Stampa in PDF - Corriere.news

annuncio pubblicitario
Corriere.news - 10-10-2016
di Amalia Triggiani - http://corrieretv.news
Liolà di Arturo Cirillo apre la stagione teatrale del Teatro Stabile
di Amalia Triggiani - Pubblicato lunedì, 10 ottobre 2016
http://corrieretv.news/2016/10/10/liola-di-arturo-cirillo-apre-la-stagione-teatrale-del-teatro-stabile/
Dal 19 ottobre al 30 ottobre 2016 la celebre opera di Luigi Pirandello Liolà sarà portata in scena da
Arturo Cirillo al Teatro Stabile San Ferdinando di Napoli. Infatti, l'apertura della stagione 2016/2017, non
poteva che essere affidata a uno dei registi napoletani più interessanti tra quelli di nuova generazione, con
un testo che, sebbene non rinvii direttamente alla cultura della nostra città, presenta non pochi legami.
Nel 1935 venne portata in scena una riduzione dell’opera in napoletano, adattata da Peppino De
Filippo con la partecipazione di Luigi Pirandello, che assistette anche alle prove, dove la differenza
maggiore consisteva proprio nello spostamento della scena dalla campagna agrigentina a quella della
costiera amalfitana.
Nei panni del protagonista, Neli Schillaci detto Liolà, lo spensierato dongiovanni del titolo, avremo
Massimiliano Gallo, uno degli attori napoletani più versatili del momento che è già stato apprezzato
protagonista di diverse produzioni dei teatri stabili napoletani e lo stesso regista, Arturo Cirillo,
parteciperà alla rappresentazione teatrale attivamente interpretando zio Simone Palummu, ricco massaio.
La società contadina descritta da Pirandello nella commedia, richiama, per certi versi le
tematiche verghiane, quelle caratterizzate dalla brama di possesso per le ricchezze materiali, per la terra,
per la roba.
In questo mondo rurale, piccolo nel suo egoismo e ipocrisia, grandeggia e agisce da elemento sovvertitore
la figura panica di Liolà, un semplice bracciante che, senza alcun interesse per il benessere materiale, vive
senza remore la sua sessualità, sconvolgendo allegramente e senza neppure accorgersene, le regole grette
e meschine della morigerata società in cui vive. È un individuo che dà voce alla sua personalità più viva e
autentica indifferente alla forma che la società gli vorrebbe imporre.
Come in altre opere di Pirandello, proprio colui che appare il colpevole trasgressore delle norme sociali è
invece il giusto e generoso riparatore dei torti subiti da chi è stato ingannato: aiutando Mita ad essere
riammessa in casa del marito, mettendola incinta quasi per burla, Liolà, seguendo spensieratamente la sua
natura, ristabilisce la giustizia.
Anche il tema tipicamente pirandelliano della impossibilità per gli uomini di conoscere la realtà in quanto
proiezione soggettiva della nostra personalità, o meglio del ruolo sociale che abbiamo, è raffigurato nel
personaggio dello zio Simone che riconosce come figli due bambini che in realtà non sono suoi ma che a
lui appaiono come sua progenie.
La commedia fu scritta in dialetto siciliano nell’agosto del 1916 durante la prima guerra mondiale, in un
passaggio doloroso della vita dell’autore angosciato dalla prigionia in un campo di concentramento del
figlio Stefano e dalle sempre più frequenti crisi della malattia mentale della moglie Antonietta.
In una lettera al figlio prigioniero Pirandello si compiaceva del suo lavoro: «L'ho scritta in quindici
1/6
Corriere.news - 10-10-2016
di Amalia Triggiani - http://corrieretv.news
giorni, quest'estate, è stata la mia villeggiatura. È così gioconda, che non pare opera mia».
