessioni
nel settore idrico, introducendo altresì criteri volti
a vincolare la concessione alla piena attuazione del
piano finanziario e al rispetto dei tempi previsti
dallo stesso per la realizzazione degli investimenti
in opere pubbliche, nonché al rischio operativo ai
sensi della predetta direttiva 2014/23/UE”.
Il richiamato criterio di delega ha altresì vincolato
il Legislatore delegato “a disciplinare le procedure
di fine concessione e le modalità di indennizzo in
caso di subentro; previsione di criteri volti a promuovere le concessioni relative agli approvvigionamenti industriali in autoconsumo elettrico da fonti
rinnovabili nel rispetto del diritto dell’Unione europea”.
La legge delega, quindi, non ha dettato regole specifiche sul tema dell’affidamento delle concessioni,
limitandosi a un richiamo (invero piuttosto generico) ai principi di armonizzazione e di semplificazione.
Oltretutto, il rinvio agli esiti del referendum abrogativo del giugno del 2011 risulta evidentemente
limitato alla sola materia dei servizi pubblici locali
di interesse economico generale (oggetto specifico
del quesito referendario) e non sembra potersi
estendere all’intera materia concessoria per come
definita dalla Dir. 2014/23/UE.
(4) Si tratta di una materia che, invero, risultava già disciplinata dalla Dir. 93/37/CEE.
(5) Sul punto, C. Contessa, op. ult. cit., 158.
(6) Il documento in questione aveva declinato in particolare
i principi che presiedono alla tematica degli affidamenti, soffermandosi su quelli di parità di trattamento, di trasparenza, di
proporzionalità e di mutuo riconoscimento.
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L’oggetto e l’ambito di applicazione
della nuova disciplina
L’oggetto e l’ambito di applicazione della nuova disciplina nazionale in tema di concessioni sono ora
definiti dall’art. 164 del “Codice”.
L’articolo in questione chiarisce in primo luogo
che le disposizioni della Parte III definiscono le
norme applicabili alle procedure di aggiudicazione
dei contratti di concessione di lavori pubblici o di
servizi indette dalle amministrazioni aggiudicatrici,
nonché dagli enti aggiudicatori qualora i lavori o i
servizi siano destinati ad una delle attività di cui
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L’art. 2 della “Direttiva concessioni” del 2014 declina il principio della libera amministrazione delle
autorità pubbliche secondo modalità definitorie
particolarmente ampie.
Nella sua declinazione eurounitaria il principio in
questione non risulta limitato alle scelte dell’am-
ministrazione in ordine all’individuazione e all’organizzazione della procedura di gara ma - più in generale - alla scelta (per così dire: “a monte”) fra il
modello dell’autoproduzione e quello dell’esternalizzazione.
Come si è avuto altrove modo di osservare (8), il
principio in questione sembra rappresentare la traduzione normativa (al livello UE) del divieto di riguardare al modello dell’autoproduzione (nonché
dell’in house providing, che ne costituisce forse la
traduzione più nota e studiata) quale modello succedaneo e ontologicamente subvalente rispetto a
quello della messa a gara.
Non a caso, anche la c.d. “Direttiva appalti” sembra sottendere il medesimo principio laddove stabilisce (al considerando 5) che “nessuna disposizione
della presente direttiva obbliga gli Stati membri ad
affidare a terzi o a esternalizzare la prestazione di
servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con strumenti diversi dagli appalti pubblici ai
sensi della presente direttiva”.
I principi e le disposizioni appena richiamati rendono evidente che per il diritto UE le forme dell’autoproduzione e dell’internalizzazione (quali l’affidamento in regime di delegazione interorganica)
non rappresentano eccezioni - di fatto mal tollerate
- al principio liberoconcorrenziale della messa a gara, bensì forme paradigmatiche ed equiordinate di
attribuzione degli appalti e delle concessioni.
Anzi, a ben vedere, la prima (ed incoercibile) opzione che si pone per l’amministrazione pubblica
che deve affidare un appalto o una concessione è
quella fra l’internalizzazione e l’esternalizzazione e
solo se tale scelta (in se del tutto libera) si risolva
in favore del secondo di tali modelli (senza che
sussista alcun tendenziale vincolo in tal senso), allora risulterà necessario assicurare il pieno e coerente rispetto dei principi della libera concorrenza.
Tuttavia nel dibattito interno i termini della questione risultano ancora oggi impostati in modo ben
diverso (9).
Ed infatti, nel declinare il richiamato principio di
libera organizzazione nell’Ordinamento nazionale,
il Legislatore del 2016 ne ha delimitato la portata
(7) In base al comma 2, “alle procedure di aggiudicazione
di contratti di concessione di lavori pubblici o di servizi si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni contenute nella
parte I e nella parte II, del presente codice, relativamente ai
principi generali, alle esclusioni, alle modalità e alle procedure
di affidamento, alle modalità di pubblicazione e redazione dei
bandi e degli avvisi, ai requisiti generali e speciali e ai motivi di
esclusione, ai criteri di aggiudicazione, alle modalità di comu-
nicazione ai candidati e agli offerenti, ai requisiti di qualificazione degli operatori economici, ai termini di ricezione delle domande di partecipazione alla concessione e delle offerte, alle
modalità di esecuzione”.
(8) C. Contessa, op. ult. cit., Cap. 6.
(9) Sul punto, v. - fra i molti - C. Volpe, Le nuove direttive sui
contratti pubblici e l’in house providing: problemi vecchi e nuovi, in www.giustizia-amministrativa.it.
all’allegato II (il quale reca l’individuazione dei
cc.dd. “settori speciali”).
Il medesimo art. 164 chiarisce che le disposizioni
di cui alla Parte III del nuovo “Codice” non si applicano “ai provvedimenti, comunque denominati,
con cui le amministrazioni aggiudicatrici, a richiesta di un operatore economico, autorizzano, stabilendone le modalità e le condizioni, l’esercizio di
un’attività economica che può svolgersi anche mediante l’utilizzo di impianti o altri beni immobili
pubblici” (si pensi alle concessioni di beni del demanio marittimo).
Per quanto riguarda più in particolare la disciplina
delle procedure di aggiudicazione e di affidamento
delle concessioni, il comma 2 dell’art. 164 opera
un rinvio alla generale disciplina di cui alle Parti I
e II (sia pure attraverso l’introduzione di una clausola di compatibilità dai contorni applicativi non
del tutto definiti) (7).
Di indubbio interesse è anche la previsione (comma 3) secondo cui i servizi non economici di interesse generale non rientrano nell’ambito di applicazione della Parte III del nuovo “Codice” (si tratta, in linea di massima, dei servizi pubblici locali
privi di rilevanza economica di cui all’art. 113 bis
del D.Lgs. n. 267 del 2000 - TUEL).
I commi 4 e 5 disciplinano poi l’affidamento dei
lavori pubblici da parte dei concessionari, distinguendo il caso in cui essi siano qualificabili come
amministrazioni aggiudicatrici dal caso in cui non
lo siano.
Nella prima ipotesi, per l’affidamento di tali appalti “a valle” della concessione dovranno essere applicate in toto le disposizioni del nuovo “Codice”,
mentre nel secondo caso troveranno applicazione
unicamente le disposizioni di cui alla Parte III.
Il principio di libera amministrazione
delle autorità pubbliche
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Un atteggiamento, questo, che sembra sottendere
una sostanziale identificazione fra lo studio della
patologia di un fenomeno (la c.d. “fuga dalla gara”
che spesso ispira la scelta per l’affidamento diretto)
con lo studio e la disciplina del fenomeno in quanto tale.
ben oltre quanto apparentemente consentito dal
diritto eurounitario e dalla stessa legge di delega.
In particolare, l’art. 166 (rubricato, appunto, “Principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche”) sembra limitare l’effettiva applicazione di tale
principio alla scelta ed organizzazione della procedura per la scelta del concessionario, nonché alla
scelta del modo migliore per gestire l’esecuzione
dei lavori e la prestazione dei servizi (10).
In definitiva, la scelta del Legislatore di richiamare
in modo espresso (e apparentemente paradigmatico) la procedura per la scelta del concessionario sembra presupporre un orientamento normativo comunque contrario a forme di affidamento in regime
di delegazione interorganica, proponendo il modello sostanzialmente unico della messa a gara.
D’altra parte, anche nella più recente disciplina
dei servizi pubblici locali di interesse economico
generale il Legislatore delegato sembra palesare un
atteggiamento del tutto analogo.
In particolare, lo schema di decreto legislativo attuativo della delega di cui all’art. 19 della L. n.
124 del 2015 (11) stabilisce a sua volta che il ricorso all’in house providing nel settore dei SPL di rilevanza economica (rectius: di interesse economico
generale) è possibile soltanto al ricorrere di alcune
- stringenti - condizioni, fra cui: i) la puntuale motivazione in ordine alla scelta del modello; ii) la
specifica indicazione “delle ragioni di mancato ricorso al mercato e, in particolare del fatto che tale
scelta NON sia comparativamente più svantaggiosa per i cittadini”; iii) la puntuale indicazione “dei
benefici per la collettività della forma di gestione
prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di
universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche (...)”.
Si tratta, ad avviso di chi scrive, di una scelta di
politica normativa che non solo non assicura piena
attuazione al richiamato principio di libera amministrazione (quanto meno, non nella sua piena ampiezza di implicazioni), ma che, in definitiva, perpetua anche nel settore delle concessioni il vero e
proprio pregiudizio verso le forme dell’affidamento
diretto che caratterizza ormai da un decennio circa
l’atteggiamento del Legislatore nazionale.
Il Capo II dell’unico titolo della parte del “Codice”
dedicata ai contratti di concessione disciplina le
garanzie procedurali sugli affidamenti, soffermandosi in particolare: i) sui requisiti tecnici e funzionali
da porre a base della documentazione di gara per
l’affidamento della concessione (art. 170); ii) sulle
garanzie procedurali nei criteri di aggiudicazione (art.
171); iii) sulla selezione e valutazione qualitativa dei
candidati (art. 172), nonché iv) sui termini, principi
e criteri di aggiudicazione (art. 173).
Si tratta, come è evidente, di un setting di regole
settoriali che si affianca (attraverso la generale
clausola di compatibilità di cui al precedente art.
164) alla disciplina delle procedure di affidamento
di cui alla Parte I (Ambito di applicazione, principi,
disposizioni comuni ed esclusioni) e alla Parte II
(Contratti di appalto per lavori servizi e forniture).
Qui di seguito si procederà, quindi, a una sintetica
disamina in ordine alle singole disposizioni dedicate alla tematica delle garanzie procedurali nell’affidamento delle concessioni.
L’art. 170 recepisce le nuove prescrizioni in materia di requisiti tecnici e funzionali recate dal Considerando 67 e dall’art. 36 della “Direttiva concessioni”, volte ad assicurare che le caratteristiche
tecniche, fisiche, funzionali e giuridiche proprie di
ciascuna offerta in gara deve soddisfare al fine di
consentire un adeguato grado di apertura alla concorrenza (12).
Si tratta di un complesso di regole che presenta
evidenti aspetti di contiguità disciplinare con l’art.
68 in tema di fissazione da parte dell’amministrazione aggiudicatrice delle specifiche tecniche nell’ambito delle gare di appalto per gli appalti nei
settori ordinari.
La disposizione in esame stabilisce che la fissazione
dei richiamati requisiti tecnici e funzionali (i quali
possono anche riferirsi allo specifico processo di
(10) In base all’art. 166, infatti, “le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori sono liberi di organizzare la procedura per la scelta del concessionario, fatto salvo il rispetto
delle norme di cui alla presente Parte. Essi sono liberi di decidere il modo migliore per gestire l’esecuzione dei lavori e la
prestazione dei servizi per garantire in particolare un elevato livello di qualità, sicurezza ed accessibilità, la parità di tratta-
mento e la promozione dell’accesso universale e dei diritti dell’utenza nei servizi pubblici”.
(11) Il testo dello schema di decreto delegato è rinvenibile
al sito www.astrid-online.it.
(12) M.F. Mattei, Commento all’art. 170, in: C. Contessa D. Crocco, Appalti e concessioni - Le nuove direttive europee,
cit.
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Le garanzie procedurali
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esecuzione dei lavori o di fornitura dei servizi richiesti) debba comunque essere parametrata e congruente rispetto al valore e agli obiettivi del contratto.
I requisiti tecnici e funzionali (che possono includere anche livelli di qualità, di prestazione ed effetti sul clima) non possono - in via tendenziale - fare
riferimento a una fabbricazione o provenienza determinata o a un procedimento particolare caratteristico dei prodotti o dei servizi forniti da un determinato operatore economico, né a marchi, brevetti, tipi o a una produzione specifica che avrebbero
come effetto di favorire o eliminare talune imprese
o taluni prodotti.
Ai sensi del comma 2, tuttavia, tale riferimento è
autorizzato, in via eccezionale, nel caso in cui una
descrizione sufficientemente precisa e intelligibile
dell’oggetto del contratto non sia possibile. In tali
ipotesi eccezionali, un siffatto riferimento è accompagnato dall’espressione “o equivalente”.
Al concorrente è comunque consentito di provare,
con qualsiasi mezzo idoneo, che le soluzioni da lui
proposte, pur se non puntualmente conformi ai requisiti richiesti dalla documentazione di gara, soddisfino comunque in maniera equivalente i requisiti tecnici e funzionali richiesti (comma 3).
L’art. 171 disciplina le garanzie procedurali nei criteri
di aggiudicazione e consente all’amministrazione aggiudicatrice di determinare ex ante i requisiti minimi delle offerte, ivi compresi “le condizioni e le caratteristiche tecniche, fisiche, funzionali e giuridiche che ogni offerta deve soddisfare o possedere”
(commi 1 e 2).
Si tratta di una disciplina evidentemente di principio e dal contenuto meno rigoroso e dettagliato rispetto a quella relativa all’aggiudicazione degli appalti nei settori ordinari e nei settori speciali.
Ai sensi del comma 2 il bando di concessione deve
inoltre indicare: i) una generale descrizione della
concessione e delle condizioni di partecipazione; ii)
il vincolo per i concorrenti alla realizzazione del
piano finanziario e al rispetto dei tempi previsti
per la realizzazione degli investimenti; iii) la descrizione dei criteri di aggiudicazione ovvero l’indicazione dei requisiti minimi da soddisfare.
I successivi commi 4 e 5 confermano il carattere
generale e di principio delle regole in tema di garanzie procedurali. Viene in particolare previsto
che la possibilità per la stazione appaltante di limi-
tare il numero dei candidati e gli offerenti a un livello adeguato sia subordinata alla previa fissazione
di criteri oggettivi e trasparenti.
Le modalità relative allo svolgimento della procedura devono essere rese note a tutti i partecipanti
in via preventiva, così come le eventuali modifiche.
Il carattere - per così dire - elastico delle procedure
di affidamento viene reso palese dal comma 7, secondo cui “la stazione appaltante può condurre liberamente negoziazioni con i candidati e gli offerenti. L’oggetto della concessione, i criteri di aggiudicazione e i requisiti minimi non possono essere
modificati nel corso delle negoziazioni”.
L’art. 172 regola la tematica della selezione e valutazione qualitativa dei candidati.
La disposizione in esame consente in primo luogo
alle stazioni appaltanti di verificare (similmente a
quanto avviene per i settori ordinari e per i cc.dd.
“settori speciali” ai sensi dell’art. 135) le condizioni
di partecipazione relative alle capacità tecniche e
professionali e alla capacità finanziaria ed economica dei candidati o degli offerenti, “sulla base di
certificazioni, autocertificazioni o attestati che devono essere presentati come prova”. È evidente al
riguardo la similitudine fra la disposizione in questione e il contenuto dell’art. 85 in tema di Documento di gara unico europeo (DGUE).
Allo stesso modo, risulta evidentemente comune
alla disciplina in tema di appalti nei settori ordinari e nei settori speciali la previsione secondo cui
“le condizioni di partecipazione sono correlate e
proporzionali alla necessità di garantire la capacità
del concessionario di eseguire la concessione, tenendo conto dell’oggetto della concessione e dell’obiettivo di assicurare la concorrenza effettiva”.
Dal canto suo, il comma 2 dell’art. 172 declina in
relazione alla materia delle concessioni l’istituto
dell’avvalimento di cui all’art. 89 (13).
L’art. 173 (rubricato Termini, principi e criteri di aggiudicazione) stabilisce in primo luogo - e con disposizione dall’evidente valenza di principio - che
le concessioni sono aggiudicate sulla base dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza di cui all’art. 30 (nonché sulla base dei concomitanti principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e pubblicità di
cui al medesimo art. 30).
(13) Sulla generale compatibilità fra l’istituto della concessione e lo strumento dell’avvalimento, cfr. Cons. Stato, Sez. IV,
9 novembre 2015, n. 5091 (in www.dirittodeiservizipubblici.it).
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Il legislatore delegato (al pari di quello europeo)
non ha operato sul delicato tema dell’affidamento
delle concessioni scelte di campo dal forte valore
innovativo, limitandosi - piuttosto - a recare una
disciplina di principio (peraltro, ampiamente ricognitiva di acquis giurisprudenziali piuttosto consolidati).
Sarebbe tuttavia ingeneroso negare in assoluto
l’importanza dell’intervento normativo del nuovo
“Codice” sul tema in esame.
Ad avviso di chi scrive, al contrario, il primo (e
per ciò stesso importante) risultato conseguito dal
nuovo “Codice” è rappresentato dal fatto in se che
si sia reso finalmente possibile recare una disciplina
organica - pur se di principio - in tema di affidamento delle concessioni. Si tratta di un obiettivo
lungamente perseguito nell’ordinamento interno e
sino a tempi recenti puntualmente disatteso.
È altresì importante osservare che a breve il quadro
normativo in tema di affidamento delle concessioni sarà arricchito dal nuovo (ed estremamente atteso) tassello rappresentato dalla nuova disciplina
dei servizi pubblici locali di interesse economico
generale di cui all’art. 19 della “legge Madia” del
2015.
A seguito di tale ulteriore intervento normativo, la
complessiva materia concessoria riceverà una disciplina adeguatamente dettagliata sia per ciò che riguarda i suoi aspetti sostanziali, sia per ciò che riguarda il cruciale tema degli affidamenti.
In ogni caso, non va sottovalutata l’idoneità di una
disciplina di mero principio ad incidere in modo
profondo sugli stili decisionali e sui comportamenti
delle amministrazioni e degli operatori.
La piena e - per dirla con Dworkin - seria attuazione dei principi di trasparenza, proporzionalità e pubblicità non postula l’introduzione di una casistica
normativa certosina e tendenzialmente onnicomprensiva, quanto - piuttosto - l’instaurazione di un
sistema di regole e valori ampiamente condiviso.
Un sistema di valori che non prelude l’instaurazione di una sorta di Stato minimo, quanto la mera (e
seria) applicazione dei principi della continenza
normativa e, in definitiva, dello stesso divieto di
gold plating (che, non a caso, rappresentava il primo
dei criteri di delega legislativa che hanno ispirato
la stesura del nuovo “Codice”) (14).
(14) Ed infatti, il divieto di introduzione o di mantenimento
di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle
direttive è sancito al comma 1, lett. a) della legge delega n. 11
del 2016.
Sotto tale aspetto l’articolo in esame conferma
puntualmente (anche sotto il profilo testuale) la
scelta - già propria della fonte eurounitaria - di riservare all’aggiudicazione delle concessioni una disciplina di mero principio, rinunziando alla puntuale determinazione dei singoli criteri.
Sul medesimo solco, quindi, si pone la previsione
di cui al successivo comma 2, secondo cui la stazione appaltante elenca i criteri di aggiudicazione in
ordine decrescente di importanza.
La disposizione in questione (dal contenuto estremamente sintetico) reca una dichiarata eccezione
alle più puntuali previsioni di cui all’art. 95 del
nuovo “Codice” il quale ha dedicato una disciplina
piuttosto puntuale ai criteri (rectius: all’unico criterio) di aggiudicazione dell’offerta economicamente
più vantaggiosa.
Conclusioni
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Concessioni di lavori e di servizi
Il contratto di concessione
di lavori e di servizi:
novità e conferme a 10 anni
dal Codice De Lise
di Gian Franco Cartei
Nella nuova disciplina dei contratti pubblici riceve pieno risalto l’autonoma configurazione del
contratto di concessione di lavori e servizi. Molte le novità di un istituto assai diverso da quello
dell’appalto. Su tutte si caratterizzano la nuova nozione di rischio operativo, l’importanza dell’equilibrio economico-finanziario, la durata e la modifica del rapporto contrattuale. Sempre utile,
ad ogni modo, l’esperienza del regime giuridico previgente.
Il contesto della disciplina in materia di
concessione
La disciplina contenuta del nuovo Codice dei contratti pubblici dedica al contratto di concessione
l’intera Parte III comprendente le disposizioni di
cui agli articoli 164-178. Occorre, peraltro, segnalare che il Codice contiene altre previsioni afferenti all’istituto concessorio, ad iniziare dalle numerose definizioni contenute nell’art. 3 molte delle quali rilevanti per la disciplina. Ma, in realtà, alla concessione si richiamano anche non poche delle previsioni contenute nella Parte IV dedicata al partenariato pubblico-privato.
La seguente trattazione pone a premessa di ogni argomentazione le novità introdotte dal diritto europeo: sino alla Dir. 2014/23/UE, infatti, l’ordinamento comunitario difettava di una disciplina organica dell’istituto concessorio (1). Allo stesso
tempo, tuttavia, occorre tener conto della precedente sedimentazione normativa, giacché il nostro
ordinamento ha dedicato alla concessione nel decennio trascorso una particolare attenzione arric(1) Per un commento sistematico ai contenuti della Dir.
2014/23/UE si richiamano i contributi contenuti nel volume Finanza di Progetto e Partenariato Pubblico-Privato. Temi europei,
istituti nazionali e operatività, a cura di Gian Franco Cartei Massimo Ricchi, Napoli, 2015.
(2) Per un inquadramento generale della disciplina della
concessione in seno all’istituto del partenariato pubblico-priva-
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chita dagli indirizzi di una cospicua giurisprudenza
amministrativa.
Il rischio di negare i rischi: la linea
divisoria tra appalti e concessioni e
l’importanza della gestione
Il contratto di concessione, come noto, ha ricevuto
specifica attenzione da parte dell’ordinamento europeo con la Dir. 2014/23/UE, secondo cui le concessioni di lavori e di servizi “sono contratti a titolo oneroso mediante i quali una o più amministrazioni aggiudicatrici o uno o più enti aggiudicatori
affidano l’esecuzione di lavori o la prestazione e gestione di servizi a uno o più operatori economici.
Tali contratti hanno per oggetto l’acquisizione di
lavori o servizi attraverso una concessione il cui
corrispettivo consiste nel diritto di gestire i lavori
o i servizi o in tale diritto accompagnato da un
prezzo” (cons. 11) (2).
In realtà, tale definizione richiama quanto era già
stato affermato dalla Commissione sin dalla comunicazione interpretativa del 2000, in cui l’enfasi
to, M.P. Chiti, Il Partenariato pubblico-privato e la nuova direttiva concessioni, in Finanza di Progetto e Partenariato PubblicoPrivato. Temi europei, istituti nazionali e operatività, cit. 3 ss.;
sulla Dir. 2014/23/UE si richiama il commento di G. Greco, La
direttiva in materia di “concessioni”, in Riv. it. dir. pub. com.,
2015, 1095 ss.
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posta sulla gestione dell’opera comporta il trasferimento al concessionario della relativa alea al punto che il prezzo eventualmente pagato in contropartita dei lavori effettuati non può mai neutralizzare il rischio gestionale (3). La ragione si coglie
agevolmente: se il potere pubblico sopporta la
maggior parte degli oneri connessi alla gestione l’elemento rischio verrebbe a mancare “con la conseguenza, in tal caso, che il contratto in questione
sarebbe ascrivibile alla categoria dell’appalto di lavori e non a quello della concessione”.
La medesima prospettiva è stata abbracciata, altresì, dalla Corte di Giustizia, la quale ha da tempo
asserito che “per poter ritenere sussistente una concessione di servizi è necessario che l’amministrazione aggiudicatrice trasferisca il rischio di gestione
che essa corre a carico completo o, almeno, significativo al concessionario” (4). In caso contrario la
fattispecie contrattuale è quella dell’appalto pubblico di cui, pertanto, sarebbe necessario seguire la
relativa procedura di aggiudicazione (5). E proprio
in un procedimento di infrazione riguardante l’Italia la Corte del Lussemburgo - sulla scorta del principio secondo cui “si è in presenza di una concessione di servizi allorquando le modalità di remunerazione pattuite consistono nel diritto del prestatore di sfruttare la propria prestazione ed implicano
che quest’ultimo assume il rischio legato alla gestione dei servizi in questione” - ha riqualificato
come appalto un contratto in cui il preteso concessionario non avrebbe avuto la gestione effettiva
dell’opera, affidata nella circostanza alla locale società municipalizzata, e non avrebbe per conseguenza sostenuto alcun rischio di gestione (6).
L’ordinamento nazionale non è stato da meno nel
riconoscere il rilievo giuridico della gestione nel
regime del contratto. Basti rammentare le formule
definitorie di cui all’art. 3, commi 11 e 12, del previgente Codice dei contratti pubblici, in cui la gestione rappresenta il corrispettivo contrattuale a
vantaggio del concessionario, alla “gestione funzionale ed economica”, cui alludono gli artt. 143,
comma 3 e 30, comma 2, che individuano la controprestazione a favore del concessionario di lavori
e servizi “unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente tutti i lavori realizzati” (7).
Non stupisce che in tale quadro la giurisprudenza
nazionale abbia sottolineato da tempo la necessità
di una chiara ripartizione dei compiti - e, dunque,
dei rischi - tra il concedente ed il concessionario
avente il proprio perno nella nozione di gestione.
Valga per tutte una cospicua giurisprudenza del
Consiglio di Stato, secondo cui “si ha concessione
quando l’operatore si assume in concreto i rischi
economici della gestione del servizio, rifacendosi
essenzialmente sull’utenza per mezzo della riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa, mentre
si ha appalto quando l’onere del servizio stesso viene a gravare sostanzialmente sull’Amministrazione” (8). Alla medesima linea interpretativa, del resto, ha aderito sin dall’inizio della sua istituzione
anche l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici,
secondo cui la caratteristica qualificante della concessione affidata mediante quella particolare variante costituita dalla finanza di progetto “consiste
essenzialmente nella copertura finanziaria di importanti investimenti sulla base di un progetto in
(3) Commissione delle Comunità Europee, 12 aprile 2000,
Comunicazione interpretativa sulle concessioni nel diritto comunitario, (punto 2.1.2); sulla distinzione tra appalto e concessione in base ai criteri della suddetta comunicazione di recente
Cons. Stato, Sez. V, 16 gennaio 2013, n. 236, www.giustiziaamministrativa.it.; si v., altresì, Commissione Europea, Guide to
the application of the European Union rules on State aid, public
procurement and the internal market to services of generala
economic interest, and in particular to social services of general
interest, Brussels, 7 dicembre 2010, SEC (2010) 1545 final, 75;
M. Clarich, Concorrenza e modalità di affidamento delle concessioni, in Negoziazioni pubbliche (Scritti su Concessioni e Partenariati Pubblico-Privati), a cura di M. Cafagno - A. Botto - G. Fidone - G. Bottino, Milano, 2013, 42. Sull’importanza del rischio
nella disciplina del contratto concessorio v. già C. Fouassier,
Vers un véritable droit communautaire des concessions?, in Rev.
trim. dr. europ., 2000, 684.
(4) Corte di Giustizia, Sez. III, 10 settembre 2009, in causa
C-206/08, Eurawasser, (punto 77 in diritto), in www.dirittodeiservizipubblici.it; analogamente Corte di Giustizia, Sez. III, 25
marzo 2010, in causa C-451/08, Helmut Müller GmbH, ivi,
(punto 75 ss.) su cui si richiama Brown, Helmut Müller GmbH
v. Bundesanstalt fur Immobilienaufbaben (C-451/08): clarification on the application of the EU procurement rules to land sa-
les and development agreements, in Publ. Proc. Law Rev.,
2010, 4, NA 125 ss.; tra le prime pronunce ad affermare suddetto principio merita richiama la nota sentenza Corte di Giustizia, 13 ottobre 2005, in causa C-458/03, Parking Brixen, in
questa Rivista, 2006, 31 ss, con nota di P. Lotti, Concessioni di
pubblici servizi, principi dell’in house providing e situazioni interne.
(5) Sul punto, alla luce, altresì, della fattispecie analizzata
dal giudice comunitario, si segnala Corte di Giustizia 13 novembre 2008, in causa C-437/07, Commissione delle Comunità Europee c. Repubblica italiana, in questa Rivista, 2009, 20.
(6) Corte di Giustizia 13 novembre 2008, in causa C-437/07,
Commissione c. Italia, in questa Rivista, 2009, 20 ss.
(7) E sempre la gestione è indicata quale oggetto dei contratti di partenariato pubblico-privato dalla disposizione contenuta nel comma 15 ter del medesimo art. 3 del Codice.
(8) Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 settembre 2012, n. 682,
www.giustizia-amministrativa.it; tra le pronunce più recenti dei
giudici di primo grado, T.A.R. Toscana 29 novembre 2011, n.
1855, www.giustamm.it; T.A.R. Puglia, Bari, 19 novembre
2012, n. 1953, in Riv. giur. ed., 2013, 165 ss., con nota di G.
Taglianetti, I limiti del contributo pubblico e il rischio di gestione
nelle procedura di project financing.
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I rilievi precedenti dimostrano la consolidata correlazione tra l’istituto concessorio e la nozione di
gestione e del suo traslato: il rischio. Sul punto appare evidente l’innovazione portata dalla Dir.
2014/23/Ue e, per converso, dal D.Lgs. 19 aprile
2016, n. 50. Allo stesso tempo, tuttavia, occorre ricordare che anche sulla nozione di rischio la disciplina precedente non era certo priva di indicazioni.
Ed anche in questo caso al dato normativo si è
sommato quello giurisprudenziale. Pare utile un
breve richiamo ai principali riferimenti.
Il rischio a carico del concessionario è stato sinora
comunemente identificato con il c.d. rischio d’impresa consistente nel rischio alla esposizione del
mercato cui è soggetta ogni attività economica (10). Invero, sino alla direttiva del 2014 non
esisteva una definizione normativa di tale rischio e
permaneva incertezza su quale fosse la soglia superata la quale tale rischio possa ritenersi soppresso e
trasferito sull’amministrazione concedente. La giurisprudenza nazionale, priva di indicazioni soddisfacenti, ha ritenuto sufficiente il rispetto di un criterio meramente empirico, per cui anche un ‘ridotto’
rischio d’impresa risulterebbe compatibile con la figura della concessione (11). Neppure il giudice comunitario ha fornito indicazioni risolutive ogniqualvolta è apparso evidente che la modesta esposizione del concessionario all’alea del mercato riduceva assai il rischio medesimo (12). Il principio
enunciato dalla Corte è stato, ad ogni modo, quello secondo cui: “In ogni caso, anche se il rischio
nel quale incorre l’amministrazione aggiudicatrice
è molto ridotto, per poter ritenere sussistente una
concessione di servizi è necessario che l’amministrazione aggiudicatrice trasferisca, integralmente
o, almeno, in misura significativa, al concessionario il rischio di gestione nel quale essa incorre” (13).
Per altro verso, lo spettro ricoperto da tale rischio
in linea di principio risulta assai ampio. Come ha
ricordato, infatti, la Corte di Giustizia anticipando
taluni contenuti della direttiva il rischio di gestione
consiste “nel rischio di concorrenza da parte di altri operatori, nel rischio di uno squilibrio tra domanda e offerta di servizi, nel rischio di insolvenza
dei soggetti che devono pagare il prezzo dei servizi
forniti, nel rischio di mancata copertura delle spese
di gestione mediante le entrate o ancora nel rischio di responsabilità di un danno legato ad una
carenza del servizio” (14).
Del resto, l’importanza del rischio traspare persino
nella disciplina sulle opere fredde, in cui è l’amministrazione aggiudicatrice medesima ad essere destinataria del servizio. Già la disposizione di cui all’art. 143, comma 9, del Codice previgente, prevedeva la possibilità che l’amministrazione aggiudicatrice potesse affidare in concessione opere destinate alla utilizzazione diretta dello stesso concedente
a condizione che “resti a carico del concessionario
l’alea economico-finanziaria della gestione dell’opera”. L’allocazione del rischio sul concessionario
ha ricevuto ulteriore conferma da parte dell’ultimo
capoverso della medesima disposizione allorché ha
richiamato espressamente i contenuti delle decisioni Eurostat, tra le quali merita, in particolare, menzionare la decisione 11 febbraio 2004 (Treatment of
public-private partnership), con cui sono state fornite
talune indicazioni sul trattamento contabile delle
operazioni di partenariato pubblico-privato nel bilancio pubblico nel caso in cui il soggetto pubblico
risulti essere l’acquirente principale dei servizi (c.d.
“opere fredde”), stabilendosi che l’iscrizione dei beni
oggetto di tali operazioni sia registrabile fuori del
(9) Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture, Atto di regolazione 18 luglio 2000, n. 34,
www.avlp.it; sulle differenze tra la finanza di progetto e la figura tradizionale concessione di costruzione e gestione di recente si v. F. Caringella - M. Giustiniani, Manuale di Diritto Amministrativo, IV. I contratti pubblici, Roma, 2014, 1209 ss.
(10) E ciò specie nella prospettiva accolta sinora dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia; cfr. R. Caranta, I contratti
pubblici, cit., 175; utile ricordare anche T.A.R. Sardegna 10
marzo 2011, n. 213 (punto 3.4 in diritto), www.giustizia-amministrativa.it, secondo cui “Il rischio assunto dal promotore o
concessionario si valuta proprio intorno alla aleatorietà della
domanda di prestazioni, poiché l’errore di valutazione del livello di domanda attendibile evidentemente condiziona la remuneratività dell’investimento e misura la validità imprenditoriale
dell’iniziativa”.
(11) Cons. Stato, Sez. V, 10 gennaio 2012, n. 39, www.giustizia.amministrativa.it.
(12) Cfr. R. Caranta, I contratti pubblici, Torino, 2012, 175;
F. de Leonardis, Atti (e regole) dei soggetti concessionari, in Dir.
amm., 2008, 569.
(13) Corte di Giustizia 10 settembre 2009, Eurawasser, cit.;
analogamente Corte di Giustizia 10 marzo 2011, in causa C274/09, Stadler; Corte di Giustizia 10 novembre 2011, in causa
C-348-10 (punto 45).
(14) Corte di Giustizia 10 marzo 2011, in causa C-274/09,
Stadler; Corte di Giustizia 10 novembre 2011, in causa C-34810 (punto 48), Latgales planošanas regions, in questa Rivista,
2012, 287 ss., con nota di R. Caranta, La Corte di Giustizia ridimensiona la rilevanza del rischio di gestione.
quanto tale, prendendo in considerazione la sua
validità, la sua corretta gestione e quindi la sua capacità di produrre reddito per un determinato periodo di tempo” (9).
Alla ricerca della nozione di rischio: i
caratteri del rischio operativo
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bilancio delle amministrazioni aggiudicatrici (off
balance) a condizione che sussista un sostanziale
trasferimento del rischio a carico del soggetto privato (15).
Sulla falsariga della Dir. 2014/23/UE e nel rispetto
dei principi della legge delega n. 11 del 2016, nella
prospettiva del nuovo Codice la nozione di rischio
è presente nella definizione di contratto di concessione. Secondo l’art. 165, comma 1, infatti, i contratti di concessione “comportano il trasferimento
al concessionario del rischio operativo”, definito dall’art. 3, comma 1, lett. zz) quale “il rischio legato
alla gestione dei lavori o dei servizi sul lato della
domanda o sul lato dell’offerta o di entrambi. Si
considera che il concessionario assuma il rischio
operativo nel caso in cui, in condizioni operative
normali, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione
dei lavori o dei servizi oggetto della concessione.
La parte del rischio trasferita al concessionario deve comportare una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita
stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile” (16). Quanto all’ambito applicativo del rischio operativo questo non
sembra limitarsi alla concessione, ma pare abbracciare tutta la macro categoria dei contratti di partenariato pubblico-privato come richiamati dall’art. 180, ultimo comma (17).
In vero, al legislatore delegato non interessa la limitazione quanto l’esclusione del rischio. Secondo
quanto, del resto, affermato già nella direttiva del
2014, infatti, “(il) fatto che il rischio sia limitato
sin dall’inizio non dovrebbe escludere che il contratto si configuri come concessione” (18), salva, in
ogni caso, la necessità che, come accennato, la
parte del rischio trasferita al concessionario comporti “una reale esposizione alle fluttuazioni del
mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata
subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile”.
L’importanza di un trasferimento effettivo del rischio è stata di recente sottolineata in un documento di consultazione dell’Autorità Nazionale
Anticorruzione, in cui si è affermata la necessità
“sia per prevenire il contenzioso che per evitare
un’allocazione solo formale dei rischi al privato,
che i rischi connessi alla costruzione e gestione
dell’opera o del servizio oggetto del contratto di
PPP siano chiaramente identificati, valutati e posti
in capo al soggetto più in grado di farsene carico,
fermo restando che l’operatore economico ne dovrà sopportare la maggioranza” (19).
Il significato più controverso della nozione di rischio operativo risiede nella parte in cui la disposizione di cui all’art. 3, comma 1, lett. zz) definisce
tale rischio quale quello comprensivo non soltanto
di un rischio sul lato della domanda, ma anche su
quello “dell’offerta, o di entrambi”. Se appare evidente il tentativo da parte del legislatore di limitare il più possibile le ipotesi in cui, per inesperienza
dell’amministrazione o per l’asimmetria informativa che sovente ridonda ai danni del concedente
pubblico, il concessionario riesce in virtù della propria competenza a strappare vantaggi economici
che si traducono in limitazioni della soglia di rischio di gestione (20), occorre, d’altra parte, rilevare che l’esegesi normativa sembra richiedere una
qualche precisazione sulla natura e portata del rischio con riguardo al contratto di concessione di
cui all’art. 165.
A tale scopo occorre ricordare che nella concessione di lavori e servizi, ai sensi dell’art. 165, comma
1, “la maggior parte dei ricavi di gestione del concessionario proviene dalla vendita dei servizi resi al
mercato”. Il rischio in questione, per riprendere le
parole della direttiva del 2014, risulta, pertanto,
quello associato all’offerta dei lavori o servizi che
sono oggetto del contratto, in particolare il rischio
che la fornitura di servizi non corrisponda alla domanda. Si tratta, pertanto, del tipico rischio di domanda.
(15) F. Goisis, Rischio economico, trilateralità e traslatività nel
concetto europeo di concessione di servizi e di lavori, Dir. amm.,
2011, 729 ss.
(16) U. Realfonso, I contratti di concessione, in F. Caringella
- P. Mantini - M. Giustiniani (a cura di), Il nuovo diritto dei contratti pubblici, Roma, 2016, 391 ss.
(17) A. Arona, Linee guida in arrivo, l’Anac fa chiarezza: “rischio operativo” ai privati non solo nelle concessioni ma anche
nel PPP, in Il nuovo Codice: concessioni e PPP. Le novità del
dlgs 50/2016 e i primi indirizzi dell’Anac, in Edilizia e territorio,
n. 5, maggio 2016, 8.
(18) Si tratta del considerando n. 19 in cui si rileva che
“Può essere questo il caso, per esempio, di settori con tariffe
regolamentate o dove il rischio operativo sia limitato mediante
accordi di natura contrattuale che prevedono una compensazione parziale, inclusa una compensazione in caso di cessazione anticipata della concessione per motivi imputabili all’amministrazione aggiudicatrice o all’ente aggiudicatore ovvero per
cause di forza maggiore”.
(19) Autorità Nazionale Anticorruzione, Documento di consultazione “Monitoraggio delle amministrazioni aggiudicatrici
sull’attività dell’operatore economico nei contratti di partenariato
pubblico-privato”, 3.
(20) M. Ricchi, La nuova Direttiva comunitaria sulle concessioni e l’impatto sul Codice dei contratti pubblici, in questa Rivista, 2014, 745, in cui l’autore elenca una casistica delle ipotesi
elusive dell’obbligo del concessionario di trattenere il rischio
operativo.
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Il ruolo del rischio operativo spiega il peso ricoperto nella disciplina dall’equilibrio economico-finanziario della gestione. La disciplina previgente era già
avvertita sul punto: la disposizione di cui all’art.
143 del Codice del 2006, infatti, lo richiamava ripetutamente con riguardo alla possibilità di stabilire prezzi in sede di gara, alla cessione in proprietà
o in diritto di godimento di beni immobili, alla durata della concessione, alla revisione dei dati economici ed ai presupposti stabiliti nella convenzione
originaria. La nuova disciplina gli dedica una definizione apposita, per cui, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. fff) per equilibrio economico-finanziario si
deve intendere “la contemporanea presenza delle
condizioni di convenienza economica e sostenibilità finanziaria. Per convenienza economica si intende la capacità del progetto di creare valore nell’ar-
co dell’efficacia del contratto e di generare un livello di redditività adeguato; per sostenibilità finanziaria si intende la capacità del progetto di generare flussi di cassa sufficienti a garantire il rimborso del finanziamento”.
La disciplina attuale tratteggia meglio che in passato la correlazione tra rischio ed equilibrio economico-finanziario, là dove la norma di cui all’art. 165,
comma 1, prevede che il rischio operativo deve essere riferito alla possibilità che, in condizioni operative normali, le variazioni relative ai costi e ai ricavi oggetto della concessione incidano sull’equilibrio economico finanziario. E, per quanto costituisse un dato implicito già nel regime previgente, appare comunque opportuno che il legislatore delegato abbia previsto espressamente che l’equilibrio
economico-finanziario rappresenti “il presupposto
per la corretta allocazione dei rischi”.
Del resto, la giurisprudenza aveva già evidenziato
da tempo l’importanza del documento chiamato a
certificare la validità economico-finanziario dell’operazione. Con riguardo al piano economico-finanziario, infatti, il giudice amministrativo ha individuato nella validità economico-finanziaria del progetto “il presupposto dell’intera operazione di project financing” (23) ed ha qualificato ogni valutazione sulla effettiva e concreta redditività dell’operazione quale attività di interesse pubblico (24). E
ciò spiega perché nella disciplina della finanza di
progetto la medesima giurisprudenza abbia posto a
carico dell’amministrazione l’obbligo di verificare
la coerenza e la congruità del piano in termini di
attendibilità della proposta circa la gestione dell’opera e la certezza sulla realizzazione dell’operazione (25). Con la conseguenza che nel caso dell’incapacità del progetto di (auto)finanziamento dell’at-
(21) Per una distinzione tra la tipologia di rischio e le fattispecie di cui agli artt. 165 e 180 si richiama M. Ricchi, Concessioni e PPP, così il Dlgs 50/2016 attua la direttiva europea dividendo i rischi di domanda da quelli di offerta, Il nuovo Codice:
concessioni e PPP. Le novità del dlgs 50/2016 e i primi indirizzi
dell’Anac, in Edilizia e territorio, n. 5, maggio 2016, 10 ss.; in
una prospettiva analoga R. Dalla Longa, Ecco la differenza tra
concessioni e Ppp: il rischio operativo (di mercato) solo per le
prime, di disponibilità nel Ppp, ivi, 18 ss.
(22) Non a caso al rischio di disponibilità aveva già fatto richiamo la già menzionata decisione Eurostat del 2004 per le
ipotesi in cui il soggetto pubblico risulta essere l’acquirente
principale dei servizi (cc.dd. opere fredde) con la conseguenza
che il flusso dei ricavi provenienti dagli utenti finali rappresenta
una parte minoritaria dei ricavi complessivi del concessionario
(ad es. ospedali, scuole, carceri, uffici pubblici). Sul punto e per
un approfondimento sui problemi posti dall’applicazione delle
regole contabili europee v. L. Martiniello, Le regole di contabilizzazione delle operazioni di “Concessione” e di “Partenariato
Pubblico Privato” per il soggetto pubblico e privato, in Finanza
di Progetto e Partenariato Pubblico-Privato, cit., 441 ss.
(23) Cons. Stato, Sez. V, 23 marzo 2009, n. 1741, in questa
Rivista, 2009, 836, con nota di M. Allena; Cons. Stato, Sez. V,
30 gennaio 2009, n. 4346, www.giustizia.amministrativa.it,
T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 28 maggio 2010, n. 1701,
www.giustamm.it; A. Plaisanti, Art. 143, in S. Baccarini - G.
Chiné - R. Proietti (a cura di), Codice dell’appalto pubblico, Milano, 2015, 1627.
(24) Si richiama Cons. Stato, Sez. IV, 16 giugno 2008, n.
2979, secondo cui alle valutazioni sulla vantaggiosità dell’offerta “non solo, secondo il Collegio, non risulta estranea, ma è
logicamente conferente, ogni valutazione (considerata di pubblico interesse) sulla effettiva e concreta redditività dell’operazione (...)”; analogamente, Cons. Stato, Sez. V, 15 settembre
2009, n. 5503, www.giustizia-amministrativa.it; per una rassegna giurisprudenziale risulta tuttora utile la lettura di T.A.R.
Emilia-Romagna, Bologna, 23 aprile 2008, n. 1552 (punto 2.2
in diritto).
(25) Cons. Stato, Sez. V, 17 novembre 2006, n. 6727 (punto
24 in diritto); T.A.R. Emilia Romagna, 20 maggio 2004, n. 762;
sulla necessità che vi sia certezza su tutte le poste economiche in gioco, inclusi gli eventuali apporti finanziari di parte
Più difficile pare, invece, riferire alla medesima tipologia concessoria anche il rischio sul lato dell’offerta. In tal caso, infatti, il rischio operativo pare
riferito a quelle operazioni i cui proventi derivano
dal soggetto concedente in quanto utente finale
dell’infrastruttura e riguarda le ipotesi ascrivibili alle ipotesi di contratto di partenariato pubblico-privato di cui all’art. 180 del Codice (21). In tali casi,
pertanto, il rischio operativo deve essere declinato
come rischio di disponibilità inteso, ai sensi dell’art.
3, comma 1, lett. bbb) del Codice come “il rischio
legato alla capacità, da parte del concessionario, di
erogare le prestazioni contrattuali pattuite, sia per
volume che per standard di qualità previsti” (22).
Rischio ed equilibrio economicofinanziario dell’investimento: novità
e conferme del regime concessorio. La
necessaria bancabilità dell’investimento
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tività e della insostenibilità economico-finanziaria
dell’intera operazione - e, pertanto, nell’ipotesi di
violazione del principio di equilibrio economico-finanziario- la proposta dell’aspirante concessionario
deve “essere valutata inidonea allo scopo” e, pertanto, giudicata inammissibile (26).
Un profilo a parte merita la c.d. bancabilità dell’investimento consistente nelle condizioni che gli istituti di credito richiedono per erogare il finanziamento (27). La Dir. 2014/23/UE, in vero, nulla dice sul punto. E la ragione deve rintracciarsi nella
avversione del legislatore europeo per ogni regolazione dei rapporti privati, cui sono ovviamente riconducibili quelli tra concessionario ed istituti di
credito, lasciati, pertanto, alla libera negoziazione
di mercato. Meno disinteressato risulta, invece, il
legislatore nazionale; e ciò sulla scorta di un’esperienza nostrana che ha dimostrato da tempo l’incidenza della bancabilità sulla realizzazione effettiva
dell’opera. Importanti indicazioni erano, in verità,
già presenti nell’art. 143, comma 8 bis, che affidava
alla convenzione l’indicazione della capacità di
rimborso del debito, e nell’art. 144, commi 3 bis,
ter e quater contenenti buona parte delle previsioni
di cui all’attuale art. 165 con riguardo alla disciplina dei bandi e delle offerte ed alla necessità di indicazioni chiare sulla bancabilità dell’investimento.
Ad ogni modo, la disciplina di cui al comma 3 dell’art. 165 intende rafforzare ulteriormente l’importanza della bancabilità dell’opera allorché condiziona la sottoscrizione del contratto di concessione
“dopo la presentazione di idonea documentazione
inerente il finanziamento dell’opera”. E ciò malgrado la disposizione non sembri adeguatamente chiarire quando tale idoneità possa dirsi raggiunta.
Allo stesso tempo, anche il termine previsto per la
risoluzione di diritto del contratto di concessione dodici mesi in luogo dei precedenti ventiquattro in mancanza dell’avvenuto perfezionamento del
pubblica, si richiama T.A.R. Lazio, Roma, III bis, 13 febbraio
2007, n. 1321, www.giustamm.it, riguardante la illegittimità di
un avviso pubblico che non indicava con certezza le disponibilità finanziarie pubbliche, in modo da condizionare i contenuti
del piano economico-finanziario.
(26) Cons. Stato, n. 3916/2002 (punto 3 in diritto), cit.;
Cons. Stato, Sez. V, n. 5503/2009, cit.; Cons. Stato, Sez. V, 10
novembre 2005, n. 6287 (punto 4 in diritto), www.giustamm.it.
Merita ricordare che l’obbligo di verifica di sostenibilità finanziaria dell’operazione a carico del soggetto concedente non
può ritenersi assolto dal rilascio dell’asseverazione bancaria
definita dalla giurisprudenza “l’utile presupposto per un primo
esame del progetto”, Cons. Stato, Sez. V, n. 5503/2009, cit.;
sul punto di recente Cons. Stato, Sez. V, 10 gennaio 2012, n.
39 (punto 3 in diritto); prospettiva assai diversa era stata seguita all’epoca dall’Autorità di vigilanza allorché aveva qualificato
l’attività di asseverazione quale “esercizio di una funzione di ri-
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contratto di finanziamento segnala la preoccupazione che intervenga rapidamente chiarezza su uno
dei cardini su cui si regge l’equilibrio economico-finanziario dell’investimento.
Durata della concessione e limiti
agli apporti economici a favore
del concessionario
L’avversione del diritto europeo per le concessioni
di durata illimitata o sovradimensionata si spiega
in considerazione che “le concessioni di durata
molto lunga possono dar luogo alla preclusione dell’accesso al mercato, ostacolando così la libera circolazione dei servizi e la libertà di stabilimento”
con il rischio, pertanto, di creare extraprofitti al
concessionario. Allo stesso tempo, tuttavia, è presente sempre nell’ordinamento comunitario la consapevolezza che la durata di un contratto concessorio “può essere giustificata se è indispensabile per
consentire al concessionario di recuperare gli investimenti previsti per eseguire la concessione, nonché di ottenere un ritorno sul capitale investito” (28). Per questa ragione una durata tipo della
concessione appare di ardua definizione a causa
della variabilità degli elementi che determinano la
sostenibilità economico-finanziaria dell’opera.
In tal modo, si spiega che la durata delle concessioni debba essere limitata e determinata, secondo
quanto previsto dalla direttiva e ribadito dall’art.
168, comma 1, del Codice tenendo conto di alcuni
parametri, in particolare dei lavori o servizi richiesti al concessionario, cui il Codice aggiunge la dizione incerta - e forse pleonastica - del valore della
concessione e della complessità organizzativa dell’oggetto della stessa. In ogni caso, criterio di riferimento resta quello per cui la durata massima della
concessione “non può essere superiore al periodo
di tempo necessario al recupero degli investimenti
levanza pubblicistica”, consistente in “un esame critico ed
analitico del progetto, in cui vengono valutati gli aspetti legati
alla fattibilità dell’intervento, alla sua remuneratività ed alla capacità di generare flussi di cassa positivi”, n. 34/2000, cit.;
successivamente l’Autorità ha corretto, ad ogni modo, la propria impostazione escludendo che con l’asseverazione si “determini un rapporto diretto tra amministrazione pubblica e sistema bancario, in quanto l’amministrazione utilizza per una
propria autonoma valutazione le risultanze di un’attività di diritto privato posta in essere dalle banche, che non per questo
muta il proprio carattere privatistico originario”, determinazione n. 34/2001, cit.; sulle questioni legate all’asseverazione si richiamano le osservazioni di G. Fidone, L’asseverazione bancaria del piano economico finanziario, in Finanza di progetto - Temi
e prospettive, cit., 243 ss.
(27) U. Realfonso, I contratti di concessione, cit., 396 ss.
(28) Dir. 23/2014/UE cons. n. 52.
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da parte del concessionario individuato sulla base
di criteri di ragionevolezza, insieme ad una remunerazione del capitale investito, tenuto conto degli
investimenti necessari per conseguire gli obiettivi
contrattuali specifici come risultante del piano
economico-finanziario”. Con ciò appare chiaro
che, proprio perché il Codice attuale a differenza
del precedente non pone alcun limite massimo di
durata alla concessione, sarà buona prassi legarne
la lunghezza ad una puntuale motivazione articolata sui parametri di tenuta dell’equilibrio economico-finanziario dell’investimento e delle relative
componenti (29).
Proprio tra le componenti dell’equilibrio economico-finanziario trova collocazione il contributo economico del concedente a favore del concessionario. Tale possibilità, già nota e codificata nel Codice previgente, appare confermata anche dal nuovo.
La prassi applicativa presenta, accanto ad alcune
luci, non poche ombre: il conferimento di un bene
patrimoniale, infatti, facilita senza dubbio la possibilità del ricorso alla disciplina della concessione
con il possibile inconveniente, tuttavia, che sia
proprio la contribuzione pubblica, talora persino
più della medesima redditività dell’infrastruttura,
ad attrarre il capitale privato alla realizzazione di
opere pubbliche (30). Con la conseguenza che lo
spostamento dell’attenzione dalla redditività della
gestione al valore degli apporti in conto capitale o
in conto gestione rischia di determinare un regime
contrattuale elusivo del paradigma concessorio perché focalizzato sull’acquisizione del bene patrimoniale a scapito del valore funzionale dell’opera e
della qualità del servizio per i bisogni dell’utenza.
In ogni caso, la legittimità del conferimento di un
bene economico al concessionario è stata riconosciuta in linea di principio dalla stessa Commissione Europea (31). Tuttavia, sin dalla comunicazione
interpretativa del 2000 l’esecutivo comunitario ha
asserito che, siccome il regime della concessione di
lavori pubblici si caratterizza per il trasferimento
del rischio economico al privato, occorre che “il
prezzo versato copr(a) solo una parte del costo dell’opera e della sua gestione”. Di conseguenza, se il
soggetto concedente sopporta la maggior parte dell’alea legata alla gestione dell’opera “l’elemento ‘rischio’ viene a mancare” ed il contratto stipulato è
riferibile alla tipologia del contratto di appalto
pubblico di lavori (32).
Il possibile conferimento di un bene patrimoniale
a favore del concessionario è contemplato, altresì,
dalla disciplina del Codice. Del resto, come accennato, la direttiva del 2014 vieta l’eliminazione del
rischio del concessionario, ma non la sua limitazione (cons. 19). Né un divieto era posto dal Codice
previgente che, per contro, prevedeva la possibilità
che il concedente stabilisse in sede di gara “anche
un prezzo”, seppur limitandolo ad ipotesi ben precise. Di conseguenza, “anche un prezzo consistente
in un contributo pubblico ovvero nella cessione di
beni immobili” è previsto, altresì, dall’art. 165,
comma 3 del nuovo Codice, a condizione, tuttavia,
che sia funzionale al mantenimento dell’equilibrio
economico-finanziario. In tal caso, la vera novità
appare semmai il ripristino da parte dell’ordinamento nazionale di un limite quantitativo invalicabile: “l’eventuale riconoscimento del prezzo, sommato al valore di eventuali garanzie pubbliche o di
ulteriori meccanismi di finanziamento a carico della pubblica amministrazione, non può essere superiore al 30% del costo dell’investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari”.
(29) M. Ricchi, La nuova Direttiva comunitaria sulle concessioni e l’impatto sul Codice dei contratti pubblici, cit., 753.
(30) Si pensi all’ipotesi ricorrente in cui, in mancanza di disponibilità finanziarie, il soggetto concedente decida di conferire un diritto immobiliare, il cui valore può essere ulteriormente accresciuto mediante le scelte operate in sede di pianificazione urbanistica ad opera della stessa stazione concedente,
che vi potrà associare diritti edificatori ulteriori rispetto a quelli
già previsti, oppure potrà autorizzare destinazioni d’uso economicamente più profittevoli; si richiama Unità Tecnica Finanza
di Progetto, 10 temi per migliorare il ricorso alla finanza di progetto, febbraio 2005, 26.
(31) Commissione delle Comunità Europee, 30 aprile 2004,
Libro verde relativo ai Partenariati Pubblico-privati ed al diritto
comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni (punto 22),
COM (2004), 327 def.; secondo cui secondo cui il “tipo di retribuzione del co-contraente, consiste in compensi riscossi presso gli utenti del servizio, se necessario completata da sovvenzioni versate dall’autorità pubblica.
(32) Commissione delle Comunità Europee, Comunicazione
interpretativa sulle concessioni nel diritto comunitario (punto
2.1.2), cit., 7.
(33) M.P. Chiti, Il Partenariato pubblico-privato e la nuova direttiva concessioni, in Finanza di Progetto e Partenariato Pubblico-Privato. Temi europei, istituti nazionali e operatività, cit., 18
ss.
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Modifica e revisione della concessione
Nella Dir. 2004/17/CE la disciplina sulla esecuzione del contratto di concessione non aveva ricevuto
un autonomo riconoscimento e ciò malgrado la
lunga durata che caratterizza il rapporto concessorio sia spesso foriera di implicazioni sull’originario
assetto contrattuale (33). Del resto, la fase esecutiva del contratto non rientra in linea di principio
nella libera disponibilità delle parti e, per le medesime ragioni, ogni mutamento delle circostanze ori-
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ginarie in danno del profitto d’impresa non consente di per sé l’applicazione dei principi civilistici
in materia di obbligazioni e contratti. Valgono, infatti, i limiti opposti dall’ordinamento nazionale e
dai principi europei.
Quanto ai primi, la giurisprudenza del giudice amministrativo ha escluso la modifica delle condizioni
contrattuali di affidamento “perché in ogni caso
non vi è la capacità di agire dell’Ente in tal senso
e, inoltre, vi è la palese violazione delle regole di
concorrenza e di parità di condizioni tra i partecipanti alle gare pubbliche” (34); quanto ai principi
europei, la stessa Commissione Europea ha da tempo affermato che i principi del Trattato “si oppongono a qualsivoglia intervento del partner pubblico
successivo alla selezione di un partner privato che
sia tale da pregiudicare la parità di trattamento tra
operatori economici” (35), concludendosi, pertanto, che “Le modifiche che intervengono in fase di
esecuzione di un Partenariato Pubblico Privato,
quando non sono contemplate dai documenti contrattuali, sortiscono l’effetto di rimettere in discussione il principio di parità degli operatori economici” (36). Il quadro normativo appare profondamente mutato a seguito della direttiva del 2014 e del
nuovo Codice.
La direttiva europea riconosce, infatti, la possibilità
che l’insorgere di circostanze imprevedibili al momento della aggiudicazione rendano “necessaria
una certa flessibilità per adattare la concessione alle circostanze senza ricorrere a una nuova procedura di aggiudicazione” (cons. 76). Allo stesso tempo
si ritiene che i soggetti concedenti “dovrebbero
avere la possibilità di prevedere modifiche alla
concessione per mezzo di clausole di revisione o di
opzione, ma senza che tali clausole conferiscano loro una discrezionalità illimitata” (cons. 78). All’interno di tali criteri direttivi si colloca la disciplina
dell’art. 175 del Codice che riflette quasi alla lettera l’art. 43 della direttiva (37).
La disposizione presenta un’articolata serie di ipotesi in cui il contratto concessorio può essere modificato dalle parti senza che sia necessario il ricorso
ad una nuova procedura di aggiudicazione. Occorre
non di meno precisare che si tratta di ipotesi sovente conosciute dalla prassi e oggetto in passato
di esame da parte della Commissione o della giurisprudenza (38). Tra le ipotesi suddette la disposizione, infatti, enuncia la revisione prevista dai documenti di gara in clausole chiare, precise e inequivocabili, i lavori o servizi supplementari non
previsti nella concessione iniziale, la modifica della
concessione determinata da circostanze non prevedibili dal concedente, la sostituzione dell’originario
concessionario in conseguenza della previsione di
una clausola o opzione di revisione, o di successione a causa di ristrutturazioni societarie di altro operatore che comunque soddisfi gli originari criteri di
selezione qualitativa e, infine, la modifica di carattere non sostanziale. Semmai sia consentito ravvisare un’opinabile singolarità. Ad esempio, a differenza della omologa disciplina del contratto di appalto, la quale all’art. 106, comma 7, individua per
le modifiche consentite il tetto del 50% del valore
del contratto iniziale, precisando che, in caso di
più modifiche, tale limitazione si applica al valore
di ciascuna modifica, invece, la disciplina di cui all’art. 175, comma 2, per il contratto di concessione
stabilisce inopinatamente che suddetto limite del
50% sia riferito al “valore della concessione iniziale”.
A sua volta, anche la nozione di modifica sostanziale
sembra doversi riportare ai precedenti indirizzi interpretativi, ad iniziare dal profilo definitorio generale che individua una modifica sostanziale in quella che “altera considerevolmente gli elementi essenziali del contratto”. Proprio perché la nozione
di “modifica sostanziale” è destinata a costituire il
criterio di riferimento generale per ovviare alla necessità di una nuova procedura di aggiudicazione,
la disposizione di cui all’art. 175, comma 7, con-
(34) Cons. Stato, Sez. V, 18 gennaio 2006, n. 126,
www.giustamm.it.
(35) Commissione delle Comunità Europee, Libro verde relativo ai Partenariati Pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni (punto 42), COM (2004)
327 def.
(36) Ivi (punto 49); merita ricordare che la stessa Commissione in precedenza ha affermato che “qualora il concessionario riceva, in maniera diretta o indiretta, durante la vigenza del
contratto o anche alla scadenza di questo, una remunerazione
(sotto forma di rimborso, ripianamento perdite o altro) diversa
da quella derivante dalla gestione, il contratto non potrebbe più
essere qualificato come concessione”, in Comunicazione interpretativa sulle concessioni nel diritto comunitario (punto 2.1.2, 7
nt. n. 9).
(37) Per un primo commento, U. Realfonzo, I contratti di
concessione, cit., 436 ss.
(38) Si v. Commissione Europea, Comunicazione interpretativa sull’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici
e delle concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati (PPPI), 2008/C 91/02; seppur in materia di contratto di appalto si veda già Corte di Giustizia 29 aprile 2004 in causa C496/99, Commissione/CAS Succhi di Frutta Spa (punti 118
ss.); Cons. Stato, Sez. III, 5 luglio 2103, n. 3580, www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Piemonte, Torino, 12 giugno 2014,
n. 1029, in questa Rivista, 2014, 1080 ss., con nota di S. Calvetti.
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templa una articolata serie di ipotesi al cui avverarsi si è in presenza di una modifica tale da “presumere un’influenza ipotetica sul risultato” (39). Anche in tal caso non è difficile rilevare che in questione è il rispetto delle regole di concorrenza (40).
Lo attestano le ipotesi ivi richiamate e riferite ai
casi in cui la modifica introduca condizioni che, se
tempestivamente conosciute, avrebbero consentito
l’ammissione di candidati ulteriori o diversi da
quelli originariamente selezionati, oppure determini l’accettazione di un’offerta diversa da quella accettata, o ancora, come ricordato, allorché la modifica introdotta muti l’equilibrio economico della
concessione a favore del concessionario in modo
non previsto dalla concessione iniziale, o si assista
all’estensione notevole dell’ambito di applicazione
della concessione o, infine, si verifichi una sostituzione dell’originario concessionario in casi diversi
da quelli consentiti dalla disposizione in esame.
Oltre alla possibilità di modifica del contratto il
Codice prevede la possibilità di una sua revisione.
La disposizione di cui all’art. 175, comma 6, prevede, infatti, che “Il verificarsi di fatti non riconducibili al concessionario che incidono sull’equilibrio
del piano economico-finanziario può comportare la
sua revisione da attuare mediante la rideterminazione delle condizioni di equilibrio”. Tale previsione non è inedita nel panorama nazionale.
La norma contenuta nell’art. 143, comma 8 nella
versione del Codice previgente prevedeva, infatti,
che le variazioni dei presupposti e delle condizioni
di base che determinano l’equilibrio economico degli investimenti e della gestione “apportate dalla
stazione appaltante (...), nonché le norme legislative e regolamentari che stabiliscano nuovi meccanismi tariffari o che comunque incidono sull’equilibrio del piano economico-finanziario (...) comportano la sua necessaria revisione, da attuare mediante rideterminazione delle nuove condizioni di equi-
librio...”. La revisione del contratto di concessione
era, pertanto, consentita, ma limitata alle ipotesi
ascrivibili al factum principis (41). Soltanto in tale
evenienza, pertanto, il concessionario poteva esercitare il diritto di recesso. Per contro, nell’ipotesi
in cui l’equilibrio economico-finanziario fosse compromesso per cause non direttamente addebitabili
al concedente non risultava possibile invocare il
sostegno dell’ente pubblico, pena altrimenti la lesione delle regole di concorrenza e l’indebito trasferimento del rischio economico-finanziario all’Amministrazione aggiudicatrice (42).
La previsione di cui all’art. 165, comma 6, sembra
presentare sul punto una novità: la revisione è possibile, infatti, per ogni fatto o accadimento non riconducibile al concessionario. In tal modo, il limite precedente del factum principis pare suscettibile
di essere attenuato: ogni fatto, infatti, sembra legittimare la revisione del contratto purché non sia direttamente addebitabile al concessionario. Inutile
dire che tale previsione pare allargare la possibilità
di contrasti tra le parti contrattuali imponendo alla
stazione concedente ogni possibile tentativo per
scongiurare l’esercizio del diritto di recesso. Sulla
disciplina della revisione è intervenuta di recente
anche l’Anac con il documento di consultazione
già richiamato, in cui, oltre a ribadire che la revisione del piano economico-finanziario deve procedere “solo nei limiti di quanto necessario a neutralizzare gli effetti derivanti dall’evento non imputabile al Concessionario”, sottolinea l’importanza
che gli eventi non imputabili all’operatore economico che danno diritto a tale revisione siano chiaramente individuati (43).
La prassi applicativa e gli orientamenti della giurisprudenza daranno le opportune indicazioni per
una interpretazione della norma conforme ai principi del diritto europeo.
(39) Cons. n. 67 della Dir. 23/2014/UE.
(40) E dei relativi corollari costituiti dai principi del diritto
europeo in materia di contratti pubblici; sulla disciplina del diritto di concorrenza europeo quale risultato dei principi di divieto di discriminazione, trasparenza e rimozione dei limiti all’accesso si richiamano i rilievi di S. Arrowsmith, The Purpose
of the EU Procurement Directives: Ends, Means and the Implications for National Regulatory Space for Commercial and Horizontal Procurement Policies, in Cambridge Yearbook of European Legal Studies, 14, 2011-2012, 6 ss.
(41) G.F. Cartei, Rischio operativo, equilibrio economico-finanziario e disciplina delle sopravvenienze, in Finanza di Proget-
to e Partenariato Pubblico-Privato, cit., 41 ss.
