Anno XViii - Numero 38 - 25 maggio 2012 L’intervista Parla il regista e scenografo Pier Luigi Pizzi A Pag. 2 Storia dell’opera Una prima con fuoriprogramma A Pag. 6 Analisi musicale Attila e la drammaturgia verdiana A Pag. 7 Attila e gli Unni Il barbaro che terrorizzò l’Europa A Pag. 8e9 Il 1846 L’anno dell’opera, preludio di grandi cambiamenti A Pag. 14 AttilA di Giuseppe Verdi Attila 2 il Giornale dei Grandi Eventi Parla il regista e scenografo Pier Luigi Pizzi «Il mio Attila colto e magnanimo, no barbaro violento» C erca una lettura più concettuale del personaggio protagonista Attila, il regista milanese 82enne Pier Luigi Pizzi, firmando regia e scene di questa sua quarta esperienza con tale lavoro giovanile verdiano. Rivaluta il personaggio, lo pone decisamente in un contraltare ideale di quello che è l’immaginario collettivo del “Flagello di Dio”, lo caratterizza come uomo magnanimo e colto. Un confrontarsi con la nona opera del compositore di Busseto iniziato nel 1972 al Maggio Musicale Fiorentino con Riccardo Muti dove però Pizzi curò soltanto scene e costumi, essendo la regia affidata a Sandro Sequi. Ne uscì una lettura poetico-naturalista che è ancor oggi ricordata per l’apparizione di Leone in un campo di grano, aspetto poi ripreso in varie occasioni. La prima vera regia fu all’arena di Nimes, in Provenza, negli anni ’80, sfruttando in modo molto particolare il trovarsi immersi in una struttura romana Venne poi quella al Festival di Ravenna con la direzione di Gary Bettini, un allestimento che molto ha girato tra Genova, Bologna, Napoli e forniva una lettura particolare, con un certo naturalismo filtrato attraverso un’attualizzazione. Dunque, questo nuovo allestimento dell’Opera di Roma, è figlio delle esperienze precedenti fin dall’ambientazione. «L’ho voluta porre, forse anche ricordando l’esperienza di Nimes, - sottolinea Pier Luigi Pizzi - in uno spazio caratterizzato dalla romanità, ispirato, senza riferimenti specifici, alla architettura della Basilica di Massenzio, con la sua volta a cassettoni, volta che poi – proprio perché non ha nulla di realistico – si muove, abbassandosi a formare una cripta paleocristiana dove i profughi si raccolgono sotto la croce prima di andare a fondare Venezia. E’ un’evocazione, non la ricostruzione di un il G iornale dei G randi Eventi Direttore responsabile Andrea Marini Direzione Redazione ed Amministrazione Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma e-mail: [email protected] Editore A. M. 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Ed è questo l’aspetto che più colpisce della regia del sempre cortesissimo Pizzi: una rivalutazione, una rilettura del personaggio di Attila, visto come Re illuminato, colto, civile, a smentire l’immaginario popolare di un uomo rozzo, violento che ci hanno trasmesso i libri di scuola. «Attila – spiega Pizzi - ha una sua forte personalità di dominatore, di conquistatore, filtrata però attraverso una nobiltà d’animo ed una lealtà, aspetto quest’ultimo che manca totalmente negli altri personaggi che gli sono di fronte come Odabella, Foresto ed Ezio che, ciascuno a suo modo, tramano nell’ombra». «Proprio per questo – prosegue Pizzi – attraverso dei segni cerco di dargli una caratterizzazione morale, ad iniziare dall’ambientazione la quale non è una terra bruciata che il libretto di Solera chiederebbe, ma, appunto, come detto, un luogo della memoria di ambientazione romana. In particolare è la connotazione di una biblioteca dove, proprio in apertura di sipario, i barbari stanno bruciando i libri i quali sono sinonimo, di cultura e civiltà, fuoco che Attila entrando spegne con il suo mantello, dando un segno di cultura ed intelligenza politica e del non volere, dunque, cancellare la civiltà di cui i libri sono metafora. Ma Attila è anche personaggio magnanimo e libera Odabella dalla camicia di forza nella quale è costretta come prigioniera e poi addirittura alla richiesta della donna di riavere una spada le cede la propria spada. Infine, un aspetto che ho aggiunto nel finale quando lui cerca Odabella e si trova di fronte anche gli altri due congiurati Ezio e Foresto che lo accolgono con le spade sguainate, Attila inerme si accorge dell’imboscata e con fiero piglio si getta sulla spada di Odabella, donna da lui amata la quale vuole compiere la propria vendetta, in un gesto d’amore, in un ultimo fatale abbraccio». Andrea Marini Prossimi titoli Stagione 2012 del teatro dell’Opera di Roma 19 - 26 giugno A MiDSUMMER NiGHt’S DREAM di Benjamin Britten James Conlon Direttore Stagione Estiva alle terme di Caracalla 10 - 15 luglio il COMbAttiMENtO Di tANCREDi E ClORiNDA di Giorgio Battistelli da Claudio Monteverdi Erasmo Gaudiomonte Direttore 21 luglio - 8 agosto NORMA di Vincenzo Bellini Gabriele Ferro Direttore 31 luglio - 7 agosto AttilA di Giuseppe Verdi Donato Renzetti Direttore 23 - 31 ottobre lA GiOCONDA Direttore di Amilcare Ponchielli Roberto Abbado ~~ La Locandina ~ ~ Teatro Costanzi, 25 maggio - 5 giugno 2012 AttilA Dramma lirico in un prologo e tre atti Libretto di Temistocle Solera Musica di Giuseppe Verdi Edizione critica della partitura edita da Chicago University Press e Casa Ricordi di Milano a cura di Helen Greenwald Direttore Regia, scene e costumi Maestro del Coro Luci Movimenti coreografici Riccardo Muti Pier Luigi Pizzi Roberto Gabbiani Vincenzo Raponi Roberto Maria Pizzuto Personaggi / Interpreti Attila, re degli Unni (B) Ildar Abdrazakov Ezio, generale romano (Bar) Nicola Alaimo Odabella, figlia del Signore di Aquileia (S) Tatiana Serjan FForesto, cavaliere aquileiese (T) Giuseppe Gipali Uldino, schiavo di Attila (T) Antonello Ceron Leone, vecchio romano (B) Luca Dall’Amico ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA con la partecipazione degli allievi della Scuola di Ballo del Teatro dell’Opera diretta da Laura Comi ~ ~ La Copertina ~ ~ Eugène Delacroix - Attila e le sue orde di Barbari - Particolare dell'affresco della volta Biblioteca Palais Bourbon, Parigi il Attila Giornale dei Grandi Eventi D opo il Macbeth d’apertura della stagione lo scorso 27 novembre, Riccardo Muti torna sul podio del Teatro dell’Opera di Roma per guidare l’Attila di Giuseppe Verdi, un titolo da lui lungamente studiato e diretto in varie parti del mondo. Al Maestro napoletano si deve, infatti, la rinascita dell’interesse internazionale su questo sanguigno e “risorgimentale” dramma lirico, nel quale dietro il vessillo della riscossa romana contro gli Unni invasori, si celavano nel pubblico dell’epoca fermenti di libertà, divenendo così un titolo carico di forza e passione politica. Si tratta della nona opera del compositore bussetano, in scena per la prima volta al Teatro La Fenice di Venezia il 17 marzo 1846. Un lavoro non privo di pregi, soprattutto per la maggiore continuità drammatica rispetto ai precedenti. Un contributo sul nuovo genere di “dramma musicale” che sarebbe esploso di lì ad un anno con il Macbeth. Nel corso dell’opera, che ripercorre – con ampie licenze poetiche – la vicenda di Attila in Italia, tra la distruzione della città di Aquileia e l’incontro con Papa Leone, anche vari episodi di forte carattere descrittivo. Cast unico per le 6 repliche in programma firmate nella regia e nelle scene dal raffinato Pier Luigi Pizzi, con Tatiana Serjan nel ruolo di Odabella, Ildar Abdrazakov in quello di Attila e Nicola Alaimo nei panni di Ezio. Tre voci già applaudite dal pubblico del 3 Le Repliche Domenica 27 maggio, h. 17.00 Martedì 29 maggio, h. 20.30 Giovedì 31 maggio, h. 20.30 Domenica 3 giugno, h. 17.00 Martedì 5 maggio, h. 20.30 Costanzi nel dicembre 2010 nel Moïse et Pharaon di Rossini e lo scorso novembre in Macbeth, sempre sotto la direzione di Muti. Un raffinato ed essenziale allestimento per l’Attila PROlOGO – Sulla piazza di Aquileia distrutta dai barbari – Una folla di Unni mangiando e bevendo smodatamente inneggiano agli dei Wodan e Walhalla, mentre il re Attila giunge su un carro trionfale. Lo schiavo bretone Uldino conduce al sovrano un gruppo di fanciulle guerriere di Aquileia fatte prigioniere e capeggiate dalla bellissima e fiera Odabella, figlia del signore della città ucciso dallo stesso Attila. Il Re unno è affascinato dal coraggio e dalla personalità della giovane e le offre qualunque cosa ella vorrà chiedergli. Odabella chiede una spada ed Attila le consegna la propria, la stessa con cui le ha trucidato il padre. Giunge il generale romano Ezio, il quale, consapevole della debolezza del proprio imperatore, per salvare Roma propone all’unno di deporre gli Imperatori d’Oriente e di Occidente e di spartirsi il regno: a lui l’Italia, mentre ad Attila il resto del mondo. Il Re rifiuta l’alleanza, dichiarandosi sdegnato del decadimento di Roma. orde alle porte di Roma gli appare un vecchio, il quale con voce tonante gli ingiunge di arretrare di fronte alla terra di Dio. Dopo lo sgomento iniziale, Attila decide di muovere contro la Città Eterna, ma in quel momento verso l’accampamento avanza un coro di vergini e fanciulli cristiani guidati da un vecchio nelle cui sembianze Attila riconosce con terrore il personaggio apparsogli nel sonno. E’ papa Leone che ripete le parole del sogno. Attila, di fronte agli ammonimenti del Vescovo di Roma, s’inginocchia tra lo stupore generale. La Trama AttO SECONDO – Al campo romano – Il Re dei Goti accetta la tregua imposta dall’imperatore fanciullo Valentiniano. Giunge Foresto che propone ad Ezio di attaccare di sorpresa Attila ed i suoi. Il Re unno è a banchetto con al suo fianco Odabella. Un suono di tromba annuncia il sopraggiungere di Ezio, mentre Foresto è tra la folla. Un forte vento spegne le torce. E’ un cattivo presaLaguna veneta