PATOLOGIA GENERALE Prof. Ezio Laconi Lez. 22 (2°ora) 22/11/2012 Manuela Pisanu LA MALATTIA NEOPLASTICA: CAUSE E FATTORI DI RISCHIO Questi numeri, queste percentuali non vanno intese in senso stretto, sono degli ordini di grandezza del rischio associato alle diverse componenti, quindi quando leggete virus 5% non vuol dire esattamente il 5%, diciamo che il range, l’ordine di grandezza è quello. Esamineremo poi alcuni di questi principali fattori di rischio, perlomeno alcune grosse categorie, ne parleremo in dettaglio più in là. Risk factors in human cancer Tobacco: 30-35% Diet: 30-32% Other*: 30-35% *including alcohol, virus, UV light, environmental pollution, genetic predisposition and unknown factors Come era anche già riassunto nel grafico della diapositiva, se vogliamo essere ancora più pratici parliamo di categorie quindi: fumo di tabacco, dieta e altri. Grossomodo è 1/3 ciascuno, con un po’ di esagerazione rispetto al 30%, che non è esattamente 1/3, però come ordine di grandezza. Tra gli altri vedete: alcol, virus, raggi ultravioletti, inquinamento, predisposizione genetica e altri fattori sconosciuti (c’è l’arsenico, altri metalli, alcuni farmaci associati all’aumento del rischio). Le cause biologiche sono rappresentate da alcuni virus: - VIRUS DELL’ EPATITE B e C: causano, come dice il nome, un’infiammazione, un processo infiammatorio a livello epatico. L’associazione che noi conosciamo molto bene è tra il risultato finale di questo processo infiammatorio che è una fibrosi o, come viene meglio definita a livello epatico, una cirrosi e il cancro del fegato. Infatti la maggior parte dei carcinomi epatici di origine epatocellulare, quindi che originano dall’epatocita, sono su base cirrotica, parliamo del 70-80% a seconda delle statistiche. Quindi c’è un’ associazione stretta tra cirrosi, indotta da qualunque causa (sia di tipo infettivo come il virus dell’ epatite, ma anche di tipo tossico come la cirrosi alcolica dovuta alla tossicità dell’alcol sul fegato, o la cirrosi indotte da alcune malattie genetiche che colpiscono il fegato, soprattutto malattie da accumulo), e un rischio aumentato di sviluppo di epatocarcinoma. Questo quindi ci fa pensare che il ruolo del virus non sia per lo più un ruolo diretto ma che sia un meccanismo indiretto cioè il virus induce un processo infiammatorio, il quale a sua volta mette in moto una sequenza di eventi che portano alla cirrosi del fegato ed è la cirrosi il fattore di rischio. Questo però non esclude che i virus possano avere un ruolo attivo nel determinare la trasformazione delle cellule epatiche facendo loro acquisire, in parte o in tutto, comportamenti fenotipici delle cellule trasformate cioè delle cellule neoplastiche. Diciamo che in questo senso il dibattito e le ricerche sono ancora in corso, infatti si parla di dati di fatto secondo i quali alcuni prodotti, soprattutto del virus dell’epatite B sarebbero importanti nell’aiutare in un certo modo le cellule epatiche ad acquisire il fenotipo trasformato, in realtà questi non sono ancora dati definitivi. Quello che noi sappiamo di sicuro è che la cirrosi, comunque indotta (e questi virus possono causare anche la cirrosi), è un fattore di rischio per l’epatocarcinoma. Quindi i virus dell’ epatite sono associati a cancro del fegato che in alcune regioni del mondo è al primo posto come incidenza, infatti si parla di una neoplasia non rara. Del resto anche in Italia e in Sardegna rappresenta una neoplasia relativamente frequente ed è una delle poche in aumento per incidenza e per mortalità anche negli altri Paesi occidentali a causa del fatto che nei decenni precedenti le infezioni da parte di questi virus sono aumentate. - VIRUS DEL PAPILLOMA UMANO (HPV): ve ne avranno parlato approfonditamente i microbiologi, anche del vaccino, introdotto da poco contro alcuni tipi di virus HPV. Esistono più di 200 sierotipi diversi di HPV, una minoranza dei quali è associata al rischio di sviluppare carcinoma, in particolare della cervice uterina nel sesso femminile. Sono virus associati a neoplasie della sfera uro-genitale, anzi ano-genitale, sia nell’uomo che nella donna. Il tumore maggiormente associato a questo virus è quello della cervice uterina, ed è stato associato anche, ma ci sono degli studi ancora in corso, al tumore della regione testa-collo (dell’utero) e qualcuno li ha associati anche a neoplasie del colon, però