La commedia fu messa in scena il 4 novembre 1916 dalla Compagnia comica siciliana di Angelo Musco,
che interpretò la parte del protagonista; nelle quattro repliche il pubblico e la critica stentarono a
comprendere la parlata girgentina dei dialoghi. L'autore si rese conto delle «difficoltà del dialetto
siciliano strettissimo perché campagnolo» e provvide a una traduzione italiana inserita nel volume Liolà.
Commedia campestre in tre atti: Testo siciliano e traduzione italiana a fronte, del 1928 è una nuova
edizione in lingua pubblicata a Firenze.
La vicenda di Liolà, ispirata a un episodio del capitolo IV del Fu Mattia Pascal, ha per protagonista il
contadino poeta Neli Schillaci detto Liolà nome e soprannome già attribuiti, nella novella La mosca, a un
altro giovane contadino poeta, Neli Tortorici. La vocazione alla poesia e al canto di Liolà si manifesta
nelle sue canzoni che postillano il corso della vicenda e definiscono un personaggio spensierato e
vagabondo, in sintonia con le voci della natura. Le canzoni evidenziano così l'insita musicalità di un testo
che si propone come un inedito e felice musical campestre.
L'azione si apre nella «campagna agrigentina» in settembre, mentre le contadine sono intente a
schiacciare le mandorle nel podere della zia, Croce Azzara, sorvegliate dal cugino, lo zio Simone
Palumbo, ricco massaro sessantenne. Zio Simone sposato in seconde nozze con la giovane Mita, è in pena
perché dopo quattro anni di matrimonio non ha ancora un figlio a cui lasciare la «roba». Sul vecchio,
ossessionato dal cruccio della mancata paternità, convergono le trame dei giovani, Tuzza, Liolà e Mita, in
un incrocio di ripicche e vendette. Tuzza è la figlia di zia Croce e nipote di zio Simone; Liolà è un
giovane bracciante, canterino e seduttore, «cento ne vede e cento ne vuole», che ha reso madri tre ragazze
della contrada e allegramente si è tenuto i bambini, affidandoli a sua madre, la zia Ninfa; Mita è una
povera orfana che zio Simone ha sposato per avere il sospirato erede e che ora disprezza per la sua
presunta sterilità. Tuzza per far dispetto a Mita, che prima di sposarsi trescava con Liolà, si è lasciata
sedurre da lui e ne è rimasta incinta. Liolà, «solo per coscienza» ne chiede la mano, ma viene respinto
perché Tuzza non si fida di un marito che sarebbe «di tutte» e progetta piuttosto, con la complicità della
madre, di farsi riconoscere il figlio dallo zio, vecchio ma ricco, facendo leva sulle sue velleità mascoline.
Nel secondo atto lo zio Simone, che si è lasciato raggirare, con stolida fierezza grida in faccia alla moglie
che il figlio di Tuzza è suo e ora «deve lasciarle tutto, ché gli ha dato la prova che non mancava per lui».
Mita, per sottrarsi alle furie del marito, si rifugia dalla zia Gesa, vicina di casa di Liolà. Il giovane
contadino e Mita sono ora accomunati da motivi di rancore nei confronti di Tuzza, l'uno perché è stata
sdegnata la sua offerta di nozze riparatrici, l'altra per l'intrigo del figlio attribuito a don Simone, che le
porterà via il marito e la «roba». In un dialogo con la ragazza Liolà le offre le sue risorse di amante
prolifico per dare al vecchio marito quel figlio tanto sospirato, così «come sta per averlo da Tuzza». Mita
rifiuta, ma la sera gli apre la porta di casa.
Nel terzo atto, un mese dopo, al tempo della vendemmia zio Simone può finalmente annunciare che la
moglie gli ha dato la consolazione di un figlio legittimo. Il vecchio, gratificato, vorrebbe ora indurre Liolà
a prendersi in moglie Tuzza, ma Liolà rifiuta perché sposandola gli «sarebbero morte nel cuore» tutte le
canzoni per coscienza può solo prendersi il figlio, affidandolo, come gli altri tre, a sua madre. Tuzza,
furibonda, gli si scaglia addosso con un coltello. Liolà, che ha riportato solo un graffio di striscio, la
consola cantandole a dispetto: «Non pianger, Tuzza, non t'addolorare! Tre, e uno quattro - e gl'insegno a
cantare!».