con alcune capanne ed un altare – In un’alba serena gli gio. Una coppa di vino avvelenato è offerta al Re unno, ma Odaeremiti escono dalle capanne dirigendosi verso l’altare per eleva- bella avverte Attila del pericolo. Foresto è il colpevole. Odabella re lodi a Dio, mentre sulla riva approdano barche con uomini, chiede che sia risparmiato, fingendo di volerlo punire di persona. donne e bambini, profughi da Aquileia distrutta. Li guida Fore- Credendolo un atto d’amore, Attila promette alla donna di sposto che piange la sorte dell’amata Odabella rimasta prigioniera di sarla. Attila e scioglie un inno alla Patria abbandonata preludendo alla nascita della nuova Aquileia, Venezia. AttO tERZO – Nel bosco che divide il campo di Attila da quello di Ezio - Foresto ed Ezio organizzano l’attacco ad Attila, mentre AttO PRiMO – Di notte nel bosco presso l’accampamento di Attila – Odabella va in sposa al Re barbaro. La ragazza fugge dopo la ceOdabella riabbraccia l’amato Foresto, il quale credendola concubi- rimonia e raggiunge Foresto che le rinfaccia il tradimento. Odana del capo degli unni, la respinge. La ragazza, però, gli svela il pia- bella si ripromette di uccidere il Re unno. Sopraggiunge Attila alno che la condurrà ad uccidere Attila ed i due si abbracciano ricon- la ricerca della sua sposa, la quale lo respinge rinfacciandogli ciliati. apertamente la morte del padre. Le trombe annunciano la battaglia. Foresto sta per trafiggere Attila, ma a colpirlo è Odabella che Nella tenda di Attila – Il Re dorme, ma improvvisamente è scosso da con la spada donatale da Attila vendica così il padre, mentre i roun sogno che egli racconta allo schiavo Uldino: Giunto con le sue mani cantano inni di vittoria. POSTE PO STE IT ITALIANE ALIANE V VII IN INVITA VITA A SCOPRIRE SCOPRIRE LO SPAZIO SPAZIO FILATELIA, FILATELIA, UNA UN AV VETRINA ETRINA AP APERTA ERTA S SUL UL M MONDO ONDO D DEI EI FRANCOBOLLI. FRANCOBOLLI. www.poste.it numero gratuito 803 160 ROMA: Piazza San Silvestro n. 20 MILANO: M ILANO: Via Cordusio n. 4 VENEZIA: Dorsoduro 3510 Fondamenta del Gaffaro NAPOLI: N APOLI: Via Monteoliveto n. 46 TRIESTE: T RIESTE: Via Giorgio Galatti n. 7/D TORINO: TO RINO: Via Alfieri n. 10 Per informazioni da rete mobile chiama il 199.100.160. Il costo della chiamata è legato al piano tariffario dell’operatore utilizzato ed è pari al massimo a 0,60 euro al minuto più 0,15 euro alla risposta. La Filatelia. Una passione che resiste alle mode. il Giornale dei Grandi Eventi Attila 5 Nicola Alaimo Ildar Abdrazakov Ezio, generale romano Attila, re degli Unni A A l baritono Nicola Alaimo è affidato il ruolo del generale rocantare come Attila sarà il basso ildar Abdrazakov. Nato mano Ezio. Nato a Palermo nel 1978, dove ha compiuto gli nel 1976 a Ufa (Russia), città nella quale ha studiato presso studi musicali, ha recentemente debuttato a Parigi e Vienna l’Istituto delle Arti. E’ stato vincitore di diversi concorsi e nel all’Opéra National e alla Staatsoper. Pian piano il giovane baritono 1998 è entrato a far parte dei Solisti del Teatro Marijinskij di San si sta consolidando come uno fra gli artisti più interessanti ed apPietroburgo nel quale ha debuttato interpretando il ruolo di Figaro prezzati del panorama musicale nazionale ed internazionale. Non ne Le nozze di Figaro. Nell’ottobre 2000 è stato il vincitore del Primo ancora ventenne ha vinto il concorso Premio al Concorso Internazionale Giuseppe Di Stefano a Trapani, de“Maria Callas” della Radiotelevibuttando il ruolo di Dandini ne La Cesione Italiana svoltosi a Parma, nerentola. Artista versatile, è stato evento che ha avviato la sua carriescelto da Riccardo Muti come protara internazionale. Ha debuttato al gonista del Don Pasquale al Ravenna Teatro alla Scala ne La Sonnambula Festival ed in una tournée in Europa nel 2001, tornandoci poi con La fore Russia. Ha esordito negli U.S.A. con za del destino, Sansone e Dalila, Macla Boston Symphony Orchestra diretbeth, Fidelio, Carmen, Lucia di Lamerta da James Levine nel Simon Boccanemoor. Ha cantato al Regio di Parma, gra, opera che ha segnato anche il suo all’Opera di Roma, al Rossini Opedebutto al Metropolitan Opera di ra Festival di Pesaro, al Carlo Felice New York. Fra gli altri debutti ricordi Genova, all’Accademia di Santa diamo: Poliuto al Concertgebouw di Cecilia di Roma, al Filarmonico di Amsterdam; Simon Boccanegra e Lucia Verona, alla Rai di Torino, all’Accadi Lammermoor al Teatro Massimo di demia Chigiana di Siena, al Festival Palermo; La traviata a Roma con la redi Spoleto. Fuori dall’Italia è stato gia di Zeffirelli. Ha debuttato a Pesaospite del Metropolitan di New ro al Rossini Opera Festival nel 2010 York, all’Opera di Los Angeles, a con La Cenerentola e nel 2011 ne Il barParigi, a Washington, all’Opera di biere di Siviglia. Nicola Alaimo ha re- Ildar Abdrazakov (Attila), Nicola Alaimo (Ezio) San Francisco, a Barcelona, alla centemente aggiunto nuovi ruoli al Staatsoper di Vienna, del Real di suo repertorio, cantando con successo Madrid e del Festival di Salisburgo. il Dottor Dulcamara nell’Elisir d’amore ed è stato Sancho Panza nel Oltre alle opere citate ha cantato Semiramide, Il turco in Italia, L’itaDon Quichotte. Tra gli impegni dei prossimi mesi: La Cenerentola alliana in Algeri, Il barbiere di Siviglia, L’assedio di Corinto, Sonnambula, l’Opéra National de Paris; Falstaff alla Fundaçao Calouste GulDon Giovanni, Faust, Luisa Miller, Attila, Don Carlo, Il trovatore, Norbenkian a Lisbona e all’Opera di Marsiglia; Stiffelio all’Opera di ma, Racconti d'Hoffmann ed a dirigerlo in queste occasioni sono staMontecarlo; Il trovatore ad Amsterdam; Matilde di Shabran al Rossiti maestri come Valery Gergiev, Riccardo Chailly, Myun-Wun ni Opera Festival di Pesaro; La traviata al Teatro Regio di Torino; Chung, Gianluigi Gelmetti, Riccardo Muti, James Levine, Alberto Elisir d’amore a Monaco e Berlino; sarà poi a Londra per registrare Zedda. Belisario di Donizetti. Tatiana Serjan Odabella, giovane vendicatrice A cantare come Odabella è il soprano tatiana Serjan, nata a San Pietroburgo, dove ha cominciato gli studi musicali in pianoforte presso il Collegio Musicale della sua città e in seguito al Conservatorio di San Pietroburgo nella classe di direzione corale con il Professor F.M. Kozlov. Si perfeziona in Italia all’Accademia delle Voci di Torino con Franca Mattiucci. Nel 1994 ha debuttato all’Opera Studio di San Pietroburgo nella Traviata, dove successivamente ha cantato ne La bohéme e Così fan tutte; nel 1997 è stata diretta dal Maestro Mstilav Rostropovič con la San Pietroburgo Philarmonic Society. Nel 2001 È stata finalista in alcuni concorsi di canto internazionali tra i quali: Viotti di Vercelli, The Golden Sophit di San Pietroburgo con la nomina “The best women’s role in musical theater”, e “Una voce per Verdi” di Ispra nel 2002. Il suo debutto in Italia è stato al Teatro Regio di Torino nel dicembre 2002 nel ruolo di Lady Macbeth, personaggio che ha poi interpretato in giro per il mondo. Ha Debuttato Aida al Festival di Bregenz, I due Foscari a Parma e Modena; canta Il trovatore a Trieste e Pordenone e Tosca alla Deutsche Oper di Berlino. Ha partecipato al concerto finale del Festival di Ravenna, poi ripreso a Bosra (Siria) trasmesso dalla RAI TV, cantando un’ampia selezione di Norma sotto la guida del Maestro Muti. Esegue la XIV Sinfonia di Šostakovič al Teatro Sao Carlos di Lisbona, ha poi Cantato sempre sotto la direzione del Tatiana Serjan (Odabella), Giuseppe Gipali (Foresto) Maestro Muti il Requiem di Verdi a Londra e a Tolosa con la Philarmonia Orchestra. Tra i recenti impegni: Tosca e Un ballo in maschera a Berlino, Tosca a Monaco di Baviera e La battaglia di Legnano e, Macbeth al Teatro dell’Opera di Roma e al Festival di Salisburgo. Pagina a cura di Mariachiara Onori – Foto di Corrado M. Falsini Attila 6 il Giornale dei Grandi Eventi La Storia dell’opera Una prima con fuoriprogramma L a prima notizia sull’interessamento del maestro di Busseto al soggetto di Attila è contenuta in una lettera del 12 aprile 1844 che Verdi scrisse da Milano al librettista Francesco Maria Piave: «Eccoti lo schizzo della tragedia di Verner. Vi sono delle cose magnifiche e piene d’effetto. Leggi l’Alemagna della Stael. Sono del parere di fare un prologo e tre atti… A me pare che si possa fare un bel lavoro, e se studierai seriamente farai il tuo più bel libretto. Ma devi fartelo tradurre perché ci sono squarci di poesia potentissimi. Insomma serviti di tutto, ma fa una gran cosa…». L’opera inizialmente pensata per il Teatro Argentina di Roma, fu invece destinata al teatro La Fenice di Venezia con il quale il compositore si era impegnato l’anno precedente a comporre una nuova opera da rappresentarsi per la stagione del carnevale 1844-45. Il 9 novembre 1844 il giornale “Il Pirata” pubblicava la notizia della definitiva assegnazione dell’Attila al teatro veneziano. L’incarico di approntare il libretto dell’opera, tratta dalla tragedia Attila, Köenig der Hunner di Zacharias Werner (1808), fu affidato Temistocle Solera e non a Francesco Maria Piave a cui era stato originariamente destinato. Sono sempre le cronache dell’epoca a dar conto del passaggio delle consegne tra i due librettisti. Il 24 giugno 1845, infatti, ancora “Il Pirata” pubblicava: «Francesco Maria Piave scriverà per il Maestro Verdi i libri della primavera e carnevale 1846, invece del Sig. Solera. In cambio egli cede a Solera il libro (Attila) da musicarsi il prossimo carnevale a Venezia dal suddetto Maestro». il librettista Solera Temistocle Solera era un uomo piuttosto particolare: poeta e librettista politicamente impegnato, aveva una natura estremamente pigra