in quest’ultimo caso i dati sono ancora molto provvisori. Quindi per ora le associazioni certe sono quelle della sfera ano-genitale. Questo è l’unico caso in cui, parlando di cause e fattori di rischio, con i dati in mano, l’HPV sembrerebbe un fattore necessario per la genesi del cancro della cervice uterina. Infatti la presenza di questo virus si riscontra nella quasi totalità (99%) dei casi di questo tipo di tumore. Se questo è vero dobbiamo concludere che il virus si configura come un elemento necessario per la genesi del cancro della cervice uterina, non sufficiente perché non tutte le donne che hanno il virus, anche quelle ad alto rischio, sviluppano questo cancro, ma necessario perché nessun caso di neoplasia mostra l’assenza del virus. Se fosse vero (non ne siamo ancora certi perché c’è qualche problema anche sulla determinazione della presenza del virus), se quest’associazione fosse confermata anche da studi successivi, ci troveremmo di fronte al primo e finora unico caso di un fattore di rischio che diventa necessario per la presenza della neoplasia, ciò vuol dire che senza quel virus non possiamo avere cancro della cervice uterina il che, dal punto di vista biologico, è poco plausibile perché i percorsi verso la cancerogenesi sono diversi ed è improbabile che ce ne sia uno solo, il quale prevede la presenza del virus, in assenza del quale non si può verificare il percorso verso la cancerogenesi della cervice uterina. Malgrado ciò, i dati ci suggeriscono che potrebbe essere così, è un’informazione potenzialmente corretta. Però ci potrebbe essere qualche problema anche rispetto ai dati perché oggi le metodiche che abbiamo a disposizione sono talmente sensibili che in un campione biologico possono rilevare la presenza anche di una sola copia virale e quindi può essere discutibile il fatto che un’unica copia virale o comunque una carica virale molto bassa sia responsabile della genesi del carcinoma; è discutibile che quel virus stia giocando un ruolo biologico importante in quel processo cioè, se con le mie tecniche riesco a vedere anche tracce di virus, quindi lo vedo sempre anche perché le mie tecniche sono diventate molto sensibili, è comunque da dimostrare che quel virus stia giocando un ruolo anche quando si trova in quantità molto basse. È un ambito molto interessante dal punto di vista pratico e biologico quindi degno di essere ulteriormente indagato. Se fosse vero che il virus è necessario per la genesi del carcinoma della cervice uterina, il ruolo del vaccino sarebbe ancora più importante perché, eliminando attraverso il vaccino un fattore di rischio necessario, elimino completamente l’intero processo neoplastico. Mentre smettendo di fumare si elimina una grossa quantità di casi di cancro del polmone, 70-80-90% a seconda dei casi, ma rimane comunque un 15-20% di casi non legati al fumo, in questo caso invece, eliminando il virus, secondo i dati a disposizione, potrei essere in grado di eliminare il cancro. Quindi è una situazione biologica molto particolare della quale attualmente non abbiamo altri esempi: potenzialmente è un caso unico. Il vaccino secondo i primi dati protegge dall’infezione da virus, ma protegge solo da alcuni sierotipi di HPV, non da tutti quelli ad alto rischio, ma da quelli che nei Paesi occidentali sono associati a gran parte del rischio, in particolare il sierotipo 16 e il sierotipo 18, però altri ad alto rischio non sono compresi nel vaccino. Il problema del vaccino è che è stato presentato come vaccino anti-cancro, e d’altra parte non sarebbe stato venduto se non fosse stato presentato in questo modo, infatti la sola infezione da HPV è talmente banale che non vale la pena vaccinarsi, nessuno riuscirebbe a vendere un vaccino che protegga solo dall’infezione, ma ne vale la pena solo se il virus è associato alla genesi di neoplasie. In realtà non ci sono prove che questo vaccino prevenga il cancro, l’unica prova è che il vaccino previene le infezioni, per provare che previene il cancro bisognerebbe aspettare 20 anni per vederne gli effetti, oggi non ne abbiamo la certezza. Avremmo dovuto aspettare un po’ di tempo per vedere se questo vaccino è in grado di diminuire l’incidenza anche delle lesioni precoci e di qualche step verso lo sviluppo di neoplasie, ma così non è stato. Lo sviluppo di un vaccino è un investimento immenso per qualsiasi caso farmaceutica perciò