Taccuino 2013 – n.21 Le buone illusioni. La politica non è una parte

Taccuino 2013 – n.21 Le buone illusioni.
La politica non è una parte della società, ma è sintesi e rappresentazione di una società e di una
cultura ed è anche un sistema di potere. Perciò deve reggere il timone dell’ordine sociale e coordinare gli
interessi, i diritti, le aspettative e i bisogni della collettività. Nel momento in cui la politica abdica ai suoi
doveri e alla sua funzione cominciano i problemi in ogni ordine di convivenza sociale. Perché ciò non
avvenga, devono essere attivi, fra società civile e politica, gruppi intermedi, come i partiti politici, che, da
una parte fungano da cinghia di trasmissione del consenso su un progetto di società, dall’altra svolgano una
funzione di controllo di azioni e di responsabilità della classe politica, in riferimento non solo agli interessi
economici ma anche a quei principi morali essenziali che sono a fondamento di ogni vita di gruppo.
Sul quotidiano “La Stampa” Elisabetta Gualmini ha denunciato recentemente (13.9.2013) il “Default
della politica”, cioè la rottura del rapporto di rappresentanza, che è a fondamento della società politica, e il
conflitto sempre più acceso fra chi vuole mantenersi al potere, pur avendo perso il consenso, e chi cerca
nuove vie e forme di rappresentanza politica. Si apre perciò un periodo di transizione in cui nuovi gruppi e
uomini nuovi si rivolgono alla gente cercando di ricostituire e raccogliere fiducia e consenso e di stimolare
una nuova mobilitazione politica. In questo processo il religioso e il laico si mescolano inscindibilmente. Il
laico ha bisogno del religioso per dare peso al suo messaggio e il religioso ha bisogno del mondo laico per
fare riferimento a un ordine sociale e dare forza alla sua predicazione. E’ possibile allora, in una scambio
reciproco, che la religione fornisca un riferimento morale alla protesta, la quale cerca a sua volta di mutare
l’ordine sociale e politico.
Se i cittadini non si sentono più rappresentati dai corpi intermedi, se c’è un divorzio tra
rappresentati e rappresentanti, dice Nadia Urbinati in una intervista su “Repubblica” (14.9.2013), “sia che si
chiamino prelati o rappresentanti politici, clero o partiti”, si aprono nuovi spazi nei quali “è in gioco non
solo la riconquista della società liberale, ma della stessa Chiesa dei cristiani”; è in gioco la riforma delle due
Chiese: “La Chiesa del potere e la Chiesa della fede”. Papa Fracesco, continua la Urbinati, “avverte questo
divorzio, e riesce a colmarlo con straordinaria abilità”: “Se mi si consente il termine è un papa grillino”.
Mentre l’incapacità della politica laica e secolare cerca coperture nel recuperare la morale della
religione, come del resto avevo previsto in un mio scritto del 1993 (C.M., Dalla politica alla religione, in
Religio, Roma, Bulzoni, 1994), la sua attuale maggiore forza viene pur sempre dall’economia, o meglio
dall’economicismo e dai suoi profeti, dalla traduzione di tutto ciò che è sociale in cifre e nelle loro
interpretazioni, che solo i tecnici di settore sono in grado di valutare. Ritornano così fra la gente gli dei che
popolavano l’immaginario e le paure degli antichi romani e che, come ha dimostrato un vecchio libro,
sopravvivono e si riproducono in forme diverse in ogni cultura (vedi J. Seznec, La sopravvivenza degli antichi
dei, Torino, Boringhieri, 1981). Infatti oggi i “mercati” riproducono le immagini e le gesta del dio
“Mercurio”, che tiranneggiava la vita economica del mondo romano.
Attraverso gli antichi dei, che tornano in forme diverse nella nostra società, si governa con
l’immaginario e con la paura di cui sono prodighi economisti e politici. E’ per questo che a correggere la
Gualmini è subito intervenuto sullo stesso giornale (14.9.2013) l’economista Franco Bruni, con un articolo
su “Il prezzo della cattiva politica”, dicendo che sì, questa politica non è più credibile, ma che per fortuna
“la fiducia economica” può “benedire governi di destra e di sinistra, maggioritari o di coalizione, basta che
siano politicamente ben sostenuti, anche da compromessi, purché chiari” (dunque si riferisce a una politica
depotenziata e pianta parassitaria dell’economia). Carto, continua Bruni, cercando di indicare una soluzione
al “default” della politica, se si potessero avere “elezioni risolutive non ci sarebbe ragione economica per
rimandarle”. Questo tuttavia oggi non è possibile. Né è possibile che la politica risolva il suo”default” in tre
mesi. “Occorre almeno tutto il prossimo anno, come hanno chiesto Napolitano e Letta” affinchè “ i partiti si
diano struttura e leadership convincenti, decidano i punti dove divergono, e chiedano agli elettori di
scegliere, e quelli dove convergono, e non fanno sceneggiate per divergere”.
Non so dove Franco Bruni raccolga tante buone illusioni per poi diffonderle con tanta sicurezza e
sostenere l’attuale governo. L’insieme delle sue idee mi lascia perplesso: 1. Non ho mai visto politiche o
economie capaci di riformare se stesse senza una radicale mobilitazione sociale; 2. Non so dove l’attuale
personale politico possa prendere valori, idee e ideali capaci di ricreare fiducia e consenso per ricostituire il
rapporto di rappresentanza; 3. Se anche si potesse arrivare a un nuovo modo di fare politica dove mettiamo
politicanti e politici del vecchio regime che pretendono di essere loro la politica?
Forse è bene essere un po’ più realisti, farci meno male con troppe illusioni e lasciare che quanto
prima i cittadini possano esprimersi in quei margini di sovranità che sono loro consentiti. Più si ritarda e più
pesante sarà il prezzo da pagare. La mobilitazione politica della società civile può aiutarci a uscire dal
colonialismo economico e finanziario al quale siamo sottoposti per l’adozione della moneta unica senza le
garanzie e le protezioni di un’ Europa politica. Un colonialismo perciò in cui i paesi economicamente più
forti possono dettare legge ai più deboli e rafforzare il loro dominio distruggendo la coesione sociale e la
cultura di questi ultimi. A questa condizione occorre porre rimedio o creando un governo politico
dell’Europa o rivedendo i trattati che l’hanno provocata.