(42) Con riferimento ad una clausola convenzionale che attribuisce al concessionario la facoltà di revoca/revisione delle
condizioni contrattuali in relazione al mutamento delle condizioni del mercato finanziario si richiama la massima dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, determinazione 22
aprile 2009, n. 37.
(43) Autorità Nazionale Anticorruzione, Documento di consultazione “Monitoraggio delle amministrazioni aggiudicatrici
sull’attività dell’operatore economico nei contratti di partenariato
pubblico-privato”, 10.
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Contratti sotto soglia
Soglie di rilevanza comunitaria
nel Codice dei contratti pubblici
di Francesco Manganaro
I contratti di importo inferiore alla soglia comunitaria sono stati spesso oggetto di una sottovalutazione del legislatore in quanto ritenuti di minore interesse economico. La rilevanza di tali contratti - quantitativamente molto numerosi - ha indotto il legislatore europeo ad una regolazione
specifica, in cui confluiscono principi comunitari e peculiari regole nazionali. Il nuovo Codice dei
contratti pubblici, pur lasciando sostanzialmente immutate le soglie, introduce numerose eccezioni alle regole generali, al fine di non aggravare eccessivamente il procedimento.
L’evoluzione delle soglie come strumento
di inclusione dei contratti sotto soglia nel
regime di garanzia europeo
La vicenda dell’individuazione di soglie quantitative per l’applicazione della disciplina europea dei
contratti pubblici ha caratterizzato la storia degli
appalti nel nostro Paese. Prima dell’entrata in vigore del Codice del 2006, la materia era sottoposta
ad una disciplina formatasi attraverso una progressiva stratificazione, che aveva comportato notevole
confusione applicativa ed ermeneutica.
Superata la vetusta disciplina della contabilità di
Stato, gli appalti di lavori erano stati oggetto delle
varie leggi Merloni, mentre gli appalti di servizi e
forniture avevano avuto una prima regolamentazione nel D.Lgs. 24 luglio 1992, n. 358, che disciplinava le forniture superiori a 200.000 ecu e nel
D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 157 per la disciplina dei
servizi superiori a 200.000 ecu; i contratti di fornitura sotto soglia venivano, invece, regolati con il
d.P.R. 18 aprile 1994, n. 573.
La tendenza normativa e giurisprudenziale è stata
sempre più protesa a ricomprendere i contratti sotto soglia nell’area dell’evidenza pubblica regolata
dalle norme europee, seppure con i temperamenti
dovuti alla presunta rilevanza secondaria di contratti di minore importo economico ed alla necessità di non sottoporre ad eccessi procedimentali anche amministrazioni di piccole dimensioni.
Un ruolo rilevante in tal senso è stato svolto dalla
giurisprudenza della Corte di Giustizia, secondo
cui, anche per appalti inferiori al valore previsto
948
dalla Dir. 93/37, si applicava egualmente l’art. 30
del Trattato, con la conseguenza che un’amministrazione aggiudicatrice non poteva inserire nel capitolato d’oneri una clausola che prescrivesse l’impiego di un prodotto di una determinata marca
senza aggiungere la menzione “o equivalente”, poiché altrimenti si sarebbe impedita la circolazione
intraeuropea delle merci (Corte di Giustizia 24
gennaio 1995, causa C-359/93).
Questo orientamento era confermato anche dalle
circolari della Presidenza del Consiglio dei Ministri
- Dipartimento per le politiche europee, che - richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia - indicavano come applicabili a tutti i contratti
i principi del Trattato e delle direttive comunitarie
in materia. In questo senso si esprimeva ad esempio la circ. 6 giugno 2002, n. 8756, che richiamando alcune decisioni della Corte di giustizia (cfr.
ord. 3 dicembre 2001, in C-59/00, e sent. 7 dicembre 2000, causa C-324, Teleaustria c. Post & Telekom Austria), evidenziava che tali appalti sono sottoposti al diritto europeo, “pacifico essendo che le
amministrazioni aggiudicatrici che li stipulano sono comunque tenute a rispettare i principi fondamentali del Trattato”. Anche con la circ. 29 aprile
2004, la Presidenza del Consiglio dei ministri, nell’indicare le specifiche tecniche degli appalti pubblici di forniture sotto soglia affermava che, nonostante la mancanza di un’esplicita previsione in
materia, le specifiche tecniche avevano una disciplina analoga ai contratti sopra soglia, considerandosi illegittima ogni indicazione che consentisse di
individuare marchi, brevetti o tipi.
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In questo solco interpretativo si è inserita la giurisprudenza del Consiglio di Stato, che ha ammesso
la competenza normativa europea anche per i contratti sotto soglia, con la conseguente giurisdizione
amministrativa in caso di conflitto (1).
Il concetto di soglia come criterio
di riparto di competenze normative
tra diritto europeo e diritto nazionale
Prendendo spunto dalla giurisprudenza appena citata, si è aperta una discussione sul significato da
attribuire alla soglia come possibile spartiacque tra
competenza normativa degli Stati nazionali e dell’UE.
Il punto critico è se la soglia possa essere ridotta
dal legislatore europeo, dal punto di vista quantitativo, fino a rendere superflua ogni regolazione statale (2). In realtà, ogni criterio di riparto tra competenze normative europee e nazionali deve essere
ricondotto al principio di sussidiarietà verticale.
Posto che simile principio implica che scelte pubbliche siano preferibilmente adottate dal livello di
governo “più vicino possibile ai cittadini”, se ne
deve dedurre che un intervento legislativo europeo
possa giustificarsi solo laddove l’azione regolatrice
del legislatore nazionale possa rivelarsi inadeguata.
Tuttavia, l’evoluzione della disciplina nazionale dimostra l’influenza di quella europea, fino ad estendere quanto più possibile il regime dei contratti sopra soglia a quelli sotto soglia, ma sempre lasciando
al legislatore nazionale la libertà di adottare tale
soluzione. Emerge, dunque, l’idea di una onnicomprensività del diritto europeo il quale, lungi dall’imporre a tutte le stazioni appaltanti obblighi eccessivamente rigidi, si dimostra piuttosto flessibile,
graduando i suddetti obblighi in virtù dell’ammontare dell’appalto.
Inquadrata in una simile visione, la soglia rappresenta solo un primo parametro di distinzione fra interesse europeo ed interesse nazionale, distinzione,
(1) Cons. Stato, Sez. IV, 15 febbraio 2002, n. 934, in Foro
amm. CDS, 2002, 439.
(2) A. Police, Le limitazioni dell’ambito soggettivo di applicazione fissate in soglie di valore, in R. Garofoli - M. A. Sandulli (a
cura di), Il nuovo diritto degli appalti pubblici nella direttiva
2004/18/CE e nella legge europea n. 62/2005, Milano, 2006,
137 ss.
(3) P. Del Vecchio, Contratti pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture nei settori ordinari. Contatti sotto soglia europea, in M.
Sanino (a cura di), Commento al Codice dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture. D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163,
Torino, 2006, 415 ss.; M. Greco - A. Massari, Il nuovo codice
dei contratti pubblici, Rimini, 2006; L. D’Ottavi, Commento Agli
artt. 121-125, in AA.VV., Commento al codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, Torino, 2007, 279 ss.; R. De
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a sua volta, necessaria per separare le competenze
legislative fra i diversi ordinamenti. A tale parametro quantitativo, infatti, il legislatore ne aggiunge
altri, di volta in volta, onde specificare e differenziare ulteriormente gli obblighi dell’amministrazione appaltante.
L’oggetto dei contratti sotto soglia
La recente approvazione del nuovo Codice dei
contratti pubblici ha di nuovo posto in luce la rilevanza degli appalti sotto soglia, che costituiscono
gran parte dei contratti pubblici stipulati dalle stazioni appaltanti, a maggior ragione se le soglie fissate dal legislatore sono molto elevate (3).
La questione era stata già oggetto di ampia discussione non solo sotto il precedente regime del
D.Lgs. 163/2006, ma anche nelle more dell’approvazione del nuovo Codice, soprattutto per i rilievi
proposti al testo originario dal Consiglio di Stato,
che aveva osservato, proprio con riferimento ai
contratti sotto soglia, una complessiva diminuzione
delle garanzie rispetto alla previgente normativa.
Nel corso degli anni, le soglie hanno subito numerosi e profondi mutamenti. Prima il Reg.
2009/1177/CE aveva ridotto, seppure di poco, gli
importi delle soglie originariamente indicati dalle
“direttive appalti” del 2004 e poi ripresi dal Codice. In seguito, tali importi sono stati, in parte, ulteriormente modificati dal Regolamento della Commissione dell’UE del 30 novembre 2011, n. 1251
ed infine dal Reg. (UE) n. 1336/2013, entrato in
vigore il 1° gennaio 2014.
Nel precedente Codice, come sistematicamente
più corretto, l’indicazione delle soglie si trovava
nei primissimi articoli. L’art. 3, comma 17 del Codice, facendo una sorta di sommario, stabiliva che
fossero sotto soglia quei contratti il cui valore stimato, al netto dell’IVA, fosse inferiore alla soglia
indicata negli artt. 28, 32, comma 1, lett. e), 91,
99, 196, 215, 235.
Nictolis, Gli appalti sotto soglia, in R. De Nictolis (a cura di), I
contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, Milano, 2007, 838
ss.; C. Giurdanella, Commento al Codice dei contratti pubblici,
Napoli, 2007; R. Mangani - F. Marzari - D. Spinelli, Il nuovo codice dei contratti pubblici: analisi e commento delle novità in
materia di appalti dopo l’emanazione del d.lgs. n. 163/2006, Milano, 2007; S. Buscema - A. Buscema, I contratti della pubblica
amministrazione, Milano, 2008; T. Paparo, I contratti sotto soglia, in M. Clarich (a cura di), Commentario al codice dei contratti pubblici, Torino, 2010; C. Franchini (a cura di), I contratti
di appalto pubblico, Torino, 2010; C. Franchini - F. Sciaudone
(a cura di), Il recepimento in Italia delle nuove direttive appalti e
concessioni, Napoli, 2015; F. Saitta (a cura di), Appalti e contratti pubblici. Commentario sistematico, Padova, 2016.
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Ciò significava, anche alla luce delle modifiche introdotte dai citati Reg. 2009/1177/CE e 2011/125
I/UE, che dovevano ritenersi sotto soglia i contratti per appalti e servizi inferiori a euro 134.000 (se
aggiudicati da autorità governative) o a euro
207.000 (se affidati da altre PP.AA.) ed i contratti
per appalti di lavori di importo inferiore ad euro
5.186.000 (art. 28, interpretato alla luce del Regolamento europeo n. 1336/2013). Erano considerati
egualmente sotto soglia gli appalti di servizi affidati
da soggetti privati di valore inferiore a euro
193.000, nonché i lavori di edilizia relativi ad
ospedali, impianti sportivi, ricreativi e per il tempo
libero, edifici scolastici e universitari, edifici destinati a funzioni pubbliche amministrative di importo superiore a un milione di euro, per la cui realizzazione era previsto un contributo di un’amministrazione aggiudicatrice superiore al 50% dell’importo dei servizi (art. 32, comma 1, lett. e); 1’ affidamento di incarichi di progettazione, di coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, di
direzione dei lavori e di coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e di collaudo di importo
pari o superiore a euro 100.000 (art. 91); i concorsi
di progettazione di valore superiore a euro
125.000, se banditi da autorità governative od a
euro 193.000 se banditi da altre amministrazioni o
nei casi specifici indicati dall’art. 99; per gli appalti
di forniture nel settore della difesa, la soglia era di
euro 125.000 per i prodotti indicati nell’allegato V
e di euro 193.000 per tutti gli altri (art. 196); la soglia diventava di euro 387.000 per appalti di fornitura e servizi o di euro 4.845.000 per gli appalti di
lavori nei settori speciali (art. 215) e di euro
387.000 per i concorsi di progettazione nei suddetti
settori speciali (art. 235).
Tali soglie sono rimaste quasi inalterate nel nuovo
Codice degli appalti.
L’art. 35 del D.Lgs. n. 50/2016 considera infatti
sotto soglia gli appalti pubblici di lavori e le concessioni inferiori a euro 5.225.000. Stabilisce la soglia di euro 135.000 per gli appalti pubblici di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione aggiudicati da autorità governative centrali, di euro 209.000 per i medesimi appalti aggiudicati da amministrazioni sub statali e di euro
750.000 per gli appalti di servizi sociali. Per i settori speciali, si considerano sotto soglia i contratti inferiori ad euro 5.225.000 per gli appalti di lavori,
ad euro 418.000 per gli appalti di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione, ad
euro 1.000.000 per i contratti di servizi, per i servi-
950
zi sociali e per altri servizi specifici elencati all’allegato IX.
Come si vede, le modificazioni quantitative sulle
soglie nel nuovo Codice sono poche e marginali,
mentre invece merita una maggiore attenzione la
disciplina specifica introdotta negli articoli 35 e 36
del Codice, nonché altre numerose disposizioni
sparse nello stesso testo normativo che attengono
ai contratti sotto soglia.
Il metodo di calcolo del valore
dell’appalto
A differenza del precedente Codice, il D.Lgs. n.
50/2016 si sofferma molto sulle modalità di determinazione del valore dell’appalto, per l’ovvia considerazione che da questo dipende l’applicazione o
meno delle regole speciali dettate per i contratti
sotto soglia.
In generale, viene previsto come principio ispiratore che il calcolo del valore non possa essere fatto
con l’intenzione di sottrarre l’appalto dall’ambito
di applicazione delle disposizioni del Codice alle
regole europee (art. 35, comma 6).
Questo principio viene poi declinato in alcune regole relative al classico divieto di frazionamento
(art. 35, comma 6) ed al modo di individuazione
della soglia per appalti banditi da più unità operative della stessa amministrazione. Si prevede, a questo proposito, che “il calcolo del valore stimato di
un appalto tiene conto del valore totale stimato
per tutte le singole unità operative”. (art. 35, comma 5). Tuttavia, nello stesso comma si introduce
una disposizione che rischia di vanificare quanto
ora indicato. Si prevede, infatti, che “se un’unità
operativa distinta è responsabile in modo indipendente del proprio appalto o di determinate categorie di esso, il valore dell’appalto può essere stimato
con riferimento al valore attribuito dall’unità operativa distinta”. È del tutto evidente che l’interpretazione della norma - e quindi la determinazione
del valore dell’appalto - dipende dal modo in cui si
intenda l’autonomia della singola unità operativa.
Si lascia così alla discrezionalità delle amministrazioni di individuare se un’unità operativa abbia o
meno quella autonomia che le consentirebbe di gestire un appalto per un valore che non debba essere
sommato con quello analogo previsto da altre unità
operative della stessa amministrazione, configurandosi così un possibile frazionamento dell’importo di
gara.
Il legislatore inserisce altresì un’ulteriore più rilevante eccezione, consentendo, in deroga al regime
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ordinario, che l’aggiudicazione avvenga per singoli
lotti “senza applicare le disposizioni del presente
codice, quando il valore stimato al netto dell’IVA
del lotto sia inferiore a euro 80.000 per le forniture
o i servizi oppure a euro 1.000.000 per i lavori, purché il valore cumulato dei lotti aggiudicati non superi il 20 per cento del valore complessivo di tutti
i lotti in cui sono stati frazionati l’opera prevista, il
progetto di acquisizione delle forniture omogenee,
o il progetto di prestazione servizi” (art. 36, comma
11).
La norma apre un’ulteriore più profonda breccia
nell’obbligo di applicazione delle norme europee,
prevedendo da un lato il divieto di frazionamento
e dall’altro consentendolo, seppure in via eccezionale, per alcuni importi.
Nella determinazione del valore dell’appalto, il
comma 4 dell’art. 35 prevede che nel calcolo bisogna tener conto degli eventuali rinnovi stabiliti
nei documenti di gara.
Invero, tutta la disciplina dei lotti funzionali è di
difficile interpretazione, poiché, se da un lato si
stabilisce il divieto di frazionamento, dall’altro si
incentiva la ripartizione in lotti funzionali di dimensioni adeguate a favorire l’accesso alle microimpese, piccole e medie imprese, tanto che le
amministrazioni debbono motivare l’eventuale
mancata suddivisione in lotti (art. 51, comma 1).
Regole comuni ed eccezioni nei contratti
sotto soglia
Ai contratti sotto soglia si applicano i principi e le
regole che attengono alla pubblicità, alla trasparenza ed all’accesso.
Innanzitutto, si tenga conto che l’ordinamento nazionale, in fonti normative diverse dal Codice dei
contratti pubblici, stabilisce regole generali sulla
trasparenza e l’accesso comunque applicabili. Si
pensi, ad esempio, all’accesso civico previsto dal
D.Lgs. n. 33/2013 o agli istituti di partecipazione
introdotti negli ordinamenti locali dagli Statuti.
Vi sono poi i principi generali previsti dallo stesso
Codice.
Ai sensi dell’art. 4, l’affidamento dei contratti
esclusi dall’ambito di applicazione del Codice avviene sempre nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento,
(4) Già T.A.R. Lazio, con la sentenza 23 agosto 2006, n.
7375 affermava che l’obbligo di seguire le norme di evidenza
pubblica, ivi incluse quelle concernenti l’adeguata pubblicizzazione della selezione, è regola generale, valevole anche per i
per gli appalti pubblici sotto soglia.
(5) Secondo la giurisprudenza, consolidatasi sotto il vecchio
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trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica.
In particolare, quanto alla pubblicità, quando l’art.
29 prevede gli obblighi di pubblicazione nella sezione “amministrazione trasparente” dei siti delle
singole amministrazioni, si riferisce a “tutti gli atti
delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori”, senza eccezione alcuna per quanto
concerne le soglie (4). Allo stesso modo, l’art. 30
stabilisce che l’affidamento e l’esecuzione dei contratti di appalto debbano garantire “principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza”,
nonché “i principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché
di pubblicità con le modalità indicate nel presente
codice”.
Tuttavia, è evidente che i contratti sotto soglia
continuano a godere di un regime speciale, secondo alcuni giustificato dalla minore entità dell’importo e, perciò, dall’inutilità di aggravamenti procedimentali.
Invero, si può dire che - come nel Codice precedente - i contratti sotto soglia vengono divisi in
più categorie, prevedendo eccezioni più limitate
per quelli che più si avvicinano alla soglia europea.
Così i contratti di importo inferiore a euro 40.000
possono essere oggetto di affidamento diretto o,
per i lavori, svolti in amministrazione diretta (art.
36, comma 2, lett. a). Questa ultima disposizione
sui lavori sostituisce del tutto la previsione del codice precedente sul cottimo fiduciario nei lavori di
basso importo.
Elevandosi l’entità del contratto, le eccezioni al regime europeo continuano a sussistere, ma si attenuano. Così per affidamenti di importo pari o superiore a euro 40.000 e inferiore a euro 150.000
per i lavori, o alle soglie di cui all’art. 35 per le forniture e i servizi, si può adottare una procedura negoziata previa consultazione, ove esistenti, di almeno cinque operatori economici (oppure 10 per i lavori di importo pari o superiore a euro 150.000 ed
inferiore a euro 1.000.000) individuati sulla base di
indagini di mercato o tramite elenchi di operatori
economici, nel rispetto di un criterio di rotazione
degli inviti (art. 36, comma 2, lett. b e c) (5).
Le eccezioni al regime ordinario non si fermano alle modalità di affidamento.
Codice, la scelta delle imprese da invitare non rientra nell’ambito di una insindacabile discrezionalità dell’amministrazione,
dovendo esse effettuare a tal fine un’accurata ricognizione del
mercato (così, ad esempio, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 6
dicembre 2012, n. 2941).
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Nuovo Codice appalti
Per quanto concerne le commissioni di aggiudicazione, mentre per i contratti sopra soglia aggiudicati con il sistema dell’offerta economicamente più
vantaggiosa la commissione deve - ai sensi del nuovo Codice - essere costituita da commissari scelti
nel nuovo albo istituito presso ANAC, per i contratti sotto soglia e per quelli affidati tramite procedure telematiche, la commissione può essere nominata dalla stessa stazione appaltante tra i suoi componenti interni (art. 77, comma 1).
Per i contatti sotto soglia di minore importo si applicano regole ancora più peculiari, trattandosi di
contratti di valore più limitato rispetto alla soglia
comunitaria e per i quali le eccezioni possono essere giustificate dalla necessità di non appesantire
procedimenti per appalti di non eccessivo valore,
pur se bisogna tener conto che si tratta dei contratti più numerosi (6).
Non è prevista la necessità di qualificazione per le
stazioni appaltanti per i contratti di servizi e forniture di importo inferiore a euro 40.000 e di lavori
di importo inferiore a euro 150.000 (art. 37, comma 1).
Inoltre, derogando alla preferenza accordata dal
nuovo Codice al principio dell’offerta economicamente più vantaggiosa come metodo privilegiato di
aggiudicazione, si stabilisce l’utilizzabilità del criterio del prezzo più basso per i servizi di ingegneria e
architettura e degli altri servizi di natura tecnica e
intellettuale di importo inferiore a euro 40.000,
per i lavori fino a euro 1.000.000, per tutti i servizi
e le forniture sotto soglia caratterizzate da elevata
ripetitività, fatta eccezione per quelli di notevole
contenuto tecnologico o che hanno un carattere
innovativo (art. 95, commi 3 e 4).
Se le eccezioni appena citate possono trovare una
loro giustificazione nella sostanziale inutilità di aggravamenti procedimentali per appalti di minore
entità, ciò che invece non trova spiegazione è la
derogabilità del principio dello stand still, che invece, al di là dell’entità dell’appalto, è posto a garanzia dell’amministrazione al fine di evitare la stipula
di contratti, possibili oggetto di controversie giurisdizionali.
Per i contratti di importo più ridotto, nell’ambito
dei sotto soglia, il Codice stabilisce l’inapplicabilità
dello stand still per i lavori di importo inferiore ad
euro 150.000 e per i servizi e le fornitura di importo inferiore alla soglia comunitaria (art. 32, comma
Anche nel nuovo Codice si propone la vexata
quaestio delle offerte anomale e dell’eventuale
esclusione automatica di esse.
Ai sensi dell’art. 97, comma 8 del Codice per lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie
di cui all’art. 35, “la stazione appaltante può prevedere nel bando l’esclusione automatica dalla gara
delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia” così
come individuata nello stesso articolo al comma 2.
Tuttavia, “la facoltà di esclusione automatica non
è esercitabile quando il numero delle offerte ammesse è inferiore a dieci”.
La scelta effettuata continua ad attribuire una discrezionalità all’amministrazione nel prevedere
l’automatica esclusione.
(6) F. Saitta, Interrogativi sul c.d. divieto di aggravamento: il
difficile obiettivo di un’azione amministrativa “economica” tra li-
bertà e ragionevole proporzionalità dell’istruttoria, in Dir. e soc.,
2001, 491 ss.
952
10, lett. b), che rinvia all’art. 36, comma 2, lett. a)
e b).
Con ulteriore disposizione speciale è previsto che
la stipulazione del contratto, per affidamenti di importo non superiore a euro 40.000, possa avvenire
“mediante corrispondenza secondo l’uso del commercio consistente in un apposito scambio di lettere, anche tramite posta elettronica certificata o
strumenti analoghi negli altri Stati membri” (art.
32, comma 14).
Sul delicato punto del subappalto, dal disposto dell’art. 105 si desume che l’indicazione della terna di
subappaltatori sia necessaria solo per i contratti sopra soglia, lasciando all’amministrazione la discrezionalità di prevederla anche per quelli sotto soglia.
Infine, per quanto attiene ai settori esclusi, nel Codice del 2006, l’art. 238 disciplinava specificamente i contratti sotto soglia, stabilendo alcune eccezioni agli obblighi di preinformazione e successivi
all’aggiudicazione, nonché riducendo i termini di
ricezione delle domande di partecipazione e di ricezione delle offerte. Invece, nel Titolo VI, Capo I
dell’attuale Codice, che regola gli appalti nei settori esclusi non vi è traccia di una norma specifica
sugli appalti sotto soglia, lasciando all’interprete
un’incertezza sulla disciplina applicabile, prevalendo l’ipotesi che, in mancanza di specifiche indicazioni diverse, si applichi anche ai settori esclusi la
disciplina generale dei contratti sotto soglia prevista dagli artt. 35 e 36.
Le offerte anomale
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Nuovo Codice appalti
La questione si era già posta con la L. n. 109 del
1994, il cui comma 1 bis dell’art. 21 introduceva
l’esclusione automatica delle offerte anomale ove il
numero delle offerte valide non fosse inferiore a
cinque. Il Codice del 2006 confermava l’esclusione
automatica, ma soltanto come facoltà di cui le stazioni appaltanti potessero avvalersi, a condizione
che ciò venisse indicato e previsto nel bando e che
le offerte che presentavano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia fossero pari o superiore a dieci (art. 122, comma 9 e art.
124, comma 8). Si trattava di un evidente compromesso (7), che lasciava alla discrezionalità delle
stazioni appaltanti il perdurare nell’ordinamento di
un istituto, come l’esclusione automatica delle offerte anomale, la cui conformità con la Costituzione e con il diritto europeo continuava ad essere oggetto di dubbi.
Infatti, l’esclusione automatica è stata oggetto di
critiche in quanto contrasterebbe con gli artt. 97 e
41 Cost. Quanto al primo, perché, non consentendo all’amministrazione la verifica in contraddittorio, le impedirebbe di trarre vantaggio da offerte
che, pur apparendo anomale, potrebbero essere, in
concreto, effettivamente vantaggiose. Quanto al
secondo, perché l’esclusione automatica non permetterebbe di accertare se le più vantaggiose condizioni economiche offerte da una delle partecipanti siano o meno la conseguenza di un’organizzazione aziendale più efficiente (8).
Queste critiche, tuttavia, non sono state recepite
dalla Corte costituzionale, la quale si è, invece,
espressa per la conformità dell’esclusione automatica alla Carta fondamentale (9).
La Corte di Giustizia, su una questione pregiudiziale posta dal Consiglio di Stato (10), aveva stabilito
che, negli appalti di lavori pubblici al di sotto della
(7) L. Masi, Ancora in tema di determinazione della soglia di
anomalia nelle gare per l’affidamento di lavori pubblici. Le novità
introdotte dal Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 12 aprile 2006
n. 163) in materia di offerte anomale, in Foro amm. TAR, 2006,
2414.
(8) In questo senso, tra le tante, T.A.R. Sardegna 7 agosto
2006, in Foro amm. TAR, 2006, 2124, secondo cui “i principi
europei posti a presidio del valore della libera concorrenza per
l’aggiudicazione di pubblici appalti vietano l’utilizzazione di
meccanismi di esclusione automatica delle imprese partecipanti alla gara”.
(9) Corte cost. 5 marzo 1998, n. 40, in Giust. civ., 1998, 6,
1503, con nota di M. Bella - A. Varlaro Sinisi, Il criterio di esclusione automatica delle offerte anormalmente basse di cui all’art.
21, comma 1-bis, della legge n. 109 del 1994 (e successive modifiche) supera il vaglio della Corte costituzionale; Corte cost. 30
giugno 1998, n. 258, in Giust. cost., 1998, 2041; Corte cost. 14
dicembre 1998, n. 442, ord., ivi, 4327; Corte cost. 11 marzo
1999, n. 74, ord., in Foro amm. TAR, 2000, 334.
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soglia comunitaria, l’esclusione automatica delle
offerte anomale in base ad un criterio matematico
non vincola la stazione appaltante, la quale è sempre libera di valutare la possibile congruità delle offerte che risulterebbero escluse in base al suddetto
criterio (Corte di Giustizia 15 maggio 2008), costringendo così il legislatore nazionale a modificare
la disciplina del Codice del 2006. Pronunciandosi
di nuovo sul punto, la Corte costituzionale, ha sancito l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 8, L. R. Sardegna n. 5 del 2007, nella parte in
cui, in difformità rispetto alla norma statale, stabilisce che la facoltà di esclusione automatica delle
offerte anomale possa essere prevista in riferimento
a tutti gli appalti di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alla soglia comunitaria (11).
Conclusione
Ove si voglia trarre una sintetica conclusione in
ordine al nuovo regime dei contratti pubblici sotto
soglia previsto dal nuovo Codice, si deve innanzitutto rilevare che, in un’ottica di efficienza e soprattutto di differenziazione, una graduazione degli
obblighi procedimentali per i contratti sotto soglia
può trovare giustificazione nella necessità di non
aggravare procedimenti per contratti di minore entità.
Invero, si ripropone, anche e soprattutto nei contratti sotto soglia, un problema più generale che
investe in maniera palese la materia degli appalti
pubblici e che attiene, più in generale, ai rapporti
tra sistema economico e regole normative. Il Codice, sulla scorta delle direttive europee, tiene maggiormente conto dei criteri più adatti al sistema
economico, introducendo - anche per i contratti
ordinari sopra soglia - flessibilità dell’offerta e contrattazione su progetti ed offerta. Si usa cioè la di(10) Cons. Stato, Sez. V, 7 febbraio 2006, n. 489, ord., in
www.giustizia-amministrativa.it.
(11) Secondo Corte cost. 7 giugno 2011, n. 184, in
www.cortecostituzionale.it, il divieto di esclusione automatica
delle offerte anomale è espressione del principio di tutela della
concorrenza e, perciò, non può essere violato neppure dalle
Regioni a Statuto speciale. In particolare, “la distinzione tra
contratti sotto soglia e sopra soglia non costituisce, infatti, utile criterio ai fini dell’identificazione delle norme statali strumentali a garantire la tutela della concorrenza, in quanto tale
finalità può sussistere in riferimento anche ai contratti riconducibili alla prima di dette categorie e la disciplina stabilita al riguardo dal legislatore statale mira ad assicurare, tra l’altro, ‘il
rispetto dei principi generali di matrice comunitaria stabiliti nel
Trattato e, in particolare, il principio di non discriminazione (in
questo senso, da ultimo, nella materia in esame, Corte di Giustizia 15 maggio 2008, C-147/06 e C-148/06)’ (sentenza n. 160
del 2009)”.
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sciplina normativa dei contratti per rendere la spesa più efficiente e garantire tempi adeguati per la
realizzazione di opere, servizi e forniture. Nello
stesso tempo, le regole giuridiche sono poste a garanzia della regolarità della procedura, contrastando deviazioni patologiche.
In questo conflitto, bisogna individuare il livello di
bilanciamento tra la necessaria imposizione di regole, anche al fine di evitare distorsioni corruttive,
con l’altrettanta necessaria esigenza di fornire alle
amministrazioni strumenti utili e flessibili per rea-
lizzare gli interessi pubblici. Soprattutto tenendo
conto che la galassia delle amministrazioni pubbliche è quanto mai variegata e che, perciò, differenziare modalità procedimentali è necessario.
Una disciplina con minori oneri procedimentali
per i contratti sotto soglia appare ragionevole sotto
molti profili ed invece ingiustificata per altri, come
sopra segnalato. Ed è ovviamente necessario vigilare che tali eccezioni procedimentali non vengano
artificiosamente utilizzate per eludere regole necessarie per contratti di maggiore importo (12).
(12) Per R. De Nictolis, Il nuovo codice dei contratti pubblici,
in questa Rivista, 2016, 5, 503 ss. “sarà necessaria una vigilanza rafforzata sul settore del sotto soglia, e un monitoraggio
volto a verificare sia la dimensione economica degli affidamen-
ti che consentono maggiore flessibilità, sia se il loro impiego è
oggettivamente giustificato o costituisce elusione delle regole
di maggior rigore”.
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Scelta del contraente
Il partenariato per l’innovazione
di Stefano Fantini
Il partenariato per l’innovazione è un’inedita procedura di scelta del contraente (ristretta con negoziazione) introdotta dal codice dei contratti pubblici per lo sviluppo ed il successivo acquisto
di prodotti servizi o lavori caratterizzati da novità ed innovazione, in cui occorre dunque una collaborazione tra soggetti pubblici e privati protratta nel tempo.
Tra le procedure di scelta del contraente per i settori ordinari (1) il D.Lgs. n. 50 del 2016, accanto alla
procedura aperta, alla procedura ristretta, alla procedura competitiva con negoziazione, alla procedura
negoziata senza previa pubblicazione del bando, ed
al dialogo competitivo contempla anche, all’art. 65,
il partenariato per l’innovazione, cui le Amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori possono
ricorrere “nelle ipotesi in cui l’esigenza di sviluppare
prodotti, servizi o lavori innovativi e di acquistare
successivamente le forniture, i servizi o i lavori che
ne risultano non può, in base ad una motivata determinazione, essere soddisfatta ricorrendo a soluzioni già disponibili sul mercato”.
Si tratta di una novità del nuovo “codice dei contratti pubblici” introdotta, in conformità all’art. 31
della Dir. 2014/24/UE, essenzialmente per gli appalti che in ambito europeo vengono definiti “appalti
pre-commerciali”, e cioè appalti per la ricerca di
nuove “soluzioni” ancora non presenti nel mercato,
in cui inevitabile è dunque una collaborazione tra
Amministrazione ed operatore economico, purché
non distorsiva della concorrenza, o tale da tradursi
in un aiuto di Stato.
L’obiettivo della Dir. n. 2014/24/UE, come si desume
dal considerando n. 49, è in qualche misura quello di
ricondurre anche tali appalti, finalizzati a sviluppare
prodotti, servizi o lavori innovativi, idonei a promuovere “una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva”, nell’ambito di applicazione della medesima, andando dunque oltre la disciplina della comunicazione
della Commissione del 14 dicembre 2007, concernente, per l’appunto, “appalti pre-commerciali: promuove-
re l’innovazione per garantire servizi pubblici sostenibili e di elevata qualità in Europa”.
La preoccupazione che il partenariato per l’innovazione non operi in senso anti-concorrenziale, e dunque precludendo l’accesso al mercato, è resa evidente dal fatto che l’art. 65, comma 1, ne ammette l’utilizzazione in presenza di una motivata determinazione dell’Amministrazione, la quale, in via preventiva, attesti che i “prodotti” in questione non sono
già disponibili, ed a condizione che le forniture, servizi o lavori che ne risultano, corrispondano ai livelli di prestazioni ed ai costi massimi concordati tra le
stazioni appaltanti ed i partecipanti.
Il partenariato per l’innovazione è dunque una procedura di scelta del contraente (2), che però si caratterizza per il fatto di dispiegarsi in un arco temporale ampio, vale a dire in una prospettiva di lungo
termine, necessario per lo sviluppo ed il successivo
acquisto di prodotti, servizi o lavori caratterizzati da
novità ed innovazione, e senza bisogno di una successiva procedura di gara per l’acquisto.
Tale considerazione vale non solo a spiegare il procedimento che risulta complesso e plurifasico, come
meglio si vedrà nel prosieguo, ma soprattutto ad evidenziare la peculiarità del partenariato per l’innovazione, il quale si caratterizza come un procedimento
di scelta del contraente che tende a stabilizzarsi, assumendo, almeno in parte, i connotati propri del
partenariato pubblico-privato, inteso quale fenomeno giuridico di collaborazione tra il settore pubblico
e gli operatori privati nello svolgimento di un’attività diretta al perseguimento di interessi pubblici (3).
Non a caso, fin dal Libro Verde del 30 aprile 2004
(1) Ed anche nei settori speciali, come chiarito dall’art. 122.
(2) L’inquadramento è evidente già dall’art. 59 del codice
dei contratti pubblici.
(3) In argomento, anche per riferimenti bibliografici, cfr.
Fantini, Il partenariato pubblico-privato, con particolare riguardo
al project financing ed al contratto di disponibilità, in www.giustizia-amministrativa.it, 2012.
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della Commissione europea, tra gli elementi connotanti il PPP dal punto di vista strutturale, si è posto
in evidenza proprio quello della “durata relativamente lunga della collaborazione, che implica una
cooperazione tra il partner pubblico ed il partner
privato in relazione ai vari aspetti di un progetto da
realizzare”.
Indubbiamente meno agevole è l’inquadramento
dell’istituto oggetto di studio tra il modello di PPP
di tipo puramente contrattuale e quello di PPP di tipo istituzionalizzato, che realizza un’entità distinta;
a questo proposito è evidente che, stricto iure, il partenariato per l’innovazione non rientra in nessuna
delle due categorie, almeno come sono tradizionalmente intese.
Si tratta peraltro di un profilo di indagine che può
anche risultare ultroneo, ove non si perda di vista la
circostanza per cui il partenariato non costituisce un
istituto giuridico, quanto piuttosto una “nozione descrittiva”, idonea ad includere “modelli di relazioni
stabili tra soggetti pubblici e privati, in funzione del
perseguimento di obiettivi sostanzialmente coincidenti, in un’ottica che privilegia il principio del
buon andamento dell’amministrazione pubblica e
l’efficienza dell’azione amministrativa, tutte le volte
in cui, per volontà del legislatore, o per reciproca
convenienza dei partner, gli interessi pubblici e privati si intrecciano ai fini dello svolgimento in comune di un’attività di evidenza pubblica” (4).
Passando ora ad esaminare la disciplina procedimentale, giova anzitutto sottolineare che nei documenti
di gara devono essere chiaramente fissati i requisiti
minimi che tutti gli offerenti devono soddisfare; i
commi 3 e 4 dell’art. 65 stabiliscono che nel partenariato per l’innovazione qualsiasi operatore economico può formulare una domanda di partecipazione
in risposta ad un bando di gara o ad un avviso di indizione di gara, e che il termine minimo per la ricezione delle domande di partecipazione è di trenta
giorni dalla data di trasmissione del bando.
Precisa la norma che l’Amministrazione aggiudicatrice e l’ente aggiudicatore possono decidere di instaurare il partenariato per l’innovazione con uno o
più operatori economici che conducono attività di
ricerca e sviluppo separate, il che costituisce un’evidente deroga alla regola della identificazione di un
unico affidatario della gara, il cui fondamento di razionalità è facilmente rinvenibile nella complessità,
anche contenutistica, di un appalto finalizzato a
promuovere l’innovazione, e quindi potenzialmente
implicante il concorso di plurime competenze specialistiche.
Ciò chiarito sulle peculiarità del partenariato per
l’innovazione, occorre ora aggiungere che lo stesso
enuclea un procedimento di gara inquadrabile come
“procedura ristretta con negoziazione”, secondo
quanto inferibile dal comma 4 dell’art. 65, ove si
precisa che “soltanto gli operatori economici invitati dalle amministrazioni aggiudicatrici o dagli enti
aggiudicatori in seguito alla valutazione delle informazioni fornite possono partecipare alla procedura”
(devono essere in misura comunque non inferiore a
tre, ed in ogni caso sufficiente a garantire un’effettiva concorrenza, secondo quanto disposto dall’art.
91, comma 2, e scelti in ragione della capacità nel
settore della ricerca innovativa), e dal successivo
comma 6, il quale prevede, salvo che non sia diversamente disposto, che “le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori negoziano le offerte
iniziali e tutte le offerte successive presentate dagli
operatori interessati, tranne le offerte finali, per migliorarne il contenuto”, pur dovendo garantire la
parità di trattamento fra tutti gli offerenti.
Le previsioni ora ricordate evidenziano infatti la
compresenza, nel procedimento del partenariato per
l’innovazione, dei requisiti propri delle “procedure
ristrette” e delle “procedure negoziate”, rispettivamente definiti ai punti ttt) ed uuu) dell’art. 3 del
D.Lgs. n. 50 del 2016.
Nel partenariato per l’innovazione gli appalti sono
aggiudicati esclusivamente sulla base del rapporto
qualità/prezzo, e dunque facendo applicazione del
criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, divenuto peraltro la regola nel nuovo codice dei
contratti pubblici.
Un tratto caratterizzante la difficile procedura oggetto di studio è costituito dalla strutturazione in fasi successive, secondo la sequenza delle fasi del processo di ricerca e di innovazione, che può comportare la fabbricazione dei prodotti o la prestazione dei
servizi o la realizzazione dei lavori. In particolare,
sono fissati dal partenariato per l’innovazione obiettivi intermedi che le parti devono raggiungere, e di
cui, con disposizione forse non adeguatamente dettagliata, è prevista la remunerazione mediante congrue rate.
All’esito di ogni fase, corrispondente al raggiungimento di un obiettivo intermedio, l’Amministrazio-
(4) In termini Mastragostino, Premessa, in Id. (a cura di), La
collaborazione pubblico-privato e l’ordinamento amministrativo,
Torino, 2011, XVII-XVIII.
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ne aggiudicatrice può decidere, ove abbia previsto e
disciplinato tali possibilità, di risolvere il partenariato, verosimilmente nell’evenienza in cui non abbia
portato al risultato voluto, ovvero, di ridurre, in caso di partenariato plurisoggettivo, il numero degli
operatori, risolvendo alcuni contratti risultati non
utili (la previsione speciale, seppure lacunosa, della
remunerazione dovrebbe escludere l’operatività della
disciplina sulla risoluzione dettata nell’art. 108,
comma 5, del codice dei contratti pubblici).
Lo sviluppo plurifasico del partenariato per l’innovazione è il contesto in cui si inserisce la negoziazione tra Amministrazione ed operatori economici, la
quale può riguardare sia le offerte iniziali che quelle
successive presentate, al fine di migliorarne il contenuto, ma non anche le offerte finali; del pari, non
sono soggetti a negoziazione i requisiti minimi ed i
criteri di aggiudicazione. La durata delle varie fasi è
funzionale al grado di innovazione della soluzione
proposta e delle attività di ricerca necessarie per la
formulazione di una soluzione innovativa, non ancora disponibile nel mercato.
La negoziazione costituisce la dimostrazione plastica
di quel fenomeno giuridico di collaborazione nel
quale si sostanzia, come evidenziato in premessa, il
PPP, ma presenta inevitabilmente profili delicati in
termini di trasparenza del procedimento ed in particolare di garanzia della par condicio dei concorrenti,
oltre che di tutela della riservatezza (privacy) professionale, industriale e commerciale.
In tale prospettiva il comma 7 dell’art. 65 sancisce
expressis verbis che “nel corso delle negoziazioni le
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amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori garantiscono la parità di trattamento fra tutti
offerenti”; in particolare le Amministrazioni informano per iscritto gli operatori delle modifiche alle
specifiche tecniche od agli altri documenti di gara,
concedendo un tempo agli offerenti per modificare
e ripresentare, ove opportuno, le offerte modificate,
senza peraltro rivelare agli altri partecipanti informazioni riservate (da intendere essenzialmente,
stante il richiamo dell’art. 53 del codice, come quelle che contengono segreti tecnici o commerciali)
comunicate da un offerente che partecipa alla negoziazione, salvo che vi sia il di lui accordo, che si presume comunque limitato alle sole informazioni specifiche espressamente indicate. A questo riguardo,
merita aggiungere che nei documenti di gara l’Amministrazione aggiudicatrice è tenuta a definire il regime applicabile ai diritti di proprietà intellettuale,
che inevitabilmente vengono in rilievo in occasione
dell’affidamento di un appalto finalizzato allo sviluppo di prodotti, servizi e lavori innovativi.
Occorre, da ultimo, mettere in evidenza la correlazione tra fasi del partenariato e negoziazione anche
in un’ulteriore prospettiva, che è quella derivante
dalla possibilità che il bando od altri documenti di
gara prevedano l’opzione, probabilmente fisiologica
e semplificatrice, dell’esclusione nel corso delle negoziazioni; si intende dire, in altre parole, che la negoziazione in fasi successive può assolvere anche alla
funzione di ridurre il numero delle offerte.
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Nuovo Codice appalti
Artt. 187, 188 e 190
Locazione finanziaria,
contratto di disponibilità
e baratto amministrativo
nel D.Lgs. n. 50/2016
di Matteo Baldi
Nell’ambito della nuova disciplina in materia di contratti pubblici, introdotta dal D.Lgs. 50/2016,
alcuni istituti riprendono omologhe figure presenti nel previgente D.Lgs. n. 163/2006. Il commento vuole analizzare istituti di particolare importanza quali: a.- il leasing per la realizzazione,
l’acquisizione ed il completamento di opere pubbliche o di pubblica utilità, disciplinato dall’art.
187, che sembra aver trovato un assetto definitivo dopo una serie di contrasti giurisprudenziali;
b.- il c.d. contratto di disponibilità (art. 188), di natura ibrida e scarsa applicazione, che differisce
dagli altri strumenti di partenariato pubblico-privato, in quanto la titolarità dell’opera realizzata è
totalmente privata; c.- il baratto amministrativo (art. 190), una nuova figura di contratto di partenariato sociale, introdotta dal nuovo codice, finalizzata alla partecipazione delle comunità locali
alla gestione di beni pubblici, attraverso la presentazione di progetti tesi, perlopiù, alla riqualificazione dell’ambiente.
Locazione finanziaria
L’istituto del leasing pubblico, dopo l’emanazione
del D.Lgs. n. 163 del 2006, è stato oggetto di una
specifica previsione nella legge finanziaria per il
2007, L. 27 dicembre 2006, n. 296 (art. 1, commi
907-908 e 912-914), trasfusa nel Codice previgente
con il secondo decreto correttivo, D.Lgs. 31 luglio
2007, n. 113, che ha inserito l’art. 160 bis ed ha assunto il suo assetto definitivo con il terzo decreto
correttivo, D.Lgs. 11 settembre 2008, n. 152 che
ha modificato l’art. 160 bis, riprodotto senza sostanziali modifiche nell’art. 187 del D.Lgs. n. 50
del 2016. Con tale disciplina la locazione finanziaria di opere pubbliche veniva concepita come figura contrattuale specifica, quale negozio strumentale
all’appalto pubblico di lavori.
L’art. 3, comma 1, lett. ggg) definisce “locazione finanziaria di opere pubbliche o di pubblica utilità”,
il contratto avente ad oggetto la prestazione di servizi finanziari e l’esecuzione di lavori.
Il Codice non formula una definizione di rinvio alla disciplina del leasing immobiliare, i cui caratteri
essenziali si ravvisano nella disciplina specifica dell’art. 187, che incentra l’assoggettamento al codice
sulla prevalenza del profilo costruttivo.
Il comma 1 dell’art. 187 conferma tuttavia la possibilità di utilizzare il leasing anche per l’acquisizione
di opere pubbliche o di pubblica utilità, fattispecie
in cui la componente prevalente è il finanziamento
puro per cui, secondo quanto chiarito anche dall’Autorità di Vigilanza, appare prevalente la causa
di finanziamento, che costituisce l’oggetto principale del contratto e soggiace alle previsioni dei
contratti aventi ad oggetto servizi finanziari (1).
La prima definizione del leasing risale all’art. 17,
comma 2, L. 2 maggio 1976, n. 183: per operazioni
di locazione finanziaria si intendono “le operazioni
di locazione di beni mobili ed immobili, acquistati
o fatti costruire dal locatore, su scelta ed indicazione del conduttore, che ne assume tutti i rischi, e
con facoltà di quest’ultimo di divenire proprietario
(1) Deliberazione n. 78 del 7 ottobre 2009.
Urbanistica e appalti 8-9/2016
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dei beni locati al termine della locazione, dietro
versamento di un prezzo prestabilito”.
Il leasing così definito è il leasing finanziario generalmente considerato quale contratto atipico e si
distingue dal leasing operativo, che si ha nel caso
in cui lo stesso produttore, verso corrispettivo, cede
in godimento un bene, standardizzato, insieme a
servizi collaterali (ad es. manutentivi) e ciò per un
periodo di tempo inferiore alla vita economica del
bene, destinato a nuove utilizzazioni, o con possibilità di riscatto alla fine del rapporto.
Il leasing traslativo che riguarda generalmente beni
immobili, è caratterizzato dal fatto che il bene locato è idoneo a conservare alla fine del contratto
un apprezzabile valore commerciale residuo, superiore all’importo convenuto per l’opzione e dietro
canoni che scontano anche una quota del prezzo
in previsione del successivo acquisto; in ciò ravvisandosi la causa prevalente di finanziamento a scopo di trasferimento della proprietà del bene, sul
modello della vendita a rate con riserva di proprietà.
Ricorre invece la figura del leasing di godimento,
pattuito con funzione di finanziamento, rispetto a
beni non idonei a conservare un apprezzabile valore residuale alla scadenza del rapporto e dietro canoni che configurano esclusivamente il corrispettivo dell’uso dei beni stessi (2).
Il leasing operativo è quindi una locazione o una
vendita con patto di riscatto.
Il leasing immobiliare può avere ad oggetto la realizzazione ai fini della cessione in locazione di un
immobile “chiavi in mano”, completo delle attrezzature e delle strumentazioni necessarie a garantirne l’uso al quale è destinato.
Nel contratto di leasing la causa prevalente è il finanziamento, in quanto l’obbligazione principale
del concedente è la messa a disposizione di un bene appositamente acquistato o fatto costruire, per
un certo periodo, cui corrisponde l’obbligazione, a
carico dell’utilizzatore, di pagamento dei canoni
periodici, il cui ammontare copre il costo dell’acquisto o della costruzione, gli oneri finanziari connessi all’anticipazione, le spese di gestione e l’utile
del finanziatore. I rischi e le responsabilità relativi
all’acquisto, custodia, conservazione e impiego del
bene, ricadono sull’utilizzatore al quale si estendono anche le garanzie prestate dal fornitore o appaltatore.
La locazione finanziaria è stata solitamente utilizzata da parte della P.A. per supplire alla carenza di
mezzi finanziari, anche se risulta un contratto più
oneroso rispetto ad altri astrattamente disponibili (3).
Superato l’orientamento che riteneva non ammissibile il ricorso al leasing da parte della P.A. in ragione della atipicità della causa, sul presupposto
della piena capacità giuridica ed autonomia negoziale dell’ente pubblico (4), restava il problema della possibilità di utilizzo dell’istituto in alternativa
ai contratti tipici per la realizzazione di opere pubbliche.
La Corte dei conti dopo un primo orientamento
contrario, prima dell’inserimento dell’istituto nel
codice dei contratti, aveva ritenuto ammissibile il
leasing nelle ipotesi in cui non si potesse ricorrere
ai mutui concessi dalla Cassa depositi e prestiti, come valida alternativa ai mutui da stipularsi con
istituti di credito privati e, comunque, nell’ambito
di una procedura di evidenza pubblica che confrontasse diverse offerte fra quelle reperibili sul mercato (5).
La valutazione circa la convenienza e l’opportunità
del ricorso al leasing, rispetto ad altre forme con-
(2) Cass., Sez. I, 7 febbraio 2001, n. 1715.
(3) I canoni di leasing vanno iscritti alle spese correnti, superando così l’ostacolo costituito dai limiti massimi di indebitamento per l’ente, mentre solo il riscatto finale, determinando
l’acquisto del bene, va iscritto fra le spese in conto capitale o
di investimento. Così De Nova, Nuovi contratti, Torino, 1994,
312.
(4) A. Barettoni Arleri, Il leasing finanziario delle pubbliche
amministrazioni fra le maglie della contabilità di Stato, in R. Clarizia - D. Velo (a cura di), Il leasing pubblico, Milano, 1985, 66
ss.; G. De Leo, Il leasing finanziario per la realizzazione di opere
pubbliche, in Fin. Loc., 1989, 483; G. Morbidelli, Realizzazione
di opere pubbliche tramite contratti di leasing finanziario: profili
procedurali, in Riv. trim. appalti, 1988, n. 1, 11 ss.; G. Fischione, Il leasing per la realizzazione delle opere pubbliche (pubblica
amministrazione ed uso di un modulo contrattuale alternativo),
in Giur. it., 1988, 330 ss.; G. Tucci, Aspetti contrattuali nel leasing pubblico, in Riv. trim. appalti, 1989, 19 ss. Nel senso dell’inammissibilità del ricorso al leasing da parte delle P.A.: G. Torregrossa, L’opera pubblica fra leasing e concessione di costru-
zione, in Riv. dir. civ., 1987, I, 329 ss.; C. Marrone, L’ammissibilità del leasing finanziario per la realizzazione di opere pubbliche,
in AA.VV., Scritti in onore di Guido Capozzi, II, Milano, 1992,
800 ss. In giurisprudenza il Consiglio di Stato ha ritenuto l’operazione ammissibile sia in sede consultiva sia contenziosa, nella prospettiva generale della capacità della P.A. ad usare del
diritto privato (Cons. Stato, Sez. III, 10 maggio 1994, n. 899/9,
in Cons. Stato, 1995, I, 1330; in sede contenziosa Cons. Stato,
Sez. V, 5 giugno 1991, n. 3388; Cons. Stato, Sez. V, 4 novembre 1994, n. 1257, in Foro amm., 1994, 11; tale ultima sentenza sottolinea che comunque la normativa che impone la pubblica gara per la scelta dell’appaltatore di opere pubbliche, deve trovare applicazione ogni volta che tra questi e l’amministrazione si instaura un rapporto a prestazioni corrispettive, essendo irrilevante il nomen iuris attribuito dalle parti alla fonte di
tale rapporto.
(5) In senso contrario all’ammissibilità si erano espresse,
Corte dei conti 28 luglio 1986, n. 27, Riv. it. Leasing, 1987,
165; Corte dei conti 28 luglio 1988, n. 686, ibidem, 1989, 133;
in senso favorevole, Corte dei conti 28 luglio 1989, n. 330 in
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Nuovo Codice appalti
trattuali, è soggetta al rispetto dei consueti principi
di economicità ed efficienza. La comparazione con
diverse forme di finanziamento potrebbe indurre a
ritenere preferibile l’utilizzazione di tale strumento,
come tipicamente nel caso di carenza delle risorse
finanziarie necessarie, allorché l’acquisizione di un
determinato bene debba essere immediata (6).
Autorevole dottrina (7) ha tuttavia rilevato la potenzialità elusiva del leasing finanziario rispetto al
c.d. patto di stabilità interno, sottolineando che il
leasing, nel quadro giuridico restrittivo in materia
di finanza locale, “può essere giustificato nei limiti
della spesa per investimenti (ossia nel caso del riscatto), nel caso in cui gli enti locali non versino
in situazione di disavanzo superiore a quello prefissato dal patto di stabilità interno per gli enti, mentre non sembra più giustificabile disinvoltamente
per ovviare alla cronica carenza di mezzi finanziari
degli enti locali”.
In questa prospettiva, il ricorso al leasing pubblico
sarebbe precluso agli enti locali ed alle regioni a
statuto speciale, e praticabile senza limiti contabili
ex art. 119 Cost. dallo Stato, dagli enti pubblici
istituzionali, e da altri organismi di diritto pubblico.
L’innesto dell’istituto nella disciplina degli appalti
ha imposto degli adeguamenti per coordinare i due
istituti in una prospettiva di rispetto del principio
di concorrenza, pur restando il contratto di leasing
e quello di compravendita o appalto, che intercorre tra concedente e fornitore o costruttore del bene, formalmente distinti.
Infatti, nell’ipotesi in cui il contratto non abbia ad
oggetto un bene già esistente, ma il bene deve essere fatto costruire dalla società di leasing, l’istituto
può prestarsi ad una utilizzazione elusiva delle procedure di gara.
In questo caso la società di leasing si assume l’obbligo di finanziare la costruzione dell’immobile, di costruirlo e di consegnarlo all’ente, sul quale ricadono i consueti obblighi di pagamento del canone,
con facoltà di riscatto.
Un primo aspetto di possibile conflitto con la normativa sulle opere pubbliche, riguarda la progettazione che, se predisposta dall’ente pubblico per la
definizione delle caratteristiche del bene, seguirà le
ordinarie procedure, altrimenti verrà redatta dalla
società di leasing seguendo gli ordinari moduli privatistici. In questo caso all’amministrazione resta
unicamente il controllo e l’approvazione della progettazione, in termini analoghi alla concessione,
ma ricorrendo a meccanismi contrattuali con la società di leasing (clausole di gradimento etc.) in
mancanza di disciplina pubblicistica specifica.
Sullo stesso piano si pone il problema del contratto
di appalto. Poiché il collegamento tra il contratto
di leasing e quello di appalto è economico non giuridico, la società di leasing dovrebbe poter scegliere
l’esecutore in piena autonomia, secondo le regole
privatistiche.
Anche in questo caso l’ente pubblico, non essendo
committente, potrebbe assicurarsi il controllo e la
sorveglianza sull’esecuzione avvalendosi dell’autonomia contrattuale, attraverso apposite clausole,
vincolanti la società di leasing, oppure con un contratto trilaterale che coinvolga anche l’appaltatore.
La locazione finanziaria in sé considerata, preordinata all’acquisizione di immobili, rientrerebbe nelle esclusioni stabilite dall’art. 17, comma 1, lett. a)
di tenore identico al previgente art. 19, comma 1,
lett. a), in virtù del quale le disposizioni del codice
non si applicano agli appalti e alle concessioni di
servizi, aventi ad oggetto l’acquisto o la locazione,
quali che siano le relative modalità finanziarie, di
terreni, fabbricati esistenti o altri beni immobili o
riguardanti diritti su tali beni.
Tuttavia il contratto di leasing per altri versi, e come oggetto prevalente quando viene utilizzato per
l’acquisizione di opere pubbliche o di pubblica utilità già esistenti, rientra anche nella nozione di
“servizi bancari e finanziari” e quindi nell’ambito
di applicazione del Codice, anche tenuto conto
delle disposizioni relative al calcolo dell’importo
stimato dell’appalto (art. 35, comma 14) che fanno
Riv. Corte conti, 1989, II, 267; Corte dei conti 12 aprile 1994, n.
118, ivi, 1994, 2, 15 ss.
(6) Cfr. A. Catricalà, Il leasing pubblico, in A. Saturno - P.
Stanzione (a cura di), Il diritto privato della pubblica amministrazione, Padova, 2006, 479. Sulle finalità cfr. il commento all’art.
160 bis, di R. Sciuto, in R. Tomei - M. Baldi (a cura di), La Disciplina dei contratti pubblici, II ed., Milano, 2009, 1319.
(7) G. Montedoro, Leasing pubblico e capacità generale di
diritto privato della p.a., in Riv. Dir. e form., www.lexfor.it. L’art.
6, comma 15, D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 56 come sostituito
dall’art. 30 della L. 27 dicembre 2002 n. 289 recita: “qualora
gli enti territoriali ricorrano all’indebitamento per finanziare
spese diverse da quelle di investimento, in violazione dell’art.
119 Cost. i relativi atti e contratti sono nulli. Le Sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti possono irrogare agli amministratori, che hanno assunto la relativa delibera, la condanna ad una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque e
fino ad un massimo di venti volte l’indennità di carica percepita al momento di commissione della violazione”. L’Autore richiama l’inquadramento giuscontabilistico proposto da P. Santoro, Manuale dei contratti pubblici, S. Arcangelo di Romagna,
2001, per ritenere congruo il ricorso alla fattispecie in termini
di economicità dell’azione amministrativa solo se si adotta non
il leasing di godimento ma il leasing traslativo, con canone da
imputare subito a riscatto del bene, e quindi da leggere come
spesa pluriennale di investimento.
Urbanistica e appalti 8-9/2016
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Nuovo Codice appalti
riferimento tra l’altro alle commissioni ed agli interessi, costituenti condizioni economiche riferibili
anche alla fattispecie del leasing.
Pertanto al leasing il codice risulta applicabile in
via diretta anche se l’art. 17 non ripete la specificazione dell’art. 19 del D.Lgs. n. 163 del 2006, che
espressamente dichiarava l’applicabilità della disciplina generale ai contratti di servizi finanziari conclusi precedentemente, contestualmente o successivamente al contratto di acquisizione o locazione
indipendentemente dalla forma.
Poiché nello schema trilaterale del rapporto di leasing (8), alla stipula della fornitura segue il contratto di acquisto del bene tra la società di leasing ed il
fornitore, con la consegna all’utilizzatore, la selezione della stessa (che deve essere un istituto di
credito ai sensi dell’art. 10, comma 3, T.U. 1° settembre 1993, n. 385 o un intermediario finanziario
ai sensi degli artt. 106 o 107 del medesimo T.U.)
deve seguire le procedure di evidenza pubblica previste per l’affidamento degli appalti di servizi.
L’art. 3, comma 1, lett. tt), nella definizione degli
“appalti pubblici di forniture”, comprende tra i
possibili oggetti oltre l’acquisto, la locazione finanziaria, la locazione o l’acquisto a riscatto, con o
senza opzione per l’acquisto, di prodotti, con l’ulteriore precisazione che un appalto di forniture può
includere, a titolo accessorio, lavori di posa in opera e di installazione.
In base a tale norma, ed anche alla luce del criterio
della prestazione principale di cui all’art. 28 del
Codice, risulterebbe applicabile la disciplina sulle
forniture nell’ipotesi in cui la causa prevalente non
sia costituita dal finanziamento ma dalla fornitura
del bene, di cui è sintomo il rapporto contrattuale
diretto con il fornitore, ovvero quella dei servizi se
la causa prevalente è il finanziamento, mentre la
prestazione del bene è accessoria (9).
Più complessa è la fattispecie relativa al rapporto
tra il leasing immobiliare e la normativa sulla scelta degli esecutori di lavori pubblici.
Il principale elemento difficoltà è dato dalla compresenza di due contratti, uno di leasing e l’altro di
appalto collegati in prima battuta sotto il profilo
economico, ma non funzionale-causale.
Pertanto mentre per quanto attiene alla scelta della società di leasing la normativa di evidenza pubblica risultava applicabile direttamente, lo stesso
non valeva per la scelta dell’esecutore, poiché il
contratto di appalto era stipulato dall’impresa di
leasing.
Per conciliare le caratteristiche dell’istituto con l’esigenza di garantire l’evidenza pubblica, in dottrina, prima dell’introduzione nel previgente codice
dell’art. 160 bis, è stata ritenuta applicabile la disciplina in materia di appalti di lavori pubblici, mediante la creazione di un collegamento negoziale
tra contratto di finanziamento e contratto di appalto, in virtù del quale in capo alla società di leasing
sarebbe posto l’obbligo di stipulare il contratto di
appalto con l’impresa appaltatrice, ma le funzioni
di stazione appaltante resterebbero all’ente aggiudicatore, in ragione di tale collegamento negoziale (10).
Pertanto si avrebbe una contestuale stipulazione da
parte dell’ente pubblico di un contratto di appalto
di lavori e di un contratto di leasing per il relativo
finanziamento, per cui la società di leasing si impegna ad acquistare un immobile già costruito ed a
concederlo in godimento all’ente pubblico, con acquisto della proprietà dell’immobile in capo all’ente non con l’esecuzione dell’appalto, ma al termine
del periodo stabilito (11). In quest’ultimo caso, an-
(8) Nel senso del contratto a struttura trilaterale cfr. Cass.,
Sez. III, 16 maggio 1997, n. 4367: “la locazione finanziaria
(c.d. leasing) si svolge come un rapporto trilaterale in cui l’acquisto ad opera del concedente va effettuato per conto dell’utilizzatore, con la previsione, quale elemento naturale del negozio dell’esonero del primo da ogni responsabilità in ordine
alle condizioni del bene acquistato per l’utilizzatore, essendo
quest’ultimo a prendere contatti con il fornitore, a scegliere il
bene che sarà oggetto del contratto e a stabilire le condizioni
di acquisto del concedente, il quale non assume indirettamente l’obbligo della consegna, né garantisce che il bene sia immune da vizi e che presenti le qualità promesse, né rimane tenuto alla garanzia per evizione”. Conforme Cass., Sez. III, 2
marzo 1998, n. 2265.
(9) G. Montedoro, op. cit., ipotizza il caso in cui l’amministrazione concluda un contratto di fornitura, dopo una gara,
con un fornitore, e che quest’ultimo sia legato da un contratto
di esclusiva ad una società di leasing, che lo obblighi ad avvalersi della società di leasing per tutte le forniture (c.d. leasing
convenzionato), per ritenerla ammissibile se prevista dal bando, con una clausola di gradimento in favore dell’amministrazione per l’eventuale rifiuto della società di leasing priva di requisiti o inaffidabile, escludendo l’obbligo a contrarre a carico
dell’amministrazione in virtù di una clausola di esclusiva non
contemplata dal bando, come mera conseguenza della scelta
di un determinato fornitore poiché ciò sarebbe contrario alla
direttiva sui servizi, ed alla concorsualità comunitaria. Lo stesso Autore contempla anche il caso inverso che l’amministrazione scelga la società di leasing e questa sia legata ad un fornitore o a determinati fornitori, risolvendola con previsione del
bando, che cauteli l’amministrazione mediante clausole di gradimento rivolte all’eventualità del rifiuto del fornitore convenzionato privo di requisiti.
(10) A. Catricalà, Il leasing pubblico, cit., 486.
(11) M. Capitani, Il contratto di leasing pubblico: caratteri generali e problematiche connesse alla sua utilizzazione per la realizzazione di opere pubbliche, in Comuni d’Italia, n. 7-8/2000.
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Urbanistica e appalti 8-9/2016
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Nuovo Codice appalti
che nel regime precedente la disciplina codicistica
risultava indubbia l’applicabilità delle ordinarie
procedure di scelta dell’esecutore, essendo l’appalto
affidato dall’ente pubblico.
Al di fuori di tali modelli, in mancanza di trasferimento di poteri dalla P.A. al privato, inammissibile in assenza di specifica previsione legislativa, la
disciplina degli appalti pubblici non appariva prima
facie applicabile alla scelta dell’appaltatore da parte
della società di leasing (12).
Va tuttavia considerato che da un punto di vista
economico, le spese sono sopportate dall’ente pubblico che è anche l’utilizzatore dell’opera e futuro
proprietario.
Ovviamente questa prospettiva presuppone una
negazione della causa di finanziamento in favore di
quella che identifica la funzione dell’operazione
nella realizzazione dell’opera pubblica, con le caratteristiche indicate dall’amministrazione, anche se
il finanziatore rimane proprietario del bene sino all’estinzione del debito ed all’esercizio del riscatto.
Nel regime del D.Lgs. n. 163 del 2006, previgente
il secondo correttivo, la prevalenza del profilo causale dell’appalto poteva trovare fondamento nella
previsione di cui all’art. 3 comma 7, in cui era proprio “l’esecuzione con qualsiasi mezzo, di un’opera
rispondente alle esigenze specificate dall’amministrazione aggiudicatrice”, formulazione ripetuta dall’art. 3, comma 1, lett. ll), n. 3, D.Lgs. n. 50 del
2016, e che rappresentava il presupposto per la
soggezione alla disciplina comunitaria sugli appalti
di lavori pubblici.
Tuttavia il Consiglio di Stato (13) in relazione all’analoga previsione di cui all’art. 4 del D.Lgs. n.
406/1991 ed all’art. 1 della Dir. 37/93, aveva negato tale estensione ritenendo che l’esecuzione con
qualsiasi mezzo di un’opera “non assorbe qualsiasi
tipo contrattuale ma solo quelli aventi ad oggetto
un facere, con conseguente inapplicabilità della
normativa in tema di lavori alla vendita di cosa futura (ed al leasing finanziario per l’acquisizione di
beni già esistenti o da realizzare), quando il rapporto intercorra solo fra l’amministrazione e la società
di leasing e quest’ultima si sia attrezzata per la committenza dell’opera”.
