Fertilità a 360°? Spunti e nuove riflessioni sulla PMA – Edizione

Fertilità a 360°? Spunti e nuove riflessioni sulla PMA – Edizione 2016
Responsabile scientifico: Dr Claudio Castello, Responsabile del Centro Fisiopatologia della Riproduzione,
Ospedale Maria Vittoria, Torino
Sanitanova è accreditato dalla Commissione Nazionale ECM (accreditamento n. 12 del 7/2/2013) a fornire
programmi di formazione continua per tutte le professioni.
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ECM.
Data inizio svolgimento: 30/06/2016; ID evento: 12-160288
Modulo 2. Il ruolo del laboratorio nel “Time to Pregnancy”
Autore: Dr.ssa Giovanna Orlando, Biologa esperta in embriologia presso G.EN.E.R.A - Reparto di
Procreazione Medicalmente Assistita della Clinica Valle Giulia, Roma
Obiettivi formativi
Al termine del modulo didattico, il discente dovrebbe essere in grado di:



conoscere le principali tecniche utilizzare per ottimizzare il time to pregnancy;
comprendere vantaggi e svantaggi delle tecnologie;
conoscere limiti e sviluppi delle nuove tecnologie.
Introduzione
Le tecniche di riproduzione assistita sono delle procedure a beneficio delle coppie incapaci di concepire
naturalmente o mediante forme di trattamenti medici meno invasivi.
Un percorso convenzionale di IVF prevede:
1)
2)
3)
4)
5)
stimolazione ormonale, finalizzata alla produzione di un numero adeguato di ovociti,
raccolta degli ovociti stessi,
inseminazione con spermatozoi selezionati,
coltura embrionale,
trasferimento in utero.
Quando l’embrione trasferito si impianta, il ciclo volge a buon fine con una gravidanza clinica.
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In Italia, secondo l’ultimo report stilato dall’Istituto Superiore di Sanità, sono 200 i centri attivi nella pratica
di tecniche di PMA di II e III livello. Nel 2014, sono state trattate 55.654 coppie e dei corrispettivi cicli iniziati
il 91,2% è giunto al prelievo di ovociti e il 71,4% al trasferimento di embrioni1. Dalla nascita della prima
bambina nel 1978 fino alla metà degli anni ’90, la pratica della fecondazione in vitro è stata caratterizzata
da una percentuale di gravidanza costantemente intorno al 20%. Nella scorsa decade i miglioramenti nei
protocolli di stimolazione ovarica e nelle tecniche di coltura cellulare hanno determinato un significativo
incremento della percentuale di successo, ciononostante a oggi meno della metà degli embrioni trasferiti
evolve in una gravidanza. È stato riferito che solo il 7% degli ovociti recuperati in una procedura di IVF esita
nella nascita di un bambino2. Dunque molti pazienti non riescono a realizzare il loro sogno e gli altri spesso
necessitano di diversi tentativi per raggiungere la genitorialità.
L’attuale sfida dell’IVF clinica consiste quindi nel limitare il tempo necessario per ottenere una gravidanza
(Time To Pregnancy). Un ruolo cruciale in tal senso è svolto dal biologo della riproduzione, il quale ha il
compito di identificare in maniera affidabile gli ovociti e gli embrioni maggiormente competenti allo
sviluppo. Il fine ultimo è quello di garantire il successo minimizzando aborti e gravidanze
cromosomicamente anomale, riducendo al contempo anche gli sforzi e i costi.
L’obiettivo di questo corso è quello di analizzare le tecniche e le tecnologie a oggi disponibili in un
laboratorio di PMA per ottimizzare il Time To Pregnancy:





metodi di selezione e conservazione gameti;
metodi di selezione e conservazione embrionale (invasivi e non);
coltura a blastocisti;
sistemi di time-lapse;
gestione della qualità.
Metodi di selezione e conservazione gameti
Il destino di un embrione è principalmente determinato dalla competenza dei gameti di origine. La
selezione di ovociti e spermatozoi gioca dunque un ruolo cruciale nella determinazione dello sviluppo
dell’embrione che ne deriva.
Selezione ovocitaria
Nella pratica clinica dei laboratori di PMA, la selezione di un ovocita è compiuta mediante la valutazione
della morfologia. È una metodica non invasiva, rapida e poco costosa, basata su una semplice osservazione
al microscopio invertito. Anni di studi hanno consentito di identificare differenti alterazioni a carico della
cellula uovo: anomalie della zona pellucida e dello spazio perivetellino, frammentazione del corpo polare,
presenza di vacuoli e granulazioni citoplasmatiche (vedi Figura 1).
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Figura 1. Differenti anomalie morfologiche di ovociti umani: (A) granularità citoplasmatica diffusa, (B) area
granulare citoplasmatica localizzata in posizione centrale, (C) cluster di reticolo endoplasmatico liscio, (D)
vacuoli, (E) anomalia nella forma della zona pellucida, (F) ampio spazio perivitellino con frammenti.
