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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI PADOVA
FACOLTÁ DI INGEGNERIA
CORSO DI LAUREA IN INGEGNERIA MECCANICA
TESI DI LAUREA TRIENNALE
UTILIZZO DELL’IDROGENO PER TRAZIONE VEICOLARE
RELATORI: CH.MO PROF. MIRTO MOZZON
LAUREANDO: CARLOS VALDERRAMA VASQUEZ
ANNO ACCADEMICO 2013-2014
INDICE
Capitolo 1.Produzione dell’idrogeno
1.1.Produzione da fonti primarie
1.1.1.Steam reforming
1.1.2.Gassificazione del carbone
1.1.3.Ossidazione parziale idrocarburi (POX)
1.1.4.Processo Kværner
1.2.Produzione da composti chimici intermedi
1.2.1.Steam reforming da metanolo
1.3.Produzione da biomasse
1.3.1.1.Termovalorizzatori
1.3.1.2.Gassificazione
1.3.1.3.Pirolisi
1.4.Fotoproduzione
1.4.1.Processo di fotoproduzione
1.4.2.Processi fotoelettrochimici
1.4.3.Sistema avanzato membrana ceramica
1.5.Produzione per elettrolisi
1.5.1.Elettrolisi
1.5.2.Elettrolisi ad alta temperatura
1.6.Altri tipi di produzione
1.6.1.Produzione da ruggine
Capitolo 2.Stoccaggio e trasporto dell’idrogeno
2.1.stoccaggio dell’idrogeno
2.1.1.idrogeno allo stato gassoso compresso
2.1.2.idrogeno allo stato liquido
2.1.3. serbatoi a idruri metallici
2.1.4.serbatoi a idruri chimici
2.1.5.sfere a reazione chimica
2.1.6.microsfere di cristallo
2.1.7.nanostrutture in carbonio
2.1.8.La scelta del sistema di stoccaggio
2.2.trasporto dell’idrogeno
2.2.1.trasporto su strada
2.2.2.gasdotti
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Capitolo 3.Fuel cells
3.1.componenti e principio di funzionamento
3.2.tipologie di fuel cells
3.2.1.Alkaline fuel cells
3.2.2.Proton exchange fuel cells
3.2.3.Direct methanol fuel cells
3.2.4.phosphoric acid fuel cells
3.2.5.Molten carbonate fuel cells
3.2.6.Solid oxide fuel cells
3.3.consideraizioni generali
Capitolo 4.Fuel cells PEM
4.1.La membrana polimerica
4.2.Il catalizzatore
4.3.Costruzione della cella
4.3.1.Metodo ad elettrodi separati
4.3.2.Metodo ad applicazione diretta
4.3.3.Metodo MEGA
4.4.piani di supporto
4.5.Piastre collettrici
4.6.Stack di celle
4.7.piatti bipolari
4.8.utilizzo delle fuel cells per applicazioni veicolari
4.8.1.vantaggi e svantaggi
4.8.2.Energia di una fuel cell
4.8.3.perdite nelle fuel cells
4.8.4.rendimento di uno stack di fuel cells
4.8.5.sistemi ausiliari
Capitolo 5.i veicoli a fuel cells
5.1.confronto tra fuel cells e motori a combustione
5.2.dalle fuel cells alle ruote
5.2.1.configurazione load leveller
5.2.2.configurazione range extender
5.2.3.configurazione full power
3
5.2.4.veicoli commerciali e bus
5.3.sistemi di bordo
5.3.1.motori elettrici
5.3.2.motori elettrici “in wheel”
5.3.3.controllo dei motori elettrici
5.3.4.motori a corrente continua con eccitazione in parallelo
5.3.5.motori a corrente continua con eccitazione in serie
5.3.6.sistemi di controllo per motori elettrici in corrente continua
5.3.7.sistemi di controllo per motori elettrici in corrente alternata
5.4.le batterie
5.5.confronto tra veicoli tradizionali e veicoli a fuel cells
5.5.1.analisi upstream
5.5.2.analisi vehicle
5.5.3.confronto finale (well-to-wheels)
5.6.rifornimento
5.7.on-board reformer
5.8.Recupero dell’energia
Capitolo 6.Prototipi a idrogeno
6.1.BMW
6.2.Mazda
6.3.Honda
6.4.Ford
6.5.Mercedes
6.6.General Motors
6.7.Toyota
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INTRODUZIONE
La società moderna nella quale viviamo si basa sull’energia, essa si presenta in varie forme
manifestandosi in modi diversi, dal motore della propria auto fino all’elettrodomestico di casa;
è ovvio quindi che le metodologie con cui è prodotta, il suo impiego e la sua disponibilità
debbano essere temi di grande importanza.
Il petrolio è una fonte non rinnovabile, le previsioni di esaurimento tengono conto sia dei
possibili sviluppi riguardo all’efficienza (affinamento delle tecniche e dell’ingegneria che
porteranno a una diminuzione dei consumi) sia di un possibile aumento della richiesta (paesi
in via di sviluppo con consumi in continua crescita). Nel 1956 Hubbert stimò che il picco della
produzione petrolifera degli Stati Uniti sarebbe avvenuto negli anni ’70, superati i primi
scetticismi, la previsione si rivelò corretta e la curva di Hubbert (un diagramma a campana)
fu quindi applicata in scala mondiale prevedendo il picco verso il 2020 seguita da una rapida
contrazione della produzione fino al termine della produzione dopo un periodo di cento anni.
A questo si deve aggiungere il tema ambientale, l'inquinamento di aria, acqua e terra
provoca l'alterazione dell'equilibrio degli ecosistemi. Soffermandoci più in particolare sul
petrolio, tra gli utilizzatori principali vi è il settore del trasporto, circa il 49% di tutto il petrolio
estratto è usato nel campo dei trasporti, sia pubblici sia privati; questo è forse il campo più
critico, almeno dal punto di vista delle nostre abitudini, l'energia elettrica, che sia prodotto
utilizzando fonti rinnovabili e non inquinanti o che sia prodotta usando petrolio non genera
differenze ad un utilizzatore medio nelle abitudini quotidiane, nel settore dei trasporti invece
è diverso, in questo campo il peso, gli ingombri, la potenza specifica, l'autonomia e altri
aspetti cominciano ad essere rilevanti. Allo stato attuale della tecnologia l'elettrico presenta
una scarsa autonomia, unito al problema del tempo di ricarica che può raggiungere per
alcuni modelli più di 6 ore, rende l'utilizzo limitato a poche tipologie di mezzi. I problemi sono
mitigati per un veicolo da spostamento urbano di piccole dimensioni come una city car,
diventano scoglio insormontabile in tutte le applicazioni e in tutti i veicoli che richiedono molta
autonomia, come ad esempio i mezzi commerciali e i camion. Tralascio dal confronto
volutamente la propulsione ibrida (motori benzina o diesel accoppiati a motori elettrici)
poiché essa è un buon compromesso, ma è dipendente dai combustibili fossili.
In questo scenario l'idrogeno potrebbe quindi essere una possibilità.
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SOMMARIO
La tesi tratta vari temi dell’idrogeno, parte dalla produzione, passa attraverso lo stoccaggio e
la distribuzione per poi soffermarsi sulle fuel cells (in particolare sulla tecnologia PEM),
prosegue poi alla descrizione di un generico veicolo a idrogeno e finisce con una descrizione
dei prototipi prodotti dalle maggiori case automobilistiche. La tesi accenna sporadicamente ai
costi e al tema ambientale, il primo perché i sistemi descritti sono ancora in sviluppo e i costi
delle tecnologie non perfettamente mature è sempre alto (senza contare gli effetti di una
economia di scala che generalmente ridimensiona i prezzi), il secondo perché è un tema con
un’alta componente di moralità il cui tema non si dovrebbe limitare ad una sola trattazione
scientifica.
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CAPITOLO 1
Produzione dell’idrogeno
L’idrogeno è l’elemento più diffuso del pianeta ma data la sua alta instabilità è raro che si
presenti in forma isolata, per questo motivo non è da considerarsi fonte energetica.
Paragonato agli altri elementi possiede il più alto contenuto energetico per unità di massa,
ma il più basso riferito alla sua densità, è la molecola più piccola presente in natura e ha un
peso 14 volte inferiore al peso dell’aria. L’idrogeno si considera “vettore energetico” e può
essere prodotto ovunque, non sono necessari particolari accorgimenti e avviene tramite vari
metodi e varie fonti.
gas naturale (48%) petrolio (30%) carbone (18%) elettrolisi (4%) fig. 1: Quota d’impiego delle fonti primarie nella produzione d’idrogeno
Dal grafico si nota che al momento la maggior parte della produzione è derivata dal gas
naturale, generalmente tramite il metodo dello steam reforming.
1.1.Produzione da fonti primarie
1.1.1.Steam reforming
Si basa sulla reazione chimica tra vapore acqueo e metano. Si possono utilizzare anche
idrocarburi provenienti dal cracking, ma il prezzo del prodotto risulta superiore rispetto
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all’utilizzo del metano. Lo steam reforming è un processo che avviene tra gli 800°C e I
1100°C e si divide in fasi:
•
Desolforazione: il metano passa attraverso un desolforatore che ha il compito di
eliminare lo zolfo e i suoi composti che possono generare acidi corrosivi.
•
Reforming: in entrata si ha quindi metano purificato al quale si aggiunge vapore
acqueo. Il reformer è composto da tubi in acciaio contenenti nickel (con funzione di
catalizzatore). Il vapore è immesso a 850°C con una miscela che varia da 3 a 5,
riscaldato tramite la combustione di una parte del metano. La prima reazione divide il
metano (𝐢𝐻! ) in idrogeno e ossido di carbonio (𝐢𝑂).
𝐢𝐻! + 𝐻! 𝑂 → 3𝐻! + 𝐢𝑂
Il prodotto in uscita è chiamato syngas.
•
Shift: La seconda reazione chimica avviene in due fasi, la prima a 500°C e la
seconda a 200°C. Ha come soggetto principale l’ossido di carbonio presente nel
syngas e ha l’effetto sia di diminuirne la percentuale fino a valori compresi tra 0,2 e
0,4% del volume iniziale che di aumentare la quantità di idrogeno prodotta. La sua
reazione è:
𝐢𝑂 + 𝐻! 𝑂 → 𝐢𝑂! + 𝐻!
•
Sequestro dell’anidride carbonica: con varie metodologie si catturata la 𝐢𝑂! e si
confina
all’interno di vecchi giacimenti petroliferi in disuso, evitando quindi la
dispersione in aria.
Il rendimento di questi impianti varia dal 65% all’85%, il vapore in uscita è utilizzabile per
produrre corrente attraverso cicli combinati, mentre il metano restante che sfugge alla
reazione è utilizzato per alimentare i bruciatori.
1.1.2.Gassificazione del carbone
Consiste in un’ossidazione parziale del carbone. Il primo step prevede la polverizzazione del
carbone, dopo di che si immette la polvere in un gassificatore con vapore acqueo
provocando la reazione:
8
𝐢 + 𝐻! 𝑂 → 𝐢𝑂 + 𝐻!
Per fornire il calore richiesto dalla reazione si miscela assieme al vapore in entrata
dell’ossigeno. La reazione che si genera tra il carbonio e l’ossigeno, essendo esotermica,
produce il calore necessario all’innesco della reazione principale.
𝐢 + 𝑂! → 𝐢𝑂!
Si procede con un’ulteriore reazione tra la 𝐢𝑂 in uscita dal gassificatore e da altro vapore a
temperature tra i 400°C e i 500°C attraverso catalizzatori a base di ossidi di cromo e di ferro:
𝐢𝑂 + 𝐻! 𝑂 → 𝐢𝑂! + 𝐻!
L’idrogeno non è ancora in forma pura, per dividere i due elementi si procede ad una
distillazione frazionata.
Esistono diversi tipi di reattore che in base alla tecnologia operano a temperature diverse:
•
reattori a letto fisso (tra 450°C e 700°C)
•
reattori a letto fluido (tra 950°C e 1050°C)
•
reattori a letto trascinato (oltre i 1250°C)
La gassificazione del carbone è usata solo nei paesi dove il costo della materia prima è
sufficientemente basso. Nei paesi sprovvisti di giacimenti minerari di grosse dimensioni è
preferito lo steam reforming del metano per una questione di costi.
1.1.3.Ossidazione parziale idrocarburi (POX)
Partendo da idrocarburi, quali benzine, metano e nafta, con l’aggiunta di ossigeno o aria si
arriva alla reazione:
𝐢! 𝐻!" + 8𝐻! 𝑂 + 4𝑂! → 8𝐢𝑂! + 17𝐻!
(riportato solo il caso della benzina)
La temperatura di ossidazione è molto alta (tra I 1300°C e I 1500°C), ed è fornita
direttamente dalla combustione parziale del combustibile, controllata attraverso il dosaggio
d’aria. È un processo la cui efficiente varia tra il 35% e il 50% in base al combustibile, dato
l’alto costo, l’ossidazione parziale è utilizzata generalmente dalle grosse compagnie
9
petrolifere, gli sforzi di queste si orientano verso una riduzione della taglia e un aumento
dell’efficienza degli impianti.
1.1.4.Processo Kværner
È un metodo sviluppato dall’azienda Kværner Engineering S.A., e consente di produrre
idrogeno partendo da metano, gas naturale e biogas.
Consiste nella separazione degli elementi attraverso l’apporto di energia: tramite una torcia
al plasma si porta la temperatura del gas fino a 1600°C, gli idrocarburi così trattati si dividono
negli elementi puri (carbonio e idrogeno).
𝐢! 𝐻! + π‘’π‘›π‘’π‘Ÿπ‘”π‘–π‘Ž → 𝑛𝐢 +
π‘š
𝐻
2 !
La semplicità della reazione e degli elementi in uscita è anche un punto di forza poiché non
produce anidride carbonica, ma carbonio puro che può essere riutilizzato.
1.2.Produzione da composti chimici intermedi
1.2.1.Steam reforming del metanolo
Permette di ricavare l’idrogeno partendo da acqua e metanolo (CH3OH).
Questo metodo è basato sulla riformazione del vapore acqueo. I due elementi sono miscelati
con un opportuno rapporto, compressi fino a 20 bar, portati a evaporazione e surriscaldati a
temperature tra i 250°C e i 280°C.
La reazione avviene grazie ad un catalizzatore ed è:
𝐢𝐻! 𝑂𝐻 + 𝐻! 𝑂 → 𝐢𝑂! + 3𝐻!
L’idrogeno è separato tramite una membrana permeabile all’idrogeno a base di palladio e
argento e stipato nei contenitori. Una parte dell’idrogeno invece sfugge alla cattura; il
composto solido di scarto in uscita (chiamato retentato) contiene quindi una piccola
percentuale di combustibile, ed è bruciato in un bruciatore catalitico con la possibilità di
recuperarne il calore. Confrontato con lo steam reforming del metano, questo processo
presenta alcuni punti a favore, uno tra tutti è il metanolo stesso. Esso si presenta in forma
liquida, non necessita quindi di serbatoi di gas in pressione. Punto debole del sistema è
invece la membrana, che essendo composta da metalli preziosi è molto costosa e può
arrivare a rottura con i soli sbalzi termici.
10
1.3.Produzione da biomasse
Le biomasse sono originate dai rifiuti urbani, industriali e dagli scarti del settore primario.
Sono materiali di derivazione organica i quali non hanno subito processi di fossilizzazione.
Le centrali a biomassa sono generalmente una taglia più piccole rispetto ad una centrale a
gas ed utilizzano metodi diversi:
1.3.1.Termovalorizzatori
Nei termovalorizzatori la biomassa si usa come combustibile per alimentare il ciclo di una
turbina a vapore. Il sistema non produce direttamente idrogeno ma energia elettrica che può
essere utilizzata attraverso il processo di elettrolisi per produrre idrogeno. La combustione
delle biomasse genera 𝐢𝑂! , ma la corrente prodotta dai termovalorizzatori è considerata
ecologica contando sul bilancio tra 𝐢𝑂! assorbita durante il ciclo vita delle piante e 𝐢𝑂!
prodotta alla combustione. L’accoppiamento al sistema di elettrolisi è quindi trattato come
sistema non inquinante per la produzione di idrogeno. Questo beneficio svanisce quando le
biomasse sono composte da rifiuti urbani non vegetali.
