27 Luglio
Papa dal 10/09/422 al 27/07/432
Fu in relazione con Sant'Agostino fin dal 390. Fu eletto papa nel 422.
Il suo pontificato fu molto attivo. Oltre restaurare in numerose
basilica, tra cui Santa Maria in Trastevere, e costruire la basilica di
Santa Sabina, difese il diritto della Sede Apostolica di ricevere appelli
da parte di tutti fedeli. Prese ferma posizione in difesa della purezza
della fede contro gli errori di Pelagio e Nestorio. Contro quest'ultimo
agì con grande energia e determinazione. Nel Concilio di Roma del
430 lo condannò imponendogli di sconfessare i suoi errori. Mandò,
un anno dopo, alcuni suoi legati al Concilio di Efeso, indetto dall'imperatore per risolvere
definitivamente la questione, con l'ordine di salvaguardare i diritti della Sede Apostolica e di
attenersi alle decisioni di San Cirillo. Nell’817 il suo corpo fu collocato nella basilica di Santa
Prassede e parte di esso, pare, a Mantova.
Martirologio Romano: A Roma nel cimitero di Priscilla sulla via Salaria, san Celestino I, papa, che,
solerte nel difendere la Chiesa e nel dilatarne i confini, per primo istituì l’episcopato in Inghilterra
e in Irlanda e diede il suo sostegno al Concilio di Efeso nel salutare la beata Maria come Madre di
Dio in opposizione a Nestorio.
Giustamente viene considerato come il martello del nestorianesimo. Secondo il Liber Pontificalis,
preziosa raccolta delle vite dei papi dal secolo VI al secolo IX, Celestino, figlio di Prisco, nacque
nella Campania, non sappiamo in quale anno. Pare che fosse parente dell'imperatore Valentiniano
III (+455). Eletto diacono della Chiesa di Roma, fin dal 390 fu in relazione con S. Agostino, vescovo
di Ippona (Africa). Il papa S. Innocenzo I (+417), sembra che lo abbia gratificato dell'affettuoso
titolo di "figlio mio", mentre gli esponeva alcune difficoltà sorte a proposito di Decenzio, vescovo
di Gubbio (Perugia).
Alla morte del papa S. Bonifacio (+442), fu concordemente chiamato a succedergli dal clero e dai
fedeli benché in quel tempo fosse ancora forte il partito dell'antipapa Eulalio (1419), sostenuto dai
seguaci del monaco bretone Pelagio e del suo discepolo Celestio. Appena eletto al Sommo
Pontificato, Celestino I intraprese con vigore la restaurazione dottrinale e disciplinare della Chiesa.
A Roma impose la chiusura delle chiese dei seguaci dell'antipapa Novaziano che, nel secolo III, si
sera opposto alla riconciliazione dei lapsi con la Chiesa. Fece restaurare la basilica di Santa Maria in
Trastevere, costruita da papa S. Giulio I, che era rimasta danneggiata durante l'assedio di Alarico
(410), re dei Visigoti, e la consacrò dotandola di ricchi doni. Con l'aiuto di Pietro, sacerdote
dell'Illirico, sul colle Aventino fece costruire, al posto di un più antico edificio sacro, la basilica di
Santa Sabina (425).
Il concilio di Sardica (343), oggi Sofia (Bulgaria), convocato dagli imperatori d'oriente e d'occidente
per ristabilire l'unità di fede e la pace nella Chiesa, aveva tutelato il diritto che hanno i fedeli di
appellare alla Santa Sede. Celestino I lo difese energicamente a costo di incorrere talora in errori,
come quando accolse gli appelli di Antonio, eletto da S. Agostino vescovo di Fussala (Numidia) e
poi interdetto a causa delle sue esazioni, e di Apiario, prete di Sicca Veneria, il quale, quando era
scomunicato per le sue gravi colpe, ricorreva abitualmente a Roma.
I vescovi africani non temettero di mandare una lettera al pontefice per scongiurarlo di non
accogliere con soverchia condiscendenza coloro che dall'Africa facevano ricorso a lui, di tenere
conto di alcuni privilegi locali in proposito, e di non autorizzare i delegati romani a chiedere l'aiuto
delle autorità civili per fare eseguire le sentenze pontificie.