Fonte: referenza bibliografica 3
Il valore predittivo di tali parametri è stato valutato in una review sistematica3, la quale ha preso in esame
50 studi che correlano la presenza di una o più delle variazioni morfologiche suddette con le performance
in vitro degli ovociti. Nessuna anomalia ha dimostrato di avere un reale valore prognostico, dunque tali
caratterizzazioni possono essere considerate semplici deviazioni della normalità non sufficienti a scartare
un ovocita. Uniche eccezioni sono gli ovociti giganti, che è stato dimostrato possiedano un assetto
cromosomico diploide, e ovociti con reticolo endoplasmatico liscio, la cui presenza è stata correlata con
un’elevata percentuale di gravidanze biochimiche e aborti precoci4. Considerata la complessità del
meccanismo dell’oogenesi, è facile immaginare come una singola caratteristica morfologica non possa
predire la qualità intrinseca di un ovocita. L’ovocita è una cellula unica e altamente specializzata, capace
sia di creare, attivare e controllare il genoma embrionale sia di supportare i meccanismi base (omeostasi e
metabolismo) del primo sviluppo embrionale. Il meccanismo che porta l’ovocita ad acquisire un’appropriata
competenza allo sviluppo è dunque complesso e multifattoriale. La qualità ovocitaria è determinata da
un’adeguata maturazione nucleare e citoplasmatica, ma è anche influenzata dal microambiente ovarico in
cui l’ovocita si sviluppa. Durante la follicologenesi, tra l’ovocita e le cellule della granulosa si instaura una
stretta comunicazione cellulare, essenziale per indurre e coordinare la differenziazione ovocitaria. Dunque,
la competenza allo sviluppo di un ovocita potrebbe essere determinata da marker espressi nelle cellule
follicolari che lo circondano. Si è quindi pensato che lo studio dell’espressione genica delle cellule del
cumulo potesse offrire l’opportunità di avere un metodo predittivo non invasivo. Una recente metanalisi ha
provato a identificare il complesso network di geni che viene espresso dalle cellule del cumulo e
dall’ovocita quando quest’ultimo si dimostra capace di svilupparsi a seguito della fecondazione. 56 possibili
biomarker di competenza ovocitaria sono stati proposti: 21 correlati positivamente e 35 negativamente5.
Studi mirati hanno dimostrato che il trascrittoma delle cellule follicolari può servire come biomarker per
predire sia la vitalità e la qualità dell'embrione sia l’outcome ultimo della gravidanza6-8.
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Un altro possibile marcatore del potenziale riproduttivo di un ovocita è rappresentato dalla stima del
consumo di ossigeno, da tempo considerato un buon indicatore dell’attività metabolica di una cellula.
Tecnicamente è una valutazione quantitativa della percentuale di ossigeno consumato da un singolo
ovocita prima della fertilizzazione. Le prime misurazioni risalgono al lontano 1986, tuttavia circa 15-20 anni
sono stati necessari per consentire una rilevazione affidabile e riproducibile in un moderno sistema di
cultura. Gli studi effettuati rivelano una relazione tra misura della respirazione, fecondazione e capacità di
sviluppo embrionale fino allo stadio di blastocisti9.
Nonostante i risultati promettenti, le nuove tecnologie illustrate restano non applicabili in programmi di IVF
standard, sia la per mancanza di dispositivi commerciali pronti per l'uso sia per i costi proibitivi.
Selezione spermatica
Tradizionalmente la valutazione dei parametri di concentrazione, motilità e morfologia di un campione
seminale è impiegata per fini sia diagnostici sia selettivi in un trattamento IVF. Tali parametri sembrano
essere buoni marker per predire l’outcome clinico in concepimenti naturali10, in cicli di inseminazione
intrauterina11 e di fecondazione in vitro convenzionale12, ma non nei cicli ICSI. La scelta basata sui parametri
convenzionali di un singolo spermatozoo, da parte di un embriologo, non consente di selezionare il gamete
maschile con maggiore competenza allo sviluppo. Negli ultimi anni particolare attenzione è stata rivolta al
deterioramento nucleare dello spermatozoo, in particolare alla frammentazione del DNA. Contrariamente
ai parametri di valutazione standard, la stima del danno al DNA sembra avere un valore prognostico
maggiore. È stato infatti osservato che, sia nel concepimento naturale sia nei programmi di inseminazione
intrauterina, la percentuale di gravidanza tende a decrescere quando il tasso di frammentazione del DNA
(DNA fragmentation index, DFI) supera la soglia del 15% e tende ad azzerarsi quando il valore di DFI supera
il 30%13. L’impatto negativo della frammentazione è stato anche dimostrato in relazione agli esiti clinici dei
cicli ART. La presenza in un campione seminale di un’elevata quota di spermatozoi con cromatina
frammentata è associata alla riduzione del tasso di impianto e gravidanza, oltre che all’aumento della
percentuale di aborto, sia dopo FIVET convenzionale sia dopo ICSI14,15. Tuttavia, a oggi non si conoscono
strumenti capaci di discernere e selezionare spermatozoi con cromatina integra nel corso di una iniezione
intracitoplasmatica, sebbene siano sono state proposte nuove procedure di selezione.
L’impiego di marker della maturazione spermatica, quali acido ialuronico e recettori della zona pellucida,
unite a nuove tecniche di immagine potrebbero complessivamente favorire la selezione dello spermatozoo
competente16 (vedi Figura 2).
Figura 2. Spermatozoi sottoposti a metodica per la valutazione dell’integrità del DNA: spermatozoi normali
(formazione di un alone per dispersione della cromatina spermatica) e frammentati (assenza di alone per
mancata dispersione della cromatina spermatica).