La pronuncia si fonda su una interpretazione della
nozione di appalto che risente della dogmatica codicistica, in contrasto con il carattere funzionale,
da cui nasce la definizione minima, della disciplina
comunitaria.
In giurisprudenza sono state tuttavia espresse anche
opinioni contrarie, rilevando che trattandosi di un
rapporto a prestazioni corrispettive, doveva svolgersi una procedura di gara per la scelta dell’esecutore, nel rispetto delle prescrizioni di diritto comunitario applicabili a prescindere dai singoli procedimenti, istituti e prassi adottati negli ordinamenti
interni per la realizzazione delle opere pubbliche (14).
Orientamento contrario è stato espresso anche dall’Autorità di vigilanza (15), relativamente ad una
fattispecie in cui tra le obbligazioni a carico del locatore, era stata prevista l’esecuzione delle opere di
ordinaria e straordinaria manutenzione, solitamente spettanti all’utilizzatore, necessarie a garantire le
condizioni d’uso ottimali della struttura.
L’Autorità, richiamando la propria precedente determinazione n. 22 del 30 luglio 2002 (16), ribadiva il carattere tassativo dei modelli contrattuali
per l’esecuzione delle opere pubbliche, previsto
dall’art. 19 dell’allora vigente L. n. 109/1994 nella
parte in cui (comma 1) stabiliva che i lavori pubblici possono essere realizzati “esclusivamente” mediante appalti o concessioni di lavori.
Questi orientamenti dell’Autorità hanno fornito
gli elementi per la caratterizzazione dell’istituto da
parte dell’art. 2, D.Lgs. 31 luglio 2007, n. 113, rimasta sostanzialmente immutata fino all’art. 187
dell’attuale Codice.
Infatti il carattere di onerosità non è ravvisabile
unicamente nei casi in cui la controprestazione a
carico dell’Amministrazione sia costituita dal paga-
(12) Cfr. M. Capitani, op. cit., che ipotizza una rappresentanza dell’amministrazione da parte della società di leasing nella scelta dell’impresa appaltatrice secondo le regole che disciplinano gli appalti pubblici e richiama l’opinione di V. Caianiello, Prospettive del leasing pubblico: problemi di diritto amministrativo, in R. Clarizia - D. Velo (a cura di), Il leasing pubblico,
op. cit., 56 ss. che ritiene non corretta un’impostazione del
problema in termini esclusivamente formali, cioè considerando
assorbente il presupposto che intercorrendo il rapporto contrattuale tra due privati, non sarebbe applicabile la normativa
di contabilità pubblica.
(13) Parere dell’Adunanza generale del 17 febbraio 2000, n.
2, cit.
(14) Cons. Stato, Sez. V, 4 novembre 1994, n. 1257; Cons.
Stato, Sez. II, 11 dicembre 1991, n. 1221.
(15) Deliberazione Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici 4 dicembre 2002, n. 337 - Bando di gara relativo alla realizzazione e consegna in leasing chiavi in mano del completamento fase I del nuovo arcispedale S. Anna di Ferrara. La stazione appaltante aveva ritenuto sussistente una figura assimilabile al contratto atipico, nella forma del mandato senza rappresentanza, in cui la prestazione richiesta al privato si sostanziava in un finanziamento, ricadendo quale appalto di servizi
nell’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 157/1995.
(16) Possibilità di ricorrere a procedure concorsuali anomale difformi da quelle tipologicamente individuate nella L. 11
febbraio 1994, n. 109 e s. m.
Urbanistica e appalti 8-9/2016
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Nuovo Codice appalti
mento di un corrispettivo pecuniario, ma anche in
tutte le ipotesi in cui è prevista comunque una
controprestazione a suo carico (17).
Peraltro nel contratto di leasing non manca il carattere corrispettivo dei lavori in quanto i canoni, in
aggiunta al diritto di riscatto, coprono sia l’anticipazione finanziaria che il costo realizzativo dell’opera.
Quanto al regime di selezione, l’Autorità faceva
applicazione del criterio della prevalenza, introdotto dall’art. 14 del D.Lgs. n. 163 del 2006 e ripreso
nell’art. 28 dell’attuale Codice, sia pure con modifiche, che tuttavia mantengono fermo il principio
dell’oggetto principale.
Non poteva considerarsi ostativo all’applicabilità
della normativa sui lavori pubblici, la circostanza
che il riscatto fosse meramente eventuale, ma sotto
un profilo teorico, perché la scelta appare imposta,
in quanto essendo i canoni di ammontare superiore
sia ai canoni di locazione ordinaria sia alle rate di
un mutuo, il versamento degli stessi senza l’acquisizione della proprietà tramite l’esercizio del riscatto,
sarebbe antieconomico, con ogni conseguenza in
termini di responsabilità erariale (18).
Il diritto di riscatto risponde anche all’esigenza che
l’immobile realizzato rimanga di proprietà della società di leasing fino a quel momento. Nella giurisprudenza si sono registrate posizioni contrastanti
in quanto si è rilevato che, affinché la figura sia
coerente con le caratteristiche di leasing immobiliare, l’opera deve restare di proprietà del soggetto
finanziatore, per cui le clausole contrattuali che
prevedano un obbligo, non una facoltà di riscatto
dell’ente pubblico sarebbero in contrasto con lo
schema tipico del contratto (19).
L’obbligo di riscatto da parte dell’amministrazione
è legato oltre che ad esigenze di finanza pubblica,
alla necessità di garantire la continuità dell’esercizio delle funzioni connesse all’opera pubblica; in
sostanza è preordinato ad evitare che con il vano
spirare del termine senza l’esercizio del riscatto l’opera risulti sottratta alla specifica finalità pubblica
per la quale è stata realizzata. In virtù di tale destinazione pur potendo in base al comma 7 dell’art.
187, l’opera essere realizzata su area nella disponibilità dell’aggiudicatario e pur restando comunque
in proprietà della società di leasing fino all’esercizio del riscatto, la stessa può fruire delle particolari
prerogative dell’opera pubblica e quindi seguire il
regime di opera pubblica ai fini urbanistici edilizi
ed espropriativi.
Sotto tale profilo la necessità di riscatto potrebbe
essere superata sulla base di una concezione funzionale dell’opera pubblica, non legata necessariamente alla titolarità ma alla destinazione, per cui
rileva la pubblica utilità dell’opera.
Sul punto è stato osservato in dottrina che la giustificazione del ricorso all’operazione in termini finanziari, può esservi solo se si pone un problema di
leasing traslativo, con canone da imputare subito a
riscatto del bene, e quindi da leggere come spesa
pluriennale di investimento, mentre non sembra
praticabile il leasing di godimento (20).
La stessa Autorità tuttavia con deliberazione n.
145 del 23 settembre 2004, aveva ritenuto ammissibile una deroga al principio generale di tassatività
delle procedure previste dalla L. 11 febbraio 1994,
n. 109 e s.m.i. per la realizzazione di opere pubbliche, “ove norme speciali dettate per far fronte a situazioni di necessità ed urgenza (nel caso di specie
“l’inefficienza e la vetustà degli istituti penitenziari
esistenti ed il loro sovraffollamento”) prevedano
(17) L’Autorità richiama la sentenza della Corte di Giustizia
CE 12 luglio 2001, C. 399/88 sulle opere di urbanizzazione, in I
Contratti dello Stato e degli Enti pubbl., 4/2001, 539 con nota di
commento di F. Acerboni e una pronuncia del Cons. Stato
(Sez. V, 4 novembre 1994, n. 1257), che sancisce: “la normativa che impone la pubblica gara per la scelta dell’appaltatore di
opere pubbliche deve trovare applicazione ogni volta che tra
questi e l’amministrazione si instaura un rapporto a prestazioni
corrispettive. Poco importa il nomen iuris attribuito dalle parti
alla fonte di tale rapporto (ad esempio contratto di appalto,
contratto di vendita di cosa futura, contratto di leasing immobiliare, contratto di locazione con facoltà di apportare modifiche
alla cosa locata, concessione di costruzione, concessione di
committenza, ecc.); la normativa comunitaria e quella italiana,
oltre ad avere equiparato al contratto di appalto la concessione di opere pubbliche, comportano che la disciplina della gara
per la scelta dell’esecutore deve applicarsi a prescindere dai
singoli procedimenti e dai singoli istituti che gli Stati comunitari conoscono o che nella prassi si affermano per la realizzazione delle opere pubbliche (Cons. Stato, Sez. II., 11 dicembre
1991, n. 1221/91; Sez. II, 11 dicembre 1991, n. 1208/91; Sez.
II, 19 giugno 1991, n. 570/91)”.
(18) Si è quindi sottolineato da Galtieri - Caianiello, in Galtieri, Realfonzo, Clarizia, Il leasing immobiliare pubblico, Milano
2001 come per gli enti pubblici l’esercizio del diritto di riscatto
sia inevitabile, in ragione del fatto che la gran parte del canone
pesa sulle casse erariali a titolo di costo per l’acquisizione del
bene.
(19) Corte dei conti, Sez. Contr. Lombardia 21 dicembre
2009, n. 1139 in www.corte.conti.it; Corte dei conti, Sez. Contr.
Marche, 29 marzo 2011, n. 14, ibidem; mentre Corte dei conti,
Sez. Contr. Riun. 16 settembre 2011, n. 49, cit., configura quale ipotesi normale il riscatto dell’opera specificando che allorché l’ente non intende esercitare il riscatto, il soggetto finanziatore può utilizzare il bene o metterlo sul mercato. Ritiene
sussistente un vero e proprio obbligo di riscatto da parte dell’amministrazione aggiudicatrice T.A.R. Lombardia, Brescia,
Sez. II, 5 maggio 2010, n. 1675, in www.giustizia. amministrativa.it; in dottrina Clarizia 4 2 V. A. Maltoni 1778.
(20) P. Santoro, Manuale dei contratti pubblici, Rimini, 2005.
Il riscatto e la proprietà dell’area
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l’uso, in via prioritaria, di strumenti alternativi, ivi
incluso il leasing finanziario”, ritenendo applicabile
agli affidamenti la disciplina degli appalti pubblici
di servizi, stante la prevalenza dell’aspetto relativo
all’operazione di finanziamento (21).
Pertanto il leasing immobiliare “costruttivo” va inquadrato, tenuto conto, anche alla luce della disciplina dei contratti misti di cui all’art. 14 del Codice, della finalità prevalente perseguita dall’amministrazione. L’oggetto principale del contratto, non è
la stipula del contratto di locazione finanziaria, ma
la realizzazione e l’acquisizione dell’opera. Lo strumento della locazione finanziaria, quale servizio finanziario al fine di ammortizzare la spesa complessiva in un determinato periodo di tempo, costituisce un aspetto secondario e dunque accessorio, con
prevalenza della causa dell’appalto su quella del finanziamento, ai fini dell’assoggettamento alla disciplina sui lavori rispetto a quella dei servizi.
A prescindere dalla qualificazione, il carattere speciale nella fattispecie, quindi la prevalenza del contratto di appalto ed il carattere accessorio del servizio finanziario, implica che questo non possa considerarsi come un contratto separato di finanziamento, alternativo per esempio a un contratto di mutuo, ma come parte di una complessiva fattispecie
il cui oggetto è un obbligo di risultato, quello realizzativo tipico dell’appaltatore.
Anche la Commissione Europea qualifica il leasing
immobiliare con un appalto di lavori, comprensivo
della prestazione di servizi finanziari accessori (22).
Al riscatto è legata la questione della proprietà delle aree.
Il richiamo di cui al comma 7 dell’art. 187 alla possibilità di realizzare l’opera anche su area dell’aggiudicatario, configurandosi come ipotesi alternativa a quella in cui l’area sia di proprietà dell’amministrazione, risponde all’esigenza pure sottolineata
dalla giurisprudenza contabile, di evitare che indipendentemente dall’esercizio del diritto di riscatto,
l’amministrazione diventi proprietaria dell’opera
(21) La Legge 23-12-2000, n. 388, all’articolo 145, comma
34, ha stabilito che il Ministro della giustizia: “... c) può valersi,
ai fini delle acquisizioni dei nuovi istituti, degli strumenti della
locazione finanziaria, della permuta e della finanza di progetto”. Come rilevato in dottrina (M. Greco, L’Autorità vira di 180°
sui lavori mediante leasing immobiliare, in www.appaltiecontratti.it, 2004), il riferimento alla norma speciale (art. 145, comma
34, lett. c, L. n. 388/2000) è inconferente, in ragione degli effetti tautologici rispetto all’ordinamento vigente e alla generale
capacità di diritto privato della P.A. insiti nella formulazione
della stessa (“il ministro della giustizia (...) può valersi, ai fini
delle acquisizioni dei nuovi istituti, degli strumenti della locazione finanziaria, della permuta e della finanza di progetto”).
(22) Direzione Generale Mercato Interno della Commissione
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una volta ultimata in virtù della proprietà sull’area.
In questa prospettiva potrebbero formare oggetto
del contratto di leasing immobiliare solo beni appartenenti al patrimonio disponibile, rispetto ai
quali è configurabile un diritto di proprietà privata,
con esclusione dei beni del demanio pubblico necessario (art. 822, comma 1, c.c.) o del patrimonio
indisponibile (art. 826, comma 2, c.c.) (23).
Nel caso di proprietà pubblica dell’area di sedime,
originaria o acquisita in seguito ad esproprio, la soluzione possibile è la concessione del diritto di superficie in favore dell’aggiudicatario (24), per un
periodo più lungo rispetto a quello in cui termina
il contratto di leasing, in modo che il bene conservi un apprezzabile valore di mercato che verrebbe
meno se vi fosse coincidenza tra scadenza del contratto di locazione e diritto di superficie. Infatti in
tal modo “l’ente pubblico non solo riacquisterebbe
la probità dell’area ma anche quella delle opere
realizzate sulla stessa, indipendentemente dall’esercizio del diritto di opzione, e addirittura nel caso
in cui non intendesse esercitare l’opzione” (25), in
ragione dell’opera dell’accessione ex art. 954 c.c.
Il collegamento negoziale e lo schema
pubblicistico
La configurazione strutturale del contratto di leasing finanziario è stata incentrata in un primo momento, sia in dottrina sia in giurisprudenza sul contratto unitario plurilaterale, ravvisando un rapporto trilaterale (26), in cui l’acquisto ad opera del
concedente va effettuato per conto dell’utilizzatore,
al quale spettano le azioni tipiche di tutela nei
confronti del fornitore giustificate proprio dalla
struttura trilaterale del rapporto e dal fatto che è
l’utilizzatore (e non il concedente/proprietario, che
si è limitato a finanziare l’operazione) ad avere intrattenuto rapporti diretti con il fornitore del bene
oggetto del contratto.
Pertanto può aversi un contratto trilaterale o un
collegamento tra due distinti contratti ovvero, un
Europea, parere motivato n. C (2006) 2518 del 28 giugno
2006.
(23) Corte dei conti, Sez. Contr. Lombardia, 21 dicembre
2009, n. 1139, in www.corte.conti.it; Corte dei conti, Sez.
Contr. Veneto, 2 settembre 2011, n. 352, ibidem.
(24) Così G. Fraccastoro, in S. Baccarini - G. Chiné - R.
Proietti (a cura di), Codice dell’appalto pubblico, II ed., Milano,
2015, 1740, A. Maltoni, cit. 1779.
(25) Corte dei conti, Sez. Contr. Riun. 16 settembre 2011, n.
49, cit.
(26) In giurisprudenza Cass. n. 4367/1997, n. 6076/1995, n.
5571/1991; in dottrina Purcaro, La locazione finanziaria: leasing,
Padova, 1998, 24; Corbo, Autonomia privata e causa di finanziamento, Milano, 1990, 192.
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mandato in rem propriam, gratuito e con rappresentanza conferito dalla società di leasing all’amministrazione a stipulare un distinto contratto di appalto con l’esecutore, avente ad oggetto la progettazione e la realizzazione dell’opera (27).
La tesi del contratto unitario plurilaterale è stata
successivamente abbandonata dalla dottrina e dalla
giurisprudenza (28) ricostruendo la fattispecie quale
un contratto essenzialmente bilaterale, intercorrente cioè tra concedente ed utilizzatore, in cui risultano distinti il contratto di leasing rispetto a quello
di fornitura del bene, intercorrente tra fornitore e
concedente, che tuttavia si trovano in collegamento negoziale.
In seguito a tale configurazione risulta ammissibile
che l’utilizzatore possa agire contro il fornitore per
l’adempimento o per il risarcimento, ma s’è escluso
categoricamente che possa agire anche per la risoluzione, tenuto, appunto, conto che a questa conseguono necessariamente effetti sulla sfera giuridica
del concedente, con la determinazione dell’obbligo
di restituzione del bene e della perdita del lucro
dell’operazione di finanziamento.
Recentemente le SS.UU. (29) hanno operato una
ricostruzione sistematica dell’istituto, che comprende varie figure contrattuali, ognuna avente la
sua peculiarità, quali il leasing traslativo e quello
di godimento, il leasing operativo e quello al consumo, il leasing pubblico e quello finanziario immobiliare, il lease back e la locazione finanziaria di
autoveicoli, navi ed aeromobili, individuando quale dato comune “un’operazione di finanziamento
tendente a consentire al c.d. utilizzatore il godimento di un bene (transitorio o finalizzato al definitivo acquisto del bene stesso) grazie all’apporto
economico di un soggetto abilitato al credito (il
c.d. concedente) il quale, con la propria risorsa finanziaria, consente all’utilizzatore di soddisfare un
interesse che, diversamente, non avrebbe avuto la
possibilità o l’utilità di realizzare, attraverso il pagamento di un canone che si compone, in parte, del
costo del bene ed, in parte, degli interessi dovuti al
finanziatore per l’anticipazione del capitale. Affiancata a questa v’è, necessariamente, un’altra
operazione, quella tendente all’acquisto del bene
del quale l’utilizzatore intende godere, ossia un’ordinaria compravendita stipulata tra fornitore e
concedente, attraverso la quale il secondo diventa
proprietario del bene che darà in locazione all’utilizzatore da lui finanziato. Proprietà che, soprattutto nel leasing traslativo (ossia quello che, come
esito finale, prevede il trasferimento di proprietà
dal concedente all’utilizzatore) ha la fondamentale
funzione di garanzia a favore del primo, rispetto ai
canoni che ha il diritto di percepire dal secondo”.
Le SS.UU. ribadiscono che il contratto di leasing
è un contratto meramente bilaterale stipulato tra
concedente ed utilizzatore e collegato ad altro contratto bilaterale stipulato tra concedente e fornitore per l’acquisizione del bene oggetto del contratto
a favore dell’utilizzatore; il collegamento è nel reciproco nesso di presupposizione, risultando la fornitura effettuata in funzione della successiva locazione del bene compravenduto, che a sua volta presuppone che il locatore si sia procurato il bene che
darà in godimento all’utilizzatore.
Le SS.UU. chiariscono pure che i due atti mantengano la loro sostanziale autonomia, con conseguente terzietà dell’utilizzatore rispetto al contratto di
fornitura ed, a sua volta, del fornitore rispetto al
contratto di locazione, mentre il concedente è l’unico, tra i tre, ad essere parte di entrambi gli atti.
Il risultato della sottrazione della vicenda dall’ambito del rapporto plurilaterale e della sua sussunzione in quello del contratto collegato, implica la possibilità di una gestione separata dei distinti rapporti
contrattuali, secondo le rispettive funzioni, assegnando rilevanza giuridica a quelle sole interdipendenze che realmente condizionano l’attuazione dell’operazione economica.
Tuttavia per aversi collegamento in senso tecnico
in grado di giustificare tra i contratti collegati l’esperibilità di un’azione diretta di risoluzione, secondo la costante giurisprudenza e la prevalente
dottrina, deve rinvenirsi un requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla
regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in
un assetto economico globale ed unitario, ed un requisito soggettivo, costituito dal comune intento
(27) Così A. Maltoni, cit., 1776.
(28) Cfr. Cass. 1° ottobre 20014, n. 19657; Cass. 25 maggio
2004, n. 10032; Cass. 27 luglio 2006, n. 17145; Cass. 29 settembre 2007, n. 20592.In dottrina V. Calandra Buonaura,
Orientamenti della dottrina in tema di locazione finanziaria, in
Riv. dir. civ., 1978, II, 185; R. Clarizia, I contratti di finanziamento: leasing e factoring, Torino, 1989, 70; G. De Nova, Nuovi
contratti, Torino, 1990, 215; G. Lener, La qualificazione del leasing fra contratto plurilaterale ed “operazione giuridica”, in Stu-
dium iuris, 2001, 1157. Cfr. pure I. Libero Nocera, Collegamento negoziale, causa concreta e clausola di traslazione del rischio:
la giustizia contrattuale incontra il leasing, in Nuova giur. civ.
comm., 2008, 356; T. Gasparro, In tema di leasing finanziario e
di inversione del rischio contrattuale, in Giur. it., 2009, 7.
(29) Cass., SS.UU., 5 ottobre 2015, n. 19785, in Giur. it.,
2016, 1, 33, con nota di V. Viti, Leasing finanziario - Il collegamento negoziale e la tutela dell’utilizzatore nel leasing finanziario.
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pratico delle parti di volere non solo l’effetto tipico
dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma
anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale (30).
Pertanto le SS.UU. escludono la presenza di un
collegamento negoziale in senso tecnico, tale, cioè,
da comportare che la patologia di un contratto
comporti la patologia anche dell’altro, proprio perché pur in presenza di un nesso obiettivo (economico o teleologico), manca, perché possa ravvisarsi
il collegamento tecnico, il nesso soggettivo, ossia
l’intenzione delle parti di collegare i vari negozi in
uno scopo comune.
Ciò in quanto nella configurazione tipica del rapporto, non si può dire che il fornitore si determini
alla vendita in funzione della circostanza che il bene verrà concesso in locazione dal compratore/concedente all’utilizzatore/locatario, avendo il mero
interesse alla vendita del suo prodotto, per cui la
causa che regge il contratto da lui stipulato con il
finanziatore/concedente è quella tipica del contratto di compravendita, ossia il trasferimento del bene
in cambio del prezzo.
La S.C. sottolinea come le circostanze, che sia proprio l’utilizzatore a scegliere il fornitore, a trattare
con lui ed a ricevere la consegna del bene e che il
fornitore, a sua volta, sia consapevole che l’acquisto da parte del committente sia finalizzato alla locazione del bene in favore del terzo utilizzatore sono del tutto esterne rispetto alla struttura stessa dei
contratti che si vanno a stipulare e non sono capaci di mutarne la causa di ciascuna. Sull’altro versante del rapporto lo stesso concedente, una volta
determinatosi al finanziamento, è del tutto disinteressato rispetto alla scelta del bene e del fornitore
effettuata dall’utilizzatore, posto che, qualunque essa sia, egli è garantito dalla proprietà del bene rispetto all’obbligo del pagamento del canone a carico dell’utilizzatore stesso.
Le SS.UU. richiamano a conforto delle proprie
conclusioni, la disciplina del Testo Unico delle
leggi in materia bancaria e creditizia (D.Lgs. n. 385
del 1993, art. 125 quinquies), il quale, nei contratti
di credito collegati ed in ipotesi di inadempimento
del fornitore, non consente all’utilizzatore/consumatore (soggetto sicuramente meritevole di maggior tutela rispetto all’imprenditore) di agire direttamente contro il fornitore per la risoluzione del
contratto di fornitura, bensì gli consente di chiedere al concedente/finanziatore (dopo avere inutilmente costituito in mora il fornitore) di agire per
la risoluzione del contratto di fornitura; richiesta
che determina la sospensione del pagamento dei
canoni.
Le conseguenze pratiche di tale ricostruzione si riflettono nel livello di tutela dell’utilizzatore.
La mancanza del collegamento negoziale in senso
tecnico, implica l’inoperatività del principio simul
stabunt simul cadent, tra il contratto di leasing finanziario, concluso tra concedente ed utilizzatore,
e quello di fornitura, concluso tra concedente e
fornitore. Ne consegue che l’utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all’adempimento del
contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del
danno conseguentemente sofferto, ma in mancanza
di un’espressa previsione normativa al riguardo, si
esclude che l’utilizzatore possa autonomamente
esercitare contro il fornitore l’azione di riduzione
del prezzo che, quale rimedio sinallagmatico, andrebbe a modificare i termini dello scambio nel
rapporto tra concedente e fornitore, o l’azione di
risoluzione del contratto di vendita tra il fornitore
ed il concedente (cui esso è estraneo), salva la sussistenza di specifica clausola contrattuale con la
quale gli venga dal concedente trasferita la propria
posizione sostanziale.
L’applicazione di tali principi al leasing immobiliare pubblico, in cui l’utilizzatore è la P.A., appariva
quindi problematica in quanto, al di là del profilo
legato alla selezione del fornitore-appaltatore e della società di leasing, riduce anche nella fase di esecuzione il livello di tutela rispetto a quello proprio
del contratto di appalto, caratterizzato storicamente sin dalla legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F. da
(30) Cass. 17 maggio 2010, n. 11974; Cass. 16 marzo
2006, n. 5851. Contra C.M. Bianca, Diritto Civile, III, Il contratto, 2000, 482. Secondo l’Autore: “L’idea secondo la quale ai fini del collegamento occorrerebbe un elemento soggettivo,
consistente nell’intenzione delle parti di connettere i vari contratti, non sembra condivisibile in questi termini. È infatti sufficiente che la connessione risulti, sul piano funzionale, dall’unitarietà della causa che l’operazione è diretta a realizzare”. In
termini G. Ferrando, I contratti collegati: principi della tradizione
e tendenze innovative, in Contr. e impr., 2000, II, 127 ss.; Id.,
Recenti orientamenti in tema di collegamento negoziale, in Nuo-
va giur. civ. comm., 1997, II, 233 ss. e in partic. 234, laddove
l’A. pone l’accento “sul dato funzionale, venendo così in primo
piano il carattere unitario dell’operazione economica alla cui
realizzazione i contratti sono preordinati”. Sul collegamento
negoziale in generale, cfr. M. Giorgianni, Negozi giuridici collegati, in Riv. it. sc. giur., 1937, 275 ss.; G. Oppo, I contratti parasociali, Milano, 1942, 71 ss.; R. Scognamiglio, voce Collegamento negoziale, Enc. dir., VII, 1960, 375 ss.; C. Di Nanni, Collegamento negoziale e funzione complessa, in Riv. dir. comm.,
1977, I, 279.
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poteri suscettibile di incidere ab extra, sul rapporto
contrattuale anche in deroga ai principi contrattuali ordinari.
L’espressione dell’art. 187 comma 1 che, come già
l’art. 160 bis comma 1 del D.Lgs. n. 163 del 2006,
abilita l’utilizzo anche del contratto di locazione finanziaria, specificando che “costituisce appalto
pubblico di lavori”, non può configurarsi quale fonte per nascita di un nuovo contratto tipico, anche
in relazione al collegamento dell’istituto con il partenariato pubblico-privato.
La qualificazione della norma lascia inalterata la tipologia di due contratti tipici, la locazione finanziaria e l’appalto pubblico, ma rileva in primo luogo i
quanto consente di superare la carenza del requisito
soggettivo, costituito dal comune intento pratico
delle parti di volere l’effetto del collegamento.
La norma stessa infatti costruisce la causa tipica
del collegamento dei contratti, connotando direttamente sia il collegamento (31), che quindi prescinde dalla ricerca dell’elemento soggettivo, sia la
causa prevalente e conseguentemente individua la
disciplina applicabile, che è quella degli appalti di
lavori, salvo che, in applicazione del criterio di cui
all’art. 14 del codice, questi ultimi abbiano un carattere meramente accessorio rispetto all’oggetto
principale del contratto medesimo.
L’Autorità di Vigilanza (32) propende per la ricostruzione in termini unitari del leasing pubblico,
precisando che “l’operazione economico-finanziaria
deve essere considerata e trattata unitariamente
(unica gara e unico contratto) tra una pubblica amministrazione ed un soggetto (eventualmente riunito in associazione temporanea) realizzatore e finanziatore”. L’Autorità giunge a tale conclusione per
garantire il risultato dell’operazione, non assimilabile ad una mera sommatoria di contratto di finanziamento e di contratto d’appalto di lavori pubblici,
pur assumendo gli strumenti del collegamento negoziale, in quanto sottolinea la necessità che nel contratto “siano puntualmente disciplinate e distinte le
obbligazioni, di natura eterogenea, poste a carico di
ciascuna parte, soprattutto in considerazione dei
connessi profili in tema di responsabilità”.
La gara e soggetti affidatari
(31) Per l’applicazione della teoria della causa concreta,
quale funzione economico-sociale del contratto al leasing, cfr.
Cass., Sez. III 27 luglio 2006, n. 17145, che sottolinea come “è
proprio l’interesse al godimento da parte dell’utilizzatore della
cosa (...) a venire in tale ipotesi essenzialmente in rilievo, e che
l’operazione negoziale è sostanzialmente volta a realizzare, costituendone pertanto la causa concreta, con specifica ed autonoma rilevanza rispetto a quella - parziale - dei singoli contratti, di questi ultimi connotando la reciproca interdipendenza (sì
che le vicende dell’uno si ripercuotono sull’altro, condizionan-
done la validità e l’efficacia)”.
(32) Autorità di Vigilanza Determinazione n. 4 del 22 maggio 2013.
(33) Cfr. Corte dei conti, Sez. Contr. Lombardia, 13 novembre 2008, n. 87, e Corte dei conti, Sez. Contr. Piemonte, 24 novembre 2010, n. 82 in www.corte.conti.it. Sulla tendenziale immutabilità del canone periodico salvo il caso di varianti richieste dall’ente pubblico tali da comportare maggiori costi di costruzione cfr. Corte dei conti, Sez. Contr. Riun., 16 settembre
2011, n. 49, in www.corte.conti.it.
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Il collegamento negoziale risulta anche in relazione
al contenuto delle prestazioni dell’appaltatore, qualificando il contratto come di progettazione ed esecuzione. Infatti l’art. 187, comma 6, riprendendo
analoga previsione dell’art. 161 bis comma 4 ter, riferita al preliminare, dispone che la stazione appaltante pone a base di gara un progetto di livello almeno di fattibilità, rimettendo all’aggiudicatario la
predisposizione dei successivi livelli progettuali. La
stazione appaltante potrebbe quindi anche porre a
base di gara un progetto definitivo o esecutivo. Peraltro nel caso invece in cui la progettazione definitiva ed esecutiva rientrano nelle prestazioni del
realizzatore, in applicazione del principio stabilito
per gli appalti di progettazione ed esecuzione di cui
al previgente art. 53, comma 2, lett. b) e c), D.Lgs.
n. 163/2006 e dell’attuale art. 28, comma 1, ultimo
periodo, il concorrente deve essere in possesso dei
requisiti propri del progettista, configurandosi l’affidamento quale appalto misto.
La determinazione delle caratteristiche tecniche ed
estetiche dell’opera, dei costi, dei tempi e delle garanzie dell’operazione, costituiscono la base per la
specificazione dei parametri di valutazione tecnica
ed economico-finanziaria dell’offerta economicamente più vantaggiosa, disciplinata dall’art. 95 del
Codice, ormai assurto a criterio di aggiudicazione
generale.
Sotto il profilo economico, la valutazione delle offerte dovrà essere incentrata sugli elementi tipici
del leasing immobiliare quali la durata, il canone,
il tasso di interesse da corrispondere all’aggiudicatario e il prezzo di riscatto (33).
L’art. 187, comma 2, si limita a stabilire che nel
bando devono essere determinati i requisiti soggettivi, funzionali, economici, tecnico-realizzativi ed
organizzativi di partecipazione, ma va integrato
con le previsioni di cui al successivo comma 3.
Questa disposizione consente il ricorso ad un’associazione temporanea di tipo “misto” costituita dal
soggetto finanziatore e dal soggetto realizzatore,
improntata sul modello dell’associazione verticale,
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con responsabilità limitata alle specifiche obbligazioni assunte.
La formulazione del comma 3 dell’art. 187, in virtù
della quale l’offerente può essere “anche” una associazione temporanea costituita dal soggetto finanziatore e dal soggetto realizzatore, unita a quella di
cui al successivo comma 5 in base al quale il soggetto finanziatore, autorizzato ai sensi del D.Lgs. 1°
settembre 1993, n. 385, “deve dimostrare alla stazione appaltante che dispone, se del caso avvalendosi delle capacità di altri soggetti, anche in associazione temporanea con un soggetto realizzatore,
dei mezzi necessari ad eseguire l’appalto”, potrebbe
indurre a ritenere che vi sia una alternativa tra
l’associazione temporanea e l’avvalimento di cui all’art. 89, ovvero l’avvalimento atipico del genere
di quello previsto per i progettisti dall’art. 53, comma 3, Codice previgente (34).
Nel caso di unico offerente costituito dalla società
di leasing, la responsabilità per l’esecuzione dell’opera non potrebbe che gravare sullo stesso, non
operando più il regime di ripartizione di responsabilità previsto nell’ipotesi di associazione mista.
Per superare il conflitto che tale estensione di responsabilità comporta con il regime del T.U.B.
(T.U. 1° settembre 1993, n. 385), in ordine all’esclusività dell’attività degli intermediari finanziari,
già il comma 4 bis, introdotto dal terzo correttivo
nell’art. 160 bis, imponeva all’offerente società di
leasing di individuare già in sede di offerta l’impresa
costruttrice, con i requisiti richiesti agli esecutori
di lavori pubblici dall’art. 40 del Codice.
Anche se l’indicazione normativa non impone come modalità necessaria ed esclusiva di partecipazione l’associazione temporanea d’imprese, tale modalità appare in qualche modo imposta dalla necessità di una gara unica. La doppia gara, cioè una per
la selezione della società di leasing ed una per la
soluzione dell’esecutore comporta criticità sui tem-
pi delle procedure. Se fosse effettuata prima la gara
per l’individuazione della società di leasing, questa
non conoscerebbe nel momento la partecipazione
il costo dell’opera, risultante dalla gara per la selezione dell’esecutore; mentre nel caso inverso potrebbe non essere interessata per mancanza di affidamento nel appaltatore selezionato (35).
Inoltre come già il comma 2 dell’art. 160 bis il
comma 2 dell’art. 187, utilizza il singolare per il riferimento al bando.
Peraltro l’art. 187 comma 3, evidentemente per favorire la più ampia partecipazione, stabilisce che i
concorrenti restano responsabili ciascuno in relazione alla specifica obbligazione assunta, introducendo un regime derogatorio rispetto anche a quello di responsabilità solidale sancito per le associazioni verticali dall’art. 48 comma 5, in cui comunque il mandatario è responsabile in solido con il
mandante per le prestazioni di quest’ultimo.
Pertanto, al di là della non chiara formulazione
della norma, derivata dalla pedissequa riproduzione
dei commi 3 e 4 bis dell’art. 160 bis del D.Lgs. n.
163 del 2006, non risolta dal nuovo codice, l’unicità del concorrente non appare compatibile con il
sistema del leasing costruttivo, risultando contraddittorio che pur essendo prevalente la prestazione
tipica dell’appaltatore, un soggetto finanziatore
possa partecipare in forma individuale utilizzando
l’avvalimento atipico. Quindi la partecipazione in
forma di associazione temporanea, con l’agevolazione derivante dal venir meno della solidarietà,
ovvero con il ricorso all’avvalimento atipico, e con
l’esclusione dell’avvalimento di cui all’art. 89 costituisce lo schema esclusivo di partecipazione alla
gara (36).
Il terzo decreto correttivo aveva completato il processo di estensione iniziato dalla Finanziaria del
2007 dell’ambito dei partecipanti al contraente generale di cui all’art. 162, comma 1, lett. g), figura
(34) La disposizione, ora assorbita nell’art. 28 del nuovo codice, dedicato ai contratti misti prevedeva nell’ipotesi di contratto avente ad oggetto anche la progettazione oltre che l’esecuzione, che “gli operatori economici devono possedere i requisiti prescritti per i progettisti, ovvero avvalersi di progettisti
qualificati, da indicare nell’offerta, o partecipare in raggruppamento con soggetti qualificati per la progettazione”.
(35) G. Fraccastoro, cit., 1729 osserva che “l’associazione
temporanea, invece, è espressione di un rapporto collaborativo posto in essere in vista della partecipazione alla gara, per
cui garantisce maggiormente il committente rispetto alla collaborazione forzata che deriverebbe, sia pure di fatto nel caso di
due gare separate”.
(36) In tal senso, G. Fraccastoro, cit., 1741, sottolinea come
il sistema delineato dal legislatore risulti coerente con la natura
ontologicamente differente dei due soggetti del raggruppamento in esame, atteso che il soggetto finanziatore deve esse-
re in possesso dei requisiti di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993,
mentre il costruttore deve essere un soggetto qualificato ai
sensi dell’(allora vigente) art. 40 del Codice. T.A.R. Lombardia,
Brescia, Sez. II, 5 maggio 2010, n. 1675, cit., ammette l’avvalimento atipico unitamente alla partecipazione in associazione
temporanea, rileva che l’art. 160 bis introduce una deroga incisiva alla disciplina ordinaria dell’associazione temporanea di
impresa di cui all’art. 37, che rinviene la propria ratio nell’eterogeneità degli operatori coinvolti, appartenenti a settori (finanziario ed edilizio) assolutamente distanti tra loro e la cui interdipendenza è il frutto di una scelta legislativa, che l’avvalimento tipico, è previsto per soggetti economici che esercitano
attività nello stesso ramo o comunque in ambiti affini tra loro,
che il regime della solidarietà sia incompatibile con l’avvalimento atipico e che, nel silenzio della norma, operi la deroga
alla regola generale di cui all’art. 49, con conseguente responsabilità frazionata dei due soggetti coinvolti.
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che nel Codice ha un ruolo limitato alla realizzazione delle infrastrutture strategiche e degli insediamenti produttivi (art. 176 del D.Lgs. n. 163 del
2006 - art. 194 D.Lgs. n. 50 del 2016). I requisiti
di esperienza e qualificazione nella costruzione di
opere nonché di capacità organizzativa, tecnicorealizzativa e finanziaria, sono stati considerati dal
legislatore idonei, unitamente agli altri requisiti
imposti dal bando, anche per la partecipazione a
procedure relative alla realizzazione, all’acquisizione ed al completamento di opere pubbliche o di
pubblica utilità, non rientranti nell’ambito delle
infrastrutture strategiche ed insediamenti produttivi.
Il contraente generale quindi potrebbe operare anche al di là delle infrastrutture strategiche, pur se
resta aperta la questione della qualificazione del
contraente generale in quanto anche nel nuovo
codice vi è un sistema di qualificazione specifico
dei contraenti generali (art. 197).
Nella logica dello snellimento la nuova previsione
dell’art. 185, comma 4 ha considerato acquisito tale principio e non ha riprodotto la parte della previsione che lo sanciva facendo riferimento alla Parte II, Titolo III, Capo IV.
Tale nuova formulazione non implica tuttavia che
il contraente generale possa partecipare da solo,
cioè senza il soggetto finanziatore, sia in virtù della
configurazione propria del modello contrattuale,
sia in quanto ciò determinerebbe un’estensione
dell’ambito di qualificazione del contrante generale, che non potrebbe essere implicita nella formulazione della norma, sostanzialmente preordinata
ad equiparare il contraente generale all’appaltatore
non al soggetto finanziatore, anche in relazione all’inderogabilità dei requisiti di cui al D.Lgs. n. 385
del 1993 (37).
In base all’art. 187, comma 3 in caso di fallimento,
inadempimento o sopravvenienza di qualsiasi causa
impeditiva all’adempimento dell’obbligazione da
parte di uno dei due soggetti costituenti l’associazione temporanea di imprese, è consentito all’altro
contraente di sostituirlo, con l’assenso del commit(37) Cfr. G. Fraccastoro, cit., 1742 che in relazione al previgente comma 4 dell’art. 160 bis del D.Lgs. n. 163 del 2006, rileva come la qualificazione del contraente generale è incentrata sulla particolare capacità di anticipare gli oneri del finanziamento, ma non già di provvedere al vero proprio finanziamento, attività che è pur sempre demandata a un soggetto finanziatore autorizzato. L’Autorità di Vigilanza con la Determinazione n. 4 del 22 maggio 2013, precisa come “l’affidamento a
contraente generale come unica controparte contrattuale dell’amministrazione mal si concilierebbe con la ricostruzione del
leasing in costruendo come vicenda contrattuale unitaria, ba-
970
tente, con altro soggetto avente medesimi requisiti
e caratteristiche.
La previsione appare modellata sull’istituto del subentro previsto dall’art. 176, comma 8 del Codice
in tema di concessione, in quanto ispirata alle medesime esigenze di conservazione del rapporto contrattuale.
La disciplina introdotta dal terzo correttivo (art.
160 bis, comma 4 quater) e riprodotta nell’art. 187,
comma 7 chiarisce, colmando una lacuna della legge finanziaria del 2007, che l’opera può essere realizzata anche su aree nella disponibilità dell’aggiudicatario. Tale soluzione appare coerente con i caratteri tipici dell’istituto del leasing, anche se pone
il problema della restrizione dell’ambito dei potenziali partecipanti, che potranno essere solo soggetti
proprietari di aree con determinate caratteristiche.
Le altre ipotesi sono la realizzazione su aree acquistate dal soggetto finanziatore, ovvero su aree di
proprietà dell’amministrazione, che poi andrebbero
concesse in diritto di superficie all’aggiudicatario.
Il leasing pubblico quale istituto
di partenariato pubblico-privato
Il contratto di leasing traslativo è un tipico contratto a prestazioni corrispettive (38).
Anche il leasing immobiliare pubblico, tenuto conto della finalità prevalente perseguita dall’amministrazione in cui l’oggetto principale del contratto,
non è la stipula del contratto di locazione finanziaria, ma la realizzazione e l’acquisizione dell’opera, è
strutturato quale contratto commutativo.
Infatti l’art. 3, comma 1, lett. tt) annovera tra gli
“appalti pubblici di forniture”, i contratti tra una o
più stazioni appaltanti e uno o più soggetti economici, aventi per oggetto l’acquisto, la locazione finanziaria, la locazione o l’acquisto a riscatto, con o
senza opzione per l’acquisto, di prodotti mentre la
successiva lettera ggg) definisce “locazione finanziaria di opere pubbliche o di pubblica utilità”, il
contratto avente ad oggetto la prestazione di servizi
finanziari e l’esecuzione di lavori.
sata sulla contemporanea partecipazione di un soggetto finanziatore e di un soggetto esecutore”.
(38) Nel senso che si tratti di un contratto non più atipico
ma con uno schema negoziale sinallagmatico e comunicativo
con causa mista, Corte dei conti, Sez. Contr. Riun. 16 settembre 2011, n. 49, in www.corte.conti.it. La stessa chiarisce che
se l’operazione di leasing, senza un effettivo trasferimento del
rischio non concreta una forma di partenariato pubblico privato e quindi costituisce una forma di indebitamento finanziamento, potrà essere ammissibile ex art. 119 Cost., solo se siano effettuati nuovi investimenti.
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L’art. 3, comma 15 ter del previgente Codice, capovolgendo il rapporto tra genere e specie, riuniva
sotto la definizione generale dei contratti di partenariato pubblico-privato i contratti di concessione
di lavori, di servizi, la locazione finanziaria, il contratto di disponibilità, l’affidamento a contraente
generale, le società miste, ecc.
Il nuovo Codice all’art. 180 comma 8 introduce
una previsione di analogo tenore in cui si stabilisce
che rientrano nella tipologia dei contratti di partenariato pubblico-privato “la finanza di progetto, la
concessione di costruzione e gestione, la concessione di servizi, la locazione finanziaria di opere pubbliche, il contratto di disponibilità e qualunque altra procedura di realizzazione in partenariato di
opere o servizi che presentino le caratteristiche di
cui ai commi precedenti”.
La previsione generale è del tutto priva di coordinamento con la disciplina specifica della locazione
finanziaria, per cui la relativa portata va ricostruita
in relazione alle caratteristiche del partenariato
pubblico-privato.
La codificazione del partenariato risale al “Libro
verde” della Commissione CE sui partenariati pubblico-privati e il diritto comunitario degli appalti
pubblici e delle concessioni (COM(2004)0327),
presentato il 30 aprile 2004, al quale è seguita la
comunicazione interpretativa COM (2005) 569
del 15 novembre 2005, e la Comunicazione interpretativa della Commissione sull’applicazione del
diritto comunitario degli appalti pubblici e delle
concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati (PPPI) (39), la Commissione europea
ha affermato che il termine PPP si riferisce in generale a “forme di cooperazione tra le autorità pubbliche e il mondo delle imprese che mirano a garantire il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un’infrastruttura o la fornitura di un servizio”.
La Commissione ha individuato due tipi di partenariato pubblico-privato: il tipo “puramente contrattuale” e quello “istituzionalizzato”.
Il PPP di tipo “puramente contrattuale” è quello
basato esclusivamente su legami contrattuali tra i
vari soggetti. Esso definisce vari tipi di operazioni,
nei quali uno o più compiti più o meno ampi - tra
cui la progettazione, il finanziamento, la realizzazione, il rinnovamento o lo sfruttamento di un lavoro o di un servizio, vengono affidati al partner
privato.
Restando alla distinzione comunitaria, nella prima
tipologia (PPP contrattuali) rientrano le concessioni, il project financing ed il general contractor; oltre
alla locazione finanziaria, nella seconda tipologia
rientra, invece, la costituzione di società miste.
Tali istituti, per espressa previsione, sono indicati
a mero titolo esemplificativo, in quanto rileva unicamente la presenza degli elementi caratterizzanti
la fattispecie.
Rispetto a questi ultimi il codice recepisce integralmente i contenuti degli atti comunitari, specificando ciò che risultava già evidenziato nel sistema comunitario, che il finanziamento deve essere a totale o parziale a carico di privati, anche in forme diverse, con allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti.
Gli atti della Commissione relativi al partenariato
pubblico privato costituiscono il punto di arrivo di
una serie di atti di orientamento della Commissione stessa, maturati nell’ambito delle concessioni,
che costituiscono la forma tipica e tradizionale di
partenariato pubblico privato.
La comunicazione della Commissione (Libro bianco) sugli appalti pubblici nell’Unione Europea del
11 marzo 1998 COM (98) 143, contiene la programmazione delle azioni che la Commissione intende attuare ai fini dell’applicazione delle norme
e dei principi del Trattato in materia di concessioni, con particolare riguardo alle concessioni di servizi, ai contratti relativi a servizi pubblici o ad altre
forme di partenariato riguardanti i servizi. In particolare nella seconda fase delle azioni da porre in
essere, rimasta lettera morta (40), si prevede di proporre una modifica delle direttive, destinata a coprire tutte le forme di concessione che non sono
ancora regolamentate.
In questa prospettiva la Commissione europea, nella Comunicazione interpretativa sulle concessioni
nel diritto comunitario degli appalti pubblici del
12 aprile 2000 (41), ha preso in considerazione tutte quelle forme di partenariato pubblico privato variamente denominate, che hanno in comune il fat-
(39) Com. 2008/C 91/02) pubblicata in G.U.U.E. C 91/4 del
12 aprile 2008.
(40) Nella Risoluzione del 26 ottobre 2006 il Parlamento Europeo ritiene prematura una valutazione degli effetti delle direttive sugli appalti pubblici e pertanto si dichiara contrario alla
creazione di un regime giuridico specifico per i PPP, ma ritiene
necessaria un’iniziativa legislativa nel settore delle concessioni
che rispetti i principi del mercato interno e i valori soglia e preveda regole semplici per le procedure di appalto nonché un
chiarimento nell’ambito dei partenariati pubblico-privati istituzionalizzati (PPPI).
(41) In questa Rivista, n. 10/2000, 1061, con commento di
F. Leggiadro.
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to di avere ad oggetto prestazioni di attività economiche, ciò che implica la soggezione alle disposizioni degli artt. da 52 a 66 del Trattato e quindi ai
principi di non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza, mutuo riconoscimento e proporzionalità.
In particolare quel che rileva è il carattere economico dell’attività svolta, che connota la gestione
totale o parziale di servizi pubblici ai fini dell’applicabilità delle disposizioni rilevanti del Trattato, ed
in particolare dei principi relativi alla libertà di
stabilimento, alla libera prestazione di servizi, che
possono essere ristretti solo nella ricorrenza dei
presupposti di cui agli artt. 45 e 46 (ex artt. 55 e
56) e nei limiti strettamente necessari per il raggiungimento dello scopo, ed alla disciplina di cui
all’art. 90, in tema di diritti speciali esclusivi.
Nella ricostruzione della Commissione il tratto distintivo del diritto di gestione è dato dalla percezione dei proventi direttamente dall’utente, per cui
il concessionario non viene remunerato dall’autorità aggiudicatrice “ma ottiene da questa il diritto di
percepire i proventi derivanti dall’uso dell’opera
realizzata”.
La Corte di Giustizia (42) ha confermato l’orientamento della Commissione, escludendo che le disposizioni delle direttive sugli appalti pubblici (nella specie quelle della Dir. 93/38/CE) siano applicabili all’ipotesi di concessione di servizi.
La Commissione europea ha quindi ritenuto che
l’elemento di differenziazione rispetto all’appalto è
dato dalla sussistenza in capo al concessionario del
rischio connesso alla gestione. Pertanto non si è in
presenza di concessione quando il costo risulta interamente sostenuto dall’amministrazione aggiudicatrice, anche se viene attribuito un diritto di gestione. La Commissione ha precisato che la portata
dell’espressione di cui all’art. 1, lett. d), Dir. 93/37,
allora vigente, nella parte in cui precisa che il diritto di gestire l’opera può essere accompagnato da
un prezzo, esclude la ricorrenza dell’istituto in tutti
casi in cui il prezzo “elimini una parte significativa
del rischio”, per cui la maggior parte dell’alea della
gestione viene sopportata dai pubblici poteri.
La Commissione sottolinea che il semplice conferimento di fondi da parte di un investitore privato
ad un’impresa pubblica non costituisce un PPPI;
pertanto non è ravvisabile un partenariato in tutte
le ipotesi in cui vi sia una società a capitale misto,
allorché non via sia un effettiva assunzione da parte dell’entità così costituita dei compiti operativi
di gestione.
Il profilo del trasferimento del rischio di gestione
rivela la sua portata nel richiamo all’ultimo capoverso dell’art. 3, comma 1, lett. eee) del Codice,
che definisce il partenariato pubblico-privato ai
contenuti delle decisioni Eurostat.
Eurostat è l’organo della Commissione UE incaricato di compiti statistici anche a fini contabili e di
formulare decisioni di definizione dei criteri atti ad
individuare le operazioni riconducibili alla finanza
pubblica. La previsione del codice si riferisce in
particolare, alla decisione dell’11 febbraio 2004, n.
18/2004, Traitement des partenariats public-privée,
dove Eurostat indica i requisiti necessari per esentare gli interventi PPP dall’inserimento nella contabilità pubblica nazionale, che hanno rilevanza al
fine della determinazione del deficit e del debito
pubblico dello Stato membro.
La predetta decisione di Eurostat del 11 febbraio
2004, riguarda il trattamento contabile nei conti
nazionali dei contratti firmati da imprese pubbliche, nel quadro di partenariati con imprese private,
che hanno come oggetto la realizzazione di specifiche infrastrutture (assets) destinate all’uso pubblico
e la successiva fornitura di servizi generati dall’utilizzo delle infrastrutture all’uopo costruite.
La decisione si applica nel caso in cui lo Stato sia
il principale acquisitore dei beni e servizi forniti,
anche nel caso di domanda da terze parti (43).
Ai fini dell’incidenza delle operazioni di partenariato pubblico-privato sul deficit pubblico, va considerato che in termini generali, se l’infrastruttura
(asset) è classificata nel bilancio dello Stato (on balance), la spesa iniziale in conto capitale per la realizzazione della stessa dovrà essere registrata come
formazione di capitale fisso, con impatto negativo
sul deficit statale.
(42) Corte di Giustizia CE 7 dicembre 2000, in causa C324/98, Telaustria Verlags GmbH e Telefonadress GmbH c. Post
& Telekom Austria AG, in questa Rivista, 5/2001, 487, con nota
di commento di F. Leggiadro; in senso conforme Corte di Giustizia CE 13 ottobre 2005, in causa C-458/03, Parking Brixen
GmbH, GU C 296, 26 novembre 2005, 4, che aggiunge al requisito del rischio di gestione quella che la remunerazione del
prestatore di servizi proviene non già dall’autorità pubblica interessata, bensì dagli importi versati dai terzi utenti, specificando che la concessioni di pubblici servizi sono escluse dall’am-
bito di applicazione della Dir. 92/50 (v. ordinanza 30 maggio
2002, causa C-358/00, Buchhändler_Vereinigung, Racc I-4685,
punto 28, ivi richiamata).
(43) In altri documenti della Commissione Europea (Cfr.
“Green Paper on PPP’s and Community Law on Public Contracts and Concessions” COM 327/2004) la dizione PPP è tuttavia applicabile anche ad altre forme di partenariato pubblico privato, nei casi in cui lo Stato non sia il principale acquisitore
dei servizi offerti dalla gestione dell’asset.
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Qualora invece l’attivo del PPP non venga considerato di proprietà dello Stato, il relativo investimento effettuato nella fase di costruzione dell’opera non dovrebbe incidere né sul debito, né sul deficit pubblico, andando ad interessare unicamente il
bilancio della società privata.
Anche in relazione alla gestione, i pagamenti pubblici a fronte di acquisti di servizi, vengono classificati come spesa pubblica, con conseguente aumento del debito statale.
Nel caso invece in cui l’asset venga considerato
fuori bilancio dello Stato, le relative spese in conto
capitale, sostenute dal partner privato, non incidono né sul disavanzo né sul debito pubblico (44).
In base alla decisione Eurostat il requisito essenziale affinché gli assets legati ai partenariati pubblico
- privati non vadano classificati come attivi pubblici, e pertanto non vengano registrati nel bilancio
delle amministrazioni pubbliche (off balance), è il
sostanziale trasferimento di rischio dalla parte pubblica alla parte privata.
Gli elementi in presenza dei quali in base alla decisione Eurostat, può considerarsi concretato il trasferimento del rischio, rispecchiano i principi già
esposti dalla Commissione e dalla stessa elaborazione giurisprudenziale sopra richiamata, in relazione
alle concessioni.
Il partner privato deve accollarsi in primo luogo il
rischio di costruzione e quindi almeno uno dei due
rischi di disponibilità e di domanda.
Il rischio di costruzione (construction risk) è il tipico rischio collegato al corretto adempimento della
prestazione, e copre eventi quali il ritardo nei tempi di consegna, un aumento di costi, vizi e difetti
di costruzione. Il trasferimento è insito nel carattere sinallagmatico del rapporto, con alcuni correttivi (forza maggiore, sorpresa geologica etc.) ed è sostanzialmente comune con il rischio imprenditoriale tipico dell’appaltatore.
Il rischio di domanda (demand risk) è in sostanza il
rischio di mercato, che si origina dalla variabilità
della domanda non dipendente dalla qualità del
servizio prestato dal concessionario, ma da fattori
esterni, quali l’andamento economico e/o la concorrenza e/o l’obsolescenza tecnica, ecc.
Il rischio di disponibilità (availability risk) è legato
alla capacità, da parte del concessionario, di erogare le prestazioni contrattuali pattuite, sia per volume che per standard di qualità (lack of performance).
Il rischio di mercato, per ragioni di politica economica e/o tariffaria, viene generalmente, in tutto
o in parte, accollato alla parte pubblica, attraverso
il pagamento al concessionario del c.d. canone di
utilizzo, con la percezione diretta da parte dell’amministrazione dei proventi derivanti dall’utilizzo, ovvero con il riconoscimento in favore del
concessionario di un “minimo garantito” (take-orpay) svincolato dall’effettiva utilizzazione delle
prestazioni.
Nella prospettiva della decisione Eurostat, quando sono previsti meccanismi di take-or-pay contrattuali o simili, il rischio di mercato non può ritenersi trasferito dalla parte pubblica alla parte
privata.
La problematica del trasferimento del rischio di
mercato investe sostanzialmente le cc.dd. “opere
fredde”, che, la stessa decisione Eurostat qualifica
con alcuni esempi, cioè le opere in cui il flusso di
ricavi prevalente, in fase di gestione, non è idoneo
ad assicurare una piena rimuneratività dell’investimento. Rientrano in tale ambito gli investimenti
nei campi della sanità o dell’istruzione, nei quali,
pur beneficiandone direttamente gli utenti, le prestazioni erogate ai cittadini sono pagate in via prevalente dall’Ente pubblico.
La possibilità di estendere il regime della concessione alle “opere fredde” venne introdotta dalla
novella all’art. 19, L. n. 109 del 1994 della L. 1°
agosto 2002, n. 166 e riprodotta nell’art. 143 del
Codice previgente, con l’inserimento del comma 2
ter, consente alle amministrazioni di affidare in
concessione “opere destinate alla utilizzazione diretta della P.A., in quanto funzionali alla gestione
di servizi pubblici, a condizione che resti al concessionario l’alea economico-finanziaria della gestione
dell’opera”.
Il Codice vigente si caratterizza perché completa il
processo di scissione dalla disciplina della concessione del partenariato pubblico-privato che assurge
(44) Il tema del rapporto dei partenariati pubblico-privati
con il deficit pubblico è toccato dalla Commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori che nella Proposta di risoluzione del Parlamento Europeo sui partenariati pubblico-privati e diritto comunitario in materia di appalti pubblici
e concessioni, (2006/2043(INI)) del 4 ottobre 2006, evidenzia
“che in taluni nuovi Stati membri la formula PPP è scelta per
cercare di dissimulare l’aumento del debito pubblico, ossia di
uno dei parametri di Maastricht; esprime preoccupazione perché in tali casi la compensazione delle perdite provocate dal
basso potere d’acquisto interno per gli investitori privati può
comportare un tasso di restituzione maggiore di quello normalmente applicato ai crediti garantiti dallo Stato per l’allestimento delle stesse strutture.”.
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a figura autonoma seppure costituente il genus rispetto alla concessione.
La giurisprudenza comunitaria (45) ha elaborato
criteri di distinzione tra appalto e concessione di
servizi, fondati sulla differente destinazione delle
prestazioni, che nel caso dell’appalto sono rivolte
allo stesso ente appaltante, mentre nel caso della
concessione sono invece rivolte alla comunità, che
paga un corrispettivo per i servizi ricevuti.
In più occasioni la Corte di Giustizia ha pure ribadito il carattere essenziale del trasferimento della
responsabilità della gestione, sia per gli aspetti tecnici sia per quelli economico-finanziari. In altri
termini, l’alea tecnica, economica e finanziaria relativa alla gestione deve essere trasferita dall’amministrazione al concessionario, cui spetta effettuare
gli investimenti necessari affinché l’opera sia messa
a disposizione e, al contempo, sopportarne l’onere
di ammortamento e assumere i rischi inerenti alla
gestione e all’uso abituale dell’opera, oltre a quelli
propri dell’attività di costruzione (46).
Il tradizionale elemento distintivo della concessione rispetto all’appalto, cioè la gestione intesa quale
erogazione di pubblico servizio a tariffa nei confronti di terzi, viene definitivamente superato dall’art. 180 del nuovo Codice il quale stabilisce che i
ricavi di gestione dell’operatore economico provengono dal canone riconosciuto dall’ente concedente e/o da qualsiasi altra forma di contropartita
economica ricevuta dal medesimo operatore economico, anche sotto forma di introito diretto della
gestione del servizio ad utenza esterna.
Per cui il PPP è possibile anche per opere rispetto
alle quali non c’è un’utenza, e pertanto la cui utilizzazione non è soggetta a tariffe, mentre la gestione a tariffa tipica del servizio pubblico è solo una
delle forme per conseguire il ricavo.
Quindi la gestione non riguarda più solo i beni
strumentali all’erogazione di servizi, dalla quale si
ricavino corrispettivi in forma di tariffe o prezzi,
ma si estende a tutte quelle attività da cui può ricavarsi un profitto che l’art. 143, comma 4 ultima
parte del Codice previgente, con maggiore chiarezza ed accuratezza aveva definito di “prestazione di
beni e servizi da parte del concessionario allo stesso
soggetto aggiudicatore, relativamente all’opera
concessa” introducendo nella concessione il global
service (47).
Pertanto in generale anche per tipologie di opere
pubbliche non a tariffa c.d. “opere fredde”, è possibile avvalersi, ai fini del perseguimento dell’equilibrio economico-finanziario del rapporto, dei corrispettivi derivanti dell’esecuzione di prestazioni, in
favore del concedente, destinate a mantenere l’efficienza e la funzionalità delle opere.
In questi casi il prezzo relativo alle quote di forniture e servizi viene assorbito nel corrispettivo dei
lavori, rientrando nella gestione funzionale ed economica dell’opera relativamente al margine di utile, in quanto l’art. 180, comma 2 considera prezzo
qualsiasi forma di contropartita economica ricevuta
dal medesimo operatore economico, anche diversa
dal canone o dalle tariffe all’utenza.
Anche nella prospettiva della decisione Eurostat,
la corresponsione di contributi pubblici non compromette un efficace trasferimento del rischio, a
condizione che i pagamenti siano collegati all’effettivo grado di disponibilità fornito dal privato, al loro volume e secondo la qualità predeterminata, in
applicazione del principio del take-and-pay, ovvero
del criterio generale in base al quale lo Stato, al
pari di ogni altro cliente, paga per quello che riceve. La decisione Eurostat sottolinea che pagamenti
regolari sotto forma di canoni invariabili non parametrati all’effettivo volume dei servizi prestati non
consentono un’effettiva assunzione di rischio da
parte del partner privato. Ai fini del trasferimento
del rischio di disponibilità è necessario un meccanismo che preveda la riduzione dei pagamenti nel
caso di prestazioni insufficienti con l’applicazione
automatica di penali non meramente simboliche,
ma che abbiano un impatto significativo sulle entrate del partner privato.
(45) Corte di Giustizia 23 aprile 1994, causa C-272/91, Lottomatica, v. pure le conclusioni dell’Avvocato Generale Antonio
La Pergola rese nella causa C-306/96, BFI Holding BV c/ G.
Arnhem e G. Rheden., nonché le sentenze richiamate alla precedente nt. 41.
(46) Corte di Giustizia delle Comunità europee, Sez. III, 27
ottobre 2005, causa C-234703; Corte di Giustizia delle Comunità europee, sezione III, 13 novembre 2008, causa C-437/07,
Commissione / Italia; Corte di Giustizia delle Comunità europee, Sez. III, 10 settembre 2009, causa C-206/08, che considera sufficiente anche un rischio molto ridotto; Corte di Giustizia
delle Comunità europee, Sez. III, 10 marzo 2011, causa C274/09.
(47) Sotto il profilo civilistico il global service è un appalto
misto, di lavori, servizi, e forniture (somministrazione) (artt.
1655 c.c. ss. e 1559 c.c. ss.) che può rientrare nel concetto di
gestione di cui all’art. 143 del Codice, in quanto attiene all’ottimizzazione dello sfruttamento delle opere. La definizione del
contratto si trova nella norma UNI 10685: “Contratto riferito
ad una pluralità di servizi sostitutivi delle normali attività di manutenzione con piena responsabilità sui risultati da parte dell’assuntore”. L’art. 29 della L. n. 448/2001 ha recepito compiutamente la norma 10685 emanata dall’Uni. In dottrina cfr. S.
Carta, Gli appalti misti di lavori, servizi e forniture, anche con riferimento alla figura del “global service”, in Riv. trim. app.,
2004, 535 ss.
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Ai fini della contabilità nazionale è evidente che
tutti contributi dati in conto “prezzo”, anche nel
caso di un efficace trasferimento di rischi e di una
conseguente classificazione off balance dell’asset realizzato, concorrono a formare il deficit pubblico.
Il criterio assunto dalla decisione Eurostat per la
qualificazione fuori bilancio degli assets legati ai
partenariati pubblico - privati e quindi per la non
incidenza sul debito pubblico, è il sostanziale trasferimento di rischio dalla parte pubblica alla parte
privata. Si tratta di un parametro estraneo ai tradizionali principi di contabilità nazionale, in virtù
dei quali la proprietà dell’infrastruttura rimane,
nella generalità dei casi, in capo all’Ente pubblico
concedente.
Ai fini Eurostat, e dell’impatto sul deficit., rileva
invece non tanto la proprietà “giuridica” del bene,
quanto la sua proprietà “economica”, ovvero la
sopportazione della maggior parte dei rischi per la
sua costruzione e manutenzione.
Pertanto il parametro Eurostat di trasferimento di
rischio ai fini della classificazione fuori bilancio degli assets legati ai partenariati pubblico - privati,
può applicarsi indifferentemente alle opere pubbliche ed alle opere di pubblica utilità, a prescindere
quindi dall’elemento soggettivo della proprietà
pubblica, sulla base della sola effettività del trasferimento del rischio, rilevante ai fini dell’incidenza
sul debito pubblico.
Si considerano opere di pubblica utilità, quelle realizzate da soggetti che, pur se non formalmente
pubblici in base ai canoni ermeneutici interni, possiedono una rilevanza pubblicistica, in quanto fungono da strumento alternativo, rispetto agli organi
classici della P.A., per la realizzazione di compiti di
questa mediante l’utilizzazione di fondi pubblici.
Anche nell’attuale impostazione del Codice (art.
3, comma 1, lett. ll) ai fini della definizione dei lavori pubblici, è venuto meno il requisito dell’appartenenza pubblica, per cui non ha alcun rilievo
la natura pubblica o privata del soggetto, essendo
molti enti aggiudicatori soggetti privati (48).
Nella Comunicazione interpretativa sull’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e
delle concessioni ai partenariati pubblico-privati
istituzionalizzati (PPPI) (49), la Commissione ha
ribadito la necessità di seguire una procedura equa
e trasparente per la selezione del partner privato
che, nell’ambito della sua partecipazione all’entità
a capitale misto, fornisce beni, lavori o servizi, o
quando procede all’aggiudicazione di un appalto
pubblico o di una concessione a un’entità a capitale misto, evitando il ricorso “a manovre dirette a
celare l’aggiudicazione di appalti pubblici di servizi
a società ad economia mista” (50).
Inoltre nella Comunicazione COM(2005) 569 la
Commissione rileva che tutte le forme di PPP sono
qualificabili come appalti pubblici o concessioni e
“tuttavia, poiché all’aggiudicazione degli appalti
pubblici e delle concessioni si applicano regole diverse, nel diritto comunitario non esiste una procedura di aggiudicazione uniforme specificamente
pensata per i PPP”.
Nel manuale del SEC 95 (Sistema Europeo dei
Conti Economici) il leasing di beni durevoli è trattato in uno specifico capitolo (51) ed ai fini del
trattamento nei conti nazionali viene distinto in
leasing finanziario e leasing operativo. Tale distinzione pone l’accento, più che sul “nomen iuris” sull’aspetto economico dell’operazione e più precisamente sull’aspetto del “controllo economico” del
bene.
In particolare:
- se durante il periodo di utilizzazione del bene la
maggior parte dei rischi e dei vantaggi della proprietà grava sulla società di leasing, il contratto presenta le caratteristiche di un leasing operativo.