A parte questi inconvenienti, con le sue decretali Celestino I tracciò sapienti norme. Riconobbe la
preminente dignità delle chiese di Alessandria d'Egitto e di Antiochia; sostenne i diritti del
Vicariato papale di Tessalonica (Salonicco), eretto per tutto l'Illirico benché soggetto a
Costantinopoli; difese Felice, vescovo diApollonia, presso i colleghi della suddetta regione;
richiamò i vescovi della Gallia Narbonese e Viennese all'osservanza delle leggi riguardanti le
elezioni episcopali; condannò alcuni abusi in cui taluni erano incorsi, come quello di portare il
mantello e la cintura alla maniera dei monaci e di permettere che certi sacerdoti si rifiutassero di
assolvere i moribondi che ne facevano richiesta; riprese i vescovi delle Puglie e della Calabria
perché alcune loro comunità pretendevano di presentare alle sedi vescovili candidati provenienti
dal laicato, anziché dal clero.
Con non minore zelo Celestino I tutelò la purezza della fede contro gli errori che in quel tempo
serpeggiavano in occidente e in oriente. Con la sua azione vigorosa riuscì a cacciare i capi pelagiani
dall'Europa e combatterli fino nella lontana Gran Bretagna, dove mandò in missione S. Germano,
vescovo di Auxerre (+429), con suo nipote S. Lupo, vescovo di Troyes, e nell'Irlanda, alla quale
diede il primo vescovo, S. Palladio.
A lui subentrò (342) S. Patrizio, che ne fu l'apostolo per eccellenza, fino alla morte (461). A
proposito di Giuliano, erudito vescovo di Eclano (Benevento), ribellatosi alla condanna del Concilio
Cartaginese XVI contro i seguaci di Pelagio, e a proposito di altri vescovi, seguaci dell'eresiarca,
rifugiatisi a Costantinopoli, il papa rispose alle insistenti sollecitazioni del patriarca Nestorio
ricordandogli che quella eresia era già stata condannata. Evidentemente alludeva all'accettazione
delle
condanne papali del pelagianesimo da parte di Attico (425), penultimo predecessore di lui nella
sede costantinopolitana. S. Prospero d'Aquitania, profondo conoscitore del pensiero di S.
Agostino, benché laico, informò Celestino I che nella Gallia, Giovanni Cassiano (+435) e i monaci
dell'abbazia di San Vittore da lui fondata a Marsiglia, riguardo alla grazia e alla predestinazione
sostenevano idee semipelagiane.
Male interpretando il pensiero di S. Agostino, i seguaci di Pelagio insegnavano che il peccato
commesso da Adamo nocque a lui solo; che i bambini nascono senza il peccato originale che
l'uomo può evitare il male e acquistare la visione beatifica con le sue sole forze sole naturali; che
non esiste l'intrinseca grazia divina, del resto non necessaria; che la redenzione non è
rigenerazione dell'uomo mediante la grazia, ma piuttosto un appello ad una vita più alta da
acquistarsi con le proprie forze. I semipelagiani invece insegnavano che non si richiede la grazia ad
iniziare la fede e la santificazione, ma solo a completare l'una e l'altra; che Dio concede la grazia
secondo i nostri meriti e le nostre disposizioni positive a riceverla; che la perseveranza finale è
frutto dei nostri meriti.
Il 15 maggio 431 Celestino I prese le difese di S. Agostino, morto l'anno precedente, scrivendo ai
vescovi della Gallia: "Agostino è restato costantemente in comunione con noi e non è mai stato
sfiorato dall'ombra di un sospetto. La sua scienza era così eminente che diversi miei predecessori
lo computavano già tra i migliori dottori". E invitò quei vescovi a proibire che "certi preti, i quali
suscitano controversie disordinate, predichino con tanta ostinazione cose contrarie alla verità".