dopo che il vaccino è stato sviluppato si fa di tutto per venderlo. - VIRUS DI EPSTEIN-BARR: responsabile della mononucleosi infettiva, è diffuso in tutto il mondo, dove causa questa malattia benigna, però è associato anche ad alcuni tipi di neoplasia, in particolare a carcinoma nasofaringeo nel Sud-Est asiatico e a linfoma di Burkitt nell’Africa sub-sahariana. Non sappiamo perché ci sia questa distribuzione geografica nell’incidenza dei diversi tipi di tumori associati al virus. Associazione non significa che il virus abbia un ruolo attivo (infatti non sappiamo quale sia il ruolo), c’è però quest’associazione epidemiologica tra virus di Epstein-Barr e sviluppo di queste forme di neoplasia. È un virus che attacca i linfociti perciò non c’è collegamento diretto con il carcinoma naso-faringeo, mentre c’è maggiore correlazione con il linfoma di Burkitt, ma non sappiamo ancora quale sia esattamente il suo ruolo. Ed esistono dei casi sia di carcinoma naso-faringeo che di linfoma di Burkitt in cui il virus non è presente, perciò non è un’associazione del 100% come si prospetta per il virus del papilloma umano. - VIRUS ASSOCIATO AL SARCOMA DI KAPOSI: è Herpes virus 8. La neoplasia si manifesta in corso di infezioni da HIV, durante la quale in genere insorgono queste forme di sarcoma e in cui il virus svolge probabilmente un ruolo trasformante diretto. - HELICOBACTER PYLORI: è un batterio che causa gastrite e ulcera peptica. Il ruolo del microrganismo nella patogenesi delle neoplasie dello stomaco è probabilmente indiretto perché prima induce le lesioni, infiammatorie e ulcerative, e da queste si può passare alla lesione neoplastica come sequela ulteriore, però non lo sappiamo con certezza, potrebbe avere anche un ruolo diretto, attivo nel trasformare le cellule della mucosa gastrica. Quindi l’Helicobacter pylori è associato a carcinoma dello stomaco. - SCHISTOSOMA: è associato a formazione di calcoli a livello vescicale e a neoplasie della vescica urinaria. Anche qui probabilmente il meccanismo è indiretto infatti la calcolosi, comunque provocata, è un fattore di rischio per l’insorgenza di carcinoma della vescica. Quindi, siccome la presenza di Schistosoma genera calcolosi, è possibile che il percorso neoplastico passi attraverso la calcolosi. Vedete che abbiamo semplificato: da fattori di rischio le abbiamo chiamate cause, anche se per fattori infettivi avremmo più ragione di parlare di cause. Nel caso dell’HPV il virus è un fattore necessario ma non sufficiente nella genesi del carcinoma: in realtà parliamo dell’ 1-2% di donne che avendo contratto l’infezione da HPV svilupperanno il tumore della cervice uterina il quale nella forma iniziale può essere rimosso, perciò non è una malattia particolarmente grave se correttamente seguita. Il Pap-test evidenzia lesioni in fase molto precoce che possono eventualmente essere rimosse. Anche in questo caso non parliamo di una causa nel senso che determina sempre una conseguenza: infatti lo sviluppo di neoplasie dopo l’infezione da HPV è un evento particolarmente raro, quindi parliamo comunque di fattori di rischio e non di cause. Le cause fisiche sono rappresentate da: - ASBESTO o AMIANTO: in realtà è un classico elemento chimico, infatti sono dei silicati naturali che cristallizzano in forma di fibre, le quali possono essere di due tipi: serpentine o anfibole. Le prime sono curve e pieghevoli e rappresentano la gran parte delle fibre presenti nell’amianto, mentre una percentuale minore sono anfibole, più lunghe e sottili, aghiformi, con lunghezza maggiore di 8µ e spessore inferiore a 1,5µ. La considerazione dell’asbesto come causa fisica è dovuta al fatto che solo le fibre anfibole sono associate a rischio di neoplasia infatti, essendo più sottili e più lunghe delle serpentine, la loro cancerogenicità è legata all’aspetto fisico: per questo intendiamo l’asbesto come un fattore di rischio di tipo fisico pur essendo una sostanza chimica. Non si conosce il meccanismo d’azione di questo materiale però, viste queste caratteristiche associate al rischio, pensiamo che agisca attraverso un meccanismo di tipo fisico. Queste particelle vengono inalate. L’amianto è associato a neoplasie della pleura e del polmone infatti è il classico fattore di rischio per il mesotelioma pleurico che è una neoplasia relativamente rara, ma nella popolazioni esposte ad asbesto diventa una delle