e sregolata accompagnata da una rovinosa propensione a spendere e ricoprirsi di debiti. Questo atteggiamento ovviamente non mancava di ripercuotersi anche in campo lavorativo, traducendosi in una estrema lentezza e indolenza che saranno causa principale dell’interruzione della collaborazione artistica con il compositore di Busseto. Tornando ai fatti. Nell’estate del 1845 del libretto non esisteva praticamente ancora nulla, come risulta da una lettera datata 13 agosto in cui Muzio comunicava al Barezzi l’intenzione di Verdi di recarsi a Milano per collaborare alla stesura del libretto. «…quel poltronaccio del poeta non ha fatto niente; io l’ho detto al cav. Maffei ed a Toccagni, ed essi lo faranno lavorare ed ha promesso che starà ancora terminato e Solera si mostrava sempre più indolente, così Verdi decise di chiedere aiuto al conte Maffei per la stesura di una bozza provvisoria sulla quale poter continuare il lavoro. In autunno la composizione subì una battuta d’arresto, perché Verdi si ammalò gravemente: febbre biliosa gastrica, annunciò il bollettino medico. L’Allgemeine musikalische Zeitung di Lipsia diffuse persino la notizia della morte del maestro, smentita nella primavera successiva dal napoletano Omnibus. Nel frattempo Solera e la moglie, la cantante Teresa Rosmini, Fanny Essler a lavoro giorno e notte e che finirà prima che arrivi il Sig. Maestro. Stamattina alle undici era ancora a letto, sicché sembra che non lavori» . Fortunatamente le sollecitazioni sortirono il loro effetto e verso la seconda metà di quello stesso mese il libretto era praticamente ultimato. In settembre rifugiato a Busseto, Verdi proseguiva nella composizione e scriveva ad Escudier - a cui aveva concesso per la Francia tutti i diritti di proprietà delle opere scritte e da scrivere - affinché provasse a proporre l’opera al Opéra di Parigi. Il libretto però non era decisero di partire per la Spagna a seguito della nomina di lui a direttore degli spettacoli lirici di corte. Da quel momento Verdi perse completamente le tracce del suo librettista, che si rese praticamente irreperibile fino a quando il giorno di Natale del 1845 il compositore, preoccupato per dall’imminente rappresentazione dell’opera, gli inviò una lettera per informarlo di aver fatto “accomodare” il libretto dal Piave. «…vi saranno dei versi che non ti piaceranno, ma tu li puoi cambiare come vuoi per renderli belli come tutti li altri di questo li- bretto» lo informava diplomaticamente il maestro aggiungendo poi con tono fermo: «Ti avverto però che ho già fatto tutta la musica specialmente dei punti importanti, perché non potevo aspettare la tua risposta…verso il 20 si va in scena». La risentita risposta del poeta giunse a distanza di un mese: «…mio Verdi la tua lettera è stata un fulmine per me non posso negarti il mio indefinibile dolore nel vedere chiuso in parodia un lavoro del quale osavo compiacermi…Fiat voluntas tua: il calice che mi fai bevere è troppo doloroso, solo tu potevi farmi ben capire che il librettista non è più mestiere per me». In queste parole è l’epilogo di un sodalizio artistico durato diversi anni con ben tre opere: Oberto Conte di San Bonifacio (1839), Nabucco (1842) e Giovanna D’arco (1845). A febbraio del 1846 Verdi cadde nuovamente malato e la rappresentazione dell’opera venne fissata per il mese successivo. Il 17 marzo finalmente l’Attila andò in scena alla Fenice, con la presenza del compositore non ancora perfettamente ristabilito. La compagnia era composta da buoni cantanti: Ignazio Marini nel ruolo di Attila, Natale Costantini in quello di Ezio, Sofia Loewe nel ruolo di Odabella, Carlo Guasco nei panni di Foresto, Ettore Profili in quelli di Uldino e infine Giuseppe Romanelli nel ruolo di Leone. L’opera nel complesso ottenne un buon successo, anche se le cronache raccontano di un aneddoto davvero buffo verificatosi alla prima serata: durante il banchetto del secondo atto tutti i ceri scenograficamente disseminati su alcuni tronchi di quercia erano stati incollati agli alberi con una pasta adesiva dall’olezzo nauseante. L’odore della cera bruciata si mischiò a quello del fissante, infestando tutta la sala e creando notevole imbarazzo tra gli spettatori e gli interpreti. La Gazzetta privilegiata di Venezia del 18 marzo, molto spiritosamente, così commentò l’episodio: «…e ora riv- Il Tenore Napoleone Moriani olgeremo ad Attila una preghiera s’abbigli e abbigli i suoi pur come vuole, non si prenda nessun pensiero della pompa e magnificenza della sua casa; ciò si può o non si può compatire ma non nuoce; solo abbia di noi compassione, e le cento fiamme del suo convito, che però succede all’oscuro, ardan di men odorosa materia, tanto che non ne ammorbin la gente, quando elle in malo punto si spengono. Il flagello di Dio non si faccia flagello dei nasi…!». Successo enorme ebbe invece la sesta ed ultima recita dell’opera alla Fenice. La rappresentazione fu preceduta da un ballo di Domenico Ronzoni, Esmeralda o la Zingara, interpretato dalla bellissima Fanny Elssler. Il pubblico veneziano, che aveva letteralmente preso d’assalto tutte le sedie del teatro, fu entusiasta e alla fine il Maestro fu riportato a casa in gondola accompagnato al suono di una banda, tra fiaccole e corone di fiori. Il giorno successivo venne organizzato un banchetto in suo onore, durante il quale il conte Andrea Maffei e altri commensali improvvisarono versi per il compositore. Dopo Venezia l’Attila iniziava il suo cammino per i teatri italiani ed europei. Un altro curioso aneddoto è legato alla rappresentazione dell’opera al teatro alla Scala, in occasione della quale Verdi scrisse la nuova romanza di Foresto “Oh dolore! Ed io vivea” per il tenore Napoleone Moriani. Il giorno della prima, la sera di Santo Stefano, protagoniste ancora le fiaccole! Questa volta qualcuno dimenticò di accenderle, rovinando tutto l’effetto della scena. Cl. Cap. il Attila Giornale dei Grandi Eventi 7 Analisi dell’opera Attila e la drammaturgia verdiana «L ’opera che il signor Maestro scriverà per Venezia il Carnevale venturo sarà l’Attila tolta da una tragedia di Werner». Scriveva così il 28 aprile 1845 Emanuele Muzio, giovane collaboratore di Verdi, ad Antonio Barezzi. Verdi aveva firmato l’accordo con la Fenice per la nuova opera da darsi nella stagione di carnevale e la scelta era caduta sulla tragedia di Zacharias Werner, “Attila,König der Hunnen” appunto. Incaricato della stesura del libretto, Francesco Maria Piave al quale negli stessi giorni della lettera citata, il musicista scriveva una dettagliata tela del dramma, mostrando la sua lucida visione teatrale: «Bisogna alzar la tenda e far vedere Aquileja incendiata con coro di popolo e coro di Unni. Il popolo prega, gli Unni minacciano ecc. Poi sortita di Ildegonda, poi d’Attila ecc. e finisce il prologo. Aprire il primo atto in Roma e invece di far la festa in scena, farla interna ed Azzio pensoso, in scena a meditare sugli avvenimenti ecc. Finirei il primo atto quando Ildegonda svela ad Attila il nappo avvelenato, per cui Attila crede che per amore Ildegonda lo sveli, quando invece non è che per salvarsi il piacere di vendicare la morte del padre e dei fratelli….. Ci sarebbe da inventare un quarto carattere d’effetto e mi pare che quel Gualtiero che crede morta Ildegonda (tenore non presente nel dramma di Werner, n.d.r.) fosse scampato e potresti farlo figurare o tra gli Unni o tra i Romani…». Il libretto dell’opera fu poi firmato da Temistocle Solera, anche se Piave garantì comunque una collaborazione a Verdi, modificando su sua richiesta di- Arrigo Boito con Verdi al pianoforte verse parti del testo, al punto che Solera, in un primo tempo d’accordo con l’intervento del collega, espresse successivamente il suo totale disappunto e si allontanò dal musicista. Opera di sperimentazione Opera appartenente al periodo risorgimentale di Verdi, Attila suscitò a suo tempo non poco clamore. L’invito del console romano Ezio ad Attila (“Avrai tu l’Universo, resti l’Italia a me”) era accolto nei teatri della penisola da acclamazioni travolgenti. Sarebbe tuttavia riduttivo considerare l’opera solo per il suo messaggio risorgimentale. «Io sono solo un uomo di teatro», soleva dire Verdi in vecchiaia. Falsa modestia, la sua, probabilmente. Ma certamente Verdi fu un grandissimo uomo di teatro, capace di stare costantemente al passo con i tempi. Moderno nel 1842 quando s’impose con Nabucco, il bussetano si confermò modernissimo nel 1893 quando a 80 suonati mise in scena Falstaff. Il suo lavoro, dunque, si configurò come un continuo studio del linguaggio musicale e drammaturgico, teso a sperimentare, provare, cercare di volta in volta nuove soluzioni, guidato solo dal fiuto per le tavole dei palcoscenici. Attila s’inserì in questo percorso di sperimentazione con soluzioni che, qui enunciate e solo accennate, avrebbero spalancato poi la strada alle grandi, geniali opere dell’epoca successiva. In questo senso Attila pur in una struttura abbastanza prevedibile, contiene illuminazioni e spunti di rilievo. Da sottolineare, intanto, l’attenzione con cui il musicista seppe delineare i caratteri dei personaggi. Non solo il barbaro che non è poi quel tiranno crudele che si potrebbe pensare, è anzi talmente ingenuo da farsi disarmare da una donna; ma la stessa Odabella (Ildegonda in Werner) è figura di notevole fascino e forte temperamento, degna erede della Abigaille del Nabucco; e Foresto (il nome definitivo del tenore) ha parte di non trascurabile importanza sul piano musicale e drammatico. Anche il coro, naturalmente, riveste un ruolo di rilievo, sin dall’apertura del prologo. Duetti di contrapposizione politica Verdi insomma dimostra