Non minore energia il santo pontefice dimostrò contro l'eresia di Nestorio, convinto com'era che il
popolo è da ammaestrarsi, non da seguirsi. Il patriarca di Costantinopoli affermava l'integrità della
natura umana di Cristo, ma non riusciva ad immaginare una natura completa esistente che non
fosse persona, vale a dire soggetto autonomo di esistenza e di attività. Quindi, come doveva
ammettere una persona divina in Gesù, così Gli attribuiva anche una persona umana. Essendo le
due persone naturali indipendenti l'una dall'altra, tanto nell'esistenza quanto nelle azioni, la loro
unione non poteva essere ontologico-ipostatica, ma psicologico-morale, che consiste nel pieno
accordo fra le due volontà in Cristo e nella comunione delle azioni, in quanto una delle persone
liberamente si serve dell'azione dell'altra. Quest'armonia delle volontà e la comunione delle azioni
che ne nasce, sono i costitutivi della persona composta di Cristo. Ne consegue che non c'è la
mutua attribuzione delle proprietà della natura umana e della natura divina in Cristo: Dio non è
nato, non è stato crocifisso e non è morto; Maria SS. non è madre di Dio se non impropriamente,
perché generò non già la divinità, ma quell'uomo che venne assunto dal Verbo divino. Ammette
però uno scambio delle proprietà, limitato alla persona composta di Cristo, alla quale possono
riferirsi gli attributi divini e umani: non l'uomo, ma il Verbo è Figlio di Dio, come non il Verbo, ma
Cristo è figlio di Maria. Nestorio, non contento di predicare simili errori, mandava un po' ovunque i
suoi sermoni e scriveva lettere su lettere a Celestino I per informarlo delle lotte che fervevano
nella sua chiesa bizantina. Il papa, non potendo rivolgersi per consiglio ad Agostino a causa
dell'invasione dei Vandali, interpellò Cassiano il quale non tardò a rispondergli che era sfavorevole
alle idee di Nestorio.
Tuttavia chi ne scoprì il punto debole fu S. Cirillo di Alessandria il quale aveva un concetto molto
preciso dell'unità personale di Cristo. La polemica arse tra loro due finché Cirillo espose a Celestino
I i pericoli che correva la fede in oriente e gli chiese una sentenza di condanna. Il papa radunò a
Roma un sinodo (430), condannò gli errori di Nestorio e gl'impose di ritrattarsi formalmente per
scritto entro dieci giorni pena la deposizione.
La sentenza fu affidata a Cirillo quale rappresentante del papa. Questi cercò di distaccare la corte
di Teodosio II da Nestorio, ma non vi riuscì. Dovette anzi accettare la convocazione di un concilio
ecumenico ad Efeso, se non voleva cadere in disgrazia dell'imperatore. Il vescovo di Alessandria vi
comparve (431) con un bei numero di amici compatti e agguerriti contro l'eresia. I Legati romani
non arrivarono in tempo all'apertura del concilio, drillo, che aveva fretta di concludere,
considerandosi ancora rappresentante del papa, si credete in diritto di presiederlo. Nestorio fu
invitato a prendervi parte, ma non comparve. Fu allora esaminata la lettera con cui Celestino I
incaricava Cirillo di deporre Nestorio e i dodici anatematismi del sinodo tenuto ad Alessandria
contro le false teorie di lui. La sua dottrina fu esaminata e giudicata in base ad alcune dichiarazioni
e omelie dell'imputato.
L'eresiarca fu condannato e deposto e, in seguito, esiliato. I suoi beni furono confiscati e i suoi libri
bruciati. I vescovi del concilio vennero accompagnati alle loro case con torce accese, mentre tutta
la città si illuminava a festa. All'arrivo dei Legati pontifici il concilio tenne le sue ultime sessioni. Gli
inviati del papa, che avevano avuto istruzione di affidarsi a Cirillo, sottoscrissero la sentenza contro
Nestorio e ne informarono Celestino I. Avevano voluto che la decisione del concilio romano fosse
considerata definitiva "ben sapendo che Pietro è alla testa della fede comune e di tutti gli
apostoli". Il papa nelle lettere dirette nel 432 ai padri conciliari, all'imperatore, al nuovo patriarca
Massimiliano, al clero e al popolo di Costantinopoli, espresse tutta la sua esultanza per il trionfo
della verità sull'errore, e indicò come dovevano essere trattati Nestorio e i suoi seguaci.
Il concilio di Efeso non riportò la pace nella chiesa orientale. Le passioni umane che entrarono
nella controversia nestoriana, e lo stato imperfetto della formulazione teologica del dogma
dell'unione ipostatica, protrassero ancora a lungo la lotta fra gli avversar! e gli amici del deposto
patriarca. Celestino I morì il 27 luglio 432 e fu sepolto a Roma nel cimitero di Priscilla. S. Pasquale
(+824) ne fece trasportare le reliquie nella basilica di Santa Prassede, che lui aveva fatto ricostruire
e adornare di splendidi mosaici.