2/6
Corriere.news - 10-10-2016
di Amalia Triggiani - http://corrieretv.news
Alla commedia mancò il successo, perché nel finale, come notò Antonio Gramsci sull’ Avanti! , «per il
pubblico ci voleva il sangue o il matrimonio»; tuttavia aggiunse: «è il prodotto migliore dell'energia
letteraria di Luigi Pirandello, è una farsa che si riattacca ai drammi satireschi della Grecia antica,
Mattia Pascal, il melanconico essere moderno, vi diventa Liolà, l'uomo della vita pagana, pieno di
robustezza morale e fisica».
Liolà fa parte della seconda fase dell'autore, quella del teatro umoristico-grottesco.
Infatti l'operato dello scrittore siciliano si può dividere in quattro fasi: la prima è quella del teatro
siciliano, dove è ancora alle prime armi, i testi sono scritti interamente in lingua siciliana perché
considerate dall'autore più viva dell'italiano e capace di esprimere maggiore aderenza alla realtà.
La seconda fase riguarda invece il teatro umoristico, man mano che l'autore si distacca dal verismo e
naturalismo si avvicina al decadentismo e inizia così il teatro umoristico, nel quale presenta personaggi
che incrinano le certezze del mondo borghese e introducono la versione relativistica della realtà,
rovesciano i modelli consueti di comportamento ed esprime la dimensione autentica della vita aldilà della
maschera. La terza fase è quella del teatro nel teatro dove le cose cambiano radicalmente perché per
Pirandello, il teatro deve parlare anche agli occhi non solo alle orecchie, a tale scopo ripristinerà la tecnica
teatrale di Shakespeare, il palcoscenico multiplo, in cui vi può per esempio essere una casa divisa in cui si
vedono varie scene fatte in varie stanze contemporaneamente. Abolisce il concetto di quarta parete, la
parete trasparente che sta tra attori e pubblico. In questo periodo in drammaturgo incontrò un grande
autore teatrale italiano del ventesimo secolo, Eduardo de Filippo con il quale nascerà un'amicizia che
durerà tre anni.
La quarta fase pirandelliana è il teatro dei miti che però sarà la sua fase meno vitale.
La famiglia in cui Luigi Pirandello nasce, nel 1867 ad Agrigento è proprietaria di alcune miniere di zolfo.
Dopo i corsi all'università di Palermo lo scrittore approfondisce gli studi umanistici a Roma dove si laurea
in filologia romanza e nella stessa città, in cui si stabilisce dopo la laurea entra in contatto con il mondo
letterario e collabora con alcuni importanti riviste letterarie. Intanto muove i primi passi nella scrittura di
romanzi. L'inizio del novecento costituisce un periodo molto difficile per l'autore, a cominciare
dall'aspetto economico, seriamente compromissione il mio 900 che in seguito all'allagamento di una
miniera di famiglia. Tuttavia il fatto che maggiormente influisce sulla sua vita e sull'opera e la malattia
mentale della moglie che sarà definitivamente ricoverata in una clinica psichiatrica nel 1919. La
produzione narrativa più consistente risale sostanzialmente a questi anni: il primo romanzo composto
dall'autore si intitola L’Esclusa. Apparentemente si tratta di un romanzo naturalista che vuole illustrare i
condizionamenti dell'ambiente o di una storia della provincia siciliana, arretrata e ancorata ai suoi tabù,
ma è invece un'indagine sulla psicologia della protagonista, non tanto esclusa dalla società per la sua
colpa, ma esclusa dalla vita per la sua incapacità di vivere e di amare. Nel romanzo, Pirandello anticipa
certe soluzioni del grottesco, una particolare deformazione della realtà per cui si piange di ciò che
dovrebbe far ridere e viceversa. Il grottesco era una tecnica in uso nel teatro degli anni della prima guerra
mondiale. La protagonista è dapprima cacciata di casa benché non sente, quindi di raccolta
amorevolmente benché colpevole.