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Crioconservazione gameti
Qualora la selezione dei gameti diventi maggiormente efficiente, sarà possibile ridurre il numero di ovociti
da inseminare per produrre embrioni competenti; ciò favorirà il successo dei trattamenti IVF, soprattutto in
paesi in cui la legge limita il numero di ovociti da inseminare. In tal caso è necessario che i laboratori di PMA
dispongano di un adeguato sistema per la conservazione dei gameti. Allo stato attuale, l’unica realistica
opzione per la conservazione dei gameti è la crioconservazione, modalità che consente la preservazione
della vitalità cellulare per lunghi periodi attraverso il mantenimento alla temperatura dell’azoto liquido
(-196 °C). In relazione alla modalità di raffreddamento, si identificano due approcci: il congelamento lento e
la vitrificazione. Il primo metodo prevede un lento e controllato abbassamento della temperatura il quale
consente una graduale disidratazione della cellula; il secondo metodo, invece, si fonda su un abbassamento
quasi istantaneo della temperatura, facendo in modo che il tempo richiesto per la transizione termica sia
così breve che le molecole di acqua non possano organizzarsi in un reticolo cristallino.
La sfida più impegnativa di un laboratorio è rappresentata dal congelamento dell’ovocita. Diversi sono i
fattori che possono spiegare questa difficoltà: dimensioni e forma, presenza di una struttura molto
sensibile come il fuso meiotico e composizione lipidica delle membrane cellulari. Negli anni vi è stata molta
riluttanza nell’accettare la crioconservazione ovocitaria come trattamento standard. Tuttavia, dopo un
lungo processo di validazione, le più importanti società scientifiche (ASRM, ASCO, ESHRE) nel 2013 ne
hanno riconosciuto l’importanza clinica. In una recente metanalisi17, sono stati esaminati i dati relativi a
2.265 cicli di crioconservazione ovocitaria. Il lavoro ha stabilito la superiorità della vitrificazione rispetto al
congelamento lento sia in termini di sopravvivenza sia di fertilizzazione e di impianto. Inoltre ha stimato
che, indipendentemente dal tipo di metodica di congelamento impiegata, la probabilità di una gravidanza
diminuisce in modo significativo con l’aumentare dell’età, in particolare al di sopra dei 36 anni.
Ciononostante, sono state riportate gravidanze a termine in pazienti fino a 42 anni di età per protocolli di
congelamento lento e fino a 44 anni per la vitrificazione. Sebbene quindi non sia possibile stabilire un cutoff di età per l’applicabilità di tali procedure, si consiglia un approccio cautelativo nell’indirizzare verso tale
strategia le pazienti di età superiore ai 40 anni. In donne con età <30 anni, invece, si stima una percentuale
di nati pari al 30% con l’utilizzo di almeno 6 ovociti vitrificati e al 15% con 6 ovociti congelati con metodo
lento (slow-freezing).
La vitrificazione ovocitaria si dimostra una tecnica efficiente capace di implementare il successo di un
trattamento di IVF. Il congelamento di ovociti si rende necessario quando:
a) il recupero di ovociti è superiore a quello necessario per ottenere un numero idoneo di embrioni
per la paziente;
b) il recupero dei gameti maschili risulta difficile o inadeguato.
Disporre di una tecnica consolidata offre la possibilità di tentare successive fecondazioni in caso di
fallimento nell’applicazione delle tecniche a fresco.
Metodi di selezione e conservazione embrionale (invasivi e non)
Come per i gameti, anche per gli embrioni la valutazione morfologica è stato il primo metodo impiegato per
la selezione e, a dispetto dei suoi limiti18, rappresenta a oggi la metodica più comunemente adoperata.
Si basa essenzialmente su osservazioni statiche (osservazioni di routine al microscopio) che prevedono la
verifica del numero e delle dimensioni cellulari, la presenza di multinucleazioni e la percentuale di
frammentazione cellulare. Negli anni è stato dimostrato che le caratteristiche morfologiche dell’embrione
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hanno una debole correlazione con l’outcome clinico (AUC ≈0,6) e forniscono solo delle blande
indicazioni sulle potenzialità di impianto19,20. È ben noto, infatti, che lo sviluppo embrionale è un processo
dinamico e il numero delle cellule, così come il grado di frammentazione, possono cambiare rapidamente;
ad esempio i frammenti sono estrusi e riassorbiti continuamente durante lo sviluppo.
Negli ultimi 10 anni, altri metodi di selezione sono stati sperimentati; si identificano due categorie
principali:


metodiche invasive (preimplantation genetic diagnosis o PGS);
metodiche non invasive (morfocinetica, proteomica, metabolomica).
Metodiche invasive
Con il termine “metodiche invasive”, si identificano quelle procedure che richiedono la rimozione di una
porzione dell’embrione per la sua analisi; la più nota e diffusa è lo screening genetico pre-impianto (PreImplantation Genetic Screening, PGS).
Il PGS è una tecnica innovativa che consente di analizzare il profilo genetico di un embrione: rappresenta la
forma più precoce di diagnosi prenatale, in quanto permette di conoscere lo stato di salute di un embrione
prima del suo trasferimento in utero.
Il prelievo del materiale genetico da analizzare, definito biopsia, può essere effettuato su (vedi Figura 3):



ovociti prima e dopo la fecondazione: l’analisi è operata sul primo e secondo globulo polare e
fornisce informazioni unicamente sul DNA materno; non evidenzia errori di derivazione paterna o
mitotici che possono verificarsi durante le fasi post-zigotiche; è elevato il tasso di falsi diagnostici:
47,6% di falsi negativi (aneuploidie non evidenziabili sui globuli polari confermate allo stadio di
blastocisti) e 20% di falsi positivi (aneuploidie riscontrate sui corpi polari non più evidenziabili allo
stadio di blastocisti);
embrioni in terza giornata di sviluppo: la biopsia è effettuata su embrioni allo stadio di 6-10
cellule: dopo apertura della zona pellucida vengono prelevati uno o due blastomeri sottoposti poi
ad analisi genetica; fornisce informazioni sull'assetto cromosomico embrionale, tuttavia non
rappresenta in maniera accurata lo stato di ploidia dell'embrione a causa del fenomeno del
mosaicismo, una condizione che si verifica quando le cellule appartenenti allo stesso embrione
presentano complementi cromosomici differenti;
embrioni in quinta/sesta giornata di sviluppo: la biopsia è effettuata allo stadio di blastocisti: dopo
apertura della zona pellucida vengono prelevate circa cinque cellule del trofoectoderma (dal quale
avranno origine la placenta e gli altri annessi embrionali) in una posizione distante dalla massa
cellulare interna (che darà origine all’embrione). Non sembra presentare effetti deleteri per la
sopravvivenza embrionale e il rischio di mosaicismo è ridotto21.