in Attila una ricerca interessante d’approfondimento psicologico ed espressivo dei vari personaggi che ispirano ovviamente una discorso musicale più articolato. Interessante, ad esempio, il primo duetto fra Attila e Ezio che si basa su una contrapposizione politica forte, anticipazione di quei duetti che avrebbero poi inciso profondamente nel successivo teatro verdiano (pensiamo ai grandi lavori “storici” della maturità, da “Simon Boccanegra” a “Don Carlos”). Da notare, prima dell’arrivo di Foresto, la descrizione di un temporale notturno e del sorgere del sole. Il temporale è un elemento ricorrente nel teatro: nell’Ottocento tende addirittura ad assumere una funzione “psicologica” a rappresentare, attraverso la natura in rivolta, l’agitazione del personaggio o dei personaggi coinvolti. Il sorgere del sole è invece un elemento non ricorrente che probabilmente Verdi trasse dalla visione di Le desert, ode sinfonica di Félicien David, rappresentata a Parigi nel 1844. Altro elemento rilevante, il soprannaturale. Attila, chiuso nella sua tenda, ha la visione in sogno di un vecchio che con voce possente gli sbarra la strada per Roma: uno dei momenti più drammatici ed espressivi della partitura. Verdi si sarebbe rivolto al soprannaturale in maniera più decisa con Macbeth (le streghe), ma già qui potè sperimentare una musica capace di dare l’impressione di un al di là, di un sovrumano. In Attila la visione acquista concretezza con l’arrivo del Papa Leone, che ripete all’invasore le stesse parole del sogno: scena imponente e di forte tensione emotiva. Sul piano musicale va ricordata l’aria di Odabella “Santo di patrio indefinito amor” che è tra le più impegnative del Verdi prima maniera, perché tecnicamente complessa, assai articolata e sviluppata sul piano formale. Da citare infine la conclusione del terzo atto, un ampio concertato, un quartetto con coro nel quale Verdi magistralmente coglie in un’architettura comunque poderosa, la caratterizzazione emotiva dei singoli personaggi (Attila, Odabella, Foresto, Ezio). Non “solo”, ma “anche” un geniale uomo di teatro. Roberto iovino Attila 8 il Giornale dei Grandi Eventi Protagonista tra storia e leggenda Attila, Flagellum Dei U n uomo piccolo di statura, dalla testa grossa e dalla tinta olivastra, con un naso rincagnato, gli occhi piccoli e la barba ispida: questa è l’immagine del condottiero che fu per quasi vent’anni il Re degli Unni, dal 434 d.C. al 453. Secondo un’antica leggenda, Attila da bambino avrebbe ricevuto in dono una spada rinvenuta da un pastore infilata nel terreno fino all’elsa e sulla quale una vacca si era azzoppata. Attila riteneva grazie a questo episodio della sua infanzia, di essere il predestinato a diventare il signore dell’universo e che quella spada, detta la spada di Marte, gli avrebbe concesso la vittoria in qualunque battaglia. Divenuto capo degli Unni nel 443, si sbarazzò presto del fratello Bleda per regnare da solo. Flagellum Dei La sua effige è riportata nelle monete romane dell’epoca come un drago dalla testa umana che viene schiacciato dall’Imperatore. Gli storici hanno delineato di lui un ritratto impressionante sia fisico che morale: di religione pagana, credulo e superstizioso, era marito di numerose mogli. Non meno avido che spietato, aveva tuttavia l’astuzia di distribuire tra i suoi uomini, i bottini depredati sempre equamente, in modo da conquistarne la totale fedeltà insieme alla più assoluta sottomissione. Non gli mancarono doti d’uomo politico, né capacità diplomatiche necessarie a trovare pretesti che giustificassero il suo diritto alla guerra di aggressione. Fu chiamato il “Flagello di Dio” e si raccontava che l’erba non germogliasse più dove era passato con il suo cavallo ed il suo esercito. L’enorme potere di cui disponeva si fondava non solo sull’aggressività dei suoi guerrieri, ma anche sul cinismo di taluni espedienti come, ad esempio, il corrompere i capitribù germanici al fine di procurarsene l’appoggio. Sovente riusciva nell’intento, grazie al terrore ispirato dalla sua leggendaria ferocia, ma anche alle sue indubbie capacità di riunire intorno a sé numerose popolazioni nomadi. Poté anche contare sul sostegno dei ceti mercantili dell’Impero d’Oriente che trovavano estremamente vantaggiosa, per la loro economia, la presenza aldilà del confine, di uno stato Unno esteso dal Reno al Mar Caspio. Il suo sguardo si volse così prima al più vicino Oriente e, dopo numerose conquiste si rivolse ad Occidente, dirigendosi verso Costantinopoli. Resosi poi conto dell’impossibilità di occupare Costantinopoli scelse di portare le sue truppe direttamente in Italia quando - fatto importante apparve nella sua vita la figura di Giusta Grata Onoria, la giovane figlia di Flavio Sostanzio, Imperatore d’Occidente. La ragazza, chiusa in convento in un forzato ascetismo, dovette identificare nel barbaro il suo salvatore, l’uomo che l’avrebbe salvata dal triste esilio cui era stata condannata dalla madre a causa di una sua disonorevole relazione con un ciambellano. Dal rifiuto d’amore la furia di Attila Attila prese a cuore le sorti della fanciulla, ma si trovò di fronte al reciso rifiuto della madre di Onoria, Galla Placidia, alla quale aveva chiesto come dote per le nozze la metà dell’Impero d’Occidente, e più precisamente la Germania, dove il suo nome era ovunque conosciuto, e tutta la Gallia e la Spagna, oltre alla Pannonia. Medaglione con effige di Attila posto a sinistra del portale della Certosa di Pavia Il rifiuto di Galla Placidia fu motivo sufficiente e pretestuoso per scatenare un’offensiva e accaparrarsi da solo i territori chiesti in dote. Si può immaginare l’entità dei cambiamenti cui l’Europa sarebbe andata incontro se il matrimonio di Attila con Onoria fosse andato in porto. Attila continuò nei suoi sogni di conquista: le sue truppe invasero Vicenza, Verona, Brescia, Bergamo: tutte le città caddero sotto il suo tallone, espugnate, distrutte, i loro cittadini massacrati e i fortunati sopravvissuti resi schiavi. Per qualche tempo, gli Unni restarono a nord del Po: gli sciamani infatti presagivano ad Attila pericoli e sventure nel caso si fosse deciso a calare verso Roma e il condottiero Unno esitava, pur rimanendo soggiogato dal fascino della cultura Romana. Non erano pochi i consiglieri romani tenuti come ostaggi e come ospiti e Attila voleva rendere al suo popolo la dignità che altri popoli barbari e cristianizzati avevano ottenuto nel contatto con Roma. Fu allora che Papa Leone I intervenne in difesa dell’Italia. L’esito dell’incontro tra Attila e il nord i suoi uomini erano presi dalPapa, sul Mincio, fu condizionato lo sconforto per la dolorosa rinundalla mentalità del primo: per il cia, il loro capo non aveva ottenuto capo unno gli uomini di religione in sposa Onoria, e la sua campagna rivestivano enorme importanza, li era costata la vita di decine di miglitemeva, a qualunque religione apaia di unni. Attila celebrò delle partenessero. nuove nozze con una bellissima e Roma era la Città sacra, che gli sciagiovane donna di nome Ildico, fu mani gli avevano sconsigliato di una festa grandiosa dove si bevve a conquistare, e Attila temeva tutto profusione; era il preludio per gli ciò che era “sacro”. Molte sono le Unni di un nuovo corso storico verleggende attorno all’evento: c’è chi so l’oblio. La stessa notte, infatti, disse che i santi Pietro e Paolo fosAttila moriva nel sonno a causa di sero apparsi al fianco di Leone I, chi una emorragia. Il corpo malato, disse che Attila fosse rimasto immesso a dura prova dopo tante pressionato dalla presenza di un battaglie, cedette e fu deposto con vecchio che, vicino al Papa, imtutti i suoi tesori in una bara tutta pugnava una spada sguainata. d’oro inserita dentro a una bara Nessuno in realtà conosce i d’argento, a sua volta rinchiusa in contenuti della discussione una di ferro. Infine la bara venne che ebbero i due uomini, a deposta sotto il letto di un fiume, nessuno fu infatti permesso come avvenne per Alarico, e coloro avvicinarsi loro nell’incontro. che avevano lavorato alla sepoltura Alla fine, clamorosamente, Atfurono uccisi per impedire che tila decise di ritirarsi: tornò dai venisse divulgata l’esatta ubisuoi e fece voltare loro le spalle a cazione della tomba che non è mai Roma, alla conquista più luminosa stata ritrovata. che il popolo unno avrebbe potuto mai ricordare nelle proprie livio Magnarapa leggende. La tradizione ecclesiastica successiva ha naturalmente esaltato e impreziosito con ogni sorta di circostanze soprannaturali l’intervento decisivo di San Leone Magno. Tuttavia l’indagine storica, seppure appassionata, ci consente di ridimensionare l’influenza del Papa nell’episodio. Vi furono molte componenti che consigliarono ad Attila di desistere dai suoi propositi di invasione della penisola: accanto a molti aspetti strategici e militari vi fu una spaventosa carestia, accompagnata da un’epidemia di peste che devastava in quel periodo l’Italia ed era giunta a minacciare le sue orde. Mentre cavalcava verso Leone Magno incontra Attila il Attila Giornale dei Grandi Eventi 9 Guerrieri perennemente in sella Carne cruda per le atroci orde degli Unni “A nimali selvaggi”, “Bestie a due zampe”, “Semi-uomini che mangiano i loro vecchi”, con questi inquietanti appellativi le cronache del tempo ci tramandano la fama degli Unni, una popolazione nomade di stirpe turco-mongolica di cui non si conoscono né la lingua né l’esatta provenienza geografica. Dopo aver sconfitto e inglobato gli Alani e gli Ostrogoti e dopo aver costretto alla fuga verso ovest i Visigoti, nel IV secolo d. C., gli Unni, provenienti dall’est, (forse dal Kansu e dal deserto di Gobi), si stabilirono