Anche il secondo romanzo, il Turno del 1895, presenta situazioni comico -grottesche, che servono a
gettare discredito sul matrimonio e sulla famiglia, i pilastri della concezione borghese della vita: Pepè
3/6
Corriere.news - 10-10-2016
di Amalia Triggiani - http://corrieretv.news
Alletto è innamorato della giovane Stellina, ma il padre di lei le fa sposare un vecchio e ricco signore
nella speranza che muoia presto e che lascia stellina il suo patrimonio. Il vecchio sposo, però, non muore
e si ricorre all'avvocato per ottenere la separazione. A questo punto stellina deve sposare l'avvocato che
muore di infarto e viene il turno di Pepè. Il romanzo rappresenta una critica le convenzioni sociali
attraverso moduli comici gli affronta il tema del conflitto tra matrimonio d'amore e matrimonio di
interesse.
A partire dal 1897 e di un incarico di insegnante di lingua italiana all'Istituto superiore del magistero ma
già in quei primi anni della sua attività artistica Pirandello era attratto dal teatro e componeva commedie e
atti unici, che tuttavia non trovarono accoglienza presso le compagnie: per questo il suo esordio teatrale
fu rimandato di circa vent'anni.
Nel 1903 una frana distrusse la miniera di zolfo dove il padre dell’autore aveva investito anche la dote di
Antonietta Portulano. La notizia del disastro finanziario provocò nella donna una crisi nervosa che si
manifestò dapprima sottoforma di paralisi isterica che la costrinse a letto per alcuni mesi e in seguito,
come vere propria malattia mentale che la fisse per tutta la vita.
Mentre assisteva la moglie malata, in pochi mesi Luigi Pirandello compose il più celebre dei suoi
romanzi, il Fu Mattia Pascal, che fu pubblicato a puntate sulla rivista Nuova Antologia tra l'aprile e il
giugno 1904. La narrazione basata sulla tecnica del flashback: i fatti narrati si sono già tutti conclusi e
Mattia Pascal affida alle sue memorie, su consiglio dell'amico, a un manoscritto, con la disposizione di
leggerlo dopo la sua terza, ultima e definitiva morte.
Rispetto a il Fu Mattia Pascal, I vecchi e i giovani del 1909, che pure richiese all'autore grande impegno
di documentazione e di stesura, pè considerato meno interessante: il tema centrale è il conflitto
generazionale dovuto alla perdita di valori della generazione più giovane. Nel 1911 Pirandello compose il
romanzo Suo marito, imperniato sull'incapacità di amare di un personaggio femminile la scrittrice Silvia.
Venuto meno l'assegno paterno, il saggista intensificò la sua collaborazione per i giornali, facendo della
narrativa il suo mestiere. E, nel 1908 scrisse più importante dei suoi saggi, L'umorismo. Per questo saggio
che teorizzava il suo relativismo conoscitivo, entro in polemica con Benedetto Croce, per il quale la realtà
è razionale e perciò perfettamente interamente comprensibile. Per Pirandello, invece, la creazione coesiste
con la riflessione: l’artista non è colui che compone il reale in una visione unitaria e armoniosa, ma
piuttosto colui che scompone l’apparenza e ne mette in luce le contraddizioni.
Intanto si aggravava la malattia della moglie, la quale spesso esplodeva in violenti ingiustificati attacchi
di gelosia. Nella seconda parte dell'opera egli giunge alla definizione dell'umorismo come <<sentimento
del contrario>>, che nasce dallo scontro tra realtà e finzione, tra vita e apparenza; esso provoca
sentimenti contrastanti quali il riso e pianto.