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A- Biopsia del primo globulo polare
B- Biopsia del secondo globulo polare
C- Biopsia dell’embrione
D- Biopsia della blastocisti
Figura 3. Tecniche di prelievo per praticare la diagnosi genetica pre-impianto: (A) prelievo del primo e (B)
del secondo globulo polare, (C) prelievo di un blastomero in un embrione al terzo giorno di sviluppo, (D)
prelievo di alcune cellule del trofoectoderma in una blastocisti
La biopsia del trofoectoderma si configura come l'approccio più promettente e consono per identificare
embrioni euploidi da trasferire in utero22,23.
Effettuare un PGS significa quindi identificare gli embrioni con anomalie numeriche cromosomiche. La
presenza di tali anomalie si verifica in una percentuale sorprendentemente alta di embrioni umani
preimpianto: 70-80% per le donne di 40 anni24 e 30% nella fascia di età compresa tra i 30 e i 35 anni. Il
trasferimento inconsapevole di questi embrioni esita in un fallimento d’impianto, in un aborto o in una
gravidanza in cui il feto è portatore di un’anomalia cromosomica alla nascita.
La prima gravidanza in seguito a PGS risale al 1995; da allora il suo uso clinico è cresciuto in modo
esponenziale; attualmente trova largo impiego in percorsi IVF per differenti indicazioni quali: AMA
(advanced maternal age), RIF (repeated implantation failure), poliabortività, severo fattore maschile. Una
recente pubblicazione riporta i risultati clinici ottenuti mediante analisi retrospettiva su 1.660 pazienti con
età superiore ai 35 anni sottoposte a un trattamento di fecondazione in vitro25. Il tasso di gravidanza per
transfer aumenta dal 25,8% in un convenzionale ciclo di IVF al 51,2% in un ciclo con PGS; in parallelo si
assiste alla netta riduzione del tasso di aborto, dal 30,3 al 9,1%. Il tutto si traduce in un tasso di gravidanza a
termine per trasferimento di singoli embrioni euploidi del 45,0%, rispetto al 10,5% osservato nel gruppo
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controllo che non ha effettuato la diagnosi. A supporto dei dati riportati, una recente meta-analisi su 29
studi ha concluso che, a discapito della diversità di tecniche impiegate e del target di pazienti sottoposti a
screening, il PGS aumenta la possibilità di ottenere una gravidanza evolutiva26. Inoltre, la sicurezza del suo
procedimento sembra essere confermata dai dati del registro europeo ESHRE27, i quali non evidenziano un
aumento delle anomalie alla nascita in relazione all’uso della biopsia embrionale.
Ovviamente, essendo una tecnica di screening, la sua applicazione non è capace di migliorare la qualità di
gameti ed embrioni e il tasso di nascita per ciclo di stimolazione resta invariato. È tuttavia necessario
evidenziare che i casi in cui, a seguito dell’analisi cromosomica, si identificano embrioni euploidi trasferibili
corrispondono solo al 43,6%. Dunque l’obiettivo del PGS è quello di ridurre il tempo investito in transfer
vani e potenzialmente dannosi, investendo il tempo recuperato in altri trattamenti alla ricerca di embrioni
euploidi potenzialmente risultanti in una gravidanza. Il PGS potrebbe offrire un’opportunità reale di
ottimizzare il time to pregnancy. Ciononostante resta una procedura invasiva, con un costo proibitivo; la
sua applicazione rimane pertanto ancora oggetto di dibattito.
Metodiche non invasive
Con il termine di metodiche non invasive si fa riferimento a tutte le procedure analitiche che non
richiedono manipolazioni aggiuntive degli embrioni, prevenendo il rischio di un possibile impatto dovuto
all’analisi stessa. Durante gli ultimi 15 anni sono stati proposti nuovi e differenti approcci; essi includono:

Proteomica: identifica, quantifica e caratterizza i cambiamenti dell’espressione proteica di un
singolo genoma. La sua analisi richiede l’estrazione cellulare; per tale motivo l’attenzione dei
ricercatori è stata rivolta al secretoma, ossia all’ampio numero di proteine e peptidi secreti da ogni
singolo embrione nel terreno di coltura circostante. È una tecnica molto attraente, in quanto
l’analisi viene effettuata su materiale di scarto. L’avvento della spettroscopia di massa ha permesso
di individuare proteine strettamente correlate al potenziale evolutivo e d’impianto dell’embrione.
In particolare Katz-Jaff e coll.28 hanno identificato l’ubiquitina come fattore di rilievo: la sua
crescente presenza nel secretoma di embrioni evolutivi correla con la capacità di sviluppo di un
embrione.