L’infrastruttura è registrata nel conto patrimoniale
della società e solo i pagamenti periodici (canoni)
incidono sul deficit pubblico. Se alla fine del periodo l’infrastruttura viene trasferita alla P.A., essa
verrà iscritta nei conti patrimoniali di quest’ultima
come investimento fisso lordo, controbilanciato da
un trasferimento in conto capitale: le due partite si
compensano senza generare alcuna incidenza sul
deficit della P.A. stessa;
- se durante il periodo di utilizzazione del bene la
maggior parte dei rischi e dei vantaggi grava sull’amministrazione pubblica, il contratto presenta le
caratteristiche di un leasing finanziario. L’infrastrut-
(48) Secondo R. De Nictolis, La nuova disciplina dei lavori
pubblici, Milano, 2003, 711, l’espressione lavori di pubblica utilità è una endiadi con cui il legislatore ha voluto includere nell’oggetto della concessione tutte le opere destinate ad un pubblico servizio. Sulla nozione di opera pubblica rilevante ai fini
del partenariato pubblico privato si rinvia al commento dello
scrivente all’art. 3, in R. Tomei - M. Baldi (a cura di), La Disciplina dei contratti pubblici, II ed., Milano, 2009, 36 ss.
(49) Com. 2008/C 91/02) pubblicata in G.U.U.E. C 91/4 del
12 aprile 2008.
(50) La Commissione richiama la sentenza della Corte di
Giustizia resa in Causa C-29/04, Commissione/Austria, Racc.
2005, I-9705, punto 42, anche in questa Rivista, 2006, 157,
con nota di commento di M. Giovannelli.
(51) Cfr. “Manuale del SEC 95 sul disavanzo e sul debito
pubblico - Commissione Europea, 2002 - Cap. IV.4 Infrastrutture pubbliche finanziate e gestite dal settore delle società”.
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tura è registrata nel conto patrimoniale della P.A.
nella categoria degli investimenti fissi lordi, controbilanciati da un prestito figurativo di pari importo. Si ha un’incidenza sul deficit della P.A. per
il valore dell’investimento, mentre il debito dell’amministrazione stessa aumenta per un importo
pari all’ammontare del prestito figurativo. Durante
il periodo di utilizzazione i canoni versati dovrebbero essere ripartiti in quote rimborso capitale e
quota rimborso interesse del prestito figurativo. I
pagamenti della quota interesse incidono sul deficit
della P.A.
Il manuale del SEC 95, come risulta evidente, propone definizioni e criteri di classificazione delle
operazioni di leasing non corrispondenti a quelle ad
oggi utilizzate in Italia.
In Italia, considerata la differente accezione data
dal vigente ordinamento giuridico ai concetti di
leasing operativo e leasing finanziario, anche la contabilizzazione in capo al soggetto pubblico o privato segue criteri “civilistici” diversi da quelli utilizzati per la successiva riclassificazione dei conti.
In particolare, le PP.AA. si limitano a rilevare l’esborso finanziario (canone) senza iscrivere alcun
bene nel proprio bilancio. Il bene, che è considerato asset privato, sarà rilevato nel bilancio del soggetto realizzatore che in base alla normativa italiana ne detiene la proprietà giuridica, anche se solo
da un punto di vista formale.
La direttiva concessioni 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione include sotto la
definizione “concessioni” tutte le formule di partenariato pubblico privato contrattuale, senza farne
categoria autonoma.
La direttiva si caratterizza per una accentuazione
dell’enfasi del rischio ed una maggiore accuratezza
definitoria. Ai sensi dell’art. 5, comma 1 della Direttiva, il rischio operativo, che deve essere presente nei contratti di PPP ha natura economica e implica “che non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione” (52).
È su tale accentuazione del rischio che deve valutarsi la locazione finanziaria per essere considerata
una concessione (o un contratto di PPP). Quale
istituto di partenariato pubblico privato il leasing
immobiliare quindi costituisce un’alternativa allo
strumento della concessione relativa alle opere c.d.
fredde, purché sia caratterizzato da un effettivo e
sostanziale trasferimento del rischio non potendo
altrimenti discostarsi dalla figura dell’appalto (53).
L’Autorità di Vigilanza con le determinazioni n. 2
del 2010 e n. 6 del 2011, ha ribadito che affinché
un intervento realizzato tramite operazioni di leasing immobiliare sia configurabile quale partenariato pubblico-privato deve riscontrarsi la presenza di
almeno il rischio di costruzione di domanda/disponibilità a carico del privato.
In particolare per le opere in cui sia assente o scarso (di norma limitato alle sole attività di manutenzione e di assistenza tecnica sugli impianti) l’aspetto gestionale e/o per le quali sia più complesso prevedere l’erogazione dei servizi a carico del privato
(es. scuole, uffici pubblici, carceri).
Proprio per la realizzazione di quest’ultima tipologia di infrastrutture potrebbe apparire più consono
lo strumento del leasing immobiliare, in cui la remunerazione del privato per la realizzazione dell’opera non è costituita dal servizio reso, bensì dai canoni che la P.A. versa alla società di leasing per
ottenere l’infrastruttura (finanziamento pubblico
sub specie di canone).
La configurazione del leasing immobiliare in termini di PPP, richiede la preventiva analisi costi benefici e di compatibilità con le norme di finanza pubblica, per verificare la complessiva convenienza e
sostenibilità finanziaria sui bilanci futuri e quindi
un calcolo del costo finanziario complessivo dell’operazione che deve essere certo e definito fin dal
momento dell’aggiudicazione.
L’assunzione del rischio di disponibilità implica
quindi che la società di leasing assuma il rischio di
variazione della domanda in relazione ai servizi accessori, per cui i pagamenti della P.A. sono legati
alla misura dei servizi utilizzati, ed ovviamente il
rischio legato alla qualità del servizio rispetto degli
standard prestabiliti, che può determinare una riduzione dei pagamenti.
Affinché il trasferimento del rischio sia effettivo,
dovranno quindi considerarsi ulteriori condizioni
specifiche del contratto di leasing, quali il pagamento da parte dell’amministrazione della rata fissa
comprensiva di eventuali servizi accessori solo dopo il collaudo dell’opera, la responsabilità della
manutenzione, l’assicurazione dell’infrastruttura a
(52) M. Ricchi, La nuova Direttiva comunitaria sulle concessioni l’impatto sul Codice dei contratti pubblici, in questa Rivista,
2014, 745, come il rischio operativo nelle versioni precedenti
del testo della Direttiva era definito “sostanziale”, aggettivo
che poi è stato espunto, proprio perché avrebbe consentito in-
terpretazione quantitative non univoche.
(53) Cfr. R. Giovagnoli, Sistemi di realizzazione delle opere
delle opere pubbliche e strumenti di finanziamento: dall’appalto
pubblico al partenariato pubblico privato, in www.giustamm.it,
2011.
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Il contratto di disponibilità, introdotto dall’art. 44,
comma 1, lett. d), D.L. 24 gennaio 2012, n. 1,
convertito con L. 24 marzo 2012, n. 27, che ha inserito nel previgente Codice l’art. 160 ter (55), pedissequamente riprodotto nell’art. 188 del nuovo
codice, rappresenta una figura ibrida, di scarsa o
nulla applicazione, che costituisce, se inteso quale
istituto di partenariato pubblico privato, e purché
presenti le caratteristiche di sostanziale trasferimento del rischio esaminate a proposito del leasing, una riedizione della concessione di costruzione e gestione o appunto del leasing immobiliare,
ovvero, sotto certi profili della concessione di committenza.
Tale tipologia di contratto differisce dagli altri
strumenti di PPP (concessione e locazione finanziaria) per il fatto che la titolarità dell’opera realizzata dall’affidatario del contratto è del tutto privata.
Conseguenza di ciò è l’affidamento, a rischio e a
spese dell’affidatario, della costruzione e della messa a disposizione a favore dell’amministrazione aggiudicatrice di un’opera di proprietà privata desti-
nata all’esercizio di un pubblico servizio, a fronte
di un corrispettivo.
Nel contratto di disponibilità, quindi, la natura e
la dimensione dei rischi sostenuti dal soggetto privato è diversa rispetto alle altre forme di cooperazione tra pubblico e privato, ivi compresa la procedura di project financing.
Il nucleo centrale dell’operazione è caratterizzato
dal fatto che il rischio di mercato viene escluso, in
quanto l’ente pubblico si impegna ad utilizzare l’opera realizzata verso il pagamento di un canone per
un certo numero di anni.
Pertanto il privato assume unicamente il rischio
costruttivo e quello di disponibilità.
Accanto al canone e quindi parametrato al canone
stesso, l’art. 188, comma 1, lett. b), contempla a titolo di corrispettivo eventuale anche un contributo
in corso d’opera, comunque non superiore al cinquanta per cento del costo di costruzione dell’opera, nell’ipotesi di trasferimento della proprietà dell’opera all’amministrazione aggiudicatrice.
Sempre per il caso del trasferimento al termine del
contratto e quindi del passaggio dal regime di disponibilità a quello di proprietà in capo all’amministrazione, la successiva lett. c) contempla la possibilità di un prezzo di trasferimento, espressamente
parametrato all’ammontare dei canoni già versati e
dell’eventuale contributo incorso d’opera, nonché
al valore di mercato residuo dell’opera.
Con il canone di disponibilità sono compensati
tutti gli effetti dei rischi caratterizzanti (56), quello
costruttivo e quello tipico della disponibilità, consacrato al comma 1 lettera a) che, in attuazione
dei parametri comunitari stabilisce che il canone
deve essere versato soltanto in corrispondenza alla
effettiva disponibilità dell’opera e deve essere proporzionalmente ridotto o annullato nei periodi di
ridotta o nulla disponibilità della stessa per manutenzione, vizi o qualsiasi motivo non rientrante tra
i rischi a carico dell’amministrazione aggiudicatrice.
A questo si aggiunge il rischio residuale legato alla
fine del rapporto, in quanto la norma non prevede
che l’opera debba essere trasferita nella titolarità
dell’amministrazione.
(54) L’Autorità di Vigilanza con la Determinazione n. 4 del
22 maggio 2013 sottolinea che l’assetto contrattuale deve
comportare un adeguato trasferimento del rischio di disponibilità in capo alla controparte privata. Quest’ultimo deve essere
tradotto in termini di obbligazioni contrattuali, prevedendo idonei strumenti di controllo e monitoraggio in capo alla stazione
appaltante a cui sia correlata l’applicazione di penali in caso di
mancato rispetto degli standard pattuiti.
(55) Tra i primi commenti, cfr. C. Tomasini, Nasce il contratto di disponibilità: alla PA immobili chiavi in mano”, in Ed. e
Terr., 2012, 8.
(56) Vedi commento del 6 marzo 2012 di A. Caruocciolo,
Le forme di cooperazione tra pubblico e privato nei lavori pubblici: il contratto di disponibilità. Brevi riflessioni sul nuovo istituto
con il quale il pubblico si lega alla fantasia imprenditoriale del
privato, in www. appaltiecontratti.it.
carico della società di leasing, per cui nell’ipotesi
in cui i costi di manutenzione aumentino, il rischio
resta a carico del privato, la preventiva determinazione delle modalità di realizzazione della prestazione dei servizi accessori connessi all’utilizzazione del
bene.
In questa logica vanno considerate le clausole che
esonerano l’amministrazione dall’obbligo di acquisire l’infrastruttura alla scadenza del contratto se
non è in buone condizioni.
Pertanto la previsione del comma 4 dell’art. 187,
che condiziona l’adempimento degli impegni della
stazione appaltante al positivo controllo della realizzazione e della eventuale gestione funzionale dell’opera secondo le modalità previste, va intesa quale strumento di attuazione del trasferimento del rischio, dovendosi tradurre in adeguate clausole contrattuali (che impongono applicazione di penali, riduzione del canone etc. in caso di mancato rispetto
degli standards concordati) (54).
Il contratto di disponibilità
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L’amministrazione deve infatti definire il tempo di
utilizzo dell’opera e, pertanto, al cessare dello stesso
può liberarsi della struttura, allorché, l’edificio non
assolva più alle necessità di carattere pubblico e richiederebbe elevati esborsi per adeguamenti non
sempre efficaci.
Anche tale fattispecie si caratterizza quindi per
l’attribuzione della funzione pubblica ad un’opera
che resta nella proprietà privata, quanto meno per
tutto il lasso di tempo previsto dal contratto di disponibilità, per cui valgono le considerazioni svolte
a proposito del leasing immobiliare.
Si tratta tuttavia di un rischio che trova una chiara
disciplina contrattuale, nel senso che l’ammontare
dei canoni sarà determinato in base alla presenza o
meno dell’obbligo di acquisto in capo all’amministrazione al termine del rapporto, ipotizzandosi canoni più alti nell’ipotesi in cui manca il prezzo finale di trasferimento.
Quest’ultimo appare assimilabile all’ultima rata del
canone di leasing legata all’esercizio dell’opzione di
acquisto (57).
In sostanza anche per tale figura sembra potersi ritenere che la sostanziale ragione dell’introduzione
sia quella della sottrazione del costo dell’immobile,
che viene sostituito dai canoni, dalle voci di debito
che gravano sul bilancio dell’amministrazione.
Quindi anche per il contratto di disponibilità rileva la decisione Eurostat n. 18 dell’11 febbraio
2004, secondo cui gli assets legati a tali forme di
PPP devono essere registrati fuori bilancio dalle
PP.AA., quando ricorrano le condizioni che il
partner privato si assume il rischio di costruzione
ed almeno uno tra i rischi di disponibilità e di domanda.
Anche in questo caso affinché possano essere rispettati i parametri comunitari di trasferimento del
rischio, devono quindi essere definite, già in sede
di gara (58), le relative clausole contrattuali. L’art.
188 comma 2, rimette alla determinazione contrattuale le modalità di ripartizione dei rischi tra le
parti, contemplando la possibilità di accollare
quantomeno in parte anche al privato il rischio di
sopravvenienze derivanti da norme o provvedimenti cogenti di pubbliche autorità, incidenti sul
progetto, sulla realizzazione o sulla gestione tecnica
dell’opera, con conseguente variazione dei corrispettivi. Si tratta del tipico rischio del factum principis, proprio della disciplina codicistica civile, che
non appare strutturalmente diverso dal rischio derivante dal mancato o ritardato rilascio di autorizzazioni, pareri, nulla osta e ogni altro atto di natura
amministrativa, che invece viene posto a carico
del soggetto aggiudicatario, salvo diversa determinazione contrattuale.
Il senso dell’accollo all’affidatario del tipico rischio
amministrativo, potrebbe unicamente ravvisarsi
nella conformazione del contratto in esame, per
cui la ripartizione dei rischi va calibrata anche sulle eventuali dinamiche future del rapporto e dell’opera stessa. In tale prospettiva la fruibilità piena va
costantemente garantita alla committente, persino
a costo di sopportare le conseguenze di ritardata o
mancata approvazione da parte di terze autorità
competenti della progettazione e delle eventuali
varianti in corso d’opera.
Nella stessa prospettiva appare coerente con la logica del trasferimento del rischio, porre a carico
del contraente privato il rischio delle sopravvenienze della normativa tecnica relativa agli standards di sicurezza e prestazionali dell’opera, in
quanto costituenti sviluppo in qualche modo prevedibile dell’assetto normativo sulla base del quale
è stata formulata l’offerta.
Parimenti in sede di gara dovrà essere definita la
durata del contratto, in relazione al costo dell’opera ed alla misura dell’eventuale contribuzione pubblica, ed alla previsione o meno del trasferimento
finale dell’opera alla P.A. con conseguente prezzo
di trasferimento.
La peculiarità della fattispecie che si incentra sulla
scissione tra l’utilizzazione e la proprietà, si riflette
sul regime delle varianti e del collaudo.
La mancanza della titolarità dell’opera implica che
l’amministrazione non possa avvalersi degli ordinari poteri autoritativi di prescrizione delle varianti,
(57) L’Autorità di Vigilanza, con la Determinazione n. 4 del
22 maggio 2013, sottolinea la duplice valenza del canone, precisando come “qualora fosse prevista l’opzione del riscatto finale, il canone avrebbe una natura mista, comprenderebbe
cioè, in analogia al leasing finanziario, due componenti: una
per la messa a disposizione dell’opera ed una per il finanziamento finalizzato all’acquisto. In tal caso, oltre a stabilire la
somma per il trasferimento finale dell’opera, la stazione appaltante dovrebbe quantificare le due componenti soprattutto ai
fini della eventuale riduzione del canone e della risoluzione del
contratto, nel caso lo stesso scendesse al di sotto della soglia
prefissata. Potrebbe valutarsi, infatti, l’opportunità che la riduzione riguardi solamente la componente di disponibilità, direttamente collegata alla fruibilità dell’opera e non anche quella
di finanziamento, che assolve alla diversa funzione dell’acquisto finale del bene”.
(58) In tal senso, L.R. Perfetti, in Codice dei contratti pubblici
commentato, a cura di L. R. Perfetti, cit., 1789, rileva che poiché la dislocazione dei rischi è elemento essenziale del contratto, dovrà essere oggetto del confronto concorrenziale e
non potrà essere assegnata alla fase di definizione dei vincoli
contrattuali.
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sia pure notevolmente ridimensionati dagli artt.
106 e 149 del Codice.
Pertanto le varianti restano rimesse alla scelta dell’affidatario, a carico del quale però grava il rischio
che, ove non gradite alla parte pubblica ovvero
non funzionali alle proprie esigenze, in quanto realizzate senza approvazione della stazione appaltante, possano incidere sulla fruibilità e quindi determinare una riduzione del canone di disponibilità
ovvero una mancata acquisizione in proprietà al
termine del contratto.
Considerazioni analoghe valgono per il collaudo,
che non è preordinato alla verifica della conformità dell’opera al progetto, ma unicamente al capitolato prestazionale. Questo in termini analoghi a
quanto ipotizzabile per un’opera privata, si configura come l’elemento centrale per la definizione dei
contenuti essenziali dell’obbligazione dell’affidatario.
Pertanto in sede di collaudo oltre ai tradizionali
poteri di imporre modificazioni e rifacimento di lavori eseguiti, poteri che non assumono la veste
pubblicistica ma quella tipicamente privatistica del
risarcimento in forma specifica volto ad assicurare
il corretto adempimento dell’obbligazione, può
aversi una riduzione del canone di disponibilità,
che costituisce la controprestazione a carico dell’amministrazione e quindi successiva al collaudo.
Pur nella configurazione marcatamente privatistica
della fattispecie, appare singolare la previsione dell’art. 188 comma 5, in virtù della quale non solo le
varianti ma anche il progetto definitivo e il progetto esecutivo “sono ad ogni effetto approvati dall’affidatario, previa comunicazione all’amministrazione aggiudicatrice la quale può, entro trenta giorni,
motivatamente opporsi ove non rispettino il capitolato prestazionale” (59).
La sottrazione all’amministrazione del potere pubblicistico di approvazione del progetto, che è una
tipica funzione autoritativa, non appare una conseguenza necessaria del mantenimento della proprietà in capo al privato, in quanto l’approvazione dei
progetti resta prerogativa della P.A. anche in presenza di opere di pubblica utilità, non nella titolarità pubblica (60).
L’approvazione del progetto in capo all’affidatario,
appare una sorta di riedizione in tono minore della
concessione di committenza (61), considerata anche l’ulteriore previsione del comma 5 ultima parte, in virtù della quale l’amministrazione aggiudicatrice può attribuire all’affidatario il ruolo di autorità espropriante ai sensi del testo unico di cui al
d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, ovvero del general
contractor (62).
La previsione inoltre non incide, ovviamente, sulla
competenza in capo alle amministrazioni diverse
(59) A. Maltoni, cit., 1789 osserva come non sia del tutto
comprensibile perché l’affidatario dovrebbe rifiutare a se stesso che ha redatto i progetti e dovrà eseguirli, l’approvazione.
(60) Cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II, 5 maggio 2010,
n. 1675, cit., che a proposito del leasing in costruendo, sottolinea come, sia “inaccettabile che in un appalto di lavori il committente pubblico sia espropriato di qualsiasi potere nei confronti dell’impresa esecutrice, e che attività che costituiscono
prerogativa tipica dell’amministrazione aggiudicatrice - come
la direzione lavori, la verifica degli stati di avanzamento, il controllo del rispetto degli obblighi di legge sulla sicurezza del lavoro, dell’osservanza dei minimi contrattuali e della corretta
applicazione delle regole sul subappalto - vengano traslate su
un soggetto privato, che sarebbe investito indebitamente di
funzioni pubbliche”.
(61) Nell’ambito della concessione di costruzione, attraverso la scissione dell’oggetto delle prestazioni in quelle relative
all’esecuzione ed in quelle relative all’organizzazione del processo realizzativo dell’opera, venne concepita una terza figura
di concessione c.d. di “committenza”, cui erano assimilabili
quelle di “servizi” e di “ufficio tecnico”, non comprensiva della
materiale esecuzione dei lavori. Al di là della terminologia non
univoca, queste tipologie, frutto di un’elaborazione del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. III, parere 30 dicembre 1982, n.
703, in Cons. Stato, 1984, I, 968) contrastata dalla Corte dei
Conti (Corte dei Conti, Sez. contr. Stato, 15 luglio 1983, n.
1370, in Arch. giur. oo. pp., 1983, II, 383, opinione confermata
con la decisione 20 febbraio 1992, n. 13, in Arch. giur. oo. pp.,
1992, 808), che riteneva non ammissibile un “tertium genus”
oltre la concessione di sola costruzione e quella di costruzione
ed esercizio, comprendevano una serie di fattispecie in cui il
concessionario assumeva i compiti di stazione appaltante, in
sostituzione dell’amministrazione, oppure compiti ausiliari,
mentre l’amministrazione provvedeva alla gara, alla direzione
lavori ed al collaudo, in entrambi i casi senza assumere l’obbligo della realizzazione dell’opera, che veniva eseguita dall’appaltatore. Il Consiglio di Stato successivamente si è adeguato
all’orientamento della Corte dei conti (Cons. Stato, Sez. III, 15
aprile 1986, n. 582, in Rep. Foro it., 1988, voce Opere pubbliche, n. 134; Cons. Stato, Sez. IV, 18 gennaio 1996, n. 54, in
Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 1997, 178). In dottrina sulla concessione di committenza, v. P.M. Piacentini, Concessioni di servizi: nascita di un istituto, in Riv. trim. app., 1990, 1117. Sul concetto di sostituzione v. U. Pototschnig, Concessione ed appalto
nell’esercizio dei pubblici servizi, in Jus, 1955; A.M. Sandulli,
Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1983, 502.
(62) Nella concessione di committenza l’obbligazione del
concessionario veniva considerata di mezzi, non di risultato,
con tutte le conseguenze in materia di responsabilità e requisiti soggettivi, che non coincidevano con quelli richiesti all’appaltatore per il diverso contenuto delle prestazioni, che comprendevano “tutte le attività organizzative e amministrative finalizzate alla realizzazione di un’opera o di un programma di
opere, che vanno dalla predisposizione della progettazione di
massima ed esecutiva, alle operazioni di scelta dell’esecutore
materiale delle opere, fino all’attività di direzione dei lavori”,
come chiarito da Cons. Stato, Sez. III, parere 4 dicembre 1990,
n. 192, in Cons. Stato, 1991, II, 1615. La natura dell’obbligazione, consistente nel compimento di attività non esecutive (obbligazione di mezzi), vale poi a distinguere tale figura dal general contractor identificato nel soggetto che si assume l’obbligazione, che quindi è obbligazione di risultato, di realizzare e
consegnare l’opera pattuita, completa ed in certi casi dotata
anche dei macchinari che la rendono idonea all’uso cui è desti-
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da quella aggiudicatrice, degli atti di autorizzazioni,
nulla osta e assensi comunque denominati, gravando pergiunta il privato del rischio della mancata o
ritardata approvazione da parte di queste.
Quindi la sottrazione all’amministrazione del potere di approvazione del progetto comporta un aggravamento in termini procedimentali, in quanto vede venir meno la contestualità delle procedure di
approvazione, tramite lo strumento della conferenza di servizi, al quale anche l’art. 27 del codice
conferma la valenza di strumento ordinario per
l’approvazione del progetto di opera pubblica.
Appare infatti dubbia l’applicabilità delle previsioni dettate dagli artt. 14 bis ss. della citata L. n. 241
del 1990, in assenza della figura dell’amministrazione procedente che indice la conferenza di servizi.
Non presentano particolare interesse le altre previsioni della norma in particolare in materia di procedura di gara, che costituiscono una disciplina ripetitiva di quella ordinaria dei contratti pubblici,
per cui sarebbe stato più opportuno un semplice
rinvio alle relative previsioni.
Baratto amministrativo
Il baratto amministrativo è una figura introdotta
dal nuovo codice all’art. 190 che disegna una forma di cooperazione, con finalità sociali, tra gli enti
locali e le comunità amministrate.
La norma prevede che gli enti territoriali definiscono con apposita delibera i criteri e le condizioni
per la realizzazione di contratti di partenariato sociale, sulla base di progetti presentati da cittadini
singoli o associati, purché individuati in relazione
ad un preciso ambito territoriale.
Si tratta di una forma minore del procedimento di
partenariato ad iniziativa pubblico-privata di cui ai
commi 16, 17 e 18 dell’art. 153 del Codice, non riproposta nel nuovo Codice, in cui si delineava la
figura di un promotore “additivo” (63), introducendo un peculiare meccanismo di superamento della
inerzia dell’amministrazione, nell’attivare procedure di partenariato rispetto ad opere inserite nell’elenco annuale, affidato ad attività del privato.
nata. Sulla distinzione tra concessionario di committenza e general contractor Cfr. P.M. Piacentini, La concessione di opere
pubbliche..., cit., 510 ss. L’Autore rileva che le condizioni di difficolta in cui versa la struttura operativa dell’amministrazione,
avrebbero dovuto “far meditare sull’opportunità di introdurre
l’istituto del general contractor anche nel settore della contrattualistica pubblica potendo tale istituto rappresentare una possibile soluzione a quella serie di inconvenienti che, come una
costante, affliggono oggi la realizzazione delle opere pubbliche” e, più avanti, che “la concessione di committenza è la ri-
980
Anche nel caso di specie deve ritenersi che la presentazione del progetto abbia un carattere meramente sollecitatorio, finalizzato a definire le condizioni per un contratto sulla base del progetto presentato.
La presentazione del progetto non comporta alcun
diritto del proponente al compenso per le prestazioni compiute o alla realizzazione degli interventi
proposti, che devono soggiacere alle consuete procedure di evidenza pubblica.
La presentazione determina tuttavia un obbligo in
capo alla p.a. di avvio del procedimento, ed il privato è titolare di una posizione di interesse pretensivo qualificato e giuridicamente rilevante alla
conclusione del procedimento.
Ulteriore presupposto procedimentale è che si tratti di aree e beni immobili inutilizzati, e, deve ritenersi sulla base di una interpretazione logico sistematica della disposizione in combinato disposto
con l’art. 21 del Codice, per i quali non sia prevista una utilizzazione nel programma triennale, neppure quali immobili disponibili che possono essere
oggetto di cessione.
L’oggetto dei contratti è vario, potendo riguardare
la pulizia, la manutenzione, l’abbellimento di aree
verdi, piazze o strade, ovvero la loro valorizzazione
mediante iniziative culturali di vario genere, interventi di decoro urbano, di recupero e riuso con finalità di interesse generale,
La previsione quindi più che a iniziative imprenditoriali appare ispirata a promuovere una partecipazione dei privati alla gestione dei beni pubblici,
spesso abbandonati ed in condizioni di degrado.
La finalità sociale di carattere non lucrativo dell’istituto è scolpita dall’ultimo comma dell’art. 190,
il quale specifica che in relazione alla tipologia degli interventi, gli enti territoriali individuano riduzioni o esenzioni di tributi corrispondenti al tipo di
attività svolta dal privato o dalla associazione ovvero comunque utili alla comunità di riferimento
in un’ottica di recupero del valore sociale della
partecipazione dei cittadini alla stessa.
sposta della prassi alla mancata istituzionalizzazione della figura del general contractor”. In dottrina cfr. M. Pallottino, La concessione di opere pubbliche dopo la legge 8 agosto 1977 n. 584
di adeguamento delle procedure degli appalti pubblici alle direttive della C.E.E., in Riv. giur. ed., 1978, II, 113.
(63) Cfr. M. Ricchi, Il promotore nel codice dei contratti a seguito del terzo correttivo D.Lgs. n. 152/08, in www.iteca.org,
19; F. Mele, La Disciplina dei contratti pubblici, a cura di R. Tomei - M. Baldi, cit., 1286 ss.
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Nuovo Codice appalti
E-procurement e digitalizzazione della P.A.
Procedure elettroniche
e strumenti di acquisto
telematici nel nuovo Codice
dei contratti pubblici
di Stefano Cresta
Il contributo analizza il tema dell’e-procurement e della digitalizzazione della Pubblica Amministrazione attraverso una ricognizione normativa in materia di obblighi di acquisto mediante strumenti telematici (introdotta nel nostro ordinamento sin dai primi anni duemila), nonché in tema
di procedure elettroniche, così come disciplinate dal nuovo codice degli appalti. L’esame di un
percorso giurisprudenziale, congiunto al quadro normativo di riferimento, conduce ad una riflessione circa la necessaria prudenza nell’utilizzo di questi nuovi strumenti messi a disposizione
delle procedure ad evidenza pubblica, che pur tuttavia (nei contratti di rilievo) costituiscono il
modo di operare obbligatorio per l’approvvigionamento di lavori beni e servizi da parte dell’Amministrazione.
Premessa
La digitalizzazione della P.A. costituisce una mezzo
teoricamente valido al fine di migliorare l’efficienza, la trasparenza, l’efficacia, nonché l’economicità
dell’azione pubblica, oltre alla performance stessa
dell’Amministrazione.
Questa affermazione di principio permetterebbe di
concretizzare obbiettivi e risultati pratici di notevole importanza nell’ambito dell’approvvigionamento di beni e servizi per la Pubblica Amministrazione quali l’accesso più agile da parte dei privati alle procedure bandite dalla stessa, la dematerializzazione di tutti i documenti di gara - con conseguente riduzione dei tempi di pubblicazione e dei
costi delle procedure ad evidenza pubblica - la segretezza della documentazione trasmessa, la tracciabilità di tutte le operazioni svolte dalla Commissione di gara, la trasparenza delle comunicazioni attraverso l’attribuzione di un codice identificativo,
nonché la conoscenza in tempo reale del costo so-
stenuto dall’Amministrazione per l’acquisto di beni
e servizi.
L’utilizzo di formule dubitative, tuttavia, è una necessità, atteso il complesso quadro normativo di riferimento, il quale incide negativamente sull’utilizzo effettivo degli strumenti telematici da parte di
un’Amministrazione che, in generale, fatica a tenere il passo con mutamenti radicali del proprio concreto modus operandi.
Nell’ambito della stratificata cornice normativa
che si andrà ad illustrare nel prosieguo può essere
utile soffermarsi preliminarmente su alcune definizioni. Il Mercato Elettronico della P.A. (MePA) è
un vero e proprio mercato elettronico di tipo selettivo ove i fornitori che hanno ottenuto l’abilitazione offrono i propri beni e servizi direttamente on-line; i compratori registrati (le P.P.A.A.) possono
consultare il catalogo delle offerte ed emettere direttamente ordini d’acquisto o richieste d’offerta (1).
Il MePA, dunque, è uno strumento telematico attraverso il quale realizzare gli acquisti sotto soglia
(1) A. Massari - G. Sorrentino, Gli acquisti sul Mepa, Guida
operativa dopo la release, 2014, Rimini, 2014, 113.
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L’utilizzo di strumenti telematici da parte della
P.A., prima ancora di essere un modulo organizzativo efficace, risponde ad uno specifico obbligo di
matrice europea. Si pensi, infatti, al Codice del-
l’amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82/2005), alla
Dir. n. 93/38/CEE e alla Dir. 2004/18/CE (artt. 42
- 54) che regolamentano la digitalizzazione della
PA, secondo i principi europei di imparzialità e
trasparenza, al fine di rendere effettivamente accessibili le informazioni, nonché la circolazione delle
stesse e la conoscenza dei procedimenti amministrativi.
Come noto, inoltre, l’art. 26 della L. 23 dicembre
1999, n. 488, ha previsto che “Il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, nel rispetto della vigente normativa in materia di scelta del contraente, stipula, anche avvalendosi di società di consulenza specializzate (...) convenzioni con le quali l’impresa prescelta si impegna
ad accettare, sino a concorrenza della quantità
massima complessiva stabilita dalla convenzione ed
ai prezzi e condizioni ivi previsti, ordinativi di fornitura di beni e servizi deliberati dalle amministrazioni dello Stato anche con il ricorso alla locazione
finanziaria”.
La disposizione sopra richiamata ha, dunque, introdotto nell’ordinamento il c.d. Programma per la razionalizzazione degli Acquisti della P.A., al fine di
diffondere l’utilizzo delle tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione, razionalizzare e ottimizzare la spesa pubblica per beni e servizi, migliorando la qualità degli acquisti e riducendo i costi
grazie all’aggregazione della domanda.
Il Programma è stato nel tempo implementato da
diverse disposizioni normative.
L’art. 1, comma 449, L. 27 dicembre 2006, n. 296,
ai sensi del quale “tutte le amministrazioni statali
centrali e periferiche (...) sono tenute ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni-quadro messe a
disposizione da Consip S.p.A.”.
Il successivo comma 450 (3), ha imposto, poi, l’obbligo dal 1° luglio 2007, per tutte le amministrazioni statali centrali e periferiche, per gli acquisti di
beni e servizi al di sotto della soglia di rilievo co-
(2) Ai sensi dell’art. 36 del D.Lgs. n. 50/2016 per i lavori è
previsto l’utilizzo per importi fino a euro 40 mila dell’affidamento diretto adeguatamente motivato; da 40 mila a 150 mila
euro della procedura negoziata con almeno 5 operatori o amministrazione diretta; da 150 mila a 1 milione di euro della procedura negoziata con almeno 10 operatori; sopra il milione di
euro si utilizzeranno le procedure ordinarie. Per gli affidamenti
di beni e servizi fino a 40 mila euro è previsto l’impiego dell’affidamento diretto adeguatamente motivato; per gli importi da
40 mila a 209 mila euro dovranno essere consultati almeno
cinque operatori; sopra i 209 mila euro si utilizzeranno le procedure ordinarie. Il nuovo codice segna, inoltre la scomparsa
dei lavori in economia e i cottimi fiduciari del vecchio art. 125
del D.Lgs. n. 163/2006.
(3) La norma afferma che: “Dal 1° luglio 2007, le amministrazioni statali centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti
e delle scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative
e delle istituzioni universitarie, per gli acquisti di beni e servizi
al di sotto della soglia di rilievo comunitario, sono tenute a fare
ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione
di cui all’art. 328, comma 1, del regolamento di cui al d.P.R. 5
ottobre 2010, n. 207. Fermi restando gli obblighi e le facoltà
previsti al comma 449 del presente articolo, le altre PP.AA. di
cui all’art. 1 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, nonché le autorità indipendenti, per gli acquisti di beni e servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario sono tenute a fare ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione
ovvero ad altri mercati elettronici istituiti ai sensi del medesimo
art. 328 ovvero al sistema telematico messo a disposizione
dalla centrale regionale di riferimento per lo svolgimento delle
relative procedure. Per gli istituti e le scuole di ogni ordine e
grado, le istituzioni educative e le università statali, tenendo
comunitaria indipendentemente dal loro importo.
Le procedure di aggiudicazione saranno scelte di
volta in volta dalla stazione appaltante, nel rispetto della normativa di riferimento.
Pertanto, se il bene che si intende acquistare è presente sul MePA, la P.A. è tenuta, innanzitutto, ad
indire una procedura concorrenziale (affidamento
diretto o procedura negoziata, secondo il nuovo codice degli appalti) a seconda degli importi previsti
dal Codice (2), utilizzando come mercato di riferimento quello del MePA, attraverso ordini di acquisto (per gli affidamenti diretti) o richieste d’offerta (per la procedura negoziata).
Come noto, le Convenzioni sono contratti quadro
stipulati da Consip S.p.a. nell’ambito dei quali i
fornitori aggiudicatari di gare - esperite in modalità
tradizionale o c.d. smaterializzata a seguito della
pubblicazione di bandi - si impegnano ad accettare
ordinativi di fornitura emessi dalle singole Amministrazioni che hanno effettuato l’abilitazione al sistema Acquisti in Rete.
Gli Accordi quadro costituiscono uno strumento
che stabilisce le regole relative ad appalti da aggiudicare durante un periodo massimo di quattro anni:
con essi, aggiudicati da Consip a più fornitori a seguito della pubblicazione di specifici bandi, vengono definite le clausole generali che, in un determinato periodo temporale, regolano i contratti di appalto da stipulare in esecuzione di tali Accordi.
Nell’ambito dell’Accordo quadro, le Amministrazioni che hanno effettuato l’abilitazione al sistema,
provvedono poi a negoziare i singoli contratti, personalizzati sulla base delle proprie esigenze.
Normativa di riferimento
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munitario, di ricorso al mercato elettronico della
P.A. (di cui all’art. 328, comma 1, d.P.R. 5 ottobre
2010, n. 207), ovvero al sistema telematico messo
a disposizione dalla centrale regionale di riferimento per lo svolgimento delle relative procedure.
L’art. 2, comma 574, L. 24 dicembre 2007, n. 244,
ha stabilito che “il Ministero dell’economia e delle
finanze individua (...) con decreto, segnatamente
in relazione agli acquisti d’importo superiore alla
soglia comunitaria (...) le tipologie dei beni e dei
servizi non oggetto di convenzioni stipulate da
Consip Spa per le quali le amministrazioni statali
centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti e
scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie, sono tenute
a ricorrere alla Consip Spa, in qualità di stazione
appaltante ai fini dell’espletamento dell’appalto e
dell’accordo quadro, anche con l’utilizzo dei sistemi
telematici”; per l’effetto, è stato emanato, quindi,
il DM 12 febbraio 2009 (4), che ha individuato
quali tipologie di beni e di servizi di cui al succitato comma 574 i carburanti avio (gara su delega), la
ristorazione collettiva (accordo quadro), le trasferte
di lavoro (accordo quadro).
L’art. 2, comma 225, L. 23 dicembre 2009, n.
191 (5), ha previsto la possibilità per le PP.AA. di
concludere accordi quadro con Consip, o, in alternativa di adottare, per gli acquisti di beni e servizi
comparabili, parametri di qualità di prezzo rapportati a quelli degli accordi quadro predisposti da
Consip (la norma è stata poi modificata nell’ottica
di raccordare la facoltà in essa descritta con l’obbligo di approvvigionamento telematico successivamente introdotto nell’ordinamento).
Il regolamento di attuazione (d.P.R. n. 207/2010)
del previgente codice appalti (D.Lgs. n. 163/2006)
all’art. 287, comma 2 (6), ha previsto che “Fatta
salva la facoltà di ciascuna stazione appaltante di
istituire un sistema dinamico di acquisizione ai sensi dell’articolo 60 del codice, il Ministero dell’economia e delle finanze, anche avvalendosi di Consip S.p.A. ed utilizzando le proprie infrastrutture
tecnologiche, può provvedere alla realizzazione e
gestione di un sistema dinamico di acquisizione per
le stazioni appaltanti (...)”.
L’art. 1, comma 1, D.L. 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 135, ha statuito
la sanzione della nullità dei “contratti stipulati in
violazione dell’articolo 26, comma 3 della legge 23
dicembre 1999, n. 488” nonché dei “contratti stipulati in violazione degli obblighi di approvvigionarsi attraverso gli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A.” stabilendo che gli
stessi costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa, salvo che il
contratto sia stato stipulato ad un prezzo più basso
di quello derivante dal rispetto dei parametri di
qualità e di prezzo degli strumenti di acquisto messi
a disposizione da Consip S.p.A., ed a condizione
che tra l’amministrazione interessata e l’impresa
non siano insorte contestazioni sulla esecuzione di
eventuali contratti stipulati in precedenza.
Il successivo comma 7 (7), del sopra citato decreto
legge (c.d. Spending review bis), ha stabilito, con
conseguenze ai fini della responsabilità disciplinare
e per danno erariale in caso di mancato rispetto
della disposizione, l’obbligo per le amministrazioni,
in relazione a determinate categorie merceologiche
(energia elettrica, gas, carburanti rete e carburanti
extra-rete, combustibili per riscaldamento, telefonia fissa e telefonia mobile) di approvvigionarsi attraverso le convenzioni o gli accordi quadro messi
a disposizione da Consip S.p.A. e dalle centrali di
committenza regionali di riferimento ovvero ad
esperire proprie autonome procedure nel rispetto
della normativa vigente, utilizzando i sistemi tele-
conto delle rispettive specificità, sono definite, con decreto del
Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, linee guida indirizzate alla razionalizzazione e al coordinamento degli
acquisti di beni e servizi omogenei per natura merceologica
tra più istituzioni, avvalendosi delle procedure di cui al presente comma.”.
(4) Recante “Attuazione dell’articolo 2, comma 574 della
legge 24 dicembre 2007, n. 244, in materia di tipologie di beni
e servizi oggetto di acquisti tramite Consip S.p.A.”.
(5) Il testo dell’articolo, così modificato dall’art. 1, comma
497, lett. a) e b), L. 28 dicembre 2015, n. 208, a decorrere dal
1° gennaio 2016, stabilisce che: “La società CONSIP Spa conclude accordi quadro, ai sensi dell’articolo 59 del codice dei
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al
decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, cui le stazioni appaltanti di cui all’articolo 3, comma
33, del citato codice di cui al decreto legislativo n. 163 del
2006, possono fare ricorso per l’acquisto di beni e di servizi. In
alternativa, le medesime stazioni appaltanti adottano, per gli
acquisti di beni e servizi comparabili, parametri di qualità e di
prezzo rapportati a quelli degli accordi quadro di cui al presente comma. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 26 della
legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni,
dall’articolo 58 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, dall’articolo 1, commi 449 e 450, della legge 27 dicembre 2006, n.
296, e dall’articolo 2, comma 574, della legge 24 dicembre
2007, n. 244 e comunque quanto previsto dalla normativa in
tema di obblighi di approvvigionarsi attraverso gli strumenti
messi a disposizione da Consip SpA.”.
(6) Abrogato dall’art. 217, comma 1, lett. u), D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, a decorrere dal 19 aprile 2016.
(7) Sostituito dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n.
135 e, successivamente, così modificato dall’art. 1, comma
151, L. 24 dicembre 2012, n. 228, a decorrere dal 1° gennaio
2013, e dall’art. 1, comma 494, L. 28 dicembre 2015, n. 208, a
decorrere dal 1° gennaio 2016.
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matici di negoziazione messi a disposizione dai soggetti sopra indicati.
La norma ha inoltre previsto la possibilità di procedere ad affidamenti, nelle indicate categorie merceologiche, anche al di fuori delle predette modalità, a condizione che gli stessi conseguano ad approvvigionamenti da altre centrali di committenza
o a procedure di evidenza pubblica, e prevedano
corrispettivi inferiori almeno del 10% per le categorie merceologiche telefonia fissa e telefonia mobile e del 3% per le categorie merceologiche carburanti extra-rete, carburanti rete, energia elettrica,
gas e combustibili per il riscaldamento rispetto ai
migliori corrispettivi indicati nelle convenzioni e
accordi quadro messi a disposizione da Consip
S.p.A. e dalle centrali di committenza regionali.
L’art. 1, comma 158, L. 24 dicembre 2012, n. 228,
ha previsto che con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro il 31 marzo di ogni anno, sono individuate le categorie di beni e di servizi nonché la soglia al superamento della quale le PP.AA.
statali, centrali e periferiche procedono alle relative acquisizioni attraverso strumenti di acquisto informatici propri ovvero messi a disposizione dal
Ministero dell’economia e delle finanze.
Il comma 3, dell’art. 9 del D.L. 24 aprile 2014, n.
66 (innovato dal comma 499 della L. 28 dicembre
2015, n. 208, Legge di stabilità 2016) ha stabilito
che con D.P.C.M. “sono individuate le categorie
di beni e di servizi nonché le soglie al superamento
delle quali le amministrazioni statali centrali e periferiche, ricorrono a Consip S.p.A.”, prevedendo,
inoltre che, per tali categorie di beni e servizi,
l’Autorità nazionale anticorruzione non rilasci il
codice identificativo gara alle stazioni appaltanti
che, in violazione degli adempimenti previsti dal
presente comma, non ricorrano a Consip S.p.A. o
ad altro soggetto aggregatore.
Il D.P.C.M. di cui sopra, del 24 dicembre 2015, è
stato pubblicato in G.U. il 9 febbraio 2016 e prevede un periodo transitorio di sei mesi.
A decorrere dal 9 agosto 2016 dunque, vi è l’obbligo per tutte le Amministrazioni, di ricorrere ai soggetti aggregatori di riferimento (Consip S.p.A.,
Città Metropolitane, Regioni), se il fabbisogno annuo, per categorie merceologiche quali vigilanza
armata, facility management di immobili, pulizia e
manutenzione di immobili ed impianti, guardiania,
è superiore alla soglia indicata nel suddetto
D.P.C.M.
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Le previsioni del nuovo Codice
Nel già complesso quadro normativo sinteticamente descritto sopra si inserisce il D.Lgs. 18 aprile
2016, n. 50, che, all’art. 37, delinea una disciplina
di raccordo tra gli obblighi di utilizzo di strumenti
di acquisto e di negoziazione telematici ed il nuovo
sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti
previsto nel successivo art. 38.
Il risultato posto in essere dalla nuova normativa è
di circoscrivere, dal punto di vista soggettivo, l’ambito entro cui ciascuna amministrazione può svolgere funzioni di stazione appaltante, imponendo alle amministrazioni l’onere di conseguire la qualificazione (ai sensi dell’art. 38 D.Lgs. n. 60/2016) e
circoscrivendo a importi limitati gli appalti che
possono essere affidati da amministrazioni non qualificate.
Ciò, fermo restando gli obblighi di utilizzo degli
strumenti di acquisto e di negoziazione anche telematici previsti dalle disposizioni in materia di contenimento della spesa descritte nel paragrafo precedente.
In particolare le acquisizioni di forniture servizi e
lavori saranno effettuate, secondo la disciplina descritta all’art. 37: per forniture e servizi fino a euro
40.000 e per lavori fino a euro 150.000, autonomamente da parte delle Stazioni appaltanti anche
non qualificate (comma 1); per forniture e servizi
superiori a euro 40.000 e lavori superiori a euro
150.000 esclusivamente da Stazioni appaltanti e
Centrali di committenza qualificate ex art. 38
(comma 1), mentre le Stazioni appaltanti non qualificate dovranno ricorrere necessariamente o ad
una centrale di committenza, ovvero mediante aggregazione di Stazioni appaltanti qualificate (comma 3). È poi prevista un’ipotesi particolare: per forniture e servizi da 40.000 a 209.000 euro e per lavori di manutenzione ordinaria le stazioni appaltanti qualificate devono a) procedere mediante utilizzo autonomo degli strumenti telematici messi a
disposizione delle centrali di committenza qualificate (comma 2, primo periodo), oppure b) in caso
di indisponibilità di tali strumenti telematici anche
in relazione alle singole categorie merceologiche:
b.1) ricorrere a centrali di committenza o aggregazioni di Stazioni appaltanti (comma 2, secondo periodo), o b.2) procedere direttamente mediante
svolgimento di procedura ordinaria (comma 2, secondo periodo).
Si osserva, inoltre, che il comma 2 dell’art. 37 pare
porre alcuni dubbi dal punto di vista pratico in relazione alla formulazione dello stesso; più nel det-
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Nuovo Codice appalti
taglio occorrerà comprendere cosa debba intendersi
per “indisponibilità” degli strumenti telematici di
negoziazione: assenza assoluta di tali strumenti, ovvero mancanza delle categorie merceologiche?
La precisazione contenuta nel nuovo codice secondo la quale l’indisponibilità è relativa anche alle
singole categorie merceologiche fa propendere per
la seconda risposta, più razionale e utile alla chiusura del sistema. Tuttavia tali dubbi interpretativi
potranno essere chiariti solo in via di prassi, apportando successivamente i necessari correttivi al codice.
Com’è noto la disciplina delle procedure telematiche ante D.Lgs. n. 50/2016 era contenuta in parte
nel codice appalti, in parte nel d.P.R. 5 ottobre
2010, n. 107 (ora abrogato dal nuovo codice, salva
l’ultrattività delle norme non ancora sostituite dagli interventi normativi dei Ministeri competenti,
dell’ANAC, e del Governo), il quale dedicava l’intero Capo III (e segnatamente gli articoli dal 287
al 296), alle “Procedure di scelta del contraente ed
aste elettroniche”.
In linea con gli obbiettivi di progressiva digitalizzazione delle procedure in materia di affidamento dei
contratti pubblici perseguiti dalle nuove Direttive
comunitarie (2014/23/UE; 2014/24/UE;
2014/25/UE) e dalla Legge Delega (L. 28 gennaio
2016, n. 11), il nuovo codice all’articolo 44, rubricato “Digitalizzazione delle procedure”, prevede
che entro un anno dalla data di entrata in vigore
del codice siano definite con decreto del Ministro
per la semplificazione, di concerto con il Ministro
delle infrastrutture e dei trasporti, sentita l’Agenzia
per l’Italia Digitale (AGID) nonché dell’Autorità
garante della privacy per i profili di competenza, le
modalità di digitalizzazione delle procedure di tutti
i contratti pubblici, anche attraverso l’interconnessione per interoperabilità dei dati delle pubbliche
amministrazioni.
L’articolo 52 “Regole applicabili alle comunicazioni”, nel dare attuazione all’art. 22 della Dir.
2014/24/UE, all’art. 40 della Dir. 2014/25/UE e
29,33 e 34 della Dir. 2014/23/UE, aggiorna il con-
tenuto dell’art. 77 del D.Lgs. n. 163/2006, prevedendo l’obbligo, quale strumento di semplificazione
e accelerazione delle procedure, nei settori ordinari
e speciali, di eseguire tutte le comunicazioni e gli
scambi di informazioni previsti dal codice utilizzando mezzi di comunicazione elettronici.
Gli strumenti da utilizzare per comunicare per via
elettronica devono avere carattere non discriminatorio, devono essere comunemente disponibili e
compatibili con i prodotti TIC generalmente in
uso. Inoltre, non devono limitare l’accesso degli
operatori economici alla procedura di aggiudicazione.
Il nuovo codice dedica, poi, la Sezione II, del capo
I (“Modalità comuni alle procedure di affidamento”), del Titolo III (“Procedura di affidamento”) alle “Tecniche e strumenti per gli appalti elettronici
e aggregati”.
La disciplina degli Accordi quadro, dettata dall’art.
54 del Decreto, ricalca testualmente quanto previsto dalle nuove Direttive comunitarie (8), peraltro
non discostandosi da quella già prevista dall’art. 59
del previgente codice dei contratti (9).
La finalità dell’istituto è di mettere a disposizione
delle stazioni appaltanti uno strumento flessibile
che consente di selezionare, attraverso una procedura ad evidenza pubblica, uno o più operatori cui
affidare tutti gli appalti relativi ad uno specifico
settore per un determinato periodo (10) con evidenti vantaggi in termini di programmazione ed efficientamento delle procedure di acquisizione.
Anche la nuova disciplina dei sistemi dinamici di
acquisizione, contenuta all’art. 55 del codice, riproduce testualmente le Direttive UE (11), introducendo alcune significative innovazioni alla regolamentazione dell’istituto già prevista dall’art. 60 del
previgente Codice dei Contratti (12).
Tale strumento costituisce un processo di acquisizione interamente elettronico da utilizzarsi non solo più per forniture di beni e servizi tipizzati e standardizzati (come nella previgente disciplina) ma
per tutti gli acquisti di uso corrente le cui caratteristiche, così come generalmente disponibili sul mer-
(8) Si vedano l’art. 33 della Dir. 2014/25/UE e l’art. 51 della
Dir. 2014/25/UE.
(9) Elementi di novità rispetto alla previgente disciplina sono la mancata indicazione del numero minimo di soggetti (tre
nel precedente codice) con cui deve essere concluso un accordo, laddove si sia nell’ipotesi conclusione di accordo con più
operatori, nonché l’assenza di espliciti riferimenti al criterio di
rotazione per la scelta del soggetto cui affidare il singolo appalto.
(10) Quattro anni per gli appalti ordinari e otto anni per
quelli speciali.
(11) Si vedano l’art. 34 della Dir. 2014/24/UE e l’art. 52 della
Dir. 2014/25/UE.
(12) Rispetto all’art. 60 del D.Lgs. n. 163/2006 viene introdotto l’obbligo per le amministrazioni di comunicare alla Commissione Ue ogni variazione del periodo di validità del sistema
rispetto a quello indicato nell’avviso di gara. Rispetto alle Direttive UE, viene reinserita - in linea con quanto prevedeva l’art.
287 del d.P.R. n. 207 del 2010 - la facoltà per il Ministero dell’Economia e delle Finanze, anche avvalendosi di Consip, di
realizzare e gestire un sistema dinamico di acquisizione per
conto delle stazioni appaltanti.
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cato, soddisfano le esigenze delle stazioni appaltanti. Altro elemento di novità consiste nel fatto che
le Stazioni appaltanti per istituire il sistema devono seguire le disposizioni sulle procedure ristrette
(e non più quelle sulle procedure aperte). Il sistema è, per sua natura, limitato nel tempo (ma scompare il limite massimo di quattro anni) e aperto
per tutta la sua durata a qualsiasi operatore economico che soddisfi i criteri di selezione. Esso consente alle stazioni appaltanti - grazie ai mezzi elettronici utilizzati - di disporre di un ampio spettro
di offerte, sia da parte degli operatori già selezionati che di quelli che possono successivamente chiedere di aderire al sistema, e quindi di garantire un
efficiente utilizzo delle risorse pubbliche.
L’art. 56 del nuovo codice (13), sulla scorta di
quanto già previsto all’art. 85 del previgente Codice dei Contratti, disciplina le Aste elettroniche, le
quali intervengono dopo una prima valutazione
completa delle offerte, consentendo di classificare
le stesse sulla base di un trattamento automatico,
mediante un dispositivo elettronico. Esso può trovare applicazione nell’ambito di tutte le procedure
ammissibili (aperte, ristrette, negoziate previo bando, competitive con negoziazione, accordi quadro,
sistemi dinamici dia acquisizione) purché il contenuto dei documenti di gara possa essere fissato in
maniera precisa. Per tale ragione gli appalti di servizi e lavori che hanno ad oggetto prestazioni intellettuali (come la progettazione) non possono essere oggetto di aste elettroniche.
La norma successiva, art. 57 del nuovo codice (14),
detta la disciplina dei cataloghi elettronici, ovvero
di un ulteriore strumento di e-procurement che consiste in un formato per la presentazione e organizzazione delle informazioni in un modo comune per
tutti gli offerenti, suscettibile di trattamento elettronico (ad esempio un foglio elettronico). L’art.
58, infine, disciplina le modalità di svolgimento
delle gare interamente gestite con sistemi telematici, per quanto attiene alla ricezione delle offerte ed
agli adempimenti successivi, al controllo dei requisisti speciali, alla fase di aggiudicazione.
Procedure telematiche: legittima
attenuazione dei principi di trasparenza
e pubblicità delle gare?
Il Consiglio di Stato in recenti pronunce (15) ha
ritenuto che lo svolgimento in seduta riservata delle operazioni di gara - sia per le aste elettroniche
che per le procedure telematiche (16) - sia giustificato dalla particolarità della procedure, che consente una piena tracciabilità delle operazioni, nonché dalla natura essenzialmente quantitativa e vincolata dei criteri di valutazione, dovendo la Commissione valutare se le caratteristiche tecniche delle offerte siano coerenti con le previsioni di gara e
poi attribuire il punteggio previsto, e dalla segretezza dell’identità dei candidati fino all’ultima offerta (17).
I giudici di Palazzo Spada hanno precisato che tali
modalità sono idonee a soddisfare l’interesse pubblico alla trasparenza ed imparzialità, che devono
caratterizzare le procedure delle gare pubbliche, nel
rispetto dei principi di tutela della par condicio tesi
a tutelare i principi di pubblicità e trasparenza posti a fondamento della disciplina comunitaria e nazionale in materia di appalti pubblici (18).
Nell’asta elettronica, infatti, rischi di alterazione
del confronto concorrenziale potrebbero verificarsi
qualora gli offerenti potessero comunicare tra loro
nel corso della speciale procedura ed è per questo
che, qualora non fosse assicurata una adeguata riservatezza, sussisterebbe la possibilità di accordi
fraudolenti.
Quindi, conclude il Consiglio di Stato, la circostanza che la prima valutazione completa delle offerte pervenute abbia luogo in seduta riservata,
consente di introdurre dei momenti di segretezza,
ulteriori rispetto a quelli riguardanti altre procedure, nelle quali le offerte sono immodificabili a seguito dell’apertura delle buste contenenti la documentazione amministrativa e l’offerta tecnica.
Tuttavia, l’art. 56 del D.Lgs. n. 50/2016 ha stabilito
che “Nelle procedure aperte, ristrette o competitive
con negoziazione o nelle procedure negoziate precedute da un’indizione di gara, le stazioni appaltanti
possono stabilire che l’aggiudicazione di un appalto
(13) Si vedano l’art. 35 della Dir. 2014/24/UE e l’art. 53 della
Dir. 2014/25/UE.
(14) Si vedano l’art. 36 della Dir. 2014/24/UE e l’art. 54 della
Dir. 2014/25/UE.
(15) Cons. Stato, Sez. V, 5 dicembre 2014, n. 6017 e Cons.
Stato, Sez. V, 5 dicembre 2014, n. 60178.
(16) G. Barbaro, La gara telematica per l’affidamento di lavori
pubblici: una procedura possibile. Analisi giuridico - funzionale
di un possibile sistema informatico, in Lexitalia, 2004, 3.
(17) Per un ampio commento delle pronunce si veda C. Lenoci, La simbiosi tra aste elettroniche e procedure telematiche,
in questa Rivista, 2015, 3, 291.
(18) Per un’approfondita ricognizione pratica sul tema si veda G. Sorrentino, La gestione delle gare telematiche nel contenzioso amministrativo, in Appalti e contratti, 2016, n. 1-2, 67, n.
3, 63, n. 4, 4.
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Giurisprudenza
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sia preceduta da un’asta elettronica quando il contenuto dei documenti di gara, in particolare le specifiche tecniche, può essere fissato in maniera precisa”.
Tale indicazione di dettaglio denota la consapevolezza e la preoccupazione da parte del Legislatore
di contenere l’utilizzo delle aste elettroniche entro
limiti prestabiliti, al fine di evitare abusi di tale
strumento che comporterebbero il rischio di sfalsamento della concorrenza (19). L’orientamento del
Cons. Stato appare, dunque, azzardato, atteso che
il solo utilizzo dell’asta elettronica non vale di per
sé a legittimare una diminuzione degli obblighi di
trasparenza e pubblicità delle procedure.
D’altra parte la valorizzazione degli automatismi
delle procedure telematiche, se vista come un favor
dal punto di vista della stazione appaltante, costituisce invece una penalizzazione nell’ottica dei partecipanti alle gare, che devono attenersi rigidamente a quanto prestabilito dalla procedura.
È stato affermato (20), infatti, che è legittima la
previsione della lex specialis secondo cui “l’impresa
è tenuta ad utilizzare, pena esclusione, il “modulo
offerta” fornito in versione elettronica formato .xls.
Il modulo compilato non dovrà essere convertito,
pena esclusione, in altri formati (es. pdf). L’impresa dovrà pertanto firmare digitalmente il file nel
formato .xls”.
Secondo la giurisprudenza, le descritte modalità di
compilazione del file “modulo offerta” con estensione .xls (un foglio di calcolo, quest’ultimo caratterizzato da una forma telematica in grado di garantire una gestione automatizzata del proprio contenuto direttamente attraverso strumenti elettronici) risultano pienamente funzionali all’esigenza di
celerità e automatismo della valutazione delle offerte nell’ambito di una procedura telematica rispondendo ad una ratio di efficienza dell’azione amministrativa in rapporto alla quale la sanzione
espulsiva espressamente imposta dagli atti di gara
rappresenta previsione coerente e proporzionata.
A rafforzare, infine, la legittimità dell’esclusione
operata dalla Stazione Appaltante muove la considerazione che in alcun modo la suddetta clausola rendesse impossibile ovvero eccessivamente difficoltoso
l’inoltro del modulo offerta in via telematica, modalità quest’ultima avente l’evidente scopo di informatizzare e velocizzare la procedura di selezione, nel rispetto delle concomitanti esigenze di trasparenza e
di imparzialità nella delibazione delle offerte.
Gare telematiche e gare elettroniche:
analogie e differenze. Riflessioni sul nuovo
regime delle comunicazioni ex art. 76
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La giurisprudenza (21) - in un caso di ricorso presentato avverso l’aggiudicazione definitiva di una
gara (indetta dalla società Expo 2015) ai sensi dell’art. 125, comma 11, D.Lgs. n. 163/2006, per l’affidamento del servizio di ideazione e sviluppo di un
prototipo di una piattaforma tecnologica ha affermato che la gestione delle procedura in modalità
interamente telematica attraverso la piattaforma
(gestita da Arca Lombardia) non determina de plano la qualificazione della gara come asta elettronica.
A differenza di quest’ultima, infatti, soltanto la
presentazione delle offerte e non anche la valutazione delle stesse avviene in modalità telematica
(cioè automatica da parte del sistema); in particolare, avendo la stazione appaltante scelto l’offerta
economicamente più vantaggiosa quale criterio di
aggiudicazione è legittima l’attività - di natura discrezionale - svolta dalla Commissione giudicatrice
nell’attribuzione dei punteggi.
Con riferimento, poi, all’incompletezza della comunicazione ex art. 79, comma 5, D.Lgs. n. 163/2006
relativa all’operatore aggiudicatario con relativo
punteggio ottenuto, ma priva della data di scadenza del termine dilatorio per la stipulazione del contratto (stand stili period) e delle motivazioni in ordine alle caratteristiche e ai vantaggi dell’offerta selezionata, si tratta di una mera irregolarità che non
può determinare l’annullamento del provvedimento ma, ricorrendone i presupposti, ragione di proposizione di motivi aggiunti.
La nuova disciplina dello stand still period, peraltro,
prevede, all’art 32, comma 10, lett. b che il medesimo non si applichi (peraltro come in passato) nel
caso di appalti basati su accordi quadro di cui all’art. 54, nel caso di appalti specifici basati su un sistema dinamico di acquisizione di cui all’art. 55,
nel caso di acquisti effettuati attraverso il mercato
elettronico e nel caso di affidamenti effettuati ai
sensi dell’art. 36, comma 2, lett. a) e b), ovvero
per affidamenti di importo inferiore a euro 40.000
(mediante affidamento diretto, adeguatamente motivato o per i lavori in amministrazione diretta),
nonché per affidamenti di importo pari o superiore
a euro 40.000 e inferiore a euro 150.000 per i lavo-
(19) A. Masucci, Le aste elettroniche e la modernizzazione
delle procedure di aggiudicazione, in Giornale di diritto amministrativo, 2013, 3, 317.
(20) T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. I, 5 marzo 2014, n. 381.
(21) T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 8 gennaio 2014, n.
14.
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ri, o alle soglie di cui all’art. 35 per le forniture e i
servizi, mediante procedura negoziata previa consultazione di almeno cinque operatori economici
individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici (tale esclusione dello stand still, limitando - oltretutto senza la
copertura della legge delega per la riforma del Codice - l’effettività della tutela affermata in sede comunitaria, sarà all’evidenza foriera di contese).
Si coglie il riferimento all’art. 79 del D.Lgs. n.
163/2006 per segnalare che la nuova disciplina generale delle comunicazioni è ora racchiusa nell’art.
76 del codice n. 50/2016.
Il provvedimento che determina le esclusioni è,
oggi, soggetto a una sorta di pubblicazione in tempo reale. Per gli altri atti, invece, lo stesso art. 76
contempla diversi termini per l’effettuazione delle
comunicazioni, incentrate, in particolare, sulla previsione del termine di risposta della stazione appaltante, da effettuare entro “quindici giorni” dalla richiesta dell’interessato. La soppressione dell’art. 79
ha suscitato dubbi in dottrina in relazione alla decorrenza del termine per proporre l’impugnativa (22) nel giudizio “specialissimo” sulle ammissioni previsto dal novellato art. 120 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104.
In linea di principio la completa digitalizzazione
della procedura di gara dovrebbe consentire all’operatore interessato di conoscere “immediatamente” e senza particolari difficoltà, tutti gli atti di gara.
Dal momento della disponibilità informatica dei
documenti del procedimento, l’interessato dovrebbe essere in possesso delle cognizioni essenziali per
la proposizione del ricorso. Tuttavia, qualora dovesse risultare assente, o incompleta, la piena informatizzazione della procedura, l’interessato, nel
nuovo regime, non avrebbe più a disposizione lo
strumento dell’accesso informale da esercitare nei
dieci giorni dalla comunicazione (di cui all’abrogato comma 5 quater dell’art. 79 (23)).
La soluzione più equilibrata e ragionevole dovrebbe
essere quella secondo cui, in tale situazione, una
volta ottenuta la comunicazione dell’aggiudicazione, l’interessato abbia l’onere di impugnare il provvedimento lesivo entro trenta giorni.
Resta ferma, però, la facoltà di proporre motivi aggiunti, nel termine decorrente dalla effettiva conoscenza degli altri atti di gara.
Da notare, ancora, che il regime delle comunicazioni e pubblicazioni “immediate” riguarda il solo
provvedimento di ammissione-esclusione adottato
all’esito della fase preliminare di gara. Lo stesso regime, invece, non è previsto per le esclusioni o
(ri)ammissioni intervenute successivamente (24).
La pronuncia in esame precisa poi che, qualora il
criterio di aggiudicazione prescelto sia l’offerta economicamente più vantaggiosa, la nomina della
Commissione giudicatrice deve avvenire anche per
le procedure telematiche dopo la scadenza del termine di presentazione delle offerte, ai sensi dell’art.
84, comma 10 del codice dei contratti.
In relazione alla previgente normativa (costituita
dal d.P.R. n. 207/2010, abrogato dal D.Lgs. n.
50/2016), viene affermato che ai sensi dell’art.
328, comma 4 del regolamento di attuazione, le
stazioni appaltanti possono effettuare acquisti di
beni e servizi sotto soglia (25):
a) attraverso un confronto concorrenziale delle offerte pubblicate all’interno del mercato elettronico
o delle offerte ricevute sulla base di una richiesta
di offerta rivolta ai fornitori abilitati;
b) in applicazione delle procedure di acquisto in
economia. Si tratta, dunque, di procedure indette
ai sensi dell’art. 124 (negoziate sotto soglia) e 125
(cottimo fiduciario e affidamento diretto) del codice dei contratti e rientranti nel genus delle gare interamente gestite con sistemi telematici di cui all’art. 85, comma 13 del codice dei contratti.