nelle regioni danubiane da dove compirono numerose incursioni in entrambe le parti dell’Impero romano, seminando ovunque morte e distruzione. Non si deve però ritenere che le orde di questi feroci cavalieri fossero costituite da un massiccio e unitario esercito. Si deve piuttosto immaginare una miriade di piccoli ed instabili nuclei, di bande, pronte tanto a coalizzarsi quanto a combattersi reciprocamente. Questa frammentazione è responsabile della complessità dei rapporti del popolo unno con le altre popolazioni. Non si spiegherebbe, infatti, perché dopo aver sottomesso gli Attila di Mòr Thàn Alani, alcuni gruppi unni si siano alleati con gli Ostrogoti mentre altri si siano schierati a fianco del loro re Witimero, o anche perché, a distanza di poco tempo, gli Unni abbiano dapprima sconfitto e poi aiutato i Visigoti. Anche i rapporti con Roma furono decisamente ambigui e discontinui: scorrerie, compromessi, pacificazioni, relazioni amichevoli e ostilità si susseguirono con incredibile e confusionaria velocità. Quasi una costante dei rapporti degli Unni con i Romani fu la dipendenza economica da questi ulti- mi per quanto riguardava gli indumenti, le armi e le granaglie, in contrasto con la forzosa imposizione di tributi e gabelle in cambio dell’incolumità dei cittadini dell’Impero. Così scriveva lo storico Ammiano Marcellino (sec.IV) nelle sue Storie, riguardo a questo popolo: «infidi ed incostanti nelle tregue, mobilissimi ad ogni soffio di una nuova speranza, sacrificano ogni sentimento ad un violentissimo furore. Ignorano profondamente, come animali privi di ragione, il bene ed il male, sono ambigui ed oscuri quando parlano, né mai sono legati dal rispetto per una religione o superstizione, ma ardono d’un’immensa avidità di oro. A tal punto sono mutevoli di temperamento e facili all’ira, che spesso in un sol giorno, senza alcuna provocazione, più volte tradiscono gli amici e nello stesso modo, senza bisogno che alcuno li plachi, si rappacificano». re il naso dei piccoli in modo che, rimanendo rincagnato, non sporgesse dall’elmo. Probabilmente entrambi i sistemi servivano a far sviluppare il loro corpo in modo che in battaglia offrisse, il meno possibile, appigli al nemico. Gli Unni vivevano letteralmente sui loro piccoli e forti cavalli e non smontavano quasi mai, tanto che le loro gambe crescevano corte e deformi. Mangiavano, dormivano, combat- Agghiaccianti costumi Ammiano ricorda anche gli agghiaccianti usi e costumi di questo popolo barbaro, che aveva l’abitudine di solcare di tagli le gote dei bambini appena nati per impedire la crescita della barba una volta adulti e l’usanza di fasciaUnno a cavallo Elmo Unno tevano e mercanteggiavano a cavallo, non si lavavano mai e vestivano pelli di topo. Si nutrivano di radici e carne cruda lasciata a macerare tra la sella e il dorso del cavallo e non si riparavano mai sotto un tetto o una capanna. L’unico riparo era fornito loro dai carri, che si trascinavano dietro come in una fuga perenne. Il loro armamento era micidiale e abbastanza evoluto: archi di corno, giavellotti e frecce d’osso costruite «con arte meravigliosa», lacci e reti per immobilizzare gli avversari. In battaglia attaccavano con una confusionaria formazione a forma di cuneo, travolgendo tutto ciò che si trovava sul loro cammino. Dopo la battaglia dei Campi Catalaunici, durante la quale furono respinti dal generale romano Ezio, e dopo la morte di Attila, avvenuta due anni dopo, nel 453 d.C., gli Unni tornarono nelle steppe della Pannonia dove scomparvero definitivamente mischiandosi ad altre genti, lasciando solo uno spaventoso ricordo legato al proprio nome. Andrea Cionci Attila 10 il Giornale dei Grandi Eventi La città di Aquileia Fortezza vergine espugnata da Attila N ella storia del terribile condottiero unno, un capitolo a parte merita la conquista e la distruzione di una delle città più fortificate dell'Europa del V.sec. d.C.: Aquileia. Per la sua posizione strategica, era munita di un sofisticato apparato difensivo e circondata da una poderosa cinta muraria che aveva permesso alla città di non dover mai subire, in 600 anni di vita, una conquista straniera, tanto da essere definita la "fortezza vergine". Era stata infatti fondata nel 180 a.C. dai romani, che ne avevano fatto una roccaforte per le legioni romane che da lì partivano per l'Oriente e la Germania. Sotto l'impero di Augusto, Aquileia aveva raggiunto una popolazione di oltre 200.000 abitanti stabili. Il cristianesimo attecchì facilmente ad Aquileia e con l'editto di Costantino del 313, potè uscire potentemente alla luce: subito vennero costruite tre grandi e lussuose basiliche per accogliere, in ognu- na, 2000-3000 fedeli, per le celebrazioni liturgiche che saranno distrutte dal Flagello di Dio. Muovendo dalla Pan-nonia, infatti, nel 452 d.C. Attila invase l'Italia scendendo dalle Alpi Giulie; Aquileia venne presa d'assalto e distrutta, e anche le altre due più importanti città Altino e Concordia caddero nelle mani degli Unni. Aquileia fu circondata da 70.000 Da un testo di Metastasio Melodrammi settecenteschi per Ezio S ulla vicenda di Ezio, il compositore tedesco Georg Friedrich Haendel nel 1731 scrisse un'opera in tre atti (HWV 29), chiamata, appunto Ezio, con libretto anonimo tratto da Metastasio (Roma 1698 - Vienna 1782). Haendel non fu certo l'unico ad ispirarsi all'opera metastasiana. Anche Johann Adolf Hasse aveva due anni prima scritto un Ezio, che venne rappresentato a Napoli al teatro San Bartolomeo nel 1730. Questo era l'uso dell'epoca. E’ infatti notorio che Metastasio scrisse numerosissimi testi dello stesso soggetto che vennero musicati da quasi tutti i compositori a lui contemporanei. La prima rappresentazione dell'Ezio di Haendel avvenne al King's Thea- tre di Hiymarket a Londra, il 15 gennaio 1732. Il ruolo del protagonista fu affidato al celebre castrato Francesco Bernardi detto il "Senesino" mentre l'imperatore Valentiniano era incarnato da una donna, un contralto. Nel dramma di Metastasio scritto nel 1728 ed andato in scena al Teatro veneziano San Giovanni Grisostomo il 20 novembre dello stesso anno, cui si rifà l'opera di Haendel, la vicenda del generale romano è ambientata a Roma, subito dopo la vittoriosa battaglia dei Campi Catalaunici contro Attila: il trionfatore è accolto dall'imperatore Valentiniano, ma Massimo, padre di Fulvia, fanciulla amata da Ezio, cerca di provocare la rovina del generale accusandolo di tradimento. Valentiniano vorrebbe controllare Ezio dandogli in sposa la sorella Onoria, ma Ezio confessa in pubblico il suo amore per Fulvia, suscitando ire e gelosie. Dopo un attentato fallito all'imperatore, organizzato da Massimo, i sospetti cadono su Ezio, che viene gettato in carcere. Valentiniano ordina a Varo di ucciderlo, ma questi lo risparmia. Sarà Ezio, ancora una volta, a salvare Valentiniano dall'armata sollevata Massimo per rovesciare l'imperatore, che una volta scoperta la verità, perdona Ezio, lasciando finalmente trionfare l'amore e la giustizia. A. C. unni, poi conquistata e rasa completamente al suolo con il fuoco. Parte della popolazione della terra ferma di queste tre località si rifugiò nelle vicine isole di Grado, disseminate nella laguna veneta, un territorio malsano, quasi disabitato, ma che sarebbe servito ottimamente come rifugio. La prima isola ad essere colonizzata dalla popolazione in fuga di queste tre città, fu Torcello, sebbene essa fosse già parzialmente abitata da nuclei di pescatori. Si narra che a Torcello fece tappa anche Attila e chi si reca oggi in un famoso ristorante dell'isola, può ammirare poco distante, a 200 metri, quello che si dice essere stato il trono di pietra dove sedette il condottiero unno. Altri abitanti di Aquileia, Altino e Concordia si rifugiarono nelle isole più lontane, quelle che sono oggi, Burano e Murano creando i presupposti per la nascita di un'altra meravigliosa città: Venezia. A. C. L’Attila al Teatro dell’Opera di Roma Solo tre volte al Costanzi L a prima rappresentazione dell’Attila verdiano al Teatro dell’Opera di Roma fu il 4 aprile 1964. Protagonista Raffaele Ariè ed interpreti principali Margherita Roberti (Odabella), Gastone Limarilli (Foresto), Maurizio Zanasi (Ezio). La direzione d’orchestra fu affidata a Fernando Previstali in un allestimento del Teatro Comunale di Firenze. La ripresa successiva risale al 2 giugno 1981 con la direzione di Bruno Bartoletti. Il ruolo di Attila fu di Nicola Ghiuselev. Altri protagonisti Maria Parazzini, Nunzio Todisco e Matteo Manuguerra, mentre la regia fu di Antonello Madau Diaz e le scene di Carlo Savi. L’ultima volta, questa nona opera verdiana, è andata in scena al Costanzi per sei repliche dal 9 marzo 2005 diretta da Antonio Pirolli. Con la regie e le scene di Paolo Baiocco il quale utilizzò scene proiettate da computer su 4 grandi schermi in palcoscenico. Nel ruolo di Attila si alternarono Roberto Scandiuzzi e Orlin Anastassov, in quello di Odabella Dimitra Theodossiou e Virginia Todisco, in quello di Ezio Roberto Frontali e Ivan Inverardi ed in quello di Foresto Walter Fraccaro ed Alberto Jelmoni. Mi. Ma. il Attila Giornale dei Grandi Eventi 11 L'ultimo grande generale romano: Flavio Ezio Il baluardo romano contro l'Unno invasore L 'Attila di Verdi è stato definito da molti critici l'archetipo del melodramma risorgimentale e, indubbiamente, l'opera furoreggiò nei nostri teatri, grazie all'appello della riscossa romana contro gli invasori Unni. Si racconta che, quando il baritono che impersonava il generale romano Ezio intonò "Avrai tu l'Universo, resti l'Italia a me", il pubblico proruppe in un grido all'unisono, ripetendo"Resti l'Italia a me!". Il personaggio