Un recente studio pioneristico29 ha correlato il secretoma anche all’aneuploidia, evidenziando la
presenza di una concentrazione crescente di lipocalina-1 nel secretoma di blastocisti
cromosomicamente anomale. Tuttavia la possibile e desiderabile correlazione tra cariotipo e
secrezione resta a oggi irrisolta.

Metabolomica: è definita come lo studio sistematico che l’impronta chimica di uno specifico
processo cellulare lascia. Nel caso specifico dell’applicazione del campo dell’IVF, consta della misura
dell’assorbimento e della produzione di differenti substrati da parte di un embrione evolutivo. Le
ricerche si sono focalizzate su candidati noti, quali piruvato, glucosio o aminoacidi30. I primi studi
riportano una stretta relazione tra il metabolismo, in particolare il turn-over degli amminoacidi, e la
qualità degli embrioni. In particolare, il consumo di glucosio degli embrioni dopo la compattazione
ha una correlazione positiva con la nascita31, mentre il turn-over degli aminoacidi sembra essere
correlato con l’impianto32. Interessante è stata l’identificazione di spettri metabolici differenti in
embrioni invece morfologicamente identici. Coerentemente con i dati ottenuti negli studi di
proteomica si conferma che la morfologia di un embrione non è correlata alla sua fisiologia.
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Le tecniche proposte si sono mostrate promettenti; tuttavia nessuno degli approcci sopra descritti è
sufficientemente affidabile per l’identificazione di anomalie cromosomiche. Inoltre la loro efficienza,
disponibilità e abbordabilità economica devono essere ancora provate prima di un impiego diffuso. In
futuro l’insieme di diverse tecnologie non invasive potrebbe essere impiegato per la valutazione del
potenziale d’impianto di un embrione.
Crioconservazione embrionale
Come per i gameti, per sfruttare appieno i vantaggi delle tecniche di selezione, un efficiente laboratorio
deve disporre anche di un robusto programma di crioconservazione embrionale. Attualmente la
crioconservazione di embrioni trova largo impiego nei trattamenti di IVF: consente di ridurre il numero di
embrioni trasferiti in fresco, è cruciale nei casi di cancellazione del transfer embrionale e permette di
effettuare l’analisi genetica pre-impianto con tempi e modi più consoni per ciascun laboratorio. Diversi
protocolli sono stati sviluppati per embrioni a tutti gli stadi di sviluppo. Storicamente il congelamento lento
è stato scelto come tecnologia per la crioconservazione; a oggi la vitrificazione è la procedura più diffusa ed
efficace33,34. I dati nazionali riportano che nel 2013 in Italia sono stati svolti 6.818 trasferimenti a seguito
dello scongelamento di embrioni. La percentuale di gravidanza calcolata è pari al 25,9%, del tutto
sovrapponibile con quella delle tecniche a fresco, pari al 26,3%. Il successo della crioconservazione
embrionale è indiscutibile, in quanto ha largamente aumentato i benefici clinici e la percentuale di
gravidanza possibile per le coppie a seguito di un singolo ciclo di stimolazione ovarica. Risultati presenti in
letteratura mostrano che donne che hanno trasferito embrioni sia freschi sia congelati ottengono un 8% di
gravidanza in più35. Un efficiente programma di vitrificazione è necessario per raggiungere alti tassi di
successo. Nessun sistema di vitrificazione si è dimostrato superiore agli altri e la scelta sia del dispositivo sia
del protocollo può variare tra i laboratori e dipendere dai tassi di successo individuali raggiunti; tuttavia
l’automatizzazione del sistema potrebbe sicuramente limitare la variabilità36.
Coltura a blastocisti
Il trasferimento in utero degli embrioni per molti anni è stato convenzionalmente praticato al giorno 2-3 di
coltura in vitro, corrispondente a uno stadio evolutivo di 2-8 cellule, in quanto l’utero era considerato
l’ambiente ideale per la sopravvivenza embrionale. Tuttavia lo studio delle differenze tra il concepimento
naturale e le procedure artificiali ha aperto un dibattito sul timing ottimale per il transfer embrionale.
Infatti, nonostante la propensione degli embrioni umani a sopravvivere in utero quando trasferiti
prematuramente, in vivo gli embrioni non raggiungono l’utero prima dello stadio di morula che equivale al
quarto giorno di coltura in vitro. Dunque negli ultimi dieci anni si è pensato di traslare la pratica del transfer
ai giorni 5 o 6, quando gli embrioni sono allo stadio di blastocisti, offrendo così una maggiore sincronia tra
embrione ed endometrio (vedi Figura 4).
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Figura 4 – Percorso di sviluppo di un embrione in vivo
Tuttavia prolungare la coltura embrionale in vitro ha richiesto anni di ricerche sul metabolismo embrionale,
al fine di identificare e ottenere un assetto di laboratorio idoneo. Una scelta accurata di terreno di coltura e
incubatore e uno stringente controllo di qualità sono necessari per consentire la vitalità embrionale in un
sistema di coltura così prolungato. Ciononostante, non tutti gli embrioni sono capaci di svilupparsi fino allo
stadio di blastocisti. A oggi, sulla base di un’ampia casistica, la percentuale di blastulazione varia
ampiamente tra il 28 e il 60% e ha una forte dipendenza dal setting di laboratorio. Prolungare una coltura
embrionale significa dunque offrire un meccanismo di selezione: ridurre il numero di embrioni utilizzabili
aumentando la potenzialità d’impianto.