Con riferimento allo stand still period si evidenzia
che la L. n. 94/2012 ha espressamente esteso la
non applicazione di tale istituto nell’ipotesi di acquisto effettuato attraverso il mercato elettronico
(22) Si veda M. Lipari, La tutela giurisdizionale e “precontenziosa” nel nuovo Codice dei contratti pubblici, in www.federalismi.it, 2016, 10, 26.
(23) Secondo cui: “Fermi i divieti e differimenti dell’accesso
previsti dall’articolo 13, l’accesso agli atti del procedimento in
cui sono adottati i provvedimenti oggetto di comunicazione ai
sensi del presente articolo è consentito entro dieci giorni dall’invio della comunicazione dei provvedimenti medesimi mediante visione ed estrazione di copia. Non occorre istanza
scritta di accesso e provvedimento di ammissione, salvi i provvedimenti di esclusione o differimento dell’accesso adottati ai
sensi dell’articolo 13. Le comunicazioni di cui al comma 5 indi-
cano se ci sono atti per i quali l’accesso è vietato o differito, e
indicano l’ufficio presso cui l’accesso può essere esercitato, e i
relativi orari, garantendo che l’accesso sia consentito durante
tutto l’orario in cui l’ufficio è aperto al pubblico o il relativo personale presta servizio”.
(24) La scelta legislativa potrebbe risultare coerente con
l’opzione di assoggettare al rito specialissimo solo determinati
atti. Tuttavia, si potrebbe valutare, in sede di correttivo, l’opportunità di prevedere, comunque, lo stesso regime di pubblicità anche per gli atti successivi. (M. Lipari, op. cit., 29).
(25) Oggi si veda l’art. 36 del nuovo codice appalti.
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della pubblica amministrazione di cui all’art. 328
del Regolamento (26).
ricevuta di avvenuta consegna. La ricevuta di avvenuta consegna fornisce al mittente prova che il
suo messaggio di posta elettronica certificata è effettivamente pervenuto all’indirizzo di posta elettronico dichiarato dal destinatario e certifica il momento della consegna tramite un testo, leggibile
dal mittente, con tenente i dati di certificazione
(art. 6).
In altri termini, la corrispondenza trasmessa tra
due caselle PEC (“domini” certificati) prevede le
seguenti operazioni: quando il mittente possessore
di una casella PEC invia un messaggio ad un altro
utente certificato, il messaggio viene raccolto dal
gestore del dominio certificato (punto di accesso)
che vi applica una firma elettronica in modo da garantirne provenienza e inalterabilità. Successivamente il messaggio viene indirizzato al gestore
PEC destinatario, che verifica la firma e provvede
alla consegna al ricevente (punto di consegna).
Solo a questo punto il gestore PEC destinatario invia una ricevuta di avvenuta consegna al mittente
che non prima di questo momento può essere certo
che il suo messaggio sia arrivato a destinazione (s)
Appare chiaro, quindi, che soltanto la ricevuta di
consegna (e non la ricevuta di accettazione) rappresenti elemento di presunzione di conoscenza del
messaggio inviato. In caso di errore ovvero di mancata acquisizione della ricevuta di consegna è onere della Stazione Appaltante attivare modalità di
comunicazione alternative (28).
Procedura di gara con invito telematico:
in caso di indirizzo pec errato l’onere
di verifica grava sulla Stazione appaltante
Nelle gare d’appalto la gestione delle comunicazioni in modalità telematica tramite l’utilizzo della
posta elettronica certificata (PEC) (27) impone in
capo alla Stazione Appaltante l’onere di verificare
la corretta ricezione delle stesse da parte degli operatori economici partecipanti anche nell’ipotesi di
errata indicazione della casella PEC sulla domanda
di partecipazione inoltrata - nel caso specifico - a
seguito della pubblicazione di un avviso pubblico
esplorativo per l’affidamento in concessione del
servizio di ripristino delle condizioni di sicurezza
per la viabilità in situazioni di emergenza. L’utilizzo
della posta elettronica certificata nell’ambito dei
rapporti tra pubblica amministrazione e privato è
disciplinato, infatti, dal d.P.R. 11 febbraio 2005, n.
68 così come di seguito schematicamente riportato.
Il documento informatico trasmesso per via telematica si intende spedito dal mittente se inviato al
proprio gestore, e si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all’indirizzo elettronico da
questi dichiarato, nella casella di posta elettronica
del destinatario messa a disposizione dal gestore
(art. 3). La posta elettronica certificata consente
l’invio di messaggi la cui trasmissione è valida agli
effetti di legge. La validità della trasmissione e ricezione del messaggio di posta elettronica certificata è attestata rispettivamente dalla ricevuta di accettazione e dalla ricevuta di avvenuta consegna
(art. 4). Il gestore di posta elettronica certificata
utilizzata dal mittente fornisce al mittente stesso la
ricevuta di accettazione nella quale sono contenuti
i dati di certificazione che costituiscono prova dell’avvenuta spedizione di un messaggio di posta elettronica certificata. Il gestore di posta elettronica
certificata utilizzato dal destinatario fornisce al
mittente, all’indirizzo elettronico del mittente, la
L’obbligo di utilizzo del MePA legittima
la revoca della procedura ordinaria, senza
specifici oneri motivazionali
Il Consiglio di Stato (29) ha ritenuto corretto l’operato di un’azienda sanitaria che ha revocato una
procedura “tradizionale” in economia per l’affidamento del servizio di mediazione culturale indetta
ai sensi dell’art. 125 del codice dei contratti, avendo riscontrato la possibilità (rectius obbligo) di ricorrere al Mercato elettronico della pubblica amministrazione.
(26) Nell’ambito della piattaforma Mepa, è possibile effettuare richieste di offerte prevedendo quale criterio di aggiudicazione sia il prezzo più basso sia l’offerta economicamente
più vantaggiosa; in entrambe le ipotesi, tuttavia, la gestione telematica della procedura (rectius l’attivazione dei diversi comandi sul Portale Consip) è effettuata a livello operativo da un
solo soggetto referente della Stazione Appaltante (il c.d. Punto
Ordinante) fermo restando - nell’ipotesi di gara con l’OEPV l’attività effettuata off line (fuori piattaforma) dalla Commissione giudicatrice. Per completezza, si segnala che qualora la valutazione tecnica delle offerte sia di carattere oggettivo (cioè
legata a parametri numerici) è possibile “programmare” la singola Richiesta di offerta in modo che la valutazione (di caratte-
re non discrezionale) delle offerte sia effettuata direttamente
dal sistema telematico (cfr. G. Sorrentino, op. cit., nn. 1-2, 69).
(27) Per quanto attiene al Mepa, la gestione delle RDO non
prevede l’inoltro degli inviti mediante messaggi di posta elettronica certificata. In particolare, in fase di caricamento della
procedura, il Punto Ordinante può scegliere (mediante il campo “Invita tutti i fornitori”) se la gara sia riservata agli operatori
già abilitati ovvero se la stessa sia "aperta" anche ad operatori
privi della necessaria abilitazione.
(28) T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. I, 6 febbraio 2014, n.
222.
(29) Cons. Stato, Sez. III, 22 ottobre 2014, n. 5202 (conferma T.A.R. Marche, Ancona, Sez. I, 7 marzo 2014, n. 325).
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Secondo i giudici di Palazzo Spada, infatti, l’utilizzo
del MePA non richiede necessariamente la totale
identità tra il servizio offerto in piattaforma (ovvero disponibile direttamente all’interno dei Cataloghi elettronici) e quello richiesto dalla Stazione
Appaltante.
Accanto all’Ordine diretto (ODA) caratterizzato
dalla possibilità di acquistare un determinato prodotto/servizio tra quelli disponibili a catalogo, la
Stazione Appaltante ha, infatti, la possibilità di attivare una Richiesta di offerta (RdO) sia al fine di
poter ottenere uno sconto sul miglior prezzo presente a catalogo sia al fine di poter attivare una negoziazione di natura tecnica e/o economica su un
servizio o fornitura (c.d. metaprodotto) da realizzare secondo le proprie specifiche esigenze (cc.dd.
condizioni particolari di contratto); nel caso specifico la Stazione Appaltante ha riscontrato la presenza nel MePA del servizio di interpretariato da
remoto considerato - nell’ambito della propria discrezionalità tecnica - quale servizio affine alla mediazione culturale; in particolare, il capitolato speciale d’appalto messo a gara dall’Azienda sanitaria
prevedeva che il servizio di interpretariato telefonico venisse integrato con l’intervento di personale
su chiamata e con l’utilizzo di mediatori culturali.
Ai sensi dell’art. 15, comma 13, lett. d), D.L. n.
95/2012, convertito con L. n. 135/2012, gli enti
del servizio sanitario nazionale, ovvero, per essi, le
regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, utilizzano, per l’acquisto di beni e servizi di importo pari o superiore a euro 1.000 relativi alle categorie merceologiche presenti nella piattaforma
CONSIP, gli strumenti di acquisto e negoziazione
telematici messi a disposizione dalla stessa CONSIP - compreso quindi il MEPA -, ovvero, se disponibili, dalle centrali di committenza regionali di
riferimento costituite ai sensi dell’art. 1, comma
455, L. 27 dicembre 2006, n. 296; i contratti stipulati in violazione di quanto sopra indicato sono
nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa. Attesa l’obbligatorietà dell’utilizzo del MePA, la decisione in
autotutela di revocare una gara “tradizionale” per
utilizzare la piattaforma MePA non necessità di ulteriore e specifica motivazione.
Sottoscrizione digitale dell’offerta
In materia di sottoscrizione digitale della documentazione di gara occorre premettere che la stessa su(30) T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 2 aprile 2013, n. 459.
(31) Oggi si vedano art 40 e 52, comma 8, lett. c) del nuovo
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birà in futuro notevoli mutamenti rapportati dall’introduzione del Documento di Gara Unico Europeo previsto dall’art. 85 del Nuovo Codice.
Nell’ipotesi di partecipazione da parte di un costituendo raggruppamento di imprese ad una procedura di gara telematica l’offerta economica deve essere sottoscritta (con firma digitale) da parte di
tutti i legali rappresentanti dei componenti del raggruppamento, comprese le mandanti, pena la mancanza di un elemento essenziale dell’offerta economica non sanabile ex post a mezzo del c.d. “soccorso istruttorio” (30), oggi disciplinato dall’art. 83,
comma 9, D.Lgs. n. 50/2016.
Nell’ambito delle procedure telematiche di gara il
codice dei contratti, all’art. 77, comma 6, lett.
b) (31), dispone che le offerte degli operatori economici debbano essere presentate solo utilizzando
la firma elettronica digitale, come definita e disciplinata dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82.
Tale previsione, correttamente sanzionata a pena
di esclusione, risulta conforme alla disciplina prevista in materia di tassatività delle cause di esclusione dall’abrogato art. 46, comma 1 bis (32) del citato codice dei contratti: il legislatore, infatti, ha
previsto, tra l’altro, l’esclusione dalla gara, oltre
che nei casi previsti dalla legge, anche nei casi di
difetto di sottoscrizione (telematica nel caso di specie) nonché di incertezza assoluta in ordine ad elementi essenziali dell’offerta.
L’applicazione delle disposizioni di cui al citato art.
77 non determina, altresì, alcuna violazione dell’art. 38. comma 2, d.P.R. 28 dicembre 2000, n.
445: infatti, in materia di documentazione amministrativa, se da un lato tutte le istanze e le dichiarazioni da presentare alla pubblica amministrazione
possono essere inviate anche per fax o per via telematica, dall’altro è previsto che queste ultime sono
da considerarsi valide solo se effettuate secondo
quanto previsto dall’art. 65, D.Lgs. n. 82 del 2005
ovvero nei seguenti casi:
a) se sottoscritte mediante la firma digitale, il cui
certificato è rilasciato da un certificatore accreditato;
b) ovvero, quando l’autore è identificato dal sistema informatico con l’uso della carta d’identità elettronica o della carta nazionale dei servizi, nei limiti
di quanto stabilito da ciascuna amministrazione ai
sensi della normativa vigente;
c) ovvero quando l’autore è identificato dal sistema
informatico con i diversi strumenti di cui all’art.
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64, comma 2, nei limiti di quanto stabilito da ciascuna amministrazione ai sensi della normativa vigente nonché quando le istanze e le dichiarazioni
sono inviate con le modalità di cui all’art. 38, comma 3, d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445;
c bis) ovvero se trasmesse dall’autore mediante la
propria casella di posta elettronica certificata purché le relative credenziali di accesso siano state rilasciate previa identificazione del titolare, anche
per via telematica secondo modalità definite con
regole tecniche adottate ai sensi dell’articolo 71, e
ciò sia attestato dal gestore del sistema nel messaggio o in un suo allegato. In tal caso, la trasmissione
costituisce dichiarazione vincolante ai sensi dell’art. 6, comma 1, secondo periodo. Sono fatte salve le disposizioni normative che prevedono l’uso di
specifici sistemi di trasmissione telematica nel settore tributario.
In tale contesto, tuttavia, la natura imperativa riconosciuta all’art. 77 del D.Lgs. n. 163/2006 impone per le procedure telematiche che le offerte siano
valide solo se sottoscritte, mediante firma digitale.
Dinanzi alla mancata sottoscrizione digitale dell’offerta economica da parte della mandante nell’ambito di una gara MePA, la giurisprudenza (33) partendo dal presupposto che “la firma serve a rendere nota la paternità e a vincolare l’autore al contenuto del documento ritraente detta dichiarazione, assolve, cioè, la funzione indefettibile di assicurare provenienza, serietà, affidabilità e insostituibilità dell’offerta e costituisce elemento essenziale
per la sua ammissibilità, sotto il profilo sia formale
sia sostanziale, potendosi solo ad essa riconnettere
gli effetti propri della manifestazione di volontà
volta alla costituzione del rapporto giuridico” ha
precisato che “la mancanza della sottoscrizione (richiesta a tutti gli operatori economici costituendi
il raggruppamento temporaneo non ancora costituito ai sensi dell’art. 37 comma 8 codice), pregiudicando un interesse sostanziale pubblicistico,
comporta che l’offerta non possa essere ‘tal quale
accettata; non integra, cioè, una mera irregolarità
formale sanabile nel corso del procedimento, ma
inficia irrimediabilmente la validità e la ricevibilità
della dichiarazione di offerta, senza che, all’uopo,
sia necessaria una espressa previsione della lex specialis”. Dì particolare interesse è, altresì, il passaggio nella sentenza sulla delibera dell’ANAC n.
1/15, nella parte in cui quest’ultima, dopo avere
qualificato come elemento essenziale la sottoscrizione dell’offerta, ne prevede la sola sanzione pecuniaria, ritenendo che l’omissione sia sanabile, “ferma restando la riconducibilità dell’offerta al concorrente”. Ad avviso del Collegio, infatti, la mancata sottoscrizione digitale da parte della mandante
fa venire meno proprio la riconducibilità dell’offerta alla concorrente, presupposto quest’ultimo necessario per l’applicazione del soccorso istruttorio;
inoltre, conformemente a quanto già rappresentato
dall’Ad. Plen. n. 9/2014, consentire la sottoscrizione dell’offerta economica mediante soccorso istruttorio equivale a superare il termine ultimo di presentazione delle offerte, con compromissione del
canone di par condicio e buon andamento nonché,
circostanza ancora più grave, di violazione del
principio di segretezza dell’offerta.
In sede di attività di verifica della sottoscrizione digitale dell’offerta la giurisprudenza (34) ha affermato che rientra nella piena responsabilità della stazione appaltante munirsi degli strumenti necessari
per aprire e leggere i file trasmessi dal concorrente.
Talché essendo emerso che i “file” forniti dalla ricorrente risultavano perfettamente leggibili e privi
di qualsivoglia errore informatico che potesse comprometterne la lettura la pronuncia ha concluso
che eventuali problemi nella loro apertura e lettura
erano da addebitarsi alla mancanza di conoscenze
(di base) o strumentazioni informatiche (software
di base) di chi era addetto alla ricezione di tali documenti.
L’offerta della ricorrente era stata correttamente
redatta e trasmessa e la mancata lettura della documentazione presentata a suo corredo risultava imputabile esclusivamente a responsabilità della P.A.,
che avrebbe facilmente potuto ovviare all’inconveniente disponendo un supplemento istruttorio, anche con l’ausilio di personale all’uopo maggiormente qualificato, in grado di procedere all’utilizzo dei
programmi informatici necessari (e, per quanto
emerso, scaricabili liberamente da internet nella
loro versione gratuita), onde poter agevolmente
procedere all’apertura dei file trasmessi e pervenuti
alla s.a. tramite piattaforma MePA.
In relazione ai Raggruppamenti temporanei d’impresa è stato chiarito, infine, che nelle gare telematiche l’obbligo di sottoscrizione dell’offerta da parte
(33) T.A.R. Lazio, Roma, Sez. 111 ter, 30 giugno 2015, n.
8743.
(34) In altri termini, l’applicazione del soccorso istruttorio
consentirebbe ad un concorrente di esprimere la sua volontà
di partecipazione alla gara in un momento nel quale tale possi-
bilità è preclusa a tutti gli altri concorrenti incidendo, con un
ulteriore atto di volontà, sulle sorti della procedura. (G. Sorrentino, La gestione delle gare telematiche nel contenzioso amministrativo, in Appalti e contratti, 2016, 4, 89).
Urbanistica e appalti 8-9/2016
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di tutti gli operatori associati non si applica nell’ipotesi di RTI costituito. In tal caso, infatti, l’offerta deve essere sottoscritta soltanto dall’operatore
capogruppo (35), così come l’obbligo di utilizzo
della firma digitale sussiste anche nell’ipotesi di
sottoscrizione del contratto di avvalimento (36).
Considerazioni conclusive
Una prima riflessione sul tema riguarda il fatto che
la stratificazione normativa ha reso difficile per gli
operatori del settore operare concretamente attraverso gli strumenti telematici previsti dal sistema
giuridico. L’obbligo di approvvigionarsi (per gli importi sotto la soglia di rilevanza comunitaria) attraverso gli strumenti di acquisto e negoziazione, telematici e non, messi a disposizione da Consip o dagli altri soggetti aggregatori (centrali di committenza regionali) (MePa, altri mercati elettronici,
Convenzioni, Accordi Quadro), deve essere coordinata con le norme contenute nel nuovo Codice
degli appalti.
Le varie leggi di stabilità e spending review, che si
sono succedute in questi anni, devono necessariamente trovare un sistema di armonizzazione con la
disciplina prevista all’art. 38 del nuovo Codice in
materia di qualificazione delle stazioni appaltanti.
Si auspica, ovviamente, che la normativa di integrazione al codice che verrà emanata (37) disponga
(35) Cons. Stato, Sez. III, 15 gennaio 2016, n. 112.
(36) Cons. Stato, Sez. V, 15 marzo 2016, n. 1032.
(37) Ai sensi del comma 2, dell’art. 38 del D.Lgs. n.
50/2016, infatti: “Con decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri, da adottarsi, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministro dell’economia e delle finanze,
di concerto con il Ministro per la semplificazione della pubblica
amministrazione, entro novanta giorni dalla data di entrata in
vigore del presente codice, sentite l’ANAC e la Conferenza
Unificata, sono definiti i requisiti tecnico organizzativi per l’iscrizione all’elenco di cui al comma 1, in applicazione dei criteri di qualità, efficienza e professionalizzazione, tra cui, per le
centrali di committenza, il carattere di stabilità delle attività e il
992
anche chiaramente e una volta per tutte il coordinamento tra le varie normative.
L’aspetto fondamentale, quando entrerà a regime
la qualificazione, sarà comprendere innanzitutto
quando la la Stazione Appaltante possa procedere
autonomamente agli acquisti, oppure debba delegare gli stessi ad altri soggetti (soggetti aggregatori),
inquadrando i limiti normativi della libertà d’azione delle stazioni appaltanti e le modalità di attuazione concreta di tale azione (mediante ricorso al
MePA oppure altri mercati gestiti da centrali di
committenza regionale o territoriale, convenzioni,
Accordi Quadro etc.).
Un ulteriore auspicio concerne il fatto che la necessità di operare un’effettiva spending review nel
settore pubblico, sia sorretta da una visione unitaria, che non rinunci alla qualità dei servizi erogati
ai cittadini secondo i principi di semplificazione ed
efficienza dell’apparato amministrativo.
In relazione al settore degli appalti pubblici, in particolare, l’implementazione delle nuove tecnologie
informatiche dovrebbe permettere di raggiungere
obiettivi concreti, facilitando l’operato dell’Amministrazione e dei cittadini, ciò ben distante dal burocratizzare le procedure telematiche, le quali dovrebbero di per se costituire strumenti di facilitazione ed alleggerimento dell’agire amministrativo.
relativo ambito territoriale. Il decreto definisce, inoltre, le modalità attuative del sistema delle attestazioni di qualificazione e
di eventuale aggiornamento e revoca, nonché la data a decorrere dalla quale entra in vigore il nuovo sistema di qualificazione”; ed ai sensi del successivo comma 6: “L’ANAC stabilisce
le modalità attuative del sistema di qualificazione, sulla base di
quanto previsto dai commi da 1 a 5, ed assegna alle stazioni
appaltanti e alle centrali di committenza, anche per le attività
ausiliarie, un termine congruo al fine di dotarsi dei requisiti necessari alla qualificazione. Stabilisce, altresì, modalità diversificate che tengano conto delle peculiarità dei soggetti privati
che richiedono la qualificazione”.
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Appalti sostenibili
Appalti sostenibili, green public
procurement e socially
responsible public procurement
di Claudio Vivani
Il nuovo Codice introduce significative novità in materia di appalti sostenibili, green procurement e clausole sociali, suscettibili di modificare vari aspetti delle procedure di selezione dei
contraenti, in diverse fasi.
Premessa
È noto come il principio dello sviluppo sostenibile
si sia gradualmente affermato nelle politiche dell’Unione Europea, in molti settori, tra i quali non
secondario è quello dei contratti pubblici, anche in
ragione del più che significativo influsso sulle economie degli Stati membri.
La necessità di garantire lo sviluppo sostenibile anche nel settore dei contratti pubblici ha così deter(1) Sul tema, nell’ambito di un’ampia letteratura, cfr. B.
Sjåfjell, A. Wiesbrock, Sustainable Public Procurement under
EU Law, Cambridge, 2015; F. Lichére - R. Caranta - S. Treumer
(Curr.), Modernising Public Procurement: the New Directive,
Copenaghen, 2014; B. Fenni, Il Green Public Procurement come strumento di sviluppo sostenibile, 2014, in http://www.ambientediritto.it; L. Arecchi, La tutela delle esigenze ambientali,
sociali ed occupazionali nelle nuove direttive in materia di contratti pubblici, 2014, in http://www.lineeavcp.it; G. Fidone, Gli
appalti verdi all’alba delle nuove direttive: verso modelli più flessibili orientati a scelte eco-efficienti, in Riv. it. dir. pubblico comunitario, 2012, 819; R. Caranta, I contratti pubblici, Torino,
2012, 490; R. Caranta - M. Trybus (Curr.), The Law of Green
and Social Procurement in Europe, Copenaghen, 2010; S. Arrowsmith - P. Kunzlik (Curr.), Social and Environmental Policies
in EC Procurement Law, Cambridge, 2009; F. Gaverini, Attività
contrattuale della P.A. e protezione dell’ambiente: gli appalti verdi, in Riv. giur. Edilizia, 2009, 153; M Cafagno, Principi e strumenti di tutela dell’ambiente, Torino, 2007, 410; F. Spagnuolo,
Il Green Public Procurement e la minimizzazione dell’impatto
ambientale nelle politiche di acquisto della pubblica amministrazione, in Riv. it. dir. pubblico comunitario, 2006, 397.
Si segnalano inoltre numerose comunicazioni e pubblicazioni della Commissione Europea, tra le quali: Commissione Europea, Comunicazione del 7 febbraio 2001, Libro verde sulla politica integrata relativa ai prodotti, COM (2001) 68 def.; Commissione Europea, Comunicazione del 4 luglio 2001, Il diritto comunitario degli appalti pubblici e le possibilità di integrare considerazioni di carattere ambientale negli appalti pubblici, COM
(2001), 274 def.; Commissione Europea, Comunicazione del
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minato la graduale elaborazione del “green public
procurement” e del “socially responsible public procurement” (1).
La gradualità di tale processo risulta evidente se si
considera, ad esempio, che le prime direttive in
materia di appalti pubblici, ovverosia le direttive
92/50/CEE, 93/36/CEE, 93/37/CEE, non contenevano alcun riferimento a tali istituti, mentre nel
quadro della recente strategia “Europa 2020”, il legislatore europeo ha individuato l’appalto pubblico
15 ottobre 2001, Il diritto comunitario degli appalti pubblici e le
possibilità di integrare aspetti sociali negli appalti pubblici, COM
(2001) 566 def.; Commissione Europea, Comunicazione del 17
marzo 2003, Politica integrata dei prodotti. Sviluppare il concetto di ciclo di vita ambientale, COM (2003) 302 def.; Commissione Europea, Comunicazione del 16 luglio 2008, Sul piano d’azione “produzione e consumo sostenibili” e “politica industriale
sostenibile”, COM (2008) 397 def.; Commissione Europea, Comunicazione del 16 luglio 2008, Appalti pubblici per un ambiente migliore, COM (2008) 400 def.; Commissione Europea,
Comunicazione del 5 maggio 2009, Contribuire allo sviluppo
sostenibile: il ruolo del commercio equo e solidale e dei programmi non governativi in ambito commerciale a garanzia della
sostenibilità, COM (2009) 215 def.; Commissione Europea, Comunicazione del 3 marzo 2010, Europa 2020 - Una strategia
per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, COM
(2010)2020 def.; Commissione Europea, Comunicazione del 27
gennaio 2011, Libro verde sulla modernizzazione della politica
dell’UE in materia di appalti pubblici. Per una maggiore efficienza del mercato europeo degli appalti, COM (2011) 15 def.; Commissione Europea, Comunicazione del 2 luglio 2014, Verso
un’economia circolare: programma per un’Europa a zero rifiuti,
COM (2014) 398 def.; Commissione Europea, Comunicazione
del 2 dicembre 2015, L’anello mancante - Piano d’azione dell’UE per l’economia circolare, COM (2015) 614; Commissione
Europea, Acquisti sociali. Una guida alla considerazione degli
aspetti sociali negli appalti pubblici, Lussemburgo, 2011; Commissione Europea, Acquistare verde. Un manuale sugli appalti
pubblici ecocompatibili, Lussemburgo, 2005.
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come uno strumento essenziale per garantire la tutela ambientale e la responsabilità sociale (2).
In questa sede non è naturalmente possibile ripercorrere tale cammino, che può essere sinteticamente riassunto come segue: “il perseguimento di
obiettivi di politica ambientale e sociale è stato a
lungo considerato, nel diritto in materia di appalti
pubblici, un tabù, il che si è manifestato non da ultimo nell’impiego dello slogan “obiettivi estranei
alla prestazione”. Nel frattempo, è tuttavia ammesso, in linea di principio, che le autorità aggiudicatrici, in sede di affidamento degli appalti, possano
prendere in considerazione anche aspetti di politica ambientale e sociale (...). Nei dettagli sono tuttavia estremamente controversi i requisiti e la forma in cui concezioni di politica ambientale e sociale dell’amministrazione aggiudicatrice possono
confluire in una concreta procedura di aggiudicazione” (3).
Pare tuttavia importante ricordare come un ruolo
importante sia stato svolto dalla Corte di Giustizia,
che è stata chiamata a pronunciarsi in merito alla
compatibilità con il diritto europeo della facoltà di
considerare anche aspetti ambientali e sociali nell’aggiudicazione degli appalti pubblici.
Per quanto riguarda i profili ambientali, una pronuncia molto rilevante è intervenuta sul caso Concordia Bus Finland (4). In tale sentenza la Corte ha
chiarito che i criteri adottati per l’aggiudicazione
di un appalto pubblico all’offerta economicamente
più vantaggiosa possano non essere di natura meramente economica e, in particolare, possano avere
contenuti ecologici e ambientali (nella specie, la
qualità della gestione sotto il profilo ambientale di
un servizio di trasporto urbano di linea mediante
autobus, con particolare riguardo ai livelli di emissione di ossidi di azoto e di emissione sonora),
“purché tali criteri siano collegati all’oggetto dell’appalto, non conferiscano alla (...) amministrazione una libertà incondizionata di scelta, siano
espressamente menzionati nel capitolato d’appalto
o nel bando di gara e rispettino tutti i principi fondamentali del diritto comunitario, in particolare il
principio di non discriminazione”.
Tali principi sono stati ribaditi in casi successivi,
specificando anche che i criteri ambientali possono
essere riferiti non solo a caratteristiche qualitative
delle attività o dei prodotti, ma anche ai cicli produttivi a monte del prodotto o dell’attività acquistati dalle amministrazioni aggiudicatrici (tanto è
avvenuto, ad esempio, in relazione a un criterio di
aggiudicazione che imponeva la fornitura di elettricità ottenuta da fonti di energia rinnovabili nell’ambito di un appalto di fornitura di elettricità (5)).
È evidente come tale elaborazione giurisprudenziale sia risultata fondamentale al fine di orientare le
discipline normative successive, e mantenga ancora oggi una valenza interpretativa.
Anche per quanto riguarda i profili sociali vi sono
rilevanti pronunce della Corte di Giustizia che formulano canoni ermeneutici di perdurante rilevanza. La Corte di Giustizia ha analizzato la compatibilità con il diritto europeo delle cc.dd. clausole sociali, per tali intendendosi le disposizioni normative o le clausole contrattuali che abbiano l’obiettivo di promuovere finalità di carattere sociale, quali
ad esempio la tutela dei diritti dei lavoratori, la
stabilità occupazionale, l’adeguatezza della retribuzione, l’inclusione nel mondo del lavoro di soggetti
disabili o svantaggiati, affermandone la potenziale
ammissibilità in alcuni leading cases quali il caso
Gebroeders Beentjes (6) e il caso Regione Nord - Pas
de Calais (7), ma sempre a condizione che rispetti-
(2) Commissione Europea, Comunicazione del 3 marzo
2010, Europa 2020 - Una strategia per una crescita intelligente,
sostenibile e inclusiva, cit.; Commissione Europea, Comunicazione del 5 marzo 2014, Bilancio della strategia Europa 2020
per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, COM (2014),
130 def.
(3) Conclusioni dell’Avvocato Generale Juliane Kokott presentate il 15 dicembre 2011 in causa C-368/10, Commissione
europea C. Regno dei Paesi Bassi, in http://curia.europa.eu.
(4) Corte di Giustizia CE 17 settembre 2002, causa C513/99, Concordia Bus Finland Oy Ab C. Helsingin kaupunki et
al., in questa Rivista, 2003, 168, con nota di M. Brocca, Criteri
ecologici nell’aggiudicazione degli appalti.
(5) Corte di Giustizia CE, Sez. VI, 4 dicembre 2003 causa C448/01, EVN AG, Wienstrom Gmbh C. Republik Österreich, in
http://www.curia.europa.eu. Con riferimento all’origine di prodotti alimentari da coltivazioni agricole biologiche o alla provenienza da commercio equo e solidale, cfr. Corte di Giustizia
UE, Sez. III, 10 maggio 2012, causa C-368/10, Commissione
europea C. Regno dei Paesi Bassi, in http://www.curia.europa.eu. Per un commento coordinato di queste pronunce e di
quella sul caso Concordia Bus Finland, cfr. anche S. Arrowsmith, The Law of Public Utilities and Procurement: Regulation
in the EU and UK, I, Londra, 2014, 739 e s.
(6) Corte di Giustizia CE, Sez. IV, 20 settembre 1988, causa
C-31/87, Gebroeders Beentjes B.V. C. Stato dei Paesi Bassi, in
http://www.curia.europa.eu.; nella specie si trattava della previsione di un criterio di aggiudicazione che attribuiva preferenza alle imprese in grado di dare lavoro a disoccupati di lunga
durata. Sulla portata della pronuncia, crf. anche Per un commento coordinato di queste pronunce e di quella sul caso Concordia Bus Finland, cfr. anche S. Arrowsmith, The Law of Public Utilities and Procurement: Regulation in the EU and UK, I,
cit. 744.
(7) Corte di Giustizia CE 26 settembre 2000, causa C225/98, Commissione C. Repubblica Francese, in
http://www.curia.europa.eu., anch’essa relativa all’utilizzo di
un criterio supplementare di aggiudicazione connesso alla lot-
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Quanto riportato in premessa consente di collocare
nel contesto interpretativo che le ha precedute le
disposizioni che vengono in commento. Si tratta,
in particolare, delle norme delle direttive
2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE nonché
del nuovo Codice dei Contratti Pubblici D.Lgs. 18
aprile 2016, n. 50 relative ai criteri di aggiudicazio-
ne e al costo del ciclo di vita, ai “criteri ambientali
minimi” nonché alle cause di esclusione riferite ad
aspetti ambientali e sociali.
Con riguardo al primo profilo, l’art. 95 del nuovo
Codice, che costituisce recepimento dell’art. 67
della direttiva 24/2014 (9), stabilisce che “le stazioni appaltanti procedono all’affidamento degli appalti (...) secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del
miglior rapporto qualità/prezzo o sulla base dell’elemento prezzo o del costo, seguendo il criterio di
comparazione costo/efficacia quale il costo del ciclo della vita” (comma 2) (10).
Diversamente rispetto a quanto sinora avvenuto (11), dunque, l’offerta economicamente più vantaggiosa può essere individuata tramite due differenti modalità.
La prima modalità, in continuità con la nozione
“tradizionale”, consiste nella valutazione del miglior rapporto qualità/prezzo. La novità risiede nel
fatto che, a tal fine, si possa ricorrere a criteri qualitativi di carattere ambientali o sociale connessi
dell’appalto (comma 6, che individua un novero
esemplificativo di criteri più ampio di quello del
corrispondente par. 2 dell’art. 67 della Dir.
2014/24/UE) (12).
Tali criteri dovrebbero permettere una valutazione
comparativa del livello di prestazione che ciascuna
ta contro la disoccupazione. Cfr. anche Corte di Giustizia CE
20 marzo 1990, causa C-21/88, Du Pont De Nemours Italiana
C. Unità Sanitaria Locale n. 2 di Carrara, in http://www.curia.europa.eu. e in Giut. civ., 1991, I, 1369 con commento di R.
Caranta, In contrasto con il diritto comunitario le riserve a favore
di imprese del Meridione.
(8) Rilevano, in particolare, le seguenti disposizioni: (i) l’art
19 della Dir. 18/2004 e l’art. 28 della dir. 17/2004, con i quali si
riconosce agli Stati membri la possibilità di riservare gli appalti
a speciali categorie di operatori economici che occupano al loro interno lavoratori disabili; (ii) l’art. 53 della direttiva 18/2004,
il quale stabilisce che i criteri di aggiudicazione degli appalti
pubblici sono, quando l’appalto è aggiudicato all’offerta economicamente più vantaggiosa, “diversi criteri collegati all’oggetto dell’appalto pubblico in questione, quali, ad esempio, la
qualità, il prezzo, il pregio tecnico, le caratteristiche estetiche e
funzionali, le caratteristiche ambientali, il costo d’utilizzazione,
la redditività, il servizio successivo alla vendita e l’assistenza
tecnica, la data di consegna e il termine di consegna o di esecuzione”; (iii) l’art. 26 della direttiva 18/2004 e l’art. 38 della
Dir. 17/2004, ai sensi dei quali le stazioni appaltanti possono
esigere condizioni particolari in merito all’esecuzione dell’appalto, basate in particolare su considerazioni sociali e ambientali, purché siano compatibili con il diritto comunitario e siano
precisate nell’avviso con cui si indice la gara o nel capitolato
d’oneri.
(9) Nel presente commento si farà riferimento all’art. 67
della Dir. 2014/24/UE e agli artt. 95 e 96 del nuovo Codice. Infatti, l’art. 67 della Dir. 2014/24/UE ha un contenuto analogo
all’art. 82 della Dir. 2014/25/UE, in materia di appalti speciali,
recepito dall’art. 133 del nuovo Codice. Per quanto riguarda i
criteri di aggiudicazione dei contratti di concessione, l’art. 41
della Dir. 2014/23/UE prevede una disciplina semplificata rispetto all’art. 95 della Dir. 2014/24/UE in materia di appalti
pubblici, limitandosi a stabilire che le stazioni appaltanti possono aggiudicare le concessioni sulla base di criteri oggettivi,
conformi ai principi comunitari, che assicurino una valutazione
delle offerte in condizioni di concorrenza effettiva. Tali criteri di
aggiudicazione devono essere connessi all’oggetto della concessione, non possono attribuire un’incondizionata libertà di
scelta all’Amministrazione aggiudicatrice e possono includere
anche criteri ambientali, sociali o relativi all’innovazione. L’art.
41 della Dir. 2014/23/UE è stato recepito dall’art. 173 del nuovo Codice secondo il quale le concessioni sono aggiudicate
nel rispetto dei principi di parità di trattamento, proporzionalità, trasparenza, economicità, efficacia, tempestività e correttezza previsti dall’art. 30 del nuovo Codice.
(10) Sull’art. 95 del nuovo Codice e sull’offerta economicamente più vantaggiosa, cfr. ANAC, Linee guida attuative del
nuovo Codice degli Appalti - Linee guida in materia di offerta
economicamente più vantaggiosa, in http://www.anticorruzione.it, allo stato nel testo posto in consultazione.
(11) Quanto all’aspetto innovativo, esso è indubbio. Si deve, tuttavia, precisare che la L. 28 dicembre 2015, n. 221 aveva anticipato alcune delle novità introdotte dal nuovo Codice,
in particolare modificando l’art. 83 del vecchio Codice in materia di aggiudicazione degli appalti, introducendo il concetto di
costo del ciclo della vita e dando ampia rilevanza agli aspetti
ambientali dell’offerta. Tuttavia, tale norma è entrata in vigore
il 2 febbraio 2016 ed è stata abrogata dal nuovo Codice già in
data 19 aprile 2016.
(12) Tra tali criteri possono rientrare, con elencazione chiaramente esemplificativa: a) la qualità che comprende il pregio
tecnico, le caratteristiche estetiche e funzionali, l’accessibilità
no le fondamentali condizioni di essere collegate all’oggetto dell’appalto, di non conferire all’amministrazione aggiudicatrice una libertà incondizionata
di scelta, di essere espressamente menzionati nel
capitolato d’appalto o nel bando di gara e di rispettare tutti i principi fondamentali del diritto comunitario, in particolare quello di non discriminazione.
I principi giurisprudenziali elaborati dalla Corte di
Giustizia sono stati recepiti dal legislatore europeo
con le direttive 17/2004 e 18/2004 che, per la prima volta, hanno riconosciuto alle stazioni appaltanti la possibilità di prendere in considerazione in
sede di aggiudicazione e di esecuzione dell’appalto
anche fattori di ordine non economico, tra i quali
quelli volti alla tutela ambientale e sociale (8).
Le disposizioni delle direttive
2014/23/UE, 2014/24/UE, 2014/25/UE
e quelle del nuovo Codice. I criteri di
aggiudicazione e il costo del ciclo di vita
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offerta presenta rispetto all’oggetto dell’appalto
quale definito nelle specifiche tecniche.
La seconda modalità di individuazione dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, innovativa, consiste nella valutazione del costo o del prezzo, seguendo un criterio di comparazione costo/efficacia,
quale tipicamente è il “costo del ciclo di vita” di
cui al successivo art. 96.
Tale criterio dovrebbe consentire di valutare sia il
costo diretto di acquisizione dei lavori, dei servizi o
delle forniture, sia i costi indiretti connessi alla
produzione, all’utilizzo e alla cessazione dei medesimi.
Il concetto di costo del ciclo di vita comprende,
infatti, tutti i costi che emergono durante il ciclo
di vita dei lavori, delle forniture o dei servizi, con
riguardo tanto ai costi interni (come le ricerche da
realizzare, lo sviluppo, la produzione, il trasporto,
l’uso e la manutenzione e i costi di smaltimento finale), quanto ai costi imputabili a esternalità ambientali (quali l’inquinamento causato dall’estrazione delle materie prime utilizzate nel prodotto ovve-
ro causato dal prodotto stesso o dalla sua fabbricazione, i costi legati al consumo di risorse naturali,
all’emissione di sostanze inquinanti o di gas climalteranti), a condizione che possano essere monetizzati e controllati (13).
Tale istituto si traduce, quindi, non solo in un metodo di calcolo dell’elemento prezzo o costo, ma
anche in un vero e proprio criterio di valutazione
delle implicazioni ambientali dell’offerta, beninteso
sotto il particolare angolo visuale dei costi: si potrebbe dire che esso valuta la qualità espressa in
termini di costi e di risparmio economico, in tale
prospettiva introducendo anche elementi di rilevanza ambientale molto significativi.
In particolare, la più consistente novità dal punto
di vista ambientale consiste proprio nell’inclusione
delle cc.dd. “esternalità ambientali” negli elementi
di valutazione dell’offerta, con un approccio rivoluzionario, coerente e integrato con quello che caratterizza altre politiche ambientali e in particolare
quelle incentrate sul principio “chi inquina paga” (14).
per le persone con disabilità, la progettazione adeguata per
tutti gli utenti, le caratteristiche sociali e ambientali, il contenimento dei consumi energetici e delle risorse ambientali dell’opera o del prodotto, le caratteristiche innovative, la commercializzazione e le relative condizioni; b) il possesso di un marchio di qualità ecologica dell’UE, in relazione ai beni o servizi
oggetto del contratto, in misura pari o superiore al trenta per
cento del valore delle forniture o prestazioni oggetto del contratto stesso; c) il costo di utilizzazione e di manutenzione avuto anche riguardo ai consumi di energia e delle risorse naturali,
alle emissioni inquinanti e ai costi complessivi, inclusi quelli
esterni e di mitigazione degli impatti dei cambiamenti climatici, riferiti all’intero ciclo di vita dell’opera, bene o servizio, con
l’obiettivo strategico di un uso più efficiente delle risorse e di
un’economia circolare che promuova ambiente e occupazione;
d) la compensazione delle emissioni di gas ad effetto serra associate alle attività dell’azienda calcolate secondo i metodi stabiliti in base alla raccomandazione n. 2013/179/UE della Commissione del 9 aprile 2013, relativa all’uso di metodologie comuni per misurare e comunicare le prestazioni ambientali nel
corso del ciclo di vita dei prodotti e delle organizzazioni; e) l’organizzazione, le qualifiche e l’esperienza del personale effettivamente utilizzato nell’appalto, qualora la qualità del personale
incaricato possa avere un’influenza significativa sul livello dell’esecuzione dell’appalto; f) il servizio successivo alla vendita e
assistenza tecnica; g) le condizioni di consegna quali la data di
consegna, il processo di consegna e il termine di consegna o
di esecuzione.
(13) Si veda il Considerando 96 della Dir. 2014/24/UE, che
specifica altresì come “i metodi impiegati dalle amministrazioni aggiudicatrici per valutare i costi imputati alle esternalità
ambientali dovrebbero essere stabiliti anticipatamente in modo
oggettivo e non discriminatorio ed essere accessibili a tutte le
parti interessate. Siffatti metodi possono essere stabiliti a livello nazionale, regionale o locale ma, al fine di evitare distorsioni
della concorrenza attraverso metodologie ad hoc, dovrebbero
rimanere generali nel senso che non dovrebbero essere definiti
in modo specifico per una particolare procedura d’appalto”.
Per green public procurement, nell’accezione più propria, si intende precisamente l’approccio in base al quale le pubbliche
amministrazioni integrano i criteri ambientali in tutte le fasi del
processo di acquisto, promuovendo la diffusione di tecnologie
e di prodotti virtuosi dal punto di vista ambientale, attraverso
la ricerca e la scelta dei risultati e delle soluzioni che hanno il
minore impatto possibile sull’ambiente durante l’intero ciclo di
vita. L’obiettivo, dunque, è quello di pervenire a una produzione e a un consumo (e dunque a uno sviluppo) sostenibili.
(14) Tanto è reso evidente sia dalla previsione di cui all’art.
96 del nuovo Codice, quanto dall’art. 68 della Dir. 2014/24/UE
e dall’analogo contenuto dell’art. 83 della Dir. 2014/25/UE.
Sulla determinazione del costo del ciclo di vita, ex plurimis,
cfr. S. Arrowsmith, The Law of Public Utilities and Procurement:
Regulation in the EU and UK, I, cit., 739 ss., 795 ss.; G. Fidone,
Gli appalti verdi all’alba delle nuove direttive: verso modelli più
flessibili orientati a scelte eco-efficienti, cit.; S. Arrowsmith, A taxonomy of horizontal policies in public procurement, in Social
and Environmental Policies in EC Procurement Law - New Directives and New Directions, Cambridge, 2009; W. Rhodri, The
evaluation of the Impact and Effectiveness of the EU Public procurement legislation in Public Procurement Law Review, 2011,
237 ss.; A. Boussabaine - R. Kirkham, Whole Life Cycle Costing, Oxford, 2004. La prima A. osserva anche come vi sia
una simmetria tra i criteri di aggiudicazione e le specifiche tecniche, di talché - in linea di principio - ciò che non può rientrare fra i primi non può nemmeno costituire oggetto delle seconde. Entrambi, infatti, costituiscono strumenti per soddisfare i
bisogni dell’amministrazione aggiudicatrice, ma i criteri di aggiudicazione costituiscono uno strumento meno rigido e potenzialmente più efficiente, in quanto consente una valutazione graduata del costo di un determinato beneficio, e una graduazione dell’offerta stessa, laddove l’imposizione di condizioni contrattuali e specifiche tecniche è, all’evidenza, uno strumento più garantista ma meno flessibile. Tali considerazioni
sono tanto più valide in relazione al costo del ciclo di vita, che
può essere una chiave di lettura delle specifiche tecniche oltre
che, come illustrato nel testo, un vero e proprio criterio di aggiudicazione.
Sul punto cfr. ANAC, Linee guida attuative del nuovo Codice
degli Appalti - Linee guida in materia di offerta economicamente
più vantaggiosa, cit., ove si afferma che “mediante le indicazio-
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In tal modo il costo del ciclo di vita consente di risolvere le problematiche interpretative concernenti l’ammissibilità di criteri di aggiudicazione (e di
specifiche tecniche) di carattere ambientale, che
per lungo tempo sono state dibattute a livello ermeneutico e giurisprudenziale, come illustrato in
premessa al presente commento, stabilendo in via
normativa cosa sia o non sia “connesso all’oggetto
dell’appalto” ai sensi dell’art. 67 della Dir.
2014/24/UE e dell’art. 95 del nuovo Codice.
Per tale ragione il citato art. 96, comma 2, del
nuovo Codice specifica che le stazioni appaltanti
devono indicare nei documenti di gara i dati che
gli offerenti devono comunicare per la valutazione
dei costi del ciclo di vita e, per quanto riguarda
quelli legati alle esternalità ambientali, fissa tre
condizioni per la loro valutazione: obiettività (criteri oggettivi e non discriminatori), accessibilità
(tutte le parti interessate devono aver accesso al
metodo di valutazione) e relativa facilità di reperimento dei dati necessari.
Si tratta di operazioni articolate, anche per le amministrazioni più qualificate e, infatti, il terzo e ultimo comma dell’art. 68 della Dir. 2014/24/UE,
riallacciandosi al considerando n. 96, prevede che
i metodi di calcolo di siffatti costi siano stabiliti a
livello europeo e resi obbligatori (15).
Naturalmente le due modalità di individuazione
dell’offerta economicamente più vantaggiosa appena descritte possono - e, anzi, in linea di principio
dovrebbero - combinarsi fra loro.
Infatti, al fine di determinare l’offerta economicamente più vantaggiosa, la decisione di aggiudicazione dell’appalto non dovrebbe basarsi solo su criteri
che prescindano dai costi, anche se tale possibilità è
comunque ammessa dall’art. 95, comma 7, del nuovo Codice, ai sensi del quale “l’elemento relativo al
costo, anche nei casi di cui alle disposizioni di cui al
comma 2, può assumere la forma di un prezzo o costo fisso, sulla base del quale gli operatori economici
competeranno solo in base a criteri qualitativi” (16).
I criteri qualitativi dovrebbero pertanto essere accompagnati da un criterio basato sui costi che potrebbe, a scelta dell’amministrazione aggiudicatrice,
basarsi sul prezzo o su un approccio costo/efficacia,
come ad esempio il suddetto costo del ciclo di vita
(sul punto si veda il Considerando 92 della Dir.
2014/24/UE).
Si può, in conclusione sul punto, osservare come la
nuova nozione di offerta economicamente più vantaggiosa sia concepita dal Legislatore come uno dei
cardini del sistema di affidamento degli appalti, anche in considerazione della duttilità della medesima e della capacità di promuovere aspetti ambientali e sociali nella duplice prospettiva qualitativa
(tradizionale, ma decisamente potenziata) e di
espressione in termini di costi (innovativa) (17).
Tanto rende ragione anche delle forti limitazioni
imposte all’utilizzo del criterio del miglior prezzo.
Infatti, l’art. 95 del nuovo Codice consente (non
impone) di utilizzare tale criterio solo in limitati casi, vale a dire per appalti di lavori di importo inferiore al milione di Euro e per gli appalti di servizi e
le forniture di valore inferiore alla soglia di rilevanza
comunitaria o, per i quali le condizioni di standardizzazione siano definite dal mercato. In ogni caso,
ai sensi del comma 5, qualora le stazioni appaltanti
decidano di disporre l’aggiudicazione con il criterio
ni contenute nell’art. 95 viene definitivamente superata la rigida separazione tra requisiti di partecipazione e criteri di valutazione che aveva caratterizzato a lungo la materia della contrattualistica pubblica. Requisiti di natura soggettiva nella valutazione delle offerte possono essere introdotti quando questi
permettono di valutare meglio il contenuto e l’affidabilità dell’offerta o per premiare il concorrente che presenta determinati
requisiti ritenuti particolarmente meritevoli”.
(15) Al di là del rinvio alla Dir. 2009/33/CE, relativa alla promozione di veicoli puliti e a basso consumo energetico nel trasporto su strada, di non agevole estensione a differenti prodotti.
(16) Si tratta di una previsione fortemente innovativa, che
consente, per determinati tipi di appalto (per esempio quelli ad
alta intensità di lavoro), di evitare ribassi che inciderebbero inevitabilmente sul costo del lavoro, aggiudicando la gara solo in
base alla qualità degli altri fattori dell’offerta. Al riguardo cfr.
ANAC, Linee guida attuative del nuovo Codice degli Appalti - Linee guida in materia di offerta economicamente più vantaggiosa, cit., ove si rileva che “Mentre con la Direttiva 2004/18/CE e
il d.lgs. 163/2006 non era possibile assegnare al prezzo un
punteggio particolarmente basso (o nullo) o prevedere una
metodologia di calcolo tale da azzerare di fatto la componente
prezzo, attualmente tale possibilità è ammessa dall’art. 95,
comma 7, del Codice, secondo il quale è possibile competere
esclusivamente sulla qualità. La norma lascia però aperta la
definizione delle fattispecie per le quali è possibile annullare
l’elemento costo nell’ambito dell’OEPV. Invero, il citato comma 7, rimanda all’art. 95, comma 2, per l’individuazione dei
casi in cui si può ricorrere al prezzo fisso: i casi in cui sono presenti ‘disposizioni legislative, regolamentari o amministrative
relative al prezzo di determinate forniture o alla remunerazione
di servizi specifici’. Tale casistica però non è esaustiva, in considerazione della locuzione ‘anche’ utilizzata per il suddetto rimando”.
(17) Cfr. P. Pittelli, Il miglior rapporto qualità/prezzo: il nuovo
concetto europeo di offerta economicamente più vantaggiosa, in
http://www.lineeavcp.it, 2014, che giustamente rileva come la
Dir. 2014/24/UE incoraggi l’uso degli appalti per il perseguimento di finalità sociali ed ambientali che, a ben vedere, erano
già state individuate nelle precedenti direttive, ma che solo in
questa occasione sono state affiancate dagli strumenti adatti
al loro raggiungimento: il legislatore europeo ha il merito di
aver depotenziato il criterio del massimo ribasso per favorire
l’efficienza e la qualità della spesa pubblica, attraverso un nuovo concetto di offerta economicamente più vantaggiosa.
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del prezzo più basso devono darne adeguata motivazione. Il criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa è invece obbligatorio nei casi previsti
dall’art. 95, comma 3, del nuovo Codice.
I criteri ambientali minimi
Un’ulteriore novità, neppure espressamente contemplata dalle direttive 2014, è quella prevista dall’art. 34 del nuovo Codice, in materia di requisiti
di sostenibilità energetica e ambientale (18).
A seguito dell’approvazione, con D.M. 11 aprile
2008, del piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della P.A. (generalmente indicato con l’acronimo “PAN GPP”, aggiornato con D.M. 10 aprile 2013), sono stati adottati i criteri ambientali minimi (“CAM”) relativi a
diverse categorie d’appalto (19).
I CAM forniscono le indicazioni specifiche di natura ambientale ed etico-sociale collegate alle diverse fasi che caratterizzano le procedure di gara:
definizione dell’oggetto dell’appalto; definizione
delle specifiche tecniche; selezione dei candidati;
previsione dei criteri premianti di aggiudicazione;
definizione delle condizioni di esecuzione dell’appalto (20). Uno specifico CAM riguarda gli aspetti
sociali (21).
Secondo quanto disposto dall’art. 34, comma 1, le
stazioni appaltanti contribuiscono al conseguimento degli obiettivi ambientali previsti dal PAN GPP
per la sostenibilità ambientale dei consumi nel set(18) Si noti che alcune disposizioni in materia erano già state introdotte con la L. 28 dicembre 2015, n. 221 “Disposizioni
in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali.
(GREEN ECONOMY)”, in particolare dal Capo IV, “Disposizioni
relative al green public procurement”. In particolare, con l’art.
18 della L. n. 221/2015 è stato introdotto l’art. 68 bis nel vecchio Codice, relativo all’applicazione di criteri ambientali minimi negli appalti pubblici per le forniture e negli affidamenti di
servizi; ulteriori modifiche del vecchio Codice finalizzate all’applicazione di criteri ambientali minimi negli appalti pubblici sono state introdotte dal successivo art. 19. Tali norme, entrate
in vigore il 2 febbraio 2016, sono state abrogate con l’entrata
in vigore del nuovo Codice in data 19 aprile 2016.
(19) Un elenco completo dei vari decreti ministeriali di approvazione dei CAM è presente sul sito WEB del Ministero dell’Ambiente. Alcune regioni italiane (ad esempio l’Emilia Romagna, la Sardegna e il Veneto) hanno adottato misure di implementazione dei CAM e adottato piani di azione regionali sul
green public procurement (PAR GPP). Sui criteri minimi ambientali cfr. T. Cellura, L’applicazione dei criteri ambientali minimi negli appalti pubblici, Rimini, 2016.
(20) Su ciascuna di tali fasi cfr. T. Cellura, L’applicazione dei
criteri ambientali minimi negli appalti pubblici, cit., 82 ss.
(21) D.M. 6 giugno 2012, “Guida per l’integrazione degli
aspetti sociali negli appalti pubblici”.
(22) Sul punto si veda il D.M. 24 maggio 2016, “Incremento
progressivo dell'applicazione dei criteri minimi ambientali negli
appalti pubblici per determinate categorie di servizi e fornitu-
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tore della pubblica amministrazione attraverso l’inserimento nella documentazione progettuale e di
gara almeno delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei CAM.
I CAM sono tenuti in considerazione anche ai fini
della stesura dei documenti di gara per l’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa ai sensi del sopra citato art. 95, comma 6.
Inoltre, l’art. 34, commi 2 e 3, prevede che i decreti di approvazione dei CAM possano stabilire l’applicazione dei medesimi a percentuali dell’importo
a base di gara (22).
La limitazione del rispetto dei CAM ad una parte
soltanto del valore dell’appalto posto a base d’asta
può destare alcuni dubbi interpretativi soprattutto
per appalti difficilmente scorporabili come quelli di
servizi. Con riferimento all’art. 18 della L.
221/2015, che aveva già introdotto l’obbligo del rispetto dei CAM negli acquisti della P.A., il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e
del Mare ha sostenuto che “il dettato normativo impone alle stazioni appaltanti (...) di introdurre, nella
documentazione di gara, almeno le specifiche tecniche e le clausole contrattuali contenute nei CAM,
per almeno il 50% del valore delle gare d’appalto,
con ciò riferendosi al valore posto a base d’asta. Tale disposizione non desta criticità interpretative nel
caso di un appalto di forniture, mentre nel caso dei
servizi, potrebbe prestarsi a varie interpretazioni.
Nel caso di servizi, le stazioni appaltanti potrebbero
re”. Ai sensi dell'art. 34, comma 3, del nuovo Codice con decreto del Ministro dell'ambiente della tutela del territorio e del
mare può essere previsto, per le categorie di forniture ed affidamenti non connessi agli usi finali di energia, un aumento
progressivo della percentuale del 50% del valore a base d'asta
a cui riferire l'obbligo di applicare le specifiche tecniche e le
clausole contrattuali dei criteri ambientali minimi. Il citato D.M.
ha quindi disciplinato l'incremento progressivo della percentuale del valore a base d'asta a cui riferire l'obbligo di applicare
le specifiche tecniche e le clausole contrattuali dei criteri ambientali minimi per i seguenti affidamenti: servizi di pulizia, anche laddove resi in appalti di global service, e forniture di prodotti per l'igiene, quali detergenti per le pulizie ordinarie e
straordinarie; servizi di gestione del verde pubblico e forniture
di ammendanti, piante ornamentali e impianti di irrigazione;
servizi di gestione dei rifiuti urbani; forniture di articoli di arredo urbano; forniture di carta in risme e carta grafica. Per tali
affidamenti l'obbligo delle stazioni appaltanti di inserire nella
documentazione di gara almeno le "specifiche tecniche" e le
"clausole contrattuali" dei Criteri ambientali minimi si applica
in misura non inferiore alle seguenti percentuali del valore dell'appalto, nel rispetto dei termini rispettivamente indicati: il
62% dal 1° gennaio 2017; il 71% dal 1° gennaio 2018; l'84%
dal 1° gennaio 2019; il 100% dal 1° gennaio 2020. Fino alla data del 31 dicembre 2016 le amministrazioni sono comunque
tenute a rispettare almeno la percentuale del 50% del valore a
base d'asta a cui riferire l'obbligo di applicare le specifiche tecniche e le clausole contrattuali dei criteri ambientali minimi.
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semplicemente decidere di chiedere la conformità
alle specifiche tecniche e alle clausole contrattuali
del CAM per l’intero valore del servizio affidato.
Qualora la stazione appaltante non intenda procedere in tal senso, la medesima potrebbe articolare la
gara in due lotti separati di pari valore, uno conforme al CAM e uno no, se tecnicamente possibile. In
ogni caso la percentuale è riferita al valore a base
d’asta complessivo del servizio, perciò la disposizione non richiede che le stazioni appaltanti debbano
entrare nel merito della stima delle differenti voci
di costo che concorrono alla determinazione del valore del servizio e che siano o meno oggetto di una
specifica tecnica o una clausola contrattuale indicata nel CAM” (23).
Le cause di esclusione per ragioni
ambientali e sociali
Infine, in relazione alle cause di esclusione dalla
procedura di gara, l’art. 18, par. 2, Dir. 24/2014 stabilisce che gli Stati membri adottino misure adeguate per garantire che gli operatori economici rispettino nell’esecuzione degli appalti le norme in
materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro
stabiliti dall’Unione e dal diritto internazionale e,
in caso di violazione di tali obblighi l’art. 57, prevede la possibilità per le amministrazioni di escludere un operatore che viola tali norme (24).
Tali disposizioni sono state recepite dall’art. 80 del
nuovo Codice, il quale prevede che costituiscano
motivi di esclusione di un operatore economico
dalla partecipazione a una procedura d’appalto la
condanna per il reato di sfruttamento del lavoro
minorile, la violazione degli obblighi relativi al pagamento dei contributi previdenziali, la presenza di
gravi violazioni in materia di salute e sicurezza sul
lavoro nonché degli obblighi di cui all’art. 30,
comma 3, del medesimo Codice alla stregua del
quale “nell’esecuzione degli appalti pubblici (...) gli
operatori economici rispettano gli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla
(23) Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e
del Mare, “Chiarimenti relativi all’applicazione del capo IV “disposizioni relative al Green pubblic procurament della L. n.
221/2015 Previsioni per promuovere misure di green economy
e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali”, in
http://www.minambiente.it.
(24) Per quanto riguarda i motivi di esclusione degli operatori economici nelle procedure di appalto nei settori speciali,
l’art. 80 della Dir. 2014/25/UE, recepito dall’art. 136 del nuovo
codice, rinvia alla disciplina dell’art. 57 della Dir. 2014/24/UE.
(25) Sul concetto di clausole sociali, ex plurimis, cfr. S. Centofanti, Sub art. 36, in U. Prosperetti (a cura di), Commentario
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normativa europea, nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali (...)”.
Si tratta di un significativo ampliamento delle cause obbligatorie di esclusione rispetto alla normativa
previgente, la quale non prevedeva espressamente
e obbligatoriamente che l’aggiudicatario potesse essere escluso dalla gara a causa della violazione di
norme in materia di tutela ambientale e sociale, lasciando all’amministrazione ampia discrezionalità.
Le uniche previsioni di esclusione obbligatoria
espressamente previste dalla precedente normativa
erano, infatti, quelle relative alle ipotesi di violazione in materia di tutela del lavoro: l’art. 38 del
vecchio Codice prevedeva che fossero esclusi dalla
partecipazione alle procedure per l’affidamento di
servizi, lavori e forniture i concorrenti condannati
con sentenza passata in giudicato per “reati gravi”
o incidenti sulla “moralità professionale” e che
avevano commesso gravi infrazioni, debitamente
accertate, alle norme in materia di sicurezza e a
ogni altro obbligo derivante dai rapporti di lavoro,
risultanti dai dati in possesso dell’Osservatorio.
Le clausole sociali e gli appalti
e concessioni riservati
Come il vecchio, anche il nuovo Codice ha mantenuto, recependo sul punto l’art. 70 della Dir.
2014/24/UE e l’art. 87 della Dir. 2014/25/UE, la
possibilità di inserire nei documenti di gara le
cc.dd. clausole sociali, vale a dire quelle previsioni
contrattuali, che impongono ad un datore di lavoro il rispetto di determinati standard di protezione
sociale e del lavoro, come condizione per svolgere
attività economiche in appalto o in concessione o
per accedere ad agevolazioni finanziarie (25).
Rispetto al passato, tuttavia, si registrano taluni
elementi di novità.
Il primo consiste nel fatto che, per la prima volta,
è stata coniata una definizione di clausola sociale.
L’art. 3 del nuovo Codice, infatti, allineandosi alla
definizione datane dalla migliore dottrina (26), definisce tali clausole come “quelle disposizioni che
dello Statuto dei lavoratori, Milano, 1975, 1196; S. Varva, Le
clausole sociali, in M.T. Carinci - C. Cester - M. G. Mattarolo F. Sacrepelli (a cura di), Tutela e sicurezza del lavoro negli appalti privati e pubblici. Inquadramento giuridico ed effettività, Torino, 2011, 321; E. Ghera, Le c.d. clausole sociali: evoluzione di
un modello di politica legislativa, in Dir. lav. e rel. Ind., 2001,
134; A. Perulli, Globalizzazione e dumping sociale: quali rimedi?,
in Lav. dir., 2011, I, 13-43; F. Mancini, Sub art. 36, in Statuto
dei diritti dei lavoratori, in V. Sciajola - G. Branca (a cura di),
Comm. c. c., Bologna-Roma, 1972, 542 ss.
(26) Cfr. nt. n. 24.
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impongono a un datore di lavoro il rispetto di determinati standard di protezione sociale e del lavoro come condizione per svolgere attività economiche in appalto o in concessione o per accedere a
benefici di legge e agevolazioni finanziarie”.
Un secondo elemento di novità consiste nell’avere
eliminato la facoltà, precedentemente concessa
dall’art. 69, comma 3, del Vecchio Codice, di chiedere all’ANAC il parere preventivo di legittimità
sulla clausola.
Il mantenimento di tale facoltà sarebbe stato forse
opportuno, atteso che l’inserimento delle clausole
sociali nei bandi di gara può determinare l’insorgenza di contenziosi così come dimostra il fatto
che la giurisprudenza è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità delle clausole medesime in
più occasioni (27).
Un ulteriore elemento di novità introdotto dal
nuovo Codice per garantire maggiore stabilità ai
rapporti di lavoro è costituito dall’art. 50. Esso, infatti, prevede che gli affidamenti dei contratti di
concessione e di appalto di lavori e servizi diversi
da quelli aventi natura intellettuale, i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti possano contenere, nel rispetto dei principi fissati dal Trattato sul Funzionamento dell’UE, specifiche clausole sociali volte a
promuovere la stabilità occupazionale del personale
impiegato, prevedendo l’applicazione da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore di
cui all’art. 51 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n.
81 (28). Ciò all’evidente scopo di porre fine a pratiche, non inconsuete, consistenti nell’adozione,
da parte dell’aggiudicatario subentrante, di contratti collettivi “poco rappresentativi” e contenenti
trattamenti salariali e normativi deteriori rispetto a
quelli più diffusi, allo scopo di contenere l’impatto
dell’obbligo di riassunzione del personale uscente
spesse volte previsto nei capitolati di gara.
Sempre nell’ottica di perseguire politiche sociali attraverso il mercato degli appalti, l’art. 112 del nuo-
vo Codice, recependo l’art. 20 della Dir. 24/2014 e
l’art. 38 della Dir. 25/2014, ha mantenuto la possibilità di riservare la partecipazione alle procedure di
gara a operatori economici e a cooperative sociali il
cui scopo principale sia l’integrazione sociale e professionale delle persone svantaggiate.
Anche in questo caso, si tratta del mantenimento
di una facoltà già prevista dal vecchio Codice, ma
con significative innovazioni.
In particolare, l’art. 52 del vecchio Codice prevedeva la possibilità di riservare determinati appalti
ai Laboratori Protetti. Come chiarito dall’ANAC
la riserva si riferiva ai soli operatori che impiegassero più del 50% di lavoratori disabili (29).
L’art. 112 del nuovo Codice, invece, estende la possibilità di riservare appalti a operatori che impieghino anche soltanto il 30% di lavoratori svantaggiati,
considerando tali, non soltanto - come in passato - i
lavoratori disabili, ma anche i lavoratori svantaggiati
come definiti dall’art. 4 della L. 8 novembre 1991, n.