Per tutto l'arco della sua vita, compose novelle che pubblicava su varie riviste e che periodicamente
raccoglieva in volume. Il primo volume, dal titolo Amori senza amore, apparve nel 1894, ne seguirono
poi molti altri finché l'autore e dell'idea di raccogliere tutto il materiale novellistica sotto l'unico titolo di
Novelle per un anno. Nell'edizione definitiva del 1932 le novelle sono 255, alcune di ambiente siciliano,
che hanno per protagonisti i contadini, altri ambientati a Roma, i cui protagonisti appartengono al ceto
della borghesia impiegatizia.
4/6
Corriere.news - 10-10-2016
di Amalia Triggiani - http://corrieretv.news
Il romanzo per Pirandello rappresenta la condanna della civiltà di massa e di tutti i suoi miti tecnologici,
come il cinema.
Per il teatro siciliano di Angelo Musco, Pirandello scrisse commedie e atti unici che quasi
contemporaneamente erano recitati anche la versione lingua italiana nel 1917 fece rappresentare Così è se
vi pare, immergendo gli spettatori nel cuore del relativismo conoscitivo che è la cifra più singolare della
sua opera. Nel dramma è infatti rappresentata l'impossibilità di giungere a una verità che sia uguale per
tutti. Nel 1921 rappresento Sei personaggi in cerca d'autore che in un primo momento fu fischiata dal
pubblico al teatro Valle di Roma ma nel settembre dello stesso anno dopo che il testo era stato pubblicato
in opuscolo, l'opera fu invece acclamata ovunque. Si tratta del primo esperimento pirandelliano di teatro
nel teatro. A questi si aggiunsero Ciascuno a suo modo E questa sera si recita a soggetto. Sei personaggi
in cerca d'autore che si incentra sul conflitto tra attori e personaggi. Ciascuno a suo modo analizza il
conflitto tra attori e spettatori, Questa sera si recita a soggetto quello tra gli attori diventati personaggi e
il regista: sono tre opere in cui il teatro mette in scena se stesso e riflette su se stesso, appunto meta
-teatro. Nel 1922 fu l'anno in un altro grande capolavoro, Enrico IV, moderna tragedia della follia,
ricorrente nell'autore. La follia è vista ora come un pericolo che mi da la debole struttura psichica dell'
uomo ora come soluzione di ogni conflitto, condizione di vera autenticità in cui l'uomo è finalmente
spoglio di tutte le maschere.
Egli rappresentava il contrasto tra la vita e la forma, la prima caotica e contraddittoria la seconda
vagamente si sforza di fermarla e di irrigidirla per poterla conoscere. Nel 1924, dopo il delitto Matteotti,
Pirandello si scrisse al partito fascista, senza che però lo conoscessi mai a piegarsi alla propaganda del
regime. Grazie e a questa partecipazione e della direzione artistica del teatro Arte di Roma.
Uno nessuno e centomila era un romanza congedato al quale aveva lavorato per quindici anni: lungo il
corso della stesura, si era trasformato per lui in una specie di diario in cui veniva condensando gli aspetti
più dolorosi e paradossali della sua concezione del mondo. Ricevette il premio Nobel per la letteratura e
morì nel 1936.
Nell'arco della sua vita Pirandello incontrò l'opera di grandi veristi come Capuana, Verga e De Roberto
dai quali prese le mosse per approdare al superamento della loro visione del mondo e dei loro modelli
narrativi. Al siciliano non interessava analizzare la vicenda dell'uomo nella sua lotta per la vita secondo i
canoni dell'impersonalità: egli spostava il punto d'osservazione all'interno della vita si dica e ne scopriva
la fragilità e di coerenza.
La produzione di romanzi coprì tutto l'arco della vita di Pirandello. Erede dei veristi si stacco ben presto
da questi modelli e approdò al modello narrativo che non indaga tanto le vicende esterne dei protagonisti
e i condizionamenti che l'ambiente esercita su di loro quanto il disagio esistenziale dei personaggi che
attraversa una grave crisi di entità non hanno certezze e ideali su cui orientare la propria vita.