Considerata l’elevata selettività è stato, infatti, ipotizzato che gli embrioni che raggiungono lo stadio di
blastocisti hanno una capacità d’impianto superiore rispetto agli embrioni allo stadio di clivaggio. L’ipotesi è
stata ampiamente confermata da una recente review Cochrane37: la percentuale di bambini in braccio,
scelta come end-point, si rileva significativamente incrementata nei cicli con transfer a blastocisti rispetto a
quelli con embrioni allo stato di clivaggio (giorno 2-3: 31%; giorno 5-6: 38,8%).
Nonostante gli evidenti benefici, la scelta di protrarre la coltura in vitro per molti resta ancora difficile, in
quanto implica inevitabilmente un aumentato rischio di cancellazione del transfer.
Nei primi studi pubblicati in letteratura, la coltura a blastocisti è stata quindi riservata a pazienti selezionati
con buona prognosi, in particolare con età inferiore ai 37 anni e un numero di embrioni ottenuti al terzo
giorno di coltura maggiore di 7 o un numero di embrioni “top grade” superiore a 5. In tali condizioni, sono
stati riportati tassi di formazione delle blastocisti superiori al 65% e tassi di gravidanza clinica dal 48 al
76%38,39. Sebbene soddisfacenti, tali risultati rimanevano circoscritti a una popolazione ristretta di pazienti a
buona prognosi; è risultato quindi fondamentale definire se si potessero applicare criteri di inclusione meno
selettivi e se tale politica potesse essere impiegata su più larga scala. A tal proposito, uno studio
prospettico osservazionale40 ha dimostrato che l’indicazione a prolungare la crescita a blastocisti sussiste a
prescindere dal numero degli embrioni ottenuti e dalla qualità morfologica degli stessi. Anche in assenza di
embrioni “top grade” nelle prime fasi di sviluppo, il transfer di una singola blastocisti garantisce lo stesso
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tasso di gravidanza clinica di un transfer di due embrioni allo stadio di clivaggio, minimizzando
contestualmente i rischi legati alle gravidanze multiple.
Poiché i parametri morfologici precoci (ottenuti al secondo/terzo giorno di coltura) hanno un valore
predittivo relativo della capacità degli embrioni di raggiungere lo stadio di blastocisti e considerati gli
evidenti benefici clinici, la coltura a blastocisti dovrebbe essere proposta come strategia d’elezione per la
selezione degli embrioni vitali per tutte le pazienti che si sottopongono a un ciclo di PMA. Naturalmente,
in tale contesto un adeguato counseling clinico assume un ruolo di assoluto rilievo: coppie che si
sottopongono alla coltura a blastocisti devono essere adeguatamente informate della probabilità di
cancellazione del transfer.
A oggi, tuttavia l’incapacità della gestione psicologica dei pazienti posti di fronte alla cancellazione di un
transfer embrionale e l’incredulità di molti sulla sicurezza che un embrione al giorno 3 incapace di
svilupparsi a blastocisti in vitro non possa farlo in vivo, ha lasciato aperta la questione sia della tipologia di
pazienti a cui consentire l’accesso a questo programma sia della scelta del giorno.
Sistemi di time-lapse
Come riportato in precedenza, convenzionalmente in un laboratorio di PMA la valutazione morfologica
degli embrioni è praticata mediante l’osservazione al microscopio a distinti time-point. Nonostante l'uso di
criteri standard, tale tipo di selezione è condizionata da un’elevata variabilità intra e inter-osservatore, che
la rende bersaglio di soggettività41.
Negli anni, numerose osservazioni hanno verificato che una larga porzione di embrioni pre-impianto con
uno sviluppo anomalo esibisce alti livelli di frammentazione e asimmetria dei blastomeri e fallisce il timeline normalmente atteso. Tale considerazione ha fornito il razionale per investigare se valutazioni multiple
delle prime fasi di sviluppo potessero migliorare la selezione. Varie combinazioni sia dei giorni in cui gli
embrioni devono essere valutati sia di sistemi per lo scooring sono state investigate, ma a oggi non è stato
raggiunto un consenso. Comune è invece l’idea che una valutazione quotidiana potrebbe avere effetti
avversi per perturbazioni ambientali causate dalla rimozione dall’incubatore. Questo ha portato alla
creazione di sistemi di immagini adatti per uso clinico che consentono un monitoraggio continuo dello
sviluppo embrionale pre-impianto nell’ambiente di un incubatore. Sono nati così i sistemi time-lapse,
tecnologie che offrono l’opportunità di visualizzare in maniera non-invasiva time-point e aspetti della
morfocinetica embrionale, normalmente non identificabili con le osservazioni statiche in un tradizionale
laboratorio.
È quindi iniziata la difficile ricerca di marcatori morfocinetici da utilizzare come strumenti predittivi per
ottenere maggiori informazioni riguardo alle potenzialità di un embrione di raggiungere lo stadio di
blastocisti e di impiantarsi. La maggior parte degli studi esistenti ha focalizzato l’attenzione su specifici
timing di sviluppo, come i tempi di comparsa e scomparsa dei pronuclei (PN), la singamia e i tempi delle
diverse divisioni cellulari (T2-T3-T4-T5), nonché la durata e la sincronia dei cicli cellulari. Nonostante un
numero crescente di studi abbia proposto parametri morfocinetici quali predittori di impianto42-45, a oggi
non sono ancora emersi indicatori chiave, univoci, che possano aumentare il nostro potere predittivo. Una
recente review sistematica46 suggerisce quindi che la tecnologia time-lapse, pur rappresentando un ottimo
e moderno sistema di coltura, deve essere considerato sperimentale per la selezione embrionale.