più frequenti. Anche le neoplasie del polmone possono essere aumentate dall’esposizione all’asbesto e, se oltre all’asbesto c’è anche il fumo, insieme svolgono un’azione sinergica moltiplicando gli effetti dannosi per la salute. Nel caso dell’amianto c’è un esempio di latenza: quando è stato possibile rintracciare le prime esposizioni a questo fattore di rischio, si è visto che tra l’esposizione e la comparsa delle conseguenze intercorrono decenni, infatti il periodo di latenza è tra i 15 e i 40 anni. Non conosciamo ancora in che modo l’asbesto induca neoplasie, ma pensiamo che le fibre lunghe e sottili siano fagocitate e si è visto che in vitro, dopo la fagocitosi, ci possono essere aberrazioni cromosomiche; non sappiamo se con questo stesso meccanismo agisce anche in vivo. Sappiamo che in vivo induce asbestosi, che è un fenomeno di fibrosi a carico del polmone e quindi svolge un ruolo nel processo infiammatorio. - RADIAZIONI. Due tipi: radiazioni corpuscolari rappresentate da particelle subatomiche e radiazioni elettromagnetiche rappresentate da raggi ultravioletti e da raggi X. Le seconde inducono un rischio maggiore, soprattutto i raggi ultravioletti della luce solare. Le radiazioni provocano processi di ionizzazione e formazione di specie molecolari altamente reattive, stesso meccanismo d’azione di molte sostanze chimiche cancerogene che agiscono formando specie altamente reattive: questo è in comune a cause fisiche e chimiche. Formano intermedi metabolici altamente reattivi e chimicamente instabili che tendono a interagire con le altre molecole suscettibili di interazione che stanno intorno: in questo modo si formano legami chimici, spesso stabili (anche covalenti), che modificano le molecole biologiche modificando di conseguenza la chimica della cellula. Questo è un meccanismo comune anche alle radiazioni: effetto diretto su molecole cellulari o indiretto attraverso radiolisi dell’acqua dalla quale si formano composti reattivi che interferiscono con le molecole biologiche. L’intensità della radiazione diminuisce col quadrato della distanza. Fattori importanti nel determinare l’intensità delle radiazioni sono: presenza di ossigeno (maggiore è la quantità, più le radiazioni sono tossiche) e la fase del ciclo cellulare nella quale si trova la cellula bersaglio (la fase S è la più sensibile, ma dipende anche dal tipo di cellula). I primi che si accorsero che le radiazioni sono pericolose sono stati i radiologi e i tecnici (di radiologia). Le radiazioni furono introdotte nella diagnostica perché mostravano immagini chiare dello scheletro e inizialmente venivano usate senza controlli, ma presto si scoprì che, anche se invisibili, sono dannose, perciò radiologi e tecnici furono i primi a sviluppare neoplasie della cute a seguito di esposizione a radiazioni. In seguito a questa scoperta si presero in esame i dati riguardanti l’alta incidenza di neoplasie tra i minatori, infatti si sapeva che in particolare nelle miniere, ma non solo (infatti anche nell’aria sono dispersi elementi radioattivi che provocano radiazioni ambientali), sono presenti gas, soprattutto radon, che se inalati possono aumentare il rischio di sviluppare neoplasie. Quindi tumori al polmone dovuti al radon sono molto frequenti tra i minatori. Tumori alla tiroide dovuti a irradiazione del timo. Tumori alla mammella dovuti alle radiazioni utilizzate per curare la mastite (infiammazione della ghiandola mammaria). Per quanto riguarda la mammografia il problema è stato sollevato seriamente negli Stati Uniti, non solo per quanto riguarda le radiografie ma per quanto riguarda l’eccesso di indagini radiologiche effettuate nella clinica. Questo problema riguarda direttamente l’oncologia, ma non solo questo campo. I dati ci dicono che molte indagini radiologiche potrebbero essere evitate. Se queste indagini radiologiche vengono considerate a livello di popolazione raggiungono livelli di esposizione enormi, sul singolo individuo potrebbero essere trascurabili, ma considerando la dose di radiazione distribuita sulla popolazione generale in un Paese a seguito dell’eccesso di utilizzo di radiazioni a scopo diagnostico, diventa una quantità importante. Perciò è necessario chiedersi quanto questa enorme esposizione in eccesso, distribuita sulla popolazione, stia aumentando il rischio di contrarre patologie neoplastiche: a questo punto il problema non