1.3.2.Gassificazione
Tramite una reazione parziale tra biomasse e ossigeno ad alte temperature (700/800°C) si
ha produzione di syngas. Si procede quindi al raffreddamento e alla purificazione. Il syngas
così prodotto può quindi essere trattato con i metodi in precedenza descritti (Shift) per
produrre idrogeno.
1.3.3.Pirolisi
Portata la biomassa a 900°C, le molecole organiche si spezzano negli elementi semplici di
costituzione. Si ottiene una parte gassosa formata da 𝐢𝑂, 𝐢𝑂! , 𝐻! e vapore acqueo. Data la
grande quantità di scarti è necessario purificare il gas per isolare l’idrogeno.
1.4.Fotoproduzione
1.4.1.Processo di Fotoproduzione
Alcuni enzimi sono in grado di scindere l’acqua nei due elementi costituenti, gli enzimi
(prodotti da alcuni tipi di alghe e di batteri) si attivano con l’apporto di luce solare. Studi e
sviluppi sono ancora in atto per risolvere le problematiche del metodo, la principale è che
l’ossigeno distrugge gli enzimi che catalizzano la reazione. Le ricerche si stanno orientando
su sistemi “Whole-free” che utilizzano batteri (con efficienza stimata attorno al 10%) e sistemi
“cell-free” che impiegano i soli enzimi (con efficienza stimata attorno al 30%). Tra i 400
batteri ed enzimi individuati, alcuni di essi sono in grado di far avvenire la reazione anche in
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assenza di luce partendo da acqua e 𝐢𝑂, avendo però come scarto 𝐢𝑂! . La ricerca prosegue
quindi su più fronti, sia nel tentativo di eliminare la 𝐢𝑂! dal caso appena descritto che nel
tentativo di rendere gli enzimi resistenti all’ossigeno nel caso descritto in precedenza.
1.4.2.Processi fotoelettrochimici
Questo sistema permette di trasformare in modo diretto l’acqua in idrogeno tramite grazie
all’energia solare. Una cella continene gli elettrodi semiconduttori che, illuminati con i raggi
solari, generano elettricità scindendo le molecole di acqua. I primi prototipi portarono ad un
rendimento del 9%, gli ultimi (risalenti al 2000) arrivano al 12%.
1.4.3.Sistema avanzato membrana ceramica
È un processo che permette tramite membrane di generare una miscela gassosa di idrogeno
e CO partendo dal gas naturale. L’aria a 600°C attraversa una membrana ceramica speciale
che separa l’ossigeno. L’ossigeno è poi inviato ad un reticolo cristallino contenente dei
catalizzatori che favoriscono la reazione con il gas naturale, creando il prodotto finale. Si
procede poi con una purificazione per separare la 𝐢𝑂 dall’idrogeno.
1.5.Produzione per elettrolisi
1.5.1.Elettrolisi
L’elettrolisi è un metodo completamente pulito per produrre l’idrogeno che si basa sulla
divisione della molecola dell’acqua tramite una cella elettrolitica.
In una massa d’acqua si immergono due elettrodi, uno a carica negativa ed uno a carica
positiva. Grazie alla corrente elettrica che fluisce tra gli elettrodi, avviene la ionizzazione. Si
ha così la scissione in due direzioni diverse degli elementi che costituiscono l’acqua. Una
membrana permeabile ai soli ioni divide anodo e catodo, l’ossigeno quindi si accumulerà
vicino l’anodo, mentre l’idrogeno vicino al catodo. L’acqua ha bisogno di continua
reintegrazione. Ha il vantaggio di essere miniaturizzabile, è quindi possibile distribuire in vari
punti la produzione gestiti da privati con costi d’impianto accessibili. Altro fattore a favore è
che l’idrogeno così prodotto non richiede purificazione, eliminando quindi la parte di impianto
relativa ad essa e i costi di questa pratica. La problematica riguarda l’apporto di corrente
elettrica, essa incide molto sul costo finale ed elimina i benefici ambientali se non prodotta
tramite fonti rinnovabili. Sarà vantaggiosa quando le centrali elettriche rinnovabili (anche di
piccola taglia) saranno più diffuse.
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1.5.2.Elettrolisi ad alta temperatura
È un metodo ancora in fase di studio che si propone di aumentare l’efficienza dell’elettrolisi.
La scissione dell’acqua richiede energia, se una parte di essa è fornita sotto forma di calore
l’energia elettrica richiesta per sostenere la reazione è inferiore. Poiché l’energia termica è
meno costosa dell’elettrica il prezzo finale dell’idrogeno ricavato tramite l’elettrolisi ad alta
temperatura è inferiore al prezzo dell’idrogeno derivato dall’elettrolisi semplice. Il processo si
svolge esattamente come l’elettrolisi, ma il processo avviene a temperature che variano tra
100°C e 850°C.
1.6.Altri tipi di produzione
1.6.1.Produzione da ruggine
La produzione da ruggine sfrutta l’ossidazione del ferro. Si incanala attraverso del ferro
poroso il vapore acqueo, l’ossigeno contenuto nell’acqua si lega con il ferro liberando
l’idrogeno, producendo ossido di ferro e idrogeno. Per riconvertire la ruggine in ferro è
necessario portare il materiale a 800°C attraverso un reattore in un ambiente saturo di
syngas o gas naturale. Può essere usata anche la biomassa come vettore energetico.
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CAPITOLO 2
Stoccaggio e trasporto dell’idrogeno
Per ipotizzare l’esistenza di un “sistema idrogeno” bisogna obbligatoriamente trattare il tema
del trasporto, dello stoccaggio e della distribuzione ad ogni suo livello. Dal produttore, al
distributore fino al serbatoio di un generico veicolo.
Ad oggi esistono già stazioni di rifornimento di idrogeno, il loro numero è basso data la
scarsa diffusione di questi mezzi. Una rete di distribuzione di idrogeno è già esistente,
l’idrogeno è un gas utilizzato in vari campi industriali e civili. Lo stoccaggio dell’energia è da
sempre un tema di forte interesse, essendo difficile accumulare energia elettrica si può
ipotizzare uno stoccaggio di idrogeno. Una centrale elettrica non lavora a pieno regime in
ogni momento della giornata, le centrali idroelettriche nelle ore notturne cessano la
produzione di energia elettrica e attivano pompe idrauliche che riportano l’acqua a monte.
Con questo metodo si potrebbe convertire tramite elettrolisi l’energia elettrica in idrogeno,
che una volta accumulato può essere riutilizzato in altri momenti per produrre energia. In
tutta il mondo stanno nascendo vicino agli impianti di produzione di idrogeno o di corrente
elettrica progetti di “autostrade ad idrogeno”, sono tratti o arterie principali di autostrade nelle
quali la presenza sufficientemente ravvicinata di distributori di idrogeno permette alle auto
alimentate con questo carburante di compiere il tragitto. Come la Oslo-Stavanger in Norvegia
(580km con 12 stazioni di rifornimento), anche in Italia si vuole realizzare sulla A22 una rete
similare. In America la prima stazione a idrogeno è stata aperta nel 1999 e in California vi è
un programma per costruire una rete di distributori ad idrogeno.
2.1.Stoccaggio dell’idrogeno
Lo stoccaggio dell’idrogeno avviene in modi diversi a seconda della distanza che deve
compiere durante il trasporto e di quanto tempo necessita di rimanere stoccato. A oggi i
metodi per lo stoccaggio sono:
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•
Bombole a idrogeno allo stato gassoso compresso
•
Serbatoi contenente idrogeno allo stato liquido
•
Idruri metallici
•
Idruri chimici
•
Nanostrutture di carbonio
•
Microsfere di cristallo
I primi 3 metodi sono compatibili sia per la trazione che per lo stoccaggio breve; gli idruri
chimici e le microsfere di cristallo sono preferibili per stoccaggi a più lungo termine, le
nanostrutture di carbonio sono ancora in fase di studio.
2.1.1.Idrogeno allo stato gassoso compresso
Utilizza delle bombole nelle quali l’idrogeno è immagazzinato a pressione che variano tra
250 e 700 bar. La compressione è la fase più dispendiosa del processo, essa può essere
ridotta tramite l’utilizzo di compressione radiali a più stadi. Uno dei problemi del gas
compresso è la densità di energia. Un litro di idrogeno a 200 bar fornisce una energia
potenziale fino a 15 volte più bassa di un litro di benzina. Ciò significa che per avere la
stessa percorrenza, un serbatoio a idrogeno deve essere molto più grande.
Aumentando la pressione del gas si potrebbe risolvere questo problema, ma i costi di
compressione aumentano sensibilmente.
Per ridurre il peso dei serbatoi si stanno diffondendo contenitori in alluminio con rinforzo in
fibra di carbonio o fibra di kevlar. Questi arrivano a 700 bar di pressione, a confronto di un
serbatoio in acciaio da 200 bar di pari energia risultano 4 volte più leggeri e dimezzano
l’ingombro geometrico. Per alimentare un veicolo a idrogeno mantenendo l’autonomia simile
all’autonomia a cui siamo abituati servono dai 2 kg ai 4kg di gas. Quattro chilogrammi di
idrogeno occupano (a 700 bar) un volume di 100 litri. Un’auto del segmento C ha un
serbatoio che varia da 50/55 litri, una berlina segmento D ha un serbatoio che contiene
mediamente 60 litri. Il volume di un serbatoio a idrogeno è quindi più alto, ma si può ritenere
accettabile.
Questi serbatoi si classificano come “tipo 1” se sono completamente metallici (senza nessun
tipo di rinforzo), “tipo 2” se composti da una parte in metallo (quasi uguale al serbatoio di tipo
1) rinforzati solo in senso circonferenziale (sola parte cilindrica), “tipo 3” se anche le ogive
sono rinforzate e per finire il “tipo 4”, costruito completamente in composito. Ci si sta
orientando verso il tipo 3 con parete metallica sottile, il tipo 4 è più leggero, ma la parete di
metallo permette di avere uno strato impermeabile ai gas (evitando la dispersione), lasciando
alla fibra il compito di resistere alla pressione.
2.1.2.Idrogeno allo stato liquido
L’idrogeno può essere raffreddato (con conseguente diminuzione di volume) fino alla
liquefazione. La temperatura in cui l’idrogeno liquido è stabile è -253°C, essendo molto
bassa questo tipo di serbatoi richiede tecniche di costruzioni particolari rivolte all’isolamento
termico e prevenendo la rottura fragile dei materiali. Essi presentano quindi una doppia
parete tra le quali si fa il vuoto. La quantità di idrogeno stipabile in questo tipo di serbatoi è
molto superiore rispetto al serbatoio del tipo gassoso. Di contro vi è il prezzo, la spesa per la
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compressione e la liquefazione dell’idrogeno è molto alta. Punto critico di questa tecnologia è
la stabilizzazione della temperatura: -253°C è l’esatta temperatura di liquefazione, un
innalzamento della temperatura anche minimo provoca una parziale evaporazione che
aumenta la pressione interna. Per prevenire il cedimento si procede con lo sfogare una parte
del gas, perdendo parte del combustibile. Un ulteriore problema dell’idrogeno liquido
riguarda la transizione da para-𝐻! a orto-𝐻! , l’orientazione degli spin nucleici passano da
paralleli a antiparalleli in modo esotermico innalzando la temperatura del serbatoio.
2.1.3.Serbatoi a idruri metallici
L’idrogeno è in grado di legarsi facilmente con i metalli formando idruri metallici, utilizzando
questa capacità si può creare un serbatoio metallico. Applicando pressione l’idrogeno si
diffonde negli spazi interatomici, la pressione di idrogenazione è fra 25 e 100 bar, costante
fino al 90% della capacità del serbatoio, oltre questa soglia bisogna aumentare la pressione.
Dovendo comprimere il gas sorge spontaneo il paragone con i sistemi di bombole in
pressione, la pressione di idrogenazione è molto inferiore alla pressione richiesta in un
serbatoio in pressione, il che rende questa tecnologia interessante dal punto di vista
economico. La fase di idrogenazione genera calore che deve essere regolarmente asportato
per evitare la combustione, il rifornimento dura qualche minuto. La fase di deidrogenazione si
innesca fornendo calore in modo controllato, esso può essere recuperato senza dispendio
energetico dal raffreddamento di altri organi come Fuel cells o motori. Vi è poi una frazione di
gas (il 10%) che generalmente non si riesce ad estrarre. Il principale accorgimento
costruttivo è adottare superficie di grandi dimensioni per favorire gli scambi termici, questo
porta ad un processo di rifornimento più veloce. La densità energetica dei serbatoi con
questa tecnologia è superiore ai serbatoi a idrogeno gassoso compresso, paragonabile a
serbatoi a idrogeno liquido e con ingombri nettamente inferiori rispetto all’idrogeno
compresso. Il peso di questi serbatoi dipende dal metallo usato, il miglior compromesso tra
peso e capacità è dato dalle leghe di magnesio, sono in grado di trattenere idrogeno fino al
6% del loro peso, il che vuol dire che per contenere 4kg di gas si ha bisogno di 70kg di
magnesio. Le leghe di magnesio però richiedono di essere portate fino a 300°C per avviare il
rilascio del combustibile, questa problematica si può superare tramite l’utilizzo del lantanio. Il
lantanio è in grado di rilasciare l’idrogeno anche a temperatura ambiente, risulterebbe però
troppo pesante un serbatoio completamente in questa lega. Si può però usare un piccolo
serbatoio di lantanio per avviare il riscaldamento del serbatoio principale tramite un
minibruciatore catalitico. Si prevede che la quantità di idrogeno raggiunga il 9% nei prossimi
anni attraverso sviluppi. Essa è comunque una tra le tecnologie più interessanti data
l’economicità, i ridotti ingombri e le basse pressioni
16
2.1.4.Serbatoi a Idruri chimici
Il principio si basa sulla reazione che avviene tra idrogeno e toluene. È una reazione
reversibile, l’idrogenazione del toluene forma il metilcicloesano. L’idrogeno rimane quindi
all’interno del metilcicloesano durante lo stoccaggio e il trasporto. La deidrogenazione
avviene a 500°C e consuma il 18% dell’energia stoccata, il vantaggio sta nell’utilizzo del
toluene e metilcicloesano, essi sono facilmente trasportabili, stoccati e sicuri. La facilità di
trasporto permette di stringere accordi tra nazioni sugli approvvigionamenti, come tra
Canada e Giappone. Il Canada sfrutta ampiamente l’idroelettrico, e durante il calo di richiesta
estivo utilizzano gli impianti idroelettrici per generare tramite elettrolisi l’idrogeno, stoccato
con questo metodo è poi spedito in Giappone dove alimenta delle celle a combustibile per
produrre corrente. È un metodo sicuro, ma purtroppo non si riesce ad implementare in un
veicolo, la deidrogenazione richiede un impianto che per quanto piccolo non è
sufficientemente miniaturizzabile per essere ospitato all’interno di un veicolo.
2.1.5.Sfere a reazione chimica
È un metodo innovativo che prevede l’utilizzo di sfere di plastica contenenti idruro di sodio
(NaH). Una volte rotte nell’acqua, l’idruro reagisce e rilasciano idrogeno e ’idrossido di sodio
che può essere recuperato assieme alle sfere. Per 1kg di idrogeno si necessita di 12 kg di
sodio, per quanto possa sembrare complicato questo metodo non è da sottovalutare, il
rapporto tra idrogeno prodotto e volume occupato paragonabile ai serbatoi a idruri metallici.
2.1.6.Microsfere di cristallo
Questo metodo prevede l’uso di sfere di cristallo con diametri nell’ordine di 30-500 micron.
Hanno la consistenza della polvere, possono quindi essere agilmente trasportate. La fase di
idrogenazione avviene sottoponendo le sfere vuote a temperatura variabile da 200°C a
400°C (temperatura in cui il vetro diventa permeabile), applicando una pressione all’idrogeno
le molecole cominciano a permeare all’interno delle sfere, quando la pressione interna alle
sfere e quella esterna coincidono si conclude il processo di idrogenazione. Raffreddando le
sfere fino a temperatura ambiente ritornano alle originarie caratteristiche di impermeabilità,
diventando semplici da trasportare in quanto non disperdono idrogeno in aria. La fase di
rilascio dell’idrogeno avviene applicando calore, è una tecnologia ancora in fase di sviluppo
ma molto sicura.
