Il potere delle storie Media e Potere nel racconto della politica internazionale Dott.ssa Alessandra Massa - [email protected] Perché i media contano • Problema della legittimazione del potere: gli attori politici cercano pubblicamente consenso per le loro azioni di fronte ad audiences (anche immaginate), cercando di rassicurarle sulla concordia intorno alle decisioni, o sulla loro correttezza, e quindi potenzialmente assicurandosi il supporto del pubblico. • Non ‘vincono’ solo gli eserciti, ma anche le storie: nuove narrazioni per il potere contemporaneo (cfr. Nye e l’idea di soft power). • Le narrazioni strategiche sono un mezzo per gli attori politici per costruire un significato condiviso della politica internazionale al fine di modellare il comportamento di attori domestici e internazionali (Miskimmon, O’Loughlin, Roselle, 2012, p. 3). Pagina 2 Media e Politica internazionale: teorie classiche • Secondo la teoria dell’egemonia, i politici offrono l’informazione ai pubblici entro confini ideologici talmente stretti da rendere impossibile la deliberazione democratica: anche quando questi sono in conflitto da loro, resta inalterato il consenso attorno ai principi fondamentali, finendo per produrre propaganda governativa e una generale accondiscendenza verso le decisioni dei politici (per una versione ‘classica’ della teoria cfr. Herman, Chomsky, 1988 e l’idea di ‘fabbrica del consenso’). • Il dissenso tra le élites è invece centrale per la teoria dell’indexing (cfr. Bennett, 1990): questo viene mostrato solo quando rientra nella volontà dei decisori politici. L’analisi del panorama statunitense ha evidenziato come i media si prestino a trasformarsi in “un veicolo per gli ufficiali governativi per criticarsi l’uno con l’altro, riportando le critiche sulla politica statunitense espresse all’interno del governo, ma declinando il racconto delle prospettive critiche espresse fuori da Washington” (Mermin, 1999, p. 7). Pagina 3 Chi fissa il frame? Modello della semi-indipendenza della stampa • Bennett, Lawrence e Livingston, in un testo del 2007 intitolato ‘When the Press Fails’, analizzano il rapporto tra la stampa e la divulgazione delle posizioni critiche e di dissenso, sostenendo che parte della questione risieda nel rapporto tra stampa e fonti (soprattutto politico-istituzionali). • Conflitti ‘classici’ (es. aborto): la stampa prevede le diverse posizioni e ricostruisce le differenti opinioni all’interno del dibattito anche senza ricorrere alle fonti politiche. • Situazioni nuove e/o impreviste (es. crisi internazionali): le divisioni tra élite sono confuse e non predicibili, i media sarebbero liberi di strutturare il proprio giudizio, in special modo quando non si leva alcuna voce di opposizione da parte di individui considerati potenti all’interno del governo stesso. Pagina 4 Le ‘regole non scritte di Washington’ • U n a s t o r i a è r e s a ‘ v a l i d a ’ d a l l ’ a t t i v i t à d i sponsorizzazione compiuta dagli individui che occupano posizioni rilevanti. • “L’assenza di un’opposizione credibile e potenzialmente decisiva all’interno del governo stesso lascia la stampa mainstream generalmente incapace di costruire e sostenere contro-storie” (Bennett et al., 2007, p. 36, corsivo nel testo). • Le notizie tendono a riprodurre il punto di vista di: 1. 2. 3. 4. chi viene ritenuto in grado di risolvere la situazione; chi può fornire notizie con regolarità; chi ha la capacità di progettare le migliori operazioni comunicative (‘spin doctoring’); chi mantiene una certa consonanza con i valori di Washington. Pagina 5 La (semi)indipendenza La stampa ha libertà d’azione quando: 1. si inseriscono notizie guidate dagli eventi e/o rese disponibili dalla tecnologia (i disastri ambientali; le Primavere Arabe); 2. si dà spazio a forme di giornalismo investigativo o si ricorre a notizie ‘rubate’ (es. Wikileaks; Panama Papers); 3. si intervistano ‘outsiders’ che propongono la