A Pirandello la realtà si presenta come un magma caotico egli tende però a staccarsi dal quel perenne e
indistinto flusso per affermare la propria identità: per questo indossa una maschera, cioè adatta una serie
di atteggiamenti coerenti che costituiscono la sua personalità. Ma così facendo, si sottrae al flusso della
vita e comincia a morire.
La maschera, nella convenzione teatrale, è uno schermo imposto sul volto dell'attore perché possa meglio
5/6
Corriere.news - 10-10-2016
di Amalia Triggiani - http://corrieretv.news
rappresentare la sua parte. La maschera comporta un'operazione di occultamento, di copertura: è
impensabile volerla denudare. Ma per Pirandello la maschera non è solamente una convenzione teatrale
bensì una metafora della condizione esistenziale: denudare le maschere significa liberare i personaggi
dalla cristallizzazione della forma per farli vivere di una vita più dolorosa ma ti ho dimenticato. Lo
strumento di cui l'autore si serve e l'umorismo, cioè quella attitudine a penetrare oltre la fittizia unità della
furba per mostrare gli ho frantumato e diviso. Ogni immagine del mondo esterno che l'uomo cerca di
darsi e opinabile: se va bene per lui non può certo essere condivisa dagli altri che, guardando con occhi
diversi, se ne fanno un'immagine propria. Pirandello avverte la stessa incertezza e precarietà anche
nell'istituto del linguaggio dove le parole che io uso non hanno lo stesso significato per coloro che
ascoltano quindi il linguaggio è causa di incomunicabilità tra gli uomini.
I caratteri del personaggio pirandelliano sono l'esatto contrario di quelli dell'eroe: esso è in genere di
bassa estrazione sociale e si porta dentro un senso di frustrazione e di voto. Ha scarsa considerazione di se
stesso e non è ben sicuro del suo ruolo nella vita sociale perché attraversa una crisi di identità. Spesso
l'autore caratterizza i suoi personaggi attraverso vistosi difetti fisici o tic nervosi che simboleggiano una
sofferenza interiore.
Per quanto riguarda lo stile Pirandello si propone di aggiungere uno stile di cose e non di parole. Lo
realizzò con la rinuncia tutti gli espedienti della retorica ottenendo una lingua molto vicino al parlato. In
due articoli scritti nel 1890 e gli si fa sostenitore di una lingua nazionale e non toscana che attinga anche
liberamente ai vari dialetti.
Giovanissimo, aveva scrittoal la sorella che la vita si presentava ai suoi occhi come una grande recita, in
cui tutti hanno una loro parte. Questa intuizione si trasformò in una vera e propria visione del mondo
dove ognuno recita la propria commedia ben consapevole di essere falso e ipocrita, come del resto lo sono
tutti gli altri. Oltre a indossare una maschera per noi stessi, molte ci sono visti addosso dagli altri, nel
senso che ciascuno di coloro che vivono in relazione con noi ci vede ci giudica secondo criteri sui propri.
Noi accettiamo i condizionamenti che la società ci impone, dei quali solo la follia potrebbe veramente
liberarci. La follia rappresenta l'esito finale della disgregazione dell'io, lo stato di grazia in cui finalmente
si vive senza vedersi vivere, liberi da ogni maschera e da ogni condizionamento.
Arturo Cirilli, regista di Castellammare di Stabia, non è la prima volta che si confronta con un’opera
pirandelliana, infatti nel 2011 aveva già messo in scena La morsa , commedia o come dice lo stesso
autore << epilogo in un atto>> dove la protagonista è Giulia, donna sincera e appassionata, che si trova
all'epilogo della sua relazione adulterina con l'amante Antonio. Il marito Andrea ha scoperto i due amanti
e vuole vendicarsi di entrambi stringendoli in una morsa di accuse.
_______________________________________________
Corriere della Campania
6/6
Powered by TCPDF (www.tcpdf.org)
Scarica