2.1.7.Nanostrutture di carbonio
Le nanostrutture nonostante siano agli albori nel campo dei serbatoi a idrogeno sono
comunque inserite tra i sistemi di stoccaggio poiché la potenzialità di questo metodo è molto
17
alta. I serbatoi costruiti con questa struttura potrebbero essere i più leggeri della categoria,
serve un serbatoio di soli 6,5kg per contenere 4kg di idrogeno, ma i costi rendono a oggi
impraticabile questo sistema. Le nanostrutture si basano sulla riorganizzazione atomica delle
strutture, gli atomi di carbonio sono movimentati in modo da formare strutture artificiali. Le
nanostrutture di carbonio permettono di assorbire idrogeno a temperatura ambiente. Le
strutture più usate sono i nanotubi e la nanofibra. La ricerca in questo campo è condotta in
più parti del mondo, ed essendoci numerose differenze tra i tipi di strutture create, dei
materiali utilizzati e dei metodi di produzione, si ha che i risultati non sono ancora facilmente
confrontabili. I risultati portano a valori tra peso delle strutture e peso idrogeno
immagazzinato variabili tra 1% e 60% con una media attorno al 20%.
L’idrogenazione
avviene a 100 bar e la deidrogenazione a 40 bar in depressione, valori facilmente
raggiungibili.
2.1.8.La scelta del sistema di stoccaggio
Per scegliere il giusto serbatoio bisogna considerare vari parametri: volumi disponibili,
densità di energia, durata dello stoccaggio, tipologia di esercizio, sicurezza e costo. Uno dei
parametri fondamentali è la densità di energia, valori alti di questo parametro permettono di
utilizzare serbatoi di dimensioni inferiori. I serbatoi a idruri metallici sono inadatti alla trazione
data la difficoltà nella gestione del calore. Si ha quindi che, nonostante le prime
considerazioni che svantaggiavano la tipologia di serbatoio che utilizzava il gas compresso,
risulta conveniente per piccole quantità. Lo stoccaggio allo stato gassoso compresso non
presenta le problematiche dell’idrogeno liquido (bassa temperatura), il che riduce
notevolmente il costo, presenta però i problemi legati all’elevata pressione (da 300 a 700
bar). Per tempi di stoccaggio lunghi e stazionari si prediligono tipi di stoccaggio come i
serbatoi a idruri metallici quando possibile o lo stoccaggio allo stato liquido per serbatoi di
grandi dimensioni. Nanofibre e nanotubi non sono utilizzabili al momento. Il grafico esprime
la densità dell’idrogeno contenuto nei vari sistemi di stoccaggio, confrontando le sole
alternative applicabili sui veicoli.
18
Densità (g/l) 120 70.8 21 idruri metallici idrogeno liquido 36 idrogeno compresso 350 idrogeno compresso 700 Bar Bar fig. 2: densità dell’idrogeno secondo il metodo di stoccaggio
Le tecnologie riguardanti la sicurezza dell’idrogeno non sono molto differenti dalle tecnologie
usate dal metano, presentano però altri accorgimenti dovuti alla natura diversa. L’idrogeno è
in grado di creare una miscela detonante con l’aria, ma non dobbiamo dimenticare che
anche i combustibili tradizionali sono sostanze potenzialmente pericolose. I sistemi di
stoccaggio sono sempre studiati molto attentamente per evitare situazioni di pericolo, tra le
quali vi è per applicazioni veicolari la fuoriuscita del combustibile. La probabilità che una
perdita di benzina entri a contatto con gli organi caldi dell’auto è molto alta e può provocare
l’accensione del carburante, senza contare l’eventuale rottura di parti sensibili come iniettori
e turbine che generano un’immediata fuoriuscita e combustione della benzina. I sensori che
rilevano questa problematica agiscono in modo diverso, nei motori a combustione si agisce
chiudendo l’erogazione di combustibile e spegnendo l’accensione per evitare che l’intero
contenuto del serbatoio sia riversato all’esterno. Nel caso dell’idrogeno vi sono ulteriori
precauzioni, l’idrogeno è un gas inodore e incolore, è impossibile quindi rilevare una fuga
basandosi sul solo olfatto. Si usa quindi implementare sensori che rilevano la presenza di
gas nell’abitacolo e nel caso di fuoriuscita aprono i vetri dell’auto per disperdere il gas. Gli
incendi invece si comportano in modo completamente differente tra i combustibili gassosi e
liquidi. I combustibili tradizionali (liquidi) sono più pesanti dell’aria, nel caso di perdita si
depositano sul fondo concentrandosi sotto la macchina ed in caso si accendano la
combustione avviene al di sotto dell’autovettura, avvolgendo completamente il veicolo.
L’idrogeno è più leggero dell’aria, quindi tende a salire. La leggerezza influisce anche sulla
dispersione che risulta molto più veloce. Nel caso di incendio l’idrogeno tende a generare
fiamme al di sopra del veicolo o comunque a partire dalla superficie superiore. Questo porta
a fiamme di maggior dimensione, ma circoscritte in una zona più contenuta salvando
l’abitacolo.
19
2.2.Trasporto dell’idrogeno
L’assetto ottimale per il sistema idrogeno prevede la diffusione d’impianti di piccola taglia in
loco oltre ai grandi impianti di produzione. Questo diminuisce notevolmente il trasporto di
carburanti, ed è uno dei vantaggi dell’idrogeno. La realizzazione degli impianti prevede però
grossi investimenti e una maggior diffusione dei veicoli per poter essere giustificato. In più si
avranno alcune aree in cui la produzione non sarà vantaggiosa; il trasporto quindi può
essere ridotto, ma non annullato e si può articolare in vari modi:
2.2.1.Trasporto su strada
Per ora è il metodo più diffuso data la semplicità. Si usano autocisterne con idrogeno allo
stato gassoso; stoccato alla pressione di 20 MPa, la capacità è di 4200 π‘š ! . Nel caso di
tragitti più lunghi per ammortizzare il costo di trasporto si preferisce trasportare una quantità
maggiore di idrogeno, utilizzando serbatoi criogenici in grado di trasportare 45000 litri di
idrogeno liquido, come metodo è più costoso e meno sicuro. Per il futuro si prospetta la
possibilità di utilizzare serbatoi ad idruri metallici (per il trasporto di idrogeno, non come
serbatoio del veicolo), essi risultano migliori sia come ingombri che come sicurezza.
2.2.2.Gasdotti
Come per il gas naturale, il trasporto dell’idrogeno può avvenire tramite gasdotti. Gli impianti
sono similari, sono composti da tubi di diametro compreso tra 30 mm e 50 mm, percorsi da
idrogeno allo stato gassoso a pressione tra 20 e 100 bar. I gasdotti possono trasportare
anche idrogeno allo stato liquido, che essendo ad una temperatura di -253°C provoca un
comportamento fragile della tubatura che necessita quindi di speciali accorgimenti; sono
utilizzati materiali lavorati con processi che inducono ridotte tensioni residue ed acciai
austenitici. I costi di impianti in questo caso aumentano e la convenienza di questo tipo di
trasporto deve essere valutata, generalmente la lunghezza degli impianti ad idrogeno allo
stato liquido è contenuta. L’utilizzo di gasdotti esistenti per trasportare metano è possibile
con alcuni accorgimenti, la reattività dell’idrogeno unita alla temperatura innesca il processo
di diffusione attraverso l’acciaio, la molecola non attraversa completamente la parete ma si
inserisce in essa e porta ad una perdita di elasticità della conduttura e a un rischio di rottura
fragile della stessa. Per questo tipo di condutture basta aggiungere uno strato interno di
materiale plastico, metodo già in uso per le condutture in ghisa. Le reti moderne sono
fabbricate con acciai speciali con cui evitare questo tipo di problema.
20
CAPITOLO 3
Fuel cells
Le Fuel Cells sono uno dei principali modi per generare energia elettrica utilizzando
l’idrogeno, producendo energia elettrica e non potenza meccanica, richiedono motori elettrici
per sviluppare trazione. L’utilizzo di fuel cells è favorito rispetto alla combustione di idrogeno
dato il rendimento maggiore, in più non emettono sostanze inquinanti. Per questi motivi la
maggior parte delle case automobilistiche è orientata verso le fuel cells rispetto alla
combustione.
3.1.Componenti e principio di funzionamento
Il principio di funzionamento delle fuel cells si basa sulla possibilità di produrre corrente
tramite la reazione tra idrogeno e ossigeno. Lo schema più semplice utilizza due superfici
piane fra le quali è inserita una lamina di materiale solido (quando gli spessori sono inferiore
al millimetro si parla di membrana). Le due superfici possono essere composte da diversi tipi
di materiale e sono i due elettrodi, anodo e catodo, la membrana invece è in materiale
elettrolita. La membrana garantisce l’attraversamento degli ioni positivi ma isola
elettricamente il catodo dall’anodo, gli ioni formati dalla reazione la attraversano obbligando
invece gli elettroni a seguire il circuito elettrico che si vuole alimentare, questo proprietà si
definisce elettrolitica e il materiale elettrolita. Nell’anodo avviene la prima divisione, la
molecola 𝐻! perde i due elettroni, la reazione è favorita dalla presenza del catalizzatore, gli
atomi che acquistano o perdono elettroni sono chiamati ioni. Più precisamente cationi se
perdono elettroni acquisendo carica positiva e anioni se assumono elettroni acquisendo
carica negativa. L’anodo è investito dall’idrogeno in forma gassosa che attraversa le sue
porosità fino a porsi sulla faccia interna (verso la membrana). La reazione all’anodo è:
2𝐻! → 4𝐻 ! + 4𝑒 !
Il risultato è composto da ioni idrogeno ed elettroni. Gli elettroni percorrono il circuito elettrico
passando per l’utilizzatore che può essere di qualsiasi tipologia, chiamato quindi, in modo più
generico, carico. Gli ioni idrogeno passano invece attraverso l’elettrolita verso il catodo
ricongiungendosi con il circuito elettrico e quindi con gli elettroni. Con l’aggiunta dell’ossigeno
avviene quindi la reazione:
𝑂! + 4𝐻 ! + 4𝑒 ! → 𝐻! 𝑂 + π‘π‘Žπ‘™π‘œπ‘Ÿπ‘’
21
Mediamente nelle celle combustibile si utilizza una temperatura tra i 60°C e i 100°C, salendo
con la temperatura l’utilizzo del catalizzatore diventa sempre meno importante fino alle fuel
cells che operano a 1000°C le quali non richiedono il catalizzatore, l’energia necessaria alla
reazione in questo tipo di celle è fornito dal calore ed sufficiente a mantenere la reazione
chimica in modo sufficientemente veloce da non richiedere il catalizzatore. La permeabilità
dell’elemento elettrolita è uno dei parametri fondamentali, può essere un acido caratterizzato
da ioni liberi o un solido come alcuni tipi di polimero.
3.2.Tipologie di fuel cells
Vi sono vari tipi di fuel cells, classificate in base all’elemento elettrolita. Alcuni tipi di fuel cells
avranno più affinità con determinati utilizzi. Ad esempio le fuel cells che lavorano ad alta
temperatura sono più indicate per impieghi stazionari. Esse si possono dividere in 6 tipologie
principali:
•
A-FC (alkaline fuel cell)
•
PEM-FC (proton exchange membrane fuel cell)
•
DM-FC (direct methanol fuel cell)
•
PA-FC (phosphoric acid fuel cell)
•
MC-FC (molten carbonate fuel cell)
•
SO-FC (solid oxide fuel cell)
3.2.1.Alkaline fuel cells
Queste celle utilizzano come elettrolita l’idrossido di potassio in soluzione nell’acqua,
operano a temperature comprese tra i 60°C e i 250°C con una concentrazione di idrossido di
potassio che aumenta all’aumentare della temperatura. L’idrossido di potassio è liquido,
necessita quindi di una matrice (generalmente composta in amianto). La reazione chimica è
leggermente differente rispetto alla reazione descritta in precedenza, non avviene il
passaggio dello ione 𝐻 ! ma avviene con lo ione 𝑂𝐻 ! . Il catalizzatore è composto da una
lamina di platino. La reazione all’anodo è:
2𝐻! + 4𝑂𝐻 ! → 4𝐻! 𝑂 + 4𝑒 !
gli elettroni passano quindi attraverso il circuito e tornano al catodo dove si combinano con
l’ossigeno generando ulteriori ioni:
𝑂! + 4𝑒 ! + 2𝐻! 𝑂 → 4𝑂𝐻 !
22
Considerando la reazione globale della cella ottengo:
2𝐻! + 𝑂! → 2𝐻! 𝑂
Anodo e catodo possono essere composti da argento, platino, oro e palladio. È molto
importante che a questo tipo di fuel cells arrivi ossigeno allo stato puro, nell’aria è sempre
presente una parte di 𝐢𝑂! , essa è in grado di reagire con gli ioni 𝑂𝐻 ! secondo la seguente
reazione:
𝐢𝑂! + 2𝑂𝐻 ! → 𝐢𝑂!!! + 𝐻! 𝑂
Andrebbero così a sparire gli ioni 𝑂𝐻 ! e si creerebbero degli ioni carbonati, abbassando
l’effcienza fino al completo bloccaggio della cella.
Le prestazioni di questo tipo di cella sono alte, ma dato l’alto costo e data la difficoltà di
reperire l’ossigeno puro non vengono più utilizzate per la trazione a favore di sistemi più
semplici. Rimangono comunque utilizzate in ambito aerospaziale.
3.2.2.Proton exchange membrane fuel cells
Utilizzano una membrana a base polimerica, l’elettrolita è quindi un solido che permette
l’attraversamento degli ioni, la temperatura di esercizio è bassa (circa 90°C). Il materiale più
diffuso per l’elettrolita è il Naflon, brevettato dalla ditta Dupont de Nemours. L’elettrolita è
impregnato d’acqua, gli elettrodi non devono quindi permettere il passaggio di liquido al loro
interno. Il funzionamento è quello usato per descrivere le reazioni generiche delle fuel cells,
nell’anodo, investito dall’idrogeno in forma gassosa, avviene la prima reazione:
𝐻! → 2𝐻 ! + 2𝑒 !
La perdita di due elettroni da parte dell’idrogeno genera uno ione positivo e uno ione
negativo. L’elettrolita permette il passaggio verso il catodo dei soli ioni positivi 2𝐻 ! , mentre
gli elettroni 2𝑒 ! fluiscono attraverso il circuito elettrico ed alimentando il carico per arrivare al
catodo dove avviene la seconda reazione:
1
!
!
2 𝑂! + 2𝐻 + 2𝑒 → 𝐻! 𝑂 + π‘π‘Žπ‘™π‘œπ‘Ÿπ‘’
23
Attraverso l’apporto di ossigeno (si può utilizzare anche aria) avviene una reazione tra
ossigeno, ioni 𝐻 ! ed elettroni, ed ha come risultato acqua pura e calore. Rispetto alle fuel
cells alcaline questo tipo di cella può trattare idrogeno meno puro e può utilizzare aria al
posto di ossigeno puro, sono quindi più adatte all’utilizzo veicolare, in più l’utilizzo di acqua al
posto di acidi comporta una minore usura, aumentando così la vita del componente. Questo
tipo di celle opera tra 80°C e 100°C e generano da 1 a oltre 250 kW di potenza, la bassa
temperatura di esercizio favorisce la messa in moto del sistema. L’elevata potenza, le
dimensioni compatte e il peso contenuto, rende le celle PEM ottimali per l’utilizzo veicolare,
ciò non toglie che possano essere usate per scopi stazionari: alcune aziende stanno
sviluppando impianti che utilizzano questa tecnologia, recuperando l’acqua calda per scopi
civili. Alcuni di questi impianti sono dotati di reformer per essere alimentati direttamente a
metano. I rendimenti (contando anche il recupero del calore) possono arrivare anche
all’80%.