di Ezio è, tuttavia, emblematico dell'ambiguità che pervade il libretto; infatti, sebbene esso si fosse ben prestato ad incarnare i sentimenti patriottici dei primi spettatori dell'opera, l'eroe romano è dipinto, nel dramma originale di Zacharias Werner, Attila, Köenig der Unnen, come un subdolo traditore, che propone ad Attila un perfido patto per la spartizione dell'Impero. Il personaggio di Ezio emerge nel suo doppiogiochismo al confronto con la figura Attila, che rifiuta sdegnato la scellerata alleanza. Tuttavia, storicamente, Flavio Ezio fu uno degli ultimi e più gloriosi generali dell'esercito tardo-romano e, come Oreste e Silicone, anch'egli aveva origini germaniche. Ricordiamo che, già nel corso del III secolo d.C., intere legioni romane erano formate da soldati e ufficiali germanici. Flavio Ezio nacque nel 390 d.C. a Durostoro, in Mesia, antica regione comprendente il territorio esteso sulla riva destra del Danubio, fra la Dacia e la Dalmazia, dal magister equitum Gaudenzio. Giovanissimo, nel 405 fu affidato agli Unni come prestigioso ostaggio; presso il feroce popolo barbaro ricevette la sua educazione militare. Con gli Unni, Ezio alternò fasi di concordia a momenti di feroce ostilità. Nel 425, Ezio tentò di aiutare, con un esercito unno, l'usurpatore Giovanni, che fu però sconfitto da Valentiniano, figlio di Galla Placidia, che dopo questa impresa fu acclamato Imperatore. Ezio fu quindi inviato in Gallia contro i Visigoti, con il grado di comes et magister militum per Gallias e, in seguito ad alcune vittorie su Visigoti e Franchi, nel 429 fu nominato magister utriusque militiae. Nel 433- 434 ottenne il comando supremo e la nomina a patrizio. Ezio fu uno degli ultimi che sostennero e rafforzarono l'Impero romano d'Occidente, di cui fu, di fatto, il padrone incontestato fino al 454. Ezio contro gli Unni Nel frattempo, nell’inverno del 451, Attila aveva cominciato a risalire il Danubio, fino ad arrivare a devastare la Gallia, con un numeroso esercito composto prevalentemente di Unni e Ostrogoti, ai quali si unirono i Franchi Ripuari. Ezio, consapevole del pericolo incombente sull'Italia, riuscì a riunire le popolazioni germaniche della Gallia contro gli Unni di Attila, con un esercito multietnico formato da Alani, Burgundi, Franchi e Sassoni, ma, soprattutto, da Visigoti. La sfida tra Attila ed Ezio, i due migliori capi militari dell'epoca, si svolse a Chalons, nelle Ardenne, verso la fine di giugno del 451 d.C., e passò alla storia come la Battaglia dei Campi Ca- talaunici. Il sanguinoso scontro fu un capolavoro di strategia militare: dopo un primo successo di Attila, la vittoria andò definitvamente alle truppe di Ezio e dagli alleati Visigoti. L'offensiva di Attila era fallita sotto ogni aspetto e l'Italia era salva. Tuttavia, sarà proprio la storica vittoria dei Campi Catalaunici a segnare la fine del generale romano. Appena tre anni dopo, il 21 settembre del 454, l'imperatore Valentiniano III, geloso delle vittorie e della potenza acquisite da Ezio, lo ferì a morte, a tradimento, durante una pubblica udienza. Il generale morente fu finito dalle pugnalate dei cortigiani. Al pari del suo predecessore Stilicone, Ezio si era creato molti nemici a corte e costoro, fin dalla vittoria dei Campi Catalaunici, avevano cercato di nuocere al generale, spargendo voci su un suo presunto tradimento a favore di Attila. L'Imperatore sopravvisse, tuttavia, pochi mesi alla morte del suo ministro: il 16 marzo del 455 fu ucciso da due sicari di Petronio Massimo. Con la morte di Ezio, l'Impero occidentale piomberà in una situazione di prostrazione, nel corso della quale Roma subirà un secondo assalto da parte dei popoli barbarici, che durerà, stavolta, per ben due settimane. Dopo la sua scomparsa non vi saranno più grandi condottieri (se si eccettua forse Ricimero) capaci di risollevare le sorti dell'Impero d'Occidente: i successivi due decenni vedranno, infatti, il suo rapido declino, che culminerà - come noto - nel 476, con la caduta definitiva dell'Impero Romano d'Occidente. An. Ci. Attila 12 il Giornale dei Grandi Eventi Il Librettista L’autore del dramma originale Temistocle Solera Zacharias Werner T emistocle Solera nella sua vita svolse parecchi mestieri, vivendo in modo sregolato per la sua natura estremamente pigra accompagnata da una rovinosa propensione a spendere e ricoprirsi di debiti. Oltre ad essere famoso per aver scritto i libretti dei primi lavori di Verdi, fu anche compositore in proprio di quattro opere, le quali però non ebbero fortuna. Nato a Ferrara il 25 dicembre 1815, era figlio di Antonio Solera, noto patriota e cospiratore. Iniziò i suoi studi musicali e letterari al collegio imperiale di Vienna da cui fuggì. Ripreso dalle guardie imperiali, completò il percorso al collegio Longone di Milano. Iniziò l’attività letteraria pubblicando versi e il romanzo Michelino, ma la sua prima opera di un certo rilevo fu il libretto per Verdi dell’Oberto conte di San Bonifacio (1839). Solera intervenne sulla trama del giornalista Antonio Piazza con suggerimenti dell’impresario Morelli e modifiche dello stesso Verdi che con quest’opera esordiva in teatro. In realtà, nella prima edizione del libretto, così come nelle successive di Milano e Torino (1840) e Napoli (1841), non compare il nome del poeta ma risulta che egli fu pagato 600 lire austriache, dissipate in un sol giorno. Cronologicamente dopo Un giorno di Regno, terza opera del maestro di Busseto su testo di Felice Romani, Solera scrisse Nabucondonosor (1842) tratto dall’omonimo dramma di Anicetto Bourgeois, forse la miglior collaborazione tra il maestro e l’autore. Seguirono i Lombardi alla prima crociata (1843), Giovanna D’Arco (1845) e infine Attila (1846). Verdi inizialmente aveva affidato a Francesco Maria Piave l’abbozzo dell’Attila ricavato dalla tragedia di Werner, ma poi ritenne più adatto passarlo al Solera più simile al Re barbaro per il suo carattere impetuoso. Le ultime scene dell’Attila le completò però Piave, poiché Solera era in forte ritardo con il libretto poiché si era nel frattempo trasferito in Spagna diventando direttore del Teatro Reale di Madrid ove cantava sua moglie Teresa Rosmini. Finì così, con reciproco rammarico, la feconda collaborazione tra Solera e Verdi: il primo contribuì con il suo patriottismo ad aumentare la popolarità verdiana, il secondo lo stimò come primo poeta melodrammatico del suo tempo. Nel periodo spagnolo tra il 1845 e il 1855 fu impresario teatrale prima che a Madrid in varie altre città e fu consigliere e forse amante della Regina Isabella. Tornato a Milano nel 1859, divenne contatto segreto tra Napoleone III e Cavour. Nel ’60 come ufficiale di polizia si dedicò a reprimere il brigantaggio in Basilicata, meritandosi poi la nomina a Questore a Firenze, Venezia, Bologna e Palermo. Negli ultimi anni fu chiamato in Egitto a riorganizzare la polizia del Khedivè; successivamente si trasferì a Parigi dove esercitò il mestiere di antiquario. Infine, ridotto in miseria, tornò a Milano, città nella quale morì quasi ignorato il 21 aprile 1878. Al. Cal. A utore del dramma Attila, König der Hunnen a cui s’ispirò Temistocle Solera per il libretto dell’Attila è lo scrittore e autore drammatico tedesco Zacharias Werner. Nato a Königsberg il 18 novembre 1768, Zacharias rimase presto orfano del padre, professore di storia e censore del teatro cittadino. Studiò giurisprudenza nella città natale ascoltando con interesse le lezioni di Kant. La perdita paterna influì in una vita dissoluta e disordinata, sia nei sentimenti sia nell’animo, dibattuto tra tensioni misticospirituali e carnali. Lavorò svogliatamente come funzionario statale in varie province prussiane e polacche. A Varsavia entrò nella Massoneria. A Berlino conobbe alcuni scrittori come E.T.A. Hoffmann e a Weimar Goethe. Sposò nell’arco di otto anni tre donne: la prima nel 1792, di facili costumi, la seconda una piccolo borghese di Königsberg e infine una giovane polacca a cui si unì il giorno dopo averla conosciuta. Abbandonato l’impiego e rimasto solo cominciò una vita errabonda in Germania, Austria, Svizzera dove conobbe M.me de Staël ed in Francia, per poi giungere a Roma nel 1810 dove abbandonò la fede protestante per il cattolicesimo. Consacrato sacerdote nel 1813, divenne un fervente predicatore a Vienna. Werner è il principale rappresentante del dramma fatalistico in Germania. Narrò di terribili apparizioni di spettri, ululati di venti e tempeste, segni premonitori di un fato che si abbatte inesorabilmente sui colpevoli e soprattutto sugli innocenti. Il suo primo dramma: Die Söhne des Thals (1801-1803) affida ad una sorta di massoneria cattolica la rigenerazione del mondo. L’incompiuto Das Kreuz an der Ostsee (1806) tratta della diffusione del cristianesimo in Prussia. Uno dei suoi lavori più riusciti: Martin Luther oder Die Weihe der Kraft (1807), rappresenta nell’unione predestinata di Lutero con Caterina di Bora il trionfo della forza e del sentimento. La visione fatalistica è particolarmente evidente in Der vierundzwanzigste Februar (1809) in cui per tre generazioni una famiglia è macchiata da delitti commessi casualmente lo stesso giorno: il 24 febbraio. L’opera ebbe successo e fu imitata inaugurando un nuovo, seppur effimero, genere letterario: la Schicksalstragödie (tragedia del destino). In Attila, König der Hunnen (1808) e Wanda,Königin der Samarten (1810) l’utopia massonica lascia il posto a una nuova utopia erotico-mistica compresa di esasperata sessualità e martirio. I personaggi sono travolti e guidati dalla passione e trovano l’amore solo nella morte, come Wanda, regina dei Sarmati, dramma voluto rappresentare da