è più trascurabile. Perché sul singolo quella piccola dose può aumentare di pochissimo il rischio, ma provate a pensare cosa significa che il rischio aumenta di poco sulla popolazione. I fattori di rischio per la patologia neoplastica nella loro generalità sono piccoli, la loro somma fa il totale nel senso che anche aggiungendo poco potremmo far traboccare il vaso. Perciò noi dovremmo evitare di aggiungere anche il minimo sapendo che è un rischio e può essere evitato. Si è discusso a lungo riguardo il fatto se sia opportuno fare la mammografia per lo screening del carcinoma mammario tra i 40 e i 50 anni visto che anche questo esame utilizza radiazioni, sebbene in dosi molto basse. Le linee guida sono concordi sul suggerire il suo utilizzo sicuramente dopo i 50 anni, mentre in alcuni casi si suggerisce ancora dopo i 40 anni. Le neoplasie a insorgenza precoce sono i casi che ci preoccupano di più, e ci sono un numero discreto di neoplasie della mammella che insorgono anche prima dei 40 anni, molti tra 40 e 50. Quindi esiste il problema della diagnosi precoce anche di queste neoplasie, però a fronte di questo, c’è il rischio di esporre un tessuto mammario ancora ghiandolare a radiazioni che potrebbero essere evitate. Infatti dopo i 50 anni o comunque dopo la menopausa, il tessuto ghiandolare della mammella diminuisce, va in atrofia sostituito da tessuto adiposo, mentre tra i 40 e i 50 anni c’è ancora tessuto mammario ghiandolare. C’è anche un problema di interpretazione della mammografia: tra i 40 e i 50 anni è un tessuto ancora denso perché è tessuto ghiandolare, dopo i 50 anni diventa prevalentemente tessuto adiposo, tipico tessuto facilmente indagabile attraverso le radiazioni perché è radiotrasparente perciò qualunque lesione radioopaca è evidenziabile, mentre se c’è ancora tessuto ghiandolare l’analisi non è così semplice. Quindi ci sono ragioni sia legate al non esporre mammelle ancora giovani a una dose di radiazioni che può essere un rischio, sia considerazioni più pratiche nell’interpretazione dei risultati. Oggi la gran parte delle linee guida suggeriscono di spostare la mammografia a dopo i 50 anni e l’intervallo tra una mammografia, se negativa, e la successiva è di 3 anni perché il processo neoplastico ha una latenza tale per cui se non c’è una lesione oggi è poco probabile che ce ne sia una non recuperabile dopo 3 anni. Sicuramente esistono delle eccezioni, ma dovendo decidere riguardo la popolazione generale ci si basa sulla regola perché allo stato attuale delle conoscenze non conviene esporsi annualmente a una dose di radiazioni per diagnosticare neoplasie mammarie in quanto il rischio corso è maggiore del beneficio ricavato. Un altro esempio tragico degli effetti delle radiazioni sono le bombe di Hiroshima e Nagasaki a seguito delle quali ci furono numerosissimi casi di leucemie e di tumori solidi. Un altro episodio più recente è l’incidente di Chernobyl (1986) con conseguenti neoplasie alla tiroide e ad altri organi anche sulla base degli elementi radioattivi rilasciati durante l’incidente. Il rischio numericamente più importante è legato alle radiazioni ultraviolette del Sole che provocano, ma in questo caso potremmo anche dire causano anche se contribuiscono anche altri fattori, carcinomi della cute nonostante non siano pericolosi perché si individuano in fretta. C’è stato un aumento di 15 volte negli ultimi 70 anni dell’incidenza di melanoma, soprattutto in persone dalla pelle chiara che emigrano in zone dove la radiazione solare è molto forte: negli USA i neri hanno un’incidenza di 1/10 rispetto ai bianchi, in questo caso è importante la componente genetica infatti la popolazione nera è protetta dagli effetti nocivi dei raggi UV perché producono maggiori quantità di melanina. Alta incidenza in Australia dove sono emigrati i bianchi, infatti la popolazione autoctona è scura. Ma la predisposizione genetica non spiega tutto. Individui affetti da xeroderma pigmentoso dovuto a carenza degli enzimi XP (xeroderma pigmentoso) deputati al riparo dei danni del DNA indotti dai raggi UV. Questi individui hanno un rischio relativo di 1000 volte maggiore rispetto al resto della popolazione (se si pensa che nei fumatori il rischio relativo di contrarre il tumore del polmone è 10 volte maggiore che nel resto della popolazione), ciò significa che è quasi automatico che sviluppino tumori della cute.