loro visione delle notizie. Pagina 6 I media come attori autonomi: il ‘mito del Vietnam’ • Tra i vertici politici e militari si diffonde l’idea che la sconfitta in Vietnam sia imputabile ai media (i giornalisti ‘sul campo’ potevano filmare e mostrare qualsiasi cosa senza alcun tipo di censura). • I giornalisti hanno un ruolo politico ‘conservatore’: ricerca di verità e non di soluzioni nei propri termini (media come istituzioni separate dal potere politico). • Il conflitto in Vietnam diventa una ‘political issue’: non supporto incondizionato alle truppe, ma indipendenza rispetto ai dettami della politica e del network di afferenza. Pagina 7 Autonomia e legittima controversia • L’autonomia dei media è minata da due fattori: 1) inquadramento della questione nell’ambito della Guerra Fredda; 2) si mostrano solo i ‘fatti’ (nessun commento critico: ‘Il Presidente ha detto’). • Tre sfere: consenso, legittima controversia, devianza. • La televisione segue i mutamenti dell’andamento del conflitto e delle opinione pubbliche: sfera del consenso sino all’offensiva del Tet; dal 1968 è impossibile ignorare le divisioni delle élites, il morale in declino delle truppe, il movimento pacifista. • Il ruolo della TV non è stato totalmente passivo (immagini cruente come riferimento condiviso del dibattito; ruolo degli anchormen), ma ha avuto un impatto cumulativo nelle opinioni pubbliche: se si crede che i media abbiano un impatto, i decisori politici agiranno di conseguenza; per la prima volta si mostrano le atrocità dei ‘nostri’. Pagina 8 Fare qualcosa: il CNN effect • Anni Novanta: fine della Guerra Fredda e nuovi tipi di conflitti (prettamente etnonazionalistici). • Le immagini dei media broadcast internazionali spingono le opinioni pubbliche a fare pressione affinché la politica agisca (‘do something factor’). • Livingston (1997) individua tre diversi tipi di azione dei media: 1. 2. 3. Media come accelerante: si accorcia il tempo a disposizione per prendere le decisioni politiche. Media come impedimento: opinione pubblica più critica quando si mostrano le fasi più sanguinose (effetti sulla rappresentazione, cfr. ‘Militainment’) oppure minaccia per le operazioni di sicurezza. Media come agenda setting: non si impongono le questioni dal nulla, ma i media contribuiscono a definirne la priorità. Pagina 9 Altri effetti dei media • Robinson (2002) offre un’ulteriore divisione dei possibili effetti dei media: – Effetto CNN forte: i media inducono i decisori ad agire, pur non entrando nel merito della decisione. – Effetti deboli: accelerante o impedimento. – Effetti potenziali: i decisori possono tenere conto della presenza dei media nel momento in cui formulano le politiche. – ‘Enabling effect’: i media creano le condizioni affinché vi sia il supporto pubblico alle azioni governative. Pagina 10 Leadership e frame • Gli effetti dei media non si risolvono nell’assenza o presenza di rappresentazione, ma dipendono dall’assenza o presenza di leadership. Quando nel 1992 si è scelto di intervenire in Somalia lo si è fatto non perché i media autonomamente avevano deciso di coprire giornalisticamente la carestia, ma perché qualche politico aveva fatto in modo che questi vi dedicassero attenzione. • Robinson (2002): il CNN Effect è subordinato al grado di certezza politica e il framing delle storie (es. ‘odio antico e radicato’ oppure enfasi sulle vittime). • Il CNN Effect è più o meno plausibile quando concorrono tre fattori: 1. 2. 3. Una linea governativa certa Dissenso delle élites Presenza di un frame dominante tra empatico, critico, di supporto e politico. Pagina 11 Questioni aperte • • • • • Appropriazione politica della retorica umanitaria. Rappresentazione dei conflitti puntiforme. Assenza dei processi di pace. Dimensione tecnologica: gatekeeping e #CNNFail. Ruolo dei newsmedia georeferenziati (Al Jazeera Effect). • Comunicazione digitale e moltiplicazione delle rappresentazioni. Pagina 12