Goethe. Attila è invece la personificazione della forza e della giustizia, ma ha peccato contro l’amore avendo fatto uccidere Walther, amante di Hildegunde, e scelto questa come sua concubina. Hildegunde non vive che per la vendetta che si dovrà abbattere su Attila solo quando egli si sarà macchiato di gravi colpe. Attila, tuttavia resta puro e sarà perciò degno dell’amore di Onoria che lo consacrerà prima di essere ucciso da Hildegunde, divenuta sua moglie, e invasata di voluttà erotica oltre che di desiderio di vendetta. La conversione non giovò alle sue ultime opere che risultarono più aride come Die Weihe der Unkraft, le tragedie Kunigunde die Heilige (1814) e Die Mutter der Makkabäer (1820). Werner Morì a Vienna il 17 gennaio 1823. Al. Cal. il Attila Giornale dei Grandi Eventi 13 Ritratto del Musicista La personalità di Verdi dall'epistolario T orniamo all’antico e sarà un progresso scriveva Verdi a Francesco Florimo nel ’71, in difesa della tradizione melodrammatica italiana e contro la penetrazione dell’arte tedesca che stava generando la nuova moda dei concerti sinfonici. Il maestro lombardo, simbolo del Risorgimento italiano, si pose da subito in aperto contrasto con il gusto wagneriano: «non possiamo alla lunga crede alle fantasticherie di quest’arte straniera che manca di naturalezza e semplicità». La poetica verdiana non voleva l’artista schiavo delle novità e del gusto alla moda, ma ‘voce’ del suo paese e della sua epoca. Dallo slancio politico Nell’aprile del ’48 Verdi scriverà al librettista Francesco Maria Piave «tu mi parli di musica!! Cosa ti salta in capo?... credi che io voglia ora occuparmi di note? Non c’è, né ci deve essere che una musica grata alle orecchie degli italiani del 1848. La musica del cannone!... Io non scriverei una nota per tutto l’oro del mondo: ne avrei un rimorso immenso consumare della carta da musica, che è sì buona a fare cartucce». E ancora nel ’60: «l’inno na- Il basso primo interprete di Attila Quel Marini protagonista anche nell’Oberto F u il basso Ignazio Marini (1811-1873) ad essere il primo interprete del personaggio di Attlila nella prima rappresentazione al Teatro La Fenice di Venezia, la sera del17 marzo 1846. Il Marini aveva debuttato come cantante nel 1832 a Brescia e nel 1834 alla Scala cantò alla prima della Gemma di Vergy di Donizetti. Dello stesso compositore partecipò alle prime del Gianni di Parigi (1839) e dell'Adelia (1841). Verdi scrisse per lui il ruolo del protagonista nell’Oberto che aveva debuttato alla Scala nel 1839 ed anche in seguito non gli sarebbe spiaciuto sentirlo nelle repliche del Nabucco e dei Lombardt, dove le parti di Zaccaria e di Pagano «sembrano scritte per te; ed anzi ti dirò che avrei grandissimo desiderio di sentirle da te» (11.6.1843). Cantò con frequenza l’Ernani nel ruolo di Silva, e nel 1846 Verdi modellò su di lui il protagonista dell’Attila. Fu attivo in Italia, al Covent Garden, a New York, molto apprezzato sia nel genere buffo (Mozart: Leporello nel Don Giovanni, Nozze di Figaro; Rossini, Italiana in Algeri) che in quello serio, dove eccelse nel Mosè e nell'Otello di Rossini, nella Norma di Bellini, negli Ugonotti di Meyerbeer. In occasione di una ripresa dell’Oberto a Barcellona nella stagione di Carnevale 1842, Verdi scrisse per lui un'ampia cavatina seguita da una cabaletta, su parole di Solera. Inviando la musica, Verdi aveva precisato: «La cabaletta è ardita e credo starà bene per la tua voce [...]: bada che nelle cadenze della cabaletta vi sia un crescendo ben grado anche dell'orchestra ed allora vedrai che vi sarà l'effetto» (15.11.1841). La musica della cavatina è andata perduta, ma la cabaletta “Infin che un brando vindice” venne inserita, quasi certamente con la tacita approvazione di Verdi, in una ripresa dell’Ernani alla Scala il 3.9.1844, dove nel ruolo di Silva cantava ancora Marini. Nel 1862 Marini cantò il modesto ruolo dell'Alcade nella Forza del destino a San Pietroburgo. Aveva sposato il soprano Antonietta Ranieri Marini. Fr. Pi. zionale devesi intonare sulla veneta laguna, a Napoli o sulle Alpi ad un tempo solo. Ho rifiutato e rifiuterò fino a quel momento di scriverne, e seppure Iddio ci aiuti a spezzare le nostre catene ed io viva tanto da veder quel giorno, sarà il primo e ultimo inno di G. Verdi». Promessa non mantenuta, benché sempre più spesso il coro Va’, pensiero del Nabucco sia assunto a simbolo del nostro Paese. equilibrata, concreta e legata alla sua terra. Di qui i temi portanti di opere, tra cui l’Attila, con chiare allusioni politiche: i vizi umani, il peso del potere che schiaccia l’individuo, la solitudine del soglio, l’amore contrastato, la vendetta. La lettura dell’epistolario riesce a regalare immagini vivaci di questa forte personalità, che sapeva ridere di se stesso, tiranno e severo sul lavoro, ma anche amico caldo e generoso. Artista che ha saputo segnare il suo tempo e a cui la lunga vita permise di assistere a grandi cambiamenti epocali: dall’estetica musicale, che partiva da po- Alla passione per la campagna Seguiva con passione la cultura italiana e europea, ma al contempo era attento agli affari e alla sua campagna: viti, cavalli, concimi e contadini. «Addio campagna, addio passeggiate, … addio bel cielo azzurro, addio spazio infinito…! Quattro pareti sostituiranno l’infinito …i libri e la musica rimpiazzeranno l’aria e il cielo». Il mondo musicale verdiano, apparentemente lontano dalla natura schiva e brusca del Maestro, ne riflette invece a pieno la personalità: la forte moralità con le sue leggi ferree e una musica tanto precisa nel definire gli stati d’animo. Natura saggia ed Caricatura di Verdi sizioni rossiniane, ma conobbe le riforme wagneriane, ai rivolgimenti politici e soprattutto a quelli tecnologici. Quando nacque, in un dipartimento del Taro, sotto il governo dell’Impero napoleonico, l’illuminazione era a olio e l’unico mezzo di spostamento erano cavalli e carrozze. Quando morì, nel nuovo Regno dell’Italia unita, Edison aveva ideato la lampadina elettrica, che già stava soppiantando l’illuminazione a gas e da pochi anni Agnelli aveva fondato la Fiat! St. So. Attila 14 il Giornale dei Grandi Eventi Il 1846 nella storia L’anno in cui cominciò a cambiare il mondo L ’opera che Verdi dedicò al grande condottiero unno, Attila, si affacciò sulla scena musicale (Venezia, Teatro La Fenice, 17.III.1846) un anno dopo il Tannähuser di Wagner, rappresentato a Dresda il 19 ottobre del 1845, anno in cui Prosper Merimée pubblicò il racconto Carmen da cui sarebbe stato tratto il libretto dell’omonima opera di Bizet. Nell’anno precedente la composizione dell’Attila in Italia scoppiò la rivolta bolognese che produsse il cosiddetto Proclama di Rimini, cui Papa Pio IX partecipò il futuro statista Luigi Carlo Farini, da vicino quali fatti segnapropositore delle riforme rono la storia di quell’aneconomiche e politiche tra no 1846. le quali la principale il passaggio del governo in italia della città ai laici, sottraendolo in tal modo allo Stato Dopo la morte del Papa Pontificio. Ma le truppe Gregorio XVI, il 16 giugno papaline furono immedia- sale sul Soglio di Pietro il tamente inviate contro i ri- Cardinale cinquantaquatbelli per sedare la rivolta. trenne Giovanni Mastai In tale panorama storico, Ferretti, che assume il noma ancor più nel generale me di Pio IX e sarà destisentimento risorgimenta- nato a regnare per 32 anni, le, si colloca quindi la ancora il pontificato più composizione dell’Attila lungo della storia dopo che, sebbene di non altissi- quello di Pietro, Principe mo spessore artistico, fu in degli Apostoli. All’esordio grado di riscuotere un suc- del suo magistero il nuovo cesso straordinario pro- Papa concede inaspettataprio grazie alle esplicite al- mente l’amnistia e tale lusioni patriottiche, peral- evento diede adito al Giotro espresse con ritmi vee- berti di rinsaldare le sue menti e solida forza tim- teorie neoguelfe. Questo brica. Vediamo però più innescò fiducia e speranze Il 1846 verdiano L ’11 gennaio Giuseppina Strapponi canta per l’ultima volta in teatro con il Nabucco a Modena e successivamente si trasferisce a Parigi per darvi lezioni di canto. Il 17 marzo prima rappresentazione dell’opera Attila su libretto di Temistocle Solera al Teatro La Fenice di Venezia, con un ottimo successo di pubblico e critica. In aprile, rientrato a Mi- lano, Giuseppe Verdi si deve sottoporre ad un lungo periodo di riposo ed in luglio parte per Recoaro in compagnia di Andrea Maffei, poeta discepolo di Vincenzo Monti che fa parte della corrente letteraria “scuola classicista”, che accetta di scrivere il libretto dei Masnadieri. In ottobre inizia a scrivere Macbeth sui versi del veneziano Francesco Maria Piave. da parte del popolo, tivo appoggio del Papa altanto che si creò il mi- la sua causa, e quindi l'ito del papa liberale. dea giobertiana neoguelfiCiò a ragione, dal mo- sta inizia talmente a prenmento che solo un an- dere corpo. no dopo fu lo stesso Nel Mondo Papa ad istituire il Comune di Roma, formato da un consiglio di Nel frattempo oltre Manica nasce il movimento in100 membri. A pochi giorni dalla dipendentista la giovane sua elezione, Pio IX fa Irlanda. In America invesciogliere la famigera- ce, con il trattato dell’Oreta Commissione spe- gon, la Gran Gretagna e gli ciale in Romagna Stati Uniti fissano al 49° (quella che inquisiva, parallelo il confine con il celebrava i processi e Canada, mentre Garibaldi condannava senza ap- sostiene attivamente la pello). Dopo un mese guerra per l’indipendenza delibera l'amnistia per dell’Uruguay. E’ anche i prigionieri e gli esi- l’anno dell’inizio della liati politici; a Roma, guerra fra, Stati Uniti e