3.2.3.Direct methanol fuel cells
La membrana elettrolitica è sempre in materiale polimerico, a differenza delle celle PEM però
l’alimentazione avviene direttamente con il metanolo. Date le basse temperature di esercizio
(tra 60°C e 80°C) questa tipologia di fuel cell ha bisogno di un catalizzatore di maggiori
dimensioni, si utilizzano come materiali platino e rutenio. Le reazioni sono:
anodo: 𝐢𝐻! 𝑂𝐻 + 𝐻! 𝑂 → 𝐢𝑂! + 6𝐻 ! + 6𝑒 !
Si nota che la prima reazione produce 𝐢𝑂! e tra i prodotti intermedi vi è 𝐢𝑂, bisogna ottenere
bassi valori di monossido di carbonio per evitare l’avvelenamento del catalizzatore (con una
conseguente perdita di efficienza). La 𝐢𝑂! prodotta è minima e si può ulteriormente ridurre
tramite post trattamenti.
catodo: 3 2 𝑂! + 6𝐻 ! + 6𝑒 ! → 3𝐻! 𝑂
Sono state sperimentate fuel cells di questo tipo per alimentare lettori musicali mp3,
alimentati tramite un serbatoio di metanolo di 2 π‘π‘š ! , la durata di riproduzione è di 20 ore.
Questa tipologia di cella data l’alta potenza specifica può essere utilizzata nel campo
veicolare finché la distribuzione di idrogeno non sarà sufficientemente capillare.
24
3.2.4.Phosphoric acid fuel cells
In questa tipologia di cella l’elettrolita usato è acido fosforico 𝐻! 𝑃𝑂! , la soluzione ha una
concentrazione alta (95%). Il liquido è contenuto in una matrice in carburo di silicio, mentre
gli elettrodi sono composti di grafite, la temperatura di esercizio è 200°C e come
combustibile si utilizza idrogeno. Le reazioni sono:
anodo: 2𝐻! → 4𝐻 ! + 4𝑒 !
catodo: 𝑂! + 4𝐻 ! + 4𝑒 ! → 2𝐻! 𝑂
L’alimentazione di idrogeno avviene ad una pressione variabile da 1 a 10 bar. Questa
tipologia di cella necessita di raffreddamento che avviene all’interno di piastre interposte tra
le celle tramite un fluido di raffreddamento, anodo e catodo sono in grafite e di spessore
molto ridotto (decine di micron), a contatto con l’elettrolita vi è uno strato di platino con
spessori differenti tra le due facce in base alla velocità di reazione, ad una reazione più lenta
si associa una quantità maggiore di catalizzatore. Il platino perde efficienza se entra a
contatto con 𝐢𝑂 e zolfo, il combustibile di partenza dal quale si ricava l’idrogeno deve quindi
essere desolforizzato, il calore prodotto da questo tipo di celle è intenso (il vapore in uscita è
ad una temperatura di circa 200°C) e può quindi essere recuperato tramite cogenerazione o
tramite preriscaldamento dell’impianto di reforming. In caso di cogenerazione il rendimento
può arrivare a 80-85%, l’efficienza della sola cella combustibile è tra il 45% e il 48%, sono
stati realizzati impianti elettrici di medie dimensioni utilizzando questo tipo di cella
dimostrando un’affidabilità elevata, la commercializzazione è stata però interrotta dato l’alto
costo. Questo tipo di celle non sono adatta all’applicazione veicolare, le elevate temperature
e la presenza di acido fosforico creano difficoltà nella gestione del sistema, ma sono state
ugualmente usate a bordo di veicoli solo come APU (ausiliary power unit) per alimentare
servizi di bordo.
3.2.5.Molten carbonate fuel cells
Le celle a carbonati fusi utilizzano un elettrolita allo stato liquido composto da sali alcalini fusi
(carbonato di litio, sodio, potassio). Sono celle ad alta temperatura, operano tra i 600°C e i
680°C, i carbonati allo stato liquido sono trattenuti da una matrice ceramica, generalmente
composta da alluminato di litio. Gli elettrodi sono porosi, l’anodo è composto di nichel con
l’aggiunta di cromo al 10%, mentre il catodo è composto di ossido di nichel con il 2% di litio
per aumentarne la conducibilità. Data l’alta temperatura che fornisce sufficiente energia per
sostentare la reazione chimica, questo tipo di cella non necessita di catalizzatori costosi. Le
reazioni sono:
25
anodo: 𝐻! + 𝐢𝑂! → 𝐻! 𝑂 + 𝐢𝑂! + 2𝑒 !
catodo: 1 2 𝑂! + 𝐢𝑂! + 2𝑒 ! → 𝐢𝑂!!
il sistema di funzionamento presenta alcune differenze sostanziali, in questo caso vi è una
migrazione da catodo a anodo di ioni di carbonato. Il gas che investe il catodo non è quindi
ossigeno puro, deve essere fornita anche anidride carbonica. In uscita ottengo acqua. Date
le elevate temperature sono adatte alla produzione stazionaria di energia, sono state
studiate celle con impianti di reforming interni alla cella e tramite l’accoppiamento con
impianti elettrico cogenerativi si può arrivare a rendimenti dell’ordine del 90%.
3.2.6.Solid oxide fuel cells
Utilizzano un elettrolita costituito da ossido di zirconio stabilizzato con ossido di ittrio. La
temperatura di esercizio è attorno ai 1000°C, a causa di questo è necessario utilizzare
materiali specifici resistenti al calore. Questa tipologia di cella non necessita di catalizzatori,
la temperatura fornisce l’energia necessaria al sostentamento della reazione. L’anodo è
costituito da ossido di zirconio e nichel poroso (Cermet), mentre il catodo è di manganito di
lantanio drogato con stronzio. Le reazioni sono:
anodo: 𝐻! + 𝑂! → 𝐻! 𝑂 + 2𝑒 !
catodo: 1 2 𝑂! + 2𝑒 ! → 𝑂!!
si ha quindi che dal catodo migrano attraverso l’elettrolita ioni 𝑂!! fino all’anodo. Dato l’alto
calore, si usa accoppiare a cicli termodinamici il cui insieme può raggiungere rendimenti
dell’ordine del 92%. L’alta temperatura permette di alimentare le celle direttamente a gas
naturale, il reforming avviene al loro interno. I costi di produzione e di esercizio bassi
rendono l’utilizzo di questo tipo di cella molto competitivo, ma nelle applicazioni veicolari il
controllo della temperatura è difficoltoso, talvolta sono utilizzate per fornire potenza elettrica
ausiliaria, date le alte temperature permettono anche di alimentare direttamente le celle con
benzina, l’evaporazione di questa fornisce l’idrogeno necessario al funzionamento.
3.3.Considerazioni generali
Le differenti tecnologie di fuel cells hanno vantaggi e svantaggi che rendono certe tipologie di
celle più adatte a compiti stazionari e altre a compiti veicolari. Le fuel cells a bassa
26
temperatura possono utilizzare materiali meno sofisticati dato il basso carico termico, ma
sono costrette ad utilizzare metalli costosi come il platino come catalizzatore. I rendimenti
variano tra il 45% e il 55%, i valori più alti sono raggiunti dalle celle alcaline ma la necessità
di ossigeno puro le rende svantaggiose per l’utilizzo veicolare. Le celle ad alta temperatura
invece raggiungono rendimenti dal 50% al 65% e le alte temperature permettono accoppiare
queste celle a impianti in cogenerazione, arrivando a rendimenti globali che raggiungono
valori tra il 70% e il 90%.
tab. 1: Confronto tra le tecnologie di Fuel Cell esistenti
Nella tabella 1 sono messe a confronto le varie tecnologie di celle a combustibile, in blu le
celle che operano a bassa temperatura (celle che operano al di sotto dei 100°C), in rosso le
celle ad alta temperatura e in arancione la cella che opera ad una temperatura media.
27
applicazioni potenza (kW) tipologia di celle Trasporti 5-­β€200 PEM Impianti isolati 0,5-­β€10 PEM Residenziale 1-­β€10 PEM e SOFC Commerciale o residenziale 50-­β€250 PEM e PAFC Industriale con cogenerazione 200kW-­β€3MW MCFM e SOFC Generazione di energia 2MW-­β€40MW MCFC e SOFC Tab. 2: Potenza richiesta dalle principali applicazioni e tecnologia di Fuel Cell consigliata per
fornirla
La tabella numero 2 descrive la potenza generica richiesta dalle applicazioni e la tipologia di
cella consigliata, nel caso si abbia bisogno di una maggiore potenza o che l’applicazione
necessiti di una specifica tipologia di cella la cui potenza non sia sufficiente è possibile
assemblare più celle elementari creando una stack. Una cella combustibile ha emissioni
acustiche pressoché nulle, non richiede manutenzione (non ha organi in movimento) e ha
rendimenti maggiori rispetto agli impianti convenzionali, questo porta, a parità di energia
prodotta, a un minor uso di carburante. Altro aspetto a favore è l’adattabilità al carico senza
perdita di rendimento: la regolazione di potenza in una cella combustibile avviene variando
l’afflusso dei gas, l’efficienza a ogni regime resta pressoché immutata. Il recupero del calore
avviene in modi diversi in base alla tipologia di celle usata, una cella a bassa temperatura
produce acqua a 80°C che può essere usata per riscaldare ambienti o per servizi, mentre
una cella ad alta temperatura produce vapore a elevata temperatura utilizzabile all’interno
dei cicli termodinamici classici per produrre ulteriore corrente elettrica. La tecnologia che più
si adatta all’utilizzo veicolare è quella delle celle PEM a bassa temperatura.
28
CAPITOLO 4
Fuel Cells PEM
Essendo ad oggi la tecnologia che più si adatta alla trazione, si vuole analizzare nel dettaglio
le fuel cells di tipo PEM . Uno dei vantaggi di questa cella sta nell’utilizzo di soli elementi
solidi, vi è anche acqua, una parte è prodotta dalla reazione, il resto è l’acqua necessaria a
mantenere la membrana umida.
4.1.La membrana polimerica
L’intero funzionamento della cella si basa sulla possibilità degli ioni 𝐻 ! di attraversare la
membrana, partendo dall’anodo e raggiungendo il catodo, restando impermeabile agli
elettroni che invece sono indirizzati lungo il circuito elettrico per alimentare il carico. Le
caratteristiche richieste ad una membrana sono:
•
Elevata conduzione dello ione 𝐻 ! :
Meno resistenza incontrano gli ioni nel passaggio, migliore è il rendimento.
•
Isolamento rispetto agli altri ioni:
È fondamentale per il funzionamento che gli ioni di altro tipo non siano trasmessi.
•
Impermeabilità totale agli elettroni:
Se passassero elettroni attraverso la membrana la corrente non fluirebbe più
nell’impianto elettrico.
•
Insolubilità all’acqua:
La membrana è sempre in uno stato di umidita controllata, la membrana deve quindi
resistere chimicamente all’acqua.
•
Impermeabile rispetto ai gas reagenti:
L’ossigeno e l’idrogeno non devono poterla attraversare.
•
Non deve reagire con gli ioni con cui viene a contatto:
Per non generare reazioni indesiderate.
•
Inerzia chimica:
La degradazione chimica nel tempo deve avvenire lentamente.
•
Buona aderenza con gli elettrodi:
I punti di contatto sono i punti in cui si innesca la reazione, una aderenza maggiore
implica un maggior numero di punti di contatto
•
Resistenza meccanica al carico termico e alla pressione di esercizio:
29
Le celle operano tra 60°C e 90°C e tra 1 bar e 5 bar, esse devono quindi essere in
grado di sopportare le sollecitazioni meccaniche evitando deformazioni che
potrebbero causare una bassa adesionetra le superfici.
•
Reidratazione veloce e senza problemi:
I picchi di richiesta energetica generano una disidratazione momentanea della
membrana, deve quindi essere in grado di reidratarsi e recuperare velocemente le
proprietà sopradescritte.
I parametri usati per il confronto tra membrane sono: conducibilità protonica, coefficiente di
diffusione dell’acqua, tasso di trascinamento elettrosmotico, numero di molecole d’acqua che
può essere associato ad ogni gruppo solfonico.
Lo sviluppo delle membrane parte con l’utilizzo di polimeri fluoro solfonici semplici, oggi si
usa un materiale chiamato Naflon, prodotto dalla Dupont de Nemurs. Gli spessori della
membrana utilizzate variano da 70 micron a 200 micron.
Il Naflon si ottiene partendo dal polietilene:
fig. 3: Struttura del Polietilene
Tramite il processo di perfluorazione si dispongono atomi di fluoro al posto degli atomi di
idrogeno formando il politetrafluoroetilene:
fig. 4: Struttura del Teflon
Questa struttura compone il Teflon e ha come caratteristiche l’alta resistenza agli attacchi
chimici e l’idrofobia, si usa inserire una percentuale di Teflon nella membrana per evitare che
30
l’umidità arrivi a livelli troppo alti, la membrana deve contenere la giusta quantità di acqua,
pena il blocco della cella.
Per passare da politetrafluoretilene a Naflon bisogna effettuare una solfonatura, ovvero
aggiungere una catena laterale alla molecola con un gruppo solfonico a chiudere. È al
gruppo solfonico che si deve la capacità di trasmissione protonica, il risultato varia in base al
processo utilizzato, generando varianti del polimero. Una catena generica è:
fig. 5: Struttura generica di un polimero utilizzato come elettrolita nelle celle PEM
In esercizio il gruppo solfonico si scinde, il gruppo 𝑆𝑂!! esercita una attrazione degli ioni 𝐻 !
presenti sull’anodo, questo permette il passaggio degli ioni e il funzionamento della cella. Il
Naflon tende a formare microcavità sferiche chiamate cluster, la proprietà idrofoba di queste
cavità tende a raggruppare l’acqua al loro interno, la formazione dei cluster di acqua
conferisce al Naflon la proprietà selettiva. L’acqua lascia passare i soli ioni positivi 𝐻 ! , che
migrano grazie al gruppo solfonico, la velocità di migrazione è alta e lascia all’anodo la
possibilità di lavorare alla massima efficienza. La percentuale dell’acqua contenuta nella
membrana può arrivare al 22% rispeso al peso a secco della stessa, ed è la sua presenza a
limitare l’utilizzo a 100°C, oltre questa temperatura la formazione di vapore porta a una
disseccazione della membrana e ad una perdita di efficienza fino alla rottura. Se si potesse
aumentare la temperatura la reazione all’anodo avverrebbe più facilmente con la possibilità
di utilizzare meno materiale catalizzatore, sono quindi in studio materiali nei quali la
selezione non dipenda dall’acqua. Oltre al Naflon sono presenti altri tipi di membrane
polimeriche simili. Come l’Hyflon Ion, un materiale in grado di adattarsi meglio ai transitori.
4.2.Il Catalizzatore
Il catalizzatore usato all’interno delle celle PEM è il platino. Un catalizzatore ha la funzione di
accelerare le reazioni, alla temperatura alla quale lavora una cella PEM la velocità di
reazione sarebbe insufficiente e di conseguenza la produzione di elettroni liberi bassa,
motivo per cui questa cella necessita del catalizzatore. L’innesco della reazione avviene in
più punti simultaneamente, queste zone (chiamate “trifase”) sono caratterizzate dalla
31
presenza
dell’elettrolita,
dell’elettrodo
e
dell’idrogeno
(caso
dell’anodo)
contemporaneamente. Il contatto è molto stretto e avviene in uno strato detto “strato attivo”
dello spessore di 10πœ‡π‘š, analogamente vi è uno strato attivo anche verso il catodo. Per
lavorare a temperature superiori a 100°C e aumentarne l’efficienza si potrebbero adottare
pressioni di esercizio maggiori, in modo da aumentare la temperatura di ebollizione
dell’acqua, ma l’assorbimento di energia dovuto alla compressione genera un calo nei
rendimenti.
L’affinarsi delle tecniche e dei processi di produzione degli elettrodi tende a una diminuzione
dell’utilizzo del platino dato il costo elevato, la struttura del catalizzatore non è composta
puramente di platino: si crea un supporto di particelle di carbone sul quale si deposita la
polvere di platino, lo strato così trattato ha una efficienza maggiore rispetto all’utilizzo di solo
platino. La particella di carbone è rivestita di materiale elettrolita con polvere di platino posto
a intervalli, questa struttura ha il compito di raccogliere gli ioni e condurli alla membrana.