Diversi studi retrospettivi hanno trovato invece una correlazione tra il tempo dello sviluppo iniziale e la
formazione della blastocisti47,48. L’impiego di un modello predittivo dello sviluppo a blastocisti potrebbe
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dunque assistere il biologo nella scelta di un embrione da trasferire allo stadio di cleavage, limitando i
presunti effetti epigenetici determinati da una coltura prolungata. Tuttavia, poiché nessun modello è stato
provato essere al 100% specifico e sensibile, elevato resta ancora il rischio di scartare embrioni vitali.
Di contro, nonostante sia stata riscontrata l’esistenza di una lieve correlazione tra aspetto morfologico e
assetto cromosomico, la selezione embrionale fondata su valutazioni morfologiche sia statiche sia
dinamiche non può essere impiegata come alternativa allo screening delle aneuploidie49. Di fatto è ben
documentato che la morfologia è lontana dall’essere un buon rappresentante dell’assetto cromosomico:
embrioni con una buona qualità morfologica possono essere aneupolidi e viceversa50,51. Una spiegazione
all’alta incidenza di aneuploidie in embrioni umani che non si arrestano nello sviluppo potrebbe essere che
nei gameti e negli embrioni nelle fasi iniziali di sviluppo i check-point che minimizzano il rischio di errori
cromosomici e/o la rottura del DNA non sono così ben funzionanti come nelle cellule somatiche. Sembra
che i punti restrittivi di controllo del ciclo cellulare siano stabiliti quando l'embrione comincia a
differenziarsi dopo l'impianto.
Dunque, come per molte tecnologie, nonostante l’iniziale eccitazione che ha seguito i primi promettenti
report che legavano i parametri time-lapse alla vitalità embrionale, la possibilità di definire intervalli di
tempo universalmente applicabili per un ottimale sviluppo embrionale rimane in fase esplorativa. Un
crescente numero di studi riporta, infatti, l’esistenza di fattori relativi alle condizioni di coltura, ai pazienti e
ai trattamenti capaci di influenzare il timing dei parametri morfocinetici. I fattori proposti includono
tensione di ossigeno, metodo in inseminazione, terreni di coltura, fumo, età, livelli basali ormonali e tipo di
gonadotropine usate per la stimolazione52-55. I fattori indicati, in sé confondenti, diventano ancora più
importanti se gli intervalli di tempo tra le divisioni cellulari definiti ottimali sono molto ristretti: una piccola
differenza può determinare il varco del limite per la selezione/deselezione dell’embrione. L’assoluta
univocità di applicazione in qualsiasi setting di laboratorio diventa quindi fondamentale in un modello
impiegato per scegliere degli embrioni piuttosto che classificare l'ordine in cui saranno trasferiti.
La gestione della qualità del laboratorio di PMA
Seppure il più significativo impatto sullo sviluppo embrionale origini dalla qualità dei gameti, condizioni
subottimali di coltura embrionale sono largamente responsabili di una scarsa qualità embrionale in vitro.
Condizioni di coltura ottimali non sono in grado di superare i limiti intrinseci imposti dai gameti, ma
assicurano che la competenza di un embrione sia mantenuta dopo le diverse manipolazioni applicate in un
laboratorio di PMA, limitando così lo stress imposto in vitro all’embrione.
Numerose sono le variabili di un sistema di coltura da tenere sotto controllo. Un ruolo di rilievo è
sicuramente svolto dalla scelta del terreno di coltura, la cui composizione è capace di impattare sulla
biochimica dell’embrione e sul pathway metabolico, influenzando la divisione cellulare e la capacità di
sostenere una normale gravidanza, indipendentemente dall’assetto cromosomico embrionale.
In passato numerosi studi hanno esplorato l’impatto sulla qualità embrionale della variazione nella
composizione di un terreno di coltura in termini di substrato energetico, macromolecole e fattori di
crescita. Oggi ci si attende che le innovazioni tecnologiche e i nuovi approcci di valutazione embrionale
(morfocinetica e metabolismo) ci aiutino nel rifinire e migliorare la formulazione dei terreni. Diversi studi
hanno comparato l’efficienza di vari terreni di coltura al fine di determinare la superiorità di uno di questi
per la crescita degli embrioni umani. Sfortunatamente molti studi non impiegano un disegno sperimentale
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adeguato, fallendo nel controllo delle variabili critiche che condizionano la performance di un terreno di
coltura56; trarre una conclusione resta pertanto a oggi difficile.
Inoltre, l’impiego ormai diffuso di terreni prodotti commercialmente, sebbene abbia sicuramente aiutato a
garantire la consistenza tra i laboratori, ha reso ancora più difficile discernere la causa di una eventuale
superiorità, in quanto le compagnie commerciali non pubblicano le concentrazioni dei componenti
presenti.
Al di là del terreno impiegato, anche le caratteristiche dell’incubatore, strumento che crea l’ambiente
idoneo per lo sviluppo embrionale in vitro, possono impattare drammaticamente sull’efficacia di un
trattamento, risultando in outcome significativamente differenti57. Nello specifico, un’analisi accurata
meritano la tensione di ossigeno e la stabilità della temperatura.
I primi incubatori progettati prevedevano una concentrazione di ossigeno pari a quella atmosferica (21%).
Lo studio dell’apparato riproduttivo femminile ha portato alla progettazione di incubatori con una tensione
di ossigeno del 5-6%, pari a quella fisiologica.
I benefici della coltura di embrioni umani a una concentrazione ridotta di ossigeno sono stati ampiamente
riconosciuti; sebbene l’esatto meccanismo resti sconosciuto, cause probabili includono: ridotta produzione
di specie reattive dell’ossigeno e ridotta formazione di VOC (volatile organic compound).
