Il Problema del debito pubblico italiano
La Commissione Europea, in relazione alla manovra correttiva di bilancio di 3,4 miliardi di euro, è
ritornata sul problema dell'enorme debito pubblico italiano.
La Commissione parla di un rapporto attuale del debito pubblico rispetto al prodotto interno lordo
(PIL) intorno al 133%, a fronte di un limite consentito del 60%.
Diverse sono le cause che hanno condotto ad un debito pubblico superiore al doppio di quello
massimo permesso rispetto al PIL. Tra queste, non va sottovalutata
quella del famoso divorzio tra Tesoro e Banca d'Italia del 1981. Come si ricorderà, ad un certo punto
la Banca d'Italia si è svincolata dall'impegno di acquisto
dei titoli del Tesoro non assorbiti in sede d'asta, nella presunzione che ciò avrebbe portato ad un più
attento controllo della spesa pubblica da parte del Governo.
Presunzione a dir poco illuministica perchè il divorzio non portò affatto ad un maggior controllo della
spesa, ma ad una sua continua dilatazione ricorrendo per la sua copertura al debito invece che alla
creazione di base monetaria. Si poteva, in altre parole, percorrere la via della graduale monetizzazione
del debito, evitando l'esplosione del rapporto tra debito pubblico e PIL.
Come scrisse l'allora Ministro del Tesoro Beniamino Andreatta (Governatore della Banca d'Italia era
Carlo Azeglio Ciampi), la riduzione del signoraggio monetario e i tassi di interesse positivi in termini
reali si tradussero rapidamente in un nuovo grave problema per la politica economica, aumentando il
fabbisogno del Tesoro e l'escalation della crescita del debito pubblico rispetto al prodotto nazionale.
Il problema attuale è innanzi tutto quello della stabilizzazione del rapporto tra debito pubblico e PIL,
per passare poi ad un piano di rientro in un certo numero di anni.
Per stabilizzare il rapporto occorre che il costo medio nominale del debito pubblico non superi il tasso
di crescita nominale del PIL. Attualmente tale costo è pari al 3,5% e risulta pertanto troppo elevato
rispetto alla nostra crescita che stenta a raggiungere il 2%. Dobbiamo pertanto crescere di più e tenere
sotto controllo lo spread tra i rendimenti dei titoli italiani del debito pubblico e quelli dei titoli
tedeschi.
Sul meccanismo che abbiamo illustrato agisce anche il tasso di inflazione come elemento implicito
del PIL e il tasso atteso di inflazione che compare all'interno del tasso di interesse nominale. Infatti,
secondo la formula di Fisher, il tasso di interesse nominale è uguale alla somma del tasso di interesse
reale, dell'inflazione attesa e del loro prodotto. Se l'inflazione attesa dovesse essere minore di quella
effettiva, il tasso di interesse reale si ridurrebbe e questo favorirebbe, a parità di altre circostanze, la
stabilizzazione del rapporto tra debito pubblico e PIL.
Un tollerabile tasso di inflazione (ora siamo in sostanziale deflazione) ha anche l'effetto di ridurre il
valore reale del debito pubblico, mentre la deflazione è dannosa per il debitore come ci ha insegnato
Fisher in un famoso articolo dei primi anni trenta del secolo scorso.
Un tasso di inflazione tollerabile fa inoltre bene alla domanda per consumi e per investimenti e quindi
alla crescita del reddito. Tutto ciò facilita la stabilizzazione del rapporto tra debito pubblico e PIL.
In definitiva, nell'analizzare il problema dell'elevato debito pubblico italiano che ci mette attualmente
in grave difficoltà con l'Unione Europea, non dobbiamo dimenticare la "solitudine" del
Ministro del Tesoro Beniamino Andreatta che nel 1981 aveva ben capito a quali gravi conseguenze
avrebbe portato al nostro Paese il divorzio tra Tesoro e Banca d'Italia, provvidenzialmente il contrario
di quello che sta facendo il Presidente Draghi alla BCE.
Giovanni Scanagatta
Segretario Generale
Roma, 13 marzo 2017