Anche l’efficienza subisce un incremento positivo, essa è legata alla superficie di contatto: la
presenza di più zone di contatto fa si che la reazione avvenga in più punti. Negli anni
l’affinamento delle celle PEM ha portato ad un aumento sostanziale di densità di corrente per
unità di platino, da 0,5 Ampere/mg delle prime celle a 15 Ampere/mg delle attuali. Il
catalizzatore deve favorire il di passaggio degli ioni 𝐻 ! e per permettere al gas di
raggiungere il catalizzatore è necessario che l’elettrodo sia poroso. La reazione dipende
quindi dai punti di innesco, maggiore è il loro numero, maggiore è la quantità di energia
prodotta.
4.3.Costruzione della cella
4.3.1.Metodo ad elettrodi separati
L’insieme di membrana-strato catalizzatore-diffusori dei gas si chiama MEA (Membrane
Electrode Assembly). La metodologia a elettrodi separati prevede la produzione dei
componenti in modo separato ed un successivo assemblaggio. Le facce dell’elettrodo
(composto di grafite) sono trattate in modo differente: verso il lato dove avviene
l’alimentazione l’elettrodo è protetto da un supporto permeabile ai gas in tessuto di carbone o
carta a base di carbone, nel lato dove avviene la reazione vi è il catalizzatore, vi è anche una
certa quantità di Teflon in ogni elettrodo con il compito è di controllare l’umidità e di facilitare
la migrazione degli ioni. Quantità sbagliate di Teflon generano diminuzione dei rendimenti,
troppo Teflon rallenta gli ioni, troppo poco Teflon non protegge a sufficienza dall’acqua. La
protezione dall’allagamento è molto importante al catodo, in esso vi è la reazione di
produzione di acqua e sbagliare la percentuale di teflon porta al blocco della cella. Il Teflon
presente al catodo può raggiungere il 30% in peso. Una volta prodotti gli strati si procede con
32
la pulizia della membrana, gli strati vengono appoggiati su di essa. L’adesione avviene
tramite pressatura a caldo. Un MEA è composto elementi che assomigliano a fogli, lo
spessore totale è tra i 200 nm e i 500 nm, lo spessore totale è quindi molto contenuto.
4.3.2.Metodo ad applicazione diretta
La peculiarità di questo metodo sta nell’applicazione del catalizzatore. Il platino è allo stato
liquido e si distribuisce direttamente sulla membrana elettrolitica tramite rulli o stampaggio,
l’inchiostro è composto dagli stessi elementi descritti in precedenza (polvere di platino,
particelle di carbone e materiale elettrolita), l’applicazione avviene a membrana asciutta a cui
segue un riscaldamento per fissare lo strato. Stampate entrambe le facce si procede con
l’idratazione della membrana ed infine si assembla il MEA, lo stampaggio porta ad avere una
struttura in cui il contatto tra le superfici è quasi perfetto, incrementando l’efficienza e
diminuendo la quantità di materiale catalizzatore. Questo processo permette una costruzione
più agile degli elettrodi, non contenendo più lo strato catalizzatore possono essere realizzati
in modo semplice tenendo conto delle normali richieste di utilizzo: permeabilità ai gas e
conduttività. Si applica poi agli elettrodi un rivestimento di Teflon per evitare gli allagamenti.
4.3.3.Metodo MEGA
L’originalità sta nell’integrazione degli strati. Nasce dalla ricerca della soluzione alla tenuta
dell’assemblaggio totale e prevede di saldare il MEA attraverso una guarnizione iniettata allo
stato fuso attorno alla membrana. I metodi finora descritti prevedono una perdita della
superficie della membrana, pratica poco conveniente dato l’alto prezzo di quest’ultima. Le
MEGA sono una tipologia di celle orientate agli stack, pensate in modo da rendere agevole
la sostituzione e la manutenzione. Essendo il tutto integrato in un unico pezzo, la rottura di
una delle celle permette di sostituire la singola cella senza dover sostituire l’intero stack. La
potenza erogata varia da 1 kW a 5kW, sono in studio membrane in grado di generare 15 kW
per utilizzi stazionari e veicolari.
4.4.Piani di supporto
Gli elettrodi sono supportati dai piani di supporto costruito di carta carbone o tessuto di
carbone. Essi devono rispettare alcune caratteristiche:
•
facilitare il passaggio di elettroni,
•
essere porosi per permettere il passaggio dei gas,
•
alta conducibilità
•
essere in grado di gestire l’acqua
33
4.5.Piastre collettrici
Il loro compito è di distribuire il gas all’interno della cella e di raccogliere la corrente elettrica
prodotta. Una cella, come una stack, prevede l’utilizzo di due sole piastre collettrici poste ai
bordi, nel caso delle stack tra le celle si inseriscono invece i piatti bipolari. Le piastre sono
lavorate con delle scanalature i cui compiti sono di distribuire il gas e di permettere il
drenaggio dell’acqua.
4.6.Stack di celle
Una singola fuel cell, contando le perdite dell’impianto, rende disponibile una tensione netta
pari a 0,9 Volt. Maggiore è la corrente, minore è la tensione, l’andamento descrive una curva
(chiamata curva di polarizzazione) che si estende fino al valore di 0,2 Volt, si ricava per via
sperimentale ed è caratteristica per ogni cella. I valori sono espressi in relazione alla
superficie, si parla di π΄π‘šπ‘π‘’π‘Ÿπ‘’/π‘π‘š ! . L’andamento è sempre decrescente, si scegli di operare
nel punto al miglior compromesso che per la maggioranza delle PEM avviene attorno a 0,60,8 Volt che coincide ad una densità di corrente pari a 0,7 π΄π‘šπ‘π‘’π‘Ÿπ‘’/π‘π‘š ! . Un singolo
centimetro quadrato di piastra PEM eroga una potenza di 0,49 π‘€π‘Žπ‘‘π‘‘/π‘π‘š ! con picchi in alcuni
prototipi di 0,7 π‘€π‘Žπ‘‘π‘‘/π‘π‘š ! . Una PEM dimensionata secondo i valori detti in precedenza,
tenendo conto di una dimensione standard di 144 π‘π‘š ! , genera una potenza di 70 Watt. Un
veicolo richiede da 1 a 80 kW a seconda del veicolo e dell’utilizzo, fino a 300kW per i bus. Si
ha quindi bisogno di utilizzare più celle poste in serie, creando quindi una stack. Ogni stack
possiede una curva caratteristica che dipende dalle celle che vi sono in essa, in genere i
valori dichiarati di una stack si riferiscono ad una tensione di 0,7 Volt e di 0,7 π΄π‘šπ‘π‘’π‘Ÿπ‘’/π‘π‘š ! ,
la tensione totale di una stack sarà quindi uguale al valore della tensione di una cella
moltiplicato per il numero di celle, la corrente sarà invece il valore di densità calcolato per
ogni π‘π‘š ! moltiplicato per la somma delle superfici attiva delle celle. Se la potenza richiesta è
alta si può operare aumentando il numero di celle (il che porta ad una stack di forma
allungata) o aumentando l’area delle singole celle (che porta ad una stack con una superfice
ampia), la scelta è vincolata dal solo ingombro massimo della geometria. La potenza
richiesta da un veicolo non è costante, i casi transitori (accelerazioni e frenate) sono
frequenti durante l’utilizzo e generano delle fluttuazioni. La richiesta improvvisa di potenza
porta ad una disidratazione della membrana che è deleteria e porta a rottura, ma si può
evitare accoppiando delle batteria (o supercondensatori) alla cella. Nasce quindi il “gradi di
ibridizzazione”, gli accumulatori possono fornire la potenza necessaria durante i transitori
senza affaticare la membrana, verranno poi ricaricati durante la fase di decellerazione.
34
4.7.Piatti bipolari
All’interno di una stack, a separare le singole celle vi sono i piatti bipolari, essi hanno il
compito di far fluire i gas, di eliminare l’acqua prodotta dal catodo e di alimentare gli
scambiatori che regolano la temperatura della cella e sono composti di grafite o di metallo.
Le caratteristiche richieste dai piatti bipolari sono: impermeabilità ai gas (ossigeno e idrogeno
non devono mischiarsi), conduttività elettrica e basso peso, quest’ultima caratteristica non è
da sottovalutare, all’interno di una stack per utilizzo automobilistico sono presenti centinaia di
piatti bipolari, una diminuzione di peso anche marginale può essere di considerevole entità
se moltiplicata per il numero di elementi presenti, gli studi si stanno orientando a diminuire il
peso dei piatti tramite l’utilizzo materiali polimerici o leghe di grafite.
4.8.Utilizzo delle Fuel cells nei per applicazioni veicolari
Una stack di fuel cells richiede degli impianti di servizio per regolare il funzionamento di ogni
aspetto della cella, tra i quali: potenza, alimentazione, temperatura, drenaggio e idratazione.
Tutto ciò genera un assorbimento di parte dell’energia prodotta che sarà utilizzata per
alimentare i sistemi di servizio, lo studio prende il nome di “balance of plant”. Il rendimento di
una stack si aggira intorno al 45-50%, la parte di energia spesa per gli impianti invece è tra il
18-20% dell’energia totale prodotta. Lo schema generale di un sistema a idrogeno si può
riassumere come:
fig.6: Schema impianto standard di un’auto a Fuel Cells
La prima parte dell’impianto (il trattamento del combustibile) è presente poiché si ipotizza
l’assenza di distributori di idrogeno nei primi anni, se la distribuzione di idrogeno diventerà
capillare sarà possibile eliminare questo passaggio, che prevede un reformer di bordo con il
35
compito di generare idrogeno partendo da altri carburanti (benzina, metano, metanolo, gas
naturale..) tramite il metodo POX. Al centro vi sono le celle combustibile servite dai gas (aria
o ossigeno e idrogeno), con acqua e calore in uscita. L’ultimo stadio è il trattamento della
corrente elettrica, una stack genera corrente a basso voltaggio e continua, i moderni motori
elettrici usano corrente ad alto voltaggio e alternata, si necessita quindi di un inverter per
adattare i valori di tensione e corrente. All’esterno vi è il sistema di controllo che ha il compito
dirigere il funzionamento e di monitorare lo stato di ogni sottosistema tramite la sensoristica,
il recupero del calore prodotto dalla cella combustibile si può impiegare per preriscaldare il
reformer o per riscaldare l’abitacolo.
4.8.1.Vantaggi e svantaggi
I vantaggi delle fuel cells PEM rispetto alle altre tipologie di cella si riducono a:
•
Elettrolita solido: la trafilatura dei gas è minore.
•
Bassa corrosione: non utilizza acidi, il solo liquido è l’acqua.
•
Reazione all’anodo rapida: la reazione avviene molto velocemente sia all’anodo che
al catodo.
•
Resistenza strutturale: la membrana è resistente alla pressione.
•
Alta densità di potenza: l’indice potenza/superficie è elevato.
•
Partenza a freddo: la messa in moto della cella è veloce.
Gli svantaggi invece:
•
Membrana: richiede materiali costosi e sistemi di produzione non semplici
•
Rigidità del combustibile: i combustibili devono essere puri, pena l’avvelenamento del
dell’anodo.
•
Instabilità a temperature alte: a temperature superiori a 100°C la membrana si
deteriora.
36
•
Presenza di platino: il costo del platino è elevato.
•
Gestione dell’acqua: necessita di umidificazione controllata e di drenaggio
4.8.2.Energia di una fuel cell
L’energia calcolata da una fuel cells e l’effettiva energia ottenuta non coincidono, la seconda
è sempre più bassa. Le perdite presenti nel sistema provocheranno sempre una diminuzione
della massima energia teorica, nel dimensionamento bisogna tener conto di questa
differenza se non si vuole commettere errori di sottodimensionamento.
Il calcolo utilizza il concetto di energia libera di Gibbs:
l’energia libera di Gibbs è l’energia che varia per effetto della reazione, si deve quindi sapere
l’energia dell’idrogeno in entrata e l’energia dell’acqua in uscita, la differenza delle due è
l’energia libera e risponde alla formula generica:
βˆ†π‘”! = βˆ†π»! − π‘‡βˆ†π‘ 
Stato fisico dell'acqua prodotta dalla reazione liquido liquido + vapore vapore t [°C] Δg [kJ/mol] h [kJ/mol] E [V] η [%] 25 80 100 200 400 600 800 1000 -­β€237,2 -­β€228,2 -­β€225,3 -­β€220,4 -­β€210,3 -­β€199,6 -­β€188,6 -­β€177,4 -­β€285,8 -­β€281 -­β€242,6 -­β€243,5 -­β€245,3 -­β€246,9 -­β€248,2 -­β€258,2 1,23 1,18 1,17 1,14 1,09 1,04 0,98 0,92 83 80 79 77 74 70 66 62 tab.3: Energia libera di Gibbs dell’acqua a seconda della temperatura
Si osserva che la variazione di energia non dipende solo dalla reazione chimica, ma anche
dalla temperatura. Nella tabella sono riportati i valori in base alla temperatura dell’acqua.
In maniera più semplice:
βˆ†πΊ! = βˆ†πΊ!"#$#%%# − βˆ†πΊ!"#$"%&'
che riscritto in moli diventa:
βˆ†π‘”! = βˆ†π‘”!! ! π‘π‘Ÿπ‘œπ‘‘π‘œπ‘‘π‘‘π‘œ − βˆ†π‘” (π‘Ÿπ‘’π‘Žπ‘”π‘’π‘›π‘‘π‘–)
Il risultato ha come unità di misura kJ/mol, stabilita la temperatura e la pressione di esercizio
si sa subito il valore dell’energia libera di formazione dell’acqua, per temperatura di 25° e
pressione ambiente si ha che
βˆ†π‘”!!! ! = −237,2π‘˜π½/π‘šπ‘œπ‘™
37
all’anodo la molecola reagente è 𝐻! , essa rilascia due elettroniche fluiscono nel circuito.
𝐻! → 2𝐻 ! + 2𝑒 !
Una mole di idrogeno possiede un numero noto di molecole di gas ed è pari al numero di
Avogadro (𝑁 = 6,022×10!" π‘Žπ‘‘π‘œπ‘šπ‘–/π‘šπ‘œπ‘™), moltiplicando il numero di atomi per il numero di
Avogadro si ottiene il numero di elettroni ricavati da una mole di idrogeno, ovvero il flusso
elettronico derivante dalla reazione che è pari a 2×𝑁 = 12,044×10!" , moltiplicando poi il
numero di elettroni per la carica di un singolo elettrone si ottiene la carica elettrica totale
ottenibile da una mole di idrogeno (−2×𝑁×𝑒 = −2×9,484×10! πΆπ‘’π‘™π‘œπ‘šπ‘).
Immaginando nulle le perdite di energia all’interno della cella (cosa che si vedrà essere
impossibile) si ottiene che tutta l’energia libera di Gibbs si converte in energia elettrica.
π‘Š!" = βˆ†π‘”!"! !
La potenza elettrica è il prodotto tra la tensione e la corrente, si può quindi calcolare l’energia
ottenibile:
π‘Š!" = 𝐸!"#"!$%&%'" ×−2𝐹
dove F è la costante di Faraday ed è pari a 𝐹 = −𝑁𝑒. 𝐸!"#"!$%&%'" è indicata con il pedice
“reversibile” in quanto si presume che le perdite siano nulle, la tensione per una cella a 25°C
sarà quindi:
𝐸!"# =
−βˆ†π‘”!"!!
= 1,22 π‘‰π‘œπ‘™π‘‘
2𝐹
Analogamente per una cella a 80°C si ottiene un valore di 1,18 Volt, si nota che il valore
della tensione calcolata per una cella operante a 80°C è inferiore ad una cella operante a
25°C, questo è vero, ma la velocità di reazione a basse temperature è nettamente inferiore,
si ottengono quindi risultati migliori operando a temperature più elevate, accettando una
tensione leggermente inferiore alla massima ottenibile idealmente. Durante l’avviamento la
cella richiede una fonte di calore esterna per raggiungere la temperatura ottimale di esercizio
(fornita da una batteria), a pieno regime la temperatura è mantenuta dal calore prodotto dalla
reazione senza richiedere fonti esterne. Si definisce ora il rendimento energetico di una cella
come rapporto tra la massima quantità di energia erogata e la massima quantità di energia
erogabile dal combustibile.