Certo è che l’impiego di un incubatore a bassa tensione di ossigeno in una coltura prolungata fino allo
stadio di blastocisti impatta positivamente e in maniera significativa su impianto, gravidanza e nascita58,59.
La percentuale di bambini in braccio aumenta da un 30% con una concentrazione atmosferica di ossigeno
fino a un 32-43% con una concentrazione fisiologica. In un moderno laboratorio di PMA, il mancato impiego
di incubatori a bassa tensione di ossigeno può dunque essere definito malpractice.
L’importanza di una scelta adeguata sia del terreno di coltura sia dell’incubatore si riflette nella capacità di
un laboratorio di mantenere stabile il pH dei terreni di coltura. Quest’ultimo è determinato principalmente
dalla concentrazione di bicarbonato del terreno e dalla concentrazione di CO2 dell’incubatore. Sebbene
nessun valore di pH ottimale sia stato individuato per la coltura embrionale, dati preliminari suggeriscono
che la variazione di pH può influenzare lo sviluppo dell'embrione umano60. Pertanto, uno stretto controllo è
prudente come parte di un programma di controllo di qualità rigoroso.
Un’altra variabile di rilievo, caratteristica non solo del sistema di coltura ma anche di tutte le
strumentazioni di lavoro di un laboratorio di PMA, è la temperatura. La sua variabilità ha un impatto
importante su vari aspetti della funzione di gameti e embrioni, in particolar modo sulla stabilità del fuso
meiotico62 e sul metabolismo embrionale.
Ad esempio, una temperatura di microiniezione ovocitaria inferiore ai 37 °C aumenta la percentuale di
fecondazioni anomale. Allo stesso modo, l’incapacità del mantenimento di una temperatura stabile di 37 °C
in un incubatore può influire negativamente sullo sviluppo embrionale provocandone un ritardo. Di
conseguenza, la progettazione e la gestione di un incubatore diventano di primaria importanza.
Usare un incubatore con un controllo e un recupero della temperatura stringenti è importante. A tal fine
incubatori piccoli con camere singole (bencth-top) che consentono di assegnare un paziente a un
compartimento individuale, sono diventati gli incubatori di elezione in molti laboratori. Un approccio
ancora più interessante è rappresentato dalla tecnologia time-lapse, la quale tende ad annullare le
perturbazioni esterne a una coltura.
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In ogni caso, indipendentemente dal tipo incubatore impiegato, è fondamentale in un efficiente laboratorio
di PMA disporre di un numero di incubatori sufficiente in relazione al volume di lavoro, al fine di evitare
ripetute aperture/ chiusure responsabili delle variazioni di temperatura.
Conclusioni
L’impatto biologico dei terreni di coltura e dei parametri di incubazione sullo sviluppo embrionale è ormai
una certezza. L’influenza degli stress chimico e fisico sembra essere inversamente proporzionale allo stadio
di sviluppo; di fatto, lo stress indotto negli stadi iniziali ha un impatto conclamato sullo sviluppo
preimpianto e potrebbe avere conseguenze a lungo termine. Per tale motivo la progettazione di nuove
tecnologie atte a minimizzare lo stress in vitro è una sfida continua. Così come l’applicazione di protocolli
avanzati, l’attività di ricerca e la formazione degli embriologi rappresentano prerequisiti fondamentali di un
efficiente laboratorio di PMA.
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Questionario ECM
1. Qual è la percentuale stimata di ovociti recuperati in un trattamento di IVF capace di esitare in una
gravidanza a termine?
a.
b.
c.
d.
2%
7%
20%
45%
2. Quali tra i parametri della morfologia di un ovocita indicati sono predittori della sua competenza:
a.
b.
c.
d.
globulo polare frammentato e presenza di vacuoli
granulazioni citoplasmatiche e spazio perivitellino aumentato
zona pellucida ispessita e presenza di vacuoli
nessuna delle risposte indicate
3. La concentrazione, la motilità e la morfologia di un campione seminale sono buoni marker di predizione
di una gravidanza in:
a.
b.
c.
d.
concepimenti naturali
inseminazioni intrauterine, FIVET e ICSI
FIVET e ICSI
concepimenti naturali, inseminazioni intrauterine, FIVET
4. Qual è la percentuale di embrioni aneuploidi in donne con età compresa tra 30 e 35 anni?
a.
b.
c.
d.
10%
20%
30%
40%
5. Le attuali indicazioni a un trattamento di fecondazione in vitro con PGS sono:
a.
b.
c.
d.
AMA (advanced maternal age)
polabortività
RIF (reteated implantation failure)
tutte le risposte indicate
6. La concentrazioni di lipocalina-1 nel secretoma di un embrione ha una correlazione con?
a.
b.
c.
d.
sviluppo a blastocisti
aneuploidia
impianto
tutte le risposte indicate
7. L’analisi morfocinetica di un embrione è un buon predittore di?
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a.
b.
c.
d.
sviluppo a blastocisti
aneuploidia
aborto
nessuna delle risposte indicate
8. Quali fattori possono influenzare il timing di sviluppo di un embrione in vitro?
a.
b.
c.
d.
tensione di ossigeno e terreno di coltura
età e livelli ormonali basali
gonadotropine impiegate nella stimolazione
tutte le risposte indicate
9. Quali variabili proprie di un sistema di coltura assicurano il mantenimento della competenza di un
embrione:
a.
b.
c.
d.
terreno di coltura e tensione di ossigeno
pH e temperatura
tensione di ossigeno, pH, temperatura
terreno di coltura, tensione di ossigeno, pH, temperatura
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