Bologna, Ferrara e in Messico (1846 e 1848). Un altre città la popola- evento di definizione dei zione esulta dalla confini per entrambe le nagioia. Processioni, fiaccola- zioni che trasformò un te nella notte, e piazze e continente, facendo perdechiese gremite in ogni contrada. A settembre manda una delegazione pontificia al Congresso degli scienziati. A novembre istituisce una commissione per costruire ferrovie nello Stato Pontificio. A dicembre forma varie Commissioni, per le riforme economiche, giuridiche e assistenziali, per la riforma dei codici civili e penale, infine prende alcuni provvedimenti per orga- Ascanio Sobrero nizzare l'insegnamento scolastico, il mon- re al Messico gran parte sud-ovest do del lavoro, ristabilire la dell’attuale libertà di stampa. Ma l'av- americano, dal Texas alla venimento più rivoluzio- California. nario é una Consulta di Nella scienza Stato con la partecipazione di laici. E sta adoperandosi per uno Statuto. Una rivo- Il chimico italiano Ascanio luzione. Pio IX sta conce- Sobrero scopre la nitroglidendo ai suoi cittadini non cerina e in Ungheria il mesolo quanto non era mai dico Ignác Semmelweis instato prima nemmeno pre- tuisce la causa della febbre so in considerazione dallo che nel suo paese stava Stato Pontificio, ma nem- mietendo migliaia di vittimeno quanto avevano me: consisteva nell’insufficoncesso ai loro sudditi ciente igiene dei medici Leopoldo di Toscana e che visitavano le puerpere. Carlo Alberto. Quest'ulti- Individuò così la soluzione mo inizia a credere di po- il lavarsi le mani con acqua ter contare ora su un effet- e sapone! Purtroppo però il suggerimento dello scienziato fu apertamente sdegnato. L’astronomo francese Urban-Jean-Joseph Le Terrier sscopre il pianeta Nettuno e l’irlandese Thomas Robinson inventa l’anemometro a palette per misurare la velocità del vento. Infine il chimico svizzero Christian Schönbein sintetizza il nitrato di cellulosa, dando così il via alla produzione dei primi materiali plastici. Nell’industria Carl Zeiss fonda a Jena una fabbrica di meccanica di precisione ed ottica, iniziando nel settembre del 1847 la produzione di semplici microscopi. Nella filosofia Marx ed Engels si accingono a scrivere L’ideologia tedesca, quando Cesare Balbo pubblicò il Sommario della storia d’Italia, il cui motivo ripetuto era quello dell’indipendenza dallo straniero. Ancora di taglio politico l’opuscolo di Massimo D’Azeglio Degli ultimi casi di Romagna in cui il teorico, in riferimento ai fatti romagnoli dell’anno precedente, suggerisce agli italiani di rinunciare alla strategia delle cospirazioni, che si erano rivelate fallimentari. Nella letteratura La scrittrice francese George Sand pubblica uno dei suoi romanzi più riusciti, La palude del diavolo. Pensare che l’anno dopo sarebbe finita la sua relazione con Chopin, che durava dal 1838. Solo un anno più tardi sarebbe morto Mendelssohn, simbolo del romanticismo felice, e sarebbe uscito uno dei romanzi più caratterizzanti del tormento romantico, Cime tempestose di Emily Brontë, ma soprattutto… si stava avvicinando lo straordinariamente “movimentato” anno 1848. St. So. il Attila Giornale dei Grandi Eventi 15 In un libro da amatore Verdi mai così ricco d’immagini N on capita spesso di parlare di un bel libro. Bello ed interessante sotto tutti i punti di vista. Un prodotto di nicchia forse, perché non destinato alla grande distribuzione, ma senz’altro un volume da leggere tutto d’un fiato, da tenere in libreria, da sfogliare con piacere sia per la gradevole veste grafica che per il ricchissimo apparato iconografico a colori e di alta qualità grafica sull’intera vita di Giuseppe Verdi. Si tratta del volume “Per amore di Verdi: vita, immagini, ritratti” edito per i tipi della Grafiche Step Editrice di Parma (che ha anche pubblicato un analogo pregevole volume dedicato a Giacomo Puccini, che prossimamente presenteremo), uscito al termine dell’anno Centenario verdiano 2001. E’ un’opera sulla personalità di Verdi ed al contempo sull’ambiente e sul tempo in cui visse. Un’opera rigorosa, ma allo stesso tempo accattivante anche per il lettore non specialista, che presenta questo Verdi non così conosciuto come si crede per la sua personalità complessa ed a volte contraddittoria. Un Verdi studiato anche attraverso le immagini, i suoi ritratti nel tempo, dall’olio del giovanissimo insegnante di pianoforte alla marchesina Zaccaria di Cremona, alle immagini delle prime fotografie dal contrasto affascinante dove il grande vecchio della musica risorgimentale appare canuto e bianco. Intorno a lui, con una grande cura nella ricerca iconografica, è un rincorrersi di personaggi del mondo della musica (artisti, librettisti, impresari), di bozzetti di opere, di teatri, di incisioni a bulino frontespizi dei lavori del Maestro. Un’opera nata con il contributo dell’Istituto Nazionale di Studi Verdini e l’entusiastica adesione della casa editrice di un’azienda tipografica che nulla ha risparmiato per il bel risultato. Il testo è diviso in dieci capitoli di agile lettura che ripercorrono tutti gli 88 anni di vita del musicista, dall’ambiente delle origini, agli ultimi anni milanesi. Conclude il testo una cronologia della vita e delle opere ed una ricca bibliografia. “Per amore di Verdi: vita, immagini, ritratti” – AA.VV., cm. 24 x 30 Pag. 275 – Edizioni Grafiche Step, via Francesco barbacani, 10/b , Parma - € 70. In libreria, per approfondire il protagonista dell’opera Attila e gli Unni tra storia e leggenda U na figura ed un nome, quelli di Attila e del suo popolo, gli Unni, che per l’inaudita violenza delle proprie gesta sono rimasti famosi nei secoli. Fatti tragici, avvolti però da un velo di mistero per l’esiguità delle fonti storiche ed archeologiche. Proprio una serie di nuove indagini archeologiche su questo popolo dell’Est, sono state il fulcro del lavoro del Gruppo Archeologico Aquileiese denominato “Progetto Attila” nel quale si è anche inserito l’interessante convegno internazionale “Attila Flagellum Dei?”, la cui raccolta degli atti è divenuta il primo dei due volumi che per serietà scientifica presentiamo e consigliamo. Un punto di domanda caratterizza il convegno nel quale si è cercato di indagare - al di là del mito - la verità storico-archeologica del popolo degli Unni, che proveniente dalla Pannonia, ha tentato di spingersi fino alle più interne regioni italiane. Passo passo si è approfondita la questione unica dall’area delle steppe fino alle loro tracce in Slovenia. I valori di una sfida, quella che il Re barbaro lanciò all’Occidente. La questione italiana si sviluppa essenzialmente nella pianura padana: se certo è l’ingresso nella penisola dalla Slovenia ed il suo passaggio distruttivo su Aquileia nel 452, discusso è l’itinerario della spettacolare campagna “italiana”, che si rivelò dai risultati disastrosi. La pianura padana, infatti, non si era ancora risollevata dalla carestia di due anni prima e le truppe andarono incontro ad una serie di forti epidemie. Dopo l’avanzata verso Milano e Pavia c’è l’incontro con Papa Leone che lo raggiunse in Acroventu Ambuleio (?) dove esisteva un passaggio molto frequentato sul Mincio. L’individuazione di questa località, contesa da vari comuni, non è una banale puntualizzazione topografica, ma un problema di ordine storico legato alle intenzioni di Attila, se cioè giunto al Mincio il re stava ancora avanzando o se era già in fase di ritirata. Diverse le teorie. E qui, sull’epilogo della vicenda, entra in gioco il peso della Chiesa, interfaccia di una corte imperiale che di fronte alla calata di Attila si era trasferita a Roma, lasciando dietro di se una Ravenna ben difesa grazie anche i rifornimenti via mare. Insomma un quadro a tutto tondo sulla spedizione italiana, che cerca di chiarire aspetti destinati a ridisegnano la leggenda. Catalogo della mostra itinerante “Attila e gli Unni” partita nel 1995 da quella Aquileia, prima grande tappa distrutta del “Flagellum Dei”, il secondo titolo che presentiamo è un bel volume di grande formato, più divulgativo, che presenta, a cura di Silvia Blason Scarel, il quadro storico degli Unni dal IV al V secolo e delinea il quadro cronologico di Aquileia , i cui profughi proprio dopo la distruzione unna si spostarono a sud lungo la costa, approdando sulle paludi venete e dando vita a quella che sarà poi Venezia. Importante nell’inquadramento della vicenda è anche il ruolo coevo della chiesa aquileiese, la cui Basilica patriarcale porta ancora i segni del fuoco barbaro del 452. Sono poi approfonditi gli scavi nelle varie città venete e lombarde alla ricerca di tracce di quel popolo pannonico. Ed interessante è l’introduzione all’archeologia degli Unni attraverso oggetti funerari e di uso comune, ma anche di pratiche rituali come la deformazione artificiale del cranio cui venivano sottoposti i neonati fra i popoli del Basso Impero nei territori di Ostrogoti, Unni, Avari, Germani. Conclude il volume una interessante carrellata sulla iconografia del “Flagellum Dei”. Dalle medaglie alle miniature, che evidenziano la demonizzazione dl personaggio spesso ritratto con corna e barba caprigna. G. l. Cer. Attila Flagellum Dei? Atti del convegno internazionale di studi storici sulla figura di Attila e sulla discesa degli UNNI in Italia nel 452 d.C. – a cura di Silvia Blason Scarel. Collana Studia Historica (129), 1994 - Pag. 250 +58 tav. ft. – ed. “L’Erna” di Bretschneider. €143. Attila e gli Unni – Catalogo della mostra itinerante – 1995, cm .24x3 – Pag 164 – 92 ill. BN, 12 piante, 17 ill. col. ft. - ed. “L’Erna” di Bretschneider. € 86. aceaenergia.it VIVI L’ENERGIA A MODO TUO. 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