38
πœ‚=
βˆ†π‘”!"!!
βˆ†π»!
Il valore del rendimento è superiore per temperature basse, questo perché l’entità delle
perdita è proporzionato alla temperatura dell’acqua. Si definisce rendimento ideale di una
cella il valore del rapporto fra l’energia elettrica ideale ottenibile da una cella e l’energia
disponibile nell’idrogeno che arriva all’anodo:
πœ‚!"#$%# =
2𝐹𝑉!"#$%#
𝑄!! ∗ 𝑝𝑐𝑖!!
(pci=potere calorifico inferiore)
I valori ricavati fino a questo punto sono ideali, il primo fattore di riduzione del rendimento è
dovuto alla purezze dell’idrogeno, il gas contiene una percentuale di ossido di carbonio che
reagendo con il platino va a diminuire la superficie attiva, anche l’ossigeno non è puro
(generalmente si utilizza aria, che è una miscela di gas). Questo genera una diminuzione
della tensione da 1,18 Volt a 1,16 Volt, vi sono poi altre perdite che portano ad una tensione
reale di 0,8 Volt. Si passa quindi al rendimento reale della cella:
πœ‚!"##$ =
𝑉!"#$"
= 0,70 (π‘Žπ‘™π‘™π‘Ž π‘‘π‘’π‘šπ‘π‘’π‘Ÿπ‘Žπ‘‘π‘’π‘Ÿπ‘Ž 𝑑𝑖 80°πΆ)
𝑉!"#$%#
Ulteriori motivi delle perdite nascono da fattori quali il passaggio di corrente e la fluttuazione
livello di tensione singola cella della concentrazione dei gas.
1 0.9 0.8 0.7 0.6 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 0 Voltaggio Potenza 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 Densità di corrente fig.7: Curva di polarizzazione generica di una Fuel cells PEM
La curva in rosso del grafico esprime l’andamento di tensione in funzione della densità di
corrente su di un’area di 1 π‘π‘š ! di una cella generica, mentre la curva in blu esprime
39
l’andamento della potenza elettrica prodotta da un elemento di 1 π‘π‘š ! al variare della densità
di corrente. Analizzando il grafico si nota che valori di tensione alti si accoppiano a potenze
basse, mentre valori di potenza alta si accoppiano a tensioni basse. Il miglior compromesso
sarà il punto di incontro delle retta, che presenta valori di 0,7 π‘‰π‘œπ‘™π‘‘ 𝑒 0,6 π΄π‘šπ‘π‘’π‘Ÿπ‘’ π‘π‘š ! generando una potenza di 0,45 π‘Šπ‘Žπ‘‘π‘‘ π‘π‘š ! , questa curva è chiamata curva di polarizzazione.
Essendo i valori di una singola fuel cell bassi, si usa raggruppare più celle in stack, la
potenza viene quindi moltiplicata per il numero di celle contenute. Una cella utilizzata nella
trazione non potrà sempre lavorare a condizioni ottimali, le accelerazioni e le decelerazioni
dell’auto generano differenze nel carico e quindi nella densità di corrente necessaria. Essa
sarà maggiore quando il carico sarà maggiore (fase di accelerazione). Più la densità di
corrente aumenta, più il voltaggio decresce fino ad azzerarsi, questo è un problema che si
supera tramite una gestione avanzata delle celle o tramite l’inserimento di batterie tra le celle
che compensano la richiesta di potenza.
4.8.3.Perdite nelle Fuel Cells
Lo scostamento dal valore ideale della tensione dipende principalmente dai seguenti fattori:
•
Bassa velocità di reazione
•
Resistenza al passaggio degli ioni da parte della cella
•
Bassa velocità di diffusione dei gas
Oltre a questi vi sono altri fattori ma di entità minori, come il passaggio di idrogeno e di
elettroni attraverso la membrana o l’avvelenamento del catalizzatore. Analizzando in
dettaglio il grafico della tensione si notano alcune andature caratteristiche, come la caduta di
tensione per attivazione che genera la repentina diminuzione iniziale, la caduta di tensione
per corrente interna e diffusione del gas nell’elettrolita, la caduta ohmica e la caduta di
tensione dovuta alla variazione di concentrazione. La curva di polarizzazione generica
risponde alla funzione:
𝑉 = 𝐸 − 𝑖 + 𝑖! π‘Ÿ − 𝐴 𝑙𝑛
𝑖 + 𝑖!
𝑖 + 𝑖!
+ 𝐡 𝑙𝑛 1 −
𝑖!
𝑖!
Analizzando più nel dettaglio le perdite si possono suddividere in:
40
•
Caduta di tensione per attivazione
•
Caduta di tensione per corrente interna e diffusione dei gas
•
Caduta ohmica
•
Caduta di tensione dovuta alla concentrazione dei reagenti
La caduta di tensione per attivazione è dovuta alla natura dell’elettrodo, nel quale avviene
una reazione continua (bassa attività elettro-catalitica) anche quando la densità di corrente
fornita dalla cella è nulla. La perdita è dipendente dai soli elettrodi ed è legata alla natura del
catalizzatore, alla porosità degli elettrodi, alla pressione di alimentazione e alla pressione
parziale dei gas, la perdita produce elettroni all’interno degli elettrodi alla quale si associa un
valore i0 chiamato “densità di corrente di scambio”. Per attivare la cella la reazione che
avviene di continuo all’interno di uno solo degli elettrodi si sposta verso una sola direzione,
ed avviene una volta superato un certo valore di tensione chiamato “soglia di
polarizzazione”.
La caduta di tensione per diffusione dei gas è dovuta all’impermeabilità imperfetta della
membrana, una parte dell’idrogeno riesce a passare in forma molecolare attraverso la
membrana, senza prendere parte alla reazione, ogni molecola H 2 che permea attraverso
l’elettrolita comporta la perdita di 2 elettroni nel circuito, l’incidenza è maggiore in fase di
avviamento e si stabilizza in fase di esercizio.
La caduta ohmica è dovuta alla resistenza elettrica, i componenti della cella generano una
resistenza al passaggio che, anche se piccola, provoca una perdita.
La fluttuazione della concentrazione dei reagenti è dovuta alle richieste transitorie della cella,
nella fase di aumento di potenza la fuel cell richiede una quantità maggiore di gas reagenti
(utilizzare più idrogeno nella reazione porta ad una maggiore quantità di elettroni immessi nel
circuito), la pressione alla quale i gas sono soggetti in fase di alimentazione tende quindi a
diminuire, nel caso in cui gas non siano puri si parla di pressione relativa (l’idrogeno può
contenere CO, mentre l’ossigeno può essere sostituito con aria) e il valore può arrivare a
zero.
4.8.4.Rendimento di uno stack di fuel cells
Nella scelta di una stack bisogna tener conto dell’utilizzo che si vuole farne, la stack corretta
per automotive può non essere solo caratterizzata dai migliori rendimenti in quanto è
soggetta ad altre valutazioni, quali densità di potenza (kW/litro) e potenza specifica (kW/kg).
L’alta densità di potenza porta a sistemi compatti, il che restituisce una maggior abitabilità
del mezzo, l’alta potenza specifica porta a sistemi leggeri e ad una migliore dinamica del
veicolo. In più bisogna tener conto dell’elasticità della cella a gestire i transitori e alle
prestazioni generali. Una parte importante riguarda l’assorbimento di potenza dei sistemi di
gestione, che sono riassunti in una unica voce (Bop, Balance of plant) composta da tutte le
41
perdite dovute ai sistemi ausiliari. In ultimo vi è anche l’efficienza dell’utilizzo del
combustibile, una piccola parte dei gas trafilano attraverso la membrana. Il funzionamento
reale è quindi:
πœ‚!"#$% = πœ‚!"#$%# πœ‚!"##$ πœ‡!"#$%&'($()* πœ‚!"#
Il termine πœ‡!"#$%&'($()* è dato dal rapporto tra le moli di combustibile che partecipano alla
reazione e le moli di combustibile che sono forniti alla cella, ed esprimo quanto combustibile
trafila attraverso la membrana senza partecipare alla reazione, in genere ha un valore
nell’ordine dello 0,95.
4.8.5.Sistemi ausiliari
Il funzionamento della fuel cell è regolato tramite questi sistemi, gli organi possono variare da
produttore a produttore fino alla completa assenza di alcuni di essi, ed in genere sono:
•
Sistema di gestione idrogeno
•
Sistema di gestione aria e acqua
•
Sistema di gestione potenza elettrica
•
Sistema di recupero calore
•
Sistema di regolazione e controllo dell’aria
Il primo può non essere presente, è pensato nel caso l’alimentazione non sia fornita a
idrogeno, ma sia fornita tramite altri combustibili. È il reformer di bordo, con annessi i propri
sistemi di gestione e recupero del calore. Il secondo riguarda la gestione dell’aria all’interno
della cella, nel caso di celle in pressione comprende anche il compressore. L’acqua a suo
modo deve essere drenata dal catodo per evitare allagamento e fornita alla membrana per
mantenere il corretto grado di umidità. La gestione della potenza elettrica è il sistema che si
occupa di regolare l’erogazione di potenza, il sistema di regolazione del controllo dell’aria si
occupa della giusta umidificazione dell’aria in entrata. In media il rendimento si aggira attorno
a valori pari a πœ‚!"# = 0,80 , utilizzando i valori di rendimento generici, il rendimento della
stack risulta variabile tra: πœ‚!"#$% = 0,48 ÷ 0,55.
42
CAPITOLO 5
I veicoli a fuel cells
5.1.Confronto tra fuel cells e motori a combustione
Si vuole ora confrontare la tecnologia proposta e la tecnologia impiegata sui veicoli più
diffusi, le fuel cells e i motori a combustione. Supponiamo il motore a combustione
alimentato a idrogeno, con le opportune modifiche del caso. In questo grafico sono riportati
l’andamento dell’efficienza dei due generatori secondo la temperatura:
fig.8: Confronto del valore di efficienza a seconda della temperatura tra una fuel cells ed un
ciclo di Carnot alimentato a idrogeno
Si nota che nelle fuel cells l’efficienza migliore è a temperature più basse, i motori a
combustione invece a basse temperature hanno forti perdite a causa del loro principio di
funzionamento, essi trasformano l’energia chimica in calore e poi di conseguenza in lavoro,
più la temperatura è elevata, maggiore è il rendimento. Mentre le alte temperature sono
limitate dai materiali impiegati, le basse temperature non necessitano di particolari
accorgimenti, le fuel cells PEM sono quindi in grado di avere alti rendimenti utilizzando
materiali di minor pregio.
5.2.Dalle fuel cells alle ruote
I veicoli a idrogeno possiedono una architettura che unisce fuel cells e batterie, la potenza
meccanica è generata da motori elettrici e la loro alimentazione può avvenire sia tramite le
batterie che tramite le celle. L’impostazione, la quantità di batterie, la potenza e l’autonomia
variano di molto in base alla tipologia di auto, i requisiti di una citycar sono differenti da quelli
di una berlina da lunghe distanze, in centro urbano le velocità sono basse a causa di traffico,
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pedoni, dossi e per sicurezza in generale, dovranno però affrontare numerosi rallentamenti,
stop e partenze.
5.2.1.Configurazione Load leveller
Questo tipo di configurazione si adatta bene ad una citycar, alla stack di celle è accoppiato
un insieme di batterie di piccola taglia che garantisce una autonomia in linea con gli scopi del
veicolo: un basso ingombro e delle prestazioni in accelerazione accettabili. In questa
tipologia di architettura le fuel cells producono potenza ausiliaria (APU) poco superiore a
quella fornibile dalle batterie, le battere sono utilizzate nei transitori e nelle accelerazioni,
prediligendo accumulatori di piccola dimensione e ad alta potenza specifica. In generale si
evita l’accoppiamento diretto tra fuel cells e motore, i transitori richiesti dal motore
porterebbero le celle ad operare in configurazioni in cui il loro rendimento non è massimo,
disaccoppiare il tutto permette alle celle di lavorare sempre nel migliore dei modi, incaricando
le batterie di seguire i transitori senza provocare fasi di disidratazione o altre problematiche.
Fig.8: Schema di una configurazione Load Leveller
5.2.2.Configurazione Range extender
In questa configurazione la potenza fornita dalle fuel cells è relativamente minore, la maggior
parte di essa è fornita dalle batterie. Si definisce “range extender” una configurazione in cui
l’energia fornita dalla stack di fuel cells è minore del 25%, questo sistema permette di
aumentare l’autonomia di un veicolo con il solo compito di ricaricare le batterie. È utilizzato
per veicoli di medio/grandi dimensioni (concepiti a batterie) in cui l’accoppiamento fuel
cells/batterie permette di aumentare l’autonomia o di diminuire le dimensioni delle batterie a
parità di autonomia.
5.2.3.Configurazione Full power
È la configurazione migliore per l’impiego extraurbano, le fuel cells forniscono la maggior
parte o tutta l’energia necessaria al motore, le batterie tenderebbero a scaricarsi troppo in
fretta per mantenere le alte velocità. Cio non toglie che possano essere accoppiato un
piccolo sistema di batterie, soprattutto per fornire potenza ausiliaria e per il recupero
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dell’energia in frenata. Questo è il settore dove si stanno orientando le principali case
automobilistiche data l’alta richiesta di veicoli di medie dimensioni.
5.2.4.Veicoli commerciali e bus
In questo settore l’architettura che meglio si adatta è la “range extender”. La potenza di picco
è elevata e il costo delle fuel cells per fornirla sarebbe molto alto, questi tipi di veicoli però
non hanno problematiche di spazio, si possono usare grandi batterie accoppiate a fuel cells
opportunamente dimensionate che possano caricarle. Altro fattore che rende l’architettura
range externder più adatta a questi veicoli è l’affidabilità nel tempo, bus percorrono molta più
distanza nella loro vita di un’auto, per questioni commerciali l’affidabilità è un fattore cruciale
e di importanza quasi maggiore rispetto alle prestazioni. Questa architettura facendo
assorbire alle batterie la maggior parte dei transitori preserva le fuel cells facendole lavorare
sempre in modo corretto e a regimi costanti, allungandone la vita.
5.3.Sistemi di bordo
Molti dei modelli attuali di auto a fuel cells sono derivati da auto a benzina, modificate per
ospitare motori elettrici e fuel cells o con motori modificati che permettono l’alimentazione a
idrogeno. Questo tipo di sistema permette però una gestione degli spazi completamente
diversa, non è più necessario avere un motore unico che muove 2 o 4 ruote, è possibile fare
sistemi a più motori, gestire il posizionamento del tutto in modo completamente differente e
creare un nuovo concetto di macchina. I collegamenti sono elettrici e non più meccanici, ciò
permette una flessibilità e un’adattabilità alle forme superiore rispetto ai motori tradizionali.
5.3.1.Motori elettrici
I motori elettrici si dividono in base alla loro alimentazione, vi sono motori in corrente
continua e motori in corrente alternata, quest’ultimi più usati rispetto ai primi. La velocità di
rotazione di un motore a corrente continua è proporzionale alla tensione alla quale è
soggetto, mentre la coppia generata è proporzionata alla corrente.
I motori a corrente continua funzionano tra tensioni comprese tra 48 e 192 Volt, i valori sono
dovuti alle batterie, che forniscono tensioni a multipli di due. I motori elettrici in corrente
continua più comuni sono i motori a spazzole, l’alimentazione del rotore avviene tramite delle
lamelle (dette spazzole) che strisciando creano il contatto elettrico necessario alla
trasmissione dell’energia. Le spazzole devono essere distanziate tra di loro in modo preciso,
più il voltaggio è alto più aumenta la distanza, questo per evitare che si crei un arco tra
lamella e lamella dissipando energia. Il loro vantaggio è dato dalla semplicità costruttiva e
dall’economicità, in più possono essere sovrautilizzati per bisogni istantanei di potenza,
fornendo quindi valori di coppia superiori ai dati di targa arrivando a valori anche tripli per
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brevi periodi. Questo permetterebbe ad un veicolo, a parità di motore, di avere un migliore
spunto in accelerazione.