381, in materia di Cooperative Sociali, nonché gli
ex degenti di ospedali psichiatrici, anche giudiziari, i
soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, le persone detenute o internate negli istituti penitenziari, i condannati e gli
internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e al lavoro all’esterno ai sensi dell’art. 21 della
L. 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni.
Infine, l’art. 112 conferma la perdurante efficacia
dell’art. 4 e dell’art. 5 della L. n. 381/1991, che
consente agli enti pubblici, compresi quelli economici, e alle società di capitali a partecipazione pubblica, “anche in deroga alla disciplina in materia di
contratti della pubblica amministrazione”, di stipulare convenzioni di importo inferiore alle soglie comunitarie con le cooperative sociali si cui alla suddetta L. n. 381/1991, previo esperimento di procedure di selezione nel rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di efficienza.
(27) A titolo esemplificativo, Cons. Stato, Sez. III, 30 marzo
2016, n. 1255; Sez. VI, 27 novembre 2014, n. 5890; Sez. IV, 2
dicembre 2013, n. 5725; Sez. III, 9 luglio 2013, n. 3639; Sez. V,
16 giugno 2009, n. 3900, in http://www.giustizia-amministrativa.it; Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac), parere n. 41
del 23 gennaio 2013 e parere n. 44 del 25 febbraio 2010, in
http://www.anticorruzione.it. Da tali pronunce si evince che gli
indici di legittimità delle clausole sociali sono i seguenti: a)
l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell’appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione dell’impresa prescelta dall’imprenditore subentrante; b) i lavoratori che non trovano spazio
nell’organigramma dell’appaltatore subentrante e che non
vengano ulteriormente impiegati dall’appaltatore uscente in al-
tri settori, sono destinatari delle misure legislative in materia di
ammortizzatori sociali; c) la clausola sociale non può comportare alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto
pubblico di assumere a tempo indeterminato e in forma automatica e generalizzata il personale già utilizzato dalla precedente impresa.
(28) L’art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015, citato dall’art. 50 del
nuovo Codice stabilisce che: “salvo diversa previsione, ai fini
del presente decreto, per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul
piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”.
(29) ANAC, Delibera n. 32 in data 20 gennaio 2016, 31.
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Regimi particolari di appalto
Gli appalti (e le concessioni)
nei servizi sociali: un regime - non
troppo - “alleggerito” frutto di
una “complicata semplificazione”
di Luca Mazzeo
L’articolo esamina la tematica degli affidamenti nei servizi sociali, destinatari nel Nuovo Codice
di un regime specifico rispetto agli altri servizi che, se ha il pregio di applicare - con i dovuti
adattamenti - al delicato settore i principi dei contratti pubblici, per via dei continui rimandi e rinvii sconta un difetto di semplificazione che finisce con l’appesantire il “regime alleggerito” voluto dal Legislatore Comunitario.
Il settore dei servizi sociali (1) (c.d. Terzo Settore)
rappresenta una significativa realtà sia sotto il profilo sociale, per la natura e delicatezza di detti servizi, sia sotto il profilo occupazionale, operandovi
una variegata pluralità di soggetti (tra cui spiccano
gli organismi no-profit e le cooperative sociali),
che si avvalgono di volontari, dipendenti e lavoratori esterni, col raggiungimento di numeri decisamente rilevanti (2).
A tali operatori ricorrono spesso le P.A. per l’affidamento o per l’acquisito di servizi in favore della
persona, in tal modo optando per una “scelta organizzativa ... (che) ... ha il vantaggio di promuovere
un modello economico socialmente responsabile in
grado di conciliare la crescita economica con il
raggiungimento di specifici obiettivi sociali, quali,
ad esempio, l’incremento occupazionale e l’inclusione e integrazione sociale” (3).
La disciplina del settore, che si caratterizza, date le
sue peculiarità, per l’articolato e diversificato confronto tra P.A. ed enti no-profit, presuppone un per invero - non facile “contemperamento” tra
principi della concorrenza e principi di solidarietà
e sussidiarietà; contemperamento che, per affermazione della Corte di Giustizia, sovente chiamata a
pronunciarsi sugli affidamenti degli appalti di servizi sociali, non è ritenuto valido a priori, “bensì subordinato alla condizione che il volontariato contribuisca in modo effettivo al perseguimento delle
finalità sociali e degli obiettivi di solidarietà, non
permettendosi quindi che le deroghe al principio
della competizione economica celino in realtà vantaggi indebiti per gli enti del terzo settore” (4).
(1) Ai sensi dell’art. 128 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112,
per “servizi sociali” si intendono tutte le attività relative alla
predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti e a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona incontra nel corso della propria vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché
quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia.
(2) Secondo quanto si legge nella relazione AIR - Linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali (3), allegata alla Delibera ANAC n. 32 del 20
gennaio 2016, “il panorama dei soggetti che operano in tale
ambito è molto variegato, l’ISTAT, infatti, ha censito nel corso
del 2011 oltre 300.000 organizzazioni no-profit, che ricorrono
alle prestazioni di 4,7 milioni di volontari, 681 mila dipendenti,
271 mila lavoratori esterni e 5 mila lavoratori temporanei.
L’89% delle istituzioni no-profit è costituita in forma di associazione (201 mila associazioni non riconosciute e 68 mila riconosciute, ossia dotate di personalità giuridica); le cooperative sociali sono circa 11 mila (il 3,7%), le fondazioni 6 mila (il 2,1%)
e le altre forme giuridiche circa 14 mila (il 4,8%), rappresentate
principalmente da enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, comitati, società di mutuo soccorso, istituzioni sanitarie o educative”.
(3) Cfr. delibera n. 32/2016 ANAC, cit., (3).
(4) Cfr. Corte di Giustizia UE, sent. 11 dicembre 2014, C113/13, punti 60 e 61: “si deve nondimeno rilevare che un sistema di organizzazione del servizio di trasporto sanitario d’ur-
Introduzione
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Nonostante l’altrettanto rilevante impatto della
spesa per i servizi sociali sulla finanza pubblica (5),
per un verso non vi è una normativa organica in
materia di affidamenti di contratti pubblici ai soggetti operanti nel Terzo Settore, invece disciplinati
da un frastagliato insieme di norme (6) e, per altro
verso, si registra il mancato coordinamento di dette norme con la disciplina in materia di contratti
pubblici; situazione che, nell’imminenza del recepimento delle tre Direttive 24/2014/UE (appalti),
25/2014/UE (utilities) e 23/2014/UE (concessioni)
e in attesa della conclusione dell’iter di approvazione del disegno di legge governativo recante le linee
guida per una revisione organica della disciplina
del Terzo Settore (d.d.l. n. 1870 approvato alla Camera dei Deputati il 9 aprile 2015) (7), aveva indotto l’ANAC a intervenire (con le Linee Guida
richiamate nelle note 2 e 3) al fine di fornire indicazioni operative alle amministrazioni aggiudicatrici e agli operatori e - benché l’ANAC elegantemente non lo dica - per offrire i relativi spunti di
riflessione al Legislatore.
Spiace constatare che tale mancato coordinamento
persiste - come si vedrà nel corso del presente articolo - anche a seguito dell’entrata in vigore (il 19
aprile scorso) della disciplina riguardante i contrat-
ti pubblici nei servizi sociali introdotta dal D.Lgs.
18 aprile 2016, n. 50; ciò sebbene, come evidenziato dal Consiglio di Stato nel Parere reso sullo schema del Nuovo Codice (8), gli obiettivi - nell’ambito della c.d. “strategia Europa 2020” - di un uso più
efficiente dei fondi pubblici, della tutela della concorrenza, dell’impiego strategico dei contratti pubblici quale strumento di politica economica e sociale e di lotta alla corruzione attraverso procedure
semplici, trasparenti e disciplinate da norme prive
di incertezza erano stati declinati dalle tre nuove
Direttive Comunitarie (23, 24 e 25 del 2014) attraverso alcuni istituti e strumenti innovativi, tra
cui, appunto, gli appalti relativi ai servizi sociali.
A ogni buon conto, gli artt. 140, 142, 143 e 144
del D.Lgs. n. 50/2016 recano, in recepimento delle
Direttive comunitarie in materia di appalti pubblici e di cc.dd. utilities e in osservanza dei criteri e
principi di cui alla L. delega 28 gennaio 2016, n.
11 (9), le norme - specificatamente (10) - applicabili agli appalti di servizi sociali, rispettivamente,
nei settori speciali e ordinari; servizi i cui codici di
riferimento (CVP) sono elencati nell’Allegato IX
del D.Lgs. n. 50/2016 (11), che riproduce, rispettivamente, quanto contenuto nell’Allegato XIV
(art. 74 della Dir. 24/2014/UE), nell’Allegato XVII
genza (...) consistente per le amministrazioni competenti nel ricorso in via prioritaria ad associazioni di volontariato, deve effettivamente contribuire alla finalità sociale così come al perseguimento degli obiettivi di solidarietà ed efficienza di bilancio
su cui detto sistema è basato. A tal riguardo è necessario che,
nel loro intervento in tale contesto, le associazioni di volontariato non perseguano obiettivi diversi da quelli menzionati (...),
che non traggano alcun profitto dalle loro prestazioni, a prescindere dal rimborso dei costi variabili, fissi, e durevoli nel
tempo necessari per fornire le medesime, e che non procurino
alcun profitto ai loro membri (...)”. V., anche, F. Sanchini, L’affidamento diretto del servizio di trasporto sanitario al volontariato
nella prospettiva della Corte di Giustizia e del Giudice amministrativo: il problematico contemperamento tra i principi di solidarietà, sussidiarietà e tutela della concorrenza (pag. 35), 4 maggio 2016, in www.federalismi.it.
(5) Secondo fonte ISTAT la spesa per interventi e servizi sociali erogati dai soli Comuni Italiani nell’anno 2012 è stata pari
a circa 7 miliardi di euro.
(6) L’attuale panorama legislativo riguardante il Terzo Settore è costituito dai seguenti atti normativi: L. 8 novembre 2000,
n. 328 sul sistema integrato di servizi sociali e decreto attuativo D.P.C.M. 30 marzo 2001; l. quadro sul volontariato 11 agosto 1991, n. 266; L. 30 dicembre 1995, n. 563 e relativo regolamento attuativo D.M. 233 del 2 gennaio 1996, in materia di accoglienza degli immigrati irregolari; D.Lgs. 25 luglio 1998, n.
286 e L. 30 giugno 2002, n. 189 in materia di accoglienza degli
stranieri regolarmente soggiornanti; L. 26 luglio 1975, n. 354,
come modificata dalla L. 10 ottobre 1986, n. 663 e dalla L. 22
giugno 2000, n. 1938., in materia di recupero dei soggetti detenuti; L. 8 novembre 1991, n. 381 in materia di cooperative
sociali di tipo B).
(7) Infatti, nel disegno di legge in parola, si osserva che non
è presente un espresso richiamo alla necessità di coordinare
l’emananda disciplina con la normativa comunitaria e nazionale in materia di appalti pubblici.
(8) V. Parere sullo “Schema di decreto legislativo recante
‘Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione’, ai
sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 28 gennaio 2016, n.
11”, Adunanza della Commissione speciale del 21 marzo
2016, 8.
(9) L’art. 1, comma 1, lett. gg), L. n. 11/2016 pone il seguente criterio direttivo: “aggiudicazione dei contratti pubblici
relativi ai servizi sociali e di ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, nonché a quelli di servizi ad alta intensità di
manodopera, definiti come quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del
contratto, esclusivamente sulla base del criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, come definita dalla lettera
ff), escludendo in ogni caso l’applicazione del solo criterio di
aggiudicazione del prezzo o del costo, inteso come criterio del
prezzo più basso o del massimo ribasso d’asta”.
(10) Specificatamente, perché non è esclusa, secondo
quanto precisato al par. 2 del presente articolo, l’applicabilità
anche di altre norme, e in particolare, ove compatibili, di quelle
generali di cui alla Parte II del Codice (artt. da 1 a 58).
(11) Si riportano di seguito i servizi sociali elencati nell’Allegato IX, rimandando ai codici CPV ivi indicati per una loro più
esatta identificazione: Servizi sanitari, servizi sociali e servizi
connessi; Servizi amministrativi, sociali, in materia di istruzione, assistenza sanitaria e cultura; Servizi di sicurezza sociale
obbligatoria (salvo che si tratti di servizi non economici di interesse generale ché, in tal caso, rientrano nell’ambito di applicazione pieno della disciplina di derivazione comunitaria); Servizi di prestazione sociale; Altri servizi pubblici, sociali e personali, inclusi i servizi forniti da associazioni sindacali, da organizzazioni politiche, da associazioni giovanili e altri servizi di organizzazioni associative; Servizi alberghieri e di ristorazione.
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(art. 91 della Dir. 25/2014/UE) e nell’Allegato IV
(art. 19 della Dir. 23/2014/UE).
In realtà, anziché di “appalti di servizi sociali”, sarebbe maggiormente corretto parlare, più in generale, di “affidamenti di servizi sociali”, considerata
la possibilità di ricorrere anche ai contratti di concessione: della possibilità di affidare i servizi sociali
a mezzo di contratti di concessione, infatti, si dà
esplicitamente atto nei Considerando 36, 53 e
54 (12) e nell’art. 19 della relativa Direttiva comunitaria, secondo cui “le concessioni per i servizi sociali e altri servizi specifici elencati nell’allegato IV
che rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva sono soggette esclusivamente agli
obblighi previsti dall’articolo 31, paragrafo 3, e dagli articoli 32, 46 e 47”, ossia, in buona sostanza,
agli obblighi relativi all’avviso di pre-informazione
e all’avviso di aggiudicazione.
Il fatto che, poi, i richiamati artt. 140, 142, 143 e
144 e le altre norme del nuovo Codice tacciano al
riguardo, non esclude la possibilità che i servizi sociali siano affidati anche mediante concessione;
ciò vuoi perché non vi è alcun divieto esplicito e,
ove vi fosse, sarebbe - quanto meno - di dubbia
compatibilità con la corrispondente, esplicita, previsione di cui alla Direttiva comunitaria; vuoi per(12) È il Considerando 36 che sottolinea come “la presente
direttiva non dovrebbe applicarsi a taluni servizi di emergenza
se effettuati da organizzazioni e associazioni senza scopo di lucro, in quanto il carattere particolare di tali organizzazioni sarebbe difficile da preservare se i prestatori di servizi dovessero
essere scelti secondo le procedure di cui alla presente direttiva. La loro esclusione, tuttavia, non dovrebbe essere estesa oltre lo stretto necessario. Si dovrebbe pertanto stabilire esplicitamente che i servizi di trasporto dei pazienti in ambulanza
non dovrebbero essere esclusi. In tale contesto è inoltre necessario chiarire che nel gruppo 601 ‘Servizi di trasporto terrestre’ del CPV non rientrano i servizi di ambulanza, reperibili
nella classe 8514. È pertanto opportuno precisare che i servizi
identificati con il codice CPV 85143000-3 consistenti esclusivamente in servizi di trasporto dei pazienti in ambulanza dovrebbero essere soggetti al regime speciale previsto per i servizi sociali e altri servizi specifici (‘regime alleggerito’). Di conseguenza, anche i contratti di concessione per la prestazione
di servizi di ambulanza in generale dovrebbero essere soggetti
al regime alleggerito se il valore dei servizi di trasporto dei pazienti in ambulanza fosse superiore al valore di altri servizi di
ambulanza”. Il Considerando 53 evidenzia poi che “è opportuno escludere dalla piena applicazione della presente direttiva
soltanto quei servizi che abbiano una dimensione transfrontaliera limitata, come per esempio taluni servizi sociali, sanitari o
educativi. Tali servizi sono forniti in un contesto particolare che
varia sensibilmente da uno Stato membro all’altro a causa delle differenti tradizioni culturali. Per le concessioni relative a
questi servizi si dovrebbe perciò istituire un regime specifico
che tenga conto del fatto che sono di recente regolazione.
L’obbligo di pubblicare un avviso di preinformazione e un avviso di aggiudicazione della concessione per le concessioni di
valore pari o superiore alla soglia stabilita nella presente direttiva è un metodo adeguato per informare i potenziali offerenti
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ché detta modalità di affidamento appare del resto
in linea col sistema quadripartito di realizzazione
delle commesse pubbliche delineato dalle Direttive
e dal Codice (sistema) che, accanto agli appalti (la
cui disciplina, recata nella Parte II, assume carattere generale e, in quanto tale, applicabile ove compatibile anche alle altre modalità di realizzazione),
annovera anche i contratti cc.dd. esclusi (Titolo II
della Parte I), il partenariato pubblico-privato
(Parte IV) e appunto le concessioni (Parte III).
Dunque, una disciplina innovativa che, seppur a
prima vista scarna e limitata a quattro articoli del
Codice, tuttavia, concernendo sia appalti che concessioni e riguardando tanto i settori ordinari
quanto quelli speciali, oltre che caratterizzata - come si vedrà - da continui rinvii e rimandi, richiederà all’interprete - anche per la ricordata assenza
di coordinamento con le normative specifiche del
settore - una paziente e attenta opera di analisi al
fine di pervenire a una necessaria riconduzione a
unità del regime (veramente alleggerito?) applicabile agli affidamenti di servizi sociali.
Il regime applicabile
Una prima novità del Nuovo Codice, rispetto alla
disciplina precedente, è costituita dall’individuain merito alle opportunità commerciali nonché informare tutte
le parti interessate in merito al numero e al tipo di contratti aggiudicati. Inoltre, gli Stati membri dovrebbero varare le misure
del caso per l’aggiudicazione dei contratti di concessione per
tali servizi, così da garantire il rispetto dei principi di trasparenza e di parità di trattamento degli operatori economici, consentendo allo stesso tempo alle amministrazioni aggiudicatrici e
agli enti aggiudicatori di tener conto delle specificità dei servizi
in questione. Gli Stati membri dovrebbero far sì che alle amministrazioni aggiudicatrici e agli enti aggiudicatori sia consentito
di tener conto della necessità di garantire innovazione e, in
conformità dell’articolo 14 TFUE e del protocollo n. 26, un alto
livello di qualità, sicurezza e accessibilità economica, parità di
trattamento e promozione dell’accesso universale e dei diritti
degli utenti”. Il successivo Considerando 54 prosegue rilevando che, “considerata l’importanza del contesto culturale e la
delicatezza di tali servizi, gli Stati membri dovrebbero godere
di un ampio margine di discrezionalità così da organizzare la
scelta dei prestatori dei servizi nel modo che ritengano più opportuno. La presente direttiva non vieta agli Stati membri di
applicare, per la scelta dei prestatori dei servizi, criteri qualitativi specifici come quelli fissati nel quadro europeo volontario
della qualità dei servizi sociali elaborato dal comitato per la
protezione sociale dell’Unione europea. Gli Stati membri e/o le
autorità pubbliche rimangono liberi di prestare essi stessi tali
servizi, oppure di organizzare i servizi sociali secondo modalità
che non comportino la conclusione di concessioni, per esempio tramite il semplice finanziamento di tali servizi oppure il rilascio di licenze o autorizzazioni a tutti gli operatori economici
che soddisfino le condizioni preventivamente stabilite dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore, senza limiti o quote di sorta, purché tali sistemi garantiscano sufficiente pubblicità e rispettino i principi di trasparenza e di non
discriminazione”.
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zione di un corpo di regole ad hoc per l’aggiudicazione degli appalti di servizi sociali.
Gli appalti di servizi sociali erano inseriti tra i contratti in parte esclusi dall’ambito di applicazione
del vecchio Codice: infatti, ai sensi dell’art. 20 del
D.Lgs. n. 163/2006 (e in conformità con quanto
disposto dalla Direttiva 2004/18/CE) all’aggiudicazione degli appalti aventi a oggetto alcuni servizi,
ossia quelli elencati nell’Allegato IIB, tra cui i servizi sanitari e sociali, si applicavano soltanto (13)
l’art. 68 (Specifiche tecniche), l’art. 65 (Avviso sui risultati delle procedure di affidamento) e l’art. 225
(Avvisi relativi agli appalti aggiudicati).
Il Nuovo Codice, nel recepire le Direttive
2014/24/UE e 2014/23/UE, innova rispetto alla
precedente impostazione: dal punto di vista sistematico, “escludendo” gli appalti di servizi sociali
dai contratti (in parte) esclusi e collocandoli nell’ambito dei “particolari regimi di appalto” (Titolo
VI della Parte II); sotto il profilo della disciplina
applicabile, assoggettando detti appalti al c.d. “regime alleggerito”, diversificato (per lo meno in parte) a seconda che si ricada nei settori ordinari (Capo II - artt. 142 e 143) o in quelli speciali (Capo I
- art. 140) ma, comunque, ispirato ai principi fondamentali di trasparenza e di parità di trattamento
degli operatori economici.
Sotto il primo profilo, si rileva - come si dirà specificamente al successivo par. 4 - che la disciplina
applicabile ad appalti (e concessioni) di servizi sociali nei settori ordinari e in quelli speciali, quantunque molto simile, stante il richiamo operato
dall’art. 140, relativo ai settori speciali, alle disposizioni degli artt. 142, 143 e 144, riguardanti i settori ordinari, è tuttavia diversa tra l’uno e l’altro
settore, anche per effetto dell’inciso, contenuto
nello stesso art. 140, “salvo quanto disposto nel
presente articolo” (14).
Sotto il secondo profilo, la doverosa osservanza dei
principi di trasparenza e di parità di trattamento
degli operatori economici, al di là e a prescindere
dal “regime alleggerito”, è chiaramente espressa dai
Considerando delle tre Direttive (appalti, utilities
e concessioni). Così come è altrettanto chiara la
previsione secondo cui “in tale contesto, gli Stati
membri dovrebbero inoltre perseguire gli obiettivi
della semplificazione e riduzione dell’onere amministrativo per le amministrazioni aggiudicatrici e
gli operatori economici; è opportuno chiarire che
ciò potrebbe anche comportare il ricorso a norme
applicabili agli appalti di servizi non assoggettati al
regime specifico” (15); previsione che sembra alludere a quelle che sono le attuali norme della parte
II del D.Lgs. n. 50/2016, e in particolare alle disposizioni di cui agli artt. da 1 a 58, che sono applica-
(13) In realtà la giurisprudenza, sulla scia di quanto disposto dall’art. 27 del D.Lgs. n. 163/2006 (secondo cui, anche se
gli appalti dell’Allegato II B sono sottratti dall’applicazione delle disposizioni del Codice, soggiacciono comunque ai principi
generali che informano gli appalti pubblici) è più volte intervenuta a chiarire quali tra le disposizioni contenute nel previgente Codice (non direttamente applicabile alla tipologia di appalti
in esame), potessero comunque configurarsi quali principi generali, applicabili anche a detti appalti. E così, a esempio, è
stata preclusa la possibilità di ricorrere in via generale ad affidamenti diretti (ex multis: T.A.R. Latina, Sez. I, 15 novembre
2007: “La regola dell’evidenza pubblica costituisce un principio immanente nell’ordinamento di settore degli appalti: annulla un affidamento ‘diretto’ servizio refezione scolastica”; Consiglio di Stato, Ad. Plen. n. 1/2008, in tema di affidamento diretto
del servizio di assistenza domiciliare; T.A.R. Lazio, Sez. III quater,
n. 6424/2008; T.A.R. Veneto, Sez. I, n. 3926/2007: obbligatoria
comunque la seduta pubblica per l’apertura delle offerte in base
ai principi di trasparenza e imparzialità).
(14) L’inciso “salvo quanto disposto nel presente articolo” è
stato inserito nel testo del Codice poi approvato su input del
Consiglio di Stato che, nel richiamato Parere, così si era
espresso a proposito del contenuto dell’art. 140 dello schema
di D.Lgs. (157): “Si osserva che il contenuto dell’art. 140 (Norme applicabili ai servizi sociali dei settori speciali) sembra coincidere con quello dell’art. 142 (Pubblicazione degli avvisi e
bandi), che concerne gli appalti di servizi sociali nel settore ordinario. Risulta difficilmente comprensibile la portata del rinvio
dell’art. 140 all’art. 142, dovendo chiarirsi che il rinvio avviene
per quanto non espressamente già disposto dall’art. 140. Si
propone di aggiungere al comma 1, dopo le parole ‘ ... applicazione degli articoli 142) 143) 144)’ le parole ‘salvo quanto di-
sposto nel presente articolo’. Inoltre occorre allineare il testo
delle lett. b) e c) dello stesso comma 1, in quanto nella lettera
b) si legge ‘maniera continuativa’, nella lettera c) si legge ‘maniera continua’”.
(15) V. Considerando 114 della Dir. 2014/24/UE (“I contratti
per servizi alla persona al di sopra di tale soglia dovrebbero essere improntati alla trasparenza, a livello di Unione. In ragione
dell’importanza del contesto culturale e della sensibilità di tali
servizi, gli Stati membri dovrebbero godere di un’ampia discrezionalità così da organizzare la scelta dei fornitori di servizi nel
modo che considerano più adeguato. Le norme della presente
direttiva tengono conto di tale imperativo, imponendo solo il rispetto dei principi fondamentali di trasparenza e di parità di
trattamento e assicurando che le amministrazioni aggiudicatrici abbiano la facoltà di applicare criteri di qualità specifici per
la scelta dei fornitori di servizi, come i criteri stabiliti dal quadro
europeo volontario della qualità per i servizi sociali, pubblicato
dal comitato per la protezione sociale. Nel definire le procedure da utilizzare per l’aggiudicazione degli appalti di servizi alla
persona, gli Stati membri dovrebbero tener conto dell’articolo
14 TFUE e del protocollo n. 26. In tale contesto, gli Stati membri dovrebbero inoltre perseguire gli obiettivi della semplificazione e riduzione dell’onere amministrativo per le amministrazioni aggiudicatrici e gli operatori economici; è opportuno
chiarire che ciò potrebbe anche comportare il ricorso a norme
applicabili agli appalti di servizi non assoggettati al regime
specifico. Gli Stati membri e le autorità pubbliche sono liberi di
fornire tali servizi direttamente o di organizzare servizi sociali
attraverso modalità che non comportino la conclusione di contratti pubblici, ad esempio tramite il semplice finanziamento di
tali servizi o la concessione di licenze o autorizzazioni a tutti gli
operatori economici che soddisfano le condizioni definite in
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bili - in quanto compatibili - agli appalti di servizi
sociali nei settori speciali in virtù del richiamo
contenuto nell’art. 114 e che, quantunque manchi
nel Capo II del Codice analoga norma di collegamento, a maggior ragione, dovrebbero ritenersi applicabili anche agli appalti di servizi sociali nei settori ordinari.
Ad ogni buon conto, la possibilità che possano essere applicate agli affidamenti dei servizi sociali anche norme previste per i servizi in generale non pare escludere che il “regime alleggerito” costituisca
un “microcosmo normativo”, dotato di propria specificità e, in un certo qual modo, di propria autonomia, rispetto agli altri settori disciplinati dal Codice.
“A monte” di questa novità vi è la riconsiderazione
della decisione, che aveva indotto il Legislatore
Europeo, dapprima (nel 2004) e il Legislatore nazionale (all’atto del recepimento avvenuto nel
2006), poi, a considerare “esclusi” dall’ambito della
piena applicazione della disciplina di rilevanza comunitaria i servizi elencati nell’Allegato IIB (16).
E, come rilevato già in sede di commento della
Dir. 2014/24/UE (17), vi è altresì, con particolare
riguardo ai servizi alla persona, la necessità di contemperare le esigenze di specificità, non economicità e di delicatezza dei diritti fondamentali alla
persona, che ne dovrebbero determinare - in quanto considerati afferenti ai cc.dd. “servizi non economici di interesse generale” - l’esclusione dal
campo di applicazione della normativa comunitaria, stante quanto espressamente previsto dal Considerando 6 (e dal Considerando 8 della Direttiva
utilities) (18) con i principi di concorrenza, per lo
meno nei casi in cui si ravvisi “...l’esistenza...in
concreto, di un potenziale mercato...”, ossia se
“...esiste... “a monte”, un consistente finanziamento pubblico dei servizi...” e “...vi è la possibilità che
precedenza dall’amministrazione aggiudicatrice, senza che
vengano previsti limiti o quote, a condizione che tale sistema
assicuri una pubblicità sufficiente e rispetti i principi di trasparenza e di non discriminazione”); Considerando 120 della Direttiva 2014/25/UE (“I contratti per servizi alla persona al di sopra di tale soglia dovrebbero essere improntati alla trasparenza, a livello dell’Unione. In ragione dell’importanza del contesto culturale e della sensibilità di tali servizi, gli Stati membri
dovrebbero godere di un’ampia discrezionalità così da organizzare la scelta dei fornitori di servizi nel modo che considerano
più adeguato. Le norme della presente direttiva tengono conto
di tale imperativo, imponendo solo il rispetto dei principi fondamentali di trasparenza e di parità di trattamento e assicurando che gli enti aggiudicatori abbiano la facoltà di applicare criteri di qualità specifici per la scelta dei fornitori di servizi, come
i criteri stabiliti dal quadro europeo volontario della qualità per
i servizi sociali, pubblicato dal comitato per la protezione sociale. Nel definire le procedure da utilizzare per l’aggiudicazione degli appalti di servizi alla persona, gli Stati membri dovrebbero tener conto dell’articolo 14 TFUE e del protocollo n. 26.
In tale contesto, gli Stati membri dovrebbero inoltre perseguire
gli obiettivi della semplificazione e riduzione dell’onere amministrativo per gli enti aggiudicatori e gli operatori economici; è
opportuno chiarire che ciò potrebbe anche comportare il ricorso a norme applicabili agli appalti di servizi non assoggettati al
regime specifico. Gli Stati membri e gli enti aggiudicatori sono
liberi di fornire questi servizi direttamente o di organizzare servizi sociali attraverso modalità che non comportino la conclusione di contratti pubblici, ad esempio tramite il semplice finanziamento di tali servizi o la concessione di licenze o autorizzazioni a tutti gli operatori economici che soddisfano le condizioni definite in precedenza dall’ente aggiudicatore, senza che
vengano previsti limiti o quote, a condizione che tale sistema
assicuri una pubblicità sufficiente e rispetti i principi di trasparenza e di non discriminazione”); Considerando 53 della Dir.
2014/23/UE (“È opportuno escludere dalla piena applicazione
della presente direttiva soltanto quei servizi che abbiano una
dimensione transfrontaliera limitata, come per esempio taluni
servizi sociali, sanitari o educativi. Tali servizi sono forniti in un
contesto particolare che varia sensibilmente da uno Stato
membro all’altro a causa delle differenti tradizioni culturali. Per
le concessioni relative a questi servizi si dovrebbe perciò istituire un regime specifico che tenga conto del fatto che sono di
recente regolazione. L’obbligo di pubblicare un avviso di prein-
formazione e un avviso di aggiudicazione della concessione
per le concessioni di valore pari o superiore alla soglia stabilita
nella presente direttiva è un metodo adeguato per informare i
potenziali offerenti in merito alle opportunità commerciali nonché informare tutte le parti interessate in merito al numero e al
tipo di contratti aggiudicati. Inoltre, gli Stati membri dovrebbero varare le misure del caso per l’aggiudicazione dei contratti
di concessione per tali servizi, così da garantire il rispetto dei
principi di trasparenza e di parità di trattamento degli operatori
economici, consentendo allo stesso tempo alle amministrazioni aggiudicatrici e agli enti aggiudicatori di tener conto delle
specificità dei servizi in questione. Gli Stati membri dovrebbero
far sì che alle amministrazioni aggiudicatrici e agli enti aggiudicatori sia consentito di tener conto della necessità di garantire
innovazione e, in conformità dell’articolo 14 TFUE e del protocollo n. 26, un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità
economica, parità di trattamento e promozione dell’accesso
universale e dei diritti degli utenti”.
(16) Secondo il Considerando 113 della Dir. 2014/24/UE, “i
risultati del documento di lavoro dei servizi della Commissione
del 27 giugno 2011, dal titolo “Relazione di valutazione: l’impatto e l’efficacia della normativa dell’UE in materia di appalti
pubblici”, indicavano l’opportunità di rivedere la decisione di
escludere taluni servizi dalla piena applicazione della direttiva
2004/18/CE. Di conseguenza, la piena applicazione della presente direttiva dovrebbe essere estesa a una serie di servizi”.
(17) Cfr.: ITACA, Documento di analisi della direttiva
2014/24/UE in materia di appalti pubblici, 19 febbraio 2015,
133): “In tale prospettiva si è iniziato a parlare di un mercato
delle prestazioni sociali, di concorrenza (anche se ‘temperata’),
di esternalizzazione. Ciò per dei servizi che, di norma, venivano
affidati, nel nostro Paese, solo al terzo settore, a volte senza
previa gara (si pensi alla dibattuta tematica del trasporto di pazienti in ambulanza, ora oggetto di considerazione nel Considerando 28” e di cui si dirà nel paragrafo 6 del presente articolo.
(18) Nel Considerando 6 della Dir. 2014/24/UE si legge che
“è altresì opportuno ricordare che la presente direttiva non dovrebbe incidere sulla normativa degli Stati membri in materia
di sicurezza sociale. Essa non dovrebbe neppure trattare la liberalizzazione di servizi di interesse economico generale, riservati a enti pubblici o privati, o la privatizzazione di enti pubblici
che forniscono servizi”. Identico il contenuto del Considerando
8 della Dir. 2014/25/UE.
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vi sia, ‘a valle’, una pluralità di prestatori interessata a concorrere”.
E così: per un verso, alcuni servizi prima considerati parzialmente esclusi vengono ora sottoposti all’applicazione piena della disciplina di derivazione
comunitaria; per altro verso, ai servizi la cui limitata dimensione transfrontaliera è stata ritenuta persistente, si applica - in presenza dell’apposita soglia
di cui si dirà al paragrafo che segue - il richiamato
“regime alleggerito”.
ria”: si è ritenuto di rinvenire la ragione di ciò, con
riguardo ai servizi alla persona, nella loro limitata
dimensione transfrontaliera (22).
Per contro, al di sopra delle ricordate soglie, gli appalti in questione saranno assoggettati alla normativa comunitaria, e a quella nazionale di recepimento, sia pure secondo il “regime particolare”, in
quanto “alleggerito” rispetto a quello applicabile
agli altri servizi, di cui si è detto nel precedente paragrafo.
La nuova soglia
La disciplina procedurale semplificata.
L’obbligo di pubblicità
Un’ulteriore novità riguarda la soglia in presenza
della quale scatta l’applicazione della disciplina di
cui al “regime alleggerito”.
In base alla precedente disciplina (Direttive
2004/18/CE e 2004/17/CE - D.Lgs. n. 163/2006)
era prevista un’unica soglia per gli affidamenti dei
servizi tout court, senza distinguere tra servizi sociali
e servizi in generale: infatti, gli artt. 28 e 215 del
vecchio “Codice” avevano fissato detta soglia unica in euro 209.000 e in euro 418.000, rispettivamente, per i settori ordinari e per quelli speciali (19).
La nuova disciplina (artt. 4 e 15, rispettivamente,
delle Direttive 2014/24/UE e 2014/23/UE - D.Lgs.
n. 50/2016) prevede, invece, una soglia specifica
per i servizi sociali, indicata dall’art. 35, comma 1,
lett. d), del “Nuovo Codice” in euro 750.000, che
differisce rispetto a quella, inferiore, fissata dalle
precedenti lettere b) e c) della medesima norma
con riguardo agli altri servizi in generale (20).
Tale soglia, così fissata per i settori ordinari, aumenta fino a euro 1.000.000 nei settori speciali, ai
sensi del comma 2, lett. c), del medesimo art. 35
del D.Lgs. n. 50/2016.
Si consideri, peraltro che i servizi alla persona con
valori al di sotto di tale soglia non saranno, in genere, di alcun interesse per i prestatori di altri Stati
membri, solo se “...non vi siano indicazioni concrete in senso contrario, come ad esempio il finanziamento dell’Unione per i progetti transfrontalieri” (21).
Al di sotto di tali soglie e in assenza di un “interesse comunitario”, dunque, gli appalti di servizi sociali sono considerati “privi di rilevanza comunita(19) I predetti importi sono stati così modificati, rispetto a
quelli previsti in origine nelle Direttive 2004/18/CE e
2004/17/CE, nonché dagli artt. 28 e 215 del D.Lgs. n.
163/2006, per effetto dei Regolamenti 2015/2170/UE e
2015/2171/UE, con decorrenza dal 1° gennaio 2016.
(20) Euro 135.00 per gli appalti di servizi aggiudicati da amministrazioni aggiudicatrici che sono autorità governative cen-
1006
In generale
Alla luce di quanto sopra detto è possibile esaminare, nello specifico, il contenuto della disciplina
applicabile agli appalti (e alle concessioni) di servizi sociali, anzitutto distinguendo tra affidamenti
sotto soglia e affidamenti sopra soglia. Nell’ambito
di questi ultimi, si evidenzieranno le differenze del
regime “alleggerito” nei settori speciali e in quelli
ordinari.
Gli affidamenti di servizi sotto soglia
Per gli appalti sotto la soglia di rilevanza comunitaria (come detto, fino a euro 749.999 nei settori ordinari e fino a euro 999.999 nei settori speciali)
l’art. 36, comma 2, lett. b) prevede due modalità:
la prima consiste nell’applicare comunque le regole
ordinarie per gli appalti, comprensive di tutti gli
adempimenti e cautele procedurali; la seconda attiene alla facoltà di attivare una procedura negoziata preceduta da un’indagine di mercato, diretta a
individuare almeno cinque operatori economici da
invitare successivamente a presentare offerta oppure, in alternativa, all’attivazione di una procedura
negoziata tra operatori economici inclusi in specifici elenchi, previa osservanza del principio di rotazione.
Resta fermo l’obbligo, in ogni caso, di osservare i
principi, fissati dall’art. 30, di economicità, efficacia, tempestività, correttezza, libera concorrenza,
non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e
pubblicità
In proposito, si pone però la problematica del coordinamento tra la disciplina codicistica e quella,
trali indicate nell’Allegato III ed euro 209.000 per i servizi aggiudicati da amministrazioni aggiudicatrici sub-centrali.
(21) V. Considerando 114 della c.d. Direttiva Appalti e Considerando 120 della Direttiva Utilities.
(22) V. Considerando 114 della c.d. Direttiva Appalti e Considerando 120 della Direttiva Utilities.
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particolare, riguardante le cooperative sociali di tipo B, regolate dalla L. 8 novembre 1991, n. 381,
non sembrando che il D.Lgs. n. 50/2016 abbia
abrogato le disposizioni di detta Legge, che consente l’affidamento di servizi sociali strumentali (23),
diversi da quelli socio sanitari ed educativi, in favore delle cooperative sociali, purché sotto soglia.
In particolare, l’art. 5, comma 1, L. n. 381/1991,
come novellato dall’art. 1 della L. n. 190/2014, dispone che le convenzioni con le cooperative sociali
di tipo B siano stipulate previo svolgimento di procedure di selezione idonee ad assicurare il rispetto
dei principi di trasparenza, di non discriminazione
e di efficienza: sebbene si tratti di principi coerenti
con quelli generali enunciati dal richiamato art. 30
e quantunque il sistema di selezione potrebbe essere ritenuto altrettanto coerente con le richiamate
modalità di affidamento disciplinate dall’art. 36,
comma 2, lett. b), non è chiaro quale sia la soglia
da prendere a riferimento: quella di euro 209.000
prevista per i servizi in generale o, come appare
preferibile, quella specifica di euro 750.000?
Gli appalti sopra soglia
Come visto nei paragrafi precedenti, il regime “alleggerito” degli appalti (e delle concessioni) di servizi sociali sopra soglia è diversificato tra settori ordinari, disciplinati dagli artt. 142, 143 e 144, oltre
che - si ritiene - dagli artt. da 1 a 58 del Codice, e
i settori speciali, ai quali sono applicabili, anzitutto
l’art. 140 e, salvo quanto previsto dallo stesso, i richiamati artt. 142, 143 e 144, oltre che, in quanto
compatibili, gli artt. da 1 a 58 del Codice, in virtù
del richiamo dell’art. 114.
Gli elementi di semplificazione
delle procedure di selezione del contraente,
secondo i principi dell’ordinamento
comunitario
Gli artt. 140 e 142 prevedono determinate modalità per l’affidamento dei servizi sociali, anzitutto in
termini di pubblicità ante affidamento rispettivamente, per i settori speciali e ordinari, mediante
avvisi o bandi, e più precisamente:
= mediante avviso di gara o avviso periodico indicativo, oppure ancora avviso sull’esistenza di un sistema di qualificazione, per i settori speciali (art.
140, comma 1);
= mediante bando di gara, recante le informazioni
di cui all’allegato XIV, parte I, lett. F, conforme(23) Cioè svolti in favore della P.A. e riferibili a esigenze, appunto strumentali, della stessa.
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mente ai formulari di cui all’art. 72, oppure mediante un avviso di preinformazione, recante le informazioni della parte I del medesimo allegato, per
i settori ordinari (art. 142, comma 1).
Si tratta, dunque, di un sistema basato, tanto nei
settori ordinari quanto in quelli speciali, sull’alternativa bando o avviso: infatti, seppur il comma 1
dell’art. 140 si riferisce, nei settori speciali, solo all’avviso (di gara o periodico indicativo o sull’esistenza di un sistema di qualificazione), tuttavia il
successivo comma 4, nel rinviare all’Allegato XIV,
parte III, a proposito delle informazioni che dovranno contenere i richiamati atti pre-affidamento,
richiama non solo gli avvisi di gara, ma anche i
bandi. Ciò si spiega col più generale rimando, come detto contenuto nello stesso comma 1 dell’art.
140, alle norme in materia di affidamenti di servizi
sociali nei settori ordinari, tra cui, appunto l’art.
142 che, al comma 1, prevede anche il bando di
gara, quale modalità con cui le stazioni appaltanti
rendono nota l’intenzione di procedere all’aggiudicazione di un appalto pubblico.
Relativamente agli avvisi ante gara, quello previsto
per i settori ordinari è qualificato come “avviso di
preinformazione”, che deve essere “pubblicato in
maniera continuativa” conformemente all’art. 72 e
che deve contenere tutte le informazioni di cui alla
parte I dell’allegato XIV (art. 142, comma 1, lett.
b); mentre - come detto - il c.d. “avviso periodico
indicativo” dei settori speciali può limitarsi a recare le sole informazioni di cui alla parte III del medesimo allegato e dovrà essere pubblicato conformemente all’art. 130.
In entrambi i casi, ossia tanto nell’ipotesi di avviso
di preinformazione nei settori ordinari, quanto in
quella di avviso periodico indicativo nei settori
speciali, i relativi atti devono indicare che gli appalti saranno aggiudicati senza successiva pubblicazione e recare l’invito agli operatori economici a
manifestare il proprio interesse per iscritto: come è
stato rilevato in sede di commento del corrispondente art. 75 della Dir. 2014/24/UE, di cui l’art.
140 costituisce recepimento (obbligatorio), “la nozione di manifestazione di interesse...sembra introdurre possibili forme di negoziazione a formazione
progressiva, quali ad esempio l’istruttoria pubblica
per la coprogettazione, prevista dal D.P.C.M. 30
marzo 2011, relativo ai sistemi di affidamento dei
servizi alla persona (art. 7), e da alcune leggi regionali sulla cooperazione sociale” (24).
(24) Cfr. ITACA, Documento di analisi cit., 135.
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Il che costituisce una forma, sia pure implicita, di
coordinamento tra normativa in materia di appalti
e quella di settore. In ogni caso, ciò apre la strada
a variegate possibilità di “dialogo” e collaborazione
tra amministrazioni pubbliche e c.d. Terzo Settore.
Può derogarsi ai suddetti obblighi di pubblicità ante gara se ricorrono i presupposti previsti dall’art.
63 per l’aggiudicazione all’esito di procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara: ciò vale sia per gli appalti di servizi sociali dei
settori ordinari (art. 142, comma 2), sia per quelli
da affidarsi nei settori speciali (art. 140, comma 2).
È comunque previsto, nei commi 3 degli artt. 140
e 142, che venga resa nota l’intervenuta aggiudicazione dell’appalto mediante un avviso di aggiudicazione che, solo nei settori ordinari, dovrà recare le
informazioni di cui all’allegato XIV, parte I, lett.
H, conformemente ai modelli di formulari di cui
all’art. 72 (25); potendosi, in entrambi i settori,
raggruppare detti avvisi su base trimestrale, da pubblicarsi - come i richiamati atti ante-gara - in conformità, rispettivamente, all’art. 72 (per i settori
ordinari) e all’art. 130 (per quelli speciali).
In proposito, si rileva che l’originario errore, contenuto nel comma 3, prima parte, dell’art. 142 (26),
relativamente al richiamo ivi contenuto all’art.
119 che riguarda le “attività relative allo sfruttamento di un’area geografica per la messa a disposizione di aeroporti, porti marittimi o interni e di altri terminali di trasporti ai vettori aerei, marittimi
e fluviali”, al fine di disporre l’applicazione alle
stesse attività delle norme sui settori speciali, è stato emendato dall’Avviso di rettifica pubblicato
nella G.U. n. 164 del 15 luglio 2016, prevedendosi
ora espressamente il richiamo agli appalti per i servizi “di cui all’art. 140”.
Sistema di scelta del contraente e criterio
di aggiudicazione
Stante il silenzio sul punto da parte degli artt. 140
e 142, si ritiene che, tanto nei settori ordinari
quanto in quelli speciali, le amministrazioni potranno selezionare gli operatori cui affidare gli appalti di servizi sociali in conformità a uno dei sistemi di scelta del contraente previsti dal Codice (gara aperta, gara ristretta, procedura negoziata senza
pubblicazione di bando, dialogo competitivo).
Al riguardo si pongono, però, i richiamati problemi
di coordinamento tra la disciplina comunitaria e
nazionale in materia di contratti pubblici e le normative specifiche tuttora vigenti nel Terzo Settore,
le quali prevedono ipotesi di affidamenti in favore
dei soggetti ivi operanti non proprio coincidenti
con quelle del Codice. Si pensi, a esempio:
= alla “riserva” in favore delle organizzazioni di volontariato per l’erogazione, mediante convenzione,
di servizi alla persona, prevista dall’art. 3 del
D.P.C.M. 30 marzo 2001 (27); ciò in deroga ai
principi dell’evidenza pubblica, in considerazione
del fine di attuare i principi di universalità, solidarietà, accessibilità diffusa del servizio, garanzia del
mantenimento dei livelli essenziali ed equilibrio
economico;
= alla possibilità delle Amministrazioni, prevista
dall’art. 5 del richiamato D.P.C.M. (28), di acquistare all’esterno, ossia senza delegarne la gestione,
servizi e interventi organizzati dai soggetti del Terzo Settore, semplicemente autorizzati o accreditati
ai sensi dell’art. 11 della Legge n. 328/2000, iscritti
nell’apposito elenco; con previsione solo eventuale
della selezione dei predetti fornitori in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa;
= e alla possibilità di affidare la gestione dei servizi
sociali agli organismi del Terzo Settore, privilegiando le procedure di aggiudicazione ristrette e
(25) Mentre per i settori sociali, in assenza di previsione di
particolari obblighi contenutistici, deve ritenersi sufficiente che
l’avviso dia semplicemente atto dell’intervenuta aggiudicazione.
(26) L’art. 142, comma 3, prima parte, disponeva infatti che
“le stazioni appaltanti che hanno aggiudicato un appalto pubblico per i servizi di cui all’art. 119 rendono noto il risultato della procedura d’appalto mediante un avviso di aggiudicazione...”.
(27) L’art. 3 del D.P.C.M. 30 marzo 2001 così recita: “Le
Regioni e i Comuni valorizzano l’apporto del volontariato nel sistema di interventi e servizi come espressione organizzata di
solidarietà sociale, di autoaiuto e reciprocità nonché con riferimento ai servizi e alle prestazioni, anche di carattere promozionale, complementari a servizi che richiedono una organizzazione complessa ed altre attività compatibili, ai sensi della legge
11 agosto 1991, n. 266, con la natura e le finalità del volontariato. Gli enti pubblici stabiliscono forme di collaborazione con
le organizzazioni di volontariato avvalendosi dello strumento
della convenzione di cui alla legge n. 266/1991”.
(28) L’art. 5 del D.P.C.M. 30 marzo 2001 così recita: “I Comuni, al fine di realizzare il sistema integrato di interventi e servizi sociali garantendone i livelli essenziali, possono acquistare
servizi e interventi organizzati dai soggetti del Terzo Settore.
Le Regioni disciplinano le modalità per l’acquisto da parte dei
Comuni dei servizi ed interventi organizzati dai soggetti del terzo settore definendo in particolare: a. le modalità per garantire
una adeguata pubblicità del presumibile fabbisogno di servizi
in un determinato arco temporale; b. le modalità per l’istituzione dell’elenco dei fornitori di servizi autorizzati ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 328 del 2000, che si dichiarano disponibili ad offrire i servizi richiesti secondo tariffe e caratteristiche
qualitative concordate; c. i criteri per l’eventuale selezione dei
soggetti fornitori sulla base dell’offerta economicamente più
vantaggiosa, tenuto conto di quanto previsto dall’articolo 4”.
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conoscenza degli specifici problemi sociali del territorio e delle risorse sociali della comunità; oltre al
rispetto dei trattamenti economici previsti dalla
contrattazione collettiva, come requisito di partecipazione.
negoziate (art. 6 del D.P.C.M. 30 marzo
2011) (29).
È intuibile come, in assenza di un coordinamento
stabilito a livello normativo, spetterà all’interprete
il compito di sciogliere i dubbi interpretativi e applicativi, che non mancheranno di proporsi, con
conseguente possibilità di contenzioso.
Nonostante analogo silenzio degli artt. 140 e 142 e
sia pure in assenza di divieti da parte dall’art. 76
della Dir. 2014/24/UE, si ritiene che altrettanta libertà di scelta non vi sia con riguardo alla individuazione del criterio di aggiudicazione, considerato
che l’art. 95, comma 3, lett. a) dispone che “sono
aggiudicati esclusivamente sulla base del criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo: a) i contratti relativi a servizi sociali e di ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, nonché ai servizi ad alta intensità di manodopera, come definiti all’art. 50, comma 1” (ossia nei quali il
costo della manodopera è pari almeno al 50% dell’importo totale del contratto); ciò in precisa attuazione del criterio posto dal Legislatore delegante
che imponeva, quale criterio di aggiudicazione degli appalti di servizi sociali, unicamente quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa (art. 1,
comma 1, lett. gg), L. n. 11/2016).
D’altro canto, nel settore in questione non sembrano più praticate gare al massimo ribasso; piuttosto,
considerate la peculiarità e la delicatezza di detto
settore, le stazioni appaltanti dovranno prestare
grande attenzione nel peso da attribuire (o meno)
all’elemento prezzo rispetto a criteri volti a valorizzare la progettualità dei soggetti del Terzo Settore
in vista del perseguimento degli obiettivi sociali
(art. 50): le possibili linee guida dell’ANAC potranno eventualmente offrire indicazioni al riguardo; nel frattempo, il riferimento attuale è dato dalla richiamata deliberazione n. 32/2016 della stessa
ANAC che, nelle già richiamate Linee guida (16),
ha evidenziato la necessità di impiegare i criteri di
cui all’art. 4 del D.P.C.M. 30 marzo 2011: modalità
per il contenimento del turn over degli operatori;
strumenti di qualificazione organizzativa del lavoro;
Modelli di aggregazione obbligatoria
per alcune tipologie di enti
Profili di criticità presenta l’assoggettamento degli
appalti di servizi sociali ai modelli di aggregazione
obbligatoria per alcune tipologie di enti (Comuni
non capoluogo, ASL, ecc.) previsti dagli artt. da
37 a 43 del D.Lgs. n. 50/2016: infatti, solo per appalti di importo inferiore a euro 40.000 ciascun
Ente potrà procedere autonomamente all’affidamento; mentre, per importi tra i 40.001 e 750.000
euro, potranno procedere autonomamente solo in
comuni in possesso della qualificazione prevista
dall’art. 38.
Ora, considerato che - come in precedenza detto le norme di cui agli articoli da 1 a 58 (tra cui quelle in esame) appaiono applicabili anche agli appalti di servizi sociali, il vero problema sarà coniugare
le esigenze di aggregazione e centralizzazione della
committenza con le peculiarità proprie del settore
dei servizi alla persona: vero è che già l’art. 8, comma 3, lett. a), L. n. 328/2000 aveva previsto - ma
solo per la fase della programmazione e progettazione dei servizi - che i comuni, associati a livello di
ambito territoriale (per lo più coincidente col territorio delle unità sanitarie locali) dovevano definire
in modo unito e unitario il piano di zona dei servizi sociali, ma è altrettanto vero che le aggregazioni
previste dalle normative specifiche del settore sono
diverse da quelle introdotte dal Codice e soprattutto che difficilmente i servizi sociali si prestano alla
standardizzazione necessaria allo scopo (gli Enti dovrebbero utilizzare gli strumenti di negoziazione
elettronica messi a disposizione dei soggetti aggregatori), visto l’elevatissimo grado di personalizzazione di questi appalti.
Sarebbe pertanto auspicabile, come ritenuto dall’ANAC nella richiamata Relazione AIR (pag.
12), che per gli appalti in esame non trovassero ap-
(29) L’art. 5 del D.P.C.M. 30 marzo 2001 così recita: “1. Le
Regioni adottano specifici indirizzi per regolamentare i rapporti
tra Comuni e soggetti del Terzo Settore nell’affidamento dei
servizi alla persona di cui alla legge n. 328 del 2000 tenuto
conto delle norme nazionali e comunitarie che disciplinano le
procedure di affidamento dei servizi da parte della pubblica
amministrazione. 2. Nel rispetto dei principi di pubblicità e trasparenza dell’azione della Pubblica Amministrazione e di libera
concorrenza tra i privati nel rapportarsi ad essa, sono da privilegiare le procedure di aggiudicazione ristrette e negoziate. In
tale ambito le procedure ristrette permettono di valutare e valorizzare diversi elementi di qualità che il Comune intende ottenere dal servizio appaltato. 3. I Comuni, nell’affidamento per la
gestione dei servizi, utilizzano il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, tenuto conto anche di quanto previsto
all’articolo 4. 4. I contratti previsti dal presente articolo prevedono forme e modalità per la verifica degli adempimenti oggetto del contratto ivi compreso il mantenimento dei livelli
qualitativi concordati ed i provvedimenti da adottare in caso di
mancato rispetto”.
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plicazione i modelli di aggregazione ora previsti dal
D.Lgs. n. 50/2016.
avviso di preinformazione e agli avvisi di aggiudicazione.
Le concessioni di servizi sociali
La riserva in favore dei cc.dd. “organismi
no-profit”
In relazione alle concessioni di servizi sociali, il
D.Lgs. n. 50/2016 - come detto - non reca alcuna
previsione.
Tuttavia, in conformità a quanto previsto dall’art.
19 dalla Dir. 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei
contratti di concessione (servizi sociali e altri servizi specifici), deve ritenersi che le concessioni per i
servizi sociali siano quanto meno soggette agli obblighi previsti dall’art. 31, paragrafo 3, e dagli artt.
32, 46 e 47 della stessa Direttiva, in relazione all’obbligo di rendere nota l’intenzione di aggiudicare la concessione mediante la pubblicazione di un
(30) Parzialmente e non del tutto innovativa, perché riecheggia la richiamata “riserva” in favore delle organizzazioni di
volontariato per l’erogazione, mediante convenzione, di servizi
alla persona, prevista dall’art. 3 del D.P.C.M. 30 marzo 2001.
(31) I servizi, con i relativi numeri di CPV, sono i seguenti:
75121000-0 servizi amministrativi nel settore dell’istruzione,
75122000-7 servizi amministrativi in campo sanitario,
75123000-4 servizi amministrativi per l’edilizia, 79622000-0
Servizi di fornitura di personale domestico, 79624000-4 - Servizi di fornitura di personale infermieristico, 79625000-1 Servizi
di fornitura di personale medico, 80110000-8 Servizi di istruzione prescolastica, 80300000-7 Servizi di istruzione superiore,
80420000-4 Servizi di e-learning, 80430000-7 Servizi di istruzione universitaria per adulti, 80511000-9 Servizi di formazione
dei dipendenti, 80520000-5 Attrezzature per la formazione,
80590000-6 Servizi di tutorato, 85000000-9 Servizi sanitari e di
assistenza sociale, 85100000-0 Servizi sanitari, 85110000-3
Servizi ospedalieri e affini, 85111000-0 Servizi ospedalieri,
85111100-1 Servizi ospedalieri di chirurgia, 85111200-2 Servizi
medici ospedalieri, 85111300-3 Servizi ospedalieri di ginecologia, 85111310-6 Servizi di fecondazione artificiale, 85111320-9
Servizi ospedalieri di ostetricia, 85111400-4 Servizi ospedalieri
di rieducazione, 85111500-5 Servizi ospedalieri di assistenza
psichiatrica, 85111600-6 Servizi ortottici, 85111700-7 Servizi di
ossigenoterapia, 85111800-8 Servizi di patologia, 85111810-1
Servizi di analisi del sangue, 85111820-4 Servizi di analisi batteriologica, 85111900-9 Servizi di dialisi ospedaliera,
85112000-7 Servizi di assistenza ospedaliera, 85112100-8 Servizi di fornitura di biancheria ospedaliera, 85112200-9 Servizi
di cure ambulatoriali, 85120000-6 Servizi di assistenza medica
ambulatoriale e servizi affini, 85121000-3 Servizi di assistenza
medica ambulatoriale, 85121100-4 Servizi di medici generici,
85121200-5 Servizi medici specialistici, 85121210-8 Servizi ginecologici o ostetrici, 85121220-1 Servizi specialistici di nefrologia o del sistema nervoso, 85121230-4 Servizi cardiologici o
servizi specialistici polmonari, 85121231-1 Servizi cardiologici,
85121232-8 Servizi specialistici polmonari, 85121240-7 Servizi
otorinolaringoiatrici o audiologici, 15 marzo 2008 IT Gazzetta
ufficiale dell’UE L 74/205, Codice CPV Descrizione, 851212500 Servizi gastroenterologi e geriatrici, 85121251-7 Servizi gastroenterologi, 85121252-4 Servizi geriatrici, 85121270-6 Servizi psichiatrici o psicologici, 85121271-3 Servizi di istituti per
persone con disturbi psicologici, 85121280-9 Servizi oftalmologici, dermatologici o ortopedici e 98133110-8 Servizi prestati
da associazioni giovanili, 85121281-6 Servizi oftalmologici,
92500000-6 Servizi di biblioteche, archivi, musei e altri servizi
culturali, 92600000-7 Servizi sportivi, 98133000-4 Servizi pre-
1010
L’art. 143 del nuovo Codice, in recepimento (non
obbligatorio) dell’art. 77 della Dir. 2104/24/UE, introduce una disposizione parzialmente innovativa (30), che reca un “regime speciale riservato”,
prevedendo la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di “riservare” appunto a determinate
organizzazioni il diritto di partecipare alle procedure di appalti pubblici relative a determinati, specifici, servizi sanitari, sociali e culturali, tassativamente elencati nella stessa norma (comma 1) (31).
stati da organizzazioni associative di carattere sociale,
85121282-3 Servizi dermatologici, 85121283-0 Servizi ortopedici, 85121290-2 Servizi pediatrici o urologici, 85121291-9 Servizi pediatrici, 85121292-6 Servizi urologici, 85121300-6 Servizi
chirurgici specialistici, 85130000-9 Servizi di gabinetti odontoiatrici e servizi affini, 85131000-6 Servizi di gabinetti odontoiatrici, 85131100-7 Servizi di ortodonzia, 85131110-0 Servizi
di chirurgia ortodontica, 85140000-2 Vari servizi sanitari,
85141000-9 Servizi prestati da personale medico, 85141100-0
Servizi prestati da ostetriche, 85141200-1 Servizi prestati da
personale infermieristico, 85141210-4 Servizi di cure mediche
a domicilio, 85141211-1 Servizi di dialisi a domicilio,
85141220-7 Servizi di consulenza prestati da personale infermieristico, 85142000-6 Servizi prestati da personale paramedico, 85142100-7 Servizi di fisioterapia, 85142200-8 Servizi di
cure omeopatiche, 85142300-9 Servizi igienici, 85142400-0
Consegna a domicilio di prodotti per incontinenti, 85143000-3
Servizi di ambulanza, 85144000-0 Servizi di case di cura,
85144100-1 Servizi infermieristici di case di cura, 85145000-7
Servizi prestati da laboratori medici, 85146000-4 Servizi prestati da banche di sangue, 85146100-5 Servizi prestati da banche di sperma, 85146200-6 Servizi prestati da banche di organi per trapianti, 85147000-1 Servizi sanitari nelle imprese,
85148000-8 Servizi di analisi mediche, 85149000-5 Servizi farmaceutici, 85150000-5 Servizi di imaging medicale,
85160000-8 Servizi ottici, 85170000-1 Servizi di agopuntura e
di chiropratica, 85171000-8 Servizi di agopuntura, 85172000-5
Servizi di chiropratica, 85200000-1 Servizi veterinari,
85210000-3 Servizi veterinari a domicilio, 85300000-2 Servizi
di assistenza sociale e servizi affini, 85310000-5 Servizi di assistenza sociale, 85311000-2 Servizi di assistenza sociale con alloggio, 85311100-3 Servizi di assistenza sociale per persone
anziane, 85311200-4 Servizi di assistenza sociale per disabili,
85311300-5 Servizi di assistenza sociale per bambini e giovani,
85312000-9 Servizi di assistenza sociale senza alloggio,
85312100-0 Servizi di centri diurni, 85312110-3 Servizi forniti
da centri diurni per bambini, 85312120-6 Servizi forniti da centri diurni per bambini e giovani disabili, 85312200-1 Consegna
a domicilio di prodotti alimentari, 85312300-2 Servizi di orientamento e consulenza, 85312310-5 Servizi di orientamento,
85312320-8 Servizi di consulenza, 85312330-1 Servizi di pianificazione familiare, 85312400-3 Servizi di assistenza sociale
non prestati da istituti residenziali, 85312500-4 Servizi di riabilitazione, 85312510-7 Servizi di reinserimento professionale,
85320000-8 Servizi sociali, 85321000-5 Servizi sociali amministrativi, 85322000-2 Programma di azione municipale e
85323000-9 Servizi sanitari municipali.
Urbanistica e appalti 8-9/2016
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Nuovo Codice appalti
La “riserva” opera, però, soltanto in presenza di determinati requisiti, che devono essere posseduti
dalle suddette organizzazioni (art. 143, comma 2):
- le organizzazioni devono avere come obiettivo
statutario il perseguimento di una missione di servizio pubblico legata alla prestazione dei servizi indicati dal comma 1;
- i profitti devono essere reinvestiti al fine di conseguire l’obiettivo dell’organizzazione oppure, se i
profitti non vengono reinvestiti, ciò deve basarsi
su condizioni partecipative;
- le strutture di gestione o proprietà dell’organizzazione che esegue l’appalto devono essere basate su
principi di azionariato dei dipendenti e partecipativi, ovvero richiedere la partecipazione attiva dei
dipendenti stessi, utenti o soggetti interessati.
Non solo: l’amministrazione aggiudicatrice non deve aver affidato all’organizzazione un appalto per i
servizi in questione ai sensi dell’art. 142 negli ultimi tre anni (sempre comma 2) e i contratti “riservati” non possono avere una durata superiore ai tre
anni (comma 3).
La norma in commento sembra superare la controversa questione circa la possibilità o meno di dare
luogo a procedure selettive a concorrenza limitata o
addirittura “riservate” al Terzo Settore; possibilità come è noto - negata dalla giurisprudenza (32). Per
contro, all’esito di un lungo dibattito, risolto dalla
Corte di Giustizia (33), è stato ritenuto legittimo
l’affidamento diretto del servizio di trasporto sanitario (d’urgenza) in favore di associazioni di volontariato e il Considerando 28 della Dir. 2014/24/UE
ha posto al di fuori del proprio ambito applicativo
i (soli) servizi di emergenza, nell’ipotesi in cui vengano ad essere erogati da enti senza scopo di lucro (34); di modo che per i servizi non d’urgenza
troveranno applicazione le sopra esaminate norme
di cui al richiamato regime attenuato.
Discutibile, inoltre, come era stato rilevato già in
sede di primo commento all’art. 77 della Dir.
2014/24/UE, la previsione della durata del contratto affidato ai sensi dell’art. 142 limitata a soli tre
anni: “i servizi alla persona sono molto spesso, a
torto o a ragione, gestiti dalle stesse cooperative
che, operando sul territorio, hanno progettato i
servizi che, di volta in volta, gestiscono in maniera
quasi istituzionalizzata. L’utente del resto, di norma, non ama la ‘rotazione’ (si pensi a delicati servizi rivolti ai disabili e, all’infanzia), ma la continuità. Il rischio insomma è che, per le nostre realtà
regionali, la riserva, se utilizzata in modo acritico,
potrebbe addirittura creare effetti ‘maldesiderati’” (35).
(32) Cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. I, 12 novembre 2003,
n. 3835; T.A.R. Campania, Napoli, 22 settembre 2003, n.
11452.
(33) Cfr. Corte di Giustizia UE, Sez. V, 28 gennaio 2016, C50/14, nonché Corte di Giustizia UE 11 dicembre 2014, C113/13 e l’ordinanza di rinvio pregiudiziale del Cons. Stato,
Sez. II, 27 febbraio 2013, n. 1195, con nota di A. Reggio d’Aci,
Evidenza pubblica e associazioni di volontariato: l’onerosità della
convenzione va valutata in termini comunitari, in questa Rivista,
6/2013, 688.
(34) Recita il Considerando 28: “La presente direttiva non
dovrebbe applicarsi a taluni servizi di emergenza se effettuati
da organizzazioni e associazioni senza scopo di lucro, in quanto il carattere particolare di tali organizzazioni sarebbe difficile
da preservare qualora i prestatori di servizi dovessero essere
scelti secondo le procedure di cui alla presente direttiva. La loro esclusione, tuttavia, non dovrebbe essere estesa oltre lo
stretto necessario. Si dovrebbe pertanto stabilire esplicitamen-
te che i servizi di trasporto dei pazienti in ambulanza non dovrebbero essere esclusi. In tale contesto è inoltre necessario
chiarire che nel gruppo 601 ‘Servizi di trasporto terrestre’ del
CPV non rientrano i servizi di ambulanza, reperibili nella classe
8514. Occorre pertanto precisare che i servizi identificati con il
codice CPV 85143000-3, consistenti esclusivamente in servizi
di trasporto dei pazienti in ambulanza, dovrebbero essere soggetti al regime speciale previsto per i servizi sociali e altri servizi specifici (‘regime alleggerito’). Di conseguenza, anche gli
appalti misti per la prestazione di servizi di ambulanza in generale dovrebbero essere soggetti al regime alleggerito se il valore dei servizi di trasporto dei pazienti in ambulanza”.
(35) Cfr. ITACA, Documento di analisi..., cit., 138.
(36) Non pare infatti appropriato considerare l’attività di ristorazione in generale come “servizio sociale”, ma solo la ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, disciplinata
dal comma 2 dell’art. 144.
Urbanistica e appalti 8-9/2016
La particolare disciplina per l’affidamento
dei servizi di ristorazione collettiva
e i servizi sostitutivi di mensa - cc.dd.