I motori a corrente alternata sono alimentati da corrente trifase con tensioni comprese tra 48
e 240 Volt. Il vantaggio di questi motori è nella semplicità con cui si può implementare il
sistema di recupero dell’energia, sono pilotati tramite un sistema di controllo che permette
l’inversione di energia e ricaricare le batterie durante le decelerazioni e le frenate. Anche il
motore a corrente continua è invertibile ma necessita di un sistema di controllo aggiuntivo
che nei motori a corrente alternata è già presente.
La scelta avviene principalmente in base ai costi e agli utilizzi. Per piccoli utilizzi e mezzi
economici il motore a corrente continua può risultare la miglior scelta (ad esempio un carrello
elevatore). Un motore in corrente alternata e uno in corrente continua non trasmettono
nessuna differenza apprezzabile in termini di guidabilità.
5.3.2.Motori elettrici “in wheel”
Un veicolo progettato direttamente a idrogeno può avere caratteristiche completamente
differenti rispetto ad un veicolo a benzina. Dovendo trasmettere solo potenza elettrica i
motori possono essere posizionati ovunque all’interno del veicolo, l’architettura “in wheel”
prevede l’utilizzo di motori posizionati nei cerchioni. Questo permette un maggiore controllo
del veicolo, i motori sono comandati elettronicamente e possono gestire correttamente la
trazione, la stabilità (dirigendo più o meno coppia alle ruote bilanciando l’imbardata), il
controllo di trazione (tramite l’accoppiamento delle velocità ruota) e non necessitano dei
differenziali (in un veicolo tradizionale la trazione integrale è gestita tramite tre diversi
differenziali, la trazione anteriore invece necessita di un solo differenziale come la trazione
posteriore alla quale però si devono aggiungere lunghi organi di trasmissione nel caso il
motore sia posizionato verso l’asse anteriore). Le perdite sono inferiori rispetto all’architettura
tradizionale, ciò è dovuto al fatto che motori in wheel sono meccanicamente disaccoppiati tra
loro, manca quindi la trasmissione, il differenziale e i semiassi. Grazie alla loro indipendenza,
permettono al veicolo di compiere manovre prima impossibili o realizzabili tramite soluzioni
costose e di difficile realizzazione, come l’andatura laterale e diagonale che nei parcheggi
cittadini può essere comoda. La forte mobilità è possibile solo se accoppiata a un sistema
“drive by wire” il quale non prevede l’utilizzo di organi meccanici tra i sistemi di controllo
(sterzo e acceleratore) e le ruote. Il tutto è gestito elettronicamente, il che permette una
completa rivisitazione delle posizioni di guida, il pilota è libero da ogni vincolo di
posizionamento. Potenzialmente anche i sistemi di controllo tradizionali (volante e pedali)
non sono più necessari, il volante di forma circolare delle auto nasce dalla necessità di
trasmettere rotazione al pignone per movimentare la cremagliera, non essendoci più ne
pignone ne cremagliera una qualsiasi azione opportunamente calibrata tramite il software
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può essere utilizzato come comando, alcuni prototipi per scopi dimostrativi sono guidabili dai
sedili posteriori tramite joystick (simile al sistema di guida degli aerei militari).
5.3.3.Controllo del motore elettrico
L’erogazione di potenza avviene alimentando a diversi valori di potenza elettrica, il sistema
più semplice è composto di una serie di contatti elettrici che attivano progressivamente un
numero sempre maggiore di batterie, per piccole accelerazioni si usano poche batterie, per
grandi accelerazioni tutte o quasi tutte le batterie disponibili. Questo metodo è facilmente
realizzabile ma restituisce un’erogazione a “gradini”, la coppia aumenta istantaneamente
ogni volta che una nuova batteria è attivata. Vi sono altri sistemi che permettono
un’erogazione fluida e meno nervosa che saranno descritti nei prossimi paragrafi. Nel caso
di motori a corrente alternata è necessario un inverter, le celle e le batterie forniscono
corrente continua che deve essere trasformata in corrente alternata. Un controllo aggiuntivo
è il controllo della tensione, stack/batterie e motore devono lavorare ad eguali tensioni. Si
usa quindi inserire anche per i motori a corrente continua un sistema di controllo e
trasformazione CC-CC, i tre sistemi (batterie, motori e fuel cells) potrebbero lavorare a valori
di tensione e corrente diversi ma il dialogo può avvenire solo quando si hanno gli stessi
valori. I sistemi devono essere studiati in base alle applicazioni, un sistema CC-CC assorbe
valori di potenza che possono raggiungere anche il 10%, in più essi (nel caso dei motori a
corrente continua) devono essere dimensionati per sopportare il carico di sovrautilizzo.
5.3.4.Motori a corrente continua a eccitazione in parallelo
In questa tipologia di motore i circuiti di statore e rotore si comportano come resistenze in
parallelo. La corrente circola nello statore e innesca un flusso magnetico che genera la
coppia di spunto, quando la coppia di spunto ha un valore maggiore rispetto alla coppia
resistente il motore si avvia e il numero di giri cresce. Nel rotore nasce una forza
elettromotrice indotta opposta alla tensione che al crescere dei giri genera un abbassamento
della corrente e quindi della coppia fino al momento in cui la coppia si annulla. La curva
caratteristica che relaziona coppia/numero di giri è una retta che parte dal valore massimo e
si riduce fino a zero all’aumentare dei giri. Inserendo i valori della coppia resistente si ha la
velocità massima che il veicolo è in grado di raggiungere. Il numero di giri massimo si ha per
valori di coppia resistente pari a zero.
5.3.5.Motori a corrente continua a eccitazione in serie
In questa tipologia di motori il circuito di rotore e il circuito di statore si comportano come due
resistenze poste in serie, appartengono quindi a un unico circuito. Durante l’avviamento, al
calare della forza elettromotrice opposta si ha un aumento della tensione, bisogna quindi
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ridurre la resistenza in modo graduale all’aumentare del numero di giri. La curva
caratteristica (a tensione costante) è una curva con elevata coppia a giri nulli che si riduce
all’aumentare del numero di giri.
5.3.6.Sistema di controllo nei motori elettrici a corrente continua
La regolazione di potenza nei motori a combustione avviene tramite l’apertura e la chiusura
della farfalla o regolando l’afflusso di carburante all’interno della camera di combustione, nei
motori elettrici la regolazione avviene variando i parametri di tensione e corrente. Il processo
è quindi elettronico, il pedale invia un impulso al sistema chiamato chopper che taglia la
tensione in piccoli impulsi generando un’onda quadra con valori medi compresi tra la
massima tensione e 0 a seconda della richiesta. Ciò permette di regolare il moto. Il pedale
invia il segnale attraverso un potenziometro, l’angolatura del pedale è registrata e convertita
in segnale elettrico che, inviato al sistema di controllo, impone la tensione da fornire alle
ruote con corrispondenza lineare. Per aumentare la sicurezza si adottano due potenziometri,
entrambi collegati al pedale, quando si compie una movimentazione del meccanismo la
risposta dei due potenziometri è uguale, l’eventuale differenza porta a spegnimento del
veicolo, una differenza dei valori di risposta potrebbe essere dovuta ad un potenziometro
bloccato. Il circuito del pedale non è direttamente collegato al circuito di alimentazione dei
motori, questo per evitare in ogni condizione che il pilota entri in contatto con il voltaggio
elevato utilizzato da quest’ultimi.
5.3.7.Sistemi di controllo nei motori elettrici a corrente alternata
L’alimentazione dei motori a corrente alternata è composta da corrente alternata a tre fasi, la
prima trasformazione è quindi compiuta dall’inverter, i transistor contenuti nell’inverter tramite
una logica on/off generano un’onda sinusoidale. Sono necessari almeno sei insiemi di
transistor, due per ogni fase che regolano che gestiscano il picco minimo e il picco massimo.
Il regolatore di potenza è in grado di sfruttare il recupero dell’energia in frenata, le ruote a
loro volta attraverso il motore forniscono corrente alternata che deve essere trasformata in
continua per caricare le batterie. Molti produttori inseriscono batterie all’interno delle auto a
idrogeno per poter sfruttare l’energia di frenata che altrimenti verrebbe dissipata. Il recupero
è massimo per tragitti che prevedono continui stop e accelerazioni, tipici di un percorso
urbano, l’entità è minore invece per percorsi extraurbani.
5.4.Le batterie
I veicoli a idrogeno nascono per aumentare l’autonomia dei veicoli elettrici a batteria, esse
però non sono state completamente rimosse e mantengono un ruolo importante, la
tecnologia maggiormente impiegata è la Piombo-gel e presentano i seguenti svantaggi:
48
•
Capacità limitata: un pacco batterie da 500kg permette una autonomia di 60-80km,
fornendo 15kWh.
•
Peso elevato: il peso varia in base al numero di batterie e, come detto in precedenza,
il peso di un pacco batterie per garantire 80km è già elevato, aumentarne il numero
porta a pesi molto alti.
•
Ingombro: la scarsa capacità delle batterie obbliga all’utilizzo di molti moduli che
andranno a diminuire lo spazio disponibile nell’abitacolo.
•
Ricarica lenta: per motivi tecnologici la ricarica dura in media 8-10 ore
•
Durata: il numero di cicli è limitato, in media 400 cicli carica-scarica completi.
•
Costo: il costo è alto, unito alla scarsa durata alla bassa capacità porta a dover
cambiare il pacco batterie spesso e con prezzi alti.
Ricordiamo che i valori dell’autonomia sono calcolati con parametri ideali, nella realtà
l’autonomia è ancora più bassa. Vi sono altre tecnologie promettenti come le batterie NiMH
(nichel-idruri di metallo) e le batterie Zebra (prodotte dalla ditta MES-dea) che uniscono
buone prestazioni a un basso impatto ambientale, oltre alle batterie si possono usare altri tipi
di accumulatori, in particolare i supercondensatori. Accoppiare il pacco batteria permette in
più per brevi tragitti di procedere senza l’utilizzo della cella a combustibile, preservandone la
vita, un percorso breve quotidiano (qualche chilometro) potrebbe essere coperto dal solo
utilizzo del supercondensatore senza attivare la cella, in questo modo le celle si
attiverebbero solo a supercondensatore scarico per la fase di ricarica facendo lavorare la
stack nel pieno regime di massimo rendimento. Nel caso l’auto sia predisposta per la ricarica
elettrica da fonte esterna si potrebbe compiere il tragitto senza utilizzare le celle.
5.5.Confronto tra veicoli tradizionali e veicoli a fuel cells
L’approccio per il confronto si chiama “well-to-wheels” (dal pozzo alle ruote) e permette di
relazionare a livello energetico i vari combustibili dalla sorgente all’utilizzo, si divide in due
parti, la prima (upstream o well-to-tank) considera i processi a partire dall’estrazione fino al
serbatoio del veicolo, la seconda (vehicle o tank-to-wheels) considera dal serbatoio alle
ruote, il rendimento totale dal pozzo alle ruote sarà il prodotto dei due. Al loro interno sono
suddivisi ulteriormente in sottogruppi con i loro relativi rendimenti.
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5.5.1.Analisi upstream
L’analisi come detto prima tiene conto dell’energia spesa per i vari processi, i valori sono
riportati in percentuale e non riguardano i costi, in modo da essere indipendenti dalle
oscillazioni di prezzo.
Carburanti Classici Estrazione materia prima Trasporto Produzione combustibile Distribuzione Totale [%] Benzina 96,9 98,9 92 99,2 87,5 Gasolio 96,9 98,9 95 99,2 90,3 Gas naturale estrazione materia prima trasporto compressione Totale [%] Gas naturale 98 95,1 95,4 88,9 Metanolo (tecnologie di produzione) produzione trasporto Totale [%] steam reforming 62,4 99 61,8 SR con iniezione di CO2 64,2 99 63,5 Autotermico 67,1 99 66,4 Idrogeno gassoso steam reforming (centralizzato) steam reforming (decentralizzato) estrazione trasporto produzione combustibile compressione Totale [%] 98 95,1 81 83 62,7 98 95,1 72 95 63,7 tab.5: Analisi Up Stream per diversi tipi di carburante
La tabella mostra le singole percentuali e perdite. L’idrogeno è stato citato solo in forma
gassosa (la forma liquida presenta troppe perdite, il totale in percentuale è del 36,5%) e solo
da steam reforming (processo maggiormente utilizzato).
50
5.5.2.Analisi vehicle
La seconda parte dell’analisi (dal serbatoio alle ruote), compiuta con la stessa metodologia
della precedente, riporta i seguenti risultati:
(combustibili classici) motore trasmissione totale [%] benzina 18,5 92 -­β€ -­β€ 17 diesel 23,5 92 -­β€ -­β€ 21,6 metano 19,1 92 -­β€ -­β€ 17,6 fuel cell trasmissione fuel processor motore elettrico 41 95 75 82 24 43 95 80 82 26,8 48 95 -­β€ 82 37 idrogeno (metodi di produzione) idrogeno da reformer benzina idrogeno da reformer metanolo idrogeno diretto Tab.6: Analisi Vehicle per diversi tipi di carburante
I dati sono ricavati utilizzando motori benzina di ultima generazione e motori turbodiesel
common rail, l’architettura del veicolo a idrogeno presenta fuel cells direttamente accoppiate
alla batteria e al controllo del motore, la trasmissione è un riduttore, sono stati aggiunti i casi
di veicoli con un reformer di bordo.
I dati sono stati pubblicati dalle case produttrici durante i convegni tenuti nell’arco di tempo
dal 2002 al 2006.
51
5.5.3.Confronto finale (well-to-wheels)
I risultati finali si ottengono moltiplicando tra di loro i rendimenti totali. È quindi possibile
proporre un confronto diretto tra le tecnologie.
tecnologia upstream vehicle totale benzina 87,5 17 14,9 diesel 90,3 21,6 19,5 metano 88,9 17,6 15,6 idrogeno compresso da gas naturale 63,7 37 23,5 idrogeno da reformer di bordo a benzina 87,5 24 21 idrogeno da reformer di bordo a metanolo 62,7 26,8 16,8 idrogeno liqudo da gas naturale 36,5 37 13,5 Tab.7: Confronto finale (well-to-wheels) per diversi tipi di carburante
Il veicolo alimentato a idrogeno compresso e prodotto da gas naturale presenta la miglior
efficienza (23,5%), lo scarto reale sarebbe anche maggiore: i rendimenti dei motori a
combustione variano pesantemente in base alle condizioni di utilizzo, nei percorsi reali che
prevedono utilizzi dei motori a combustione al di fuori del caso di rendimento massimo si ha
un calo dell’indice vehicle, cosa molto più limitata per le fuel cells, si nota però che la cella
usata per il confronto presenta un rendimento elevato (48%). Manca il caso di produzione
d’idrogeno tramite elettrolisi con energia ricavata tramite risorse rinnovabili, i costi di
estrazione sarebbero nulli e, nel caso di impianti in loco, anche i costi di trasporto, ma questo
è possibile solo in nazioni dove vi sono impianti idroelettrici sfruttabili. Nonostante i veicoli
con reformer abbiano delle efficienze peggiori rispetto ai veicoli con sole celle combustibile
essi sono stati inseriti in un ottica di diffusione immediata della tecnologia a idrogeno, in un
periodo dove le stazioni di rifornimento non sono ancora diffuse.
52
5.6.Rifornimento
Per affermare l’idrogeno come combustibile c’è la necessità di creare un sistema di
produzione e di distribuzione. Al momento una rete di distribuzione di idrogeno esiste, ma
riguarda l’impiego nel settore industriale, le strutture dedicate ai veicoli esistono ma sono
ancora in fase sperimentale e molto poco diffuse. L’idrogeno presenta ancora alcune
problematiche distributive, lo stoccaggio per un impianto di distribuzione deve avvenire in
forma liquida, l’idrogeno gas sarebbe troppo ingombrante. I serbatoi delle vetture sono
generalmente allo stato gassoso o comunque il rifornimento avviene tramite l’utilizzo di gas,
la stazione di rifornimento necessita quindi di impianti rigassificatori.