“buoni pasto” (cenni)
Il servizio di ristorazione
L’art. 144 del D.Lgs. n. 50/2016 disciplina l’affidamento del servizio di ristorazione, anch’esso incluso nel Capo II del Titolo IV, relativo agli appalti
nei servizi sociali dei settori ordinari, benché non
del tutto propriamente (36), ma comunque qualificato come “servizio specifico”, secondo quanto stabilito dall’allegato XIV della Dir. 2014/24/UE.
Sono conseguentemente applicabili le norme comunitarie, ovviamente per i contratti di importo
pari o superiori a euro 750.000, per i settori ordinari e a euro 1.000.000 per i settori speciali.
Anche i relativi appalti, ai sensi del comma 1 della
norma in esame, devono essere affidati esclusivamente con il criterio dell’offerta economicamente
più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior
rapporto qualità/prezzo, ai sensi dell’art. 95, comma
3: innovativa appare l’individuazione dei relativi
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fattori, che fanno riferimento alla qualità dei generi
alimentari (prodotti biologici, tipici e tradizionali,
a denominazione protetta e provenienti da sistemi
di c.d. filiera corta), ai principi e alle disposizioni
della green economy e alla formazione degli operatori.
In tale ambito, l’art. 144, comma 1, specifica altresì
che vengono fatte salve le disposizioni di cui all’art. 4, comma 5 quater del D.L. n. 104/2013 (convertito nella L. n. 128/2013), e di cui all’art. 6,
comma 1, L. n. 141/2015: il richiamato art. 4,
comma 5 quater, stabilisce che le stazioni appaltanti prevedano specificatamente l’inserimento dei
suddetti aspetti nei bandi delle gare d’appalto per
l’affidamento e la gestione dei servizi di refezione
scolastica e di fornitura di alimenti e prodotti
agroalimentari agli asili nido, alle scuole dell’infanzia, alle scuole primarie, alle scuole secondarie di
primo e di secondo grado e alle altre strutture pubbliche che abbiano come utenti bambini e giovani
fino a diciotto anni di età. L’art. 6, comma 1, L. n.
141/2015, inoltre, consente alle istituzioni pubbliche che gestiscono mense scolastiche e ospedaliere
di prevedere nelle gare, concernenti i relativi servizi di fornitura, criteri di priorità per l’inserimento
di prodotti agroalimentari provenienti da operatori
dell’agricoltura sociale.
Ai sensi del comma 2 dell’art. 144, con decreti del
Ministro della salute, di concerto con il Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, sono definite e aggiornate le linee di indirizzo nazionale per la ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica. Fino all’adozione
delle linee guida le stazioni appaltanti individuano
nei documenti di gara le specifiche tecniche finalizzate a garantire la qualità del servizio richiesto,
ai sensi dell’art. 216, comma 18.
I cc.dd. “buoni pasto”
L’ attività di emissione di buoni pasto, consistente
“nell’attività finalizzata a rendere per il tramite di
esercizi convenzionati il servizio sostitutivo di
mensa”, nella normativa previgente contenuta nell’art. 285 del d.P.R. n. 207/2010, viene in parte innovata dai commi da 3 a 8 dell’art. 144 del D.Lgs.
n. 50/2016.
In primo luogo, resta confermato che l’attività di
emissione di buoni pasto deve essere svolta esclusivamente da società di capitali con capitale sociale
versato non inferiore a euro 750.000, che abbiano
come oggetto sociale l’esercizio dell’attività sostitutiva di mensa e il cui bilancio sia corredato dalla
1012
relazione redatta dalle società di revisione iscritte
nell’apposito registro presso il Ministero della giustizia ai sensi dell’art. 2409 bis c.c. (comma 3).
La lett. d) della L. delega n. 11/2016 prevedeva
una specifica disciplina per il settore dei servizi sostitutivi di mensa e disponeva, in particolare, che
l’affidamento di tali servizi dovesse anch’esso avvenire esclusivamente con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla
base del miglior rapporto qualità/prezzo, come disposto dalla lettera gg) della stessa Legge delega e
come, conseguentemente, disposto dall’art. 95,
comma 3: orbene, il comma 6 dell’art. 144 dispone
che il bando deve stabilire i pertinenti criteri di
valutazione dell’offerta, potendo fare riferimento oltre ad altri, ove ritenuto - ai seguenti: ribasso sul
valore nominale del buono pasto, disponibilità o
impegno a conseguire a pena di decadenza dell’aggiudicazione (comma 7) la rete degli esercizi da
convenzionare, sconto incondizionato verso gli
esercenti, termini di pagamento agli esercenti convenzionati e progetto tecnico.
Con particolare riferimento al progetto tecnico rilevano elementi quali: organizzazione del servizio,
distribuzione sul territorio degli esercizi convenzionati, caratteristiche quantitative medie dei locali
di detti esercizi, la loro articolazione temporale di
funzionamento, la distanza massima e minima dalle
sedi delle stazioni appaltanti, la capienza in funzione del numero di dipendenti pubblici impiegati in
ciascuna sede, le procedure ed i termini di consegna dei “buoni pasto”, le modalità di controllo dell’effettuazione del servizio e di redazione di report
di rendicontazione. Inoltre, nell’ambito delle modalità di esecuzione del contratto, possono essere
anche considerati eventuali “servizi aggiuntivi” all’esercente e/o al dipendente. La stazione appaltante deve, in tal caso, prevedere i limiti entro i quali
tali servizi sono reputati ammissibili, in quanto gli
stessi presentano una connessione con l’oggetto del
contratto. La par condicio impone, infatti, che i
concorrenti conoscano le condizioni della gara e,
quindi, i miglioramenti inseriti nel progetto tecnico per la stazione appaltante e per gli esercenti sono ammessi a condizione che abbiano un peso limitato in sede di offerta e che siano tali da non
snaturare l’oggetto del servizio (v. determinazione
ANAC n. 5 del 20 ottobre 2011).
Come previsto al comma 5 dell’art. 144, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita l’ANAC, sono individuati gli esercizi presso i quali può essere erogato il servizio sosti-
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tutivo di mensa reso a mezzo dei buoni pasto, le caratteristiche dei buoni pasto e il contenuto degli
accordi stipulati tra le società di emissione di buoni
pasto e i titolari degli esercizi convenzionabili.
La nuova disciplina sui buoni pasto sembra almeno
in astratto (salvo misurarla nell’applicazione pratica) superare le criticità che caratterizzavano in negativo l’operatività della previgente disciplina, con
l’effetto ultimo di penalizzare i fruitori finali del
servizio e, cioè, i dipendenti pubblici, così come gli
esercenti che forniscono il servizio: la disponibilità
della rete di esercizio o l’impegno a conseguirla
che, ai sensi dell’art. 285, comma 8, d.P.R. n.
207/2010, poteva costituire sia un criterio di valutazione che di partecipazione, in forza dell’art. 144
del D.Lgs. n. 50/2016 può soltanto essere un criterio di valutazione o, per lo meno, una condizione
di esecuzione del contratto; è venuta meno la possibilità di ricorrere al criterio di aggiudicazione del
prezzo più basso, in precedenza prevista, quale alternativa all’offerta economicamente più vantaggiosa, dal comma 7 dell’art. 285.
Conclusioni
All’esito dell’analisi sopra compiuta emerge un regime specifico rispetto agli altri servizi che, se ha il
pregio di applicare - con i dovuti adattamenti (37)
- al delicato settore degli affidamenti nei servizi sociali i principi dei contratti pubblici, a causa dei
continui rimandi e rinvii ad altre norme sconta un
difetto di semplificazione che finisce con “l’appesantire” il “regime alleggerito” voluto dal Legislatore Comunitario.
Desta, inoltre, preoccupazione il mancato coordinamento con le normative specifiche del Terzo
Settore, che crea il rischio di duplicazioni e/o triplicazioni, anche in dipendenza dell’attuazione che
le Regioni, aventi peraltro competenza in materia
di sistema socioassistenziale, daranno ai principi
della emananda Legge nazionale sul Terzo Settore.
Positivo, per contro, il fatto che il nuovo Codice
abbia “cancellato” il massimo ribasso, puntando
sulla qualità dei progetti con l’obbligo del criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
(37) Gli adattamenti dei principi della contrattualistica pubblica al settore dei servizi alla persona sono stati resi possibili
anche dall’elevazione della soglia di rilevanza comunitaria.
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Beni culturali
Appalti nel settore dei beni
culturali (e archeologia preventiva)
di Paolo Carpentieri
L’articolo analizza le novità introdotte dal nuovo codice dei contratti pubblici nel settore speciale
dei contratti relativi ai beni culturali, anche con riguardo ai profili della verifica preventiva dell’interesse archeologico dell’area interessata dai lavori e della semplificazione del regime delle
sponsorizzazioni.
La legge delega 28 gennaio 2016, n. 11 ha previsto,
all’art. 1, comma 1, lett. o), tra i principi e criteri
direttivi cui il Governo doveva attenersi nella redazione del nuovo codice dei contratti pubblici, il
riordino e la semplificazione della normativa specifica in materia di contratti relativi a beni culturali,
ivi inclusi quelli di sponsorizzazione, nel rispetto
delle disposizioni di tutela previste dal codice dei
beni culturali e del paesaggio.
Il regime vigente fino all’entrata in vigore del
D.Lgs. n. 50 del 2016 prevedeva, per i beni culturali, dieci articoli nel codice dei contratti pubblici
del 2006, dal 197 a 205, compreso l’art. 199 bis sulle sponsorizzazioni aggiunto dal D.L. n. 5 del 2012,
racchiusi in un apposito Capo II (nel Titolo IV,
Parte II), cui devono aggiungersi gli artt. 95 e 96
sull’archeologia preventiva (gli uni derivanti dal
D.Lgs. n. 30 del 2004, recante Modificazioni alla disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti i beni culturali, gli altri dagli artt. da 2 ter a 2 quinquies
del D.L. n. 63 del 2005, convertito con modificazioni, nella L. n. 109 del 2005), nonché le previsioni regolamentari (Titolo XI della Parte II del
d.P.R. n. 207 del 2010, composto di 13 artt. - dal
239 al 251 - che disciplinavano, con caratteri di
specialità, gli istituti della progettazione, della verifica, della qualificazione, della direzione tecnica,
dell’esecuzione e del collaudo) (1).
(1) Sul regime dei contratti pubblici relativi ai beni culturali
nel previgente D.Lgs. n. 163 del 2006 si vedano (senza pretesa di esaustività): D. De Carolis, I contratti nel settore dei beni
culturali, in F. Caringella - M. Giustiniani (diretto da), Manuale
dei contratti pubblici, Roma, 2015, 1779 ss.; D. Galli, I lavori
nel settore dei beni culturali, in D. Galli, D. Gentile, V. Paoletti
Galanti (diretto da), Appalti pubblici, Parte speciale, cap. 4,
Milano, 2015, 1330 ss.; S. Segnalini, Disciplina comune applicabile ai contratti pubblici relativi ai beni culturali, in G. Bonilini
- M. Confortini (diretto da), Codice degli appalti pubblici, Torino, 2014, 1234 ss.; G. Spatini - V. Gastaldo, Disciplina comune applicabile ai contratti pubblici relativi ai beni culturali, in
L.R. Perfetti (diretto da), Codice dei contratti pubblici commentato, Milano, 2013, 2105 ss.; A. Bartolini - F. Polticchia,
Disciplina comune applicabile ai contratti pubblici relativi ai beni culturali, in G.F. Ferrari - G. Morbidelli (diretto da), Trattato
sui contratti pubblici, II, Milano, 2013, 843 ss.; E. Borghi - M.
Buscaglia, Contratti relativi ai beni culturali, in Carullo, Iudica,
(diretto da), Commentario breve alla legislazione sugli appalti
pubblici e privati, Padova, 2012, 1303 ss.; D. De Carolis, Contratti relativi ai beni culturali: introduzione alla norma, commento e questioni aperte, in F. Caringella - M. Protto, (diretto
da), Codice dei Contratti pubblici commentato, Dike giuridica,
Roma, 2012, 1284 ss.; A. Celotto, Disciplina comune applicabile ai contratti pubblici relativi ai beni culturali, in R. Garofoli -
G. Ferrari, (diretto da), Codice degli appalti pubblici annotato
con dottrina, giurisprudenza e formule, II, ed. Nel diritto,
2012, 2059 ss.; G. Veltri, Contratti relativi ai beni culturali, in
S. Baccarini - G. Chiné - G. Proietti (diretto da), Commentario
al codice degli appalti pubblici, Milano, 2011, 1898 ss.; X.
Santiapichi - T. Paparo, Contratti relativi ai beni culturali, in M.
Clarich (diretto da), Commentario al Codice dei contratti pubblici, Torino, 2010, 978 ss.; P. Carpentieri - P. Ungari, I contratti relativi ai beni culturali, in M.A. Sandulli - R. de Nictolis R. Garofoli (diretto da), Trattato sui contratti pubblici, IV, 19,
Milano, 2008, 2970 ss. Sul titolo XI del regolamento di cui al
d.P.R. n. 207 del 2010 cfr. F. Nardacci, Lavori riguardanti i beni del patrimonio culturale, in A. M. T. Gregor - U. D. Sciancalepore, R. Tomei (diretto da), Il regolamento unico dei contratti
pubblici, Roma, 2011, 633 ss.; C. Vitocolonna, Lavori riguardanti i beni del patrimonio culturale, in R. Garofoli - G. Ferrari,
(diretto da), Il nuovo regolamento degli appalti pubblici, Roma,
2011, 1007 ss.; G. Angelini, Il regolamento di attuazione del
codice degli appalti, lavori riguardanti i beni del patrimonio culturale, in F. Caringella - M. Protto (diretto da), Codice e regolamento unico dei contratti pubblici, Roma, 2011, 2154 ss.; G.
Zurlo, Il nuovo regolamento sui contratti pubblici, 12, Lavori riguardanti i beni del patrimonio culturale, Milano, 2011, 597
ss.; I. De Luca, Lavori riguardanti i beni del patrimonio culturale, in D. Crocco (diretto da), Commento al nuovo regolamento
Premessa
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Il nuovo codice, in linea con le note esigenze di
semplificazione e riduzione del numero degli articoli, ha ridotto a 12 il numero degli articoli direttamente riguardanti i beni culturali, ricompresi
nell’apposito capo III del titolo VI della parte II
(artt. da 145 a 151), cui deve aggiungersi l’art. 25,
posto nel Titolo III della parte I, sull’archeologia
preventiva.
Nel complesso, i caratteri di specialità che connotavano la previgente disciplina sono stati sostanzialmente confermati nella nuova codificazione,
con alcune differenze e precisazioni.
zione del bene culturale non siano mai assorbite
nella prevalenza quantitativa di altre prestazioni
(strutturali, architettoniche e ingegneristiche) e
conservino in ogni caso una loro ben definita autonomia (anche in caso di appalti misti). Sul piano
della progettazione, la finalità conservativa del bene culturale determina la limitata prevedibilità degli effetti dell’intervento, che comporta livelli progettuali tendenzialmente meno approfonditi e più
flessibili, nonché una maggiore variabilità nell’esecuzione dei lavori (carattere della aderenza dinamica
della progettazione).
Le ragioni della specialità dei contratti
relativi ai beni culturali
L’evoluzione della disciplina
La specialità del settore ha sempre ricevuto un evidente riconoscimento nella disciplina normativa
succedutasi negli ultimi decenni. Alla base della
lettera o) dell’art. 1, comma 1, legge di delega n.
11 del 2016 vi è dunque una solida tradizione giuridica che risponde a oggettive esigenze di specialità del settore.
Fino alla legge “Merloni” del 1994 la materia era
disciplinata essenzialmente dalla L. 1° marzo 1975,
n. 44 recante Misure intese alla protezione del patrimonio archeologico, artistico e storico nazionale, nonché dal d.P.R. 17 maggio 1978, n. 509, recante il
Regolamento delle spese da farsi in economia per i servizi dell’amministrazione centrale e periferica del Ministero per i beni culturali e ambientali. In base a queste
disposizioni erano consentiti al Ministero di settore
amplissimi margini di deroga alla regola dell’evidenza pubblica prevista dalla normativa di contabilità generale dello Stato (con ampi spazi per gli affidamenti in economia o a trattativa privata, sia
per l’esecuzione di lavori, sia per l’acquisto di forniture e servizi, spazianti in tutti i settori e campi di
attività del Ministero). L’applicazione degli artt. 5,
7 e 9 della L. n. 44 del 1975 e del regolamento delle spese in economia del Ministero di cui al d.P.R.
n. 509 del 1978 ha fatto sì che i lavori di restauro
e valorizzazione del patrimonio culturale venissero
eseguiti avvalendosi del sistema di esecuzione in
economia a cottimo fiduciario anche per importi
rilevanti. Sulla base del presupposto che il restauro
(soprattutto se riguardante i beni mobili e le superfici decorate) fosse un’attività rientrante nei servizi
più che nei lavori, per decenni è stato consentito
che il settore godesse di un trattamento speciale e
si sottraesse in larga parte ai vincoli dell’evidenza
La specialità dei contratti relativi ai beni culturali
deriva, come è evidente, dalla particolarità del loro
oggetto (indiretto o mediato), vale a dire dalla peculiarità materiale e di regime giuridico del bene
culturale.
La primarietà della funzione di tutela del patrimonio culturale (art. 9 Cost.) non può non condizionare le procedure di selezione e le modalità di esecuzione dei contratti che riguardano i beni culturali, siano essi appalti di lavori o di servizi, contratti
di forniture o concessioni di lavori o di servizi (o
contratti misti). L’esigenza prevalente, che trascende tutti gli altri interessi e fini pubblici pure sottesi
alle procedure di gara, è rappresentata dalla centralità della finalità conservativa (la conservazione
programmata prevista dall’art. 29 del codice di settore del 2004), con il corollario della prevalenza
dell’esigenza di ridurre al minimo i rischi di perdita
o deterioramento del bene rispetto ai profili di ordine economico.
Ne consegue che i lavori sui beni culturali (ma anche le prestazioni di servizi e le forniture) si caratterizzano per l’assoluta prevalenza dell’elemento
qualitativo. Tale prevalenza agisce sia a livello di
qualificazione degli operatori autorizzati a intervenire (in termini di speciali requisiti idoneativi delle
imprese), sia a livello di criteri di aggiudicazione
(lo stesso confronto concorrenziale si riposiziona
più sui canoni dell’esperienza acquisita e della sua
omogeneità rispetto all’intervento, che non su
quelli comuni della efficienza economica relativa).
Ancora più “a monte”, tale prevalenza agisce a livello di progettazione e di “costruzione” e configurazione dell’oggetto dell’appalto, sotto il profilo
della necessità che le parti relative alla conservadi esecuzione del Codice dei contratti pubblici, Milano, 2011,
303 ss.; G. Gianna, Lavori riguardanti i beni del patrimonio culturale, in C. Giurdanella - E. Guarnaccia (diretto da), Com-
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mento al regolamento di attuazione del codice dei contratti
pubblici, Santarcangelo di Romagna, 2010, 141 ss.
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pubblica e del più rigoroso regime comune degli
appalti pubblici.
Questa impostazione è stata radicalmente ribaltata
dalla L. Merloni n. 109 del 1994, che (forse eccedendo in senso opposto) ha ricondotto tutta l’ampia ed eterogenea tipologia di contratti che caratterizzava il settore all’interno del genus “lavori pubblici” riportandola alla regola generale dell’evidenza pubblica.
Tuttavia, già nel primo testo della L. n. 109 del
1994 vi erano talune disposizioni finalizzate a riconoscere i dovuti margini di specialità al settore
(per es., nella previsione - art. 3, comma 5 - di una
disciplina contrattuale speciale, mediante appositi
capitolati speciali, nonché di una disciplina regolamentare derogatoria in ordine alle “specifiche modalità di progettazione e di affidamento dei lavori
di scavo, restauro e manutenzione” dei beni culturali; oppure nella disposizione transitoria dell’art.
38, comma 4, in base alla quale, nelle more dell’approvazione del regolamento, veniva fatta salva
l’applicazione della normativa previgente).
Peraltro, il regolamento generale, introdotto con il
d.P.R. n. 554 del 1999, sfruttò solo parzialmente le
possibilità offerte dalla norma primaria di dettare
una disciplina speciale e derogatoria dei lavori sui
beni culturali. Il regolamento del 1999, in definitiva, ha limitato la previsione di regole speciali per i
lavori pubblici sui beni culturali, al di là di alcune
nozioni definitorie dettate dall’art. 212, al profilo
dei livelli e dei contenuti della progettazione, alla
progettazione degli scavi archeologici e dei lavori
di impiantistica e per la sicurezza, al consuntivo
scientifico, dicendo molto poco in tema di procedure di scelta del contraente. Anche in materia di
qualificazione (dopo l’introduzione di una categoria
speciale per i lavori su beni mobili e superfici decorate, ad opera del D.M. n. 304 del 1998), pochissime sono le peculiarità dettate per gli appalti del
settore dal d.P.R. n. 34 del 2000.
Il troppo repentino passaggio della disciplina di
settore da una condizione di esenzione dall’evidenza pubblica a una condizione di completo e rigoroso assoggettamento ai meccanismi procedurali tipici della materia degli appalti, suscitò non poche
difficoltà applicative e spinte riformiste dirette e
“recuperare” margini di maggiore elasticità.
A tale spinta ha dato espressione, come è noto, la
legge “Merloni-quater” (L. 1° agosto 2002, n. 166),
che ha introdotto all’interno della L. n. 109 del
1994 un insieme - peraltro non sempre adeguatamente coordinato - di norme speciali relative ai lavori sui beni culturali, tali da rendere possibile la
ricostruzione di istituti autonomi e distinti per que-
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sto settore. La L. n. 166 del 2002 aveva peraltro limitato al settore dei beni mobili e delle superfici
decorate di beni architettonici le pur significative
deroghe introdotte rispetto alla disciplina comune.
Una risposta ancor più forte a questa spinta verso
il recupero di specialità si è avuta con la delega
contenuta nell’art. 10, comma 2, lett. a) e d), L. 6
luglio 2002, n. 137 e con il D.Lgs. attuativo 22
gennaio 2004, n. 30, recante Modificazioni alla disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti i beni
culturali, che ha dato vita a una legge di settore
propria e distinta rispetto a quella generale sui lavori pubblici ed ha esteso (parzialmente) questa disciplina speciale agli altri beni culturali immobili.
Il codice dei contratti del 2006 ha riassorbito questa tendenza “separatistica”, ma, a differenza del
1994, l’unificazione è avvenuta nell’effettivo rispetto dell’autonomia di questo settore, esplicitata
dall’apposita previsione del Capo II del Titolo IV,
sopra richiamato (che, insieme alle relative disposizioni transitorie dell’art. 253, riproducono quelle
del decreto legislativo n. 30 del 2004, con poche
modifiche, per lo più frutto di adeguamenti formali
o dell’assorbimento nella disciplina comune di
aspetti che costituivano deroghe).
Le ricadute applicative della specialità
del settore
La prevalenza delle esigenze conservative di tutela
e la assoluta peculiarità dell’oggetto (il bene culturale) degli interventi - come si è già avuto modo di
evidenziare - si riflettono (soprattutto) sui seguenti
segmenti o momenti procedurali di preparazione e
attuazione degli interventi:
1) definizione dell’oggetto e configurazione dell’appalto (in termini di definizione dell’ambito delle
prestazioni oggetto di affidamento, al fine di evitare l’assorbimento di lavori di categorie specialistiche relative ai beni culturali all’interno di categorie generali che non considerano la specifica qualificazione necessaria per questo settore);
2) livelli di progettazione (particolare duttilità dei
livelli di progettazione e parziale rivedibilità e adeguamento della progettazione in corso d’opera);
3) speciale qualificazione degli operatori (soprattutto tenuto conto della riserva di legge degli interventi conservativi sui beni culturali a operatori appositamente specializzati, iscritti in apposito albi,
ai sensi degli artt. 29 e 182 del codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004);
4) speciale verifica di tale qualificazione e limiti a
forme di avvalimento e di “prestito” dei requisiti;
5) criteri di aggiudicazione (preferenza per i criteri
qualitativi e disfavore per il massimo ribasso);
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6) maggiore ampiezza nel ricorso alle varianti;
7) rigore nella verifica in fase realizzativa e di collaudo.
Il nuovo codice ha sostanzialmente confermato la
considerazione dei suddetti profili di specialità già
emersa e stabilizzatasi nella previgente legislazione,
non senza taluni importanti affinamenti, nei seguenti termini.
Configurazione dell’appalto
Sotto il primo profilo, la rilevanza dei valori culturali da tutelare incide sulla delimitazione dell’ambito delle prestazioni oggetto di affidamento. Una
esigenza di questo tipo emerge per la prima volta
con l’art. 19, comma 1 ter, L. Merloni (introdotto
dall’art. 7 della L. n. 166 del 2002), che sanciva il
divieto di affidare lavori su beni culturali mobili ed
assimilati congiuntamente a lavori di categoria diversa.
L’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 30 del 2004 aveva recepito il principio, attenuandone la portata, e corredandolo di altre previsioni. Il divieto di affidamento congiunto, a differenza di quello, assoluto,
originariamente introdotto dalla L. n. 166 del
2002, era divenuto relativo con il D.Lgs. n. 30 del
2004, poiché destinato a venir meno in presenza di
“motivate ed eccezionali esigenze di coordinamento dell’esecuzione, accertate dal responsabile del
procedimento” (al momento di bandire la gara o
avviare le trattative per un affidamento diretto,
laddove consentito), che “rendano necessario” l’affidamento congiunto con lavori di diversa categoria (il superamento dell’assolutezza del divieto era
stato prospettato, in via interpretativa, dall’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, con la deliberazione n. 105 in data 15 luglio 2003, per le ipotesi
in cui, a causa della complessità tecnica delle lavorazioni, delle interferenze fra le differenti lavorazioni da eseguire e dell’economia dei tempi di realizzazione non fosse possibile indire due appalti separati). L’art. 200 del codice dei contratti pubblici del
2006 aveva poi riprodotto, con modifiche solo formali, l’art. 4 del D.Lgs. n. 30 del 2004 (in dottrina
l’istituto in esame è stato definito “scorporo obbligatorio”, ma non si trattava di un vero e proprio
“scorporo” - inteso come individuazione di lavorazioni non prevalenti compresenti in un appalto di
lavori più o meno complesso, e assumibili in quanto tali da imprese mandanti facenti parte di un raggruppamento temporaneo c.d. verticale -, bensì di
un obbligo di affidamento separato dei lavori della
categoria OS2). Il nuovo codice dei contratti ha
confermato il divieto di affidamento congiunto
nell’art. 148, chiarendo meglio, peraltro, che le
motivate ed eccezionali esigenze di coordinamento
dei lavori, accertate dal responsabile del procedimento, che possono consentire una deroga a tale
divieto, non possono comunque riguardare la sicurezza dei luoghi di lavoro, poiché si era riscontrata
nella prassi la tendenza a rinvenire in tali esigenze
una “facile” scappatoia motivazionale per disporre
affidamenti congiunti (per evitare interferenze di
cantiere come tali potenzialmente pregiudizievoli
sotto il profilo della sicurezza). Innovativa, sotto il
profilo in esame, appare la previsione del comma 2
dell’art. 148 (in base alla quale “In nessun caso le
lavorazioni specialistiche di cui al comma 1 possono essere assorbite in altra categoria o essere omesse nell’indicazione delle lavorazioni di cui si compone l’intervento, indipendentemente dall’incidenza percentuale che il valore degli interventi di
tipo specialistico assume rispetto all’importo complessivo”, con l’ulteriore previsione per cui “la stazione appaltante indica separatamente, nei documenti di gara, le attività riguardanti il monitoraggio, la manutenzione, il restauro dei beni di cui al
comma 1, rispetto a quelle di carattere strutturale,
impiantistico, nonché di adeguamento funzionale
inerenti i beni immobili tutelati ai sensi del codice
dei beni culturali e del paesaggio”). Tale nuova
previsione nasce dall’esigenza di superare talune interpretazioni (come nella nota controversia insorta
a proposito del restauro del tempio di Antonino e
Faustina nel Foro romano, decisa in senso sfavorevole alle imprese di restauro (2)) che avevano consentito una sostanziale elusione di divieto di affidamento congiunto, giudicando legittima la richiesta,
nel bando, della sola qualificazione OG2, senza richiamo della categoria specialistica OS2, con la
considerazione che sarebbe “ragionevolmente impossibile distinguere tra la superficie corticale delle
colonne del tempio e il nucleo interno delle stesse”
o “considerare scomponibili i capitelli corinzi delle
colonne predette, ossia da un lato gli elementi vegetali intesi essenzialmente quali elementi decorativi e gli echini quali elementi strutturali”, essendo
illogico disporre “due diversi affidamenti in dipendenza di due categorie di lavorazioni: OG2 per gli
echini e OS2 per gli elementi vegetali di ornamento dei capitelli”.
(2) Cons. Stato, Sez. IV, 6 dicembre 2011, n. 6414 (consultabile sul sito della Giustizia amministrativa, https://www.giustizia-amministrativa.it/).
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Livelli di progettazione
Sotto il secondo profilo, sul piano della progettazione, occorre fare riferimento alla nozione di conservazione programmata (data dall’art. 29 del codice di settore del 2004), che caratterizza gli interventi sui beni culturali. Ne deriva la centralità,
nell’ambito della conservazione dei beni culturali,
della programmazione dei lavori e della manutenzione sistematica legata ad un costante monitoraggio dello stato del patrimonio. Nella sequenza procedimentale della disciplina dei contratti pubblici,
l’attività conoscitiva relativa allo specifico intervento conservativo prende avvio dalla scheda tecnica prevista dall’art. 202, commi 1 e 2, del codice
dei contratti pubblici del 2006 (già art. 6, comma
1, D.Lgs. n. 30 del 2004), quale momento pre-progettuale (che precede anche la diagnostica e la ricerca storica/d’archivio); si sviluppa nei livelli progettuali (di regola, quello definitivo e, eventualmente a consuntivo per stadi di avanzamento in
corso d’opera, quello esecutivo - cfr. art. 203 del
codice dei contratti pubblici del 2006, già art. 8
del D.Lgs. n. 30 del 2004) e si conclude con il consuntivo scientifico da redigere ai sensi dell’art. 221
del d.P.R. n. 554 del 1999. Tre sono, essenzialmente, i profili di tale specialità: semplificazione e flessibilità dei livelli e dei contenuti progettuali; aderenza dinamica della progettazione all’effettivo stato delle cose come emergente dal lavoro sul campo; riconoscimento di adeguati spazi alle professionalità dotate di specifica specializzazione (restauratori), sia nella progettazione, che nella direzione
dei lavori e nelle altre attività complementari, fino
al collaudo. Il nuovo codice dei contratti ha risposto a questa esigenza, confermando le pregresse acquisizioni normative, prevedendo, nell’art. 147 (Livelli e contenuti della progettazione), in sede di progetto di fattibilità, la redazione di una scheda tecnica finalizzata all’individuazione delle caratteristiche del bene oggetto di intervento, redatta da professionisti in possesso di specifica competenza tecnica in relazione all’oggetto dell’intervento e rinviando al successivo regolamento (decreto di cui
all’art. 146, comma 4, del Ministro dei beni e delle
attività culturali e del turismo, di concerto con il
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da
emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del codice) la definizione dei livelli e dei contenuti della progettazione di lavori concernenti i
beni culturali, ivi inclusi gli scavi archeologici,
nonché i ruoli e le competenze dei soggetti incaricati delle attività di progettazione, direzione dei lavori e collaudo in relazione alle specifiche caratte-
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ristiche del bene su cui si interviene, nonché i
principi di organizzazione degli uffici di direzione
lavori. Al medesimo decreto è altresì demandata la
definizione degli interventi relativi a beni culturali
mobili, superfici decorate di beni architettonici e
materiali storicizzati di beni immobili di interesse
storico artistico o archeologico, per i quali la scheda deve essere redatta da restauratori di beni culturali, qualificati ai sensi dalla normativa vigente. Il
comma 3 dell’art. 147 ha quindi specificato, innovando rispetto al codice del 2006, che per i lavori
di monitoraggio, manutenzione o restauro di beni
culturali mobili, superfici decorate di beni architettonici e materiali storicizzati di beni immobili di
interesse storico, artistico o archeologico, il progetto di fattibilità comprende oltre alla scheda tecnica
di cui al comma 2, le ricerche preliminari, le relazioni illustrative e il calcolo sommario di spesa; il
progetto definitivo approfondisce gli studi condotti
con il progetto di fattibilità, individuando, anche
attraverso indagini diagnostiche e conoscitive multidisciplinari, i fattori di degrado e i metodi di intervento; il progetto esecutivo, che deve contenere
anche un piano di monitoraggio e manutenzione,
indica, nel dettaglio, le esatte metodologie operative, i materiali da utilizzare e le modalità tecnicoesecutive degli interventi ed è elaborato sulla base
di indagini dirette ed adeguate campionature di intervento, giustificate dall’unicità dell’intervento
conservativo.
Una lacuna sembra ravvisarsi nel comma 4 dell’art.
147, lì dove stabilisce che i lavori di cui al comma
3 e quelli di scavo archeologico, anche subacqueo,
nonché quelli relativi al verde storico di cui all’art.
10, comma 4, lett. f) del codice dei beni culturali e
del paesaggio sono appaltati sulla base di un progetto esecutivo, omettendo la specificazione limitativa “di regola”, invece contenuta nella disciplina
previgente. In realtà questa lacuna è dovuta alla
circostanza che fino alle ultime stesure del testo
del nuovo codice, in seno all’apposito gruppo di lavoro istituito con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, anche nella norma generale (l’attuale art. 23) era prevista la locuzione “di regola” a temperamento della assolutezza della norma
che impone la progettazione esecutiva a base della
gara per i lavori. Sennonché nella stesura definitiva la specificazione limitativa “di regola” è caduta
nell’art. 23 e non è stata neppure inserita nell’art.
147. Tale circostanza pone un oggettivo problema
applicativo e interpretativo, tenuto conto anche
del fatto che nel sistema continuano ad essere in
vigore norme speciali (come quelle relative al
Grande Progetto Pompei) per le quali si consente,
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in chiave acceleratoria e di semplificazione, addirittura l’assunzione del progetto preliminare a base
dell’affidamento dei lavori (cfr. art. 2 del D.L. n.
83 del 2014, che richiama l’art. 3 del D.L. n. 34
del 2011, entrambi richiamati e fatti salvi dall’art.
208 del nuovo codice). Il comma 5 dell’art. 147
conferma peraltro il principio dell’aderenza dinamica del progetto all’effettiva consistenza del bene
oggetto dell’intervento prevedendo che Qualora il
responsabile unico del procedimento accerti che la natura e le caratteristiche del bene, ovvero il suo stato di
conservazione, sono tali da non consentire l’esecuzione
di analisi e rilievi esaustivi o comunque presentino soluzioni determinabili solo in corso d’opera, può prevedere
l’integrazione della progettazione in corso d’opera, il
cui eventuale costo deve trovare corrispondente copertura nel quadro economico. Tale disposizione si presta oggettivamente a reintrodurre la possibilità di
porre - in taluni casi - a base di gara il progetto definitivo, allorquando non siano consentite quelle
analisi e quei rilievi esaustivi che pure di regola costituiscono un elemento essenziale per il livello
esecutivo della progettazione (la stessa determinabilità solo in corso d’opera delle soluzioni realizzative dimostra anch’essa che il livello progettuale da
cui partire cui fa riferimento il comma 5 dell’art.
147 deve essere considerato un definitivo “evoluto”, ma non un vero e proprio esecutivo, che potrà
essere per l’appunto integrato e completato come
tale in corso d’opera).
Il discorso sulla progettazione va poi integrato e
completato con quanto previsto in generale dall’art. 23. Tale disposizione generale enuncia in primo luogo, nel comma 1, il principio finalistico per
cui la progettazione in materia di lavori pubblici è
intesa ad assicurare, tra gli altri obiettivi fondamentali, la qualità architettonica (e non solo tecnico
funzionale) dell’opera, con considerazione della relazione nel contesto (lettera b); la conformità alle
norme ambientali, urbanistiche e di tutela dei beni
culturali e paesaggistici (lettera c); un limitato consumo del suolo (lett. d); la compatibilità con le
preesistenze archeologiche (lettera g). Il comma 2
stabilisce il prioritario ricorso, da parte delle stazioni appaltanti, alle professionalità interne, purché
in possesso di idonea competenza nelle materie oggetto del progetto, o alla procedura del concorso di
progettazione o del concorso di idee di cui agli artt.
152 ss., per la progettazione di lavori di particolare
rilevanza sotto il profilo architettonico, ambientale, paesaggistico, agronomico e forestale, storico-artistico, conservativo, nonché tecnologico. Il comma 3 rimanda a un decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti, su proposta del Consiglio
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superiore dei lavori pubblici, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e
del mare e del Ministro dei beni e delle attività
culturali e del turismo, la definizione dei contenuti
della progettazione nei tre livelli progettuali (facendo salva, fino alla data di entrata in vigore di
detto decreto, la disciplina vigente, secondo quanto stabilito dall’art. 216, comma 4; in particolare,
continuano ad applicarsi le disposizioni di cui alla
Parte II, Titolo II, Capo I e Titolo XI, Capi I e II,
nonché gli allegati o le parti di allegati ivi richiamate, con esclusione dell’art. 248 del d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, norma quest’ultima peraltro mantenuta efficace, unitamente all’art. 251 del medesimo regolamento, ai sensi dell’art. 216, comma 19,
del nuovo codice, fino all’entrata in vigore del decreto di cui all’art. 146, comma 4).
Speciale qualificazione degli operatori
Sotto il terzo profilo, sul piano della qualificazione
degli operatori, si è già detto come essa assuma nel
settore degli interventi su beni culturali un’importanza strategica, per la intrinseca limitata prevedibilità degli effetti dell’intervento, il conseguente
maggior spazio lasciato alle valutazioni degli operatori e la circostanza che una esecuzione difforme rispetto al progetto, o che semplicemente non abbia
saputo far fronte in modo adeguato ad incognite ed
imprevisti, può comportare il deterioramento o la
perdita dei valori culturali da tutelare, vale a dire
un danno irreversibile.
La legge Merloni non esprimeva in origine piena
consapevolezza di tale necessità, limitandosi a prevedere una particolare disciplina regolamentare per
le “modalità di progettazione e di affidamento” dei
lavori su beni culturali (art. 3, comma 6, lett. l),
mentre le peculiarità dell’esecuzione degli interventi venivano espressamente considerate soltanto
sotto il profilo oggettivo (del contenuto della prestazione) mediante la previsione di capitolati speciali (art. 3, comma 5). Coerentemente, il d.P.R.
n. 554 del 1999 si occupava dell’esecuzione dei lavori soltanto a posteriori, prevedendosi, all’art. 212,
i contenuti e le finalità del consuntivo scientifico
da redigere al termine dell’intervento.
È con la L. n. 415 del 1998 che emerge la considerazione della specificità del settore anche sotto il
profilo dei soggetti esecutori. L’art. 8, comma 11
sexies, introdotto dalla legge citata, prevedeva che,
per le attività di restauro e manutenzione dei beni
mobili e delle superfici decorate di beni architettonici, il Ministro per i beni e le attività culturali,
sentito il Ministro dei lavori pubblici, provvedesse
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a stabilire i requisiti di qualificazione dei soggetti
esecutori dei lavori.
Il d.P.R. n. 34 del 2000 (Regolamento recante istituzione del sistema di qualificazione per gli esecutori di
lavori pubblici), modificando la bipartizione previgente, ha suddiviso il settore dei lavori dei beni
culturali in tre categorie: OG 2: Restauro e manutenzione dei beni immobili sottoposti a tutela ai sensi
delle disposizioni in materia di beni culturali e ambientali; OS 2: Superfici decorate e beni mobili di interesse
storico ed artistico (il d.P.R. n. 207 del 2010 ha poi
suddistinto una categoria OS 2 A - Superfici decorate di beni immobili del patrimonio culturale e beni culturali mobili di interesse storico, artistico, archeologico
ed etnoantropologico - e una categoria OS 2 B - Beni
culturali mobili di interesse archivistico e librario); OS
25: Scavi archeologici”.
Per la seconda di esse, la disciplina regolamentare,
parallela e integrativa di quella comune dettata dal
d.P.R. n. 34 del 2000, prevista dall’art. 8, comma
11 sexies, è stata definita mediante il D.M. n. 294
del 2000 (modificato con il D.M. 24 ottobre
2001), che ha stabilito un collegamento fondamentale tra qualificazione e disponibilità di manodopera specializzata (in primis, di restauratori di beni culturali), della quale venivano individuati per
la prima volta i requisiti professionali.
La rilevanza delle specifiche professionalità degli
operatori, quale riflesso delle caratteristiche dell’intervento, era stata nel contempo in qualche misura
riconosciuta anche per i beni immobili dall’art. 26,
comma 3, d.P.R. n. 34 del 2000, in forza del quale
(terzo e quarto periodo) “Per i lavori che hanno ad
oggetto beni immobili soggetti alle disposizioni in
materia di beni culturali e ambientali e per gli scavi archeologici, la direzione tecnica è affidata a
soggetto in possesso di laurea in conservazione di
beni culturali o in architettura e, per la qualificazione in classifiche inferiori alla IV, anche a soggetto dotato di esperienza professionale acquisita
nei suddetti lavori quale direttore di cantiere per
un periodo non inferiore a cinque anni da comprovare con idonei certificati di esecuzione dei lavori
attestanti tale condizione rilasciati dall’autorità
preposta alla tutela dei suddetti beni. Con decreto
del Ministro per i beni e le attività culturali di
concerto con il Ministro dei lavori pubblici possono essere definiti o individuati eventuali altri titoli
o requisiti professionali equivalenti.”.
In forza della disposizione transitoria dell’art. 253,
comma 30, primo periodo, del codice dei contratti
pubblici del 2006, la disciplina dettata dal D.M. n.
294 del 2000 e dalle disposizioni (da esso non derogate) del d.P.R. n. 34 del 2000 continua ad ap-
1020
plicarsi fino all’entrata in vigore della disciplina regolamentare prevista dai commi 1 e 3 dell’art. 201.
Tale condizione transitoria è stata confermata dall’art. 357, comma 12, d.P.R. n. 207 del 2010.
Da quanto esposto, è evidente che il requisito che
sostanzialmente differenzia la qualificazione delle
imprese di questo settore è rappresentato dall’idoneità organizzativa, consistente nella disponibilità,
attuale, della prestazione lavorativa di un certo numero di restauratori e collaboratori restauratori.
Il T.A.R. del Lazio, con sentenza della II Sez., 1°
marzo 2004, n. 1844, su ricorso dell’associazione di
categoria dei restauratori edili, aveva annullato
l’art. 5, comma 1 (unitamente agli artt. 7, comma
2, e 8, comma 2) del D.M. n. 294 del 2000, ritenendo che l’imposizione della presenza di restauratori e collaboratori restauratori in percentuali fisse
rispetto all’organico complessivo contrastasse con
la tutela della concorrenza e del mercato. Il Cons.
Stato, Sez. VI, con sent. 1° settembre 2009, n.
5114, ha riformato la sentenza di primo grado e ha
giudicato invece legittimo il nuovo testo dell’art.
5, comma 1, del regolamento, come modificato
dall’art. 1, comma 1, lett. a), del decreto impugnato, che, nel disciplinare il requisito dell’idoneità
organizzativa richiesto per la qualificazione, rapporta il numero dei restauratori e collaboratori restauratori di beni culturali all’organico complessivo
dell’impresa.
Il decreto delegato n. 30 del 2004, prendendo atto
che il sistema di qualificazione vigente aveva mostrato una limitata capacità di selezionare esecutori
effettivamente in grado di porre mano ai restauri
dei beni vincolati, ha previsto, all’art. 5, una completa revisione del sistema di qualificazione, che
includesse anche la disciplina oggi contenuta nel
D.M. n. 294 del 2000, in modo da aggiornare la disciplina dell’attività di restauro, raccordandola con
quella sulla qualificazione delle imprese esecutrici.
Le previsioni dell’art. 5 non hanno finora avuto attuazione (in tal senso ha influito, oltre alla difficoltà intrinseca dell’operazione, la mancanza del presupposto logico-giuridico rappresentato da una
esaustiva definizione delle figure professionali del
restauro).
Il Codice dei contratti pubblici del 2006 si è mosso, anche per quanto concerne la qualificazione, in
una linea di piena continuità con il D.Lgs. n. 30
del 2004. L’art. 201 ne ha riproposto, sostanzialmente, il contenuto, facendo sistema con la disciplina dettata in via transitoria dai commi 29 e 30
dell’art. 253. Il comma 1 dell’art. 201 (corrispondente al comma 2 dell’art. 5, cit., che a tal fine
prevedeva una modifica “ad hoc” del d.P.R. n. 34
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del 2000), demanda al regolamento generale attuativo la definizione organica di “specifici requisiti di
qualificazione ... ad integrazione di quelli generali
definiti dal medesimo regolamento”, in relazione a
tutte le tipologie di lavori su beni culturali.
Anche il nuovo codice dei contratti del 2016 si è
mantenuto nel solco di questa tradizione giuridica
conservando le linee essenziali di questo impianto.
In particolare, nell’art. 146, dedicato alla Qualificazione, ha ribadito il principio fondamentale della
materia della necessaria qualificazione specifica e
adeguata per i lavori sui beni culturali, in conformità a quanto disposto dagli artt. 9 bis e 29 del
D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (principio ribadito
dall’art. 148, comma 4). Ha riaffermato - al comma
2 - il principio dell’utilizzabilità curriculare dei lavori unicamente dall’operatore che li ha effettivamente eseguiti, senza limiti di validità temporale.
Ha rinviato (comma 4) a un apposito decreto del
Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del nuovo codice, la definizione dei requisiti di qualificazione dei direttori
tecnici e degli esecutori dei lavori e delle modalità
di verifica ai fini dell’attestazione, confermando,
già a livello di norma primaria, il principio per cui
il direttore tecnico dell’operatore economico incaricato degli interventi di cui all’art. 147, comma 2,
secondo periodo, deve comunque possedere la qualifica di restauratore di beni culturali ai sensi della
normativa vigente. Sempre il comma 4 dell’art.
146 fa salve in via transitoria - in combinato disposto con il comma 19 dell’art. 206 - le disposizioni
di cui agli artt. 248 e 251 del d.P.R. 5 ottobre
2010, n. 207, riguardanti l’una la regola della necessaria certificazione del buon esito dei lavori ai
fini dell’utilizzo dei lavori stessi a fini di qualificazione, la regola della direzione dei lavori affidata a
un restauratore e quella dell’esperienza quinquennale per partecipare ad affidamenti di lavori sui beni culturali fino a euro 150.000, l’altra l’obbligo di
collaudo in corso d’opera, l’obbligatoria presenza
nell’organo di collaudo di un restauratore, nonché
di uno storico dell’arte o di un archivista o un bibliotecario o un archeologo con esperienza almeno
quinquennale in possesso di specifiche competenze
coerenti con l’intervento (rispettivamente, per i lavori delle categorie OG2, OS2-A, OS2-B e
OS25), nonché la possibilità di partecipare all’organo di collaudo, limitatamente ad un solo componente, dei funzionari delle stazioni appaltanti, laureati ed inquadrati con qualifiche di storico dell’arte, archivista o bibliotecario, che abbiano prestato
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servizio per almeno cinque anni presso amministrazioni aggiudicatrici. Il regime transitorio generale
in materia di qualificazione delle imprese è stabilito dal comma 14 dell’art. 206.
Esclusione dell’avvalimento
Sotto il quarto profilo, rileva sul piano della qualificazione anche l’art. 147, comma 6, che riguarda
non tanto e non solo la progettazione, ma la salvaguardia del ruolo centrale dei professionisti dei beni culturali in tutte le fase degli interventi nel settore, lì dove ribadisce che la direzione dei lavori, il
supporto tecnico alle attività del responsabile unico del procedimento e del dirigente competente alla formazione del programma triennale, nonché
l’organo di collaudo, comprendono un restauratore
di beni culturali qualificato ai sensi della normativa vigente, ovvero, secondo la tipologia dei lavori,
altri professionisti di cui all’art. 9 bis del codice dei
beni culturali e del paesaggio con esperienza almeno quinquennale in possesso di specifiche competenze coerenti con l’intervento.
Una importante e significativa novità rispetto al
codice del 2016 consiste nella esclusione, in forza
del principio dell’eccezione culturale alla concorrenza e al mercato, dell’avvalimento per il settore
dei beni culturali (art. 146, comma 3: Per i contratti
di cui al presente capo, considerata la specificità del
settore ai sensi dell’articolo 36 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, non trova applicazione
l’istituto dell’avvalimento, di cui all’articolo 89 del presente codice). Tale deroga al diritto europeo si fonda sull’eccezione culturale espressa dagli artt. 36 e
167 del TFUE ed è stata correttamente giudicata
ammissibile anche dal Consiglio di Stato nel parere reso sullo schema di decreto delegato.
Criteri di aggiudicazione
Sotto il quinto profilo (criteri di aggiudicazione
(preferenza per i criteri qualitativi e disfavore per il
massimo ribasso) è invece caduta, nel nuovo codice del 2016, la previsione, invece contenuta nell’art. del codice del 2006, di speciali criteri di aggiudicazione propri per i beni culturali, norma in
realtà mai applicata e priva di una sua concreta
utilità.
Una considerazione particolare, riferibile al tema
dei criteri di affidamento, merita il tema della somma urgenza. Rispetto alla procedura ordinaria
(contenuta negli artt. 163 ss.) quella speciale per i
beni culturali, contenuta nell’art. 148, comma 7, si
discosta solo per la più alta soglia di importo del lavoro, portata a euro 300.000 per i beni culturali, rispetto alla soglia ordinaria di euro 200.000 per tut-
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ti gli altri lavori. Ai normali presupposti previsti in
via generale per la somma urgenza si aggiunge, nel
caso dei beni culturali, l’esplicito richiamo alla tutela del bene, quale valore (nella sua ampiezza e genericità) minacciato dal ritardo nell’esecuzione dovuto alle normali procedure di gara (l’art. 148,
comma 7, parla di “ogni ritardo sia pregiudizievole
alla pubblica incolumità o alla tutela del bene”).
La medesima norma speciale per i beni culturali lascia inoltre aperta la possibilità di ricorrere alla
procedura di somma urgenza, entro i medesimi limiti di importo, “in relazione a particolari tipi di
intervento individuati con il decreto di cui all’articolo 146, comma 4”. È peraltro da segnalare che il
nuovo codice ha abrogato l’art. 9, comma 1, lett.
d), D.L. 12 settembre 2014, n. 133, convertito,
con modificazioni, dalla L. 11 novembre 2014, n.
164, in base al quale “[f]atti salvi i casi previsti dall’articolo 57, comma 2, lettera c) e dall’articolo
221, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 12
aprile 2006, n. 163, per i lavori di importo compreso fino alla soglia comunitaria, costituisce ‘estrema
urgenza’, la situazione conseguente ad apposita ricognizione da parte dell’Ente interessato che certifica come indifferibili gli interventi, anche su impianti, arredi e dotazioni, funzionali: ... alla tutela
ambientale e del patrimonio culturale”. Resta peraltro ferma la previsione generale - già art. 57 del
codice del 2006, ora art. 63 - che consente il ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando in caso di appalti di lavori nella misura strettamente necessaria derivante da ragioni di
estrema urgenza che non devono essere in ogni caso imputabili all’amministrazione.
Maggiore ampiezza nel ricorso alle varianti
Sotto il sesto profilo, l’art. 149, in tema di varianti,
riproduce sostanzialmente il previgente art. 205 del
D.Lgs. n. 163 del 2006. Accorpando in un unico
comma i commi 2 e 3 del predetto art. 205, la nuova norma conferma che non sono considerate “varianti” quelle che investono aspetti di dettaglio o si
rendono necessarie per un pericolo di danneggiamento o deterioramento dei beni tutelati, sempre
che non modifichino qualitativamente l’opera e
non superino una variazione percentuale complessiva dell’importo dell’appalto del 10% (e del 20% per
singola categoria di lavorazione). Non è stata riprodotta la previsione del comma 1 dell’art. 205 del codice del 2006, che consentiva espressamente le varianti in corso d’opera giustificate dalla evoluzione
dei criteri della disciplina del restauro. Tale previsione è apparsa invero superflua, essendo in re ipsa,
secondo criteri di logicità, che in una siffatta ipotesi
1022
possano essere ammesse varianti, nelle forme e nei
limiti della legge. Non è stata invece recuperata la
previsione speciale del comma 4 dell’art. 205, in base alla quale potevano essere ammesse, nel limite
del 20% in più dell’importo contrattuale, le varianti
in corso d’opera resesi necessarie, posta la natura e
la specificità dei beni sui quali si interviene, per fatti verificatisi in corso d’opera, per rinvenimenti imprevisti o imprevedibili nella fase progettuale, nonché per adeguare l’impostazione progettuale qualora
ciò sia reso necessario per la salvaguardia del bene e
per il perseguimento degli obiettivi dell’intervento.
Tale previsione è assorbita nella regola generale del
codice, stabilita nell’art. 106, che ha profondamente
riformato il tema. Tale esclusione, inoltre, si raccorda alla restrizione, cui si è fatto cenno sopra, in tema di progettazione, nel quadro della rafforzata preferenza, sottolineata dal nuovo codice, per la completezza del livello esecutivo del progetto da mettere
a base di gara, ciò che dovrebbe rendere in teoria
residuale il ricorso a variazioni attuative successive.
Verifica in fase realizzativa e collaudo
Sotto il settimo profilo, infine, di quelli evidenziati
in principio, la norma contenuta nell’art. 150 del
nuovo codice dei contratti pubblici, in tema di collaudo nel settore dei beni culturali (“1. Per i lavori
relativi ai beni di cui al presente capo è obbligatorio
il collaudo in corso d’opera, sempre che non sussistano le condizioni per il rilascio del certificato di
regolare esecuzione. 2. Con il decreto di cui all’art.
146, comma 4, sono stabilite specifiche disposizioni
concernenti il collaudo di interventi sui beni culturali in relazione alle loro caratteristiche”) conferma
il principio già espresso dal regolamento di esecuzione al vecchio codice (D.Lgs. n. 207 del 2010, art.
251, comma 1) in base al quale “per opere e lavori
relativi a beni di cui al presente titolo è obbligatorio
il collaudo in corso d’opera, sempre che non sussistano le condizioni per il rilascio del certificato di
regolare esecuzione”. Il regolamento richiede la partecipazione all’organo di collaudo di almeno un soggetto qualificato e specializzato con esperienza nel
settore dei beni culturali in relazione alla categoria
del bene stesso (restauratore, storico dell’arte, archivista, bibliotecario o archeologo) e prevede che possa far parte dell’organo di collaudo (limitatamente
ad un solo componente) un funzionario della stazione appaltante, laureato e inquadrato con qualifiche
di storico dell’arte, archivista o bibliotecario, con almeno cinque anni di servizio.
Il richiamato art. 251 del regolamento, benché
abrogato dal nuovo codice dei contratti, è provvisoriamente fatto salvo (artt. 217, comma 1, lett.
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u), e 216, comma 19) fino all’emanazione del decreto ministeriale previsto dall’art. 146, comma 4,
del codice stesso e richiamato dall’attuale art. 150,
comma 2, che dovrà contenere (tra l’altro) specifiche disposizioni in tema di collaudo di interventi
sui beni culturali in relazione alle caratteristiche
dei beni stessi che andranno a sostituire quelle del
regolamento.
Il decreto ministeriale, da emanarsi entro sei mesi
dall’entrata in vigore del nuovo codice con il concerto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dovrà presumibilmente dettare, pertanto,
specifiche disposizioni circa la necessaria appartenenza, all’organo di collaudo, di soggetti qualificati
e specializzati in relazione alla peculiare natura del
bene culturale oggetto di intervento.
Occorre inoltre richiamare l’art. 102 del nuovo codice che, nel disciplinare in via generale il collaudo e nel prevedere un apposito decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti per la disciplina
delle modalità tecniche e per l’individuazione dei
casi in cui il certificato di collaudo e di verifica di
conformità possono essere sostituti dal certificato
di regolare esecuzione, prevede, per i beni del patrimonio culturale, che al termine dei lavori siano
redatti uno specifico consuntivo predisposto dal direttore dei lavori o (nel caso di interventi su beni
culturali mobili, superfici decorate di beni architettonici e a materiali storicizzati di beni culturali immobili) da restauratori di beni culturali.
Archeologia preventiva
Quanto al tema dell’archeologia preventiva (3), il
nuovo codice ha confermato la disciplina previgente, unificando nel nuovo art. 25 i precedenti artt.
95 e 96 del D.Lgs. n. 163 del 2006 (che avevano
(3) Sull’archeologia preventiva cfr. P. Carpentieri, La verifica
preventiva dell’interesse archeologico, in M.A. Sandulli - R. de
Nictolis - R. Garofoli, (diretto da), Trattato sui contratti pubblici,
cit., III, 2369 ss.: A. Coletta, La verifica preventiva dell’interesse
archeologico in sede di progetto preliminare e procedure di verifica preventiva dell’interesse archeologico, in Baccarini - Chiné Proietti, (diretto da), Commentario al codice degli appalti pubblici, cit., 1207 ss.; Id., La verifica preventiva dell’interesse archeologico in sede di progetto preliminare e procedure di verifica
preventiva dell’interesse archeologico, in G. Bonilini - M. Confortini, (diretto da), Codice degli appalti pubblici, cit., 652 ss.;
L.R. Perfetti, La verifica preventiva dell’interesse archeologico in
sede di progetto preliminare e procedure di verifica preventiva
dell’interesse archeologico, in L.R. Perfetti (diretto da), Codice
dei contratti pubblici commentato, cit., 1269 ss.; M.O. Caputo M. Borello, La verifica preventiva dell’interesse archeologico in
sede di progetto preliminare, in G.F. Ferrari - G. Morbidelli (diretto da), Trattato sui contratti pubblici, cit., 1269 ss.; V. Maccolini, La verifica preventiva dell’interesse archeologico in sede di
progetto preliminare e procedure di verifica preventiva dell’interesse archeologico, in Carullo, Iudica (diretto da), Commentario
breve alla legislazione sugli appalti pubblici e privati, cit., 837
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recepito il contenuto degli artt. da 2 ter a 2 quinquies del D.L. n. 63 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 109 del 2005) e che segnano un punto di equilibrio tra tutela del patrimonio archeologico e “prevenzione” e gestione del
così detto “rischio archeologico”. Si tratta di una
disciplina che, ancorché non sempre applicata secondo buon senso e in obbedienza ai fondamentali
canoni di proporzionalità e ragionevolezza, si è dimostrata indispensabile per la stessa speditezza e
certezza dei tempi di realizzazione dei lavori pubblici (in mancanza di verifica preventiva dell’interesse archeologico dell’area interessata dall’intervento, i lavori restano esposti al rischio costante di
blocco per effetto di ritrovamenti archeologici imprevisti).
La conservazione di tale istituto nell’ordinamento
giuridico è divenuta viepiù cogente per effetto della recente ratifica della Convenzione europea per
la protezione del patrimonio archeologico, fatta alla Valletta il 16 gennaio 1992, disposta dalla L. 29
aprile 2015, n. 57.
Le uniche novità da segnalare consistono nella riduzione a trenta giorni (dai novanta originariamente previsti) del termine per il soprintendente
per decidere dell’interesse archeologico dell’area
interessata dai lavori e, quindi, per disporre o meno
l’avvio delle indagini sul terreno, sulla base della
relazione archeologica redatta, per conto della stazione appaltante, da un archeologo iscritto nell’apposito elenco tenuto dal competente Ministero
(termine elevato peraltro a sessanta giorni nel caso
di progetti di grandi opere infrastrutturali o a rete);
la sostituzione delle linee guida già previste dal
comma 6 dell’art. 95 del codice del 2006 (e mai
adottate, nonostante il “richiamo” acceleratorio
ss.; G. De Michele, La verifica preventiva dell’interesse archeologico in sede di progetto preliminare e procedure di verifica
preventiva dell’interesse archeologico: introduzione alla norma,
commento e questioni aperte, in F. Caringella - M. Protto (diretto da), Codice dei Contratti pubblici commentato, cit., 707 ss.;
M. Corradino, La verifica preventiva dell’interesse archeologico
in sede di progetto preliminare e procedure di verifica preventiva
dell’interesse archeologico, in R. Garofoli - G. Ferrari, (diretto
da), Codice degli appalti pubblici annotato con dottrina, giurisprudenza e formule, I, Roma, 2012, 1227 ss.; T. Paparo, L’interesse archeologico nella progettazione, in M. Clarich (diretto
da), Commentario al Codice dei contratti pubblici, cit., 553 ss.;
P. Carrozza, La verifica preventiva dell’interesse archeologico in
sede di progetto preliminare e procedure di verifica preventiva
dell’interesse archeologico, in A. Maggio - G. Steri (diretto da),
Codice dei contratti pubblici annotato con la dottrina e la giurisprudenza, Napoli, 2009, 661 ss.; Ferruti, La verifica preventiva
dell’interesse archeologico in sede di progetto preliminare e procedure di verifica preventiva dell’interesse archeologico, in M.
Baldi - R. Tomei (diretto da), La disciplina dei contratti pubblici,
Milano, 2009, 903 ss.
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contenuto nell’art. 25, comma 4, D.L. “sblocca-Italia” n. 133 del 2015, convertito nella L. n. 164 del
2015) con la previsione (comma 13) di un apposito d.P.C.M., su proposta del Ministro dei beni e
delle attività culturali e del turismo, di concerto
con il Ministro per la semplificazione e la P.A. e il
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di individuazione dei procedimenti semplificati, con termini
certi che garantiscano la tutela del patrimonio archeologico tenendo conto dell’interesse pubblico sotteso alla
realizzazione dell’opera; infine, il rinvio (peraltro superfluo, perché ex se applicabile a tutte le procedure e a tutte le fasi delle procedure “bloccate”) alla
così detta fast truck procedure (comma 15) di cui all’emanando regolamento di attuazione dell’art. 4
della L. 7 agosto 2015, n. 124.
Sponsorizzazioni e forme speciali
di partenariato pubblico-privato nel campo
dei beni culturali
Il nuovo codice segna una forte semplificazione
procedurale per le sponsorizzazioni (4). Viene abrogata la procedura disciplinata dall’art. 199 bis inserito nel D.Lgs. n. 163 del 2006 dall’art. 20, comma
1, lett. h), D.L. n. 5 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 35 del 2012. L’irrigidimento
procedurale, in chiave di accountability, era stato
introdotto dal legislatore del 2012 per rispondere
al blocco delle sponsorizzazioni nel campo dei beni
culturali seguite al noto contenzioso insorto attorno alla sponsorizzazione Tod’s del restauro del Colosseo (5). Sennonché la procedimentalizzazione,
ostica e indigesta sia per gli uffici dell’amministrazione, sia per le imprese candidate sponsor, ha aggiunto paralisi alla paralisi. Da qui l’esigenza fortemente sentita di sbloccare il settore (è da notare
che lo stesso legislatore delegante non ha mancato
di porre l’accento su questo aspetto nel criterio di
delega relativo ai beni culturali) (6).
(4) Sulle sponsorizzazioni nel campo dei ben culturali, oltre
ai commentari e trattati citati nelle note precedenti, si vedano
gli interventi di R. Chieppa - A. Musso - S. Casciu raccolti nel
n. 2 del 2013 di Aedon, Rivista di arti e diritto on line, al sito
http://www.aedon.mulino.it/. Sia consentito anche il rinvio,
per sintesi, a P. Carpentieri, La sponsorizzazione di beni culturali, in Il libro dell’anno del diritto 2013, Roma, 2013, 272 ss. Si
vedano inoltre P.F. Ungari, La sponsorizzazione dei beni culturali - Atti Convegno Beni immateriali tra regole privatistiche e pubblicistiche, Assisi (25-27 ottobre 2012), in Aedon, n. 1 del 2014,
soprattutto par. 2, nonché, con una forte critica delle disposizioni contenute nell’art. 199-bis, G. Manfredi, Le sponsorizzazioni dei beni culturali e il mercato, ivi. Per un commento analitico delle linee guida ministeriali attuative dell’art. 199-bis, adottate con d.m. 19 dicembre 2012, pubblicato nella G.U. n. 60
del 12 marzo 2013, cfr. F. Di Mauro, Le norme tecniche e linee
1024
La nuova norma (invero inizialmente pensata per
lo specifico settore dei beni culturali, poi estesa alla generalità delle sponsorizzazioni, nell’art. 19, richiamato dall’art. 151) prevede che, trascorso il
termine di pubblicazione, il contratto possa essere
“liberamente negoziato”, purché nel rispetto dei
principi di imparzialità e parità di trattamento fra
gli operatori interessati, fermi restando i requisiti
soggettivi generali di ordine morale dello sponsor
e, ovviamente, gli indispensabili requisiti tecnicoprofessionali di qualificazione dell’impresa esecutrice dell’intervento (anche nel caso di sponsorizzazione “a cura e spese” dello sponsor, ossia di sponsorizzazione così detta “tecnica”). Resta altresì fermo (naturalmente) quanto stabilito dall’art. 120
del codice dei beni culturali, circa la verifica di
compatibilità della sponsorizzazione con le esigenze
di tutela (conservazione, decoro, rispetto della dignità) del bene oggetto di intervento. Nella sponsorizzazione di beni culturali è stata conservata,
nell’art. 151, comma 2, la previgente previsione secondo cui l’amministrazione preposta alla tutela
dei beni culturali impartisce opportune prescrizioni
in ordine alla progettazione, all’esecuzione delle
opere e/o forniture e alla direzione dei lavori e collaudo degli stessi (norma già esistente nel D.Lgs. n.
30 del 2004). È da sottolineare l’ampliamento considerevole del campo applicativo della sponsorizzazione riservato dal codice del 2016 al settore della
cultura in generale, lì dove la seconda parte del
comma 1 dell’art. 151 estende la sponsorizzazione
anche al sostegno degli istituti e dei luoghi della
cultura, di cui all’art. 101 del D.Lgs. 22 gennaio
2004, n. 42, e delle fondazioni lirico-sinfoniche e
dei teatri di tradizione. Si tratta di una forma particolare di sponsorizzazione che, a ben vedere, potrebbe anche prescindere dal finanziamento di specifici interventi (o dalla fornitura diretta, in caso
di “tecnica”, di lavori, servizi o forniture), per tradursi in una sorta di “adozione” dell’istituto o del
guida applicative delle disposizioni in materia di sponsorizzazioni
di beni culturali: i tratti essenziali, in Aedon, n. 3 del 2012, ivi.
(5) Cons. Stato, Sez. VI, 31 luglio 2013, n. 4034 (consultabile sul sito della Giustizia amministrativa, https://www.giustiziaamministrativa.it/). Sulla genesi, sulle ragioni e sui contenuti
dell’art. 199 bis sia consentito il rinvio a P. Carpentieri, sub art.