5.7.On-board reformer
Sono sistemi di trattamento del combustibile, detti anche fuel processor. Tramite i processi
descritti in precedenza, generano idrogeno partendo da combustibili come metanolo,
metano, diesel e benzina con il vantaggio di essere di piccole dimensioni. Nonostante le
piccole dimensioni sono in grado di fornire sufficiente idrogeno da muovere il veicolo. La
trasformazione da combustibile a idrogeno può sembrare una perdita, in realtà il maggior
rendimento della cella a combustibile (rispetto ai motori endotermici) permette consumi
teorici molto inferiori. Come soluzione può essere un buon compromesso iniziale, un impiego
di questa portata delle fuel cells permetterebbe di sviluppare e distribuire i primi prototipi
immediatamente, senza aver bisogno di creare la rete di distribuzione.
5.8.Recupero dell’energia
Il sistema di recupero più conosciuto è il sistema di recupero dell’energia in frenata. Nei
veicoli tradizionali i freni a disco dissipano l’energia cinetica dell’auto trasformandola e
smaltendola attraverso il calore. L’energia viene completamente dispersa, un veicolo
stradale alimentato con un carburante tradizionale è sprovvisto dell’impianto elettrico ad alta
potenza e il prezzo dell’inserimento di tutti i sistemi e i sottosistemi sarebbe alto, tanto da
non giustificare la piccola quantità di energia recuperata. Per una vettura mossa da motori
elettrici il tutto è molto più semplice, il sistema di recupero che è composto principalmente da
generatori di energia elettrica (i motori invertibili), controller e batterie è già presente in larga
parte, si tratta quindi di adattare il tutto a svolgere la funzione richiesta. Sono in studio altri
metodi di recupero dell’energia, tra i quali il recupero dell’energia dissipata dagli
ammortizzatori, in un veicolo tradizionale il gruppo ammortizzatore è composto da molla e
smorzatore, quest’ultimo (se è presente l’impianto necessario per l’accumulazione di
energia) può essere sostituito attraverso un sistema di magneti permanenti creando energia
dalla movimentazione degli stessi. L’energia assorbita è di notevole entità e attraverso studi
si è calcolato che l’energia ricavata dagli ammortizzatori su di una strada regolare è quasi
53
paragonabile all’energia richiesta per l’avanzamento del veicolo su strada con fondo stradale
liscio e senza pendenza. In più l’energia generata dagli ammortizzatori è proporzionale al
peso del veicolo e alla velocità dell’auto, esattamente come l’energia richiesta per
l’avanzamento.
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CAPITOLO 6
Prototipi a idrogeno
6.1.BMW
Da parte della BMW l’auto presentata è la BMW Hydrogen 7, costruita su base 760Li
(ammiraglia della BMW). Il motore è lo stesso della BMW 760i, un V12 da 6 litri aspirato
originariamente a benzina, modificato con degli iniettori in camera di combustione che
lavorano ad alta pressione (300 bar) per essere alimentato ad idrogeno. È uno dei pochi
prototipi che utilizza l’idrogeno come combustibile del ciclo termodinamico e non per
produrre corrente all’interno delle fuel cells. La Hydrogen 7 è un’auto bi-fuel, in ogni
momento si può passare dall’alimentazione a idrogeno all’alimentazione originaria (benzina),
il serbatoio originale ha una capacità di 73,8 litri, al quale è stato affiancato un serbatoio a
idrogeno liquido da 110 litri. L’auto è in grado di erogare 260 CV e 390 Nm ed è in grado di
cambiare combustibile senza bisogno di riavviarsi, è stata prodotta in tiratura limitata a 100
esemplari e venduti a persone selezionate come “ambasciatori ideali”. I consumi sono molto
alti, il peso già elevato per una vettura (circa 2000kg la versione a sola benzina) è
ulteriormente cresciuto di 250kg. Il serbatoio a benzina garantisce una autonomia di 480km
(in condizioni ottimali), con un consumo di 13,9 litri di benzina per 100 km, nel serbatoio a
idrogeno sono stipati quasi 8kg di carburante allo stato liquido. La struttura è a doppia parete
con vuoto nell’intercapedine per aumentarne l’isolamento, la casa costruttrice dichiara di
aver raggiunto un valore d’isolamento paragonabile a 17 metri di polistirolo ed è in grado di
fornire una autonomia di quasi 200km. consumi sono molto alti (50 litri per 100 km)
soprattutto se confrontati con i modelli a fuel cells che si aggirano attorno ai 15 litri per 100
km. Nonostante il netto svantaggio del motore rispetto alle alternative a fuel cells, è il
serbatoio ad essere considerato il problema, l’idrogeno liquido deve essere mantenuto a 253°C, quando l’auto è alimentata ad idrogeno il serbatoio tende a salire di temperatura
aumentando la pressione dell’idrogeno, fino al valore limite in cui si deve diminuire la
pressione sfogando una parte del combustibile per evitare il cedimento (questo avviene dopo
circa 17 ore di utilizzo). Anche senza utilizzare l’auto si rischia di incorrere in questo
problema, dopo circa 12 giorni il serbatoio perde tutta la sua carica. L’idrogeno liquido
costringe l’utilizzo di speciali stazioni per il rifornimento e non essendo stato ancora
standardizzato il rifornimento sono presenti solo 5 stazioni al mondo in grado di interfacciarsi
con l’auto. Ad oggi il progetto Hydrogen 7 è stato abbandonato, e gli sforzi di BMW si sono
diretti verso altri modelli alimentati a batterie.
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6.2.Mazda
Creata nel 2003 dalla casa giapponese Mazda, la rx-8 Hydrogen RE utilizza un motore a
combustione interna per bruciare idrogeno. Avendo utilizzato come base di partenza una
Mazda rx-8, la versione a idrogeno eredita il motore a tecnologia Wankel, il quale ha
prestazioni circa doppie rispetto a motori alternativi di uguale cilindrata. È equipaggiata con
un serbatoio di idrogeno allo stato gassoso alla pressione di 350 bar, con un volume di 110
litri ed una capacità di 2,4kg di idrogeno. Il motore è in grado di erogare circa 110 cavalli se
alimentato ad idrogeno e 230 cavalli se alimentato a benzina. L’autonomia è di 100 km a
idrogeno e 550km a benzina con prestazioni meno sportive rispetto al modello originale ma
comunque molto alte per l’utilizzo stradale (170km/h di punta alimentata ad idrogeno e circa
10 secondi per lo 0-100 km/h).
6.3.Honda
Honda produce la FCX Clarity, questo modello si differenzia dagli altri per la sua
progettazione, è stato il primo ad essere progettato e commercializzato con l’idea di utilizzare
il sistema a celle combustibile, non è quindi un riadattamento di modelli esistenti ma un
modello nuovo. È in produzione e in vendita nei paesi che ne permettono la circolazione,
primo tra tutti la California. Le celle a combustibile sono state studiate direttamente dalla
casa produttrice in ottica di risolvere la problematica dell’accensione a temperature rigide,
nelle celle a combustibile è presente acqua, il clima in molti stati porta a temperature
invernali minime sotto gli 0°C ghiacciando l’acqua contenuta nella membrana, grazie a
particolari accorgimenti le celle Honda sono in grado di avviarsi anche a -30°C. Tra le
innovazioni studiate da Honda vi è la membrana (aromatic main chain) che presenta una
struttura differente e i piatti bipolari in metallo stampato (più performanti in sotto ogni aspetto,
conduzione, peso, dimensioni e conduzione termica). Il motore è in grado di erogare quasi
130 cavalli, i due serbatoi forniscono un volume totale di 156,6 litri e contengono idrogeno
allo stato gassoso ad una pressione di 350 atmosfere che fornisce alla vettura una
autonomia dei 430 km, la bombola è composta da tre strati, il più interno in alluminio, nel
mezzo fibra di carbonio e fibra di vetro all’esterno, è presente a bordo anche un sistema di
recupero dell’energia e un pacco di batterie a litio. La casa costruttrice oltre all’auto ha
studiato un impianto di piccola taglia di steam reforming per uso domestico che utilizza
metano per produrre idrogeno, è stato pensato anche un sistema che utilizza energia solare
per fornire energia al processo di elettrolisi. I componenti all’interno dell’auto sono disposti in
modo leggermente differente rispetto ai veicoli tradizionali, ma il posizionamento è stato fatto
in modo da non snaturare il concetto di veicolo moderno, le fuel cells sono disposte nel
canale centrale dove in genere è ospitato il cambio, il serbatoio è posto sull’asse posteriore
(sotto il divano posteriore), mentre il motore e la trazione sono anteriore.
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6.4.Ford
Il primo modello prodotto da Ford a idrogeno è stato su base C-Max, il Ford Focus C-Max H2
ICE. Utilizza la combustione di idrogeno; il motore ha una cilindrata di 2.3 litri,
originariamente alimentato a benzina che eroga 110 cavalli di potenza massima (se
alimentato a idrogeno). Il serbatoio è diviso in 3 unità e contengono idrogeno allo stato
gassoso a 350 bar di pressione ma l’alimentazione al motore avviene a 5,5 bar, la capacità è
di 110 litri ed è in grado di contenere 2,75 kg d’idrogeno, arrivando ad una autonomia di 200
km. La potenza elevata è dovuta ad una compressione dell’aria, il rapporto di dosatura è
molto più flessibile rispetto ai motori a benzina, il che permette di aumentare la potenza
inserendo più idrogeno e meno aria all’interno della camera di combustione. Questo modello
è stato abbandonato a favore delle fuel cells, il successivo modello Ford su base Focus
(Focus FCEV hybrid) è equipaggiato con celle combustibile ad alta potenza specifica fornite
dalla ditta Ballard. Alimentate ad idrogeno gassoso, sono in grado di erogare tramite i motori
elettrici 92 cavalli; sono accoppiate ad un sistema di recupero della potenza in frenata e
quindi a delle batterie che all’evenienza forniscono ulteriore potenza (altri 25 cavalli), il
motore elettrico è in grado di fornire il 95% di potenza frenante necessaria (invertendo il
funzionamento e recuperando l’energia). Il serbatoio è ad idrogeno compresso a 350 bar e
permette una autonomia di 300km.
6.5.Mercedes
I prototipi a idrogeno Mercedes derivano dal Classe B, l’altezza della vettura permette di
posizionare tutti i sistemi necessari distribuendoli tra vano motore e pavimento, grazie a
questo la Classe B resta presso che immutata come capacità di carico. Utilizza fuel cells e
motori elettrici, che erogano una potenza di 136 cavalli con consumi contenuti (3,3 litri di
carburante ogni 100 km). L’idrogeno è contenuto in un serbatoio in pressione a 700 bar e
garantisce un’autonomia di 390 km. Le auto sono già in fase test, il rifornimento avviene in
apposite stazioni di servizio in 3 minuti. Alle fuel cells è accoppiato un pacco batterie, il
sistema è in grado di avviarsi anche a temperature di -25°C.
6.6.General Motors
Tra i progetti General Motors vi è il Sequel, un telaio modulare. Il telaio integra le fuel cells, i
serbatoi, i motori, i sistemi di controllo delle fuel cells e il gruppo ruota completo. Grazie al
drive-by-wire è possibile controllare tutti i sistemi dell’auto tramite impulsi elettrici,
svincolando completamente l’abitacolo dall’auto. È quindi possibile creare un telaio comune
a tutta la gamma di produzione e adattare la cella abitacolo e la carrozzeria sopra di esso,
con il pilota in qualunque posizione con comandi come sterzo e pedali puramente elettronici.
Il peso è di 2 tonnellate e le dimensioni sono generose (5 metri di lunghezza),ospita 3 motori,
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il primo e più potente posto all’anteriore che fornisce una potenza di 65 kW e due di potenza
inferiore (25 kW l’uno) per le ruote posteriori. In posizione centrale sotto il pavimento sono
posizionate 3 bombole in pressione a 700 bar di idrogeno, l’autonomia dichiarata è di 480
km. Alle fuel cells è accoppiato un pacco batterie che fornisce la potenza aggiuntiva su
richiesta.
6.7.Toyota
Il prototipo realizzato da Toyota sarà commercializzato nel 2015, e ha il nome di Toyota
FCV. È una berlina lunga 4,8 metri con due serbatoi di idrogeno liquido in pressione (700
Bar). L’autonomia dichiarata dalla casa è di 700km in condizioni ottimali (utilizzando il ciclo
jc08) ed il rifornimento dura 3 minuti, l’utilizzo di gas ad una pressione superiore dal normale
permette all’auto di utilizzare stack di piccole dimensioni alimentate ad una pressione
maggiore dei precedenti modelli. La disposizione dei componenti prevede un unico motore
elettrico anteriore assieme ai sistemi di controllo della potenza e all’inverter, le fuel cells al
centro, il serbatoio grande sotto il divano posteriore e un serbatoio di dimensioni minori
sull’asse posteriore con accoppiato un pacco di batterie. Secondo i dati della casa, le fuel
cells sono in grado di erogare una potenza di 100kw, un valore più che sufficiente per l’uso
su strada. L’utilizzo della fibra di carbonio ha permesso di passare da una configurazione a 4
serbatoi piccoli a 2 serbatoi più grandi, risparmiando spazio e sistemi di gestione, le fuel cells
sviluppate da Toyota sono in gradi di attivarsi a basse temperature (testate fino a -30°C) e il
primo prototipo (Toyota FCHV) del 2002 è stato in grado di percorrere 830km con un pieno.
Le fuel cells sono state pensate per alimentare qualsiasi tipo di utenza, Toyota sta
sviluppando sistemi per utilizzare questa energia anche in casa e, secondo i loro dati, un
pieno di idrogeno garantirebbe una settimana di utilizzo ad un appartamento familiare
(calcolo effettuato con un consumo teorico di circa 10kWh).
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CONCLUSIONI
L’idrogeno può non sembrare la soluzione, i problemi sono tanti e molto impegnativi da
affrontare, il grosso della produzione è legato al metano, mentre lo stoccaggio non è ancora
ottimizzato: se si sceglie stipare l’idrogeno allo stato gassoso si devono adottare bombole di
grandi dimensioni per garantire un’adeguata autonomia, se si sceglie l’idrogeno liquido le
problematiche partono dall’isolamento fino alla perdita della carica.
Ad oggi la società si fonda sul petrolio e la maggior parte dei sistemi in si utilizza sono frutto
di decenni di sviluppo e di progresso tecnologico, paragonare i motori a benzina moderni alle
fuel cells è un errore che rischia affossare una tecnologia promettente. Non si può ancora
dire che il sistema idrogeno sia perfetto, ma scartare l’idrogeno solo perché inferiore agli
standard cui siamo abituati è un errore, se poi si aggiunge a questo che il petrolio si esaurirà,
scartare l’idrogeno diventa sinonimo di scarsa lungimiranza.
Gli sforzi si stanno dirigendo verso la diminuzione dei costi di celle e processi e l’aumento
dell’efficienza, la possibilità dell’elettrolisi associata a energie provenienti da fonti rinnovabili
come solare, eolico, idroelettrico e biomasse permette di immaginare in un futuro alimentato
da fonti pulite senza la dipendenza da fonti di energia fossili. L’aspetto ambientale non è da
sottovalutare, l’inquinamento e i suoi costi sono in crescita, ad oggi le auto a idrogeno non
emettono ne anidride carbonica ne altri gas nocivi, la produzione (basata principalmente
sullo steam reforming del metano) non è ancora ad emissioni zero ma i metodi per produrre
l’idrogeno esistono. Il sistema idrogeno non è un’utopia irrealizzabile: le auto a fuel cells
funzionano, molte case automobilistiche tra cui Mercedes con la sua flotta di Classe B
alimentate a idrogeno che ad oggi ha percorso migliaia di chilometri ha dimostrato che è
possibile realizzare un’auto senza emissioni e senza petrolio.
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Bibliografia
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Karl-Heinz Tetzlaff, “IDROGENO VERDE”, Editoriale Delfino slr
R.A. Michelin - A. Munari, “Fondamenti di Chimica per Ingegneeria”
R. B. Goldner et. All., A Preliminary Study of Energy Recovery in Vehicles Using
Regenerative Magnetic Shock Absorber. SAE Technical Paper Series 2001-01-2071
Bechis S., “Reti per la distribuzione di idrogeno e lo stoccaggio dell’idrogeno gassoso”,
Milano 2003
Linde gas (www.linde-gas.it)
Wikipedia (http://it.wikipedia.org)
www.toyota-global.com
www.daimler.com world.honda.com www.h2training.eu www.fuelcells.org www.greencarcongress.com 60
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