199 bis, Disciplina delle procedure per la selezione di sponsor, in
R. Garofoli - G. Ferrari (a cura di), Codice degli appalti pubblici,
Roma, 2012, 2070 ss.
(6) Una riflessione di carattere più generale sulle ragioni
delle difficoltà applicative dell’art. 199 bis del codice del 2006,
ora abrogato dal nuovo codice dei contratti del 2016, in P. Carpentieri, Sponsorizzazioni e mecenatismo nei beni culturali, nella
rivista on line Giust.Amm.it (al sito http://www.giustamm.it), 28
maggio 2014.
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luogo della cultura (un museo, una biblioteca, un
archivio, un’area archeologia, un parco archeologico), mediante elargizioni periodiche utilizzabili dall’ente beneficiario anche per far fronte alle spese
ordinarie e correnti di funzionamento, oltre che a
quelle di investimento. Indubbiamente questa modalità di sostegno dell’impegno sociale dell’impresa
può trovare anche forme alternative di espressione,
quali il mecenatismo (che gode del credito d’imposta del 65%, così detto “art. bonus”, di cui all’art. 1
del D.L. n. 83 del 2014 e successive modificazioni,
reso stabile e definitivo dalla legge di stabilità per
il 2016, L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 318),
oppure l’ingresso del benefattore nel board della
fondazione o dell’istituto beneficato (si parla in
questi casi di operating foundation per distinguere
dalla prima forma di mecenatismo puro, detta granting foundation), nel qual caso, però, il mecenate
non potrà godere di particolari benefici fiscali.
Questo ampliamento dell’ambito applicativo della
sponsorizzazione culturale merita di essere salutato
con particolare favore perché potrà agevolmente
consentire forme di sostegno significative, capaci
di dare un notevole sollievo ai costi diretti di gestione dei musei e degli altri istituti e luoghi della
cultura, mediante, per esempio, sponsorizzazione
tecnica dei servizi di climatizzazione, di videosorveglianza, di vigilanza, di illuminazione, ma anche
(perché no?) di pulizia, etc., nonché di fornitura di
energia elettrica, di acqua, etc. Tali soluzioni sono
inoltre facilitate dalla chiarificazione della possibilità di attuazione della sponsorizzazione anche mediante accollo del debito.
Nella nuova disciplina della sponsorizzazione resta
peraltro la possibilità per l’amministrazione di farsi
parte attiva e diligente nell’assumere essa stessa l’iniziativa per la ricerca di sponsor, anche mediante
la pubblicazione sul proprio sito di una lista di beni
e di servizi da sponsorizzare, senza dover necessariamente attendere solo le proposte dei privati.
Si auspica che la pubblicazione dell’avviso dell’avvenuta ricezione di una offerta di sponsorizzazione
(o di una ricerca di sponsor) obbedisca a criteri di
assoluta semplificazione (ad avviso di chi scrive,
sarebbe sufficiente una generica indicazione dell’avvenuta ricezione di una proposta di sponsorizzazione, tecnica o “pura”, senza la necessità di indicare il soggetto proponente, con l’indicazione del bene interessato, della natura dell’intervento - lavo-
ro, servizio, fornitura -, di una sua sommaria descrizione e, infine, con un’indicazione di massima del
controvalore pecuniario stimato). L’avviso persegue finalità informative di pubblicità-trasparenza e
non deve trasmodare in una impropria sollecitazione di confronto concorrenziale. Il confronto potrà
esserci solo se altre imprese si facciano spontaneamente avanti, nel lasso di tempo di durata della
pubblicazione dell’avviso, a proporre una propria
offerta migliorativa. Solo in questo caso potrà
aprirsi una fase negoziale nella quale le imprese
concorrenti potranno essere invitate a dei rilanci
(fermi restando l’oggetto e la natura del rapporto
proposto; ed invero la libera negoziabilità del contenuto contrattuale deve essere intesa con riferimento agli elementi accidentali del negozio, non
al nucleo essenziale della proposta). Sarà infine importante che nell’avviso, in specie se pubblicato su
iniziativa dell’amministrazione, siano indicate, sia
pur nelle linee essenziali, le forme (le modalità e i
limiti) della “controprestazione” offerta, in termini
di possibile associazione pubblicitaria e promozionale della ditta o del marchio dell’impresa sponsor
al bene culturale sponsorizzato.
La sponsorizzazione, come è noto, gode di un particolare regime fiscale di vantaggio. L’art. 108 del
TUIR (d.P.R. n. 917 del 1986), relativo alle spese
di pubblicità e di rappresentanza, prevede la deducibilità dal reddito dell’impresa delle spese di sponsorizzazione. Il regime è tuttavia sensibilmente diverso a seconda se tali spese siano considerate di
pubblicità - nel qual caso sono integralmente deducibili nell’anno in cui sono state sostenute oppure
in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro
successivi - o di rappresentanza - nel qual caso la
deducibilità avviene nel periodo di sostenimento
ed è condizionata dai noti criteri di inerenza e congruità determinati mediante il decreto del Ministro
dell’economia e delle finanze 19 novembre 2008
(in base all’art. 2 di tale decreto, le spese di rappresentanza sono deducibili in misura forfetaria pari:
a) all’1,3% dei ricavi e altri proventi fino a euro
10 milioni; b) allo 0,5% dei ricavi e altri proventi
per la parte eccedente euro 10 milioni e fino a 50
milioni; c) allo 0,1% dei ricavi e altri proventi per
la parte eccedente euro 50 milioni. L’opinione prevalente si orienta nel senso della qualificazione
delle spese di sponsorizzazione come spese di rappresentanza (7)).
(7) Cass., Sez. VI, 5 marzo 2012, n. 3433, in linea con Id. 15
aprile 2011, n. 8679; 28 ottobre 2009, n. 22790; 7 agosto
2008, n. 21270; 27 giugno 2008, n. 17602; 23 aprile 2007, n.
9567. Si veda la circ. n. 34/E del 13 luglio 2009 dell’Agenzia
delle entrate. Sulle nozioni di inerenza e congruità, a fini fiscali,
delle spese di rappresentanza, cfr. Cass., Sez. V, 27 aprile
2012, n. 6548. La Cassazione è di recente nuovamente intervenuta sulla qualificazione delle spese di sponsorizzazione quali
spese di pubblicità (integralmente deducibili) o rappresentanza
(limitatamente deducibili) con la sentenza 27 maggio 2015, n.
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L’Agenzia delle entrate (Ris. n. 88/E dell’11 luglio
2005) ha altresì affermato che la sponsorizzazione è
soggetta ad IVA, in misura pari all’aliquota ordinaria, da applicarsi sulle somme versate dallo sponsor
a fronte della “prestazione di servizi” dello “sponsee”. Questo vale anche con riferimento alle sponsorizzazioni tecniche e a quelle “miste”, che realizzano un’operazione permutativa, da assoggettare all’imposta separatamente da quella in corrispondenza della quale è effettuata. In questo caso, pertanto,
sia lo sponsor che lo “sponsee” sono tenuti alla fatturazione sulla base del valore della prestazione e
ai successivi adempimenti previsti dalla legge.
L’art. 29 del decreto sulle semplificazioni fiscali n.
175 del 2014 ha modificato l’art. 74, comma 6,
d.P.R. n. 633 del 1972, aumentando al 50% la detrazione forfettaria IVA riconosciuta per le operazioni di sponsorizzazione. Il decreto sulle semplificazioni fiscali ha disposto un’unica percentuale di
detrazione per le prestazioni pubblicitarie e quelle
di sponsorizzazione, assoggettandole a una misura
di detrazione forfettaria dell’IVA pari al 50% (nel
testo previgente l’art. 74 prevedeva una detrazione
IVA ridotta a 1/10 per le operazioni di sponsorizzazione e a 1/3 per le cessioni e concessioni di ripresa
televisiva e trasmissione telefonica; nella relazione
illustrativa all’art. 29 del decreto sulle semplificazioni fiscali si afferma che: “La semplificazione è
operata nell’ottica della riduzione del contenzioso
dovuto in particolare alla difficoltà di distinguere
tra prestazioni di pubblicità e di sponsorizzazione”).
Un’ulteriore novità di grande rilievo è contenuta
nel comma 3 dell’art. 151, che disciplina innovative forme speciali di partenariato pubblico-privato
nel campo dei beni culturali. La norma risponde a
un’esigenza emersa nella pratica, caratterizzata da
rapporti di partenariato di durata, ad assetti variabili e con cause giuridiche ed oggetti plurimi. La
norma in esame conclude un percorso giuridico avviato già con la previsione contenuta nell’art. 12,
comma 2, D.L. n. 91 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 112 del 2013 (in base alla
quale entro il 31 ottobre 2013 il Ministro avrebbe
dovuto individuare, in coerenza con l’art. 9 Cost.,
sulla base della legislazione vigente e alla luce delle
indicazioni fornite dalla commissione di studio già
costituita presso il Ministero, forme di coinvolgimento dei privati nella valorizzazione e gestione
dei beni culturali, con riferimento a beni individuati con decreto del medesimo Ministro), norma
che non ha avuto poi seguito, soprattutto a causa
della sua ristretta formulazione (ed è stata quindi
abrogata dall’art. 1, comma 6, D.L. n. 83 del 2014,
convertito, con modificazioni, dalla L. n. 106 del
2014).
La pratica ha dato vita a figure “ibride”, di difficile
collocazione giuridica, spesso cumulando insieme
una pluralità di tipi e di cause negoziali e di fini
economico-sociali, che vanno dalla collaborazione
scientifica alla cooperazione in azioni e manifestazioni di valorizzazione del patrimonio, in Italia e
all’estero (si pensi all’art. 67 codice dei beni culturali, che prevede tra l’altro casi di uscita temporanea di beni culturali in attuazione di accordi culturali con istituzioni museali straniere), dal concorso
in attività prodromiche alla (o integrative della)
tutela (quali la ricerca sulle tecnologie e le scienze
applicate al restauro, la catalogazione, la redazione
di inventari) alla ricerca archeologica, anche nelle
forme della concessione di cui all’art. 89 del codice, dalla collaborazione nell’attuazione delle misure
di valorizzazione e di gestione delle buffer zone annesse ai siti dichiarati Unesco agli stessi interventi
di gestione e apertura alla pubblica fruizione di tali
siti: una pluralità dinamica e mutevole di forme di
partenariato, che possono comportare anche la
concessione in gestione di istituti e luoghi della
cultura poco valorizzati (cfr. il recente decreto del
Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo 6 ottobre 2015) e l’instaurazione di forme di
collaborazione con soggetti del volontariato e del
terzo settore che, senza fini di lucro, applicano i
principi della sussidiarietà orizzontale di cui all’art.
118, ultimo comma, Cost. Si tratta di rapporti che
vanno al di là del mero partenariato di tipo contrattuale (come accade negli appalti e nelle concessioni), ma non pervengono ancora a una forma
di vera e propria istituzionalizzazione, come accade
nel caso in cui si dia luogo alla creazione di soggetti fondazionali o associativi appositi per la gestione
10914, limitandosi tuttavia a fornire un criterio discretivo di
massima, che lascia la decisione all’esame dei casi concreti da
parte degli operatori e dell’amministrazione finanziaria. La Corte ha richiamato la propria giurisprudenza secondo la quale, in
tema di imposte sui redditi delle persone giuridiche, il criterio
discretivo tra le spese di rappresentanza e le spese di pubblicità deve essere individuato nella diversità, anche strategica, degli obiettivi. Costituiscono, infatti, spese di rappresentanza i
costi sostenuti per accrescere il prestigio e l’immagine della
società e per potenziarne le possibilità di sviluppo, senza dare
luogo all’aspettativa di un incremento delle vendite, mentre
sono spese di pubblicità o di propaganda quelle erogate per la
realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se
non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e
servizi, o comunque al fine diretto dell’incremento delle vendite. Il D.Lgs. n. 156 del 2015 (art. 7, comma 8) ha opportunamente introdotto il nuovo comma 4 bis dell’art. 108 TUIR, ove
è prevista la possibilità per il contribuente, ai fini della deducibilità delle spese di cui al comma 2, di interpellare l’amministrazione in ordine alla qualificazione delle spese sostenute.
1026
Urbanistica e appalti 8-9/2016
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Opinioni
Nuovo Codice appalti
di siti culturali; tali rapporti, nella loro peculiarità,
reclamano quindi uno specifico riconoscimento e
una più sicura base giuridica, che potrebbe essere
offerta da questa apposita disposizione contenuta
nel comma 3 dell’art. 151 del nuovo codice dei
contratti.
Tale forma speciale di partenariato deve dunque
essere bene distinta da quella comune o generale
prevista dal codice dei contratti agli artt. 180 ss.,
incentrata essenzialmente sull’idea della finanza di
progetto, dove un bene realizzato o fornito dal
partner privato viene da questi sfruttato in concessione per recuperare le spese e remunerarsi. Il partenariato in generale risponde dunque ad esigenze
diverse, mira essenzialmente alla realizzazione di
opere pubbliche e alla loro gestione, con annesso
servizio al pubblico, con scarso impegno economico-finanziario dell’amministrazione. Si configura
quindi come una fattispecie complessa, dove il finanziatore si occupa della realizzazione dell’opera
pubblica e anche della sua gestione a fini remunerativi, con conseguente applicazione delle procedure di evidenza pubblica per la scelta del partner.
Diversamente, la figura speciale prevista dall’art.
151, comma 3, nel campo dei beni culturali, a fini
di fruizione e ricerca scientifica, presenta finalità
peculiari, come sopra tratteggiate, e si prevede che
l’individuazione del partner avvenga mediante procedure semplificate, analoghe a quelle previste per
la sponsorizzazione (o anche ulteriori). La fiducia e
l’intuitus personae giocano un ruolo fondamentale,
poiché questo partenariato, pur restando di tipo
contrattuale, tende ad assumere connotazioni quasi
associative, implicando un percorso comune di gestione di un determinato sito culturale, nelle diverse dimensioni della ricerca, dello studio, della catalogazione, del restauro, dell’apertura alla pubblica
fruizione, alla valorizzazione, etc. Ed invero, ancorché di tipo “contrattuale” e non “istituzionale”
(nel senso che non dà luogo alla costituzione di un
apposito soggetto fondazionale o associativo di cui
al Libro I del codice civile, ma resta a livello di
rapporto convenzionale di durata), il partenariato
in questione può assumere una maggiore “strutturazione” quasi-organizzativa nello svolgimento del
rapporto, sotto il profilo della previsione di appositi comitati o tavoli tecnici (o cabine di regia o
steering committee) a composizione mista o paritetica con il partner privato cui è demandato il monitoraggio o l’indirizzamento della fase esecutiva.
Tra i diversi tipi e cause contrattuali che potranno
utilmente combinarsi all’interno di questo nuovo
Urbanistica e appalti 8-9/2016
“contenitore” messo in campo dalla norma in esame, vi potranno dunque essere sia elargizioni liberali e/o sponsorizzazioni (le une e le altre sia di danaro, sia tecniche, potendo avere ad oggetto la fornitura di servizi di progettazione, di assistenza museale, di allestimento e presentazione per la pubblica fruizione di istituti e luoghi della cultura, di
consulenza organizzativa, aziendale, di marketing,
di comunicazione, legali, etc.), sia collaborazioni
scientifiche e di ricerca, per esempio nello svolgimento d’intesa di un comune programma di ricerca, che condivida obiettivi e metodologie. La previsione dell’art. 151, comma 3, costituisce dunque
una norma “aperta” che potrà man mano riempirsi
di contenuti applicativi specifici sulla base dell’esperienza e delle buone pratiche che potranno essere avviate e sperimentate nella concreta operatività degli uffici.
L’istituto può trovare spazio anche in relazione agli
accordi di valorizzazione dei beni culturali pubblici
previsti dall’art. 112 del codice di settore, volti a
definire le politiche strategiche di sviluppo culturale (eventualmente rimettendone l’attuazione a soggetti, appositamente costituiti, aventi funzione di
“cabina di regia”) oppure diretti a regolare, anche
con la partecipazione dei privati interessati, servizi
strumentali comuni destinati alla fruizione e valorizzazione di beni culturali. Il partenariato pubblico-privato, in attuazione di tali disposizioni, può
offrire un importante strumento di integrazione
delle attività di valorizzazione, consentendo di beneficiare del sostegno di soggetti privati, singoli o
associati, che possono contribuire alla definizione
di obiettivi, tempi e modalità della valorizzazione,
all’individuazione di adeguate forme di gestione dei
beni e alla promozione e diffusione della conoscenza. Più in particolare, il partenariato di cui all’art.
151 può innestarsi sia all’interno del processo
“ascendente” di “definizione” degli accordi di valorizzazione, quale momento preparatorio, lì dove si
presenti l’esigenza dell’acquisizione di un contributo ideativo e propositivo propedeutico alla definizione delle stesse strategie e delle conseguenti programmazioni di valorizzazione facenti capo alla
competenza degli Enti pubblici coinvolti, sia nella
fase “discendente” applicativa dell’accordo di valorizzazione, sotto il profilo dell’elaborazione dei conseguenti piani e progetti attuativi delle linee strategiche e programmatiche riversate nell’accordo ex
art. 112.
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Opinioni
Nuovo Codice appalti
Settori speciali
I settori speciali sempre meno
speciali (e sempre più ordinari)
di Hebert D’Herin
Rispetto all’ordinamento previgente, il nuovo Codice segna una decisa attenuazione delle peculiarità dei settori speciali.
Tale attenuazione opera in una duplice direzione: nel senso di un’assimilazione dei settori speciali a quelli ordinari ma anche, però, nel verso opposto, a seconda che si ponga l’accento sull’estensione ai primi di istituti giuridici tradizionalmente propri dei secondi o, viceversa, sulla sottoposizione dei secondi alle regole già dettate per i primi.
Senza alcuna pretesa di completezza e con approccio necessariamente sintetico, le considerazioni che seguono si propongono di ‘fare una carrellata’ degli elementi più significativi di questo
percorso di avvicinamento a doppio senso di marcia.
I. La specificità dei settori speciali
nell’ordinamento previgente
I.1. La specificità del regime giuridico dei settori
speciali - ovvero dei settori dei contratti pubblici
relativi a gas, energia termica, elettricità, acqua,
trasporti, porti e aeroporti, servizi postali e sfruttamento di area geografica, così come definiti nell’art. 3 del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (nel prosieguo: il Codice) - affonda le sue radici nella Dir.
71/305/CEE del 26 luglio 1971 relativa agli appalti
pubblici di lavori dal cui ambito applicativo sono
tout court esclusi tanto gli appalti di lavori pubblici
aggiudicati da “enti di diritto pubblico che gestiscono servizi di trasporto” quanto quelli “aggiudicati dai servizi di produzione, di erogazione e di trasporto di acqua e di energia” (art. 3).
Le ragioni dell’esclusione risiedono nella constatazione di una diffusa presenza pubblica, accanto a
quella privata, nella gestione delle predette attività
e nella correlata esigenza di evitare che le stesse
possano essere sottoposte “a regimi differenti a seconda che esse dipendano dallo Stato, dagli enti
pubblici territoriali o dalle altre persone giuridiche
di diritto pubblico o che abbiano una distinta personalità giuridica” (6° considerando).
(1) Sulle ragioni della specificità dei settori speciali vedi A.
Carullo - G. Iudica, Commentario breve alla legislazione sugli
appalti pubblici e privati, Padova, 2009, 1114; R. Palasciano, Gli
appalti pubblici nei settori speciali: soglie di rilevanza comunitaria, ambito di applicazione e disciplina applicabile, in M. Sanino
Urbanistica e appalti 8-9/2016
Per le stesse ragioni, sono integralmente sottratti
all’applicazione della successiva Dir. 77/62/CE del
21 dicembre 1976, relativa agli appalti pubblici di
forniture, sia gli appalti pubblici di forniture aggiudicati da enti che gestiscono servizi di trasporto sia
quelli stipulati da aziende di produzione, trasporto
ed erogazione di acqua e di energia, nonché i servizi che operano nel settore delle telecomunicazioni.
Rilevano, in sostanza, tanto le caratteristiche soggettive degli enti aggiudicatori quanto la rilevanza
strategica delle relative attività per l’economia nazionale e comunitaria (1).
I.2. Ad un primo regime di integrale sottrazione segue - nell’ottica del superamento di quella “chiusura dei mercati (...) dovuta alla concessione, da parte delle autorità nazionali, di diritti speciali o
esclusivi” in favore degli enti che operano in questi
settori (considerando 11) ed ai condizionamenti
sul loro operato da parte delle medesime autorità
nazionali in quanto titolari “di partecipazione nei
relativi capitali sociali” o della “rappresentanza negli organi amministrativi, direttivi o di vigilanza”
(considerando n. 12) - l’introduzione di un regime
differenziato, caratterizzato da una maggiore flessibilità e da minori vincoli procedurali, inaugurato
(a cura di), Commento al codice dei contratti pubblici, Milano,
2000, 2011; F. Caringella e M. Protto, Regolamento unico dei
contratti pubblici, Roma, 2012, 817; D. Galli - M. Nesi, Appalti
pubblici, Milano, 2015, 1283.
1029
Opinioni
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Nuovo Codice appalti
con il varo delle direttive 90/531/CEE del 17 settembre 1990 e 93/38/CEE del 14 giugno 1993 (relative alle procedure di appalto degli enti erogatori
di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel
settore delle telecomunicazioni) e poi proseguito
con la Dir. 2004/17/CE del 31 marzo 2004 (relativa alle procedure di appalto degli enti erogatori di
acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi
di trasporto e servizi postali).
I.3. Il recepimento di tale regime nell’ordinamento
interno è opera, rispettivamente, del D.Lgs. 17
marzo 1995, n. 158, prima, e del D.Lgs. 12 aprile
2006, n. 163, poi.
Il D.Lgs. n. 158/1995 disegna un corpus normativo
autonomo, costituito da 30 articoli e da 17 allegati,
integrato dal rinvio a 20 fonti normative esterne
relative agli appalti pubblici dei settori ordinari, di
cui 2 riconducibili alla L. 11 febbraio 1994, n. 109
(Legge quadro in materia di lavori pubblici), 7 al
D.Lgs. 19 dicembre 1991, n. 406 (Attuazione della
Dir. 89/440/CEE in materia di aggiudicazione degli
appalti di lavori pubblici), 6 al D.Lgs. 17 marzo
1995, n. 157 (Attuazione della Dir. 92/50/CEE in
materia di appalti pubblici di servizi) e 5 al D.Lgs.
24 luglio 1992, n. 358 (Testo Unico delle disposizioni in materia di appalti pubblici di forniture).
Il D.Lgs. n. 163/2006, ispirato dall’esigenza di riordino dell’intera materia, confina la materia dei settori speciali nella sua parte III, costituita da 34 articoli e 10 allegati ed integrata, sulla base del rinvio contenuto nell’art. 206, da 92 articoli applicabili ai settori ordinari, di cui 28 della Parte I, 37
della Parte II, 15 della Parte IV e 12 della Parte V.
I dati numerici, già di per sé, indicano un processo
di progressiva osmosi tra settori speciali e settori
ordinari.
Ciò nondimeno, la giurisprudenza formatasi nell’ordinamento previgente è ferma nel rimarcare la
specificità dei settori speciali (2).
(2) Cfr. ex multis T.A.R. Piemonte, Sez. I, 17 marzo 2016, n.
369 in cui si rimarca la “peculiarità e (...) la specialità degli appalti rientranti nei “settori speciali”, i quali, in presenza dei necessari presupposti soggettivi e oggettivi normativamente previsti, obiettivamente si differenziano dalla generalità degli appalti di lavori, servizi e forniture nei settori ordinari, di cui alla
parte II del Codice dei contratti pubblici, e proprio in virtù di tale differenziazione sono oggetto di specifica apposita normativa di cui alla parte III del Codice dei contratti pubblici” in
www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, Sez. V, 3 febbraio
2015, n. 497 in cui si evidenzia che “la normativa comunitaria
1030
II. La specificità dei settori speciali
nel Codice
II.1. Anche la Dir. 2014/25/UE del 26 febbraio
2014 si colloca nel solco della “specialità” tracciato
dalle precedenti direttive.
Essa, infatti, esordisce proprio rimarcando l’opportunità di mantenere “norme riguardanti gli appalti
degli enti erogatori di acqua e di energia e degli
enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, in quanto le autorità nazionali continuano a
essere in grado di influenzare il comportamento di
questi enti, anche attraverso la partecipazione al
loro capitale sociale o l’inserimento di propri rappresentanti nei loro organi amministrativi, direttivi
o di vigilanza. Un ulteriore motivo che spinge a
continuare a regolare normativamente gli appalti
pubblici in questi settori è costituito dalla natura
chiusa dei mercati in cui agiscono gli enti in tali
settori, data l’esistenza di diritti speciali o esclusivi
concessi dagli Stati membri in materia di alimentazione, fornitura o gestione delle reti per erogare il
servizio pertinente”.
Sicché la legge delega del 28 gennaio 2016, n. 11 nel proposito di mantenere un corpo normativo a
sé stante per i settori speciali - contempla tra i
principi e criteri direttivi generali cui si deve attenere il legislatore delegato la “puntuale indicazione, in materia di affidamento dei contratti nei settori speciali, delle disposizioni ad essi applicabili,
anche al fine di favorire la trasparenza nel settore e
la piena apertura e contendibilità dei relativi mercati”.
Malgrado ciò, la netta impressione che si ricava da
una prima lettura del Codice è quella di una decisa
attenuazione della specialità dei settori in argomento rispetto allo status quo ante e di una loro assimilazione ai settori ordinari, proseguendo in quel
processo di osmosi cui si è fatto cenno prima.
II.2. Tale dato di fatto è la conseguenza della concorrente volontà del legislatore eurounitario e di
quello nazionale.
Sul fronte eurounitario, i punti di contatto tra la
Dir. 2014/25/UE, relativa ai settori speciali, e la die nazionale, pur perseguendo lo scopo di sottoporre alla disciplina di evidenza pubblica anche i c.d. settori speciali (già
‘esclusi’, perché regolati dal diritto privato), delimita in modo
rigoroso non solo il loro ambito soggettivo ma anche quello
oggettivo, descrivendo in dettaglio ciascun settore con prescrizioni che devono essere applicate restrittivamente, onde conservare ai detti settori connotati di specialità, e alle stazioni appaltanti maggiore libertà nella scelta degli operatori economici” in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Milano, Sez. I, 15
maggio 2012, n. 1356 in www.giustizia-amministrativa.it).
Urbanistica e appalti 8-9/2016
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Nuovo Codice appalti
rettiva 2014/24/UE, relativa a quelli ordinari, sono
maggiori rispetto al passato.
La prima, infatti, non si limita a fare appello ai
“criteri oggettivi per l’esclusione e la selezione degli operatori economici” disciplinati dalla seconda
(art. 80) (3), ma con quest’ultima condivide nuovi
strumenti procedurali, quali ad esempio i partenariati per l’innovazione (art. 49) e le consultazioni
preliminari di mercato (art. 58), oltre che la regolamentazione ex novo della fase esecutiva dell’appalto attraverso la previsione, altrettanto nuova,
degli istituti del subappalto (art. 88), delle modifiche ai contratti in corso (art. 89) e della risoluzione (art. 90).
Sul fronte interno, invece, il legislatore nazionale,
in nome dei “principi di trasparenza e di apertura
dei mercati” (4), rende applicabili ai settori speciali
disposizioni di maggior rigore o dettaglio già sperimentate nei settori ordinari ma del tutto inedite
per i primi com’è, ad esempio, in materia di verifica della progettazione o di modalità di individuazione della soglia di anomalia delle offerte.
II.3. Il ridimensionamento delle peculiarità dei settori speciali è evidente anche sotto il profilo dell’organizzazione sistematica della materia.
La disciplina degli appalti nei settori speciali non
costituisce più, come in passato, l’oggetto di una
“Parte” del Codice a ciò espressamente dedicata.
Il corpo principale delle disposizioni dei settori speciali è oggi contenuto nel Capo I, Titolo VI, della
Parte II (relativa anche i settori ordinari); la tecnica legislativa utilizzata è quella già collaudata nel
D.Lgs. n. 163/2006 e consiste nella previsione di
disposizioni specifiche e nella ricognizione, ad opera, in particolare, degli artt. 114, 122 e 133, delle
disposizioni applicabili dettate per i settori ordinari.
Oltre ad esse, tuttavia, numerose altre disposizioni
si trovano disseminate già prima nel Titolo II della
Parte I (ad es. artt. 5, 6, 7, 8, 9, 11, 17, 18) oppure,
ancora, nel Titolo II (ad es. artt. 38, 43) e nel Titolo V (ad es. artt. 106 e 108) della Parte II.
Alcune di queste sono specifiche dei settori speciali (ad es. artt. 6, 7, 8) altre, invece, hanno quali loro destinatari tanto le “amministrazioni aggiudicatrici” quanto gli “enti aggiudicatori”, tanto i “settori ordinari” quanto i “settori speciali” (cfr. artt. 9,
17, 18, 38, 43, 106, 108).
Come efficacemente sottolineato dalla Commissione Speciale del Consiglio di Stato nel parere del
21 marzo 2016, “il codice (...) individua, per i settori speciali, la disciplina applicabile con una triplice tecnica:
- la inclusione, già nella parte generale, di disposizioni specifiche per i settori speciali;
- la ricognizione delle disposizioni applicabili, dettate per i settori ordinari;
- le disposizioni specifiche”.
Sotto il profilo sistematico, dunque, la disciplina
dei settori speciali esce da quell’isolamento cui l’aveva confinata la Parte III del D.Lgs. n. 163/2006
e si amalgama con quella dei settori ordinari.
II.4. Schematizzando, è possibile concludere che
l’attenuazione delle peculiarità dei settori speciali
operi all’interno del Codice in una duplice direzione: nel senso di un’assimilazione dei settori speciali
a quelli ordinari ma anche, però, nel verso opposto, a seconda che si ponga l’accento sull’estensione ai primi di istituti giuridici tradizionalmente
propri dei secondi o, viceversa, sulla sottoposizione
dei secondi alle regole già dettate per i primi.
Senza alcuna pretesa di completezza e con approccio necessariamente sintetico, le considerazioni
che seguono si propongono di ‘fare una carrellata’
degli elementi più significativi di questo percorso
di avvicinamento a doppio senso di marcia.
L’attenzione, dunque, sarà catturata non tanto (o
non solo) dalle novità che investono entrambi i
settori - quali, ad esempio, il partenariato per l’innovazione, il ricorso obbligatorio a strumenti elettronici di negoziazione e di aggiudicazione od il favor per il criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa - quanto, piuttosto, da quegli istituti
che nell’ordinamento previgente costituivano patrimonio esclusivo di uno di essi e che oggi, invece,
sono comuni ad entrambi i settori.
(3) Disciplina di identico tenore era contenuta nell’art. 54
della Dir. 2004/17/CE che rinviava all’art. 45 della Dir.
2004/18/CE.
(4) Vedasi, in tal senso, il paragrafo III.1 del parere della
Commissione Speciale del Consiglio di Stato del 21 marzo
2016 sullo schema di Codice.
Urbanistica e appalti 8-9/2016
III. L’assimilazione dei settori speciali
a quelli ordinari
III.1. Diversi e molteplici sono gli ambiti materiali
in relazione ai quali il Codice abbrevia le distanze
preesistenti tra settori speciali ed ordinari, ritagliando la disciplina dei primi su quella dei secondi.
Va, anzitutto, dato conto della soppressione della
facoltà in capo agli enti aggiudicatori di optare per
l’applicazione, su base volontaria, delle disposizioni
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Nuovo Codice appalti
dettate per i settori ordinari, secondo quanto già
previsto dall’art. 206, comma 3, del D.Lgs. n.
163/2006 (“nel rispetto del principio di proporzionalità, gli enti aggiudicatori possono applicare altre
disposizioni della parte II, alla cui osservanza non
sono obbligati in base al presente articolo, indicandolo nell’avviso con cui si indice la gara, ovvero,
nelle procedure in cui manchi l’avviso con cui si
indice la gara, nell’invito a presentare un’offerta”)
cui faceva eco l’art. 339, comma 2, d.P.R. n.
207/2010 (“gli enti aggiudicatori hanno comunque
facoltà di applicare, nel rispetto dei principi di proporzionalità e adeguatezza, le disposizioni del presente regolamento diverse da quelle elencate al
comma 1, con apposita previsione contrattuale
dandone preventiva comunicazione nell’avviso con
cui si indice la gara o nell’invito a presentare offerta”).
Il venir meno di tale possibilità pare doversi correlare al c.d. divieto di gold plating contenuto nel primo criterio direttivo della legge delega ossia al “divieto di introduzione o di mantenimento di livelli
regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle
direttive, come definiti dall’articolo 14, commi 24ter e 24-quater, della legge 28 novembre 2005, n.
246” (5).
Così facendo, se da un lato si rende immune la disciplina dei settori speciali da eventuali dilatazioni
del suo ‘normale’ campo di applicazione, dall’altro
lato se ne compromette però significativamente la
sua flessibilità che, storicamente, l’ha sempre contraddistinta da quella dei settori ordinari.
III.2. Nell’impianto normativo previgente, i settori
speciali non sono soggetti agli obblighi di pianificazione e di programmazione delle acquisizioni di
lavori, di servizi e di forniture.
L’art. 206 del D.Lgs. n. 163/2006 non richiama, in
quanto applicabile ai settori speciali, l’art. 128 relativo alla programmazione dei lavori pubblici mentre l’art. 342, comma 2, d.P.R. n. 207/2010 precisa
che “agli enti aggiudicatori non si applicano le disposizioni del presente regolamento contenute nella Parte II, Titolo I, Capo II (programmazione dei
lavori) e nell’art. 271 (programmazione dell’attività contrattuale per l’acquisizione di beni e servizi)”.
E ciò anche se il lavoro, il servizio o la fornitura
nel settore speciale siano affidati da amministrazioni aggiudicatrici.
Nello schema di Codice approvato dal Consiglio
dei Ministri il 3 marzo 2016, l’art. 21 prevede(va)
che “le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori adottano il programma biennale degli
acquisiti di beni e di servizi e il programma triennale dei lavori, nonché i relativi aggiornamenti annuali”.
A seguito dei rilievi formulati dalla Commissione
Speciale del Consiglio di Stato - che evidenzia la
“problematica conciliabilità” dell’obbligo in esame
con l’attività degli enti aggiudicatori che “opera(no) in un mercato competitivo e che per tale ragione dovrebbe(ro) poter modificare le proprie
strategie di impresa ed i propri piani di investimento in tempi e secondo modalità che non sarebbero
compatibili con i vincoli procedurali stabiliti dalla
disciplina in commento” - è stato espunto il riferimento agli enti aggiudicatori nella versione definitiva del testo.
Poiché, tuttavia, l’art. 21 è comunque contenuto
nella Parte I del Codice, le relative disposizioni si
applicano anche agli appalti nei settori speciali, se
ed in quanto aggiudicati però da amministrazioni
aggiudicatrici, ai sensi di quanto previsto nell’art.
114, comma 1, del medesimo Codice (“Ai contratti pubblici di cui al presente Capo si applicano le
norme che seguono e, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli da 1 a 58 (...)”).
Tanto più che la rubrica dell’art. 21 del Codice
contiene ancora il riferimento testuale (forse un refuso) alle “stazioni appaltanti”, inclusivo anche degli enti aggiudicatori, secondo la definizione contenuta nell’art. 3, comma 1, lettera o).
III.3. Decise e più marcate sono le novità in tema
di servizi attinenti l’ingegneria e l’architettura.
L’art. 206 del D.Lgs. n. 163/2006 non contempla
l’art. 93 (livelli della progettazione per gli appalti e
concessioni di lavori) fra quelli applicabili ai settori speciali.
Del pari, l’art. 339 del d.P.R. n. 207/2010 non richiama le disposizioni contenute nella sua Parte II,
Titolo II, Capo I, relative ai contenuti del progetto
preliminare, definitivo e esecutivo dei lavori.
(5) L’art. 14, comma 24 ter, L. 28 novembre 2005, n. 246
statuisce che “costituiscono livelli di regolazione superiori a
quelli minimi richiesti dalle direttive comunitarie: a) l’introduzione o il mantenimento di requisiti, standard, obblighi e oneri
non strettamente necessari per l’attuazione delle direttive; b)
l’estensione dell’ambito soggettivo o oggettivo di applicazione
delle regole rispetto a quanto previsto dalle direttive, ove comporti maggiori oneri amministrativi per i destinatari; c) l’introduzione o il mantenimento di sanzioni, procedure o meccanismi operativi più gravosi o complessi di quelli strettamente necessari per l’attuazione delle direttive”.
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Oggi la materia è però disciplinata nell’art. 23 del
Codice, alla cui osservanza sono tenuti gli enti aggiudicatori ai fini dell’assegnazione tanto dei servizi
di ingegneria ed architettura quanto dei lavori, ai
sensi del ricordato art. 114, comma 1.
Se così è, sotto il profilo in esame, l’omologazione
dei settori speciali con quelli ordinari è da considerarsi piena ed include anche aspetti di dettaglio,
quali ad esempio:
- il principio di continuità nell’esecuzione delle
prestazioni di progettazione definitiva ed esecutiva
al fine di “garantire omogeneità e coerenza al procedimento”, ai sensi dell’art. 23, comma 12, del
Codice, già affermata nei settori ordinari dall’art.
91, comma 4, D.Lgs. n. 163/2006;
- il divieto di subappalto della relazione geologica,
ai sensi dell’art. 31, comma 8, del Codice, negli
stessi termini in cui è declinato nei settori ordinari
dall’art. 91, comma 3, D.Lgs. n. 163/2006.
Ma ancora dell’altro vi è da rilevare rispetto, in
particolare, alla progettazione dei lavori.
L’art. 206 del D.Lgs. n. 163/2006 non richiama
l’art. 112 (verifica della progettazione prima dell’inizio dei lavori) come applicabile agli appalti di lavori dei settori speciali.
A sua volta, l’art. 339 del d.P.R. n. 207/2010 non
contempla le disposizioni contenute nella sua Parte
II, Titolo II, Capo II, dettate in tema di verifica
del progetto, fra quelle applicabili ai settori speciali.
La disciplina della verifica preventiva della progettazione dei lavori è oggi contenuta nell’art. 26 del
Codice che ne individua puntualmente i contenuti, oltre che i soggetti deputati istituzionalmente al
loro espletamento (interni od esterni all’ente aggiudicatore), sulla falsariga di quanto già previsto
negli artt. 48 e 52 del d.P.R. n. 207/2010.
In ragione della sua nuova collocazione sistematica, anche la disciplina in esame è applicabile ai
settori speciali.
Di contro, il Codice ne salvaguarda le peculiarità
rispetto alle modalità di affidamento dei servizi di
ingegneria e di architettura ed alla possibilità di affidamento congiunto della progettazione e dell’esecuzione di lavori dal momento che le restrizioni
per esse previste rispettivamente negli artt. 157 e
59, comma 1, del Codice non hanno quali destinatari gli “enti aggiudicatori” né sono richiamate tra
quelle applicabili anche ai settori speciali.
III.4. Analogo discorso può farsi per la progettazione dei servizi e delle forniture.
L’art. 206 del D.Lgs. non contempla l’art. 94 (livelli della progettazione per gli appalti di servizi e for-
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niture) fra quelli applicabili ai settori speciali ed,
anzi, l’art. 339 del d.P.R. 207/2010 esclude espressamente dal suo ambito operativo le disposizioni
contenute nell’art. 279, commi 1 e 2, relative alla
progettazione di servizi e forniture.
L’art. 23 del Codice detta, invece, specifiche prescrizioni relative alla progettazione di servizi e forniture (commi 14 e 15) che, per le medesime ragioni di cui sopra, dovranno trovare applicazione
anche nei settori speciali.
III.5. L’equiparazione tra i settori ordinari e settori
speciali è totale anche alla luce dell’introduzione
nell’art. 29 del Codice degli obblighi di pubblicazione e di aggiornamento nella sezione “Amministrazione trasparente” di cui al D.Lgs. 14 marzo
2013, n. 33 di “tutti gli atti delle amministrazioni
aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori relativi alla
programmazione di lavori, opere, servizi e forniture, nonché alle procedure per l’affidamento di appalti pubblici di servizi, forniture, lavori e opere, di
concorsi pubblici di progettazione, di concorsi di
idee e di concessioni”.
Tanto più che gli obblighi in parola potrebbero
tradursi, sul piano pratico, in una “forzatura” dell’ambito soggettivo di applicazione del D.Lgs. n.
33/2013, così come definito nel suo art. 11, ricomprendendovi anche i soggetti dei settori speciali
che operano in virtù di diritti speciali o esclusivi
ma che non sono necessariamente riconducibili
“agli enti di diritto privato in controllo pubblico,
ossia alle società e agli altri enti di diritto privato
(...) sottoposti a controllo ai sensi dell’articolo
2359 del codice civile da parte di pubbliche amministrazioni, oppure agli enti nei quali siano riconosciuti alle pubbliche amministrazioni, anche in assenza di una partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi”
(art. 11 del D.Lgs. n. 33/2013).
III.6. Tra le principali novità del Codice figurano,
indubbiamente, l’introduzione di un sistema di
qualificazione obbligatoria delle stazioni appaltanti,
prevista e disciplinata nell’art. 37, nonché l’istituzione di un albo dei componenti delle commissioni
giudicatrici presso l’Autorità Nazionale Anticorruzione cui attingere in caso di aggiudicazione con il
criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, prevista e disciplinata negli artt. 77 e 78.
Da entrambe le novità sono però esclusi “gli enti
aggiudicatori che non sono amministrazioni aggiudicatrici”, ai sensi degli artt. 38, comma 10, e 77,
comma 13.
Se v’è peculiarità dei settori speciali, questa è però
parziale dal momento che viene meno se ad aggiu-
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dicare l’appalto sia un’amministrazione aggiudicatrice cui si applicherà in toto il regime dettato per i
settori ordinari.
III.7. Anche la rinnovata disciplina dei requisiti di
partecipazione (di capacità economica-finanziaria e
tecnica) denota un progressivo appiattimento dei
settori speciali su quelli ordinari.
L’art. 136 del Codice dà facoltà agli enti aggiudicatori (“possono”) di adottare, ai fini della selezione
degli offerenti nelle procedure aperte, ristrette, negoziate o nei dialoghi competitivi, “i criteri di selezione di cui all’articolo 83”, precisando, tuttavia,
che il ricorso a questi è possibile “alle condizioni
stabilite in detto articolo, in particolare per quanto
riguarda il massimale relativo ai requisiti sul fatturato annuale, come previsto dal comma 5 di detto
articolo” (comma 2) e che, in ogni caso, “si applicano gli articoli 85, 86 e 88” (comma 3).
L’art. 85, in particolare, rinvia all’allegato XVII
che, a sua volta, identifica in modo puntuale i parametri su cui commisurare la capacità economicafinanziaria e tecnica degli operatori economici
(prevedendo, ad esempio, in relazione ai primi
“una dichiarazione concernente il fatturato globale
e, se del caso, il settore di attività oggetto dell’appalto al massimo per gli ultimi tre esercizi disponibili (...)”).
Il margine di discrezionalità così concesso agli enti
aggiudicatori risulta più contenuto rispetto a quello
che connota l’ordinamento previgente, se solo si
consideri che l’art. 340 del d.P.R. n. 207/2010 prevede nel secondo comma che “gli enti aggiudicatori possono stabilire una maggiore o minore estensione temporale del periodo, rilevante ai fini della
dimostrazione dei requisiti di idoneità richiesti, fissato dagli articoli 41 e 42 del codice” (il primo dei
quali si riferisce agli “ultimi tre esercizi”) ed elenca
nel terzo comma i requisiti di qualificazione “a titolo esemplificativo”.
Il Codice, inoltre, rende obbligatorio anche nei
settori speciali l’utilizzo del Documento di gara
unico europeo disciplinato dal suo art. 85; l’omologazione, sotto il profilo in esame, del regime dei
settori speciali con quello dei settori ordinari è
frutto della previsione del considerando n. 92 della
Dir. 2014/257UE (6).
III.8. L’art. 206, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006
prevede l’applicazione ai settori speciali dell’art.
86, relativo alle modalità di predeterminazione della soglia di anomalia delle offerte, “con la precisazione che gli enti aggiudicatori hanno facoltà di
utilizzare i criteri di individuazione delle offerte
anormalmente basse”.
Coerentemente, l’art. 339 del d.P.R. n. 207/2010
contempla l’applicazione delle disposizioni del regolamento contenute “nella parte II, titolo V, capo
II (criteri di selezione delle offerte), con esclusione
degli articoli 121, comma 1 (offerte anomale), nel
caso in cui gli enti aggiudicatori, ai sensi dell’articolo 206, comma 1, del codice utilizzino un diverso
criterio di individuazione delle offerte anormalmente basse rispetto a quello di cui all’articolo 86,
comma 1, del codice, indicandolo nell’avviso con
cui si indice la gara o nell’invito presentare offerte” (7).
Il Codice segna un deciso cambio di rotta rispetto
al passato dal momento che l’art. 133, comma 1,
richiama tout court l’applicazione delle disposizioni
dell’art. 97, senza introdurvi deroghe, e nel successivo comma 6 ribadisce che “gli enti aggiudicatori
verificano la conformità delle offerte presentate dagli offerenti così selezionati alle norme e ai requisiti applicabili alle stesse e aggiudicano l’appalto secondo i criteri di cui agli articoli 95 e 97”.
Pertanto, i criteri di individuazione delle offerte
anormalmente basse oggi sono gli stessi nei settori
ordinari ed in quelli speciali così come identica è
anche la modalità di loro predeterminazione mediante sorteggio pubblico in caso in caso di aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso (art.
95, comma 2).
III.9. L’art. 114, comma 8, del Codice - nella versione risultante a seguito della pubblicazione il 15
luglio u.s. dell’avviso di rettifica - precisa che “all’esecuzione dei contratti di appalto nei settori speciali si applicano le norme di cui agli articoli 100,
105, 106, 108 e 112”.
Tralasciando il rinvio ai “principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, propor-
(6) “Sempreché sia compatibile con la necessità di assicurare la realizzazione dell’obiettivo di pratiche commerciali leali
pur permettendo la massima flessibilità, è opportuno prevedere l’applicazione della direttiva 2014/24/UE per quanto riguarda i requisiti relativi alla capacità economica e finanziaria e alle
prove documentali. Agli enti aggiudicatori dovrebbe essere
pertanto consentito di applicare i criteri di selezione di cui a tale direttiva e, qualora essi lo facciano, dovrebbero avere l’ob-
bligo di applicare determinate altre disposizioni che riguardano, in particolare, il massimale relativo ai requisiti sul fatturato
minimo nonché in materia di utilizzo del documento di gara
unico europeo”.
(7) In merito alla non applicabilità ai settori speciali dei criteri di individuazione delle offerte anormalmente basse, vedi
anche Cons. Stato, Sez. VI, 12 settembre 2014, n. 4669.
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del “50 per cento del valore del contratto iniziale”,
valevole soltanto nei settori ordinari.
Fatto salvo il precedente distinguo, tuttavia, l’assimilazione dei settori speciali a quelli ordinari è totale.
E non è cosa da poco se si consideri che nel contesto normativo previgente né gli artt. 114 e 132 del
D.Lgs. n. 163/2006 né gli artt. 161 e 311 del d.P.R.
n. 207/2010 sono annoverati tra quelli applicabili
ai settori speciali.
III.11. L’art. 108 disciplina le ipotesi di risoluzione
facoltativa (comma 1) ed obbligatoria (comma 2)
del contratto pubblico nonché l’iter procedimentale
da seguire per la pronuncia della risoluzione in caso
di “grave inadempimento alle obbligazioni contrattuali” nonché di ritardo “per negligenza dell’appaltatore” (comma 3 e successivi).
Tale disciplina rappresenta una novità per i settori
speciali.
Dal punto di vista dei contenuti, essa rimpiazza
quella ab origine dettata dagli artt. da 135 a 139 del
D.Lgs. n. 163/2006 per gli appalti di lavori nei settori ordinari, applicabile anche agli appalti di forniture e di servizi dei medesimi settori in forza del
richiamo contenuto nell’art. 297 del d.P.R. n.
207/2010.
Ma non, invece, agli appalti dei settori speciali in
ragione del suo mancato richiamo tanto nell’art.
206 del D.Lgs. n. 163/2006 quanto nell’art. 339 del
d.P.R. n. 207/2010.
III.12 Il richiamo all’art. 112 è opera dell’avviso di
rettifica pubblicato nella Gazzetta ufficiale della
Repubblica italiana del 15 luglio u.s. e fa sì che anche l’esecuzione degli appalti nei settori speciali
possa essere riservata a “operatori economici e a
cooperative sociali e loro consorzi il cui scopo principale sia l’integrazione sociale e professionale delle
persone con disabilità o svantaggiate”.
zionalità, innovazione” contenuto nell’art. 100, le
invocate disposizioni riguardano, rispettivamente,
gli istituti del subappalto, delle modifiche/varianti
ai contratti in corso di esecuzione e della risoluzione.
Di questi, nel previgente ordinamento, soltanto il
primo era applicabile ai settori speciali.
L’art. 206 del D.Lgs. n. 163/2006, infatti, tra le diverse disposizioni contenute nella Parte II, Titolo
I, Capo V (Principi relativi all’esecuzione del contratto) richiama soltanto l’art. 118 (subappalto) e
precisa che “nessun altra norma (...) si applica (...)
alla realizzazione delle opere appartenenti ai settori
speciali”.
Del pari, l’art. 339 del d.P.R. n. 207/2010, fra le disposizioni applicabili ai contratti dei settori speciali, annovera soltanto l’art. 170 relativo al “subappalto e cottimo”.
L’introduzione anche nei settori speciali degli istituti delle modifiche/varianti ai contratti in corso e
del recesso - ancorché imposta dalla Dir.
2014/25/UE - ne rende più simile la fase esecutiva
a quella dei settori ordinari, certamente più di
quanto non lo fosse in passato.
III.10. L’art. 106 del Codice detta le condizioni in
presenza delle quali è consentita l’introduzione di
modifiche o di varianti ai contratti d’appalto in
corso di validità.
Esso rappresenta il nuovo punto di confluenza delle
discipline in precedenza contenute negli artt. 132
del D.Lgs. n. 163/2006 e 161 del d.P.R. n.
207/2010, in tema di varianti dei lavori nei settori
ordinari, dagli artt. 114 del D.Lgs. n. 163/2006 e
311 del d.P.R. n. 207/2010, in tema di varianti ai
servizi e alle forniture nei settori ordinari, dagli
artt. 57 e 221 del D.Lgs. n. 163/2006, in tema di
affidamento diretto delle prestazioni c.d. “complementari”, e dall’art. 37 della L. 11 agosto 2014, n.
114, in tema di obblighi di trasmissione all’Autorità Nazionale Anticorruzione delle varianti in corso
d’opera (8).
Il risultato che ne deriva è quello di una regolamentazione applicabile in modo uniforme tanto ai
lavori quanto ai servizi e alle forniture; tanto ai
settori ordinari quanto a quelli speciali.
L’unica differenza è che nei settori speciali non
trova applicazione per i “lavori, servizi o forniture
supplementari” (comma 1, lettera b) e per le “varianti in corso d’opera” (comma 1, lett. c) il limite
IV.1. Si è detto, in precedenza, che l’accorciamento delle distanze tra settori speciali e settori ordinari passa anche attraverso l’applicazione ai secondi
di istituti giuridici tradizionalmente propri dei primi.
Tra questi ultimi un posto di riguardo occupa la
c.d. “procedura negoziata previa pubblicazione del
bando di gara” (o “previa indizione di gara”).
(8) L’obbligo di comunicazione delle varianti nei settori speciali è stato invece introdotto al punto 3, lett. c), del comunica-
to dell’Autorità Nazionale Anticorruzione del 17 settembre
2014.
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IV. L’assimilazione dei settori ordinari
a quelli speciali
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Nell’ordinamento previgente, la procedura in argomento costituisce uno strumento di acquisizione
ordinario nei settori speciali e del tutto eccezionale
nei settori ordinari.
Nei settori speciali, l’art. 220 del D.Lgs. n.
163/2006 pone la procedura negoziata “previo avviso con cui si indice la gara” in rapporto di completa alternatività rispetto alle procedure aperta o
ristretta, senza alcuna predeterminazione delle ipotesi legittimanti il ricorso alla medesima.
Di contro, nei settori ordinari l’art. 56 del D.Lgs.
n. 163/2006 circoscrive la possibilità di ricorrere
alla procedura negoziata previa pubblicazione di un
bando di gara soltanto “in esito all’esperimento di
una procedura aperta o ristretta o di un dialogo
competitivo” quando “tutte le offerte presentate
sono irregolari o inammissibili” oppure “nel caso di
appalti pubblici di lavori, per lavori realizzati unicamente a scopo di ricerca, sperimentazione o messa a punto, e non per assicurare una redditività o il
recupero dei costi di ricerca e sviluppo”.
L’ordinamento vigente, sotto la spinta europea (9),
apre invece le porte all’esperimento nei settori ordinari della procedura negoziata previo bando, oggi
denominata “procedura competitiva con negoziazione”.
L’art. 59 del Codice, infatti, consente il ricorso alla
procedura competitiva con negoziazione in un
maggiore numero di ipotesi rispetto al passato producendo un effetto di sostanziale deregulation quando, ad esempio, non siano presenti sul mercato “soluzioni immediatamente disponibili” oppure
siano richieste, ai fini dell’aggiudicazione, “progettazione o soluzioni innovative” o, ancora, siano necessarie “preventive negoziazioni a causa di circostanze particolari in relazione alla natura, complessità o impostazione finanziaria e giuridica dell’oggetto dell’appalto o a causa dei rischi a esso connessi”.
Se di certo non può parlarsi nei settori ordinari di
un rapporto di alternatività tra procedura competitiva con negoziazione e procedure aperta e ristretta, poco però ci manca.
IV.2. Piuttosto marcate risultano anche le similitudini nel regime dei contratti sotto soglia.
Nei settori ordinari, il D.Lgs. n. 163/2006 dedica la
sua Parte II, Titolo II, alla disciplina dei contratti
sotto soglia comunitaria prevedendo il ricorso, oltre che alle ordinarie procedure di affidamento
(aperta, ristretta, negoziata e dialogo competitivo),
anche alle acquisizioni in economia (art. 125) e, in
particolare, al cottimo fiduciario.
Quest’ultimo, che costituisce “una procedura negoziata in cui le acquisizioni avvengono mediante affidamento a terzi” (art. 125, comma 4), è possibile
a condizione che i lavori, i servizi e le forniture
non eccedano il valore di euro 200.000 e siano sussumibili, quanto ad oggetto e tipologia, alle “categorie generali” individuate dal legislatore (art. 125,
commi 6 e 10) e alle voci di spesa predeterminate
con provvedimento di ciascuna stazione appaltante
sulla base delle proprie specifiche esigenze (c.d. regolamento in economia).
L’adozione del regolamento così come la riconducibilità dell’acquisto alle categorie merceologiche ivi
predeterminate condizionano la fruibilità dello
strumento del cottimo fiduciario. Di conseguenza,
l’assenza di una di tali condizioni obbliga al ricorso
alle procedure ordinarie.
Nei settori speciali, invece, per gli appalti di lavori,
forniture e servizi di importo inferiore alla soglia
comunitaria, l’art. 238, comma 7, D.Lgs. n.
163/2006 autorizza le imprese pubbliche e i soggetti
titolari di diritti speciali ed esclusivi ad applicare
“la disciplina contenuta nei rispettivi regolamenti,
la quale, comunque, deve essere conforme ai principi dettati dal Trattato CE a tutela della concorrenza”.
Il quadro si completa con l’art. 341 del d.P.R. n.
207/2010 che, per i contratti di importo inferiore
alle soglie di rilevanza comunitaria conclusi dalle
amministrazioni aggiudicatrici, prevede invece
l’applicazione delle “disposizioni di cui all’articolo
339 e le disposizioni contenute nella parte II, titolo
VIII, capo III (lavori in economia) e nella parte
IV, titolo V (acquisizione di servizi e forniture sotto soglia e in economia)”.
La disciplina dei contratti sotto soglia contenuta
nell’art. 36 del Codice avvicina i settori ordinari a
quelli speciali attraverso una sostanziale semplificazione delle modalità di affidamento in seno ai primi (10).
Se da un lato, si conferma nei settori speciali la
possibilità in capo alle imprese pubbliche ed ai sog-
(9) Il considerando 42 della Dir. 2014/24/UE del 24 febbraio
2014 evidenzia che “è indispensabile che le amministrazioni
aggiudicatrici dispongano di maggiore flessibilità nella scelta
di una procedura d’appalto che prevede la negoziazione. (...) È
opportuno che gli Stati membri abbiano la facoltà di ricorrere
ad una procedura competitiva con negoziazione (...) in varie si-
tuazioni qualora non risulti che procedure aperte o ristrette
senza negoziazione possano portare a risultati di aggiudicazioni di appalti soddisfacenti”.
(10) Tant’è che nel parere del 21 marzo 2016 la Commissione speciale del Consiglio di Stato “auspica(va) una prudenza
del codice, quanto meno iniziale, nel tasso di semplificazione
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getti titolari di diritti speciali o esclusivi di applicare la disciplina stabilita nei rispettivi regolamenti,
dall’altro lato si afferma nei settori ordinari il ricorso sistematico alla “procedura negoziata previa
consultazione”, oggi consentita, indipendentemente dall’oggetto del contratto o dalla sua previa individuazione all’interno di un provvedimento a contenuto generale della stazione appaltante, nei servizi e nelle forniture per importi inferiori alle soglie
comunitarie e nei lavori per importi inferiori a euro 1.000.000 (in modo non dissimile dalla prassi,
in uso nei regolamenti sotto-soglia delle imprese
pubbliche, di fissare soglie interne).
Le stesse modalità valgono, poi, anche per gli appalti aggiudicati nei settori speciali dalle amministrazioni aggiudicatrici, secondo quanto sottolineato dall’Autorità Nazionale Anticorruzione nel documento di consultazione delle linee guida relative
alle “procedure per l’affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, indagini di mercato e formazione e gestione degli elenchi di operatori economici”.
Così facendo, si finisce però per rendere sempre
più impercettibile la linea di demarcazione tra i regolamenti di cui al comma 8 dell’art. 36 ed il regime di cui al comma 2 del medesimo articolo.
V. Quali margini di specialità?
Nonostante il processo di avvicinamento in atto,
permangono comunque sostanziali differenze tra i
settori speciali e i settori ordinari, anche soltanto
sotto i profili della possibilità di sottrarre al Codice
attività dei settori speciali direttamente esposte alla concorrenza (art. 8) o della diversa quantificazione delle rispettive soglie di rilevanza comunitaria (art. 35) o, ancora, della facoltà in capo agli enti aggiudicatori di istituire autonomi sistemi di qualificazione (art. 128) o, infine, della previsione di
un regime particolare nei settori speciali per le of-
delle procedure degli affidamenti sotto soglia. Semplificazione
che può tradursi in una perdita di concorrenza e partecipazione, atteso anche, in virtù del ‘combinato disposto’ della divisione in lotti, l’elevato valore complessivo delle commesse sot-
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ferte contenenti prodotti originari di Paesi terzi
(art. 137).
Come poi si è già accennato, tali differenze si accentuano nelle ipotesi i cui gli enti aggiudicatori
siano soggetti diversi dalle amministrazioni aggiudicatrici, non trovando in tal caso applicazione gli
istituti della programmazione delle acquisizioni,
della qualificazione delle stazioni appaltanti e dell’albo dei componenti delle commissioni giudicatrici.
Un ruolo attivo nella differenziazione tra i due regimi andrà riconosciuto - ma non è dato ancora sapere in quale misura - anche all’Autorità Nazionale
Anticorruzione cui è demandata in larga parte l’attuazione del Codice “attraverso linee guida, banditipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolamentazione flessibile” (art. 213)
che, di certo, investiranno anche i settori speciali.
Si evidenzia, peraltro, che nessuno dei documenti
di consultazione relativi alle “linee guida attuative
del nuovo codice” sinora resi disponibili (11) tratta
in modo specifico la materia degli appalti dei settori speciali.
Ma non è da escludere che un ruolo decisivo possa
assumerlo anche la giurisprudenza amministrativa
in sede interpretativa o, eventualmente su sollecitazione delle parti, in sede di verifica del rispetto,
da parte del legislatore delegato, del “divieto di introduzione o di mantenimento di livelli regolazione
superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive”
(c.d. divieto di gold plating) dettato dalla legge delega e valevole anche per i settori speciali.
E, in considerazione del livello di dettaglio raggiunto dalla disciplina dei settori speciali, non è
del tutto peregrino il dubbio circa “l’introduzione o
il mantenimento di requisiti, standard, obblighi e
oneri non strettamente necessari per l’attuazione
delle direttive”.
to soglia rispetto al totale degli appalti aggiudicati in Italia”.
(11) Cfr. documenti disponibili al seguenti indirizzo internet:
http://www.anticorruzione.it/portal/public/classic/attivitaautorita/consultazionionline
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Indici
INDICE DEGLI AUTORI
Appalti e lavori pubblici
Appalti sostenibili
Appalti sostenibili, green public procurement e socially responsible public procurement, di Claudio Vivani ..........................................................
Baldi Matteo
Locazione finanziaria, contratto di disponibilità e baratto amministrativo nel D.Lgs. n. 50/2016 ...........
Concessioni
959
Carpentieri Paolo
Appalti nel settore dei beni culturali (e archeologia
preventiva) ..................................................
1014
Cartei Gian Franco
Il contratto di concessione di lavori e di servizi: novità e conferme a 10 anni dal Codice De Lise ..........
939
907
Contessa Claudio
Le nuove regole dell’affidamento delle concessioni .
I contratti esclusi dall’ambito di applicazione del nuovo codice dei contratti pubblici, di Agostino Meale ..
Locazione finanziaria
981
Locazione finanziaria, contratto di disponibilità e baratto amministrativo nel D.Lgs. n. 50/2016, di Matteo Baldi ....................................................
D’Herin Hebert
Procedure elettroniche
I settori speciali sempre meno speciali (e sempre
più ordinari) .................................................
Procedure elettroniche e strumenti di acquisto telematici nel nuovo Codice dei contratti pubblici, di Stefano Cresta .................................................
1029
Fantini Stefano
Il partenariato per l’innovazione .........................
955
Follieri Enrico
Le novità sui ricorsi giurisdizionali amministrativi nel
codice dei contratti pubblici ..............................
873
948
959
981
1001
Scelta del contraente
907
I settori speciali sempre meno speciali (e sempre
più ordinari), di Hebert D’Herin ..........................
955
Mazzeo Luca
Soccorso istruttorio
Il nuovo soccorso istruttorio, di Andrea Manzi e Paolo Caruso ....................................................
1001
Meale Agostino
1029
Procedimento amministrativo
Gli appalti (e le concessioni) nei servizi sociali: un regime - non troppo - ‘‘alleggerito’’ frutto di una ‘‘complicata semplificazione’’ ..................................
I contratti esclusi dall’ambito di applicazione del nuovo codice dei contratti pubblici ..........................
919
Settori speciali
948
Manzi Andrea
Il nuovo soccorso istruttorio .............................
939
Regimi particolari di appalto
Gli appalti (e le concessioni) nei servizi sociali: un regime - non troppo - ‘‘alleggerito’’ frutto di una ‘‘complicata semplificazione’’, di Luca Mazzeo .............
Il partenariato per l’innovazione, di Stefano Fantini ..
Manganaro Francesco
Soglie di rilevanza comunitaria nel Codice dei contratti pubblici ................................................
933
Contratti sotto soglia
Soglie di rilevanza comunitaria nel Codice dei contratti pubblici, di Francesco Manganaro ...............
933
Cresta Stefano
Procedure elettroniche e strumenti di acquisto telematici nel nuovo Codice dei contratti pubblici ........
Le nuove regole dell’affidamento delle concessioni,
di Claudio Contessa .......................................
Il contratto di concessione di lavori e di servizi: novità e conferme a 10 anni dal Codice De Lise, di Gian
Franco Cartei ...............................................
Contratti esclusi
Caruso Paolo
Il nuovo soccorso istruttorio .............................
993
907
Processo amministrativo
Contenzioso
919
Le novità sui ricorsi giurisdizionali amministrativi nel
codice dei contratti pubblici, di Enrico Follieri ........
873
Vivani Claudio
Appalti sostenibili, green public procurement e socially responsible public procurement ..................
993
INDICE ANALITICO
Ambiente e beni culturali
Beni culturali
Appalti nel settore dei beni culturali (e archeologia
preventiva), di Paolo Carpentieri ........................
1038
1014
Urbanistica e appalti 8-9/2016
Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
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Commentario
breve alle leggi
in materia di
URBANISTICA
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La nuova edizione del Commentario,
a distanza di 5 anni dalla fortunata
prima edizione, è stata oggetto di una
sostanziosa revisione nelle norme
e nei commenti da parte degli autori
-docenti e professionisti espertiche hanno coniugato l’esame dei
principi generali e l’inquadramento
sistematico di ben 18 fonti normative
con il taglio operativo necessario agli
operatori pubblici e privati del settore,
compenetrando l’interpretazione del
diritto statale e del diritto regionale
ed evidenziando anche la varietà degli
sviluppi giurisprudenziali su base
territoriale.
Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
I PRINCIPI VINCOLANTI
DELL’ADUNANZA PLENARIA
DEL CONSIGLIO DI STATO
SUL CODICE DEL PROCESSO
AMMINISTRATIVO
(2010-2015)
ENRICO FOLLIERI
e ANTONIO BARONE
Pagine: XII - 1212
ISBN: 978-88-13-35290-5
€ 90,00
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a cura di
Il diritto amministrativo è il frutto dell’elaborazione giurisprudenziale
che, da una legislazione frammentaria e dettata per settori, ricava
dei princìpi generali costruendo categorie utili per comprendere e
condurre ad interpretazione sistematica un apparato normativo
ampio e disordinato, che si può dire alimenti giornalmente la materia
prima su cui opera ogni giurista.
In particolare, la giurisprudenza amministrativa dell’Adunanza plenaria
del Consiglio di Stato, nel quadro mutato dall’introduzione del codice del
processo amministrativo, presenta una rilevanza maggiore e pregnante
e va valutata e considerata in modo diverso e più approfondito e
in tempi ravvicinati, prima che si sovrapponga in stratificazioni che
rendano più complessa e articolata l’analisi.
Da qui lo svolgimento di questa ricerca che esamina cinque anni (dal
2010 al 2015) di giurisprudenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio
di Stato sul Codice del processo amministrativo. Il volume – che si
apre con due articoli dei Curatori, uno sulla vocazione “unitaria” delle
giurisdizioni e l’altro sull’art. 99 del codice del processo amministrativo
- riproduce le ordinanze e le sentenze dell’Adunanza plenaria,
enucleando per ciascuna i princìpi affermati, raggruppati per argomenti
e corredati dalla dottrina di riferimento e dalle considerazioni degli
Autori. Completano l’opera un ampio apparato di indici bibliografici e
cronologico delle decisioni.
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